CAMERA DEI DEPUTATI
Lunedì 22 aprile 2024
293.
XIX LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Attività produttive, commercio e turismo (X)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Documento di economia e finanza 2024. Doc. LVII, n. 2, e Allegati.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La X Commissione,

   esaminato, per le parti di competenza, il Documento di economia e finanza 2024 (Doc. LVII, n. 2 – Allegati);

   preso atto che, riguardo al quadro programmatico, il Governo ha annunciato che gli obiettivi di politica economica dei prossimi anni saranno definiti nel Piano strutturale di bilancio di medio periodo, in conformità di quanto previsto dalle nuove regole europee, attualmente oggetto delle proposte di riforma della governance economica europea;

   considerato che il DEF ascrive grande importanza al processo in corso di revisione dei documenti programmatici in materia di energia e clima, quali il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC) e la Strategia di Lungo Termine sulla riduzione dei gas ad effetto serra;

   rilevato che il DEF mette in rilievo il rafforzamento, nell'ultimo anno, dell'impegno nell'avanzamento della transizione ecologica e nella diversificazione degli approvvigionamenti energetici, l'attuazione delle cui misure rafforzano la strategia che poggia sulla transizione energetica, sul potenziamento delle infrastrutture di energia sulla trasformazione del sistema di produzione, trasporto e consumo e sull'acquisizione di nuove competenze per i lavoratori che dovranno contribuire a realizzare tale transizione;

   valutato con favore che per quel che riguarda la strategia di trasformazione del sistema di produzione, trasporto e consumo, nel contesto degli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti, il DEF dichiara necessario adottare una strategia di supporto alle imprese, che preveda misure sia trasversali sia specifiche, in grado di sostenere gli investimenti delle imprese nell'efficientamento energetico e nell'autoproduzione di energia da fonti rinnovabili; finanziare la ricerca nelle tecnologie sostenibili e la creazione di nuove start-up attive nella transizione ecologica; favorire investimenti per lo sviluppo di tecnologie pulite e la resilienza delle catene di approvvigionamento strategiche;

   preso atto degli strumenti rifinanziati dalla legge di bilancio 2024 al di fuori del perimetro del PNRR richiamati dal DEF quali la cosiddetta Nuova Sabatini, la cui dotazione è stata implementata di 100 milioni di euro, il Fondo per la crescita sostenibile, il cosiddetto Fondo Green New Deal, a sostegno delle imprese per progetti di investimento verso un'economia pulita e circolare e i cicli produttivi con tecnologie a basse emissioni, attraverso la concessione di garanzie gestite da SACE s.p.a.;

   evidenziato che il DEF segnala – quanto all'incentivazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili – la recente adozione del decreto attuativo della disciplina sulle comunità energetiche rinnovabili e l'autoconsumo diffuso e annuncia che sono in corso di adozione i decreti cosiddetti FER 2 e FER X;

   apprezzata la messa in evidenza dello sviluppo della capacità di accumulo, con l'avvio, primo in Europa, di un mercato a termine degli stoccaggi centralizzati, che permetterà di promuovere nuovi investimenti in stoccaggi elettrochimici e pompaggi idroelettrici;

   condivisa e sottolineata l'importanza di un quadro regolatorio chiaro e uniforme in tema di incremento della produttività, esigenza a cui viene ricondotta l'adozione della legge delega n. 160 del 2023 per la revisione complessiva del sistema degli incentiviPag. 433 alle imprese, e per la quale il DEF 2024 segnala, oltre alla predisposizione degli atti che daranno attuazione alla suddetta riforma organica degli incentivi, l'avvio dei lavori per la stesura della prima legge annuale per le micro, piccole e medie imprese;

   apprezzata l'intenzione dichiarata nel DEF riguardante l'adozione di misure di sostegno all'export e all'internazionalizzazione delle imprese;

   preso atto, per quanto di interesse per la Commissione, che il Governo conferma quali collegati alla decisione di bilancio, a completamento della manovra 2025-2027, i disegni di legge già indicati nel precedente Documento programmatico aggiungendovi un Disegno di legge recante norme di principio in materia di Intelligenza artificiale,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

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ALLEGATO 2

Documento di economia e finanza 2024. Doc. LVII, n. 2, e Allegati.

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA PRESENTATA DAI DEPUTATI DE MICHELI, DI SANZO, GNASSI, ORLANDO, PELUFFO

  La X Commissione,

   esaminato, per gli aspetti di competenza, il Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2025-2027 (Doc. LVII, n. 2 e Allegati);

  premesso che:

   nel contesto del cosiddetto Semestre europeo, il Documento di economia e finanza traccia una prospettiva di medio-lungo termine degli impegni, sul piano della politica economica e della programmazione finanziaria, e degli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, al fine di promuovere il coordinamento e la convergenza delle politiche economiche degli Stati membri dell'Unione europea e garantire la stabilità;

   in questo contesto il Governo Meloni ha presentato per il 2024 un Documento con il solo quadro tendenziale senza offrire, come invece dovrebbe, a norma dell'articolo 10, comma 2, lettera e) della legge di contabilità e finanza pubblica (la legge 31 dicembre 2009, n. 196) un quadro programmatico di finanza pubblica per i prossimi tre anni che è stato invece rinviato al prossimo Piano fiscale-strutturale di medio termine che sarà presentato il prossimo 20 settembre;

   il Governo non offre alcun dettaglio delle misure da confermare denotando qui l'incapacità di affrontare il futuro e dimostrando di avere idee poco chiare nel merito;

   la decisione del Governo di non presentare un documento programmatico è stata scelta in passato da governi dimissionari che non avevano titolo a presentare programmi pluriennali; al contrario, la scelta del Governo, nel pieno delle sue funzioni, è senza precedenti e si pone in violazione delle citate norme sul processo di formazione del bilancio;

   l'incertezza che il Governo non intende affrontare nel Documento, in pieno clima elettorale, in vista delle prossime elezioni europee, in realtà, riguarda la decisione, di rifinanziare le cosiddette politiche invariate che andranno a scadenza a fine anno; basti ricordare che le principali misure introdotte nella scorsa legge di bilancio solo per il 2024 che sono il taglio dei contributi previdenziali e l'accorpamento dei primi due scaglioni dell'Irpef, insieme ammontano a circa 15 miliardi di euro annui, ai quali si aggiungono ulteriori misure a scadenza per un totale di circa 20 miliardi di euro: la detassazione del welfare aziendale e dei premi di produttività, la riduzione del canone Rai, il differimento (di sei mesi) di plastic e sugar tax, l'azzeramento dei contributi previdenziali per le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato con due figli, il credito di imposta per gli investimenti nella Zona economica speciale del Mezzogiorno, il rifinanziamento della legge Sabatini per gli investimenti e la proroga dei bonus edilizi Ecobonus e Sismabonus che in assenza scenderanno al 36 per cento;

   se come affermato in conferenza stampa dal Ministro dell'economia e delle finanze le prime due saranno rifinanziate senza incidere sul disavanzo e mantenendo perciò i saldi sui valori del tendenziale, occorre che il Governo fornisca un quadro delle misure di entrate e di spesa necessaria a reperire per il 2025 coperture finanziarie ad oggi ancora non definite;

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   il rifinanziamento delle politiche invariate non tiene nemmeno conto delle spese per la sanità che nel tendenziale proposto dal Governo scende ancora rispetto ad oggi al 6,2 per cento del Pil alla fine del periodo;

   già nel quadro tendenziale è evidente che la crescita 2024 sarà più debole del previsto; il Governo aveva programmato una crescita del Pil dell'1,2 per cento e il documento riduce all'1 per cento la previsione che comunque è un dato superiore e ottimistico rispetto a quello dei principali previsori che si attestano tra lo 0,5 e lo 0,7 per cento per il 2024 (Banca d'Italia ad inizio aprile stima 0,6 per cento la crescita per il 2024);

   nel 2024 l'impatto del Pnrr è stimato in 0,9 punti percentuali di Pil aggiuntivi rispetto lo scenario base; pertanto la quasi totalità della crescita è dovuta sostanzialmente all'attuazione del Pnrr;

   anche per gli anni successivi la crescita è dovuta sostanzialmente all'effetto positivo dovuto all'attuazione del Pnrr che però terminerà nel 2026; mancando il quadro programmatico il Governo non fornisce alcuna indicazione su quali saranno le direttici di intervento per sostenere la crescita, anche in assenza del Pnrr, dal 2027;

   sul fronte della finanza pubblica, l'ISTAT ha rilevato che il rapporto tra l'indebitamento delle amministrazioni pubbliche e il PIL è stato pari al 7,2 per cento nel 2023; i dati ISTAT riportati nel DEF risultano molto peggiorati rispetto le previsioni programmatiche della NADEF 2023 che stimavano un rapporto deficit/Pil 2023 al 5,3 per cento;

   sul differenziale di 1,9 punti percentuali, equivalente a quasi 40 miliardi di euro hanno inciso varie voci di spesa tra cui i contributi agli investimenti e in questi rientrano le spese per l'efficientamento energetico degli edifici, ma anche la spesa per interessi sul debito pubblico; quando il Governo si è insediato, nell'ottobre 2022, la spesa stimata per il cosiddetto Superbonus ammontava a 60 miliardi di euro mentre l'ultimo report Enea conferma una spesa complessiva di 122 miliardi di euro;

   nel contesto qui delineato, il Governo in carica, nei 18 mesi di guida, ha assistito immobile all'esplosione dei costi che ha provocato l'impennata del rapporto deficit/pil e gli effetti di trascinamento sul debito per i prossimi anni mettendo in atto solo due interventi contenitivi (il decreto-legge n. 11 di febbraio 2023 e il decreto-legge n. 39 di marzo 2024) nonostante l'allarme lanciato dalla reportistica mensile sull'andamento dei conti pubblici legati al Superbonus; per contro si può affermare che nel 2023, la crescita maggiore della media europea pari 0,9 per cento (rispetto allo 0,5 per cento delle media UE) è dovuta alla spesa di circa 70 miliardi di euro di bonus edilizi equivalenti a circa 3 punti percentuali di Pil senza i quali avremmo registrato una recessione (senza tener conto che gli altri paesi europei non hanno avuto la spessa spesa in agevolazioni edilizie);

   il peso del debito, torna a salire, di circa 2,5 punti percentuali dal 2023 al 2026, passando dal 137,3 per cento del PIL del 2023 al 139,6 per cento del 2026 e modificando il sentiero di stabilizzazione tracciato lo scorso settembre nella Nadef che riportava un obiettivo per il 2026 in diminuzione in rapporto al Pil di mezzo punto rispetto al dato del 2023;

   la differenza tra il costo del debito (tasso di interesse implicito del debito), pari al 3 per cento e il tasso di crescita dell'economia (pil nominale), che scende sotto al 3 per cento comporta la crescita del rapporto debito/pil anche in un quadro tendenziale e in assenza di interventi programmatici;

   la procedura di infrazione per deficit eccessivo (PDE) annunciata sia dal Ministro dell'economia e delle finanze, sia dal Commissario europeo potrebbe chiedere una correzione di almeno lo 0,5 per cento del Pil sul disavanzo primario (quindi senza considerare le variazioni dei tassi di interesse) all'anno per i prossimi tre anni;

   la riforma fiscale volta a reperire risorse per il prossimo avvenire non ha prodotto i risultati auspicati proponendo solo misure temporanee e sanatorie di cartelle e Pag. 436debiti erariali: è una riforma molto deludente dal punto di vista dell'equità e dell'efficienza e non attua alcuno degli obiettivi di una riforma organica del sistema fiscale;

   il Governo non esplicita alcuna decisione sulle grandi priorità di politica economica sul versante delle spese per quanto riguarda la sanità, la scuola, le politiche per il lavoro, gli investimenti e la politica industriale e gli enti locali che saranno anch'essi interessati dalla declinazione nazionale delle nuove regole del patto di stabilità e crescita;

   a marzo l'inflazione nell'Eurozona è scesa al 2,4 per cento tuttavia il segnale di riduzione dell'inflazione non si è ancora tradotto in un taglio dei tassi da parte della BCE; la stretta monetaria sta riducendo il tasso di investimento delle imprese, che nel 2023 scende al 18,7 per cento del Pil, in calo di 1,2 punti dal 19,9 per cento del 2022; il perdurare della stretta monetaria aggrava le condizioni finanziarie delle imprese italiane, maggiormente colpite dal caro tassi; secondo l'ABI il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese a marzo 2024 è pari al 5,26 per cento; il calo dei volumi di credito è coerente con il rallentamento della crescita economica che contribuisce a deprimere la domanda di prestiti: sempre i dati riferiti a marzo 2024 riportano che i prestiti a imprese e famiglie sono scesi del 2,6 per cento rispetto a un anno prima;

   è urgente definire in tempi brevi una efficace strategia per attuare la direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, cosiddetta «Case Green», entrata in vigore già nello scorso mese di ottobre 2023, la quale prevede una diminuzione dell'energia utilizzata di almeno il 16 per cento entro il 2030 e di almeno il 20-22 per cento entro il 2035. Si stima che siano 9,5 milioni (37,1 per cento) le abitazioni occupate collocate nella classe energetica meno efficiente (G); previsto inoltre l'obbligo per gli Stati membri di riqualificare almeno il 3 per cento l'anno della superficie degli edifici pubblici;

   dopo 17 anni i livelli del Pil sono ritornati, nel 2023, ai livelli del 2008, (circa 2 mila miliardi di euro), con circa 600 mila occupati in più ma le ore lavorate sono sostanzialmente rimaste invariate il che significa che in 17 anni la produttività oraria del lavoro non è cresciuta e che il recupero fatto in termini di costo del Lavoro per Unità Prodotta (CLUP) è ascrivibile ad una compressione del costo del lavoro e dei salari;

   in riferimento al settore industriale italiano, si rileva solo la produzione di decreti di corto respiro, miopi e incapaci di affrontare le problematiche di natura produttiva, ambientale, sanitaria e occupazionale (si veda quanto fatto sui cartelloni dei prezzi dei carburanti piuttosto che sulla tutela del made in Italy, sugli stabilimenti ex-Ilva, su TIM, solo per citare alcuni provvedimenti all'esame della Commissione) mentre l'assenza di politiche industriali è evidente e sta procurando effetti disastrosi per il Paese: siamo in presenza di due trasformazioni epocali che avvengono con una velocità impressionante, la transizione energetica e quella digitale e sbagliare le politiche industriali in questo contesto rischia di collocare fuori mercato la gran parte del tessuto industriale italiano, così come non fare politica industriale comporta un declino inevitabile e progressivo che impedisce la costruzione o la riconversione di nuovi ambiti produttivi, delle filiere industriali strategiche per il futuro del Paese e per la creazione di posti di lavoro. Non fare politica industriale comporta la rinuncia alla salvaguardia di importanti imprese di interesse strategico nazionale determina la perdita di migliaia di posti lavoro e di qualificati centri di produzione e di ricerca;

   nel Documento all'attenzione della Commissione, nella Parte III al capitolo 7, sono indicati «Investimenti e riforme per la crescita e la produttività. Competitività. Proprietà industriale»: si citano l'adozione della legge delega n. 160 del 2023 per la revisione complessiva del sistema degli incentivi alle imprese, poi l'avvio dei lavori per la stesura della prima legge annuale per le micro, piccole e medie imprese Pag. 437(MPMI), gli investimenti per il rafforzamento dell'industria cinematografica e per sostenere l'innovazione e l'approccio verde in tutta la filiera culturale e creativa, il sostegno all'export e all'internazionalizzazione delle imprese, la riforma del sistema della proprietà industriale. Questo il pacchetto di misure per le imprese, che riteniamo decisamente insufficiente per le sfide che il nostro sistema industriale deve affrontare;

   se l'Italia vuole avere credibilità ed un ruolo attivo in Europa deve assumersi le proprie responsabilità;

   tutto ciò premesso,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

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ALLEGATO 3

Documento di economia e finanza 2024. Doc. LVII, n. 2, e Allegati.

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA PRESENTATA DAI DEPUTATI PAVANELLI, APPENDINO, CAPPELLETTI, FERRARA

  La Commissione X,

   esaminato, per le parti di competenza, Il Documento di Economia e Finanza 2024 (DOC LVII, n. 2), presentato dal Governo il 9 aprile 2024,

  considerato che:

   appare irrituale l'assenza, all'interno del documento in esame, di un'indicazione chiara sul disavanzo pubblico previsto per l'anno prossimo, impedendo di fatto al mondo economico e produttivo di programmare le proprie strategie in base all'andamento dei conti pubblici;

   il Documento di Economia e Finanza 2024 consta del solo quadro di finanza pubblica cosiddetto tendenziale per il 2025, cioè il disavanzo previsto sotto l'ipotesi che, per il prossimo anno, il Governo non adotti alcuna nuova misura legislativa che abbia effetto sulla finanza pubblica;

   il Governo, sulla base di una previsione attendibile – con riferimento alle analisi e alle previsioni economiche di tutti gli istituti di ricerca più autorevoli – sull'andamento dell'economia mondiale, europea e nazionale nell'anno in corso e in quelli immediatamente seguenti, si limita a descrivere un quadro di finanza pubblica a legislazione vigente, senza alcuna ipotesi di carattere programmatorio, svilendo in sostanza il ruolo del principale documento di finanza pubblica;

   in una situazione economica e di finanza pubblica incerta e delicata, ben rappresentata dai dati ISTAT, secondo cui, a gennaio 2024, per il fatturato dell'industria si riscontra un calo congiunturale sia in valore (-3,1 per cento) sia in volume (-2,6 per cento), ed apparentemente inadeguata ad invertire la preoccupante tendenza al ritorno a stagioni segnate dalla stagnazione, dall'erosione del potere di acquisto degli stipendi a causa del caro vita e dalla riduzione delle prestazioni sociali effettive, il Governo Meloni nel DEF 2024 sceglie di non esprimere obiettivi programmatici, sulle sue riforme, sulle modificazioni alle leggi di entrata e di spesa in vigore sì da compilare la seconda caratteristica tabella del Documento, ossia il «Quadro di finanza pubblica programmatico», quello che corrisponde alle intenzioni del Governo e della sua maggioranza parlamentare;

  rilevato che:

   per quanto riguarda le politiche energetiche e ambientali, il Documento fornisce importanti indicazioni programmatiche nella Sezione III, relativa al Programma di Riforma, da cui emerge quanto segue:

    viene ribadita la necessità della transizione ecologica per il raggiungimento della neutralità climatica e della sicurezza energetica, attraverso investimenti e riforme che permettano la decarbonizzazione del sistema energetico, il potenziamento delle infrastrutture, la trasformazione del sistema produttivo e di consumo;

    vengono recepite le indicazioni del Consiglio dell'Unione Europea, che con la raccomandazione del 14 luglio 2023 sul Programma Nazionale di Riforma dell'Italia ha sottolineato l'esigenza di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili; in tal senso dovranno essere rivisti i documenti programmatici in materia di energia e clima, quali il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC) e la Strategia di Lungo Termine sulla riduzione dei gas ad effetto serra (LTS);

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    viene annunciata la definizione di una serie di misure relative all'elettrificazione dei consumi, all'efficienza energetica dei processi e dei prodotti industriali e alla riqualificazione energetica degli edifici;

    viene comunicata la predisposizione del Piano Sociale per il Clima, previsto dal Regolamento UE 2023/955, attraverso il quale saranno definite azioni per mitigare l'impatto sociale del sistema di scambio di quote di emissioni per gli edifici e il trasporto stradale;

    viene annunciata una paradossale strategia per l'indipendenza energetica, basata sulla diversificazione delle importazioni, su un potenziamento della produzione nazionale pari a circa il 10 per cento del fabbisogno, sul rafforzamento delle infrastrutture di trasporto e stoccaggio, sottolineando l'importanza della realizzazione di nuovi rigassificatori;

    si indica la promozione del trasporto e della mobilità sostenibile come «asse portante» nella strategia italiana di decarbonizzazione;

    si prevede l'adozione di una strategia finalizzata all'efficientamento energetico degli edifici, sia pubblici sia privati;

    vengono condivisi gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, anche alla luce dell'orientamento dell'Unione Europea che ha individuato lo sviluppo sostenibile come principio fondamentale del trattato sull'Unione europea e obiettivo prioritario delle politiche interne ed esterne dell'UE;

    in particolare il Documento evidenzia l'importanza del raggiungimento degli obiettivi: 2, in materia di sicurezza alimentare e promozione dell'agricoltura sostenibile; 9, sulla realizzazione di infrastrutture resilienti e di un'industrializzazione equa, responsabile e sostenibile; 11, sulla qualità della vita e sostenibilità degli agglomerati urbani; 13, sulle misure da adottare per combattere il cambiamento climatico;

    la relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra evidenzia in primo luogo che la finestra temporale per il raggiungimento degli obiettivi dell'Accordo di Parigi è sempre più stretta e che sono necessarie azioni più incisive e che bisogna impegnarsi per ottenere riduzioni delle emissioni significativamente maggiori rispetto a quelle previste dagli attuali impegni;

   in buona sostanza, dalla lettura del Documento di Economia e Finanza 2024, traspare la consapevolezza della assoluta necessità ed improrogabilità dell'implementazione di politiche energetiche ed ambientali strutturali ed efficaci, ma l'azione programmatica e normativa svolta dal Governo appare in netta antinomia;

   la transizione energetica, l'obiettivo dell'autosufficienza energetica e le politiche di decarbonizzazione mal si conciliano con la previsione di realizzare nuove infrastrutture per il trasporto e la distribuzione del gas nonché degli impianti di rigassificazione, senza considerare l'ampio spazio dedicato alle tecnologie di cattura e stoccaggio geologico del carbonio (Ccs) nel processo di decarbonizzazione, tecnologie che come noto presentano notevoli limiti e richiedono ancora un'attenta valutazione dei potenziali effetti ambientali ed economici;

   come correttamente rilevato dal Servizio Studi, non si evincono dettagli in merito all'iter del procedimento di revisione del più rilevante strumento di pianificazione della politica energetica in chiave di contrasto ai cambiamenti climatici, il PNIEC, anche avendo riguardo all'attuale interlocuzione con la Commissione UE, la quale, a dicembre 2023, ha adottato una raccomandazione sulla proposta italiana di aggiornamento volta ad indicare al Governo una serie di modifiche ed integrazioni al Documento già presentato;

   le politiche poste in essere rivelano la completa assenza di «azioni più incisive» e di sforzi necessari «per ottenere riduzioni delle emissioni significativamente maggiori rispetto a quelle previste dagli attuali impegni» per il raggiungimento dell'Accordo di Parigi, in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Manca del tutto una strategiaPag. 440 nazionale per l'indipendenza energetica orientata verso un ulteriore potenziamento della produzione di energia da fonti rinnovabili, mediante un quadro regolatorio certo e appropriato di misure di semplificazione procedurale, anche al fine di creare un sistema interconnesso e sempre più slegato dagli approvvigionamenti di fonti fossili, all'interno di uno scenario che, nel prossimo futuro, vede il ridursi della domanda di gas ma anche di GNL, come previsto dal rapporto «European Lng Market Monitoring» (Mmr) dell'Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia (ACER);

   l'obiettivo dell'elettrificazione dei consumi non solo andrebbe inserito in una strategia energetica che punti prevalentemente alla citata produzione di energia da fonti rinnovabili, ma dovrebbe essere legata a doppio filo con l'elettrificazione del parco veicolare pubblico e privato, mentre è del tutto evidente come le politiche del Governo – anche in ambito europeo – risultino del tutto prive di coraggio e di coerenza nel condurre il nostro Paese verso la diffusione dei veicoli elettrici e la decarbonizzazione dei trasporti;

   a quest'ultimo riguardo, giova evidenziare come, in base alle analisi effettuate da Tranport & Environment, l'Italia risulti essere il fanalino di coda nel mondo per investimenti nella transizione verso la mobilità elettrica, compromettendone in modo significativo la futura competitività, con gravi ripercussioni sul tessuto industriale, produttivo e sociale; il quadro negativo è confermato dallo stesso Documento di Economia e Finanza, nella cui sezione di approfondimento sulle misure adottate in relazione alle raccomandazioni specifiche, per quanto riguarda la Country-specific Reccomandation CSR 3.6 – «Promuovere la mobilità sostenibile, anche eliminando le sovvenzioni dannose per l'ambiente e accelerando l'installazione delle stazioni di ricarica» – si registra la totale assenza di misure da parte dell'Italia;

   appare, poi, difficile immaginare come possa essere conseguito l'obiettivo dichiarato dell'efficientamento energetico degli edifici in un Paese che sta smantellando le politiche di incentivazione degli interventi per la riqualificazione energetica degli immobili e ha deciso di opporsi – unico in Europa insieme all'Ungheria – all'approvazione della direttiva sulle «Case Green». È innegabile che il nostro Paese sarà chiamato ad affrontare una sfida piuttosto complessa – quale risulta essere la riqualificazione del nostro vetusto patrimonio immobiliare – che richiederà misure ed un piano d'azione ad hoc, data la concreta impossibilità di raggiungere gli obiettivi richiesti unicamente con finanziamenti pubblici né tanto meno con interventi a solo carico dei proprietari di immobili. Tuttavia non vanno sottovalutate le conseguenti opportunità di medio-lungo periodo in termini non solo di riduzione della dipendenza energetica e di riduzione della bolletta energetica delle famiglie, ma altresì in termini di business per le imprese nazionali, di sviluppo e potenziamento della filiera delle costruzioni e delle relative competenze nonché di maggiore competitività del comparto;

   si aggiunga come la stessa Relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra allegata al DEF predisposta dal Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica evidenzi la mancanza di «riduzioni significative delle emissioni a partire dal 2013» e «sebbene le nuove politiche ipotizzate nella bozza di aggiornamento del Pniec vadano a incidere anche su di essi, l'efficacia delle stesse non appare ancora sufficiente al raggiungimento degli obiettivi (...)». A tal fine si prevede la necessità di «adottare ulteriori politiche e misure aggiuntive per raggiungere gli obiettivi europei che si applicano all'Italia»;

   per quanto attiene ai clienti finali non vulnerabili nei rispettivi mercati dell'energia elettrica e del gas naturale, si sottolinea come la dichiarata previsione per la quale «il passaggio dal mercato tutelato a quello non tutelato possa stimolare una competizione al ribasso tra i fornitori al fine di attrarre i potenziali nuovi clienti uscenti dal mercato tutelato» non trovi corrispondenza con quanto sta accadendo nei predetti mercati caratterizzati, secondo dati Pag. 441diffusi da Arera, da un maggior costo delle offerte presenti nel mercato libero rispetto alle condizioni del mercato tutelato e dall'incapacità dei consumatori di orientarsi tra le svariate offerte e di difendersi dall'assalto degli operatori. Con riferimento specifico, poi, ai clienti vulnerabili, emerge la necessità di dover affrontare in modo puntuale e attento anche il dilagante fenomeno della povertà energetica attraverso interventi razionali mirati alla riduzione strutturale della spesa per le forniture, anche attraverso l'emanazione del decreto ministeriale per la predisposizione della Strategia nazionale contro la povertà energetica del quale non si rinviene alcuna traccia nella già citata Relazione del MASE allegata al DEF;

   rileva evidenziare inoltre il riferimento sugli andamenti di ambiti molto differenziati a livello settoriale da cui si riscontra, inter alia, una crescita marcata dell'«industria estrattiva e la fornitura di energia elettrica e gas, a cui si affiancano da metà del 2022 i servizi finanziari e assicurativi, che hanno beneficiato dell'aumento dei tassi d'interesse». Una scelta ponderata e consapevole del Governo avrebbe quantomeno suggerito di perseguire e incrementare una politica fiscale volta a contenere gli effetti distorsivi conseguenti a eventi straordinari di carattere economico o emergenziale, tali da alterare significativamente l'equilibrio economico tra domanda e offerta ai danni del consumatore e a vantaggio degli operatori economici, soprattutto in termini di maggiore profitto, anche attraverso la previsione di forme di prelievo, a carattere solidaristico, sul margine di profitto inatteso e non connesso al rischio di impresa, destinando il maggior gettito conseguito a misure per il contenimento degli effetti negativi dell'aumento dei prezzi dei servizi offerti e a vantaggio del consumatore;

   con riferimento, infine, agli investimenti pubblici e le politiche dell'innovazione per favorire la crescita economica, la digitalizzazione, l'industrializzazione equa, responsabile e sostenibile, risulta fondamentale riattivare il Piano Transizione 4.0 rendendolo maggiormente fruibile dalle micro, piccole e medie imprese, rafforzando gli incentivi fiscali, con particolare riferimento a quelli per gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione, formazione del personale, sostenendo i processi di innovazione e trasferimento tecnologico e sviluppando politiche industriali per i settori di punta nonché dare piena ed efficace attuazione alla nuova misura Transizione 5.0, cruciale per l'ammodernamento, anche in chiave green, del tessuto produttivo, auspicando il pieno automatismo degli incentivi da questa previsti;

   le considerazioni fin qui operate sono tanto più attuali avuto riguardo all'autonomia differenziata che renderebbe meno sostenibile il debito pubblico italiano riducendo le già ridotte opportunità di crescita con l'eventuale rischio che i mercati finanziari perdano fiducia nella capacità dello Stato italiano di ripagare il predetto debito, tenuto conto della minore capacità fiscale del Governo e l'indebolimento dell'economie di scala in rilevanti settori dell'economia;

   tutto ciò premesso,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

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ALLEGATO 4

Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale. C. 1691 Governo, approvato dal Senato.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La X Commissione,

   esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge recante Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale (C. 1691 Governo, approvato dal Senato);

   considerato che il suo contenuto si collega, accompagnandola, alla riforma degli istituti tecnici e professionali prevista dal PNRR (Missione 4, Componente 1 – Riforma 1.1), che mira ad allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo del Paese e, in particolare, ad orientare l'istruzione tecnica e professionale verso l'innovazione introdotta da Industria 4.0, incardinandola nel contesto dell'innovazione digitale,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

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ALLEGATO 5

Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale. C. 1691 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA PRESENTATA DAI DEPUTATI PAVANELLI, APPENDINO, CAPPELLETTI, FERRARA

  La X Commissione,

   esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge AC 1691 «Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale»;

  premesso che:

   il disegno di legge de quo, composto di 4 articoli, è volto a istituire la filiera formativa tecnologico-professionale, con una previsione che si collega, accompagnandola, alla riforma degli istituti tecnici e professionali prevista dal PNRR (Missione 4, Componente 1 – Riforma 1.1), a cura del Ministero dell'istruzione e del merito, per potenziare l'offerta dei servizi di istruzione, in una logica complessiva di riordino dei percorsi formativi tecnici e professionali rispetto alle nuove necessità socio-economiche, incentrato sulla connessione fra istruzione, formazione e lavoro e sulla valorizzazione delle esigenze dei territori;

   la suddetta Riforma 1.1 del PNRR si propone di allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze provenienti dal tessuto produttivo del Paese e, in particolare, ad orientare l'istruzione tecnica e professionale verso l'innovazione introdotta da Industria 4.0, incardinandola nel contesto dell'innovazione digitale;

   la ratio alla base del provvedimento in esame è, dunque, quella di creare l'interconnessione tra l'offerta formativa e il sistema delle imprese, mediante la ridefinizione e l'ampliamento dei contenuti, in modo tale che essi contribuiscano costantemente a costruire le competenze in rapporto alle esigenze economico sociali e, soprattutto, alle caratteristiche dei territori;

   per quanto attiene alle disposizioni di interesse della Commissione X,

  considerato che:

   il disegno di legge de quo sconta una serie di criticità, prima fra tutte la completa assenza di una regolamentazione che garantisca la peculiarità del processo educativo-didattico statale, laddove il processo nel suo insieme è demandato a forme di partenariato le cui espressioni saranno, immancabilmente, fedeli alle esigenze contingenti del tessuto imprenditoriale che stanzia le risorse, a prescindere dalla reale capacità di dare riposte adeguate, da parte della filiera tecnologico-professionale, alle varie e diversificate possibilità di utilizzo del know-how che la stessa filiera dovrebbe produrre per rispondere alle necessità, anche nazionali, in tutte le sue varie e diversificate possibilità;

   il provvedimento, infatti, va nella direzione di equiparare i centri di formazione professionale regionali e provinciali e gli istituti statali tecnici e professionali, integrandoli all'interno della stessa «filiera» nonché di creare dei legami stretti e stabili con le aziende del territorio e con gli Istituti Tecnici Superiori, senza tuttavia agire all'interno del settore produttivo nazionale ma anzi contribuendo ad accrescere le disuguaglianze e ad acuire le già enormi disparità che ci sono tra contesti territoriali diversi;

   una scelta ponderata e consapevole da parte del legislatore nel quadro della formazione tecnico-professionale avrebbe suggerito quantomeno il mantenimento dell'eguaglianzaPag. 444 formativa – al di fuori di qualsiasi meccanismo competitivo, di mercato e di «esternalizzazione» dei processi educativo didattici proiettati verso la netta prevalenza di indirizzi costruiti sul mondo dell'imprenditoria – di estrema importanza per il nostro Paese e per quei territori, soprattutto del mezzogiorno d'Italia, dove l'amplio dislivello economico e sociale si riverbera a tutt'oggi sui livelli di formazione;

   a quest'ultimo riguardo, giova evidenziare come le norme del provvedimento, sembrino deviare la direzione della scuola verso enti, privati e aziende e come la frammentazione della formazione e l'assenza di una attività e di un'offerta formativa comune, con standard uguali su tutto il territorio nazionale, vada a creare profonde differenze tra i percorsi professionali realizzati nelle aree poco industrializzate del sud Italia e quelli realizzati nei grandi distretti industriali del nord. Una differenziazione su base territoriale che crea diverse «opportunità» in base al contesto geografico e produttivo in cui si svolge l'offerta formativa;

   quanto sopra sembra desumersi dallo stesso ricorso, nel titolo del provvedimento, al concetto di «filiera», termine questo che, se apparentemente sembra alludere ad un matching tra il contenuto dell'offerta formativa e le esigenze delle imprese, ad una analisi più attenta delle disposizioni contenute nel provvedimento si rivela piuttosto orientato ad indicare una «produzione», svolta in successione attraverso diversi stadi del medesimo ciclo produttivo, per la «trasformazione» di un materiale grezzo in un prodotto formativo finito adatto al territorio locale;

   è del tutto evidente, infatti, così come evidenziato dai sindacati di categoria e dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, come il disegno di legge de quo propugna una visione ideologica nella quale tra la formazione tecnica professionale e le necessità aziendali vi sia piena sovrapposizione, introducendo una serie di nuovi strumenti che de facto pongono il sistema scolastico in una condizione di totale subalternità al mondo delle esigenze imprenditoriali e del mercato, teso alla creazione di lavoratori in serie utili solo per soddisfare la necessità momentanee e contingenti delle imprese medesime senza legare il percorso formativo ai continui cambiamenti che investono queste ultime in un contesto di sviluppo economico-sociale come quello odierno;

   nonostante il dichiarato intento, in astratto condivisibile, di raccordare meglio l'istruzione e i percorsi professionali con il mondo del lavoro per rispondere alle inderogabili richieste di qualificazione specialistica provenienti dal settore imprenditoriale, la metodologia scelta dal disegno di legge per attuare questa sinergia tra formazione e imprese risulta affrettata, pericolosa e lacunosa oltre ad abbassare la qualità dell'istruzione tecnica e professionale, disperdere le competenze e rischiare di fornire al tessuto produttivo e imprenditoriale manodopera a basso costo e poco qualificata per via di un percorso formativo poco lungimirante e limitato ad accompagnare precocemente gli studenti verso il mondo del lavoro, ben prima che acquisiscano abilità e competenze specifiche;

   sarebbe stato auspicabile mantenere gli attuali percorsi quinquennali proprio al fine di non assottigliare l'offerta formativa rivolta a un settore, quello produttivo, costantemente sottoposto alla trasformazione tecnologica e all'assidua modifica delle competenze necessarie alla tenuta, alla resilienza e allo sviluppo industriale ed economico. Nel contesto odierno, le competenze acquisite divengono rapidamente obsolete e, a tal fine, risulta cruciale implementare percorsi formativi atti a preparare gli studenti alla complessità e alla costante trasformazione che investe il settore produttivo;

   tali considerazioni sono tanto più attuali avuto riguardo alla necessità da parte delle imprese di manodopera con competenze sempre più evolute e capaci di porsi al passo e adattarsi ad una politica di sviluppo economico e sociale sempre più complessa, globalizzata ed in continuo divenire. Ne sono esempio la transizione digitalePag. 445 ed ecologica che richiedono l'acquisizione di un'ampia gamma di competenze inerenti alla sostenibilità energetica, ambientale e digitale atte a promuovere la resilienza economica e sociale dei modelli organizzativi delle imprese nazionali;

  atteso pertanto che:

   il provvedimento in esame non offre alcuna soluzione all'attuale mancanza di sinergia tra il mondo delle imprese e il sistema formativo scolastico, anzi pone ulteriori limitazioni che ne accentuano gli effetti negativi, e non prefigura alcuna strategia di lungo periodo in grado di allineare, su scala nazionale, i curricula degli istituti tecnici e professionali alle esigenze del mondo produttivo;

   tutto ciò premesso,

  esprime

PARERE CONTRARIO

Pavanelli, Appendino, Cappelletti, Ferrara.

Pag. 446

ALLEGATO 6

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La X Commissione,

   esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge recante Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (C. 1665 Governo, approvato dal Senato),

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 447

ALLEGATO 7

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVA PRESENTATA DAI DEPUTATI PAVANELLI, APPENDINO, CAPPELLETTI, FERRARA

  La Commissione X,

   esaminato, per quanto di competenza, l'Atto Camera n. 1665, recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione»,

  premesso che:

   il testo in valutazione presenta criticità rilevanti emerse anche durante le numerose audizioni nella Commissione referente nel corso delle quali sindacati dei lavoratori e svariate associazioni del settore produttivo hanno evidenziato la totale mancanza di valore strategico, i forti limiti e l'inadeguatezza di tutto l'impianto normativo, sia nel suo complesso che in ordine a profili specifici;

   il progetto attuativo di un'autonomia differenziata appare anacronistico, anche considerati i contesti di crisi nazionale ed internazionale più recenti che hanno evidenziato l'importanza del potere centrale e di una cornice normativa unitaria, in termini di coordinamento ed operatività;

   se si considerano le diverse materie oggetto di devolution, dall'energia ai trasporti, dalla politica industriale alla ricerca, appare assai difficile rendere tali devoluzioni compatibili con il piano di ammodernamento del Paese richiesto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza come pure con l'esigenza di un Piano energetico nazionale volto a migliorare il mix energetico e a ridurre la dipendenza nazionale da pochi paesi esportatori e contestualmente contribuire agli obiettivi europei in materia di decarbonizzazione e ambiente;

   l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione non può che essere subordinata alla definizione di una cornice legislativa statale che determini, oltre ai livelli essenziali delle prestazioni – per i quali deve essere assicurato lo stanziamento di risorse necessario a garantirne l'attuazione in concreto – anche le leggi concernenti i principi fondamentali per tutte le materie di legislazione esclusiva statale e di legislazione concorrente cui, in ogni caso, nessuna istituzione territoriale può derogare;

   un eccessivo approfondimento degli ambiti di autonomia, in assenza di adeguati interventi di riequilibrio, anche di tipo perequativo, e di presidi unificanti, potrebbe infatti condurre ad uno svuotamento delle previsioni contenute negli articoli 9 e 32 della Costituzione;

   secondo il consolidato indirizzo interpretativo elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, l'esigenza di una valutazione unitaria del sistema «ambiente», inteso come valore primario e assoluto, così come della biodiversità e degli ecosistemi, assurti al piano dei princìpi fondamentali per effetto della recente modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione, richiede livelli di protezione, non solo adeguati, ma anche uniformi, tali da salvaguardare l'organicità della tutela complessiva, fungendo così da limite invalicabile per la legislazione regionale, alla quale residua solo la facoltà di derogare in melius mediante norme di tutela più elevate (inter alia, sentenze n. 104 del 2008, n. 12 del 2009, n. 232 del 2009, n. 67 del 2011, n. 133 del 2012);

   il citato articolo 41 della Carta Costituzionale, prevede, inoltre, che l'iniziativa Pag. 448economica non possa svolgersi in modo da recare danno alla salute e all'ambiente e che la legge determini i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini ambientali;

   tali garanzie di unitarietà ed equivalenza dei livelli di tutela, che si traducono in una regolamentazione uniforme, appropriata e coerente rispetto allo scopo, rappresentano una precondizione per qualunque devoluzione del sistema delle autonomie, certamente non derogabile né dalla legge, che deriverà dal provvedimento in esame, e tanto meno dalle successive leggi rinforzate di approvazione delle intese tra il Governo e le Regioni richiedenti una maggiore autonomia;

   le sopracitate intese andrebbero finalizzate al pieno superamento dei divari territoriali delle prestazioni, che devono essere effettivamente godute e garantite su tutto il territorio nazionale, quale condizione preliminare per l'attribuzione di nuove funzioni e limite inderogabile per le relative negoziazioni;

   non è altresì chiaro se e come lo Stato, eventualmente su iniziativa del Governo o delle Camere, possa modificare unilateralmente gli elementi delle intese per far fronte in modo adeguato all'esigenza di rispondere in maniera tempestiva a necessità urgenti, sia di carattere nazionale che sovranazionale;

   rileva menzionare, inoltre, con particolare riferimento al piano delle risorse, il rischio, soprattutto negli anni successivi alla stipula delle summenzionate intese, che il meccanismo di finanziamento basato su quote di compartecipazione dei tributi riscossi sul territorio possa determinare un extra-finanziamento per le regioni «forti» creando spazi per politiche aggiuntive a favore delle imprese locali, tese ad aumentarne la competitività rispetto a quelle che operano in territori a minore capacità fiscale. Basti pensare alle politiche sul trasporto merci, l'export con l'estero, la dotazione infrastrutturale, così sperequata nel nostro Paese, e il rifornimento energetico che vedrebbe penalizzate le aree interne delle regioni più svantaggiate nonché le regioni senza sbocco sul mare, con un potere negoziale minore, nelle dinamiche competitive e nelle sfide di natura commerciale e di accesso ai servizi energetici sostenibili, in particolare sotto il profilo dell'approvvigionamento e dei conseguenti limiti derivanti dalle opzioni di trasporto energetico, acutizzando la marginalità di questi territori;

   anche in tema di ricerca industriale e tecnologica – settore sovente finanziato da strutture e fondi comunitari – ci si chiede come l'Europa possa leggerne la trasformazione in materia di competenza regionale e come le singole regioni possano svolgere attività di ricerca industriale, l'innovazione e il trasferimento tecnologico per ogni settore/filiera produttiva;

   in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, appare lecito domandarsi se, alla luce delle disposizioni del provvedimento in esame, quella largamente prodotta dalle regioni del sud del Paese – che inter alia le rende autonome nel loro fabbisogno – implichi il pagamento di royalties o di dazi di importazione da parte delle regioni del nord alle quali la predetta energia viene ceduta. Da considerare poi anche la questione tassazione delle imprese laddove le diverse Regioni potrebbero avere regolamenti e leggi differenti che costringerebbero le aziende a dover adattarsi alle diverse normative, con conseguenti costi aggiuntivi per la conformità e la gestione delle operazioni in più sedi collocate in ambiti geografici diversi nonché nei tempi di consegna, costi di trasporto e logistica della propria catena di approvvigionamento;

   le diverse normative regionali, inoltre, potrebbero confondere i consumatori e generare incertezza su una serie di questioni quali, ad esempio, i diversi requisiti per la certificazione di prodotti sostenibili, per la qualità dei prodotti o dei servizi e/o standard diversi e una concorrenza disomogenea atte a influenzare la disponibilità di prodotti o servizi sostenibili. Con riguardo poi al comparto turistico, rileva segnalare Pag. 449come la carenza di collegamenti infrastrutturali di alcune regioni – per favorire in modo diretto l'incremento della produzione, di beni e servizi, compreso evidentemente il turismo, potrebbe disintentivarne la crescita a detrimento dello sviluppo economico locale nonché far risentire quei territori di una condizione di parcellizzazione e precarietà del lavoro e del nanismo dell'industria turistica;

  considerato che:

   una scelta ponderata e consapevole del legislatore avrebbe quantomeno suggerito, nell'ambito della gradualità del processo, di escludere dal possibile riconoscimento di ulteriori e particolari forme di autonomia alle regioni le materie di legislazione esclusiva statale, tra cui le norme generali sull'istruzione e la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, e alcune delle materie di legislazione concorrente, per le quali, un'ulteriore devoluzione comporterebbe un rischio di disarticolazione di diritti fondamentali delle persone e dello sviluppo economico unitario del Paese, si pensi alla materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», al «governo del territorio» «alle grandi reti di trasporto e navigazione», alla «valorizzazione dei beni culturali e ambientali»;

   a quest'ultimo riguardo, giova evidenziare come le norme del provvedimento de quo non offrano strumenti adeguati per valutare gli esiti attesi sia per la regione richiedente che per le altre regioni, al fine di scongiurare disparità di trattamento tra territori in termini di risorse e strutture o maggiori oneri per i cittadini e le imprese e di garantire maggiore efficienza ed efficacia dei servizi su tutto il territorio nazionale, anche prevedendo che al monitoraggio delle risorse e del livello dei servizi sia ricollegata l'attivazione dei necessari poteri sostitutivi dello Stato al verificarsi di inadempienze regionali lesive dei principi, a garanzia dei diritti e dell'eguaglianza dei cittadini, in aggiunta al già previsto potere sostitutivo del Governo ai sensi dell'articolo 120, secondo comma, della Costituzione;

   si aggiunga che manca totalmente un'analisi dei risultati del trasferimento di poteri alle regioni già avvenuto su materie ambientali di grande importanza quali il trasporto pubblico, le infrastrutture, la diffusione delle energie rinnovabili;

   l'integrazione delle fonti rinnovabili nel sistema energetico nazionale è impossibile senza unità e coordinamento nella pianificazione e nello sviluppo delle infrastrutture necessarie per la loro produzione e per la loro distribuzione nonché per una uniformità del processo autorizzativo su tutto il territorio nazionale. Anche la notevole differenza di disponibilità finanziarie tra regioni, che si accentuerebbe con l'Autonomia differenziata a causa della compartecipazione dei gettiti fiscali molto diversi tra regione e regione, creerebbe ulteriori ostacoli al loro coerente sviluppo, renderebbe la diffusione delle stesse ancora più complicata e difficile da realizzare e presupporrebbe scelte territoriali differenti circa le politiche in materia di energia, di reti di trasporto, di governo del territorio, di tutela dell'ambiente, di contrasto all'impatto dei cambiamenti climatici e di riduzione delle emissioni climalteranti, anche declinate attraverso una miriade di regolamentazioni autorizzative degli impianti produttivi e delle infrastrutture necessarie ad affrontare la sfida della transizione ecologica, energetica e produttiva, in un contesto in cui molte di queste materie sono delegate alla competenza sovranazionale dell'Unione Europea;

   sotto il profilo dei controlli ambientali, l'esigenza di assicurare omogeneità ed efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico della qualità dell'ambiente, a supporto delle politiche di sostenibilità ambientale e di prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica, ha reso necessario l'istituzione del Sistema nazionale delle agenzie ambientali al quale è stata altresì demandata la funzione di attuare i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali (LEPTA), che rappresentano i livelli qualitativi e quantitativi di attività che devono essere garantite in modo omogeneo a livello nazionale;

Pag. 450

   una attuazione efficace dell'autonomia richiederebbe anche, tra i principi di unità preminenti ed invalicabili, quello di partecipazione dei cittadini alle politiche pubbliche onde evitare che i negoziati non tengano conto dei corpi sociali, dei cittadini, delle associazioni e delle imprese. La promozione di pratiche sostenibili e di solidarietà interterritoriale dovrebbe parimenti figurare tra gli elementi fondamentali ispiratori della norma in esame. Andrebbe, pertanto, assicurata, in ogni fase, tanto a livello regionale che nazionale, la partecipazione civica attraverso il dibattito pubblico, secondo i principi di governo aperto e trasparenza;

   la promozione di pratiche ambientalmente sostenibili e di solidarietà interterritoriale dovrebbe parimenti figurare tra gli elementi fondamentali ispiratori della norma in esame;

   stando al testo del disegno di legge, la Repubblica si potrebbe ritrovare un corpus normativo frammentato tra regioni ordinarie ad autonomia differenziata, regioni ordinarie ad autonomia non differenziata e regioni a statuto speciale per tutte o ciascuna di tali materie. Ne risulterebbe un mosaico incomprensibile ed ingestibile che nulla ha a che vedere con l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione, tale da generare asimmetrie, inefficienze e difficoltà regolatorie per i cittadini e le imprese in termini di coordinamento normativo e amministrativo;

   ne risultano lesi il principio di coesione sociale di cui all'articolo 119, Cost., seppur formalmente richiamato nel testo, e dei sopracitati articoli 9, 32, 33 e 41 Cost.. Sotto il profilo della sostenibilità, anche finanziaria, del progetto sotteso al disegno di legge, esso potrebbe avere gravi ricadute riducendo le opportunità di crescita del Paese, se lo Stato centrale dovesse perdere parte rilevantissima della propria capacità di intervento, impositiva, redistributiva e di spesa, a vantaggio di una miriade di regioni «sovrane», ciascuna con leggi, funzioni e risorse differenti, pregiudicando, in ultima analisi, la funzione perequativa statale finalizzata alla rimozione degli squilibri economici e sociali imposta dal citato articolo 119 della Costituzione;

   l'autonomia differenziata, così come delineata dal testo in esame, espone l'intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche, tracciando in sostanza uno scenario di crescente «specialità» delle regioni a statuto ordinario con una conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento del sistema delle imprese;

   è evidente come alcune materie abbiano diretto impatto sul mondo delle imprese, con conseguenze rilevanti in termini di diversificazione delle politiche di intervento e sul sistema di regolazione dei mercati, con conseguente incremento della complessità istituzionale e burocratica. Un contesto di autonomia legislativa regionale assoluta ci proietterebbe infatti in uno scenario più critico di quello attuale per le difficoltà che uno spezzettamento dello Stato comporterebbe nel contrasto alla crisi climatica, ambientale ed energetica;

   giustizia energetica e giustizia ambientale devono procedere parallelamente per poter garantire un benessere equo, diffuso, duraturo e condiviso a livello nazionale. Soltanto un cambiamento radicale del tessuto produttivo, con particolare riguardo alla eliminazione dei combustibili fossili dalla produzione di energia e dai processi produttivi, pianificato e progettato a livello nazionale, in sintonia con l'Unione Europea e nel rispetto degli accordi internazionali siglati, può mitigare gli effetti della crisi e consentire la giusta resilienza del nostro sistema produttivo;

   tutto ciò premesso,

  esprime

PARERE CONTRARIO.