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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 131 di lunedì 3 luglio 2023

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 15.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

RICCARDO ZUCCONI , Segretario, legge il processo verbale della seduta del 27 giugno 2023.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 70, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della proposta di legge: S. 551 - D'iniziativa dei senatori: Segre ed altri: Celebrazioni per il centesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti (Approvata dal Senato) (A.C. 1178​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1178: Celebrazioni per il centesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea n. 8 (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1178​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Rita Dalla Chiesa.

RITA DALLA CHIESA , Relatrice. Grazie, Presidente. Grazie, onorevoli colleghi. Giunge oggi in Aula la proposta di legge, già approvata dal Senato, volta a celebrare la figura di Giacomo Matteotti, nella ricorrenza dei 100 anni dalla sua morte, che cadrà il 10 giugno 2024.

Il testo ha avuto un iter molto rapido grazie a due fattori che mi preme evidenziare: da un lato, il lungo lavoro parlamentare compiuto nella scorsa legislatura, rispetto al quale la proposta si colloca in linea di perfetta continuità; dall'altro lato, la convergenza creatasi fra tutte le forze politiche, a testimonianza dell'indiscusso valore della figura di Giacomo Matteotti, quale esponente dell'antifascismo, pilastro su cui i padri costituenti hanno edificato la Carta del 1948. Voglio ricordare, in proposito, che il testo riproduce quello approvato all'unanimità, a maggio 2022, dal Senato, che però non concluse il suo passaggio alla Camera per via della fine anticipata della legislatura. Nell'attuale legislatura, il testo è stato riproposto, sempre al Senato, a prima firma di Liliana Segre e di nuovo approvato all'unanimità.

Appena giunto in VII Commissione, con la correlatrice e con i colleghi abbiamo condiviso la necessità di procedere con la massima speditezza all'approvazione del testo, rinunciando a ogni attività istruttoria ed emendativa. Tutto ciò per dare avvio il prima possibile ai preparativi di questa ricorrenza, che, sul piano dei valori fondanti e caratterizzanti la nostra comunità, ritengo centrale per testimoniare il passato, rinsaldarci nel presente e proiettarci nel futuro, specie a beneficio delle nuove generazioni, che, a discapito del passare degli anni, non devono vedere intorpidirsi la memoria viva di quel periodo storico.

Vorrei spendere alcune considerazioni proprio in questa prospettiva e in questo luogo, dove Matteotti ha consegnato a tutti noi italiani, pagando con la vita, la più alta testimonianza del proprio valore civile.

Filippo Turati, nel suo discorso pronunciato il 27 giugno del 1924 in ricordo dell'amico assassinato, si rivolse all'Assemblea dei deputati di opposizione con una preghiera: vorrei che a questa riunione non si desse il nome logoro, consunto, di commemorazione, perché noi non commemoriamo. Un invito a non consegnare al ricordo, o meglio, soltanto al ricordo, il sacrificio di un uomo che pagò con la morte il suo implacabile atto d'accusa contro la soppressione della libertà e della legalità democratica. Infatti, nella seduta del 30 maggio 1924, in cui si discuteva la proposta, avanzata dalla Giunta delle elezioni, di convalidare in blocco gli eletti della maggioranza, Matteotti ebbe il coraggio di denunciare le illegalità commesse dai fascisti e dagli organi di Governo durante la campagna elettorale. Con il suo impegno, dimostrò come la condizione dei più deboli potesse rappresentare un motivo di sofferenza anche per un giovane che viveva nell'agiatezza. In una pubblicazione dei profili biografici dei deputati della XXVI legislatura del Regno d'Italia, leggiamo che Matteotti, quando narrò alla Camera gli atti ignobili, criminali, che furono compiuti da vere bande di briganti nel Polesine, senza alcun ritegno, nemmeno di fronte alle donne e ai bambini, non riuscì a frenare il pianto.

Matteotti nel 1919 fu eletto deputato alla Camera e - questo lo apprendiamo da numerose testimonianze - era giunto pressoché ignoto alla grande maggioranza degli italiani. In brevissimo tempo, riuscì a distinguersi per levatura morale, cultura e competenza. Aveva una visione molto alta della politica e della missione parlamentare. I suoi interventi in Aula e nelle Commissioni parlamentari non conoscono la retorica. Ci mostrano, piuttosto, lo scrupolo con cui Matteotti raccoglieva cifre, dati, statistiche, prove inconfutabili. Passava ore nella biblioteca della Camera a sfogliare libri, a preparare relazioni e a diramare circolari. Matteotti capì, prima di ogni altro, che non si trattava solo di ripristinare la legalità e di restaurare l'ordine democratico, sensibilità che, come ricorda Leonardo Sciascia, gli veniva anche dal suo ruolo di libero docente di diritto penale. Era necessario evitare che il fascismo si impadronisse dello Stato e lui lanciò l'allarme del pericolo fascista come fenomeno anche europeo, e non soltanto italiano. Proprio per il coraggio di essersi opposto senza condizioni e con chiarezza a tutto questo, Giacomo Matteotti divenne il primo e ultimo martire del Parlamento. Il suo esempio e la sua appassionata rivendicazione del primato della rappresentanza parlamentare restano per questo una componente essenziale della nostra Repubblica. Non a caso, in quell'ultima e accorata orazione in Aula, chiese di parlare “non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente”. Come a chiudere il ciclo, il suo nome sarebbe nuovamente risuonato nell'Aula di Montecitorio, in occasione dell'inaugurazione dei lavori dell'Assemblea costituente, il 26 giugno 1946, nelle parole di insediamento del suo primo Presidente, Giuseppe Saragat, che renderà omaggio al suo sacrificio per la difesa dei diritti delle libere assemblee.

La figura di Matteotti si è trasfigurata nel martire della Patria, a cui sono state intitolate piazze e strade. È nostro dovere, come rappresentanti delle istituzioni e come cittadini, fare in modo che quell'esempio resti attualissimo, che il nome di Matteotti non si legga solo in una via o in una piazza, che il suo stile antiretorico sia un esempio per i giovani e anche per le nuove generazioni di politici che guideranno, in futuro, il nostro Paese, che sia un esempio, in particolare, anche per coloro che, in questa e nelle prossime legislature, avranno l'onore e l'onere di essere deputati e senatori, ciò affinché siano consapevoli, sull'esempio di Matteotti, dell'alto ufficio che sono chiamati a ricoprire, del ruolo fondamentale del mandato parlamentare nell'attivazione dei principi di sovranità popolare e democrazia, del fatto che la centralità del Parlamento, che noi molto spesso evochiamo, derivi prima di tutto dallo spessore civile, morale e culturale, dalla serietà e dall'impegno di chi il Parlamento lo compone. Matteotti è stato per tutti gli antifascisti italiani il simbolo della libertà, della passione civile, della lotta contro la violenza e contro la demagogia. Preciso, tagliente, coraggioso fino al punto di affermare: “Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai”. Anche in questo era stato profetico: l'idea resiste e sopravvive.

Noi abbiamo il dovere di non disperdere quell'eredità di valori unificanti, per i quali fu disposto all'estremo sacrificio, e il modo migliore per rendere omaggio a Matteotti è applicare quotidianamente, dando gambe, braccia e vita alle sue idee e ai suoi principi, che sono poi quelli scolpiti nel cuore della nostra Carta costituzionale, che è patrimonio di tutti.

Passando all'esame del testo, l'articolo 1, dedicato alle finalità, stabilisce che la Repubblica, nell'ambito delle finalità di salvaguardia e promozione del proprio patrimonio culturale, storico e letterario, celebra la figura di Giacomo Matteotti nella ricorrenza dei 100 anni dalla sua morte, promuovendo e valorizzando la conoscenza e lo studio della sua opera e del suo pensiero, in ambito nazionale e internazionale.

L'articolo 2 disciplina le iniziative celebrative. In particolare, si prevede che lo Stato riconosce meritevoli di sostegno e finanziamento, eventualmente anche attraverso apposite campagne di comunicazione istituzionale, i progetti di promozione, ricerca, tutela e diffusione della conoscenza della vita, dell'opera, del pensiero e dei luoghi più strettamente legati alla figura di Giacomo Matteotti, da realizzare in occasione del centesimo anniversario della sua morte, anche in collaborazione con enti locali, soggetti pubblici, associazioni, fondazioni e istituzioni culturali, attraverso le seguenti iniziative, oltre al premio intitolato a Giacomo Matteotti, di cui all'articolo 2, comma 3, della legge 5 ottobre 2004, n. 255 recante “Disposizioni per la commemorazione di Giacomo Matteotti e per la tutela della sua casa natale a Fratta Polesine”: a) il sostegno ad attività celebrative, convegni nazionali e internazionali, iniziative didattico-formative e culturali, con particolare riguardo allo sviluppo delle iniziative già in corso, mostre, conferenze, seminari, proiezioni cinematografiche e spettacoli teatrali dedicati a lui e intitolazioni di strade o piazze, volti a promuovere, in Italia e all'estero, la conoscenza della vita, del pensiero e dell'opera di Giacomo Matteotti;

b) la promozione, anche mediante assegnazione di apposite borse di studio rivolte a studenti universitari e delle scuole secondarie di secondo grado, della ricerca storica e dello studio, aventi ad oggetto la vita, il pensiero e l'opera di Giacomo Matteotti, con particolare riferimento alle sue attività in ambito sindacale, come amministratore locale, come studioso e come parlamentare, nonché al periodo storico compreso tra la Prima guerra mondiale e la sua morte;

c) la raccolta, la conservazione, il restauro, la manutenzione e la digitalizzazione dei documenti relativi all'attività di Giacomo Matteotti, nonché la pubblicazione di materiali inediti;

d) la promozione di iniziative didattiche e formative, anche in sinergia con biblioteche, musei e istituzioni culturali, attraverso il coinvolgimento diretto degli istituti scolastici dell'intero territorio nazionale, in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione e del merito;

e) la realizzazione di eventi e di ogni altra iniziativa, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri, per il conseguimento delle finalità della presente legge, da svolgere prioritariamente nei comuni di Fratta Polesine, Villamarzana, Boara Polesine, Rovigo, Messina, Ferrara, Varazze, Chieti, Riano, Monterotondo, Rodi Garganico, Vieste, Peio e Roma.

L'articolo 3 è dedicato alla selezione delle iniziative. In base al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti il Ministro della Cultura e il Ministro dell'Istruzione e del merito, provvede, con proprio decreto, ad adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e mediante l'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente, all'istituzione di un bando di selezione di progetti per la realizzazione delle iniziative di cui all'articolo 2. Secondo il comma 2, i progetti di cui al comma 1 sono finanziati nel limite massimo di euro 350.000 per ciascuno degli anni 2023 e 2024. Il comma 3 precisa che i progetti di cui al comma 1 sono esaminati da un organismo collegiale, individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Infine, il comma 4 stabilisce che, per le attività di cui alla presente legge, ai componenti dell'organismo collegiale, di cui al comma 3, non spetta alcun compenso, rimborso di spese, gettone di presenza o altro emolumento comunque denominato. Passerei la parola all'onorevole...

PRESIDENTE. Ci penso io, deputata Dalla Chiesa.

RITA DALLA CHIESA , Relatrice. Vado avanti.

PRESIDENTE. Prosegue lei o interviene anche l'altra relatrice, la deputata Manzi?

RITA DALLA CHIESA , Relatrice. Interverrebbe anche l'altra relatrice.

PRESIDENTE. Allora ci avvisi, quando ha concluso il suo intervento.

RITA DALLA CHIESA , Relatrice. Io vorrei soltanto aggiungere che la libertà di pensiero, che ci ha insegnato Giacomo Matteotti, è l'essenza stessa della democrazia e niente e nessuno la può uccidere, nessun potere la potrà mai uccidere. Ringrazio lei, Presidente, ringrazio gli onorevoli colleghi e passerei la parola all'onorevole Manzi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Manzi.

IRENE MANZI, Relatrice. Signor Presidente, ringrazio la collega Rita Dalla Chiesa e non nascondo l'emozione di prendere la parola in quest'Aula, in cui il 30 maggio del 1924, 99 anni fa, Giacomo Matteotti prese la parola per l'ultima volta, pronunciando parole nette e precise.

Parole che voglio citare in questa occasione: “Voi dichiarate ogni giorno di voler ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, perché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano, al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni”. Sono le parole pronunciate da Giacomo Matteotti in quest'Aula, denunciando proprio le violenze fasciste commesse durante le elezioni politiche del 1924, le prime con la vigenza della legge Acerbo.

Come relatrice, voglio iniziare questo mio intervento, ringraziando innanzitutto i senatori a vita che hanno voluto sottoscrivere e ripresentare in questa legislatura la proposta di legge che era stata già approvata nell'Aula del Senato nella scorsa legislatura, i senatori a vita Segre, Napolitano, Monti, Rubbia, Piano e Cattaneo. Permettetemi di rivolgere, tra l'altro, un pensiero anche ai colleghi della legislatura passata, a cominciare proprio dal presidente della Commissione cultura del Senato, Riccardo Nencini, che aveva seguito allora questo provvedimento, e al relatore, collega Francesco Verducci.

È molto importante ricordare in questo luogo Giacomo Matteotti, è importante e fondamentale, però, che le celebrazioni escano anche da queste Aule e si diffondano in tutto il Paese per fare memoria viva della storia di Giacomo Matteotti e, soprattutto, dei valori della sua esperienza parlamentare e politica, esperienza di un parlamentare tenace, appassionato, impegnato nella lotta per i diritti dei lavoratori e per l'emancipazione di contadini e braccianti, un amministratore locale, uno studioso, un parlamentare, un leader nazionale e, allo stesso tempo, un rappresentante orgoglioso del proprio territorio, il Polesine, di quell'esperienza dei valori della democrazia, dell'antifascismo, della lotta alla corruzione, della questione morale che lui pose rispetto al fascismo in quest'Aula. Fu un testimone che vide, sin dai primi mesi della futura dittatura, la natura violenta e profondamente antidemocratica della stessa, anche di fronte al silenzio o all'accondiscendenza delle forze liberali e moderate e della stessa monarchia, tanto da pubblicare nel 1921, ben prima della marcia su Roma, Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, in cui si denunciavano, per primo, le violenze delle squadre d'azione fasciste compiute tra i primi mesi del 1919 e il giugno del 1921.

Allora, l'atto che arriva oggi in quest'Aula e che è stato già approvato, all'unanimità, dal Senato nello scorso mese di maggio ha un valore importante e significativo, come recita l'articolo 1, ricordato dalla collega Dalla Chiesa e che si ricollega agli altri provvedimenti, penso alla legge di bilancio 2022, all'atto istitutivo del Comitato nazionale per le celebrazioni, al Premio Giacomo Matteotti, già istituito nel 2004, e al riconoscimento della Casa Museo Matteotti, a Fratta Polesine, di monumento nazionale, operato proprio in quest'Aula nel 2017, una casa museo che la legge odierna finanzia, tra l'altro, attribuendogli 50.000 euro per interventi di manutenzione e restauro, oltre che per la promozione di iniziative in memoria di Matteotti.

La proposta di legge che oggi esaminiamo affida alle istituzioni, alle realtà culturali e accademiche e ai cittadini alcuni impegni specifici per la valorizzazione della memoria di Giacomo Matteotti, quegli impegni che l'articolo 2 enuncia in modo chiaro, con un'attenzione molto particolare e specifica rivolta alle generazioni più giovani, attraverso attività didattiche e formative, attraverso l'assegnazione di borse di studio. È molto importante, secondo me, ricordare l'impegno rivolto alle generazioni più giovani, proprio perché questo anniversario, il centenario, che la proposta di legge, giustamente, vuole ricordare non sia una semplice occasione di ricordo, ma sia una vera, autentica, vitale occasione di formazione della coscienza civile, proprio a cominciare dai più giovani e dalle più giovani, perché la storia, l'esperienza politica, umana e parlamentare di Giacomo Matteotti si intreccia profondamente con la storia delle nostre istituzioni e con la storia del nostro Paese, come ha ricordato, qualche mese fa, inaugurando la XIX legislatura, la senatrice a vita Liliana Segre, in apertura dell'Aula del Senato, rammentando che la lotta per la libertà non inizia nel settembre del 1943, ma vede idealmente come capofila proprio Giacomo Matteotti, perché Giacomo Matteotti resistette al fascismo nascente, ne denunciò la natura violenta e antidemocratica e non si lasciò intimidire dalle minacce o dalla violenza e pagò con la sua stessa vita quegli atti di resistenza. Il discorso del 30 maggio 1924 in quest'Aula, il rapimento del 10 giugno e la secessione dell'Aventino, attraverso la quale i deputati dell'opposizione si astennero dai lavori parlamentari, furono un atto di ferma e decisa reazione politica e civile nei confronti delle violenze perpetrate ai danni di un rappresentante delle istituzioni, perché, come ricordava il deputato Giovanni Amendola: “Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l'illegalismo, esso è soltanto una burla”.

Quella reazione di fronte alla secessione dell'Aventino, purtroppo, da parte delle istituzioni non ebbe luogo e Mussolini poté rivendicare, proprio nel gennaio del 1925, in quest'Aula, la responsabilità politica, morale e storica del delitto Matteotti. Sarebbe seguita una serie di atti, come le leggi fascistissime, la decadenza dei deputati aventiniani, l'instaurazione piena e definitiva della dittatura. Allora, la vicenda umana e politica di Matteotti è parte essenziale della storia italiana, è uno snodo nella trasformazione e nella fine dello Stato liberale e delle istituzioni rappresentative ed è una delle radici più forti su cui si fondano le istituzioni repubblicane di questo Paese.

Nel suo impegno per l'eguaglianza e la giustizia sociale e nella sua difesa della sovranità popolare, del libero esercizio del voto, delle istituzioni rappresentative, in quel riformismo praticato nelle azioni parlamentari e nell'impegno appassionato e coerente contro la violenza fascista, prima ancora che questa si facesse regime, Giacomo Matteotti è una figura della storia del nostro passato che parla con forza al nostro presente, al presente delle istituzioni democratiche e al presente della nostra opinione pubblica, per valorizzare e ricordare il valore e l'importanza insostituibile delle istituzioni rappresentative e parlamentari, liberamente elette dai cittadini e dalle cittadine, che sono luogo e spazio di discussione e confronto democratico.

La nostra democrazia, colleghi, ha un grande bisogno, profondo, di memoria, di una memoria che sia viva, vitale e quotidiana, perché la memoria rende più forte la coscienza nazionale, più consapevoli i valori democratici e più profondo il senso di appartenenza alle istituzioni, e lo rivendichiamo in quest'Aula. E, a nome della collega Rita Dalla Chiesa, voglio ringraziare anche i colleghi delle forze di maggioranza e di opposizione che hanno rinunciato a presentare emendamenti nella Commissione cultura, proprio per consentire un esame più spedito e un'approvazione più spedita di questo testo.

Allora, nel momento in cui proprio questo testo inizia il suo esame, il suo cammino in quest'Aula, l'Aula che ha visto l'ultimo discorso di Matteotti, noi siamo idealmente con il pensiero su quel lungotevere Arnaldo da Brescia dove Matteotti fu rapito, martire della violenza fascista, consapevoli proprio di quelle parole che la collega ricordava: “Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai”, di quell'eredità profonda e forte che tutti noi come parlamentari dovremmo sentire quotidianamente in quest'Aula, nel nostro lavoro di ogni giorno, un lavoro impegnato per la difesa e la valorizzazione di quella perfettibile, ma insostituibile democrazia parlamentare in cui tutti noi ci riconosciamo (Applausi).

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo, Vice Ministro Bignami, si riserva di intervenire successivamente. È iscritto a parlare il deputato Roberto Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghi, come già è capitato in altre circostanze, proprio circa un anno fa, in occasione di un'analoga circostanza di commemorazione della figura di Matteotti, pronuncio il mio discorso dal suo stesso seggio, questo seggio dal quale egli, il 30 maggio 1924, pronunciò il famoso discorso di denuncia dei brogli elettorali e delle violenze avvenute durante la consultazione elettorale. Lo faccio non per un semplice ricordo simbolico, ma anche, se fosse possibile, per sollecitare gli organi della Camera a lasciare una memoria di alcune figure particolarmente significative per la nostra democrazia tra questi seggi.

Matteotti pronunciò questo discorso da questo seggio non perché sedesse stabilmente qui - all'epoca, ci si sedeva un po' dove capitava -, ma quel giorno era esattamente qui, all'estrema sinistra, a pochi passi dal Presidente del Consiglio Mussolini, dagli organi del Governo e della Presidenza della Camera. Quella seduta, forse anche per questo, fu una seduta particolarmente movimentata, particolarmente accesa. Sono passi della storia che non sono stati dimenticati, nonostante sia passato più di un secolo. Sappiamo quanto il tempo corra velocemente, soprattutto negli ultimi anni, quanto tenda a cancellare la memoria, a ridurre lo spazio della memoria, a cancellare i fatti, a livellare le circostanze, eppure la figura di Matteotti è ancora una figura estremamente moderna, estremamente popolare. E le celebrazioni - che, poi, si svilupperanno ulteriormente nel corso dei prossimi tempi, anche grazie alla legge che stiamo discutendo, spero per approvare rapidamente - hanno svelato una particolare attenzione tra le scuole, tra gli studenti, tra i giovani e tra i giovanissimi.

Perché questo? Probabilmente, per un fatto, credo determinante del profilo singolare di Matteotti, specifico di questa figura della nostra storia politica e democratica: la sua integrità, che non vuol dire intransigenza, che non vuol dire integralismo, cioè la fermezza di alcuni principi che egli teneva ben fermi nella sua condotta politica e che, però, si accompagnavano anche alla capacità di stare sulle cose, com'è stato ricordato, di documentarsi per procedere su azioni che, gradualmente, nell'ottica del gradualismo riformista socialista - così come all'epoca si chiamava -, potessero determinare migliori condizioni di vita per i più poveri, per il proletariato. Nonostante quel tempo fosse il tempo delle grandi svolte rivoluzionarie mondiali, delle grandi rotture rivoluzionarie mondiali, che avevano dato a molti popoli la sensazione che addirittura si potesse superare il regime capitalista attraverso dei colpi di mano, egli rimase convinto dell'idea che, invece, si dovesse procedere su una strada di non violenza, di democrazia, di progressivo avanzamento, ma tenendo ben fermi alcuni principi, cioè l'idea che il riformismo non è attenuazione di principi, non è moderazione, ma è tenere insieme due poli e, cioè, fermezza dei princìpi, idealità, utopie e pratica politica concreta, cioè stare sul terreno delle conquiste reali.

Questa figura, questa, se vogliamo dire, atipicità, particolarità, è estremamente moderna, perché oggi il termine “riformista” appare un termine abusato. Chi non si ritiene riformista? Chi non si considera riformista? È un termine che, ormai, appare scolorito e, purtroppo, bisogna dire che, nella storia dei decenni passati, almeno dalla fine della Prima guerra mondiale, dal momento della diaspora socialista, della rottura del Partito Socialista Italiano, che aveva raggiunto una percentuale di voti assoluta, oltre il 30 per cento, e che, in pochi mesi, si disgregò in tre partiti, da quel momento - che, poi, aprì la strada al fascismo, fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica -, la fortuna del riformismo socialista è stata molto, molto difficile, assai poco influente, alla fine, nei destini generali della Repubblica e molto condizionata da grandi divisioni e da grandi contrapposizioni interne. Per questi motivi, la parola “riformista”, in Italia, non è mai andata molto di moda, anzi, spesso, si è considerato riformista qualcuno che si nascondeva dietro pratiche opportuniste, ministerialiste e, cioè, che preferiva utilizzare, per qualche piccola conquista, gli strumenti e le leve del potere puro.

Invece la figura di Matteotti era tutt'altro e questa sua specificità, questa sua diversità oggi è quello che manca alla politica italiana, quello di cui molta parte del popolo, di tanta gente semplice sente il bisogno, cioè una politica forte nei principi, integrale nelle sue appartenenze di fondo, nelle sue credenze di fondo, nei suoi principi di fondo, anche morali, non distinti dalla politica e non moralisti, ma di una politica morale, capace di accompagnarsi anche ad un profilo profondamente etico dei comportamenti e ad una attenzione, però, alle questioni fondamentali, cioè svisando, accantonando ed eliminando l'altro polo del problema, l'altro rischio del problema, cioè quello di scadere nella cultura delle parole, nella demagogia, nel populismo, nella capacità o nel tentativo di sventolare alcune bandiere che, però, poi, non portano a risultati concreti.

Questa è la grande modernità di Matteotti, anche a motivo della sua popolarità, del fatto che, in un mondo in cu spesso si chiede a tanti ragazzi, a tante persone quale è la capitale di un Paese, quale è la data dell'unità d'Italia e si ottengono risposte surreali, se si chiede, però, chi è Matteotti il più delle volte si sente rispondere che è stato un uomo politico, ucciso dai fascisti perché aveva denunciato storture in Parlamento.

Bisogna dire grazie a Liliana Segre per aver ripreso, in tempi molto rapidi, con grande determinazione, il disegno di legge, già approvato dal Senato, promosso dal senatore Nencini, perché a questa stagione di celebrazioni già in corso per ricordare la figura di Matteotti, che si avvale di finanziamenti e di risorse provenienti da diversi Ministeri, come sempre accade, anche dalla stessa Presidenza del Consiglio, si accompagnasse uno specifico strumento, una legge con finanziamenti ad hoc, in vista del centenario di Matteotti, destinato e specifico rispetto alle risorse già attivate, per celebrare questa ricorrenza, per iniziative nelle scuole, in molti comuni e, soprattutto, per valorizzare i cosiddetti luoghi della memoria matteottiana, da Fratta Polesine a Fiano Romano, ma non soltanto nella zona di Roma, restituendo centralità a questa figura.

Matteotti, abbiamo detto, è una figura attuale, moderna. C'è anche un punto che va ricordato. Probabilmente, l'espressione non è propriamente opportuna, non è propriamente e storicamente adeguata a descrivere il caso, ma potremmo definire Matteotti il primo partigiano d'Italia, cioè la prima figura che ha saputo porsi in posizione di intransigenza rispetto alla nascita di un regime che, già nel 1924, quel 30 maggio del 1924, quando egli pronunciò da qui quel discorso, agiva in un Parlamento già largamente fascistizzato per l'esito delle elezioni, che si erano svolte con la legge Acerbo. Ma la sua intransigenza non si determinò soltanto quel giorno, c'era un pregresso. Infatti, Mussolini era arrivato al potere attraverso un percorso molto tortuoso, attraverso un'azione di spinta dal basso, soffiando sul fuoco dei malumori dei reduci della guerra, della piccola borghesia spaventata, delle parti peggiori e più malate del Paese, tentando, allo stesso tempo, il rapporto con il grande blocco reazionario, conservatore, industriale e agrario del Paese, creando un OGM politico, quello che, per l'epoca, potremmo definire un OGM politico, cioè una cosa del tutto strana, del tutto incredibile, nella quale le spinte popolari, il ribellismo delle masse italiane, cioè quella rabbia di stare sotto, di non accettare il percorso graduale, i principi della libertà e della democrazia, ma di tentare la forzatura immediata, si andava saldando con il cuore reazionario di questo Paese, che è sempre esistito, che ancora esiste e che ancora è presente ogni volta che si determinano le condizioni dell'ascesa delle condizioni dei lavoratori all'esercizio del potere.

Questa unità incredibile, questa saldatura imprevista fu il primo fascismo. E in mezzo chi c'era? C'erano quei socialisti unitari, quei socialisti democratici, che, invece, volevano piantare le condizioni della libertà e del progresso in un regime di democrazia e di libertà, e in un regime parlamentare. Quell'avverbio, voglio parlare parlamentarmente, ha un grandissimo significato storico-politico. Matteotti si oppose non solo in quel discorso, ma si oppose a tutto il percorso che aveva portato in questo caos Mussolini al potere. Mussolini nel 1921, prima di giungere, con la marcia su Roma, ad avere l'incarico dal re di formare il nuovo Governo, aveva, con la sua sagacia, con la sua intelligenza felina, a un certo punto, tentato un patto di pacificazione, cioè si era reso conto che, senza un tentativo di coinvolgere alcune parti dei suoi avversari, i socialisti, i popolari, e di liberarsi magari delle parti più acute e più imbarazzanti del movimento delle camicie nere, delle parti più violente, forse la sua salita al potere sarebbe stata più complicata.

Aveva tentato un patto di pacificazione, ma quel patto di pacificazione era naufragato perché, a un certo punto, la parte più radicale del partito fascista lo aveva messo con le spalle al muro e gli aveva detto: dove vai, non puoi tirarci fuori. E lui aveva frenato su questa strada ed era tornato indietro. Poi, dopo il 1922, all'atto di formare il Governo, che, come è noto, era un Governo in cui il partito fascista contava il 19 per cento, e quindi aveva dovuto fare un Governo di coalizione, anche coinvolgendo una parte di partiti, tra cui i popolari, tra cui parte dei liberali, aveva continuato con i suoi vecchi compagni di partito nella direzione del partito socialista a tentare di avvicinare qualche dirigente. Fra questi vi era, per esempio, il segretario generale della FIOM-CGIL, Bruno Buozzi, che rifiutò, ovviamente, nettamente ogni offerta di coinvolgimento. Ma in questo percorso Matteotti fu una delle figure più coerenti, cioè fu uno di quelli che, fin dall'inizio, disse che con il fascismo, anche nelle sue forme più trattativiste, non ci poteva essere lo spazio di una trattativa e di un accordo. Quel giorno, il 30 maggio, la sua denuncia fu talmente netta e ancor più brillante, ancor più lucente alla luce del fatto che ci trovavamo in un Parlamento già fascistizzato e in uno stato di caos delle opposizioni, potrei dire anche in uno stato di paura, rispetto alla domanda del che fare di fronte ad una situazione del genere. Poi ci fu l'Aventino, ci fu il tentativo estremo di rivolgersi al re, che era una figura piccola non solo fisicamente, ma anche politicamente, e che aveva ereditato dalla morte del padre e dall'assassinio, nel 1900, di Umberto I la paura della rivoluzione, da qualunque parte venisse, la paura della sollevazione popolare contro la corona. Quindi teneva soprattutto alla salvaguardia della corona e non mosse un dito di fronte al rischio che queste squadre fasciste potessero incendiare il Paese, e dette il potere a Mussolini, umiliando le opposizioni. Ma in tutto questo Matteotti non si diede per vinto. In merito a questo discorso, quel momento, in cui lui poi disse ai suoi compagni di partito, come è noto, appena finito il discorso “preparate l'orazione funebre per me, il mio discorso l'ho fatto”, ricordavamo con il collega Fornaro, conoscitore e studioso, più di tutti in quest'Aula, della figura di Matteotti, che quel discorso fu improvvisato. Matteotti non aveva un discorso. Venne qui, in una situazione di grandissimo marasma, aveva degli appunti, aveva dei rapporti su quello che era successo, ma che cosa dovesse fare, che cosa si dovesse fare in quell'Aula nessuno lo sapeva. Fu preso da parte da Turati, che gli disse: tu sei il segretario del partito, ora devi fare il tuo dovere. Matteotti pronunziò quel discorso, famoso, noto, ma lo fece con un coraggio tanto più apprezzabile e tanto più eroico e stoico per il fatto che aveva già subito delle violenze. Matteotti aveva già subìto delle aggressioni, era stato pestato, era stato colpito, più volte, nel suo circondario elettorale, era una persona a rischio. Sapeva che, facendo un passo in più, avrebbe rischiato la morte, e sapeva che tra lui e Mussolini correva un sentimento profondamente rancoroso, che nasceva dalla storia dei rapporti interni al partito socialista, quando Mussolini rappresentava l'area rivoluzionaria, massimalista, del partito socialista nei congressi del 1912, quando si erano scontrati nei congressi. Matteotti, con questo aspetto borghese, con questi vestiti civili, con la cravatta, con il papillon, e Mussolini, uomo di popolo, uomo grezzo, che veniva da Dovia, una sperduta frazione di uno sperduto comune della Romagna; era un uomo di coltello, un uomo che veniva dagli istinti più violenti della Romagna, anticlericale. Si guardavano sempre in negativo, e Mussolini non sopportava questa continua e puntuale capacità di denuncia di Matteotti anche nei suoi confronti, anche di attacchi personali, proprio non la sopportava. Quindi, c'era qualche cosa di personale anche nei rapporti fra i due. Matteotti era soprannominato Tempesta. Tempesta non è un soprannome da riformista teoricamente, il riformista è una persona misurata, nella cultura media, uno che sa mediare. Lo chiamavano Tempesta perché era un uomo che attaccava, un uomo che non si fermava di fronte all'esigenza della mediazione politica. Quindi, tutte queste componenti arrivarono poi a esito quel 10 giugno, ma qui c'è da fare un'ulteriore riflessione… mi solleciti quando sono arrivato al termine del mio intervento, Presidente…

PRESIDENTE. Ha ancora 10 minuti, quindi può prendersi il tempo che desidera.

ROBERTO MORASSUT (PD-IDP). …riguardo a quello che sarebbe stato il discorso che poi Matteotti avrebbe dovuto pronunciare l'11 giugno, perché quando lui esce da via Pisanelli, quel fatidico 10 giugno, con una cartelletta sotto il braccio, e si dirige, attraverso il Lungotevere, verso il Parlamento, perché la via Flaminia aveva qualche edificio costruito, ma dava sulla campagna, dalla parte dove adesso c'è lo stadio Flaminio, c'è l'Auditorium, lì era una zona di campagna degradata, un'ansa del Tevere; quindi lui esce da via Pisanelli, passa lungo il Lungotevere e si trova di fronte la squadra, il commando. Capisce subito, perché era abbastanza strano trovarsi una Lancia Lambda con cinque persone che lo attendevano proprio in quel punto. Aveva una cartelletta. Che cosa ci fosse in quella cartella è stato poi ricostruito, non è ancora certo, ma è stato abbastanza ricostruito da importanti storici, tra cui voglio citare Mauro Canali, la persona che più si è dedicata a questo aspetto, che puntava a mettere in luce gli aspetti di affarismo del nuovo regime, nella vicenda dell'affare Sinclair Oil, ossia delle concessioni del petrolio emiliano a una compagnia petrolifera americana in cambio di finanziamenti che probabilmente sarebbero affluiti alla famiglia Mussolini, al partito fascista e direttamente alla corona. Lì c'erano le prove di una questione morale incredibile, che avrebbe potuto far saltare tutto, che avrebbe potuto far saltare per aria il regime. Allora, forse anche per questo, si spiega quella vicenda.

Tutto questo, mi consenta di dire, fa pensare a un'altra epoca successiva della nostra storia. Non voglio fare parallelismi, che sono arditi dal punto di vista storico, che sono spericolati dal punto di vista politico, ma una cosa la voglio mettere in luce, e cioè che l'altra figura, di cui si celebra il quarantennale della morte e di cui si è celebrato il centenario della nascita, la figura di Enrico Berlinguer, è una figura che sintetizza una situazione simile del movimento operaio e socialista di questo secolo.

Un partito che, negli anni Settanta, stava provando ad uscire dall'alveo di un mondo chiuso e che lo condannava all'inessenzialità per cercare un'altra strada, quella di governo. E, in quella strada, il Partito Comunista Italiano ed Enrico Berlinguer si trovarono di fronte gli stessi avversari opposti: da un lato, il cuore reazionario e antipopolare del Paese, industriale, agrario, ma, in quel caso, anche internazionale e, dall'altro, il ribellismo delle masse popolari, l'estrema sinistra rabbiosa che pensava di risolvere tutto con le armi, con le bombe e di trascinare le masse popolari con la violenza. E questo doppio fronte fu il doppio fronte degli anni Settanta.

Questo mi fa pensare non tanto a due figure simili - o forse sì per certi aspetti - ma a una storia del nostro Paese che, puntualmente, si trova di fronte alle stesse domande e agli stessi problemi.

Vorrei mettere in luce un ultimo punto. Si è parlato di tante cose di Matteotti, ma Matteotti era un grande amministratore, aveva fatto il consigliere provinciale, era stato sindaco, si era occupato di cose pratiche, ad esempio di agricoltura. Quindi, celebrare Matteotti significa tante cose (si era anche occupato di amministrazione nel Polesine), significa, anche, per esempio, occuparsi dello sviluppo sostenibile. Qualcuno dirà: ma che c'entra Matteotti con lo sviluppo sostenibile? Eppure, c'entra, perché occuparsi di agricoltura in quelle regioni, oggi esposte ai rischi dei cambiamenti climatici - e lo abbiamo visto in Romagna, il Polesine non è lontano -, di inquinamento e di crescita delle emissioni di CO2, proprio per il tipo di agricoltura intensiva che si è sviluppata nel tempo, richiama un approccio pratico, concreto, scientifico e politico a temi importanti e tecnici, che era la specialità di Matteotti. Egli trascorreva le sue giornate nella sala della biblioteca di allora - che adesso è una sala della segreteria della Commissione esteri - con un grande tavolo, ingombro di carte; passava le sue giornate lì, per documentarsi, per capire, per costruire politiche, per fare il suo lavoro parlamentare. Per fare non parole, ma atti, documenti, deliberazioni, circolari, proposte di legge, mozioni, ordini del giorno, unendo tutto questo a una grande utopia.

Matteotti riformista non fu mai tentato dall'interventismo. Matteotti fu pacifista, anche contro gli orientamenti di parte del suo partito, il Partito Socialista Unitario, e, per questo, fu criticato. Matteotti rimase internazionalista. Matteotti considerava il socialismo qualche cosa che si poteva costruire dal basso, attraverso il protagonismo delle comunità locali, e fu fondatore della Lega delle autonomie locali. Quindi, tutto questo ci riporta a una figura estremamente moderna per i suoi principi, per il suo modo di intendere la funzione politica e parlamentare, estremamente popolare, estremamente attuale, perché, di questo, in fondo, c'è bisogno. L'idea che si possa sacrificare la propria vita per la politica è qualche cosa che oggi non c'è più - non so se tornerà -, e questo consegna Matteotti addirittura a un'immagine risorgimentale, a qualcosa che è molto lontano, lontano anni luce dal nostro stesso universo di pensieri: che ci possa essere una classe politica, selezionata da partiti organizzati e strutturati, che metta in campo una classe dirigente seria, capace di essere espressione di governo, di intendere la funzione di governo senza abbassare la linea dell'utopia, dei grandi valori e delle grandi idealità.

Ed è quello che manca a tanta gente, ai tanti cittadini che non vanno a votare probabilmente anche per questo: perché vedono davanti a loro un panorama appiattito. Vedono tutti uguali, non vedono brillare alcuna luce e alcuna stella. E la stella di Matteotti brilla ancora. Per questo, è giusto, dopo cento anni, ricordarla, celebrarla e renderla popolare ancora di più, soprattutto ai giovani (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Perissa. Ne ha facoltà.

MARCO PERISSA (FDI). Grazie, Presidente. Signori del Governo, onorevoli colleghi, oggi avevo preso alcuni appunti, ma mi corre l'obbligo di svolgere una breve premessa, dopo aver ascoltato gli interventi che mi hanno preceduto.

Sono nato il 22 maggio 1982. Ho ascoltato le parole del collega Morassut dallo stesso posto da cui Matteotti pronunciò il suo discorso e non so se riesco a descrivere, a parole, quanto inimmaginabile sia per me l'ipotesi che un uomo o una donna, che calca questi banchi, possa rischiare la vita per esprimere il proprio pensiero, la propria opinione, con dignità, con fermezza e con rispetto dei valori in cui crede. E' un momento molto particolare, come diceva il collega poco fa, cristallizzato, in maniera quasi risorgimentale. E l'ipotesi che, per la politica, si possa perdere la propria vita chissà se tornerà. Spero di no (e penso che lo speriamo tutti, se ho ben inteso ed interpretato le sue parole). Spero che non tornerà mai più quella stagione in cui, per approcciare all'agone politico, sia necessario essere pronti a mettere in discussione la propria vita.

Oggi, ci appropinquiamo a votare, in questa settimana, la proposta di legge a prima firma della senatrice Segre per l'istituzione delle celebrazioni del Centesimo anniversario della morte di Matteotti. Con altrettanta sentita emozione, rivolgo un ringraziamento alla senatrice e a tutti gli altri senatori che hanno voluto questa proposta di legge alla velocità con la quale arriva in quest'Aula perché, evidentemente, a cento anni quasi di distanza, nella vicenda Matteotti trovo tanta contemporaneità.

L'omicidio di Matteotti si compie all'alba di una delle stagioni più buie della storia italiana, passato alla storia come il Ventennio fascista e, quando un uomo perde la vita per le proprie opinioni, la sconfitta è di tutti, ma la responsabilità della memoria appartiene a chi viene dopo. Della morte ho imparato che c'è qualcosa di magico. La collega Dalla Chiesa diceva di non chiamarle commemorazioni. Allora, non vorrei sembrare eretico nel dire che nella morte o, meglio, in questa morte c'è qualcosa di magico, perché, come diceva Matteotti, potrete uccidere me, ma non l'idea in cui credo. Rispetto a quell'episodio, qualcuno probabilmente pensava di consegnarlo all'oblio, ma, in realtà, lo ha cristallizzato nell'immagine che viveva in quei giorni, rendendolo immortale, nella notte dei tempi. Ed è compito nostro fare in modo che questa immortalità, in qualche modo, attraversi il tempo e arrivi, attraverso di noi, alle generazioni più giovani.

Nella morte di Matteotti vedo tanta contemporaneità e la vedo nei valori che questo episodio simboleggia. Nella legge che ci apprestiamo a votare esiste un valore fondamentale della politica, della cultura, delle società contemporanee: la memoria.

Rispetto a ciò che la memoria ci insegna, guardando a questo episodio, esiste un altro dei valori fondamentali delle società e delle democrazie contemporanee: il rispetto della vita. Nell'episodio Matteotti esiste anche un ulteriore insegnamento, anch'esso fondamentale per le democrazie contemporanee: il rispetto della diversità. Sono tre valori sostanziali, se mi permettete, pre-politici, sottintendono alla vita politica di un uomo e una donna. Memoria, rispetto della vita e della diversità costituiscono un modello antropologico virtuoso, prima ancora che un modello politico a cui ispirarsi.

Se, infatti, si parte da questi tre presupposti fondamentali la declinazione della visione politica può rivolgersi in mille rivoli, trovare mille differenze, mille modi di intenderla, mille modi di agirla, ma mai più prevaricherà determinati confini. La memoria, a volte, ha un compito ingrato, ma essenziale, la memoria ci ricorda i luoghi oscuri nei quali il nostro passato ha mosso i suoi passi. Il rispetto della vita, a suo modo, ci insegna qual è il limite che non si può mai, mai, mai prevaricare di fronte a ogni forma di divergenza o di differenza e per il rispetto della diversità. Della vicenda Matteotti tante cose colpiscono. Un uomo che ha perso la propria vita, probabilmente, per l'intervento che aveva fatto qualche giorno prima o, probabilmente, per l'intervento che stava per fare sulla Sinclair Oil. In entrambi i casi, io non ho gli strumenti per capire qual è la verità. Personaggi autorevoli, prima di me e più di me, hanno provato a ricostruirla; chissà perché, se per quello che era successo o per quello che stava per succedere. In entrambi i casi, la denuncia del clima di violenza nel quale si erano tenute le elezioni, da un lato, o l'affare di Stato con la Sinclair Oil, dall'altro, erano battaglie di verità, di moralità, di lealtà. Questo è l'insegnamento che ci portiamo dietro.

Un passaggio in particolare mi ha colpito della vicenda Matteotti. Qualche mese più tardi - anche altri colleghi hanno citato questo episodio - fu proprio Mussolini a rivendicare la paternità politica del clima d'odio in cui quel delitto era stato perpetrato; un atto arrogante, vergognoso mi viene da dire. Tuttavia, in questo episodio provo a costruire il senso del terzo valore che citavo in precedenza, cioè il rispetto della diversità.

Il mio intervento non sarà molto lungo, Presidente, ma voglio concludere con uno spunto di riflessione rivolto più che alla ricostruzione della storia, al futuro della nostra Nazione. La rivendicazione del clima politico nel quale il delitto Matteotti avvenne, appannaggio, diciamo, di Benito Mussolini, ci insegna che quella volta, e molte altre, negli anni successivi, non c'era stato il dovuto rispetto delle diversità.

Su questi tre presupposti ci accingiamo - come dicevo -, nel corso di questa settimana, a dare volto a una legge che prevede l'istituzione e l'organizzazione delle celebrazioni per il centenario della scomparsa di Matteotti, principalmente rivolta ai ragazzi, alle ragazze, ai più giovani. A proposito d'attualità, forse non soltanto a loro sarebbe opportuno ricordare quali sono i valori fondanti di una democrazia. Allora, ci accingeremo a sostenere questo tipo di iniziativa. Come abbiamo fatto in Senato, lo faremo anche in questa Camera perché l'insegnamento che noi traiamo da queste e altre esperienze, negative, ma simili e assimilabili, è che mettiamo piede qui dentro, ma non soltanto, anche nelle nostre case, nei nostri luoghi di lavoro al di fuori di qui, nelle nostre scuole, nelle nostre università, con il desiderio profondo di costruire una coscienza condivisa, all'interno della quale - lo dico in tre parole - la parola diversità possa diventare definitivamente sinonimo di unicità, la parola vita possa diventare definitivamente sinonimo di inviolabilità e la parola confronto possa definitivamente diventare sinonimo di libertà (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Quartini. Ne ha facoltà.

ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi, colleghe, intanto è con piacere che ringrazio anche i colleghi del Partito Democratico, ai quali ho chiesto di poter parlare da questo scranno. Mi sembrava doveroso ricreare un pochino le condizioni di adiacenza, di vicinanza rispetto al luogo e al posto che occupava Giacomo Matteotti il 30 maggio 1924, quando fece il suo ultimo intervento in quest'Aula. È emozionante sapere che si sta parlando proprio da quel posto; io sto occupando, simbolicamente, il posto di Filippo Turati in quel momento. Credo che, simbolicamente, tutta l'Assemblea sia vicina a quel momento e credo che il fatto che si possa concentrare attorno allo scranno che fu di Giacomo Matteotti una parte degli interventi sia un modo per rendergli onore, sia un modo per stargli vicino. Pertanto, in maniera, diciamo, irrituale, ho lasciato i banchi del MoVimento 5 Stelle per stare qui, accanto al banco che fu di Giacomo Matteotti, un vero onorevole.

Detto questo, mi preme citare Liliana Segre, che ha detto: è per me un dovere e un onore ripresentare il disegno di legge per le celebrazioni del centesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti, il deputato socialista rapito e, poi, barbaramente assassinato il 10 giugno 1924 dai fascisti. Ricordarlo a cento anni dalla scomparsa è un dovere per la Repubblica e rappresenta per tutti noi un monito a difendere i princìpi irrinunciabili di democrazia e libertà. Permettetemi di ringraziarla, prima di ogni altro ragionamento, permettetemi di ringraziare la senatrice Liliana Segre, prima firmataria di questo provvedimento che, comunque, era già stato approvato nella scorsa legislatura, quando fu proposto dal senatore Nencini. Ella merita un ringraziamento solenne, per la sua storia, per il suo coraggio, per ciò che è, per la sua determinazione, per la sua forza d'animo. Grazie, senatrice, per aver condiviso la sua storia con noi e per essersi impegnata nella difesa dei diritti umani e della giustizia. È un esempio di resilienza, senatrice. Grazie, infine, per averci ricordato l'importanza di combattere il razzismo e l'intolleranza, in ogni sua forma. Senatrice Segre, di fronte al suo esempio è impossibile non provare orrore nei confronti di chi ipotizza che il fascismo possa aver fatto qualcosa di utile o, addirittura, ne conservi dei cimeli.

Questo progetto di legge, che si compone di 7 articoli, è volto a celebrare la figura di Giacomo Matteotti nella ricorrenza dei 100 anni dalla sua morte, che cade nel 2024, il 10 giugno. Ebbene sì, è importante celebrare i 100 anni del suo omicidio per mano dei fascisti, su ordine del dittatore Mussolini. È fondamentale ricordare la persona illustre, il politico, il rigore di Giacomo Matteotti. La nostra Costituzione antifascista è tale anche grazie al suo sacrificio, è tale grazie al sacrificio del primo partigiano della nostra Resistenza, come diceva il collega Morassut.

Quali sono le caratteristiche dell'uomo, dell'onorevole, lui sì, non chi sedeva nei banchi del Governo e della maggioranza di allora? Quali sono le caratteristiche dell'onorevole Giacomo Matteotti che vogliamo ricordare? Nel pensare a questa discussione generale me ne sono venute in mente molte, ma ne voglio sottolineare solo alcune. La prima è il coraggio. Giacomo Matteotti aveva un coraggio autentico, io direi un coraggio etimologicamente istintivo; la parola coraggio viene da cuore.

Il coraggio di chi ha combattuto il male, nonostante lo avesse subito in modo aggressivo. Tre anni prima era stato aggredito in modo violento, era stato anche violato, stuprato, da un'altra squadraccia di fascisti, nella sua terra, Rovigo, perché difendeva i diritti degli ultimi.

Di fronte a questi episodi, lo ripeto, Presidente, per me è impossibile non provare orrore nei confronti di chi ipotizza che il fascismo possa aver fatto qualcosa di utile o, addirittura, ne conservi dei cimeli. Rispose così, da uomo coraggioso davvero, al suo professore, che lo invitava a ritornare in università dalla politica: non solo la convinzione, ma il dovere, oggi, mi comandano di restare al posto più pericoloso, per rivendicare quelli che sono, secondo me, i presupposti di qualsiasi civiltà e nazione moderna.

La seconda caratteristica che vorrei ricordare è che aveva un altissimo spirito di servizio, fino all'estremo sacrificio, senza alcuna esitazione morale. Un uomo giusto, un autentico rivoluzionario etico, che credeva fermamente nei valori che aveva introiettato. Questo era Giacomo Matteotti.

La terza cosa che vorrei sottolineare è che, più di chiunque altro, non poteva accettare alcun compromesso con coloro che, in prospettiva, mostravano intenti dannosi per il bene comune e l'interesse generale. Lo aveva chiaro anche nella Prima guerra mondiale, dove si schierò a testa alta tra i neutralisti: cosa che gli costò il confinamento in Sicilia. Era un autentico pacifista, nel vero senso della parola, fino ad assumersi la responsabilità di poter e di dover essere confinato. Questo era chiarissimo all'onorevole Matteotti, più che a chiunque altro, più che a chi aveva accettato compromessi o a chi ipotizzava la possibilità di sanguinose rivolte di massa. Aveva, altresì, chiaro come il fascismo fosse solo un metodo, violento, velenoso, arrogante e prepotente, e non avesse nemmeno la dignità di definirsi ideologia.

La quarta caratteristica è lo scarsissimo attaccamento al potere. È fuori discussione che Matteotti avrebbe potuto ottenere potere con compromessi, avrebbe potuto ottenere un ruolo e un potere importante, se avesse accettato alcuni compromessi, perché sarebbe stato un ruolo egemone tra le opposizioni, in assenza di altri leader al pari suo. Ma non lo fece. Non lo fece.

Un'altra cosa che vorrei raccontare è che aveva una concezione della politica come scelta suprema, per la quale l'improvvisazione è dannosa quanto le azioni dei violenti. Il fascismo rappresentava entrambe le negazioni della virtù della buona politica: da un lato, inettitudine, inadeguatezza, dall'altro, arroganza, violenza, aggressività.

Infine, Matteotti aveva chiaro che chi ha la consapevolezza delle cose, ha il dovere di attivarsi. E si attivò quel 30 maggio, quando, in un discorso interrotto continuamente dai rozzi fascisti che sostenevano Mussolini, ebbe il coraggio di denunciare i brogli elettorali che avevano consentito di eleggere quei rappresentanti in Parlamento, e fece capire che il fascismo si reggeva con il compromesso che fagocitava i pavidi, con la violenza come strumento di potere e con corruzione, bilanci falsi, bische clandestine, finanziamenti illeciti, come le tangenti di Sinclair Oil.

Matteotti è stato un martire laico, un eroe che Nencini azzarda a definire solitario in un suo libro recente. Sicuramente fu un martire laico ed eroe, e sicuramente fu solitario, perché pochi si esposero come lui e con lui.

Vale la pena di ricordare: Piero Gobetti e Giovanni Amendola, aggrediti ferocemente dalle squadracce fasciste, in seguito alle quali morirono esuli; altri esuli, come Don Sturzo e Filippo Turati; altri, morti in carcere, come Gramsci.

Ebbene, le opposizioni al regime fascista, prima dell'avvento della feroce dittatura, si mossero in ordine sparso. Non ebbero la lucidità che aveva Matteotti e la sua morte non consentì una capacità di composizione di un fronte unitario, che alcuni storici definiscono come elemento critico che contribuì a spianare la strada a Mussolini.

Certamente, vi fu una sottovalutazione dei rischi da parte dei Popolari, ormai orfani di Sturzo. Certamente, vi fu una componente radicale tra i socialisti. Alcuni comunisti si erano convinti che il fascismo sarebbe scientificamente imploso e avrebbe lasciato alle masse proletarie il compito di governare il Paese. Pochi compresero che, in realtà, il delitto Matteotti aprì al totalitarismo in Italia, anche con la colpevole complicità di una monarchia, decisamente fatta da un monarca poco illuminato, di corporazioni agrarie e della Confindustria di allora.

In Germania, nel 1919, Rosa Luxemburg e il compagno Karl Liebknecht, come Matteotti, furono assassinati per motivi politici. La morte della Luxemburg portò a proteste e tensioni politiche in Germania e contribuì alla polarizzazione ideologica tra comunisti e nazionalisti. In tale contesto maturò, in una sorta di analogia politica, l'idea dell'omicidio dell'unica persona in Italia che aveva il coraggio, la forza d'animo, la preparazione e la competenza, e, non ultima, una probabile documentazione che stava per presentare in Parlamento, che poteva far vacillare, più da vivo che da morto, il fascismo, che, con la lucidità di una psicopatia politica, morale, storica e - aggiungo io - sociale, decise di annientarlo non solo uccidendolo, ma con l'obiettivo di violarlo, punirlo, umiliarlo crudelmente, prima di ucciderlo. Questo fu il fascismo di allora.

Entrambi gli omicidi - quello di Matteotti e di Rosa Luxemburg - rappresentano atti di violenza politica, eseguiti per sopprimere l'opposizione politica. Entrambi i politici erano noti per la loro tenacia e per le loro posizioni, e i loro assassinii avevano l'obiettivo di zittire le loro voci e mettere fine al loro attivismo politico. Le morti di Matteotti e della Luxemburg sono diventate simboli indelebili del lato oscuro del potere politico. Per questo è importante onorare il personaggio illustre Giacomo Matteotti: un eroe, un martire della democrazia. Ben vengano le celebrazioni del 2024, a 100 anni dal suo assassinio (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pino Bicchielli. Ne ha facoltà.

PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, signor Vice Ministro, io ho avuto un privilegio: nei primi anni della mia carriera politica, quando ero segretario nazionale dei giovani socialdemocratici, ho vissuto insieme al figlio di Giacomo Matteotti, Giancarlo, ospite a casa sua. Lui all'epoca era un importante dirigente nazionale del PSDI. E anche se perse il papà piccolissimo, alcune storie, ascoltate da lui, sicuramente mi sono rimaste un po' più dentro. Quindi, nel preparare questo intervento, su questa importante proposta di legge, mi sono chiesto, in realtà, quale sia l'insegnamento che si trae dalla vita e dalle opere di un uomo come Giacomo Matteotti e, soprattutto, che cosa possa aggiungere, con un mio piccolo intervento, a quanto è stato detto, a quanto è noto, senza diventare banale.

In realtà, tutti noi conosciamo la storia di Matteotti e non è un caso, come diceva prima la relatrice Dalla Chiesa, che Matteotti è il politico del Novecento cui sono intitolate più vie, più piazze e più scuole nel nostro Paese.

Oggi, però, è giusto ricordare la sua storia e il suo pensiero. Sappiamo tutti che il rapimento e l'omicidio di Giacomo Matteotti furono commessi il 10 giugno 1924 e allora, in realtà, si pose fine alla libertà di stampa, di fatto, furono emarginate tutte le opposizioni e si andò verso il regime fascista.

Quando fu ucciso, Matteotti non aveva ancora quarant'anni, aveva già tre figli, ma aveva alle spalle un lungo impegno politico, che iniziò appena diciottenne e che aveva vissuto con coraggio e con passione. Era un uomo che, da giovanissimo, aveva assunto posizioni scomode e difficili. Infatti, durante la Prima guerra mondiale, si espresse in modo talmente forte contro la partecipazione dell'Italia al conflitto, da essere condannato al confino in Sicilia dal 1916 al 1918. Finito il confino, tornò immediatamente alla politica e fu tra i più strenui oppositori del fascismo. Nell'ambito del suo partito, il Partito Socialista italiano, si oppose duramente anche alla componente comunista, fino a spingerla fuori dal partito. Infatti, come ricordiamo, nel 1921, a Livorno, fu fondato il Partito Comunista Italiano.

Nel 1922, pochi giorni prima della marcia su Roma, fu espulso dal partito, insieme a Turati e ad altri dirigenti socialisti, che furono accusati di avere partecipato alle consultazioni del re per la formazione del nuovo Governo. Una volta espulsi, questi fondarono il Partito Socialista Unitario, di cui, come ricordava prima qualcuno nel suo intervento, Matteotti divenne segretario nazionale.

Fu deputato alla Camera, in quest'Assemblea, nel 1919 e nel 1921. Il 30 maggio 1924, intervenne in quest'Aula per l'ultima volta - alcuni colleghi, seconde me, hanno fatto bene ad occupare gli scranni da dove Matteotti intervenne - e tenne il suo ultimo discorso da parlamentare. Fu un discorso tutto sulla libertà, perché contestava che nessun elettore italiano, secondo lui, si era trovato libero di decidere con la sua volontà, a causa delle intimidazioni durante la fase di presentazione delle liste, nel corso della campagna elettorale e anche durante il voto all'interno dei seggi. Il suo fu un discorso interrotto continuamente dalle urla di dissenso, dalle ingiurie, da gesti provocatori e Matteotti terminò veramente con fatica quel suo discorso, che anch'io ricordo, per averlo letto sui libri, non era un discorso preparato, ma un discorso a braccio.

Pochi giorni dopo, dieci giorni dopo, il 10 giugno, giorno nel quale doveva intervenire in Aula, uscì dalla sua abitazione sul lungotevere, fu caricato a forza su un'auto, una Lancia Lambda, da 5 uomini, Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, che facevano parte di un gruppo segreto del Viminale. Il gruppo si chiamava Ceka, lo stesso nome della polizia politica sovietica. Matteotti lottò strenuamente e uno dei sequestratori lo colpì a morte in auto con un pugnale; quindi, decisero di seppellire il suo corpo sommariamente e Amerigo Dumini, che era il comandante di quel gruppo, fu arrestato due giorni dopo alla stazione Termini. Ecco, questa è la narrazione di quella giornata.

Dal punto di vista politico, possiamo dire che la vicenda, in realtà, mise in difficoltà il Primo Ministro Mussolini. Da molti fu indicato come il mandante e, infatti, egli stesso, il 3 gennaio 1925, con il suo intervento, affermò di assumersi ogni responsabilità di quanto avvenuto.

Dal punto di vista giudiziario, invece, Dumini e altri due uomini della squadra furono condannati per omicidio preterintenzionale a 5 anni, di cui 4 condonati in seguito all'amnistia. Nel 1947 si tenne un nuovo processo e Dumini fu condannato all'ergastolo per omicidio premeditato, un ergastolo che durò però solo 6 anni, perché, come ricorderete, in quel periodo vi fu l'amnistia promossa da Togliatti, proprio per pacificare il Paese che aveva vissuto queste profonde lacerazioni. Quindi, dopo 6 anni, Dumini tornò a essere libero.

Signor Presidente, Matteotti sicuramente è stato un martire della politica, un uomo che si è sacrificato in nome della libertà. Se vogliamo ricordare quanto i rapporti politici all'epoca fossero laceranti e profondi, non possiamo non ricordare che Gramsci riteneva Matteotti un social-traditore. Però, la storia ci ha detto che, alla fine, Gramsci ha avuto torto e Matteotti ha avuto ragione e che il riformismo socialista è stata l'unica cultura di stampo socialista ad avere retto il confronto con la storia.

Infatti, Matteotti, in una lettera (la voglio citare) a Filippo Turati, scriveva: “Il nemico è attualmente uno solo, il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura, predicata dall'uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell'altro”.

Oggi, siamo uomini fortunati, perché, grazie al sacrificio di uomini come Matteotti, viviamo in una democrazia liberale, Penso, per chiunque in quest'Aula, che nessuno di noi immagini un mondo diverso da una democrazia liberale. Come dicevo all'inizio, quasi in ogni comune d'Italia c'è una via, una piazza o una scuola intitolata a Matteotti. Nonostante questo, a tanti è nota l'azione violenta, è nota l'uccisione, ma a tantissimi è sconosciuto il suo pensiero. Credo che il pensiero di Matteotti, la sua cultura politica e il suo modo di essere siano il tratto più bello e più interessante della sua storia. Il dibattito politico, ogni volta che si trasforma in arroganza, in superbia, in violenza, riporta l'uomo a essere un essere primordiale e, infatti, l'omicidio Matteotti fu una regressione della civiltà, che soprattutto oggi dobbiamo ricordare e su cui dobbiamo riflettere. Quando pensiamo a quello che è successo, non dobbiamo mai dimenticare che eravamo in un'altra epoca, in un'epoca in cui i regimi erano superiori per numero alle democrazie. Lì va contestualizzato l'atto barbarico, ma il pensiero politico è attualissimo. Non dobbiamo nemmeno dire che era un periodo d'ignoranza diffusa, perché, dopo quell'atto, ci furono voti in quest'Aula e ci fu la condivisione di grandi intellettuali, come Gentile, Marinetti, Pirandello, Ungaretti, Benedetto Croce, grandi uomini illuminati, grandi pensatori del nostro Paese. Tutto questo è successo 100 anni fa e, purtroppo, dopo 100 anni, ancora oggi, nel mondo, assistiamo a sopraffazioni, prese di potere con invasioni, guerre e omicidi di Stato.

Ancora oggi miliardi di persone vivono sottoposte a dittature con Governi non democratici. Per questo l'insegnamento di Matteotti è importante, perché lui fu un vero servitore delle istituzioni e scelse di dedicare la propria vita a individuare veramente i problemi del Paese e per questo la perse.

La democrazia va sempre difesa e bisogna lottare ogni giorno per la sua continua evoluzione, non c'è mai un punto di arrivo per la democrazia, la democrazia può essere sempre migliorata, e bisogna lottare sempre contro la violenza, qualunque forma di violenza, come mezzo di conquista del potere.

Una cosa che, poi, mi raccontava molte volte il figlio Giancarlo era l'aspetto umano di quest'uomo; secondo me, erano i racconti che, forse, la madre gli riportava. Lui realmente era un eroe, un eroe civico della nostra storia, un eroe che ha rappresentato il coraggio come virtù civile, perché cosa c'è, in realtà, di più eroico che difendere la propria missione politica, pur sapendo di andare incontro alla morte? Perché Matteotti sapeva benissimo che quel suo atteggiamento e il suo stesso discorso lo avrebbero portato alla morte; possiamo dire che ci fu un sacrificio cosciente da parte di Giacomo Matteotti. Infatti - mi sembra che lo abbia citato il collega Morassut - appena finì il discorso, disse, rivolto ai suoi colleghi: “Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora, voi preparate il discorso funebre per me”. Ecco, questo è a testimonianza del fatto che Matteotti fosse pienamente consapevole del pericolo e per dire quanto lui fosse consapevole di questo pericolo c'è una lettera che gli scrisse il senatore liberale Luigi Lucchini, una lettera che è stata ritrovata una ventina di anni fa, che gli offrì una cattedra per tentare di distoglierlo un po' dalla politica, di riportarlo nel mondo dell'insegnamento. Anche qui vorrei leggere questa brevissima lettera, per capire che cos'era per lui l'impegno politico: “Illustre professore, ritrovo qui la sua lettera gentile e non so come ringraziarla. Purtroppo, non vedo prossimo il tempo nel quale tornerò tranquillo agli studi abbandonati, non solo la convinzione, ma il dovere oggi mi comanda di restare al posto più pericoloso, per rivendicare quelli che sono, secondo me, i presupposti di qualsiasi civiltà e nazione moderna. Ma quando io potrò dedicare ancora qualche tempo agli studi prediletti ricorderò sempre la profferta e l'atto cortese che dal maestro mi sono venuti nei momenti più difficili. Roma, 10 maggio 1924”.

Ecco, signor Presidente, Matteotti, venti giorni dopo aver scritto questa lettera, fece il suo ultimo discorso alla Camera e, quindi, confermò il coraggio di un uomo politico che combatteva per le sue idee.

Quindi, possiamo dire, per l'importanza di questa proposta legge, che Matteotti è uno dei padri più nobili di questo Parlamento, perché difese la politica come servizio e come progetto. Ricordarlo, a cento anni dalla sua scomparsa, più che un omaggio alla sua scelta di vita, rappresenta un monito a difendere libertà e democrazia, sempre e ovunque. Lui ci ha insegnato l'importanza della politica vissuta come fede, come ideale, come scienza, come cultura, la politica come dovere morale, la politica come volontà, la politica come azione, il rifiuto e la condanna della violenza nel confronto politico, da qualunque parte essa provenga e l'importanza per il rispetto delle regole della democrazia, che tutti riteniamo scontate, ma che è importante ogni giorno sottolineare e ribadire.

Chi fa politica come noi ha il dovere di difendere sempre il diritto di denunciare le storture, di criticare quanto si ritiene metta in pericolo le istituzioni, e sono certo che questi valori emergeranno nello studiare la figura di Giacomo Matteotti, nelle celebrazioni del centenario della sua morte, un uomo che - come ho detto - credeva con ostinazione alle sue idee, ma, soprattutto, con altrettanta ostinazione le applicava.

Occorre difendere la libertà sempre e comunque, quindi, da tutte le forme di autocrazia, ma la libertà si difende sempre anche quando noi chiediamo di essere liberi di esporre il nostro pensiero oppure quando qualcuno vuole esporre e presentare un suo libro, un suo pensiero, che non è il pensiero di tanti; ecco, quando vediamo che a queste persone viene impedito di parlare, quelli sono atti violenti, che noi non possiamo accettare. Quindi, come gruppo di Noi Moderati, ci saremo sempre, perché il sacrificio di Matteotti non può essere sicuramente un sacrificio vano.

Presidente, vorrei citare anch'io la frase storica che hanno già citato i miei colleghi e che, poi, è passata alla storia soprattutto per quell'avverbio. Il Presidente della Camera, in un'Aula tumultuosa lo invitava a proseguire e gli disse: “(…) se ella vuole parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente”. Matteotti rispose: “Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente!”. Ecco, quell'avverbio: “parlamentarmente”, può sembrare bizzarro, una cosa strana, invece, questo avverbio, secondo me, riassume la visione del mondo che Matteotti difendeva e sognava. Quel “parlamentarmente” non è un diritto, ma un dovere di ognuno di noi; ognuno di noi, in questa Aula, non deve essere né prudente né imprudente, deve essere parlamentare. E lo deve fare esclusivamente nell'interesse dei cittadini che rappresenta.

Quindi, possiamo dire che i principi fondanti della nostra democrazia, che poi sono stati riportati nella Costituzione repubblicana, erano già praticati da Matteotti durante la sua attività politica.

Signor Presidente, è passato un secolo, ma possiamo dire che l'insegnamento di Matteotti è ancora oggi attualissimo. Anticipò i tempi, fu un riformista moderno, con idee chiare sulla democrazia come fondamento della libertà, sulla forma e sui doveri del Governo, sulla funzione della politica e sulla funzione dei partiti. In quel periodo il Partito Socialista Italiano parlava soprattutto di classe, lui parlava, nei suoi discorsi, di Nazione e di amor di patria. Il Partito Socialista Italiano era concentrato sulla rivoluzione, lui, nei suoi discorsi, parlava di libertà e di democrazia come beni irrinunciabili. Lui amava la libertà, aveva sicuramente un carattere fortissimo, e lottò contro ogni sopruso e questo lo trasformò nel più tenace nemico del fascismo e del comunismo, ai quali contestava il carattere autoritario e illiberale.

Io, pensando a Matteotti, penso anche a tanti eroi del nostro tempo, a un uomo che combatte per difendere le istituzioni e che sa che, mentre difende le istituzioni, lo aspetta la morte. Ci sono tre uomini che mi vengono in mente, tre uomini che, tutti e tre, hanno detto: noi difendiamo, portiamo avanti le nostre battaglie, e tutti e tre sapevano, e lo dicevano anche: sappiamo qual è il nostro destino. Sono stati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Dalla Chiesa. Sono stati tre uomini che, come Matteotti, hanno messo il valore del Paese e delle istituzioni davanti alla loro vita. Quindi, in queste cose, in questo pensiero, risiede la grandezza di questi uomini e la grandezza di un uomo come Matteotti.

Noi stiamo per andare ad approvare, in questi giorni, un progetto di legge che ha avuto, ovviamente, un voto favorevole, unanime, dal Senato, perché, al di là delle posizioni distanti che ci possono essere e che ci devono essere - poiché, in una democrazia, non ci deve essere un pensiero unico -, tutti dobbiamo riconoscerci nei principi e nei valori della democrazia.

Si tratta di una celebrazione che avrà atti concreti, ci sarà un importante e prezioso contributo per salvare la casa museo della sua città natale, a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, perché è importante non dimenticare il suo insegnamento e indicare il suo esempio ai giovani.

Poi ci sono stanziamenti finalizzati alle iniziative legati a questo centenario per diffondere al meglio l'eredità politica e umana lasciata da Matteotti e che servirà a tenere vivo il ricordo e i suoi insegnamenti.

Quindi, signor Presidente, in conclusione, con l'assassinio di Matteotti non fu ucciso un uomo: quel giorno fu uccisa la libertà di pensiero, la libertà di iniziativa politica. Ricordare Matteotti, dunque, ci servirà a ricordare la Costituzione, il suo pensiero riformista e ci servirà a raccontare la portata del suo messaggio politico. Come gruppo di Noi Moderati, accogliamo con favore questa iniziativa legislativa, che serve non solo per ricordare un'importanza storica, ma serve per promuovere, soprattutto, in maniera decisa, la lotta contro ogni totalitarismo e la difesa della nostra Costituzione. Quindi, possiamo considerare Matteotti un padre della Repubblica, anche se lui la Repubblica non l'ha mai vista. Farà bene a tutti noi, soprattutto ai più giovani, ricordarne l'opera e il pensiero. Mi permetta di dire una cosa: la storia, che, poi, è quella che emette i verdetti definitivi, ha dimostrato una cosa, che egli non si sbagliava. Matteotti non si sbagliava se, dopo 100 anni, siamo tutti qui, uniti, senza divisioni, a ricordarne le gesta e le parole (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1178​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Rita Dalla Chiesa, se lo ritiene.

RITA DALLA CHIESA, Relatrice. Vorrei ringraziare lei, Presidente, e i colleghi che hanno parlato, che hanno ricordato Giacomo Matteotti in modo così bello, così unito, tutti insieme nello stesso pensiero su quest'uomo che - mi ha colpito molto quello che ha detto l'onorevole Morassut - era seduto lì. Per chi non ha vissuto quel periodo, è stata un'emozione fortissima, oggi, essere in Aula e poter ricordare Giacomo Matteotti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, Irene Manzi.

IRENE MANZI, Relatrice. Mi unisco anch'io alle parole della collega.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Vice Ministro Bignami.

GALEAZZO BIGNAMI, Vice Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti. Grazie, Presidente. Nell'esprimere piena condivisione rispetto alle parole espresse e apprezzando vivamente il ricordo che è stato svolto in particolar modo, mi permetto, senza mancare nulla nei confronti dei colleghi che sono intervenuti, rispetto a quello che ha detto l'onorevole Morassut, che ha avuto non solo la sensibilità politica, ma anche l'abilità di recuperare un patrimonio storico e di condivisione che credo sia necessario porre a fattor comune dell'azione di tutti coloro che alimentano la vita parlamentare. Mi permetto, evidentemente senza pretesa, - trattandosi di iniziativa parlamentare, il Governo in ciò nulla aggiunge - una valutazione, da parlamentare, deputato io stesso, - questo, è chiaro, deve essere anche, in una qualche maniera, cristallizzato nel percorso di approvazione del provvedimento in questione che, avendo già conosciuto l'approvazione in sede di Senato, rischierebbe, in tal guisa, di essere, poi, dopo, nuovamente posto nella navetta di dialogo tra Camera dei deputati e Senato -, una piccola annotazione. Ringraziando nuovamente i colleghi tutti che sono intervenuti e, in particolar modo, l'onorevole Morassut nel suo ricco contributo di carattere storico, vorrei porre mente, nell'elencazione di cui all'articolo 2, se non ricordo male, lettera e), che compone un po' e ripercorre le tappe fondamentali non solo della vita di Matteotti, ma anche, in maniera direi estremamente sensibile e attenta gli elementi che hanno caratterizzato il processo a Matteotti, in particolar modo alla figura del giudice Mauro Del Giudice. Credo sia questa la ragione per la quale sono richiamati Vieste, Chieti, dove si svolse il processo, Rodi Garganico, dove nacque, se non rammento male, il dottor Del Giudice, che ebbe - questo, da avvocato, mi sento di dover, in qualche maniera, sottolineare - l'integrità di rifiutare tutti i tentativi corruttivi e intimidatori che lo dovettero sottoporre a condizionamenti nell'espressione, tanto da essere, poi, sollevato in ossequio della migliore accezione del promoveatur ut amoveatur. È una storia che ci appassionò, soprattutto, da giovani studenti di giurisprudenza dell'università di Bologna, e su questo mi permetterò, poi, di dire una parola ulteriore. Quindi, oltre alla vicenda del dottor Del Giudice a Rodi Garganico, a Vieste e a Chieti, è molto attenta e apprezzata la riconduzione dei luoghi che vengono privilegiati come destinatari dell'iniziativa che ne conseguirà sul centenario, perché, se non ricordo male, a Villamarzana, Matteotti fu sindaco, così come, nelle terre del Polesine, dove lui nacque, particolarmente bella e apprezzabile è l'idea di recuperare anche le origini di Matteotti a Comasine, a Peio, credo sia questo, e così via, come è stato anche ricordato giustamente, Messina e quant'altro. Mi permetto poi di ricordare che maturò e conseguì la laurea in giurisprudenza all'Università di Bologna. Lo dico, perché, oltre a essere la più antica Università del mondo, lui lì conobbe anche i primi approcci al movimento socialista, che conobbe nella figura di Andrea Costa, il primo deputato socialista - mi rivolgo ai banchi dei colleghi di sinistra, che so essere attenti e sensibili - del nostro Parlamento e anche egli conseguì la laurea all'università di Bologna.

Mi rendo conto che intervenire nel tessuto legislativo possa essere complesso in questo momento, fermo restando che pure il richiamo a Rovigo e Ferrara - Ferrara, terra emiliana esattamente come Bologna - comporta, certamente, un'attenzione per quei territori, ma mi premeva, avrei mancato la storia della mia città e la sensibilità espressa da tutti i colleghi che sono intervenuti, se non avessi rilevato questo dato. Mi rendo conto che rientrare sul tessuto legislativo, come dicevo poc'anzi, potrebbe comportare ritardi e non è compito del Governo, evidentemente, interferire con questa attenzione, ma, se ci dovesse essere un ordine del giorno, quantomeno in tal senso, il parere sarà positivo (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Braga ed altri n. 1-00003 e Santillo ed altri n. 1-00161 in materia di emergenza abitativa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Braga ed altri n. 1-00003 e Santillo ed altri n. 1-00161 in materia di emergenza abitativa (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che in data odierna è stata presentata una nuova formulazione della mozione Braga ed altri n. 1-00003. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Roberto Morassut, che illustrerà anche la mozione Braga ed altri n. 1-00003 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghi, per certi aspetti, confesso il mio imbarazzo per il fatto che il Parlamento, solo grazie a una iniziativa del Partito Democratico, si trova a discutere un documento sul tema dell'emergenza abitativa per stimolare il Governo ad assumere iniziative urgenti, che sono elencate nel testo, e che io non voglio elencare così pedissequamente, ma che i colleghi possono sicuramente vedere e che saranno affrontate nel dibattito e nel voto di domani.

Di questa questione, del tema dell'emergenza abitativa si parla retoricamente, ormai, da troppo tempo, potrei dire da decenni, anche nello stesso richiamo che, quasi in maniera rituale, si fa al ricordo del famoso Piano casa Fanfani. Il Piano casa Fanfani, nell'immediato dopoguerra, nel 1949, venne varato per dare una risposta abitativa a una situazione che nelle città era diventata esplosiva, una risposta abitativa parziale, perché, poi, nei decenni successivi, la domanda abitativa fu notevolmente in crescita, per l'esplosione demografica e per i problemi dell'immigrazione interna.

Il Piano Fanfani fu un programma di realizzazione di quartieri, di nuovi insediamenti popolari, attraverso gli istituti pubblici, in gran parte nelle zone esterne delle città, che sicuramente dette una risposta importante, sicuramente aveva, anche dal punto di vista urbanistico e architettonico, elementi di importantissima qualità, che ancora oggi si ritrovano come segni caratterizzanti di alcuni brani di periferia nelle grandi città, che aveva, però, anche il risvolto - questa non è una critica, ma una constatazione storica - di attivare, con le urbanizzazioni che venivano realizzate, la rendita delle aree fabbricabili stabilite dai piani regolatori precedenti alla guerra, quindi durante il regime fascista, che però non potevano essere realizzate, perché i costi delle urbanizzazioni, i costi delle infrastrutturazioni erano troppo alti persino per i promotori e per i proprietari delle aree.

Da allora, non c'è stato più granché, se si esclude - questa pagina va ricordata - la stagione degli anni Sessanta e Settanta, con i provvedimenti delle leggi n. 167 del 1962 e 765 del 1967, che hanno determinato un'ulteriore iniziativa importante delle amministrazioni per dare casa ai lavoratori, per dare casa a chi aveva problemi di fasce di bisogno, per chi aveva la difficoltà di accedere al bene casa, per chi magari non poteva accedere alle graduatorie dell'edilizia cosiddetta sovvenzionata, ma non aveva neanche le risorse per potersi comprare casa sul mercato privato. Quella stagione è stata dibattuta, discussa, con limiti, pregi, cose importanti, cose buone, cose meno buone. Non voglio entrare su questo, perché il tempo è poco, discutiamo dell'oggi. C'è stato un tentativo nei primi anni Duemila, l'Esecutivo era il Governo Berlusconi, di lanciare un nuovo piano casa. Questo piano casa, che poi è stato tradotto in tante leggi regionali, si è rivelato un fallimento, perché era basato sostanzialmente su un regalo alla rendita privata. Si diceva: si dà un 20 per cento in più - banalizzo, semplifico - alle iniziative private, e da questo 20 per cento poi ci sarà una quota che sarà data ai comuni per rimpinguare le disponibilità, per dare qualche cosa che possa essere messo in campo per rispondere alle domande del bisogno. Questo non è stato fatto, quella legge si è rivelata, sia a livello nazionale che a livello regionale, una legge di puro regalo della rendita, con pochissimi ritorni pubblici.

Quindi, siamo ancora da capo a dodici. La domanda abitativa è cresciuta, si è diversificata, non parliamo più soltanto delle famiglie tradizionali, parliamo del diritto allo studio, parliamo delle fasce deboli, fragili, ma parliamo anche di ceti medi che non sono in grado di acquisire ancora case sul mercato, ma non sono neanche nei diritti delle graduatorie, parliamo di anziani fragili, che non hanno più la possibilità di vivere in case troppo grandi, ma devono essere ricoverati, devono essere assistiti nelle RSA, parliamo degli studenti, parliamo delle nuove famiglie che provengono dall'immigrazione e da coloro che si sono inseriti e che fanno parte, ormai, della nostra comunità.

A questo bisogno si può dare risposta in varie forme e in vari modi. Sicuramente uno, centrale nella nostra mozione, è il tema della politica degli affitti. Al proposito, vi è una trascuratezza del Governo. Il Governo non è stato in grado finora di fare una proposta e di inserire un programma per affrontare il tema degli affitti, del sostegno agli affitti, delle morosità incolpevoli; il che significa non solo aumentare le risorse, ma anche velocizzare le assegnazioni ai comuni. Chi conosce la materia sa bene che il Fondo affitti è un fondo che viene trasferito alle regioni, le quali poi si occupano di trasferirlo, a loro volta, ai comuni. E quando queste regioni hanno comuni grandi al loro interno, penso a Roma, penso a Napoli, penso a Milano, ma anche a Torino, a Bologna, alle città che comunque arrivano a oltre 500.000 abitanti, la disponibilità di queste risorse può arrivare anche fino a 2 anni dalla deliberazione nazionale. Qui c'è un tema: mettere in condizioni le grandi città di poter accedere direttamente all'erogazione di alcuni fondi strutturali importanti, fondamentali, tra cui il Fondo per gli affitti, e aggiungo anche - apro e chiudo la parentesi - il Fondo trasporti, aumentare le risorse per gli affitti, ma anche varare un programma di nuove realizzazioni di case popolari, di insediamenti per case popolari, che tenga conto, innanzitutto, del fatto che non si può più allargare il perimetro delle città e che bisogna rispettare con grandissimo rigore il tema del contenimento del consumo di suolo.

Quindi non si può più fare né come il Piano Fanfani, né come le leggi n. 167 del 1962 e n. 765 del 1967, cioè utilizzare l'agro romano, espropriandolo, per realizzare nuovi insediamenti espansivi, ma bisogna stare nei perimetri dati. E, allora, qui ci sono tre carte che si possono utilizzare. La prima è l'acquisto sul mercato, da parte delle amministrazioni, con bandi, con incanti pubblici, di patrimonio privato invenduto, sapendo che questo tema, però, ha un limite, che il patrimonio privato invenduto, che viene acquisito attraverso l'acquisto delle amministrazioni pubbliche, con risorse che possono venire da investimenti dal PNRR, ma anche da altre fonti, e ne accenno rapidamente, è un patrimonio in gran parte vecchio, in gran parte non efficiente dal punto di vista ambientale ed energetico, e sul quale bisogna rimettere le mani.

La seconda carta è anche quella di acquisire da patrimoni di enti previdenziali, di enti pubblici, che sono da tempo in una fase di dismissione, ma anche questo è un patrimonio che ha i suoi anni, ha le sue vetustà, ha i suoi problemi. Questa è sicuramente una dimensione importante per rimettere, riabilitare, rigenerare patrimonio esistente e metterlo a disposizione di coloro che hanno bisogno di avere una casa in assegnazione o di poterla comprare, o, addirittura, mettere a disposizione questi alloggi per il diritto allo studio, per gli anziani o per nuove famiglie provenienti da altri Paesi.

Ma c'è poi il tema del nuovo: non possiamo pensare che il tema della casa possa risolversi soltanto attraverso operazioni di contenimento o aumentando la disponibilità delle risorse degli affitti oppure comprando case che sono già costruite e che magari, con una innovazione e con qualche piccolo intervento di restyling, si possano rendere compatibili con un vivere moderno e adeguato, anche perché c'è il grande problema della mixité sociale, cioè di come si dislocano queste famiglie sul territorio, di evitare situazioni di concentrazione eccessiva, di squilibri territoriali, che poi, come abbiamo visto, si propongono come drammatiche situazioni territoriali.

C'è il tema della compartecipazione, quindi, tra pubblico e privato, di realizzare, attraverso un rapporto tra il pubblico e il privato, operazioni di rigenerazione urbana che consentano, attraverso un programma di demolizione e di ricostruzione, attraverso, per esempio, la messa in campo di patrimonio pubblico esistente dismesso, che sono spesso scuole dismesse, uffici dismessi, comparti militari dismessi, caserme, di intervenire su questi beni, per potere, in quei sedimi e in quei luoghi, trasformarli in nuove case, efficienti, abitabili, a costo accessibile o, addirittura, tali da poter essere messe nelle graduatorie di un'edilizia sovvenzionata. Attraverso quali risorse? Perché l'altro corno del problema sono le risorse. Sicuramente, con parte delle risorse del PNRR, ma non ci dimentichiamo un fatto, che la Cassa depositi e prestiti ha istituito da tempo un programma al suo interno, di circa 200 milioni l'anno, per interventi di edilizia residenziale pubblica e di edilizia residenziale sociale. Sono poche le amministrazioni che accedono a questi fondi, perché sono poche le amministrazioni che hanno programmi da proporre, nel senso che le aree disponibili non ci sono, per i motivi che ho spiegato, non si possono trovare, ad esempio, sull'agro romano, e quindi i programmi sono difficili, se non si parte dall'utilizzo di un patrimonio esistente e costruito, dismesso, che va messo in circolo.

Quindi, è necessario cominciare a pensare, sia a livello locale sia a livello nazionale, alla costituzione di fondi immobiliari pubblici, sia locali che nazionali, che mettano insieme queste risorse e queste opportunità, che possano essere, attraverso un'azione di partenariato con i privati, riutilizzati, anche mettendo in campo incentivi urbanistici - è del tutto evidente che un privato ha costi maggiori in operazioni di demolizione e ricostruzione, di recupero di immobili che sono dismessi -, combinando, quindi, attraverso queste leve, operazioni di rigenerazione urbana.

E occorre fare in modo che le amministrazioni pubbliche ne possano trarre benefici, che la rendita e il profitto di queste valorizzazioni non vadano tutti ai privati, come è stato con il piano casa degli anni Duemila, ma possano essere trasferiti in parte al pubblico, creando beni, quindi, appartamenti, case, che possono essere messi a disposizione delle cosiddette fasce del bisogno e delle situazioni più critiche, avendo quindi le caratteristiche anche di una collocazione sul territorio sparsa e non concentrata.

Questa è la grande sfida di cui dobbiamo assumerci la responsabilità, sapendo che il bene della casa è sempre stato un problema per gli italiani. Il mutuo per acquistare una casa è sempre stato una sorta di ergastolo - mi scusi l'espressione un po' forte - per le famiglie italiane. Portarsi appresso un mutuo per trenta, quarant'anni è quasi un ergastolo. In quel mutuo, vi sono i costi alti delle rendite finanziarie, vi sono i costi delle aree che, in Italia, sono sempre stati alti, perché l'Italia è un Paese a capitalismo arretrato, che ha costruito la sua accumulazione primaria non sul sottosuolo, ma sullo sfruttamento del suolo; quindi, con un grosso peso del costo delle aree e con un grosso ruolo della rendita finanziaria, che ha alzato notevolmente i costi e ha costretto gli italiani, le famiglie italiane a indebitarsi e, indebitandosi, anche a compromettere il percorso di vita e di studi dei propri figli.

Tanti problemi che abbiamo sono riferiti a questo grumo, a questo problema. Quindi un Piano casa serio comporta - e ho concluso, Presidente - l'azione su vari tasti: l'affitto, la diversificazione dell'affitto, l'acquisto sul mercato di beni esistenti e l'intervento per rigenerarli e riadeguarli alle esigenze attuali, ma anche un piano di interventi sul nuovo che agisca non su suoli inesistenti, ma su comparti, su parti di città esistenti, da demolire e da ricostruire con patrimonio pubblico, in un'azione di partenariato pubblico privato. Questa è la strada che bisogna imboccare, anche avvalendoci, in parte, dei fondi del PNRR e, in parte, anche delle risorse messe a disposizione della Cassa depositi e prestiti, che esistono, ma non sono state attivate per le difficoltà di proposta dei comuni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata D'Orso, che illustrerà anche la mozione Santillo ed altri n. 1-00161, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

VALENTINA D'ORSO (M5S). Presidente. Colleghe e colleghi, una famiglia su quattro, negli ultimi anni, ha avuto difficoltà a pagare l'affitto. Nel 2021, oltre il 40 per cento delle famiglie ha avuto difficoltà a pagare l'affitto e ce lo dimostra un'indagine condotta dalla Banca d'Italia.

Oggi, la situazione si è ulteriormente aggravata, a causa della vertiginosa diminuzione del potere di acquisto delle famiglie, che va ad incidere sulle spese per l'accesso all'abitazione, che diventano sempre più onerose e insostenibili. E qual è la platea più colpita da questo disagio, da questa difficoltà? L'affitto è più diffuso proprio tra le famiglie meno abbienti, ma non solo, devo dire.

A vivere in affitto sono: le famiglie di più recente costituzione, il 40 per cento delle giovani coppie senza figli (le coppie ci pensano due o tre volte a fare figli, proprio perché vedono il loro reddito assolutamente assorbito, rosicchiato quasi del tutto dagli affitti); le persone single, con meno di 35 anni, che tentano di affrancarsi dal nucleo familiare d'origine; le famiglie numerose, con almeno tre minori (il 33 per cento); le famiglie monogenitoriali con un figlio minore a carico e il 73,8 per cento delle famiglie composte da soli stranieri. Questa è la fotografia.

Per queste famiglie il canone di locazione rappresenta la voce di spesa più rilevante tra tutte le voci di spesa che devono affrontare e i territori che esprimono maggiormente tale disagio si trovano nel Nord-Ovest del nostro Paese e, a seguire il Sud e le isole. Tuttavia, il disagio colpisce non solo i ceti a reddito molto basso o, addirittura, nullo, per i quali gli alloggi di edilizia residenziale pubblica sono sempre insufficienti. Oggi, colpiscono anche gli individui e i nuclei familiari svantaggiati che hanno un reddito troppo alto per vedersi assegnata una casa popolare, ma troppo basso per poter accedere alle locazioni del libero mercato. La deprivazione abitativa è uno degli indicatori che l'Unione europea utilizza per calcolare il numero di persone a rischio povertà ed esclusione sociale. In Italia, riguarda il 5 per cento della popolazione ovvero un milione e mezzo di famiglie. Ripeto, questa è la fotografia del Paese reale.

Innanzi a questa fotografia, certamente drammatica, il Governo finora non ha detto una parola, che sia una, sulle azioni e gli interventi che intende intraprendere per affrontare il problema. Tutte le iniziative che ha posto in essere finora hanno avuto, sembrerebbe, come obiettivo - ma sicuramente come effetto - quello di aggravare questa situazione. La prima legge di bilancio targata Meloni ha visto azzerare il Fondo per il sostegno all'affitto, nonché quelle del Fondo per la morosità incolpevole.

Il decreto Lavoro ha ridimensionato di moltissimo la platea di coloro che beneficeranno dell'assegno di inclusione - ora si chiama così - che avrebbe anche una parte di contributo per l'affitto, però quella platea, ribadisco, è più ridotta rispetto a quella del reddito di cittadinanza. In ultimo, sempre con il decreto Lavoro, cosa ha fatto il Governo? Ha praticamente assunto a regola il lavoro precario.

Mi chiedo se la Presidente Meloni sappia che, oggi, i proprietari di casa, prima di affittare a un potenziale inquilino, chiedono di vedere la busta paga. Quei proprietari di casa, quando non vedono un contratto di lavoro a tempo indeterminato e una paga congrua, non affittano le loro case. Non le affittano. Mi chiedo se questo Governo sappia che il diritto all'abitazione è espressamente previsto dalla Carta sociale europea, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Nel 2021 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che impone agli Stati membri di garantire a tutti i cittadini - dico tutti - la possibilità di accedere a un alloggio dignitoso.

Sebbene non sia espressamente previsto dalla nostra Costituzione, sappiamo benissimo - e ci sono fiumi di giurisprudenza costituzionale al riguardo - che il diritto all'abitazione è il presupposto per l'esercizio di altri diritti fondamentali. Due esempi per tutti: il diritto all'istruzione e il diritto alla salute.

Questo contesto normativo, che ho appena richiamato in modo veramente celere, impone allo Stato di intervenire in modo efficace e strutturale per prevenire e contrastare il disagio abitativo. Allora, le politiche abitative serie e lungimiranti dovrebbero poggiare su due pilastri che sinora - lo dobbiamo ammettere -, in Italia, hanno scricchiolato e non hanno costituito fondamenta solide. Un primo pilastro è sicuramente una programmazione nazionale pluriennale di edilizia residenziale pubblica, a consumo di suolo zero, adeguatamente finanziata. Un secondo pilastro è costituito sicuramente da quelle misure a sostegno della parte debole nei contratti di locazione per consentire ai soggetti economicamente più fragili di accedere al mercato delle locazioni tra privati.

Per quanto riguarda il primo pilastro, c'è da dire che, a partire dalla legge n. 457 del 1978, sono stati approvati numerosi stanziamenti per piani di edilizia residenziale pubblica convenzionata e ve ne sono stati altri negli anni Ottanta: c'è stata la legge n. 179 del 1992. Tuttavia, dobbiamo ammettere che tutti questi piani non sono andati a segno. Purtroppo, l'offerta di alloggi è stata sempre carente nel nostro Paese.

Sarebbe necessario andare a fare innanzitutto una ricognizione di tutte quelle risorse stanziate proprio con i provvedimenti che ho citato, nel corso di questi trent'anni, quasi quaranta, per capire come le regioni e gli altri soggetti pubblici, cui era attribuita o meglio affidata la realizzazione di questi piani di edilizia residenziale pubblica, abbiano utilizzato queste risorse e se ve ne siano altre, come vi sono, ancora inutilizzate, da poter reinvestire, sempre per questa programmazione e rispondere a queste esigenze, anche tramite, ad esempio, la nomina di commissari ad acta per portare a completamento i piani rimasti incompleti.

Questo è un primo intervento che noi, come Movimento 5 Stelle, con la nostra mozione, suggeriamo.

Per quanto riguarda il secondo pilastro, i due fondi che ho citato prima hanno ricevuto sicuramente alcune criticità, soprattutto il Fondo per la morosità incolpevole. Chi ha approfondito la materia sa che vi sono tanti paletti, quasi una corsa a ostacoli per ottenerli. Sicuramente, la criticità più rilevante è quella di aver previsto una specie di erogazione a cascata.

Lo diceva bene il collega Morassut prima. Le risorse vengono stanziate dallo Stato, però poi vengono trasferite alle regioni e poi, a cascata, devono essere trasferite ai comuni. Per rispettare questa filiera si perde tanto tempo, l'erogazione è intempestiva e poco agevole. Noi abbiamo anche su questo alcune proposte per rendere più accessibile e più agevole l'erogazione dei fondi, sia del Fondo per l'affitto sia del Fondo per la morosità incolpevole, ma il presupposto è che questo Governo e questa maggioranza rifinanzino questi Fondi e lo facciano con risorse assolutamente adeguate. A monte ci vuole una volontà in tal senso.

Abbiamo anche ulteriori misure da poter introdurre. Abbiamo un Fondo di garanzia. Abbiamo suggerito, in questa mozione, un Fondo di garanzia soprattutto per i nuclei familiari più fragili, quelli di nuova costituzione che vediamo essere in difficoltà nell'accedere agli affitti. Riteniamo, infatti, che, laddove ci siano buste paga non solide e vi sia un problema di futura solvibilità, sia lo Stato quanto meno a farsi garante di questi soggetti, di questi nuclei familiari per consentire l'accesso al mercato delle locazioni, tra privati, a questi soggetti. C'è sicuramente anche da intervenire sugli incentivi fiscali, proprio per incentivare la rinegoziazione in diminuzione dei canoni di locazione tra privati, c'è da incrementare la percentuale di detrazione dei canoni di locazione, per far sì che non sia così tanto pesante l'incidenza sul reddito dei canoni di locazione. Questo è un ventaglio di misure che noi proponiamo, un nuovo programma pluriennale per l'edilizia residenziale pubblica, ovviamente a zero consumo di suolo, mediante ricognizione di tutto il patrimonio pubblico inutilizzato, dismesso, da riqualificare, con un efficientamento energetico da affrontare.

Mi collego, infine, ad un tema correlato, sicuramente, che è quello della qualità dell'abitare. Occorre garantire non solo un alloggio ma alloggi dignitosi, decorosi ed economicamente ed energeticamente sostenibili. Questa deve essere la visione per il futuro. Bisognerebbe rilanciare il superbonus 110 per cento, invece di affossarlo, e bisognerebbe, in particolare, reintrodurre lo sconto in fattura e la cessione dei crediti, quei meccanismi che garantivano la possibilità di accedere alle ristrutturazioni proprio alle fasce più deboli della popolazione, quelle che non hanno una capienza fiscale tale da poter operare col credito d'imposta. Se non si ha la possibilità, una capienza fiscale tale da poter usufruire di un credito di imposta, l'unica soluzione per chi è in difficoltà è lo sconto in fattura, con la cessione del credito. Se si avesse a cuore la riqualificazione degli alloggi delle fasce più deboli della nostra popolazione, bisognerebbe reintrodurre questo meccanismo. Bisognerebbe scrivere, finalmente, i decreti attuativi per le comunità energetiche per lo stesso motivo, perché diventi sostenibile la spesa per le utenze, correlata a quella per l'abitazione, la spesa per l'energia. Bisognerebbe avere anche un piano di ripopolamento dei borghi delle aree interne e un piano di co-housing che, poi, è una visione del futuro che ci impone anche la prospettiva europea. È sicuramente necessario, inoltre, un incremento dei servizi essenziali in tutti gli insediamenti residenziali, perché non possiamo più avere dei ghetti, non possiamo più avere dei quartieri dormitorio. Tutto questo deve essere eliminato dalla configurazione stessa delle nostre città, delle nostre comunità. Mi piace di più parlare di comunità che non di città. Con questa mozione vi offriamo un ventaglio di soluzioni, un ventaglio di iniziative. Abbiamo le idee chiare su come affrontare questo problema che impatta sulla vita di milioni di cittadini, come ho cercato di dirvi all'inizio del mio intervento, e, quindi, continueremo ad insistere, con tutte le azioni possibili, per sensibilizzare un Governo ed una maggioranza che sul tema, fino ad oggi, sono stati totalmente assenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Ciani. Ne ha facoltà.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, affrontiamo oggi attraverso queste mozioni il tema dell'emergenza abitativa, tema importante e purtroppo drammatico ancora per troppi nostri concittadini. È un fenomeno in evoluzione, che va studiato, conosciuto e compreso per capire come intervenire nel migliore dei modi. Ci troviamo ad affrontare questo tema dopo che il Governo ha deciso di non rifinanziare il contributo all'affitto né il Fondo per la morosità incolpevole, gli unici ammortizzatori sociali che erano rimasti nel settore delle locazioni.

Il primo ragionamento che vorrei accennare è proprio quello sul concetto di emergenza. Purtroppo, da tempo i temi della casa, della mancanza di casa, e della precarietà abitativa sono vissuti come reale emergenza solo da coloro che li subiscono e da pochissimi che con loro se ne occupano e provano a trovare soluzioni. Per lo Stato, a giudicare da come se ne occupa, questa realtà non è trattata realmente come emergenza ma solo, al massimo, nominalmente. Infatti, da tempo la crisi abitativa è divenuta una crisi sistemica e in quanto tale sarebbe bene affrontarla. Il termine emergenza, peraltro, è ampiamente abusato nell'amministrazione pubblica anche per altre vicende, in maniera talvolta grottesca, come quella che riguarda l'emergenza freddo o l'emergenza caldo, legata a fenomeni meteorologici che si ripetono annualmente, e si vanno così a svilire quelle situazioni che sono realmente emergenziali, come i terremoti o come quella che stiamo vivendo in questo tempo, a seguito delle alluvioni in Emilia. Ma il termine emergenza non è un termine neutro, l'emergenza ricerca, per l'appunto, risposte emergenziali, quindi non definitive, non prospettiche, per rispondere all'immediato, nel migliore dei casi, spesso aggirando le norme e comunque senza una pianificazione che aspiri ad essere risolutiva. Così le emergenze in Italia durano decenni, precarizzando le situazioni, perpetuando le incertezze, le irregolarità, gli abusi, perdendo il pathos vero del dramma. Noi vorremmo rispondere al dramma dell'emergenza abitativa vera guardando alla vita reale di tanti concittadini e proponendo misure rapide e indispensabili dinanzi ai loro bisogni ma, contemporaneamente, guardare la realtà di un Paese in evoluzione e provare a implementare nuove politiche sulla casa di prospettiva. che diano risposte nel tempo. Veniamo da anni difficili, quelli della pandemia, che hanno molto da dire anche sull'argomento di cui oggi parliamo, anni in cui sono stati messi in campo provvedimenti eccezionali, certamente condivisibili per la dimensione degli eventi ma che ci hanno anche disvelato, in maniera nuova, le grandi disuguaglianze presenti nel nostro Paese e nelle nostre città. Penso solo al nome della misura riassuntiva dei primi provvedimenti: io resto a casa. Giusto, ad avercela una casa, avrebbero potuto rispondere le migliaia di senzatetto del nostro Paese. In quei giorni, qualcuno ha parlato del virus come di una odierna livella, ricordando Totò, ma così non è stato. Non lo è stato tra Paesi che hanno sistemi sanitari diversi tra loro, e, quindi, conseguenze diverse sulla popolazione, e non lo è stato nel nostro Paese e nelle nostre città. Se quella situazione, infatti, ci ha messo tutti dinanzi ad alcune domande di fondo, non ci ha però reso tutti uguali. Lo abbiamo capito subito, ad esempio, guardando il mondo delle carceri, lo abbiamo capito guardando alla scuola e alla presenza di tanti bambini e ragazzi disabili nelle scuole. C'è stato poi l'universo degli anziani, connesso a doppio filo con la grande malattia del nostro tempo, la solitudine. Ci sono poi i tanti che vivevano e vivono un po' alla giornata, con lavoro in nero, lavoretti occasionali, aiuti, solidarietà ricevuta. Potremmo continuare. Pensiamo a cosa abbia voluto dire “io resto a casa” per chi viveva in un campo rom o in un centro di accoglienza e abbiamo anche assistito al paradosso di alcuni senza dimora che, in quei giorni, sono stati multati perché trovati in strada. Pensiamo anche ai bambini, alle persone che vivono in case inadeguate, sovraffollate, a quelli che non comparivano nelle foto sui social di quel periodo.

Ecco, tutto questo si è intrecciato profondamente con il tema della casa. Proviamo allora, con i dati a nostra disposizione, a comprendere meglio il fenomeno di cui parliamo. I dati del 2021 dell'Istat ci mostrano 18 milioni di famiglie, il 70 per cento del totale in Italia, come proprietarie dell'abitazione in cui vivono, mentre 5 milioni, circa il 20 per cento, vivono in affitto e 2 milioni dispongono dell'abitazione in usufrutto o a titolo gratuito. Le famiglie proprietarie di un'abitazione, che pagano un mutuo, rappresentano il 12,8 per cento del totale, circa 3,3 milioni di famiglie. In corrispondenza, sono 42,7 milioni, il 72 per cento, gli individui che vivono in case di proprietà, 11,8 milioni vivono in affitto e 4,4 milioni in usufrutto o in uso gratuito.

Come noto, sin dal dopoguerra le famiglie italiane hanno mostrato un'elevata propensione all'acquisto dell'abitazione. Secondo i dati Eurostat più recenti, quelli relativi al 2020, la percentuale di individui che vive in affitto a titolo gratuito, pari in Italia al 24,9 per cento, resta significativamente inferiore alla media dei Paesi dell'area euro, che si attesta al 34 per cento. L'affitto è più diffuso tra le famiglie meno abbienti. Nel quinto di famiglie più povero, la percentuale di quelle in affitto è pari al 31 per cento. Tale valore scende al 24 per cento nel secondo quinto, rimanendo al di sopra della media nazionale. La percentuale si riduce all'11 per cento tra le famiglie più benestanti, quelle che appartengono all'ultimo quinto di reddito equivalente. A vivere in affitto sono le famiglie di più recente costituzione, il 48 per cento delle persone sole con meno di 35 anni e il 40 per cento delle giovani coppie. Percentuali elevate si osservano anche tra le persone sole di 35-64 anni, tra le famiglie monogenitoriali con figli minori e tra quelle con almeno 3 minori. Vive, infine, in questa condizione il 35 per cento delle famiglie in cui il principale percettore di reddito è disoccupato e il 68 per cento delle famiglie con stranieri. La quota sale al 73 per cento per le famiglie composte da soli stranieri, tra le quali poco più di 1 famiglia su 2 vive in una casa di proprietà.

Le famiglie meno abbienti riescono con più difficoltà a sostenere il peso finanziario di un mutuo. Solo il 6 per cento delle famiglie del quinto più povero ha accesso ad un mutuo, contro il 18 per cento delle famiglie del quarto e il 17 per cento delle famiglie dell'ultimo quinto. Sono, giocoforza, le famiglie di più recente costituzione quelle che accedono con più frequenza a un mutuo. Si osserva, inoltre, una differenza significativa tra Nord e Mezzogiorno: il 15 per cento delle famiglie contro il 9,1 per cento a vantaggio della prima ripartizione.

L'incidenza di povertà assoluta è maggiore tra le famiglie che vivono in affitto. Nel 2021, le oltre 889.000 famiglie povere in affitto corrispondono al 45 per cento di tutte le famiglie povere, con un'incidenza di povertà assoluta pari al 18 per cento, contro il 4,3 per cento di quelle che vivono in abitazioni di proprietà. L'analisi del titolo di godimento dell'abitazione mostra come l'incidenza di povertà assoluta delle famiglie dove sono presenti minori sia pari al 28 per cento se la famiglia è in affitto, contro il 6,4 per cento di quelle che posseggono un'abitazione di proprietà e il 13 per cento delle famiglie in usufrutto o in uso gratuito. Cioè, è opportuno tenerlo in debito conto, i bambini di cui spesso parliamo e che tanto vorremmo, vivono di più nelle case in affitto e tra chi è più indietro economicamente. Le famiglie in affitto residenti nel Mezzogiorno mostrano valori dell'incidenza di povertà assoluta pari al 22 per cento, rispetto al 17 per cento del Nord e al 15 per cento del centro.

Oltre il 70 per cento delle famiglie italiane risiede in immobili costruiti prima del 1990 e oltre una famiglia su 10 vive in abitazioni precedenti al 1950: si tratta del 18 per cento delle famiglie che vive nei centri di area metropolitana. Quelle che vivono in abitazioni costruite dal 1990 al 2021, pari al 23 per cento, sono più frequenti nei comuni delle periferie delle aree metropolitane e nei comuni tra i 10.000 e i 50.000 abitanti. Sono, in generale, le famiglie più abbienti ad abitare in immobili di costruzione più recente.

Nel 2021, la presenza di strutture danneggiate - tetti, soffitti, finestre e pavimenti - riguarda circa il 12 per cento delle famiglie residenti, mentre il 14 per cento lamenta problemi di umidità nei muri, nei pavimenti, nei soffitti e nelle fondamenta. Le spese per l'abitazione - condominio, riscaldamento, gas, acqua, altri servizi, manutenzione ordinaria, elettricità, telefono, affitto, interessi passivi sul mutuo - rappresentano una parte significativa del bilancio familiare e possono incidere soprattutto sulla capacità di spesa delle famiglie meno abbienti. L'incidenza delle spese per l'abitazione è, ovviamente, più alta per le famiglie in affitto, arrivando a quasi un terzo del loro reddito, quasi il 28 per cento; valore superiore anche a quello delle famiglie proprietarie, con mutuo al lordo della quota in conto capitale. Le situazioni considerate di maggiore vulnerabilità, ossia quella in cui il rapporto tra le spese per l'abitazione e il reddito appare particolarmente elevato, si individuano così tra le persone sole, in particolare quelle fino a 34 anni, tra le famiglie monogenitoriali con figli minori e tra le giovani coppie.

Dinanzi a questo quadro, il definanziamento del Fondo per il sostegno all'affitto e del Fondo per la morosità incolpevole ci appare particolarmente grave. Inflazione, caro bollette, calo del potere d'acquisto dei salari e mancanza di alloggi a prezzo accessibile: questi sono gli ingredienti dell'emergenza abitativa, oggi, in Italia, che si sta verificando e sta crescendo ogni giorno. Sono sempre di più le famiglie sotto la soglia di povertà, sotto sfratto o in attesa di una casa popolare. Negli ultimi anni, trovare un'abitazione in affitto è sempre più difficile: la domanda cresce, mentre l'offerta fatica a tenere il passo, anche a causa dell'aumento degli affitti turistici e della finanziarizzazione del mercato immobiliare. Soprattutto nelle grandi città, nella nostra capitale, i prezzi sono sempre più alti, spesso non giustificati dallo stato degli immobili.

La casa è il luogo primario per la propria indipendenza, in cui formare una famiglia e a cui ognuno dovrebbe aver diritto. La grave sofferenza in cui si trovano troppe persone nel nostro Paese rispetto all'accessibilità all'abitare è uno dei drammi principali per troppi. Molto spesso, le nostre città hanno troppi spazi, pubblici e privati, e troppe case vuoti e troppe persone senza una casa. I numeri sono impressionanti, spesso esistono città nella città in crisi abitativa. C'è il grande tema della gestione dell'edilizia residenziale pubblica. Ci sono, poi, case appartenenti ad enti o ad ex istituti come le IPAB. È chiaro che vedere, ancora oggi, tanti immobili ERP occupati è uno schiaffo alla giustizia e a chi onestamente cerca di risolvere il proprio disagio abitativo.

Molti cambiamenti sono occorsi nel nostro Paese in questi decenni. Pensiamo a quelli demografici, con la riduzione del numero dei componenti del nucleo familiare, all'avanzata dell'età media, alla crescita del numero degli anziani, al fenomeno della solitudine e dei nuclei monoparentali, ai temi legati ai giovani e agli studenti universitari, ai temi legati all'ambiente e alla crisi energetica, a quelli economici legati alla precarizzazione del lavoro, ai fenomeni legati alle migrazioni e ai nuovi cittadini.

Noi proponiamo interventi che tengano conto della mutata realtà del Paese e che, in base a tali cambiamenti, debbano essere innovativi e, in alcuni casi, sperimentali. Sono proposte di buonsenso, che partono dalla vita reale delle persone delle nostre città e che vorrebbero aprire una nuova stagione, in cui la casa sia un diritto considerato realmente da tutti. I temi della casa e dell'abitare sono per noi una priorità, su cui credo sia necessario intervenire anche per ricreare giustizia sociale. Da un lato, infatti, si dà per scontato che la casa sia il luogo primario in cui vivere e crescere, dall'altro, è innegabile, a tante persone questo diritto viene ancora negato. Ecco, Presidente, è giunto forse il tempo di cominciare a rimediare a questa ingiustizia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massimo Milani. Ne ha facoltà.

MASSIMO MILANI (FDI). Grazie, Presidente. Siamo qui, oggi, per parlare di due mozioni presentate da due gruppi di opposizione. Preannuncio, innanzitutto, che, sicuramente, il tema è all'attenzione, sia del Governo sia della maggioranza, e quindi, sia come Fratelli d'Italia sia, immagino, anche come maggioranza, presenteremo una nostra mozione nei prossimi giorni.

Questo a conferma, sicuramente, dell'importanza e dell'attenzione sul tema. Nel mio intervento, quindi, farò alcune considerazioni sul tema, che poi ci riserviamo di tradurre in una mozione. Dai 300.000 ai 500.000 alloggi sarebbe, in questo momento, l'esigenza da più parti indicata, a seconda degli uffici studi, soprattutto nei contesti urbani. È chiaro che questa esigenza è frutto soprattutto di trasformazioni; non abbiamo più famiglie patriarcali, come 60-70 anni fa, ma abbiamo sempre più famiglie monogenitoriali o, addirittura, mononucleari e, quindi, è chiaro che l'esigenza alloggiativa è cambiata nel tempo ed è aumentata anche in numero. Segnalo che la popolazione italiana sicuramente non è cresciuta in maniera così abnorme; considerando che, se ci riferiamo solo al discorso di edilizia residenziale pubblica, in questo momento abbiamo 800.000 alloggi in Italia, pensare che ne servano altri 500.000 probabilmente è un po' eccessivo. Indubbiamente, però, c'è il problema, ed è un'esigenza a vari livelli. Giustamente, in alcuni tratti delle mozioni, si è evidenziato che non è solo un problema di fasce sociali deboli. In particolare, si accede al mercato dell'affitto da parte di diverse fasce sociali. È ovvio che qui ci interessa e molto più ci appassiona quanto accade nei quartieri di edilizia residenziale pubblica e di edilizia agevolata e, soprattutto, nei contesti urbani. Tale esigenza comunque c'è, nonostante i piani e i fondi nazionali messi a disposizione per rendere disponibili immobili in affitto, ad opera di quanti in precedenza preferivano non mettere il proprio appartamento in affitto, a causa delle difficoltà di sgombero in caso di morosità, anche incolpevole. Quindi, il fondo per le morosità sicuramente è stato molto importante e ha dato la possibilità di aiutare a liberare il mercato privato da alcuni lacci, però non è certo servito del tutto ed è una misura insufficiente. Viene richiesto di rifinanziarlo, ma sicuramente non è questo che risolve il problema, ma è solo una delle risposte possibili, come le leggi sull'edilizia agevolata e sovvenzionata, l'housing sociale, i programmi straordinari di rigenerazione, l'ultimo dei quali è il PINQuA, all'interno del PNRR, che stanzia 2,8 miliardi, con 159 interventi ammessi. Eppure, a distanza di decenni, da quando io stesso ho sentito parlare per la prima volta di emergenza abitativa, siamo ancora qui a discutere di come affrontare questa esigenza, che continuiamo, anzi, a chiamare emergenza. Si impone, quindi, una riflessione. Al di là di quanto il legislatore, con i suoi tempi, recepisce e trasforma in norme, esiste un problema di attuazione dei programmi da esso definiti; esiste anche qui il tema dell'efficienza della pubblica amministrazione. È un problema che non dobbiamo sottovalutare: possiamo continuare a fare le norme che vogliamo ma, se poi troviamo difficoltà nell'attuazione, è chiaro che non abbiamo risolto il problema e i problemi rimangono.

Con riferimento alle proposte delle due mozioni, vorrei fare, con voi, una riflessione. Se parliamo di esigenza abitativa nelle grandi città, è evidente che si tratta di quel fenomeno di conurbamento e, di conseguenza, di spopolamento delle aree interne, che da più tempo tutte le forze politiche denunciano e annunciano, in qualche modo, anche di contrastare, perché i fenomeni di conurbamento sono insiti nella società moderna e comportano tanti problemi. Il primo e il più grande è lo spopolamento delle aree interne, su cui, in effetti, anche nella mozione del MoVimento 5 Stelle - ricordo questa, in particolare - giustamente si è posta l'attenzione. Infatti, il nostro territorio è bello e conservato, anche perché abitato in tutte le sue parti, anche laddove non ci sono ricchezza e servizi come nelle città. Ma questo era nel passato, più avanti accennerò su quello che si può fare sul tema.

Noi crediamo che, più che continuare a costruire nelle periferie delle grandi città, si debbano creare le condizioni normative a tutti i livelli - quindi, Stato, regioni, comuni - per avviare una vera rigenerazione urbana. Dobbiamo considerare le periferie per quello che sono: parti di città che, oggettivamente, sono trasformabili, in quanto non sono vincolate dalla storia e dall'architettura, come sono, invece, i centri storici. Qui, nelle periferie, abbiamo la possibilità di ripensare interi quartieri, intanto, portandovi lavoro, uffici pubblici, università e aziende di produzione. Qui si possono realizzare le vere smart city, che da ormai più di un decennio sentiamo annunciare, le comunità energetiche, altro nuovo modello che abbiamo implementato a livello normativo, queste sicuramente si possono attuare nelle periferie, e la vera rigenerazione urbana non solo dei singoli edifici, ma di interi quartieri, che potranno trasformarsi dall'essere dormitori al servizio dei centri storici e di quelli che sono i centri finanziari e i centri istituzionali. In sostanza, dobbiamo pensare questi quartieri periferici come nuove centralità; essi si possono e si dovranno trasformare in nuove centralità cittadine, che offrano la possibilità di vivere e lavorare nello stesso quartiere o, al limite, nel quartiere contermine, evitando, quindi, quel flusso costante che c'è tra le periferie e il centro. E chi dovrebbe attuare questa trasformazione? Ovviamente, imprese di costruzioni private, con fondi di investimento, fondi immobiliari, ma primariamente i grandi attori pubblici, quelli che sono i grandi proprietari immobiliari, primi fra questi, gli istituti autonomi case popolari e le aziende che, nel tempo, da essi hanno avuto origine, come l'ATER di Roma, ad esempio, l'ALER di Milano e le altre decine di aziende pubbliche, che dovranno essere messe in condizione di assolvere a questa nuova missione: non più e non solo dare risposta all'esigenza abitativa a costo calmierato, perché questo è quello che hanno fatto per 50, 60 anni e forse anche di più, anche 70 anni, ma, invece, essere i motori della trasformazione, forti delle grandi proprietà sia di edifici sia di terreni. Infatti, è chiaro che la sostituzione edilizia è possibile da parte di grandi proprietà unitarie, è molto più difficile da attuare, chiaramente, in contesti di proprietà diffusa e sappiamo come in molte città, soprattutto nel Centro-Sud, questo è il grande problema della trasformazione; però, partiamo da lì dove ci sono grandi proprietà, soprattutto pubbliche.

Quindi, sicuramente sono interessanti gli stimoli che vengono da queste mozioni a continuare a investire con incentivi fiscali su queste aziende pubbliche, ma noi crediamo che la via migliore non sia quella di continuare a investire sugli edifici esistenti; serve più coraggio, bisognerà favorire la sostituzione edilizia, la demolizione e ricostruzione, con l'obiettivo di avere edifici più efficienti energeticamente, ma soprattutto più sicuri sismicamente e, permettetemi, più a dimensione umana, più belli, dove la qualità dell'abitare sia un concetto importante, espresso nella fase della formulazione del progetto, soprattutto per coloro che avranno la possibilità e la volontà di andarci a vivere.

Poi, basta con interi quartieri ERP, bisognerà favorire la rigenerazione dei quartieri periferici con un mix di edilizia libera, edilizia agevolata, edilizia sovvenzionata, in modo da ottenere anche, di conseguenza, un giusto mix sociale.

Vorrei fare un ultimo cenno alle aree interne, come conseguenza del ragionamento che facevo in precedenza, a quei piccoli borghi che caratterizzano l'intero territorio nazionale, e non solo. Per tutelare il nostro paesaggio è a loro che dobbiamo pensare; dobbiamo incidere fortemente sul trattenere le giovani generazioni in queste realtà; quindi, non poniamoci solo la domanda di come si dia una risposta abitativa nelle grandi città, che sicuramente è il problema più forte, lo vediamo anche dai fenomeni sociali sconvolgenti, come quelli che stanno accadendo, ad esempio, in questi giorni da ultimo, appunto, nelle banlieue francesi, parigine in particolare.

È chiaro che creare quartieri dormitorio può generare disagio sociale, esso stesso, la sola costruzione di essi, il solo aggregare insieme tante difficoltà. Quindi, noi che abbiamo un patrimonio così diffuso poniamoci la domanda, la necessità di rilanciare anche l'abitare nei piccoli centri.

Oggi, nell'era digitale, a fianco ai lavori tradizionali, artigianali, agricoli e di allevamento, in queste aree interne è possibile attirare anche nuove tipologie di lavoratori, che, slegati dalla necessità di recarsi su un luogo di lavoro fisico, possono ben decidere di abitare in luoghi più belli, connessi digitalmente, magari autosufficienti dal punto di vista energetico, perché sarà più facile, forse, realizzare comunità energetiche anche in questi contesti. Veramente le nuove tecnologie e i nuovi lavori possono rappresentare la rinascita di molti piccoli centri e così si potrà contribuire alla necessità abitativa, ma, ovviamente, servono infrastrutture, di trasporto, di digitalizzazione. Il legislatore, noi, potremo favorire questo processo inverso al conurbamento con interventi di defiscalizzazione e di agevolazione alla trasformazione immobiliare, che chiamerei, lanciando un'idea su questo, come rinascita dei borghi d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Quartini. Ne ha facoltà.

ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. Forse - faccio una battuta e, tramite lei, comunico con l'onorevole Milani -, gran parte delle cose che ha detto sono già contemplate nella nostra mozione, quindi, da questo punto di vista, forse potrebbe non presentare la mozione e vedere, nei contenuti, se si riesce ad impegnare il Governo su alcune linee…

PRESIDENTE. Le ricordo di rivolgersi alla Presidenza e non direttamente ai deputati. Chiedo scusa, ma è una prescrizione necessaria.

ANDREA QUARTINI (M5S). Ha fatto bene, Presidente, all'inizio avevo detto “tramite lei”, appunto. Noi sappiamo che il diritto all'abitazione non è previsto dal punto di vista della nostra Costituzione fra i diritti fondamentali, tuttavia sappiamo che è condizione, è precondizione per l'esercizio di altri diritti. Non a caso, da questo punto di vista, molti sono i riferimenti a livello anche internazionale, oltre che di Corte costituzionale, che vanno in questa direzione. Giusto per ricordare all'Aula, l'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani recita che: “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di difficoltà di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”. Sempre la Dichiarazione universale dei diritti umani dice che: “La maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale”. Quindi, va da sé questo diritto all'abitazione come precondizione all'esercizio di tutti gli altri diritti.

La Carta sociale europea rinforza questo e, all'articolo 31, dice che tutte le persone hanno diritto all'abitazione; questo diritto è previsto anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea all'articolo 34, nel quale si prevede che l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza abitativa, al fine di garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti.

Quindi, il diritto alla casa, intesa come alloggio, abitazione, riparo rappresenta una precondizione per il godimento di diritti fondamentali, come il diritto alla salute, alla riservatezza, alla sicurezza, all'inviolabilità del domicilio. È una misura fondamentale della dignità e della libertà della vita umana. Tale diritto andrebbe valutato anche in ordine all'adeguatezza dell'abitazione rispetto ai bisogni della persona e della sua famiglia. In tal senso il disagio abitativo rappresenta senza dubbio una delle testimonianze più eloquenti di una realtà che attenta quotidianamente a valori primari tutelati dalla Costituzione. In questa cornice di riconoscimento di questo diritto fondamentale noi assistiamo ad una diminuzione del potere d'acquisto dei salari conseguente alla crisi economica, che si è aggravata in seguito al conflitto in atto in Ucraina e ha acuito il problema dell'affordability, ossia delle spese per l'accesso all'abitazione che diventano sempre più onerose e pesano gravemente sui bilanci familiari.

Non sto a soffermarmi su tutti i dati statistici che sono stati ben elencati dai colleghi prima di me; in particolare Valentina D'Orso ha fatto un excursus significativo. Una famiglia su quattro negli ultimi anni ha avuto difficoltà, il 40 per cento delle famiglie nel 2001 ha avuto grossi problemi, e lo certifica la Banca d'Italia. Ci sono individui che hanno un reddito troppo alto per vedersi assegnare la casa popolare, ma troppo basso per poter entrare nelle graduatorie delle case popolari.

Quindi è un momento particolarmente delicato e la deprivazione abitativa, che è uno degli indicatori utilizzati dall'Unione europea per calcolare il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale, ci dice che in Italia il 5 per cento della popolazione è a questo rischio, a fronte di una media del 4 per cento negli altri Paesi europei. Quindi è chiaro che occorre considerare anche la questione non marginale dell'esclusione abitativa grave riferita anche alle cosiddette popolazioni speciali, ovvero le popolazioni elusive costituite da persone senza tetto, senza dimora o che vivono in campi attrezzati o negli insediamenti spontanei.

Di quanto avremmo bisogno era stato sottolineato prima, Presidente, anche dall'onorevole Milani: 500.000 alloggi necessari, vanno forse stimati un pochino meglio, però noi sappiamo che, per esempio, rispetto alle persone che avrebbero diritto a un alloggio popolare, viene soddisfatto soltanto dal 3 al 6 per cento di coloro che lo richiedono ogni anno. Vuol dire un numero troppo basso. Così come le varie agenzie che gestiscono, Casa Spa in generale, non riescono a far fronte alla necessità di ripristino delle abitazioni sfitte e anche a una riqualificazione. In questo senso anche la parte superbonus 110 per cento almeno per l'edilizia e per il contesto dell'housing sociale dovrebbe essere presa in considerazione, così come le comunità energetiche dovrebbero andare in quella direzione.

Certo ci vuole coraggio per fare questo tipo di operazione, oltre che soldi. Certo è che sono lontani e remoti i tempi in cui un grande uomo, che voglio citare oggi, non a caso anche un grande sindaco, requisendo di fronte all'emergenza abitativa abitazioni vuote e sfitte, mostrando quindi un altrettanto grande coraggio, scriveva: devo lasciarmi impaurire da queste denunce penali, che non hanno nessun fondamento giuridico e tanto meno morale, o devo continuare, e anzi con energia maggiore, a difendere, come posso, la povera gente senza casa e senza lavoro? Un sindaco che per paura dei ricchi e dei potenti abbandona i poveri - sfrattati, licenziati, disoccupati e così via - è come un pastore che, per paura del lupo, abbandona il suo gregge.

Giorgio La Pira, evidentemente, non temeva l'abuso d'ufficio, questo è un dato. Giorgio La Pira, detto anche il sindaco buono, era una persona straordinaria, di un'umanità incredibile. Non si è mai sottratto all'accogliere qualcuno, non si è mai sottratto al suo dovere civico. È stato un insegnante e un maestro per molti di noi, perlomeno quelli della mia generazione. Ricordiamo che un buon piano casa può rappresentare anche una grande opportunità di riqualificazione urbana, con interventi sul patrimonio edilizio esistente, senza sprecare altro territorio.

Se si fa una legge a consumo zero di suolo, la si sottoscrive tutti immediatamente, chiunque la proponga.

Non è importante chi lo faccia, ma è una cosa importante, perché abbiamo le risorse per ottimizzare la necessità di alloggi.

Abbiamo un ingente quantitativo di spazi cittadini che potrebbe essere utilizzato per il disagio abitativo, dalle aree demaniali agli immobili abbandonati, alle ex caserme, alle costruzioni non terminate, agli immobili sequestrati alle mafie, agendo, in maniera incisiva, sulle rendite parassitarie e favorendo la riconversione ad uso abitativo del patrimonio pubblico in disuso. Allora, la domanda è: che democrazia è quella che non ha il coraggio e non è in grado di assicurare la promozione sociale della persona attraverso la garanzia di un'abitazione adeguata? Se non si interviene in modo concreto, ad essere minacciati sono gli stessi valori costituzionali e, su tutti, quello della dignità dell'essere umano.

Credo che questa sia una riflessione che dovremmo fare e dovremmo impegnare il Governo in questa direzione. Sicuramente, ci sono alcune risorse che possono essere utilizzate in questo senso. Rispettiamo i termini del PNRR, con riferimento alla missione 5, e costituiamo l'osservatorio della condizione abitativa. L'emergenza è così significativa che si potrebbe fare anche un passo ulteriore: dare un livello di autonomia funzionale all'interno del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti rispetto all'emergenza abitativa.

Occorre introdurre misure di monitoraggio e sostegno all'utilizzo del superbonus 110 per cento per gli interventi, per esempio, delle case popolari o enti equivalenti; quindi, il discorso dell'housing sociale non dovrebbe essere tenuto fuori dal ragionamento che dovremmo fare rispetto al disagio abitativo.

Sicuramente, c'è un tema importante, riscontrato anche in queste ultime settimane, che attiene al disagio abitativo degli studenti universitari: il problema del “nero” rispetto al pagamento degli affitti. È, quindi, un'altra problematica su cui si deve incidere, l'evasione fiscale. Occorre adottare iniziative, per esempio, per prevedere modalità tracciabili di pagamento dei canoni. Credo che tutte queste cose siano assolutamente di buonsenso, sono previste nella nostra mozione e, quindi, da questo punto di vista, ritengo sarebbe davvero un grande segnale se si convergesse su questi contenuti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Prego.

GALEAZZO BIGNAMI, Vice Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti. Grazie, Presidente, solo per ringraziare l'Aula del dibattito offerto che, evidentemente, involge temi di estrema rilevanza e su cui, come è stato anche anticipato, il Governo ha idee precise.

Chiaramente, le tematiche esposte coinvolgono settori e ambiti che non riguardano esclusivamente quelli del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Sui richiami delle mozioni illustrate - che attengono, alcuni, al Ministero del Lavoro, altri, al Ministero dell'Economia e delle finanze, altri ancora certamente al MIT -, vi è una riserva in ordine all'esame puntuale dei singoli punti che compongono tali mozioni. Sono interessanti, anche se inevitabilmente non esaustivi rispetto alle tappe ripercorse che giuridicamente hanno portato alla composizione di un tessuto comune nella costruzione della normativa in ambito edilizio. Ma credo avremo modo di approfondirlo, in sede di dibattito, nel corso del quale l'Aula avrà certamente modo di esprimersi. Il Governo, parimenti, si riserva di esprimere il parere rispetto ai singoli punti che compongono le mozioni.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 4 luglio 2023 - Ore 11:

1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni .

(ore 14)

2. Seguito della discussione della proposta di legge:

MADIA ed altri: Delega al Governo in materia di esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza, in caso di impedimenti per motivi di studio, lavoro o cura. (C. 115-A​)

e delle abbinate proposte di legge: MAGI e DELLA VEDOVA; GRIPPO e PASTORELLA; ZANELLA ed altri; PAVANELLI. (C. 88​-424​-769​-907​)

Relatore: IEZZI.

3. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

D'ORSO ed altri; VARCHI ed altri; PATRIARCA ed altri; MANZI: Disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione dei relativi albi professionali. (C. 596​-659​-952​-991-A​)

Relatore: CANGIANO.

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 551 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: SEGRE ed altri: Celebrazioni per il centesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti (Approvata dal Senato). (C. 1178​)

Relatrici: DALLA CHIESA e MANZI.

5. Seguito della discussione della proposta di legge (previo esame e votazione della questione sospensiva presentata):

DE LUCA e BONAFÈ: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo recante modifica del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità, fatto a Bruxelles il 27 gennaio e l'8 febbraio 2021. (C. 712​)

e dell'abbinata proposta di legge: MARATTIN ed altri. (C. 722​)

Relatori: AMENDOLA e GRUPPIONI.

6. Seguito della discussione delle mozioni Aiello ed altri n. 1-00052, Cattaneo, Rizzetto, Giaccone, Romano ed altri n. 1-00096, Scotto ed altri n. 1-00152, Mari ed altri n. 1-00153 e Gebhard ed altri n. 1-00157 concernenti iniziative a favore dell'adeguatezza dei trattamenti previdenziali, con particolare riferimento all'importo delle pensioni minime .

7. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

MOLINARI ed altri; BIGNAMI ed altri; FARAONE ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell'emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus SARS-CoV-2 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2. (C. 384​-446​-459-A​)

Relatrice: BUONGUERRIERI.

8. Seguito della discussione della proposta di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate):

VARCHI ed altri: Modifica all'articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all'estero da cittadino italiano. (C. 887-A​)

e delle abbinate proposte di legge: CANDIANI ed altri; LUPI ed altri.

(C. 342​-1026​)

Relatori: VARCHI, per la maggioranza; MAGI di minoranza.

9. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 411 - Modifiche al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Approvato dal Senato).

(C. 1134​)

e dell'abbinata proposta di legge: BILLI ed altri. (C. 101​)

Relatore: PIETRELLA.

10. Seguito della discussione della proposta di legge:

CENTEMERO ed altri: Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti. (C. 107​)

e dell'abbinata proposta di legge: STEFANAZZI ed altri. (C. 1061​)

Relatore: CENTEMERO.

11. Seguito della discussione delle mozioni Braga ed altri n. 1-00003 e Santillo ed altri n. 1-00161 in materia di emergenza abitativa .

La seduta termina alle 17,55.