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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 126 di lunedì 26 giugno 2023

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA

La seduta comincia alle 11.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FILIBERTO ZARATTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 23 giugno 2023.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 71, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il deputato Andrea Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD-IDP). Signor Presidente, onorevoli colleghi e onorevoli colleghe, dato che evidentemente i nostri interventi in quest'Aula e le nostre dichiarazioni in ogni sede e attraverso ogni mezzo possibile non sono stati compresi da tutti e sicuramente non sono stati compresi dalla Ministra, interveniamo per rinnovare e ribadire la nostra richiesta alla Ministra Santanche' di riferire al più presto in quest'Aula per spiegare i comportamenti inquietanti e inaccettabili verso i lavoratori delle sue aziende e rispondere alle domande del PD, delle opposizioni e del Paese. Stiamo entrando in una settimana in cui ci occuperemo con un decreto, su cui verrà posta l'ennesima fiducia, del tema dei lavoratori e sarebbe uno schiaffo nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti dai temi che stanno emergendo dalle inchieste giornalistiche in corso non avere la possibilità di ottenere in Parlamento tutti i chiarimenti necessari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Casu. Inoltro la sua richiesta alla rappresentante del Governo, che sicuramente se ne farà parte diligente e, personalmente, al Presidente Fontana.

Discussione della proposta di legge: Centemero ed altri: “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle startup e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti” (A.C. 107​) e dell'abbinata proposta di legge: Stefanazzi ed altri (A.C. 1061​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 107: “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle startup e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti” e dell'abbinata proposta di legge n. 1061.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 22 giugno 2023 (vedi l'allegato A della seduta del 22 giugno 2023).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 107​ e abbinata)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Giulio Centemero.

GIULIO CENTEMERO , Relatore. Grazie, signor Presidente. Procederò con la relazione su questa proposta di legge. In particolare, la proposta si articola in quattro articoli ed è un aggiornamento del cosiddetto Startup Act, che ormai risale a 10 anni fa. È positivo vedere che sono arrivate diverse proposte, che poi sono andate a comporre parzialmente questa proposta di legge perché significa che l'ecosistema ha continuato ad evolversi e sono nate nuove opportunità e nuove esigenze.

Principiando dall'articolo 1, si specifica che lo stesso nient'altro è che un articolo definitorio, che cioè definisce il parametro soggettivo e quindi identifica le startup e le PMI innovative a cui si applicano le disposizioni successive.

L'articolo 2, invece, è volto a favorire la fruizione di benefici fiscali previsti dall'articolo 29-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, il famoso Startup Act, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e dall'articolo 4, comma 9-ter, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, relativi agli investimenti nel capitale sociale delle startup innovative o delle PMI innovative.

In particolare, al comma 1, si dispone che, in caso di incapienza da parte dei soggetti investitori persone fisiche - quindi, soggetti Irpef -, qualora la detrazione spettante sia di ammontare superiore all'imposta lorda, è riconosciuto un credito d'imposta di ammontare pari all'eccedenza. Lo stesso può essere utilizzato nella dichiarazione dei redditi in diminuzione delle imposte dovute o, in alternativa, lo stesso può essere fruito in compensazione con debiti d'imposta, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nel periodo di imposta di presentazione della dichiarazione dei redditi, previa presentazione della stessa, e anche nei periodi di imposta successivi. Correlativamente, non sarà più applicabile la disposizione contenuta nei decreti attuativi delle norme sopra citate che, in caso di incapienza, consente la detrazione delle eccedenze anche nei tre periodi di imposta successivi a quello di effettuazione dell'investimento.

Il comma 2 disciplina la decorrenza dell'efficacia dell'agevolazione, prevedendo che concerne le operazioni di investimento effettuate a partire dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della norma.

L'articolo 3 della proposta di legge modifica l'articolo 14 del decreto-legge n. 73 del 2021, il cosiddetto Sostegni-bis, recante incentivi agli investimenti in favore di startup e PMI innovative, con un duplice obiettivo: concedere ulteriori incentivi agli investimenti effettuati dalle persone fisiche nel capitale sociale delle predette imprese; rendere le disposizioni, ivi previste e conformi alla disciplina in materia di aiuti di Stato, compatibili con il mercato unico, di cui al regolamento (UE) 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno, in applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. In particolare, l'articolo 3, comma 1, lettere a) e b), elimina, rispettivamente, i commi 1 e 2 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 73 del 2021, in riferimento agli investimenti effettuati ai sensi delle disposizioni introdotte dai commi 7 e 8 dell'articolo 38 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, ossia gli investimenti di cui all'articolo 29-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. Si tratta, in particolare, degli investimenti effettuati dalle persone fisiche - soggetti Irpef, ancora - che danno diritto alla fruizione delle detrazioni d'imposta concesse ai sensi del regolamento (UE) 1407/2013, il cosiddetto “de minimis”. La lettera b) del comma 1, inoltre, al n. 1) prevede che, al fine dell'esenzione sulle plusvalenze della partecipazione, di cui al comma 2 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 73 del 2021, le PMI innovative partecipate devono possedere anche i requisiti previsti al paragrafo 5 dell'articolo 21 del citato regolamento (UE) 651/2014 e, quindi, che, al momento dell'investimento iniziale, le PMI innovative devono soddisfare almeno una delle seguenti condizioni: non aver operato in alcun mercato, operare in un mercato qualsiasi da almeno 7 anni dalla loro prima vendita commerciale, necessitare di un investimento iniziale per il finanziamento di rischio, che, sulla base di un piano aziendale elaborato per il lancio di un nuovo prodotto o l'ingresso in un nuovo mercato geografico, è superiore al 50 per cento del loro fatturato medio annuale negli ultimi 5 anni. Le disposizioni contenute nella lettera c) del comma 1 tendono a completare la disciplina incentivante introdotta dall'articolo 14 del decreto-legge n. 73 del 2021, che prevede l'esenzione per le plusvalenze derivanti dagli investimenti effettuati direttamente nelle imprese target mediante la partecipazione al capitale sociale. Nello specifico, la citata lettera c) prevede l'esenzione per i proventi derivanti dagli OICR, che investono prevalentemente nel capitale di startup e PMI innovative, di cui ai commi 1 e 2. Analogamente a quanto stabilito per gli investimenti diretti, si stabilisce che le quotazioni degli OICR devono essere acquisite entro il 31/12/2025 e devono essere detenute per almeno 3 anni, il cosiddetto holding period. Per beneficiare di tale esenzione, gli OICR devono essere residenti nel territorio dello Stato o in uno Stato europeo, dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo e devono investire prevalentemente nel capitale sociale di startup e PMI innovative. Il concetto di prevalenza, mutuato dalla disciplina recata in materia di agevolazione per gli investimenti in dette imprese dall'articolo 29 del decreto-legge n. 179 del 2012, coerentemente a tale disciplina, va inteso come soglia minima di investimento pari almeno al 70 per cento degli attivi patrimoniali dell'organismo. Sono ricompresi nella definizione di OICR tutti gli organismi mediante i quali si realizza la gestione collettiva del risparmio, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ovvero sia i fondi comuni di investimento, sia le società di investimento a capitale variabile (SICAV) e quelle a capitale fisso (SICAF), nonché fondi di fondi. Godono delle esenzioni i proventi derivanti da quote o azioni di OICR dedicati, nei limiti previsti per gli investimenti agevolati dall'articolo 29 del decreto-legge n. 179 del 2012 per le startup innovative e dall'articolo 4, comma 9, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, per le PMI innovative.

Ai sensi di quanto previsto dal successivo comma 2 dell'articolo 3, sono agevolati i proventi derivanti dagli investimenti effettuati a decorrere dall'entrata in vigore della legge.

La lettera d) del comma 1, al n. 1), al fine di evitare fenomeni di abuso, prevede che le partecipazioni nelle società oggetto di cessione devono essere già in possesso dell'investitore alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 73 del 2021. La medesima lettera d), inoltre, al n. 2), integra il testo del comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 73 del 2021, al fine di ricomprendere tra le PMI innovative nelle cui azioni o quote è previsto l'obbligo di reinvestimento della plusvalenza, ivi previsto, solo le PMI in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 21 del citato regolamento (UE) 651/2014. La lettera d), al n. 3) prevede, infine, che l'ammontare della plusvalenza da partecipazioni in qualsiasi società, reinvestito ai sensi del comma 3 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 73 del 2021, nel capitale di startup e PMI innovative, in caso di successiva cessione della partecipazione nelle medesime imprese, non gode dell'esenzione prevista dai commi 1 e 2 del medesimo articolo 14.

Sempre all'articolo 3, comma 1, la lettera e) novella il comma 4 dell'articolo 14 del decreto-legge 73 del 2021 (Sostegni-bis), al fine di ribadire che le disposizioni dei commi da 1 a 3 del medesimo articolo 14 sono attuate nel rispetto dei limiti e delle condizioni previste dal regolamento (UE) 651/2014 e, in particolare, dell'articolo 21 del medesimo regolamento, che disciplina gli aiuti alle piccole e medie imprese per il finanziamento del rischio. L'articolo 4 prevede l'innalzamento da 25 a 50 milioni di euro del limite di patrimonio netto previsto per le SIS, le società a investimento semplice. Questo al fine di semplificare la compliance per quanto riguarda i fondi di investimento che vogliano investire nei settori innovativi e, quindi, aumentare, potenzialmente, la platea di investitori, che, del resto, è lo scopo del restante articolato di questa proposta di legge. Ho finito la mia illustrazione. Grazie signor Presidente e grazie onorevoli colleghe e onorevoli colleghi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la Sottosegretaria di Stato per l'Economia e le finanze, Lucia Albano, che si riserva di intervenire successivamente. È iscritta a parlare la deputata Alifano. Ne ha facoltà.

ENRICA ALIFANO (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi, colleghe, rappresentante del Governo, io devo iniziare il mio intervento riportando dati e norme che diano conto di quanto è stato fatto su tale tema, cioè le startup innovative e le piccole e medie imprese innovative dalla precedente legislatura, dai Governi Conte, e questo attesta quanto il MoVimento 5 Stelle sia sensibile alla tematica dell'innovazione. Nello stesso tempo, con queste premesse, si può dare anche un po' il quadro normativo nel quale si inserisce l'attuale proposta di legge.

Con il decreto Crescita, Governo Conte 1, sono state previste misure importanti, con relative dotazioni finanziarie, per supportare le startup innovative nell'ottenimento di brevetti e per l'estensione dei brevetti nazionali all'estero - quello della proprietà intellettuale è un tema estremamente importante – e si è previsto il sostegno finanziario delle startup innovative nella prima fase di verifica, in relazione alla brevettabilità della propria invenzione e alla ricerca preventiva di anteriorità.

Con il decreto Liquidità - e parliamo, adesso, del Governo Conte 2 - cosa è successo? Si sono introdotte modifiche al funzionamento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, innalzando la garanzia fino al 90 per cento del prestito erogato a favore delle PMI e per un massimo di 5 milioni di euro, quale misura di contrasto all'emergenza pandemica che abbiamo vissuto. Con tale previsione si è risposto anche all'intento di sostenere le piccole e medie imprese innovative e le stesse startup per l'accesso al credito (la liquidità è un tema fondamentale per l'avvio delle startup). Le startup beneficiarie del Fondo di garanzia sono state, al 2022, 6.384.

Con il decreto Rilancio - Governo Conte 2 - è stato previsto un ulteriore sostegno alla nascita e allo sviluppo delle startup innovative. La misura finanzia progetti compresi tra i 100.000 e gli 1,5 milioni di euro attraverso il portale telematico predisposto da Invitalia. Le agevolazioni previste sono rivolte a startup che presentino un progetto imprenditoriale innovativo, di importante contenuto tecnologico (l'innovazione è al centro di questo tema), ovvero volto allo sviluppo dell'economia digitale. Il fine è di permettere alle startup innovative, fornite di un buon progetto imprenditoriale, di consolidare il proprio sviluppo e di avere a disposizione la liquidità necessaria attraverso l'apporto di capitali anche da parte di investitori privati e istituzionali. È prevista, infatti, tra le altre misure, la detrazione d'imposta pari al 50 per cento della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più startup innovative direttamente o anche per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in startup innovative. Analoga misura è prevista per gli investimenti in PMI innovative.

Con il decreto-legge n. 73 del 2021 (parliamo del decreto Sostegni-bis, che prima è stato citato dall'onorevole Centemero) viene stabilita, tra le altre misure, la detassazione delle plusvalenze su partecipazioni in startup innovative tenute nel portafogli per un triennio (una misura, quindi, temporanea) e viene stabilita inoltre la detassazione delle plusvalenze reinvestite entro un anno dal loro conseguimento in startup e in PMI innovative.

Abbiamo bisogno di crescita tecnologica, di crescita economica e di innovazione e questo è stato l'obiettivo primario dei Governi Conte nel corso dei quali, ovviamente, si è posta l'attenzione proprio al problema di trasferire la tecnologia dal mondo della ricerca alle imprese, mediante la sperimentazione e l'utilizzo di soluzioni innovative.

Non da ultimo, mi preme ancora di rammentare che lo stesso PNRR, di cui tanto si è parlato nelle scorse settimane, prevede vari interventi volti a supportare le startup attraverso investimenti diretti e indiretti di capitali di rischio.

Ora, che la spinta all'innovazione nel nostro Paese sia una strategia vincente - e qui vengo a citare alcuni dati - è dimostrata dai dati sulla capacità di resilienza delle startup e delle PMI innovative. Le prime, nel corso del 2021, hanno registrato un numero ragguardevole di occupati, oltre 21.000 unità, mentre le seconde, per lo stesso periodo, hanno vantato complessivamente oltre 43.000 occupati, quindi, dati molto importanti. Un altro dato: circa il 24 per cento delle startup innovative risiede nell'Italia Nord-Occidentale, vi è, tuttavia, una significativa presenza delle startup innovative anche nel Mezzogiorno, con un'impresa su quattro che opera nel Sud del nostro Paese, con la Campania in testa (la mia regione), che vanta circa 1.300 startup innovative.

Sempre dal punto di vista della localizzazione geografica e relativamente alle PMI innovative, dall'elaborazione dei dati annuali del MIMIT emerge che il 39 per cento delle PMI innovative risiede nell'Italia Nord-Occidentale, poco meno del 22 per cento opera nel Centro, mentre una PMI innovativa italiana su cinque risiede nel Mezzogiorno. Anche in questo caso, la Campania ricopre una posizione rilevante nella graduatoria delle regioni italiane per numero di PMI innovative, posizionandosi al quarto posto (quindi, solo al quarto posto), dopo Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna.

Non di minore importanza è un altro dato che mi preme citare: il numero delle imprese innovative a prevalenza femminile, cioè intese come le società in cui almeno una donna detiene una carica amministrativa o possiede una quota della società, al 31 dicembre 2021, era pari a 1.734, in crescita rispetto all'anno precedente del 17,3 per cento.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle imprese innovative femminili, emerge che la Lombardia è in testa in questo campo, seguita dal Lazio e, ancora, dalla Campania. Non è meno importante rammentare che il tasso di sopravvivenza delle startup innovative a prevalenza femminile risulta molto elevato, ben oltre il 90 per cento, considerando gli ultimi cinque anni.

In questo contesto, si inserisce la proposta di legge che oggi è in discussione in quest'Aula e che contiene misure che condividiamo e altre che ci lasciano, per il vero, perplessi per la loro timidezza. Si sperava che si potesse fare di più in questo campo. Non di meno, non sono stati presi in esame, in Commissione finanze - con l'onorevole Centemero ci siamo più volte sentiti -, alcuni emendamenti che avrebbero avuto il pregio di migliorare sensibilmente il testo finale.

Ma veniamo all'esame della proposta di legge. L'articolo 1, come è già stato detto prima dal relatore, contiene le definizioni di startup innovative e di PMI innovative, rinviando alla disciplina previgente.

L'articolo 2 opera sulla disciplina delle detrazioni IRPEF per gli investimenti in startup e PMI innovative già disciplinata dal decreto Rilancio sopramenzionato, emanato durante il Governo Conte 2, in modo da permetterne la fruizione anche nel caso in cui la detrazione superi l'imposta lorda dovuta dal contribuente. In tale ipotesi, per l'eccedenza - questa è una misura importante è riconosciuto un credito d'imposta utilizzabile nella dichiarazione dei redditi in diminuzione delle imposte, ovvero in compensazione con altri tributi, ovvero con contributi previdenziali.

L'articolo 3 interviene, modificando in più punti l'articolo 14 del decreto-legge n. 73 del 2021 in materia di regime fiscale delle plusvalenze - di cui già si è detto -, espungendo dal testo il riferimento sia all'articolo 29-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, che all'articolo 4, comma 9-ter, del decreto-legge n. 3 del 2015. Si elimina così - attenzione a questo punto - l'applicazione dell'esenzione da imposizione delle plusvalenze in relazione agli investimenti effettuati in regime de minimis da persone fisiche, restando agevolati unicamente gli investimenti che godono della detrazione o della riduzione del 30 per cento. Ciò potrebbe comportare una stretta al ricorso al capitale di rischio, in netta contraddizione con i dati sopra riportati che, di contro, attestano una grande capacità di resilienza delle startup e delle PMI innovative, come anche del loro bisogno di liquidità.

Sempre l'articolo 3 prevede ulteriori requisiti per godere dell'esenzione dalla tassazione delle plusvalenze per le PMI innovative che dovranno soddisfare almeno una delle seguenti condizioni (che, tra l'altro, sono state già ricordate dal collega Centemero): non aver operato in alcun mercato; operare in un mercato qualsiasi da meno di sette anni dalla loro prima vendita commerciale; necessitare di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio che, sulla base di un piano aziendale elaborato per il lancio di un nuovo prodotto o l'ingresso su un nuovo mercato geografico, sia superiore al 50 per cento del loro fatturato medio annuo negli ultimi cinque anni. Anche la previsione di tali requisiti è volta a perimetrare l'ambito di applicazione del regime di favore delle plusvalenze stabilito in tale settore, limitandone l'accesso.

Non di meno, la lettera c) del comma 1 dell'articolo 3 introduce il comma 2-bis al detto articolo 14, esentando dalle imposte sui redditi i redditi da capitale percepiti dalle persone fisiche, derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato, in uno Stato membro dell'Unione europea o in uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo che investano prevalentemente nel capitale sociale di una o più startup o PMI innovative.

Sono poi previste modifiche volte a contrastare fenomeni di abuso, che pure rammentava nella relazione il collega Centemero, e che di riflesso restringono, però, il campo di applicazione delle norme che dispongono l'esenzione fiscale delle plusvalenze.

Vi sono, dunque, luci e ombre in questa PDL. In Commissione, come dicevo prima, sono stati depositati diversi emendamenti e spero che vengano tradotti in ordini del giorno impegnativi per il Governo, atti ad ampliare il regime di esenzione fiscale per le startup e le PMI innovative che, se accolti, avrebbero potuto produrre una spinta alla creazione di tali realtà di cui noi abbiamo bisogno in questo Paese. Chi vi parla suggeriva altresì di riconoscere l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro per un periodo di 36 mesi per i lavoratori assunti da startup o da PMI innovative. Tale emendamento risulta avere fortunatamente contenuto simile all'articolo 7 della PDL d'iniziativa del deputato Stefanazzi, che è abbinata alla presente proposta di legge.

E ancora, in ragione dell'obiettivo di contrastare lo spopolamento delle aree interne - è un tema centrale che dovremo affrontare in questa legislatura, poiché, oltre alla diminuzione drammatica dei tassi di natalità, un altro problema che affligge il nostro Paese è appunto lo spopolamento delle aree interne e la concentrazione in grandi città, che sono energivore e determinano uno scompenso tra una parte e l'altra del Paese - si suggeriva di riconoscere analogo sgravio contributivo per i datori di lavoro di startup innovative, ovvero di PMI innovative che istituiscono o trasferiscono la propria sede legale o operativa in un comune con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti.

Con un altro emendamento, si prevedeva, sempre in uno spazio temporale di 36 mesi, un esonero totale sulla quota dei contributi previdenziali a carico del lavoratore assunto in una startup innovativa o in una PMI innovativa, a condizione che lo stesso abbia o trasferisca il proprio domicilio in un comune con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, svolgendo almeno l'80 per cento del proprio lavoro in modalità agile. La modalità agile l'abbiamo sperimentata nel corso della pandemia e può essere una soluzione anche nell'organizzazione del lavoro. C'è, dunque, ancora tanto da fare - e con coraggio - per promuovere la nostra imprenditoria che si cimenta nell'innovazione, Presidente.

Dunque, si chiede un maggiore coraggio a questa maggioranza, quel coraggio che ha contraddistinto, nella scorsa legislatura, i Governi “Conte 1” e “Conte 2” che hanno dovuto affrontare un'emergenza senza precedenti.

Sull'importanza delle startup innovative mi piace rammentare le parole di un grande italiano che forse non è conosciuto da tanti ma è un grandissimo italiano. Si tratta di Federico Faggin, laureato in fisica in una grande università italiana, l'università di Padova. Subito dopo, a 25 anni, è emigrato negli Stati Uniti. È l'inventore del microprocessore e del touch screen. Sono invenzioni italiane, di un italiano che le ha fatte negli Stati Uniti, ma è un italiano che si è formato in Italia e che è stato premiato dal Presidente Obama con la medaglia nazionale per la tecnologia e l'innovazione ed è stato creatore di più startup innovative.

Su queste realtà imprenditoriali, parlando della sua esperienza, ha scritto (cito testualmente le sue parole): “Col tempo mi resi conto che molte startup high-tech producono enormi risorse intellettuali (…), creano l'humus che fertilizza l'innovazione futura, forniscono anche le esperienze di vita necessarie alla crescita personale e professionale di molti manager e dipendenti, facilitando così il loro successo quando provano ancora a cimentarsi”. E ancora: “Solo una startup può catalizzare la straordinaria passione, energia e concentrazione necessari per innovare” (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luca Sbardella. Ne ha facoltà.

LUCA SBARDELLA (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, la proposta di legge che oggi discutiamo in quest'Aula concerne disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle startup e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti. L'ecosistema delle startup e delle piccole e medie imprese innovative è diventato realtà in Italia quando, con il rapporto Restart, Italia!, del 2012, si è riconosciuta la necessità di una normativa giuridica organica e permanente, tesa a favorire la nascita e la crescita dimensionale di nuove imprese innovative ad alto valore tecnologico. L'obiettivo di questo provvedimento, dunque, che si rende necessario anche alla luce del fiorire delle startup in Italia negli ultimi anni, è proprio quello di aggiornare il cosiddetto Startup Act, introdotto ormai più di 10 anni fa con il decreto-legge n. 179 del 2012.

Come emerge dagli ultimi dati relativi alle iscrizioni alla sezione speciale del registro delle imprese, nel 2022 sarebbero oltre 14.000 le startup innovative costituite. Da qui, l'esigenza di rivedere gli interventi normativi fino ad oggi introdotti, al fine di accompagnare il nostro Paese in un percorso di crescita e di sviluppo all'insegna dell'innovazione. Infatti, è quanto mai necessario individuare strumenti in grado di rafforzare la capacità di identificare, attrarre e valorizzare i talenti e incentivare l'interdisciplinarità. A tal proposito, la proposta di legge in esame, negli articoli da 1 a 3, interviene sulle agevolazioni fiscali in favore delle startup e delle piccole e medie imprese innovative e, con l'articolo 4, sui requisiti di capitale delle società di investimento semplice.

L'articolo 1 contiene le definizioni rilevanti di startup innovativa e di PMI innovativa, rinviando alla disciplina vigente.

L'articolo 2 interviene sulla disciplina delle detrazioni Irpef per gli investimenti di startup e PMI innovative, al fine di consentirne la fruizione anche in caso di incapienza del contribuente, disponendo che l'eccedenza non detraibile sia trasformata in credito d'imposta utilizzabile in dichiarazione ovvero fruito in compensazione mediante il modello F24. Il credito di imposta così determinato è fruibile, quindi, nel periodo d'imposta in cui è presentata la dichiarazione dei redditi e nei periodi di imposta successivi. La disposizione del comma 2 si applica agli investimenti effettuati a partire dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore della norma in esame.

L'articolo 3 chiarisce e specifica le esenzioni delle plusvalenze derivanti da cessioni di quote di imprese innovative al fine di rendere l'agevolazione coerente con i requisiti imposti, con particolare riferimento alle caratteristiche delle imprese innovative dalla vigente disciplina in materia di aiuti de minimis. Viene posta, come ulteriore condizione per la concessione dell'agevolazione, la soddisfazione di almeno una delle condizioni previste dal paragrafo 5 dell'articolo 21 del regolamento dell'Unione europea n. 651 del 2014, lettera b), n. 1.

Si introduce un'ulteriore agevolazione fiscale consistente nell'esenzione da imposte sui redditi a determinate condizioni, ossia i redditi di capitale percepiti dalle persone fisiche e derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivi del risparmio, che investono prevalentemente nel capitale sociale di una o più startup innovative o di una o più PMI innovative. Tale agevolazione si applica agli investimenti effettuati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente proposta.

Al fine di evitare fenomeni di abuso, viene, inoltre, modificata la legislazione vigente che prevede la non imponibilità delle plusvalenze realizzate da persone fisiche reinvestite in startup o PMI innovative.

L'articolo 4 innalza da 25 a 50 milioni di euro il limite di patrimonio netto previsto per le società di investimento semplice.

Come ricordato, nell'ordinamento italiano è già previsto un quadro organico di agevolazioni fiscali per le startup e le piccole e medie imprese innovative, che prevede incentivi all'investimento del capitale, incentivi fiscali in regime de minimis, l'esonero dal visto di conformità per la compensazione dei crediti IVA, l'esclusione della disciplina delle società di comodo e l'esenzione fiscale a determinate condizioni delle plusvalenze. Sono tutte misure che, benché importanti, oggi non sono più sufficienti da sole a sostenere il tessuto aziendale presente e la diffusione di nuova imprenditorialità e, pertanto, è necessario un potenziamento.

“Lavoro” e “giovani” sono state due parole che, per troppo tempo, sono state distanti tra loro e che poco avevano a che fare l'una con l'altra. I giovani possono e devono fare impresa in Italia, con il sostegno del Governo, per far sì che i propri sogni possano prendere forma per costruire davvero il futuro qui.

Fra gli obiettivi a medio e lungo termine del Governo Meloni c'è certamente quello dei cervelli in rientro. Non possiamo accettare che i nostri giovani vadano a cercare opportunità all'estero, perché abbiamo bisogno di loro qui e ora.

È per questo che il Governo, già nei primi 8 mesi, ha messo in campo diverse iniziative volte, sia ad incentivare la nascita di queste forme di imprenditorialità, sia a favorire la fruizione dei benefici fiscali relativi agli investimenti nel capitale sociale delle startup innovative e delle piccole e medie imprese innovative.

Il provvedimento d'iniziativa parlamentare che oggi discutiamo va esattamente in questa direzione. Ricordo che, nel decreto Bollette, il Governo ha istituito specifici incentivi per le startup che sviluppino progetti legati all'ambiente, alle energie rinnovabili e alla sanità, un credito d'imposta per le spese sostenute con contributo fino a 200.000 euro.

Inoltre, il Ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, recentemente ha firmato due decreti per lo stanziamento di 108 milioni di euro che rifinanziano Smart&Start Italia, con l'obiettivo di incentivare e sostenere la nascita e la crescita di startup innovative nel campo dell'economia digitale, dell'intelligenza artificiale, della blockchain e dell'Internet of things di giovani under 35 e donne, con particolare riguardo alle regioni del Mezzogiorno d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stefanazzi. Ne ha facoltà.

CLAUDIO MICHELE STEFANAZZI (PD-IDP). Gentile Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, rappresentante del Governo, sono trascorsi poco più di 10 anni dalla prima legge organica in materia di startup e oggi possiamo tracciare un bilancio sugli effetti del decreto-legge n. 179 del 2012. Quel decreto ha avuto, innanzitutto, il merito di saper guardare lontano e stimolare una maggiore sensibilità del mercato verso le potenzialità dell'impresa innovativa. Non è un caso che, ancora oggi, sia considerato uno tra i migliori in Europa e all'avanguardia per molti aspetti. I dati raccontano, con tutta evidenza, il successo di quella policy.

A fronte di un trend positivo lungo tutto il decennio, il 2022 ha segnato l'anno record, con quasi 2 miliardi di euro di investimenti raccolti dalle startup e dalle imprese innovative italiane, di cui circa la metà provenienti dall'estero. Oggi, il nostro Paese conta, com'è stato detto, più di 17.000 startup e PMI innovative, e un fatturato che sfiora complessivamente circa i 10 miliardi di euro. Siamo, dunque, di fronte a una realtà che cresce, magari non tanto rapidamente, ma che lentamente si consolida di anno in anno, mantenendo, tuttavia, un significativo gap con il resto d'Europa.

L'Italia è la quarta economia dell'area europea, ma per le startup e le PMI innovative siamo ancora al dodicesimo posto in Europa. Se guardiamo ad altri contesti, come quello spagnolo, quello francese e quello tedesco, comprendiamo quanto sia necessario, ora più che in passato, non sedersi sugli allori e continuare a sostenere un ambito dall'altissimo potenziale di crescita, non soltanto perché innovare ci consente di stare al passo con i mercati più competitivi, ma perché l'innovazione è, come è noto, la miccia della creazione di nuovo valore, favorisce l'investimento di capitali, stimola i consumi e soprattutto genera occupazione, un'occupazione (e questo è molto importante sottolinearlo, Presidente) per lo più qualificata e giovane, visto che sono le startup il più importante serbatoio di lavoro per i giovani e i neolaureati, quel famoso autoimpiego di cui si parla da tanti anni. Tale capitale umano, se non è assorbito - come dimostrano i dati relativi ai 15.000 espatriati laureati ogni anno - si rivolge altrove per trovare soddisfazione e appagamento professionale.

Secondo i dati resi pubblici nel corso di un recentissimo evento organizzato da UniCredit, l'evento era Tech Made in Sud, dal 2014, al Sud, il numero di imprese innovative è cresciuto del 52 per cento contro una media nazionale del 34 per cento. Questo si traduce, evidentemente, in una significativa crescita dell'imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno, con particolare riferimento proprio alle startup. A febbraio 2023, quindi dati recentissimi, oltre il 25 per cento delle startup e delle piccole e medie imprese innovative operava nel Mezzogiorno, con un tasso di crescita del 4,4 per cento, che è doppio del tasso di crescita nazionale. In questi anni, il nostro Paese si è speso molto nel campo dell'innovazione, anche per la necessità di recuperare il ritardo di cui ho parlato: da Industria 4.0, poi evoluta in Transizione 4.0, fino ai 50 miliardi di euro che, attraverso il PNRR, staremmo investendo - si spera saranno investiti - nella transizione digitale, sono iniziative con l'obiettivo di sviluppare e mantenere in Italia nuove competenze e tecnologie.

Sappiamo tutti quanto sia importante, soprattutto in questo momento storico, accompagnare il nostro sistema produttivo in un percorso di trasformazione - che, per certi versi, è addirittura radicale -, sostenere nuove idee e quelle imprese che scommettono nel progresso e nel cambiamento come chiave del progresso.

La proposta di legge che oggi discutiamo s'inserisce nel solco di questa strada, affronta un tema decisivo, quello degli investimenti nell'innovazione, e lo fa nella direzione giusta, quella del consolidamento dell'attuale ecosistema e del rafforzamento dell'intera filiera del finanziamento.

Particolarmente positivo in questo senso è l'innalzamento da 25 a 50 milioni di euro del limite di patrimonio netto previsto per le SIS, le società di investimento semplice, che sempre di più rappresentano uno strumento eccezionale per incentivare le PMI non quotate, come utile e attesa è la misura di esenzione fiscale dei proventi derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo del risparmio, i cosiddetti OICR.

All'inizio dell'intervento, Presidente, ho detto che possiamo vantare una normativa all'avanguardia e di tutto rispetto. Oggi, però, accanto alla soddisfazione del provvedimento che stiamo esaminando - che va, come ho detto, nella giusta direzione -, c'è anche un po' di rammarico per quello che poteva essere fatto e non si è ancora fatto, perché, se è vero che la disciplina complessiva non dimostra gli anni che ha, è altrettanto vero che il progressivo stratificarsi di norme, le criticità applicative emerse nel corso del tempo e alcune incertezze interpretative, che restano irrisolte, invitano a mettere caldamente mano a una riforma più ampia, più strutturata, perché tutto è migliorabile.

L'esame di questa proposta di legge avrebbe potuto essere proprio l'opportunità per superare le difficoltà di cui ho parlato, per razionalizzare il sistema d'incentivazione fiscale e introdurre quelle migliorie utili ad affrontare le evoluzioni dell'ecosistema italiano, obiettivo - mi permetto di dirlo - contenuto nel disegno di legge a mia prima firma, che, con voto unanime, la Commissione finanze ha abbinato al disegno di legge Centemero che stiamo discutendo. Dispiace, tuttavia, che alcune delle proposte contenute nella proposta di legge del Partito Democratico, almeno al momento, non siano diventate parte integrante dell'odierno provvedimento.

Pochi temi, peraltro, ma determinanti per stimolare gli investimenti e dare manforte alle imprese che, per loro natura, mantengono, per lungo tempo, condizioni di fragilità. In primo luogo, una richiesta che è emersa anche nelle audizioni che abbiamo effettuato in questi mesi, che è quella di introdurre incentivi fiscali dedicati ai cosiddetti investitori istituzionali, in primis i fondi previdenziali e le casse assicurative.

Era questo l'obiettivo di uno degli emendamenti e della proposta di legge abbinata, che mirava proprio a incentivare gli investimenti degli enti di previdenza obbligatoria e delle forme pensionistiche complementari, sia prevedendo che potessero destinare più dello 0,5 per cento dell'attivo patrimoniale in investimenti innovativi, ovvero fondi di investimento promossi da Business Angel, incubatori certificati, sia introducendo deduzioni fiscali e un trattamento fiscale di favore per le minusvalenze. La valorizzazione economica dei risultati della ricerca è un altro tema di cui spesso sentiamo parlare.

Si chiede più integrazione tra università e filiere produttive e un approccio più chiaro nei settori maggiormente strategici per la competitività del nostro Paese. Infatti, una nostra altra proposta andava in questa direzione, da un lato per potenziare gli uffici di trasferimento tecnologico degli atenei, a partire da quelli più piccoli, che, pur esprimendo grande potenzialità e soluzioni tecnologiche valide, sono frenati da mancanza di dotazione finanziaria e di personale, e, dall'altro, per istituire un ufficio nazionale di trasferimento tecnologico, suddiviso in macroaree che possano fungere da impulso al perseguimento di obiettivi comuni, indirizzando e coordinando le attività degli uffici di trasferimento tecnologico universitari, e che possa sostenere percorsi di traslazione della ricerca all'impresa, potendo contare - e questo è molto importante, Presidente - su uno sguardo d'insieme sui progetti di ricerca e sullo stato della ricerca nel nostro Paese.

E, ancora, è unanime il giudizio negativo sull'eliminazione della procedura di costituzione online tramite InfoCamere, una scelta che inevitabilmente porta un aggravio, soprattutto per le startup, in termini sia di spese, sia di tempo. Lo abbiamo denunciato in tanti, perché davvero eravamo convinti fosse un passo indietro per tutti, capace di portare l'Italia ancora più in fondo nella classifica dei costi di avviamento di una nuova società. Infatti, anche in questo caso, un'altra delle proposte presentate cercava di sanare almeno questo vulnus, anche se nel pieno solco della sentenza del Consiglio di Stato.

Abbiamo proposto un credito d'imposta per contenere le spese per la redazione dell'atto costitutivo e per tutti i costi che una nuova impresa deve affrontare nei primi anni di attività (consulenza legale, commercialisti, incubatori certificati, acceleratori d'impresa), costi che pesano soprattutto all'inizio e che possono avere una significativa incidenza nella vita delle startup. Dobbiamo assumerci tutti il compito di superare queste evidenti criticità.

Una questione su cui occorre investire ancora tanto è il lavoro dei nostri giovani. Negli ultimi tempi ci sono stati molti sforzi in tal senso, ma nessuna norma specifica per abbassare il costo del lavoro a favore delle startup e delle PMI innovative. Per questo avevamo proposto due misure specifiche: una dedicata all'assunzione di giovani a tempo determinato, chiedendo che fosse introdotto un esonero contributivo degli oneri previdenziali per tre anni; un'altra per aiutare le realtà più piccole (startup innovative con fatturato inferiore ai 200.000 o PMI sotto un milione di euro), esonerandole dal pagamento dei contributi dovuti dai soci, sempre per i primi tre anni. Assieme a tali proposte emendative abbiamo messo sul tavolo tante altre idee, dal fondo per sostenere l'accesso al mercato fino alle misure per portare o riportare in Italia le società innovative con sede all'estero, incentivi per l'aggregazione di imprese per fare sistema e creare realtà più solide, misure di semplificazione fiscale e amministrativa, per consentire a chi ha coraggio e idee di non inciampare nelle mille complicazioni burocratiche che purtroppo deve affrontare chi sceglie di fare impresa nel nostro Paese e, poi, agevolazioni per favorire i finanziamenti nelle fasi successive allo sviluppo, sempre nell'ottica del rafforzamento dell'impresa innovativa nel momento più complesso della sua crescita.

Per concludere, voglio ribadire che oggi abbiamo fatto un passo avanti e il Partito Democratico, anche se non è questa la sede per dirlo, voterà a favore di questo provvedimento, malgrado, come detto, si potesse fare uno sforzo ulteriore. Siamo convinti che nel prossimo futuro ci sarà bisogno di affrontare in maniera condivisa e senza steccati ideologici i tanti nodi che ancora ci impediscono di liberare appieno il potenziale di un'impresa innovativa in Italia. C'è ancora tanto lavoro da fare, ma l'obiettivo mi sembra più che chiaro: creare condizioni di contesto e di mercato ancora più favorevoli alla crescita e al consolidamento di questo fondamentale sistema imprenditoriale. Il nostro Paese continua a avere una propensione al rischio troppo bassa. C'è un fattore culturale a frenare gli investimenti con profilo di rischio elevato (come noto, gran parte della finanza italiana è nata da contesti relazionali, è maturata in ambiti familiari e si è rafforzata attraverso misure di protezione normative e regolamentari). Ci sono, poi, i fattori tecnici che frenano la propensione al rischio. Nel nostro Paese la cosiddetta exit non è ancora sufficientemente interessante sotto il profilo dell'effetto moltiplicatore rispetto all'investimento iniziale. Scontiamo un mercato borsistico che stenta ad avvicinarsi ai valori dei principali mercati borsistici europei. Scontiamo la mancanza di fondi di investimento generici o specializzati, capaci di fare raccolta e impiego massivo. Scontiamo, purtroppo, il fallimento delle politiche di creazione di fondi pubblici, destinati a gestire la transizione dalla fase cosiddetta early stage a quella di maturazione. A tal proposito non mi sembra che gli annunci di questi giorni del Ministro Urso sul tema siano molto incoraggianti. I settori nei quali la ricerca sta facendo passi da gigante richiedono disponibilità di risorse ingenti e capacità di generarle. Un esempio su tutto, Presidente, è il cosiddetto One Health, che richiede nelle fasi di sperimentazione, animale ed umana, continue iniezioni di capitale. L'Italia e il suo sistema di ricerca sfornano ogni giorno idee e progetti innovativi, che sono spesso all'avanguardia mondiale. Questa fecondità di scienza non trova sul mercato interno - che pure ha come tutti i mercati occidentali un incredibile surplus finanziario - adeguati supporti a diventare industria. È del tutto evidente, Presidente, che non si tratta solamente di un tema finanziario. Non stiamo parlando solamente della possibilità che la ricerca generi ricchezza; stiamo parlando dell'opportunità che il nostro Paese diventi un punto di riferimento mondiale in settori nei quali nei prossimi decenni si giocheranno le partite più importanti, per assicurare ai cittadini italiani ed europei la disponibilità di cure, devices e strumenti per migliorare la nostra vita, senza dipendere da soggetti interessati esclusivamente a fare della ricerca tecnologica una chiave di ulteriore sperequazione socio-economica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 107​ e abbinata)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Giulio Centemero.

GIULIO CENTEMERO, Relatore. Grazie, signor Presidente. Ringrazio tutti gli intervenuti, perché a mio avviso hanno portato valore aggiunto alla discussione. Non ho null'altro da aggiungere.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, Sottosegretaria di Stato per l'Economia e le finanze, Lucia Albano, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

A questo punto, sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 13, con la discussione generale del disegno di legge n. 1238 di conversione del decreto-legge n. 48 del 2023 in materia di lavoro.

La seduta, sospesa alle 11,55, è ripresa alle 13.

PRESIDENTE. La seduta è ripresa.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Baldino. Ne ha facoltà.

VITTORIA BALDINO (M5S). Presidente, la ringrazio. Intervengo in quest'Aula per chiedere ancora una volta e formalizzare di nuovo in questa sede la richiesta - formulata nelle giornate precedenti dai capigruppo del MoVimento 5 Stelle in entrambe le Camere, Stefano Patuanelli e Francesco Silvestri, ai Presidenti di entrambe le Camere - di convocare immediatamente una Conferenza dei capigruppo per calendarizzare l'informativa urgente della Ministra del Turismo, Daniela Santanche', affinché spieghi i gravissimi fatti di cui sembra essere coinvolta. Dal momento che la stessa Ministra ha manifestato la disponibilità a venire a riferire in Aula, laddove fosse richiesto - segnaliamo che la richiesta è stata già formalizzata in quest'Aula con l'intervento della deputata Todde qualche giorno fa, formalizzata ufficialmente con una lettera pervenuta ai Presidenti delle Camere, nella quale appunto si chiedeva la convocazione di una Conferenza dei capigruppo urgente -, riteniamo che questa cosa non possa essere taciuta e che la Ministra debba dare spiegazioni, non tanto ad una trasmissione televisiva, ma ai suoi lavoratori, ai fornitori delle aziende, che ritengono di essere stati danneggiati dall'atteggiamento della sua azienda, e a tutti i lavoratori italiani, a tutte le imprese italiane che, come Ministra della Repubblica, rappresenta (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Onorevole Baldino, sicuramente riferirò al Presidente Fontana la sua istanza.

Discussione del disegno di legge: S. 685 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro (Approvato dal Senato) (A.C. 1238​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1238: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1238​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento. La XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Marta Schifone.

MARTA SCHIFONE, Relatrice. Grazie, Presidente. Il provvedimento di oggi all'esame dell'Assemblea, decreto-legge n. 48 del 2023, reca disposizioni urgenti in materia di inclusione sociale e di accesso al mondo del lavoro. Il testo in commento è stato approvato con modificazioni, mi sento di dire, sostanziose, dal Senato; il testo, originariamente composto da 45 articoli, consta, a seguito di modifiche apportate dal Senato, di 53 articoli. Ricordo che l'esame in sede referente da parte della XI Commissione (Lavoro) è stato avviato nella seduta del 22 giugno 2023, per poi concludersi nella giornata odierna. Passo ad illustrare brevemente i contenuti principali del provvedimento in titolo.

Iniziamo con l'articolo 1, che prevede l'istituzione dell'assegno di inclusione indicandone la natura, le finalità e la relativa decorrenza. Si qualifica l'assegno di inclusione come una misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità, all'esclusione sociale delle fasce deboli, attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione e di lavoro, e di politica attiva del lavoro. Gli articoli 2, 3 e 4 sono volti a delineare la platea dei beneficiari dell'assegno per l'inclusione, individuando una serie di requisiti il cui possesso consente l'accesso al beneficio, provvedono a disciplinare le modalità di calcolo dell'assegno di inclusione, la relativa durata e individuano le modalità di richiesta, riconoscimento ed erogazione dell'assegno di inclusione stesso; in particolare, l'assegno di inclusione è riconosciuto in favore dei nuclei familiari in cui vi sia almeno un soggetto minorenne, un avente almeno 60 anni di età o un disabile o un individuo in condizioni di svantaggio inserito in programmi di cura e assistenza dei servizi sociosanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione.

L'articolo 5 è volto a istituire il sistema informativo per l'inclusione sociale e lavorativa, individuandone le finalità, la natura e le relative caratteristiche. L'articolo 6 dispone che i nuclei familiari beneficiari dell'assegno di inclusione, dopo avere sottoscritto il patto di attivazione digitale, devono aderire a un percorso personalizzato di inclusione sociale o lavorativa, che viene definito nell'ambito di uno o più progetti finalizzati a identificare i bisogni del nucleo familiare nel suo complesso e dei singoli componenti. Passiamo all'articolo 7, che è volto a disciplinare le attività di controllo e di vigilanza e le relative modalità di attuazione sull'assegno di inclusione. L'articolo 8 concerne il quadro sanzionatorio per la repressione delle indebite percezioni dei benefici economici dell'assegno di inclusione e del supporto per la formazione di lavoro. L'articolo 9 è volto a disciplinare le caratteristiche dell'offerta di lavoro che il beneficiario dell'assegno di inclusione è tenuto ad accettare, nonché la compatibilità tra tale beneficio e il reddito da lavoro che si percepisce. Nel dettaglio, si dispone che il componente del nucleo familiare beneficiario dell'assegno di inclusione, che risulta quindi attivabile al lavoro ed è stato preso in carico dai competenti servizi per il lavoro, è tenuto ad accettare un'offerta di lavoro che presenta le seguenti caratteristiche. Per quanto riguarda il lavoro a tempo indeterminato, nel suddetto caso si specifica che non rilevano limiti di distanza nell'ambito del territorio nazionale; si dispone che non operano le previsioni ivi disposte esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti figli con età inferiore ai 14 anni, anche qualora i genitori siano legalmente separati e l'offerta va accettata se il posto di lavoro non eccede la distanza di 80 chilometri dal domicilio del soggetto. Se si riferisce a un contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, nel suddetto caso si specifica che rileva una distanza massima di 80 chilometri del luogo di lavoro rispetto al domicilio del soggetto; si prevede, inoltre, che il luogo di lavoro sia raggiungibile in non oltre 120 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.

All'articolo 10 si riconosce ai datori di lavoro privati che assumono beneficiari dell'assegno di inclusione, nonché del supporto per la formazione di lavoro, per ciascun lavoratore, un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico nella misura del 100 o del 50 per cento a seconda che l'assunzione sia rispettivamente a tempo indeterminato, fino all'apprendistato, o a tempo determinato. Inoltre, ai beneficiari dell'assegno di inclusione o del supporto per la formazione e il lavoro che avviano un'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale - questo è davvero di grande rilievo - entro i primi 12 mesi di fruizione dei benefici è riconosciuto, in un'unica soluzione, un beneficio addizionale pari a 6 mensilità dell'assegno inclusione, nei limiti di 500 euro mensili. L'articolo 11 istituisce l'Osservatorio sulle povertà. L'articolo 12 istituisce, dal 1° settembre 2023, il supporto per la formazione e il lavoro, che consiste in un'indennità mensile di 350 euro, riconosciuta in favore dei soggetti di età compresa tra i 18 e i 59 anni che partecipano a progetti di politiche attive del lavoro, che versano in determinate condizioni economiche e che non hanno i requisiti per accedere all'assegno di inclusione, e tale indennità è corrisposta per un periodo massimo di 12 mesi. L'articolo 12 disciplina l'applicabilità di alcune disposizioni per quanto riguarda le province autonome di Trento e Bolzano. L'articolo 13 reca una disciplina transitoria relativa alle modalità e ai tempi di fruizione del reddito di cittadinanza e della pensione di cittadinanza. Passo all'articolo 14, che reca un complesso di modifiche alla disciplina in materia di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro. L'articolo 15 prevede che, per le finalità ivi indicate, gli enti pubblici e privati condividano gratuitamente, anche attraverso una cooperazione applicativa, le informazioni di cui dispongono con l'Ispettorato nazionale del lavoro. Anche l'articolo 16 riguarda l'Ispettorato nazionale del lavoro e un contingente di proprio personale ispettivo che verrà adeguatamente qualificato allo svolgimento di tali attività. L'articolo 17 istituisce un Fondo per il riconoscimento di una misura di sostegno economico in favore dei familiari degli studenti deceduti a seguito di infortuni, occorsi successivamente al 1° gennaio 2018, durante le attività formative. L'articolo 18 prevede, con riferimento all'anno scolastico 2024, un'estensione dell'ambito di applicazione dell'assicurazione INAIL contro gli infortuni sul lavoro nei settori dell'istruzione e della formazione. L'articolo 18-bis dispone un incremento, per il 2023, della dotazione del Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro. L'articolo 19 incrementa la dotazione del Fondo nuove competenze, al fine di finanziare le intese sottoscritte. L'articolo 20 dispone sulla possibilità di utilizzare una quota parte di risorse del cosiddetto Fondo bonus trasporti per l'estensione del riconoscimento di questo beneficio.

L'articolo 21 dispone che le risorse del Fondo di rotazione possano essere destinate anche alla copertura delle spese che gli organi di controllo abbiano dichiarato non rimborsabili, a valere sui suddetti programmi cofinanziati dal bilancio comunitario e, quindi, naturalmente anche a copertura e a supporto tecnico operativo dell'attuazione del PNRR.

L'articolo 22 modifica la disciplina dell'assegno unico universale per i figli a carico.

L'articolo 23 modifica la disciplina delle sanzioni penali o amministrative pecuniarie per l'omissione del versamento dei contributi di previdenza e assistenza sociale da parte dei datori di lavoro.

L'articolo 23-bis introduce la possibilità di versamento della contribuzione pensionistica in relazione ad alcune fattispecie di avvenuto annullamento automatico e l'articolo 24 modifica la disciplina dei contratti di lavoro dipendente a tempo determinato nel settore privato.

L'articolo 25 modifica la disciplina dell'istituto transitorio dei contratti di espansione.

L'articolo 25-bis incrementa il limite di spesa per il riconoscimento della vecchiaia anticipata in favore di giornalisti professionisti dipendenti.

L'articolo 26 reca semplificazione in merito agli obblighi di informazione e di pubblicazione relativi al rapporto di lavoro che devono essere adempiuti dal datore di lavoro.

L'articolo 27 riconosce un incentivo ai datori di lavoro privati per le nuove assunzioni effettuate dal 1° giugno 2023 al 31 dicembre 2023 a tempo indeterminato, anche a scopo di somministrazione, o con contratto di apprendistato di giovani al di sotto dei 30 anni con determinati requisiti; tale incentivo è concesso per un periodo di 12 mesi, nella misura del 60 per cento della retribuzione.

L'articolo 28 introduce un incentivo all'assunzione da parte di enti del terzo settore con contratto di lavoro a tempo indeterminato di soggetti con disabilità e di età inferiore ai 35 anni. L'articolo 28-bis proroga dal 30 giugno al 30 settembre la norma transitoria sul diritto al ricorso al lavoro agile.

L'articolo 29 modifica la disciplina del trattamento retributivo dei lavoratori dipendenti dagli enti del terzo settore e l'articolo 30 prevede una possibile fattispecie di prolungamento del trattamento straordinario di integrazione salariale in deroga esplicita ai limiti di durata stabiliti dalla disciplina relativa al suddetto trattamento.

L'articolo 31 reca una serie di disposizioni per il completamento dell'attività liquidatoria della compagnia aerea Alitalia.

L'articolo 32 prevede un incremento pari a 30 milioni di euro delle risorse per il finanziamento statale delle convenzioni tra l'INPS e i CAF.

L'articolo 33 dispone un finanziamento straordinario a favore dell'Agenzia Industrie Difesa, allo scopo di promuovere l'occupazione in settori di alta intensità tecnologica.

Gli articoli dal 34 al 36 recano varie norme nel settore dei trasporti.

L'articolo 36-bis reca una norma interpretativa in materia di orario di lavoro nel settore del trasporto a fune.

L'articolo 36-ter prevede l'obbligo dell'utilizzo della clausola sociale per il personale impiegato nei contact center per la gestione di attività di maggiore tutela relative al mercato elettrico. L'articolo 37 modifica la disciplina dei contratti di prestazione occasionale e l'articolo 38 reca disposizioni relative al trattamento giuridico ed economico degli ex lettori di lingua straniera. L'articolo 39, per il periodo dal 1° luglio 2023 al 31 dicembre 2023, incrementa di ben 4 punti percentuali la misura della riduzione temporanea già prevista per il 2023 dei contributi previdenziali dovuti ai lavoratori dipendenti pubblici e privati rientranti in determinate fasce di retribuzione imponibile; l'incremento in esame non ha effetti sulla tredicesima mensilità. L'articolo 39-bis prevede, per il periodo dal 1° giugno 2023 al 21 settembre 2023, a favore dei lavoratori del comparto del turismo con un reddito fino a 40.000 euro il riconoscimento di una somma a titolo di trattamento integrativo speciale pari al 15 per cento delle retribuzioni lorde. L'articolo 40 prevede una disciplina più favorevole in materia di esclusione dal computo del reddito imponibile del lavoratore dipendente per i beni ceduti e i servizi prestati al lavoratore medesimo.

L'articolo 41 incrementa il Fondo per la riduzione della pressione fiscale.

L'articolo 42 istituisce un Fondo con dotazione di 60 milioni di euro destinato al finanziamento di attività socio-educative a favore dei minori da parte dei comuni per il potenziamento dei centri estivi, dei servizi socio-educativi territoriali e dei centri con funzioni educative e ricreative.

L'articolo 43 dispone che anche i gettoni di presenza erogati dalle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato dell'apposito elenco Istat siano considerati nel calcolo del reddito assoggettato al limite massimo retributivo per i lavoratori pubblici.

L'articolo 44 concerne la quantificazione e la copertura degli oneri di cui al presente decreto e reca alcune clausole contabili.

L'articolo 45, infine, Presidente - e concludo - dispone che il decreto-legge in esame entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il decreto-legge è dunque vigente dal 5 maggio 2023 (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la Vice Ministra del Lavoro e delle politiche sociali, deputata Maria Teresa Bellucci.

MARIA TERESA BELLUCCI, Vice Ministra del Lavoro e delle politiche sociali. Grazie, Presidente. Abbiamo varato questo decreto con particolare attenzione alle materie dell'inclusione sociale e del lavoro. Abbiamo colto questa opportunità per introdurre delle previsioni che ci erano state richieste dai rappresentanti delle parti sociali, del sindacato, delle associazioni del terzo settore e delle categorie professionali, e lo ritenevamo emergenziale nella misura in cui c'era necessità, da un lato, di dare risposte alla problematica della povertà e della fragilità delle persone che si trovavano - e si trovano - in condizioni difficili in Italia e, dall'altro, anche di poter assicurare un sistema di inclusione sociale e lavorativo più adeguato.

Siamo particolarmente soddisfatti del decreto che abbiamo approvato, prima, in Consiglio dei Ministri e, poi, anche nel passaggio al Senato.

Abbiamo ascoltato con attenzione le proposte di maggioranza e opposizione e il Governo è stato capace di farsi spazio per integrare dei miglioramenti; infatti, proprio il compito del Parlamento consiste nella possibilità di perfezionare decreti come quello che oggi è oggetto della nostra attenzione.

Quindi, in funzione di questo, siamo particolarmente convinti della bontà di queste iniziative, che vanno - come diceva bene la relatrice - dal taglio del cuneo fiscale in maniera significativa, di 4 punti percentuali, a una riforma che introduce uno strumento di aiuto alle persone fragili e povere, ma anche uno strumento che favorisce l'ingresso nel mondo del lavoro, dando un supporto anche di carattere economico.

Tutti i provvedimenti proposti ovviamente sono una risposta di avvio iniziale, alla quale poi si seguiranno altri provvedimenti per far sì di dare stabilità e costanza a quell'attenzione alle persone e, in particolare, ai bisogni emergenti che ci sono in Italia.

Quindi, ringrazio tutti e ringrazio anche per i lavori di Commissione. Siamo qui ovviamente per ascoltare la discussione generale con grande attenzione, per poter arricchire le nostre riflessioni e le nostre considerazioni e, quindi, per arrivare ad atti successivi che possano essere integrati dalle proposte sia di maggioranza che di opposizione ed il cui contenuto potrà essere riversato nei provvedimenti successivi. Quindi, grazie ancora per i contributi che vorrete dare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il presidente della Commissione lavoro, onorevole Walter Rizzetto. Ne ha facoltà.

WALTER RIZZETTO, Presidente della XI Commissione. Grazie, Presidente. Io ringrazio sia la maggioranza, sia l'opposizione, che tra l'altro stamattina ha tenuto un dibattito importante per qualche ora in Commissione lavoro, laddove abbiamo dato, alle ore 12,03, il mandato al relatore.

Leggo, però, Presidente, alcune dichiarazioni da parte di componenti delle opposizioni, che non corrispondono a quanto effettivamente abbiamo vissuto. Quindi, il mio brevissimo intervento in questo momento tende evidentemente a cercare di ristabilire quello che, al netto delle posizioni e delle sfumature politiche di maggioranza e opposizione, che sono assolutamente legittime - ci mancherebbe altro -, abbiamo realmente vissuto.

Leggo di maggioranza senza dibattito e di compressione della democrazia parlamentare. Giovedì 22 giugno, Presidente, alle ore 17,45, era convocata la Commissione lavoro per la lettura della relazione da parte della relatrice, onorevole Schifone.

In Commissione c'era soltanto la maggioranza, nel senso che, per un qui pro quo - così mi pare di aver capito -, le opposizioni non sono entrate, laddove effettivamente si poteva discutere ed ascoltare la relazione della relatrice, Schifone. Quindi, eravamo in assoluta, splendida solitudine. Oggi la relatrice, onorevole Schifone, legge tutta la relazione, in aggiunta, il Vice Ministro Bellucci dà una sua interpretazione, anche in questo caso in modo assolutamente normale rispetto alle decisioni politiche della maggioranza e dell'opposizione, in Aula e non soltanto in Aula. Anche in questo caso, riferendomi a quanto letto su compressioni della democrazia parlamentare, Presidente, io ritengo che, se si deve difendere qualcosa di sacro, come la democrazia parlamentare, le opposizioni, in questo caso, non dovrebbero essere in nove in Aula, ma dovrebbero essere in massa all'interno di quest'Aula.

In ultimo, venerdì 23 - e dopo mi taccio, ringraziando, però, il lavoro di tutti -, alle ore 18, ho presieduto la Commissione lavoro - quindi, poche ore fa - su ammissibilità ed inammissibilità delle proposte emendative, in altrettanta splendida solitudine, al netto di una deputata del MoVimento 5 Stelle, venuta in Commissione per ascoltare le ammissibilità e le inammissibilità.

In ultimo, leggo un'agenzia, il cui titolo, probabilmente sbagliato, non lo so, riporta che non è stato dato il mandato al relatore. Il mandato al relatore, Presidente, è stato regolarmente dato nelle tempistiche che la Conferenza dei capigruppo ci ha indicato, anche su richiesta dell'opposizione. Quindi confermo che, in Commissione lavoro, a questo punto, in altrettanta ed ulteriore, splendida solitudine, i deputati - c'era il collega D'Alessio, quindi, a questo punto, in quasi splendida ed altrettanta solitudine - hanno dato il mandato al relatore, esattamente così come da Regolamento e con le tempistiche pienamente rispettate.

Quando il sottoscritto ha annunciato di voler procedere - cercando di gestire le tempistiche, e lo rinnovo - alla votazione sul mandato al relatore, prima, ho dato spazio per le dichiarazioni di voto e, in seconda battuta, le opposizioni - scelta legittima - hanno deciso di uscire dall'Aula, disertando il voto sul mandato al relatore. È una scelta politica, ci mancherebbe altro, ma che non si dica che il mandato al relatore non è stato conferito.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. L'intervento del presidente Rizzetto impone una riflessione, non una replica, per l'amor di Dio, ma una riflessione.

Collega Rizzetto, nessuno ha messo in discussione, ovviamente, le sue responsabilità, ma, oggettivamente, che vi sia, in questo passaggio, una compressione dei tempi nell'attività di Commissione mi sembra un dato oggettivo e credo sia sbagliato negarlo. Qui abbiamo un ramo del Parlamento che si è tenuto questo decreto fino all'ultimo giorno possibile. I decreti, teoricamente, dovrebbero stare 30 giorni al Senato e 30 giorni alla Camera, se partono dal Senato o viceversa.

Le domando, collega, presidente Rizzetto se queste tempistiche, in questo caso, siano state rispettate, e lei sa che non sono state rispettate, non per responsabilità di questa Camera, della Commissione che lei presiede. Negare l'evidenza mi sembra un errore, lo dico da un punto di vista istituzionale.

Siamo in una situazione in cui non solo, ormai, è invisa l'abitudine di un monocameralismo alternato, ma si sta continuando sempre di più a comprimere i tempi. Io credo che questo sia sbagliato. Un provvedimento come questo avrebbe avuto bisogno di una settimana - dico tanto? - di lavoro in Commissione, di discussione. Il problema è che si sa che, tanto, c'è la fiducia, non si possono fare interventi emendativi perché non ci sono i tempi, altrimenti il decreto scade. L'opposizione cosa deve fare? Ad un certo punto, lascia l'Aula, abbandona, dice “fatevelo voi, perché in queste condizioni non si può lavorare”.

Almeno questo, presidente Rizzetto, ce lo lasci fare, ci lasci rivendicare almeno questo tentativo di rimettere le cose dove sono, rimarcando che così non va. Ma non dovremmo dirlo solo noi dell'opposizione, credo che dovrebbe essere un sentimento condiviso anche dalla maggioranza. Fermiamoci, perché così stiamo violentando la Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), perché non è più un bicameralismo paritario, è un monocameralismo alternato, i cui esiti, alla fine, sono deprimenti, perché non credo - e mi metto nei panni anche dei colleghi di maggioranza - che ci sia entusiasmo rispetto all'impossibilità di dare un contributo, sia dai banchi dell'opposizione sia dai banchi della maggioranza!

Ci tenevo a dirlo, non in polemica con il collega Rizzetto, ma affinché, anche per gli atti, per chi, magari, fra qualche anno, leggerà i resoconti, ci sia il quadro della giustezza e, io credo, anche della correttezza delle opposizioni in questo passaggio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Tenerini. Ne ha facoltà.

CHIARA TENERINI (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi. Vice Ministro, il decreto-legge in discussione ha una grande importanza per il nostro Paese, dal momento che interviene a disciplinare ambiti che impattano in modo diretto e dirompente sulle famiglie italiane e sulle imprese. Si tratta di un provvedimento che vede il Governo confrontarsi con la regolamentazione del mercato del lavoro, una sfida ardua, in un momento in cui occorre risollevare la nostra economia dopo anni estremamente difficili.

Dopo i necessari interventi per contrastare il caro bollette inseriti nella legge di bilancio, che hanno consentito di abbattere i costi di luce e gas, l'attenzione del Governo si è concentrata sull'obiettivo di aumentare il potere di acquisto delle famiglie italiane. Il testo trova il suo nucleo principale nella definizione di due aspetti fondamentali: l'inclusione sociale e il lavoro. Una delle esigenze all'interno del decreto era quella di riuscire a superare e, in qualche maniera, a riformulare il reddito di cittadinanza, una misura meramente assistenziale, che ha creato tantissime storture e che è costata moltissimo alle casse dello Stato. Ovviamente, non per questo, si poteva non aiutare tutte le persone effettivamente non più occupabili, individuando un percorso alternativo.

Occorre ricordare che, da aprile 2019 a dicembre 2021, il reddito e la pensione di cittadinanza sono stati erogati a 2 milioni di nuclei familiari, per un totale di 4,65 milioni di persone, per una spesa di quasi 20 miliardi di euro, per l'esattezza 19,83 miliardi. Nel 2022, la misura è costata 7,99 miliardi di euro. Tali risorse, elargite attraverso un sistema privo dei necessari controlli, non sono sempre andate nelle tasche di chi ne avesse effettivamente bisogno. Per tale ragione, il Governo ha deciso di sospendere la misura in favore di un intervento perequativo più equo in grado di aiutare la platea dei non occupabili, incentivando, contemporaneamente al reinserimento lavorativo, la platea degli occupabili.

La misura individuata viene definita “assegno di inclusione” e partirà dal 1° gennaio 2024. L'assegno di inclusione viene definito dalla norma in esame come una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli, attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. L'accesso a tale sussidio è condizionato alla prova dei mezzi e all'adesione ad un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa. Il beneficio mensile, che avrà un importo non inferiore ai 480 euro, verrà erogato dall'INPS quale integrazione al reddito in favore di quei nuclei familiari che comprendono persone con disabilità, minori e ultrasessantenni che siano in possesso di determinati requisiti, avrà una durata di 18 mesi e potrà essere rinnovato per altri 12. Per attivare questo beneficio, i destinatari dovranno sottoscrivere un Patto di attivazione digitale, che preveda anche incontri trimestrali per l'aggiornamento della propria posizione.

I requisiti inerenti alle condizioni economiche del nucleo familiare, concernente sia i valori massimi dell'ISEE, del reddito familiare, del patrimonio immobiliare e del patrimonio mobiliare, sia l'assenza di godimento di alcuni beni durevoli particolari sono analoghi a quelli previsti per il reddito di cittadinanza. Una sostanziale differenza deriva dal diverso regime di durata e di rinnovo, in quanto, per l'assegno di inclusione, dopo i primi 18 mesi, il rinnovo è ammesso per 12 mesi, anziché 18, ferma restando la sospensione di un mese dell'erogazione del beneficio prima di ogni rinnovo.

Il riconoscimento della misura presuppone la sottoscrizione da parte del richiedente di un Patto di attivazione digitale. Quest'ultimo deve essere sottoscritto in una piattaforma digitale del Sistema informativo per l'inclusione sociale e lavorativa. Alla sottoscrizione del suddetto Patto conseguono, da un lato, il riconoscimento dell'assegno di inclusione nel mese successivo, dall'altro lato, l'applicazione di ulteriori procedure ed obblighi. L'inadempimento di tali obblighi determina la decadenza del beneficio. In particolare, si prevede che i servizi sociali effettuino una valutazione multidimensionale dei bisogni del nucleo familiare alla sottoscrizione di un Patto per l'inclusione.

Nell'ambito di tale valutazione, i componenti del nucleo familiare, di età compresa tra i 18 e 59 anni, attivabili al lavoro, vengono avviati ai centri per l'impiego per la sottoscrizione del Patto di servizio personalizzato. Anche il Patto per l'inclusione sopramenzionato deve prevedere la partecipazione in via obbligatoria ad attività formative o di lavoro o ad altre misure di politiche attive da parte dei componenti del nucleo familiare maggiorenni o di età inferiore a sessant'anni che esercitino la responsabilità genitoriale, non occupati, non frequentanti un regolare corso di studi, né titolari di una pensione diretta e che non abbiano determinate cariche di cura relativa a figli o familiari disabili. Sono esclusi da tali obblighi le persone affette da patologia oncologica, i soggetti con disabilità rientranti nell'ambito di applicazione del cosiddetto collocamento obbligatorio, nonché, come aggiunto dal Senato, i soggetti inseriti nei percorsi di protezione e di fuoriuscita dalle violenze di genere. In ogni caso, i soggetti esclusi dai suddetti obblighi possono richiedere l'adesione volontaria a un percorso personalizzato di accompagnamento al servizio.

L'Assegno di inclusione è corrisposto mediante uno strumento di pagamento elettronico ricaricabile denominato Carta di Inclusione, utilizzabile per acquisti o, entro i limiti previsti dal medesimo comma, per prelievi di contanti. Si esclude che la carta possa essere utilizzata per giochi che prevedano vincite di denaro o altre utilità. Inoltre, la carta non può essere utilizzata per l'acquisto di sigarette, anche elettroniche, di derivati dal fumo, di giochi pirotecnici o di prodotti alcolici.

L'articolato del decreto individua le amministrazioni e le autorità competenti per i controlli dell'Assegno di inclusione. Ad esse occorre aggiungere i comuni che sono responsabili delle verifiche e dei controlli anagrafici. È individuata una serie di criteri e di modalità di acquisizione dei dati e delle informazioni relative ai controlli ed è prevista l'adozione di un piano nazionale triennale di contrasto all'irregolare percezione del beneficio. Sono, infatti, previste sanzioni penali per illeciti di falso o di omissioni relative ai benefici in esame.

In merito ai soggetti occupabili, la norma detta regole in merito all'obbligo di accettazione di un'offerta di lavoro a seconda dei requisiti di quest'ultima. Nel testo, parzialmente riformulato dal Senato, si distingue a seconda che l'offerta di lavoro sia a tempo indeterminato o a termine e, nell'ambito della prima tipologia contrattuale, disciplina distintamente l'ipotesi in cui nel nucleo familiare vi siano figli di età inferiore ai 14 anni. È stata inserita, a lato degli 80 chilometri, la percorrenza in massimo 120 minuti con mezzi di trasporto pubblico. Inoltre, si prevede che l'assegno sia sospeso in caso di rapporto di lavoro a termine di durata compresa tra uno e sei mesi. L'erogazione del beneficio riprende al termine del rapporto. Il periodo di durata di quest'ultimo e il reddito da esso derivante non rilevano ai fini dell'applicazione dell'assegno.

È stata inserita una serie di incentivi per l'assunzione di soggetti beneficiari dell'Assegno di inclusione, nonché una prestazione aggiuntiva per i beneficiari dell'Assegno di inclusione che avviino un'attività lavorativa autonoma, un'impresa individuale o una società cooperativa entro i primi 12 mesi di fruizione del beneficio. Tali norme riconoscono, in primo luogo, un incentivo in favore dei datori di lavoro privato in caso di assunzione dei soggetti in esame; l'incentivo è della durata massima di dodici mesi e l'importo dello stesso varia a seconda che il contratto stipulato sia a tempo indeterminato o a termine.

Si prevedono, inoltre, un incentivo per le agenzie per il lavoro con riferimento alle assunzioni in oggetto, effettuate a seguito di loro specifica attività di mediazione, un incentivo per alcuni enti e imprese con riferimento all'assunzione in oggetto relativa a persone con disabilità ed effettuate a seguito di attività di mediazione da parte dei medesimi enti o imprese. La summenzionata prestazione aggiuntiva per i beneficiari dell'Assegno di inclusione è riconosciuta in un'unica soluzione ed è pari a sei mensilità dell'Assegno di inclusione, calcolate nel rispetto di un limite pari a 500 euro mensili.

Altre novità riguardano l'attivazione di un sistema di monitoraggio e di valutazione relativo all'attuazione dell'Assegno di inclusione, l'istituzione di un Osservatorio sulle povertà e la creazione del Supporto per la formazione e il lavoro. Tale istituto interessa, in primo luogo, i soggetti di età compresa tra i 18 e 59 anni non aventi i requisiti per accedere all'assegno di inclusione e appartenenti ad un nucleo familiare con un valore dell'ISEE non superiore a 6.000 euro annui. Il Supporto per la formazione e il lavoro è definito come una misura di attivazione al lavoro mediante la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento e di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro. In tali ambiti rientrano anche il servizio civile universale e i progetti utili alla collettività.

In caso di partecipazione ai suddetti progetti, per la durata della stessa e comunque per un periodo massimo di 12 mensilità, l'interessato riceve un'indennità pari a 350 euro mensili.

Altro aspetto che rappresenta il cuore del decreto in esame è quello relativo alla riduzione del cuneo fiscale. Le risorse, pari a 4 miliardi e ricavate da altre misure, hanno consentito un taglio del cuneo di quattro punti che si somma a quello già fatto in legge di bilancio.

Il taglio delle tasse sul lavoro ha sempre rappresentato una questione di primo piano per il partito che rappresento. Si tratta anche di una delle misure che stanno più a cuore a questo Governo, che si è impegnato a portare una drastica riduzione delle tasse sul lavoro. Parliamo di un intervento di cui i lavoratori potranno vedere gli effetti direttamente in busta paga. Nel concreto si tratterà di un taglio aggiuntivo di altri quattro punti che sarà applicato una tantum per un periodo di cinque mesi, tra luglio e novembre, e sarà rivolto a quei lavoratori che hanno una retribuzione lorda fino a 35.000 euro l'anno, aggiungendosi al già presente taglio di tre punti. In sostanza, si arriva fino a sette punti di taglio per chi ha una retribuzione pari a 25.000 euro; i punti diventano invece sei per quelle retribuzioni comprese tra 25.000 e 35.000 euro.

Nel testo si prevede, inoltre, un'estensione ai genitori vedovi della maggiorazione dell'assegno unico per i figli. Si tratta di misure concrete, che vanno a incidere sul nucleo fondamentale della nostra società, la famiglia, attorno alla quale tutte le politiche del Governo si stanno muovendo con azioni concrete e incisive.

È prevista, inoltre, una proroga che va dal 30 giugno fino al 30 settembre di quest'anno per quanto concerne il lavoro agile, previsto per i dipendenti fragili occupati nella pubblica amministrazione. Non solo. È prevista anche una proroga, al 31 dicembre, dello smart working per i lavoratori fragili o per i genitori con figli fino a 14 anni di età.

Questo Governo ha a cuore anche i giovani, che hanno necessità di ricevere un sostegno per l'accesso al mondo del lavoro. Per tale ragione, sono previsti incentivi pari al 60 per cento delle retribuzioni a favore di quei datori di lavoro che assumano giovani di età inferiore ai trent'anni. Molti giovani sono titolari di contratti a termine. Per tale ragione, il presente decreto prevede che, entro i primi 12 mesi, i contratti a termine potranno essere non solo prorogati, ma anche rinnovati liberamente, senza le previste causali. Successivamente, poi, solo con le causali.

La norma si occupa anche del lavoro delle persone con disabilità, sostenendone l'assunzione da parte degli enti del terzo settore, con appositi incentivi e relativo fondo di finanziamento. In tema di fringe benefit, il decreto innalza la soglia esentasse per i compensi in natura concessi dal datore di lavoro dagli attuali 258 euro ai 3.000 euro per i dipendenti con figli a carico. I fringe benefit saranno esentati oltre che dalle tasse, anche dagli oneri contributivi.

L'Italia è un Paese che vive di turismo, che rappresenta una parte considerevole del nostro PIL. Arriva, quindi, un bonus estate: dal 1° giugno 2023 al 21 settembre 2023 ai lavoratori del comparto del turismo, inclusi gli stabilimenti termali, sarà riconosciuta una somma a titolo di trattamento integrativo speciale che non concorre alla formazione del reddito pari al 15 per cento delle retribuzioni lorde per il lavoro notturno e gli straordinari.

Con le misure previste, si interviene anche in merito al rafforzamento delle regole di sicurezza sul lavoro e di tutela contro gli infortuni con specifici controlli ispettivi. Siamo stati tutti drammaticamente colpiti dalla mole di infortuni, anche mortali, che ha coinvolto ragazzi impegnati nell'alternanza scuola-lavoro. Per questo si è intervenuti con una revisione dei percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento e viene istituito, presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, un Fondo per i familiari degli studenti vittime di infortuni in occasione delle attività formative. È, inoltre, incrementato di 5 milioni per quest'anno il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.

Altre misure sul tema riguardano l'obbligo per i datori di lavoro di nominare il medico competente se richiesto dalla valutazione rischi, il monitoraggio sulle attività formative e sul rispetto della normativa di riferimento, sia da parte dei soggetti che erogano la formazione, sia da parte dei soggetti destinatari della stessa, l'obbligo di formazione specifica in capo al datore di lavoro nel caso di utilizzo di attrezzature di lavoro che richiedano conoscenze e responsabilità particolari con conseguenti sanzioni in caso di violazioni.

In sede di conversione, altre due misure sono state introdotte: l'acquisto del libretto famiglia, il servizio dell'INPS per pagare prestazioni di lavoro occasionale, come lavoratori domestici e babysitter, che potrà essere fatto anche in tabaccheria, e la possibilità per le donne vittime di violenza di costituire un nucleo familiare indipendente da quello del marito anche ai fini ISEE per l'accesso all'Assegno di inclusione.

In conclusione, le misure della norma rivolgono l'attenzione che merita al mondo del lavoro, applicando una serie di correttivi animati dall'andare incontro alle famiglie italiane che rappresentano la priorità per questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sull'ordine dei lavori l'onorevole Baldino. Ne ha facoltà.

VITTORIA BALDINO (M5S). Grazie, Presidente. Intervengo sull'ordine dei lavori per proseguire un dibattito che si è sviluppato pochi minuti fa, quando il presidente della Commissione lavoro, Rizzetto, non si capisce per quale motivo, abbia stigmatizzato l'atteggiamento delle opposizioni e, francamente, mi sembra anche un po' ridicolo, Presidente. Anche perché oggi stiamo discutendo in un'Aula vuota, è vero, su un provvedimento importantissimo…

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole. “Ridicolo”, cassiamolo.

VITTORIA BALDINO (M5S). È un giudizio di valore, Presidente. Credo di essere libera di poterlo esprimere. Credo che l'intervento del collega Rizzetto sfiori il ridicolo (Commenti del deputato Rizzetto), perché stiamo parlando di un provvedimento discusso in Commissione lavoro per sole 3 ore; un provvedimento che contiene norme che impattano sulla vita di lavoratori, cittadini, imprese e famiglie in difficoltà, discusso in Commissione per sole 3 ore! Non abbiamo votato nemmeno un emendamento (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e il presidente viene anche a farci la morale, Presidente. È inaccettabile tutto questo, è inaccettabile!

Chiedo, per favore, che, d'ora in poi - e mi unisco all'appello del presidente Fornaro - le Camere facciano il loro lavoro, perché è inaccettabile che ormai si viva in un monocameralismo di fatto, senza essere in una situazione di emergenza.

Vi ricordo che quando eravamo in piena pandemia, in emergenza, quella forza politica che oggi governa il Paese si lamentava con il Presidente del Consiglio e con la maggioranza perché il Parlamento non faceva il proprio lavoro. Eravamo in emergenza e adesso non lo siamo. Quindi, pretendiamo, come parlamentari della Repubblica, di poter svolgere il nostro lavoro, di poter discutere i nostri emendamenti, di poter votare i nostri emendamenti e di poter vedere la maggioranza esprimersi sulle proposte dell'opposizione. Non abbiamo sentito una parola, in Commissione lavoro, da parte della relatrice e da parte dei componenti della maggioranza sugli emendamenti delle opposizioni, che non sono stati neppure discussi. Quindi, è inaccettabile che il presidente Rizzetto ci venga a fare la morale, Presidente. Non lo possiamo tollerare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Maria Cecilia Guerra. Ne ha facoltà.

MARIA CECILIA GUERRA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Voglio dirle, Presidente, che sono rimasta molto colpita dall'intervento della Vice Ministra, che ha detto una cosa che mi ha proprio lasciato interdetta, cioè che questo decreto, che oggi discutiamo, è finalizzato all'inclusione e al lavoro. Invece, io vorrei cercare di argomentare che questo decreto è finalizzato all'esclusione e al lavoro povero e precario e, quindi, proprio al contrario di quello che è stato detto.

Per quanto riguarda la questione dell'inclusione, non si può dire che questo decreto è finalizzato all'inclusione quando l'intervento di riforma, con le cosiddette misure di contrasto alla povertà - che non sono tali, perché tutti gli studi fatti, da studiosi dell'accademia, così come dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio parlamentare di bilancio, danno esattamente lo stesso esito -, comporterà che tra i 400.000 e i 500.000 nuclei familiari rimarranno, dopo questo intervento, senza quell'aiuto che prima avevano e che si chiamava reddito di cittadinanza; 400.000 o 500.000 nuclei familiari. Come si fa a dire che stiamo includendo? Invece, stiamo escludendo e di questi 400.000 nuclei, il 33,6 per cento sono esclusi non perché occupabili, come ci viene detto, ma per mancanza di requisiti familiari. Cosa vuol dire questo? Che non si trovano, perché questa è la loro situazione, in una famiglia in cui ci sia anche un minore, un anziano oltre i 60 anni - e anch'io sono anzianissima, allora, secondo quel criterio - o una persona con grave disabilità. Perché il fatto di avere o non avere in famiglia quel tipo di persona rende me occupabile o no? Questa è veramente una questione assurda e nessun altro Paese europeo - nessun altro - usa un criterio di occupabilità che sia legato a condizioni anagrafiche. L'occupabilità è legata alla tua esperienza di lavoro, alle tue caratteristiche psicofisiche, al fatto che tu abbia una qualifica maturata anche attraverso i tuoi studi, al tempo che è trascorso dall'ultima volta che hai avuto un'occasione di lavoro. Questa è l'occupabilità e questa era anche l'offerta congrua di lavoro di cui si discuteva quando ancora si ragionava su questi temi. Gli altri 100.000 sono buttati fuori perché i vincoli economici, quindi la condizione di povertà, è valutata con criteri più stretti. È inclusione, questa? Non so, potrebbe essere. Per esempio, vengono buttati fuori, appunto, circa 100.000 nuclei familiari, perché non si tiene più conto della spesa per l'affitto e, quindi, la soglia di reddito familiare per poter entrare è 6.000 euro, mentre prima era di 6.000 euro ma, se si era in affitto, la soglia saliva a 9.630 euro (adesso non ricordo esattamente l'importo). Si teneva conto che non è la stessa cosa campare sul reddito se si ha la casa o se si deve pagare l'affitto. Questa cosa non viene più considerata e 100.000 nuclei familiari sono esclusi. Vice Ministro, questa è inclusione (lo chiedo, ovviamente, attraverso il Presidente)? Non mi sembra proprio. Penso, invece, che sia molto, molto grave. In più, se non sei un minore, se non sei un anziano o se non sei una persona gravemente disabile, non vieni considerato meritevole di essere aiutato anche se sei in povertà. Allora, succede che se tu hai un figlio maggiorenne che sta studiando, questo figlio ha un peso pari a zero, ossia non viene considerato. Quindi, il tuo potrebbe essere un nucleo familiare povero, che non può permettersi che il proprio figlio completi gli studi perché non sei degno di avere un sostegno anche se sei un lavoratore, perché ignoriamo, in questo decreto, che i lavoratori spesso lavorano, ma restano poveri, e questo si ricollega - e ci arriverò - alla seconda parte di questo magnifico decreto.

Parlavo di occupabili e di non occupabili. Sempre un'istituzione, che possiamo considerare politicamente neutra e tecnicamente molto attrezzata, che è la Banca d'Italia, nella sua relazione annuale, ci dice che ha preso i beneficiari del reddito di cittadinanza, li ha divisi in due gruppi, cioè quelli che continueranno ad avere l'assegno di inclusione e quelli che, invece, saranno fuori dall'assegno di inclusione, ed è andata a valutare i profili e gli elementi che possano caratterizzarli proprio in funzione della loro occupabilità. Ebbene, ci dice che non emerge nessuna caratteristica privilegiata in quelli che stanno fuori rispetto alla possibilità di accesso nel mercato del lavoro, anzi si riproducono, in entrambi i gruppi, quelle caratteristiche che noi già conosciamo, ossia le persone che sono in età da lavoro, che fanno fatica a trovare un lavoro e che sono comprese tra i percettori del reddito di cittadinanza lo sono, generalmente, perché hanno livelli di istruzione decisamente bassi - più del 70 per cento hanno solo la licenza elementare - e perché sono molto distanti dal mercato del lavoro, cioè non hanno lavorato da molto tempo. Pensate, poi, che il 57,1 per cento di queste persone sono donne. Quindi, avete capito la fregatura? Prima ti dicono di stare a casa, ad accudire i figli, a fare la casalinga e così via. Poi, a un certo punto capisci che sei occupabile, che devi andare a lavorare e che non hai proprio niente in mano e questo succede a molte, molte donne, però di questi temi non si tiene alcun conto.

Devo anche dire che c'era uno sforzo, in fase di realizzazione, di costruire delle politiche attive nel nostro Paese. Anche l'ANPAL ha avuto le sue traversie, legate, tra l'altro, a un sistema di divisione delle competenze fra Stato e regioni che crea un caos in questo campo e di cui dobbiamo essere assolutamente consapevoli. Per fare un esempio, tu puoi avere una qualifica professionale riconosciuta in Emilia-Romagna, però quel corso, se vai a spenderlo in Umbria magari non è riconosciuto perché ci sono altre regole. Queste sono le follie del nostro Paese. L'ANPAL stava finalmente costruendo sia una banca dati uniforme sia una profilazione seria delle persone, anche con risultati apprezzabili. Allora, giustamente, cosa abbiamo fatto? In un altro decreto - perché, poi, è fiore da fiore - è stata chiusa. Cosa c'è al suo posto? Non si sa. Le competenze rientrano al Ministero? Con quali progetti? Con quale diversità? Perché? Sulla base di quali analisi? Non si sa. Questo è veramente atroce. Su problemi così seri uno può fare scelte diverse, ma deve farci capire dove vuole andare e perché chiude quello che c'è proprio nel momento in cui comincia a dare risultati.

Avevamo discusso, quando c'era il reddito di cittadinanza, sulle condizionalità, cioè sul fatto che uno prende il reddito di cittadinanza però se poi gli veniva offerto un lavoro doveva accettarlo. Prima erano tre offerte, poi due offerte e poi un'offerta; vicino casa, lontana da casa, congrua o non congrua. Ma qui il problema è stato tolto a monte, perché se non hai, appunto, le condizioni oggettive, ossia avere qualcuno nel tuo nucleo così come dicevamo prima, sei comunque occupabile, non c'è condizionalità e, quindi, sei fuori. Non sei condizionato ad accettare un lavoro, ma sei fuori e basta e ti arrangi. Attenzione, perché questo riguarda tutta la fascia delle persone fra i 18 e i 59 anni e questo decreto è assolutamente cieco rispetto al fatto che in quella fascia di età, senza avere le persone tutelate di cui abbiamo parlato in precedenza, nella famiglia, ci sono soggetti che hanno disagi, anche gravi, di diversa natura, quali disagi psichici, percorsi di marginalità, persone senza fissa dimora che in precedenza accedevano - ma guarda un po' - al reddito di cittadinanza.

Andate a chiedere agli amministratori comunali, anche ai vostri, cioè agli amministratori dei comuni amministrati dalla vostra parte politica, e vedrete cosa vi dicono, perché si sta scaricando tutto su di loro, senza alcun aiuto in termini di risorse aggiuntive. E' un disagio forte perché è proprio il disagio adulto che sta crescendo in questo Paese e che si è sicuramente accentuato anche dopo la pandemia.

Passiamo all'altro punto (non voglio farla troppo lunga, anche perché mi deprimo parlando), e cioè il lavoro, la creazione del lavoro. Cosa creiamo? La scelta fondamentale, numero uno, la bandiera sul lavoro di questo decreto è l'espansione delle possibilità di utilizzare il lavoro a termine.

Il lavoro a termine, nella mia e nella nostra valutazione, non è proprio una bellezza, diciamo che sta diventando una piaga nel nostro Paese. Quindi, l'idea che debba essere potenziato ci sembra abbastanza drammatica. I contratti di lavoro a termine avevano avuto un rallentamento dopo la pandemia, ma negli ultimi 2 mesi - ce lo dicono i dati dell'Osservatorio sul precariato dell'INPS, ma ce lo dice anche la Banca d'Italia, ancora una volta - hanno ripreso a crescere, così come i lavori stagionali e gli intermittenti. In più, nel lavoro a termine c'è anche una straordinaria incidenza del part time, nel 35 per cento dei casi. Nel 2022 la quota dei contratti a tempo determinato era il 16,5 per cento, una cifra che purtroppo non è molto dissimile anche da quella di alcuni altri Paesi.

Però, sappiamo che proprio il lavoro a termine e il part time costituiscono la fonte primaria della dispersione dei redditi da lavoro dipendente nel settore privato, che è molto aumentata. Cosa vuol dire dispersione dei redditi? Vuol dire diseguaglianze, profonde diseguaglianze sul mercato del lavoro. Queste diseguaglianze sono proprio legate al fatto che si lavora meno settimane rispetto al tempo pieno e rispetto al tempo indeterminato per retribuzioni settimanali più basse, perché il lavoro a termine non è un espediente o una necessità anche, talvolta, quando l'impresa deve far fronte a situazioni eccezionali, ma è un modo per pagare poco e tenere le persone, soprattutto i giovani, soprattutto le donne, in condizioni di ricatto.

Nel 2022 l'occupazione femminile è tornata a crescere, ma è concentrata in prevalenza proprio nei settori dove è più diffuso il tempo determinato, come l'alberghiero e la ristorazione. La quota di giovani che dopo 5 anni ancora si trova a passare da un lavoro a tempo determinato all'altro, che dopo 5 anni fa un lavoro determinato dietro l'altro, è il 20 per cento. È una situazione rispetto alla quale bisognerebbe rispondere andando ad approfondire, dicendo: sì, va bene, il tempo determinato ci deve essere. Può essere un'opportunità per il lavoratore, può essere un'opportunità per l'impresa, ma in una situazione in cui ci sia pressione e in cui non ci siano contratti migliori (come già esistono nel turismo), dove non ho bisogno di fare il tempo determinato quando ho il lavoro stagionale, che è molto più tutelato, perché dà ammortizzatori sociali, e ammortizzatori sociali più forti.

Quando eravamo in tempo di pandemia, Presidente, ed ero al Governo come Sottosegretaria del Ministero dell'Economia, abbiamo cercato di dare indennità a tutte le persone che avevano un rapporto con il mercato del lavoro e che si erano trovate a perderlo di fronte al lockdown. A un certo punto, quando pensavamo di avere coperto tutti, sono emersi migliaia di lavoratori nel turismo che non avevamo coperto perché non gli facevano il contratto di lavoro stagionale, ma a tempo determinato, dal momento che il tempo determinato, diversamente dal lavoro stagionale, non ti dà il diritto a essere richiamato nella stagione successiva. Neanche questo diritto, questo minimo diritto, voleva essere riconosciuto. E, allora, noi cosa facciamo? In quel settore, dove già sappiamo che la gente è sfruttata e lavora molto di più di quello che è pagata, noi ci mettiamo anche i voucher, diamo la possibilità di allargare ancora i voucher, che vado a comprare in tabaccheria. Vado a comprare i lavoratori in tabaccheria: un pacchetto di sigarette e 3 ore del lavoro di Mario, un sigaro e 2 ore del lavoro di Maria. Questo è ciò che vogliamo, il voucher è proprio la forma massima di mancanza di considerazione e di dignità del lavoro.

Il lavoro non si compra a chili, il lavoro si paga. Invece noi, nel nostro Paese, avremo imprese di una dimensione già decorosa, cioè fino a 25 dipendenti, che potranno utilizzare anche in misura superiore i voucher. E se prenderanno delle persone a cui faranno fare la notte o lo straordinario, li pagheremo noi, perché gli daremo un bonus che verrà messo a carico della collettività. Ma quando mai? Sei tu che usi il lavoratore, che lo fai lavorare in orari più difficili, e sei tu che devi pagarlo, non la collettività.

Se in questo Paese non passa il concetto base che il lavoro va pagato, non andremo da nessuna parte. Abbiamo un modello di sviluppo centrato sullo sfruttamento delle persone, sulla compressione del costo del lavoro, che ci rende non competitivi, perché purtroppo siamo in concorrenza con Paesi dove c'è ancora più schiavismo che da noi, un moderno schiavismo, ovviamente; e perdiamo il treno dell'innovazione, che ci potrebbe dare molto di più.

E, allora, cosa ha fatto questo Governo? Ha deciso di abrogare la tutela normativa, che preesisteva, rispetto al fatto che, almeno quando i contratti a tempo superavano i 12 mesi, si potesse richiedere che ci fossero delle causali, indicate dalla norma.

La norma è un elemento di tutela per il lavoro: essa viene tolta e tutto viene affidato alla contrattazione di qualsiasi livello. Ma, attenzione, l'innovazione che sto per dirvi è la più grave di tutte: se per caso i contratti non arrivano in tempo a definire quando, come e perché si può fare il lavoro a tempo, allora il datore di lavoro si può mettere d'accordo direttamente con i lavoratori. Ma perché, allora, ci sono i sindacati? Perché il lavoratore, quando contratta con il datore di lavoro, non ha la stessa forza contrattuale.

Quello è un mercato in cui ci sono due parti con un potere molto diverso, e quando inseriamo l'individualizzazione del contratto, stiamo indebolendo ancora la parte più debole. Questa innovazione non avrà magari una ricaduta enorme, perché i contratti cercheranno di supplire, ma è un'innovazione che dal punto di vista dei principi è gravissima, gravissima!

In più, già era brutto, schifosetto direi, questo decreto, ma il passaggio parlamentare è riuscito a renderlo anche peggiore, perché nel passaggio parlamentare la maggioranza ha fatto passare due nuove innovazioni. Una che rende possibile rinnovare i contratti a termine senza causale, anche sotto i 12 mesi. Attenzione, quando do la possibilità di rinnovare - già la proroga non mi piaceva molto, ma figuriamoci il rinnovo -, intanto sappiamo che i contratti a termine per il 30 per cento sono di durata inferiore al mese, ma poi ho il lavoratore nelle mie mani. Conosco molti giovani, e proprio qualche giorno fa un'amica di mia figlia è stata licenziata. Non glielo dicevano neanche, ha dovuto vedere che il suo posto di lavoro era già stato offerto. Cercavano una stagista in sostituzione di una che aveva fatto 6 mesi di stage e 5 anni di apprendistato, questo è il modo in cui si guarda al lavoro.

Questa è una situazione che per le donne e per le nostre ragazze è impossibile. Se il tuo contratto ogni mese, ogni 15 giorni, può essere rinnovato, fino a quando vuole il tuo datore di lavoro, potrai mai decidere vagamente di fare un figlio? Ma no, puoi anche non dirlo, ma, appena si vede che sei incinta, sei a casa per sempre, per molto tempo almeno.

Poi, cosa hanno fatto ancora? Hanno azzerato il contatore. Vuol dire che chi ha dato ha dato: se avevi già fatto mesi e mesi di lavoro a tempo, non vengono più contati, riparte il conto. Hanno ampliato anche il limite del somministrato; poi vado a chiudere, perché non voglio abusare del vostro tempo, ma sul somministrato voglio dire una cosa che si ricollega a quello che dicevo prima.

Ci sono dei limiti, il 20 per cento della forza lavoro al massimo deve essere in somministrazione, perché altrimenti abbiamo un posto di lavoro in cui le persone non riescono neanche a costruirlo il lavoro, a informarsi sulle condizioni di sicurezza, a fare massa critica per evitare di essere troppo sfruttati. Invece la concezione che sta passando è l'idea che c'è una massa, l'avremmo chiamata in passato un esercito industriale di riserva, un insieme di persone che possono lavorare, purché facciano qualcosa. Dobbiamo mandarli sul mercato del lavoro a qualsiasi condizione, non devono avere dignità, devono avere l'obbligo di lavorare.

Allora questo limite, che era di cautela, può essere derogato per le persone più deboli, quelle che sono disoccupate da 6 mesi e hanno, quindi, una cassa integrazione o una indennità di disoccupazione da molto tempo, le persone che vengono dal reddito di cittadinanza, quelle che definiamo gravemente svantaggiate.

Attenzione, mettiamo lavoratori contro lavoratori, obblighiamo le persone, anche attraverso le nuove regole, incongrue, del nuovo assegno di esclusione, a premere su un mercato del lavoro già fragile, su segmenti particolarmente fragili, ripeto, dove ci sono migliaia e migliaia di donne che accettano di lavorare lì perché magari è vicino casa, perché magari possono fare un orario un pochino più flessibile, invece di dare risposte vere ai problemi.

L'Italia, purtroppo, è l'unico Paese, in Europa, che, grazie a questo Governo, sarà privo di una misura di contrasto alla povertà di tipo universale. Mi dispiace, mi dispiace molto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Coppo. Ne ha facoltà.

MARCELLO COPPO (FDI). Grazie, Presidente. Non andrò nel dettaglio dei singoli articoli e delle singole misure, perché bene o male sono già state ben spiegate e ho meno tempo per il mio intervento. Mi preme però dire una “cosetta”, perché che c'è qualcuno prima di me che ha parlato di esclusione sociale. Peccato che i dati dicano il contrario, perché 5.000 posti di lavoro in più non mi sembrano proprio una esclusione sociale. Ciò dimostra come la linea del Governo Meloni sia vincente. Perché vincente? Perché è proprio un cambio di paradigma. Non si deve confondere la politica attiva del lavoro con un sussidio per chi non può lavorare. Questo è un principio base, anche solo ontologico diciamo, da dizionario. Quello che è stato fatto è, appunto, dividere le due misure: chi non può lavorare o comunque difficilmente può trovare lavoro avrà un assegno di inclusione; chi invece può lavorare avrà un supporto per la formazione. Si richiama molto semplicemente la famosa parabola dove, tra dare il pesce tutti i giorni e insegnare a usare una canna da pesca, è molto meglio insegnare a usare una canna da pesca, perché la persona non è più dipendente dal sussidio. Tale separazione ha già avuto i suoi effetti, perché questo decreto è la parte seconda dopo la finanziaria. Nella finanziaria veniva posto il limite al reddito di cittadinanza, che scade al 31dicembre di quest'anno, ed ora è stata creata la misura per aiutare chi non può lavorare e, correttamente, per insegnare a lavorare a chi è fuori dal mercato del lavoro. É vero che chi è fuori dal mercato del lavoro ha magari un'istruzione e una formazione più basse, che gli rendono difficile superare questo ostacolo ma, proprio perché il problema è quello, noi dobbiamo incidere e aiutare queste persone a trovare il loro lavoro, insegnando in base alla necessità del mercato del lavoro. Dicono che, se uno incentiva qualcuno a trovarsi un lavoro, è un obbligo, uno sfruttamento o una violazione della dignità, ma in questo Paese esiste una norma, l'articolo 36 della Costituzione, applicata in tutti i tribunali, che identifica una regola base: chi lavora deve essere retribuito in modo tale che sia garantita la sua dignità e libertà, per sé e la sua famiglia. Quindi, se andiamo a individuare delle misure che incentivano il lavoro, non possono che essere misure per cui chi lavora deve avere una giusta retribuzione, altrimenti vuol dire che c'è qualcosa che non funziona nel sistema giuridico italiano. Questa separazione è il nocciolo di cosa vuol dire lavoro o, meglio, di quello che è l'attuazione dell'articolo 1 della Costituzione: l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Il lavoro è, comunque, un discrimine e lo dice l'atto fondamentale del nostro ordinamento, del nostro Stato, della nostra Nazione.

A questo si aggiungono altri aspetti destinati ad incentivare il mondo del lavoro. Da un lato, ci sono le semplificazioni relative alla comunicazione: andando ad aggiungere pagine su pagine, non si tutela il lavoratore dal lavoro nero; una volta che ci sono i dati del datore di lavoro e del dipendente e l'inquadramento in base al contratto collettivo nazionale di lavoro, gli elementi sono già ben precisi e precisati. È anche corretto dare la possibilità al lavoratore di visionare il contratto collettivo nazionale di lavoro e vi assicuro che, sul sito Internet, c'è molta più privacy che non sulla bacheca aziendale o nello spazio dedicato ai sindacati, dove uno se lo deve anche leggere di fretta. Ci sono poi anche altre semplificazioni, come il libretto di famiglia. Infatti, spiegatemi la differenza tra fare un bonifico all'INPS, che deve essere fatto magari 10-15 giorni prima perché sennò non compare nel portale, e acquistare dei buoni che possano essere dati alla lavoratrice che tutti i giorni si reca in casa e fa anche parte della famiglia nel momento in cui lavora: la differenza non c'è. Io al posto di fare un bonifico all'INPS o, meglio, pagare con un F24, vado ad acquistare da altre parti la retribuzione, ovvero il buono da dare alla lavoratrice. Di lì deriva anche il lavoro come valore, nel senso che, se io ho un aumento delle retribuzioni e delle unità lavorative, ho sicuramente meno pressione sul bilancio dello Stato per l'altra parte, ovvero per l'assegno di inclusione o il supporto alla formazione. Il prevedere delle agevolazioni, come sono state previste, è in un'ottica di investimento perché, se un rapporto di lavoro inizia, lo Stato spende di meno, la persona ha il suo lavoro e la sua dignità, l'impresa può provare, a un costo più basso, come funziona il rapporto di lavoro anche per un'espansione della stessa impresa e tutti viaggiano nella stessa direzione e non in una contrapposizione tra datore di lavoro e lavoratore, tutti remano nella stessa direzione dello sviluppo. È proprio nell'idea dello sviluppo e dell'aumento delle potenzialità economiche di questo Paese che questo decreto esplica la sua forza. Perché? Perché, aiutando le nuove assunzioni dei più giovani e creando le basi per nuova occupazione, come si sta dimostrando ed è sotto gli occhi di tutti in questi mesi, il Paese cresce, liberando le proprie energie e la fiducia nel lavoro e nell'impresa. La nostra visione non è certo di decrescita felice. Non è la nostra visione, perché più cresce l'economia e meno c'è necessità di fare debito per sostenere la parte sociale. Quindi, lo sviluppo aiuta il sociale. Entriamo in quest'ottica, perché, a volte, la contrapposizione di gramsciana memoria ha portato forse qualche errore in questo Paese. Aggiungiamo poi il cuneo fiscale, che viene ridotto. Ho sentito un'affermazione: il lavoro va pagato. È vero, ma se lo Stato ne porta via una gran parte, il datore di lavoro cercherà, magari, di risparmiare; ma se anche lo Stato ne prende di meno, sicuramente si dà un maggior valore al lavoro e alla spinta di tutti per far crescere questo Paese, sempre in una visione di dignità del lavoro, ex articolo 36 della Costituzione. Aggiungo ancora, per non tediarvi, solo qualche spunto. Se l'ottica è anche quella dello sviluppo e, quindi, della crescita del PIL di questo Paese, è passata però sottotraccia una “normetta”, che invece a me ha fatto molto piacere, ovvero l'incremento del Fondo rotativo Mediocredito centrale per il sostegno dell'internalizzazione delle imprese. Il Governo Meloni punta molto sul made in Italy e su quello che il made in Italy può dare in termini di esportazione. Quando può crescere il PIL? Quando si aumenta la produzione e, aumentando la produzione, si riesce a valorizzare questa produzione per portare capitale nel nostro Stato.

E un fondo rotativo, che riesca a finanziare progetti per aumentare le potenzialità di internazionalizzazione delle nostre imprese, è sicuramente una buona notizia, perché abbiamo la possibilità di farlo. Nel mondo l'Italia è richiesta. Quando si parla di made in Italy, la gente corre per vedere i prodotti, per provarli, si trova bene e li compra. Ed è proprio questo tipo di fondo che permette di creare nuovi posti di lavoro e, soprattutto, evita la delocalizzazione, perché, se vendo made in Italy, non lo posso fare, se non in Italia. Volevo segnalare anche quest'aspetto.

Un altro intervento che riguarda le famiglie è l'assegno unico. Molte volte, ho sentito nei dibattiti televisivi, in certi mainstream o, magari, in certi personaggi che cantano bene, ma se la cantano e se la suonano, che non dovrebbe esserci una differenza tra chi ha figli e chi non ne ha. Al netto del fatto che i figli sono una grande soddisfazione, specialmente per chi, come me, li ha, chi ha, per esempio, due bambini – contando in modo spurio – sa che pannolini, pappine, passeggino, asilo, nido, scuola, libri e tutto il resto rappresentano un costo: è un costo che fa molto bene alla società, perché aumenta il PIL, ma è comunque un costo per le famiglie. Quindi, dire che chi ha figli ha costi in più e considerato che sono un bene per la società - avere e mantenere figli sicuramente è qualcosa che, in futuro, dal punto di vista anche del sistema pensionistico italiano, può essere utile -, secondo me, è un aspetto da valutare; poi magari lo decliniamo male e magari qualcuno lo potrà declinare meglio, ma oggettivamente sono numeri e matematica, oltre che tanto amore per i figli e per il nostro Paese.

L'ultima segnalazione riguarda una norma che mi sta a cuore, perché è un po' l'oggetto della mia prima interrogazione in Commissione: si tratta della modifica del sistema sanzionatorio per omissioni contributive sotto i 10.000 euro. Prima del decreto Lavoro, cosa succedeva? Succedeva che chi magari non aveva versato 300 euro di contributi dei dipendenti - per carità, perché, ad esempio, glieli erano stati chiesti nel 2020-2021 o, magari, perché si è trovato in difficoltà - era colpito con una sanzione tra i 10.000 e i 50.000 euro. Vi sono casi di una sanzione superiore ai 16.000 euro, tant'è che persino i funzionari dell'INPS quasi si vergognavano a emettere simili sanzioni. Questo sistema è stato modificato, parametrando la sanzione, che ci deve essere per un'omissione contributiva, da una volta e mezza a quattro, relativamente all'omissione stessa; se si omette di versare 200 euro, si dovranno pagare dai 300 agli 800 euro di sanzione (almeno è parametrata all'omissione).

Con questo concludo, indicando la soddisfazione per questo provvedimento, che punta a far sviluppare l'Italia, a liberare le energie di questo Paese, ad aiutare il lavoro e anche a dare un messaggio a chi ha voglia di lavorare: lavorate, lo Stato è con voi, non è contro di voi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Antonio D'Alessio. Ne ha facoltà.

ANTONIO D'ALESSIO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Colleghi, rappresentanti del Governo credo che questo provvedimento sia comunque un'occasione perduta, perché il tema è di quelli importanti, nodali rispetto alla vita del Paese, alle richieste del Paese, anzi alle esigenze del Paese. A onor del vero, c'è qualche profilo positivo che noi, per onestà intellettuale, ma anche per coerenza politica, non nascondiamo, anzi dobbiamo evidenziare. Abbiamo sempre ritenuto che il reddito di cittadinanza non fosse un buon provvedimento e continuiamo a dirlo. Quindi, abbiamo auspicato l'eliminazione del reddito di cittadinanza. Perché questo? Perché riteniamo che il reddito di cittadinanza sia una traduzione di politiche assistenzialistiche, che sono sacrosante, ma entro certi limiti, cioè devono accompagnare i percorsi delle fasce veramente indigenti, ma quando si allargano ai giovani o a altre fasce di potenziare i lavoratori, diventa un errore.

Bisogna avere un respiro, una proiezione diversa, più lunga, da un punto di vista culturale innanzitutto, dell'impostazione di un Paese, ma anche come traiettoria economica e occupazionale. Tuttavia, c'è un problema sociale. Quella del reddito di cittadinanza è una misura, a nostro avviso, sbagliata, ma oggettivamente ha costituito un ammortizzatore sociale, sicuramente, a nostro avviso, di corto respiro, nel medio-lungo periodo sbagliato, ma oggettivamente lo è. Ora, lo stop a questo a questa misura assistenzialistica doveva avere una contestuale reale offerta di chance nel mondo del lavoro. Temiamo che questo non ci sia. Ci aspettavamo di più, molto di più sul tema; ci aspettavamo un investimento significativo, importante, un investimento reale, che temiamo non sia stato effettuato nel decreto.

C'è, sì, la necessità di un equilibrio tra il sostegno e l'investimento, si deve ridurre decisamente il riscorso al sostegno assistenzialistico, ma, ripeto, ci doveva essere un rovescio della medaglia, che non c'è stato e questo acuisce una preoccupazione sociale, soprattutto perché, ad accompagnare l'introduzione di questa nuova misura di inclusione, c'è un rischio, che gli effetti positivi siano soltanto una illusione, alimentata da corsi di formazione che dovrebbero consentire automaticamente e immediatamente l'immissione di potenziali lavoratori nel mondo del lavoro, i quali successivamente dovrebbero trovare una collocazione nel mondo del lavoro.

Abbiamo l'impressione che una visione complessiva della ricaduta occupazionale manchi, in questo provvedimento e in tutta la strategia del Governo. Quindi plaudiamo all'impostazione generale, ma assolutamente siamo molto preoccupati di come si è andata a tradurre in questo provvedimento, ossia l'esiguità dell'investimento. Quando l'investimento è esiguo, non dà con certezza – o, almeno, con probabilità più o meno alte - la proiezione ottimistica di una ricaduta occupazionale e che possa essere reale.

Ci sono temi, materie nelle quali lo Stato deve investire, il Governo deve puntare con coraggio, e oggi la situazione del Paese imporrebbe che, nel mondo del lavoro, si investisse in modo significativo e importante. Questo, a nostro avviso, non c'è, non c'è ancora, non c'è stato, non c'è sicuramente in maniera convincente in questo provvedimento.

Qualche altra nota positiva. Sicuramente il cuneo fiscale è ridotto, ma anche su questo - dispiace contraddire l'impostazione della discussione che ha dato il collega Coppo - la riduzione trova decisamente il nostro consenso, ma è una misura temporanea, limitata. Occorrono misure strutturali, non provvisorie, non parziali.

Anche su questo punto riteniamo che non ci sia una visione complessiva in ordine al mettere in moto, in maniera significativa, la macchina del lavoro attraverso una riduzione reale, effettiva, consistente e importante del cuneo fiscale.

Vi sono altri profili positivi. Come gruppo Azione-Italia Viva, sto cercando di tracciare l'impostazione verso la quale andiamo, ossia astenerci sul voto del provvedimento definitivo, perché, se è vero - come è vero - che alcune impostazioni ci persuadono e ci convincono, è anche vero che la loro traduzione non è soddisfacente. Quindi, traccio doglianze, ma anche profili positivi. Tra questi, per esempio, c'è l'incremento delle norme sulla sicurezza del lavoro, che abbiamo salutato con favore: oggi c'è una grande necessità di sicurezza sul lavoro e abbiamo anche deciso, all'unanimità, l'istituzione di una Commissione parlamentare che lavorerà sul tema del controllo e della sicurezza, con la possibilità di intensificare anche i sovvenzionamenti e le somme da erogarsi in questa direzione. Altro profilo positivo è la garanzia della sicurezza anche nei cantieri temporanei, con l'estensione ai lavoratori autonomi delle misure di tutela per la salute e la sicurezza. Profilo positivo è anche quello dell'estensione dell'assicurazione INAIL agli studenti, quindi nei settori dell'istruzione e della formazione, e anche l'obbligo di nominare il medico competente quando è opportuna la presenza per le valutazioni che vengono fatte sui rischi. Positiva è poi la norma che prevede che l'assegno di inclusione possa essere erogato alla moglie, anche se il marito violento già usufruisce di questo strumento: non sfugge che ciò rappresenta un passo importante affinché venga fugata la paura, per una donna, per una moglie, di denunciare il compagno violento; è una norma che va nella direzione dell'emancipazione e della libertà per le donne che si trovano in questa situazione.

I temi - ripeto - che attengono al mondo del lavoro e al sostegno sociale sono particolarmente delicati e questa è un'occasione perduta perché? Perché il provvedimento doveva andare in una direzione di equità, di efficienza, di capacità di incidere, con ricadute occupazionali reali, sulla tutela delle fasce povere, della fragilità, delle fasce deboli, di porre un freno – per quanto si possa - a una situazione veramente delicata del Paese e di rimediare, nei limiti del possibile, alla piaga dell'esclusione sociale. Invece, andiamo sempre in una direzione di emergenza, di temporaneità, di parzialità e di incompiutezza dei provvedimenti legislativi. Occorrono misure strutturali, ma non stiamo procedendo in questo senso; i lavoratori fragili e i lavoratori disabili hanno bisogno di misure strutturali - ripeto - e non provvisorie.

Lavoro e sicurezza sono temi sui quali troverete sempre il nostro appoggio, ma anche quello - credo - di tutti i deputati di buonsenso, però sono d'accordo con le doglianze espresse in precedenza, da altri settori dell'opposizione. La materia delicata postula cioè la necessità di un dibattito reale, con i tempi giusti, con l'attenzione agli emendamenti e con l'attenzione al dibattito, invece sembra - ripeto - che si segua uno stanco copione. Già arrivano le voci sulla posizione della questione di fiducia; peccato perché noi vogliamo realmente dare una mano. Noi rispettiamo la maggioranza e una maggioranza che si rispetti deve adottare le decisioni, ma il momento dell'ascolto è un momento fondamentale, che questa maggioranza sta realmente trascurando. L'ascolto innanzitutto garantisce il dibattito democratico, ma poi, soprattutto, molte volte migliora davvero i provvedimenti, nell'interesse del Paese. Allora, l'augurio è che il Governo abbia il coraggio, nel prosieguo, innanzitutto, per quanto riguarda questi temi, di adottare provvedimenti strutturali. La nostra, quella di Azione-Italia Viva, sarà sempre un'opposizione attenta, costruttiva, mai preconcetta, che valuterà sempre empiricamente, senza sovrastrutture e senza barriere ideologiche, i singoli aspetti.

Non possiamo esprimere un voto favorevole, perché il provvedimento non ci soddisfa; non esprimeremo un voto contrario perché, per i rilievi ai quali mi riporto e che ho poc'anzi rappresentato, rinveniamo qualche profilo positivo. Quindi, ci asteniamo; questo verrà ribadito anche nella dichiarazione di voto, salvo cambiare, ovviamente, all'ultimo, opinione, come gruppo, ma ci asterremo, sperando in uno scatto nella direzione giusta su questi temi, da parte del Governo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Francesco Mari. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MARI (AVS). Grazie, Presidente. Evidentemente, è una discussione importante quella di oggi, purtroppo all'interno di una modalità come quella della fiducia, che non solo comprime i tempi, ma probabilmente condiziona anche la possibilità di fare una discussione vera dentro il Parlamento. La discussione riguarda un tema significativo per questo Paese, non solo perché ovviamente si parla di lavoro, che è sempre argomento di grande interesse, ma perché questa tematica riveste una particolare rilevanza in Italia, anche perché, in qualche misura, c'è una vera e propria anomalia italiana. Nei principali Paesi europei il tema del lavoro è visto sostanzialmente in due modi. I principali Paesi europei, dal punto di vista della ricchezza prodotta, della qualità e del peso del sistema produttivo, sostanzialmente difendono il proprio mercato del lavoro e il proprio sistema previdenziale e, anzi, sono impegnati costantemente in un avanzamento di quelle condizioni, di pari passo con la crescita e con il rafforzamento complessivo del sistema Paese. In questi Paesi, il lavoro è assolutamente più avanti e tutelato. In altri, invece, che sono alla ricerca del livello più basso possibile di costo del lavoro, il tema del lavoro, della precarietà, della sicurezza e della qualità del lavoro è ovviamente indietro. L'Italia è uno dei Paesi principali del nostro continente, dal punto di vista del peso e della qualità del sistema produttivo, del ruolo della manifattura e della ricchezza complessiva, però è anche il Paese in cui il lavoro è più precario, insicuro, povero e, molto spesso, di bassa qualità. Il nostro mercato del lavoro rimane quindi una realtà non in buona salute, se non malata, che avrebbe bisogno di quelle che tutti chiamano politiche attive. Il Governo entra in questo percorso con il decreto di cui discutiamo oggi, ma credo che una discussione sul decreto non si possa fare senza capire effettivamente la nostra condizione. Il Rapporto Istat relativo al lavoro del 2022 certifica la caduta del cosiddetto lavoro standard, ossia di quello a tempo indeterminato e a tempo pieno.

Nel 2021, guardando alla totalità dei lavoratori occupati, gli standard erano 6 su 10, rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato e a tempo pieno. Allo stesso tempo, quindi, la tendenza è l'aumento del lavoro dipendente, a tempo determinato e, molto spesso, ed è una caratteristica di questo Paese, con contratti di breve durata.

Secondo il rapporto INAPP del 2022, il trend in atto, la tendenza che si sta registrando, poi vedremo in particolare i risultati definitivi relativi al 2023, è che aumenterà la precarietà dei nuovi contratti di lavoro e, probabilmente, arriveremo a 7 contratti su 10 a tempo determinato.

L'altra caratteristica della nostra condizione di lavoro, del modo in cui vivono il lavoro le cittadine e i cittadini italiani è il fatto che chi incontra la precarietà difficilmente riesce a liberarsene. Sempre dall'indagine INAPP, infatti, emerge che solo nel 35 per cento dei casi il lavoro non standard diventa standard, cioè si modifica e muta in standard; il 30 per cento torna a replicarsi come lavoro atipico e, in un ulteriore 35 per cento dei casi, si trasforma per metà in disoccupazione in cerca di lavoro e per metà, addirittura, in uscita dal mercato del lavoro.

Anche un'attività classicamente considerata non standard, il part time, desta preoccupazioni. Secondo l'Istat, già un quinto degli occupati è interessato da questo tipo di lavoro, il part time, e non lo fa volontariamente: è il cosiddetto part time involontario cioè non scelto dal lavoratore, ma imposto. Va anche detto che questi sono i dati rilevati. Tutti sappiamo, a prescindere dalla parte dell'emiciclo in cui sediamo, che, in realtà, molto spesso, il tempo di lavoro dichiarato, certificato dal rapporto di lavoro, non è quello reale.

Comunque, secondo l'INAPP, nel 2021 - è l'ultima rilevazione che abbiamo -, il part time involontario ha coinvolto l'11,3 per cento dei rapporti di lavoro, la media OCSE è del 3,2: si capisce benissimo la distanza italiana, l'anomalia italiana rispetto a questo fenomeno che si chiama part time involontario.

Tutti elementi che espongono anche chi non è disoccupato al rischio di povertà, perché, poi, questa condizione di lavoro, ovviamente, è banale dirlo, genera un reddito insufficiente - come diceva un collega prima - per l'attuazione di quell'articolo 36 della Costituzione che, al secondo comma, parla di una retribuzione in grado di garantire alla famiglia del lavoratore una vita libera e dignitosa. Tra l'altro, probabilmente, dobbiamo soffermarci più spesso su questo aspetto per cercare di capire oggi, nel 2023, cos'è una vita libera e dignitosa. Probabilmente, in questa dignità e in questa libertà, dovremmo cominciare ad includere il tempo libero, le vacanze, la possibilità che i figli facciano uno sport, sicuramente la possibilità che i figli raggiungano qualsiasi grado di istruzione, e così via. Quindi, vita libera e dignitosa è sicuramente qualcosa da tenere costantemente sotto osservazione, anzi, addirittura, da aggiornare nella nostra discussione pubblica.

Prendendo come campione l'insieme dei lavoratori dipendenti pubblici e privati, compresi i part time e i “part year” che hanno lavorato poche settimane o pochi giorni l'anno, secondo INPS, il 23,3 per cento aveva una retribuzione annua inferiore ai 780 euro al mese che, ricordo, era la quota massima del reddito di cittadinanza. L'INAPP spiega, poi, che, nell'ultimo decennio, il tasso di lavoro povero, cioè la percentuale di chi, pur lavorando, vive in una famiglia a rischio povertà, non è mai diminuito, restando pari all'11,3 per cento, cioè 2,1 punti percentuali al di sopra del tasso medio dell'Unione europea. Da qui, credo si possa tranquillamente parlare di un'anomalia italiana rispetto al lavoro povero.

Ciò significa che, tra i lavoratori con reddito più basso, cioè sotto i 10.000 euro lordi l'anno, il 12 per cento non è in grado di provvedere autonomamente a una spesa improvvisa, essendo senza risparmi e non potendo ottenere crediti, mentre il 20 per cento riesce a fronteggiare solo spese fino a 300 euro. Quasi 1 su 3, inoltre, ha dovuto posticipare le cure mediche.

Anche i lavoratori che non rischiano la povertà, in Italia, hanno stipendi che, spesso, fanno arrancare, non fanno arrivare alla fine del mese. Il nostro è l'unico Paese che, in 30 anni, ha registrato un calo dei salari, mediamente, del 2,9 per cento, a fronte di una crescita OCSE del 38,5. Secondo il Forum Diseguaglianze e diversità, l'indice che calcola l'equidistribuzione dei redditi è aumentato dal 36,6 per cento al 44,7.

Dicevo, il part time involontario, quindi, è ancora sopra il 10 per cento degli occupati, ma - qui c'è un altro aspetto molto rilevante - è ben sopra il 15 per cento per le donne e per i giovani fino a 34 anni. L'incidenza delle donne occupate in part time involontario sul totale delle donne in part time supera il 50 per cento in Italia. Quasi un terzo delle donne con contratto a tempo determinato è in cosiddetto part time involontario.

C'è, poi, un ultimo dato, quello demografico, pure è rilevante, che riguarda sicuramente anche la questione della sicurezza sul lavoro di cui giustamente, come è stato già detto, si occuperà la Commissione da poco insediata. Il dato demografico segnala come l'allargamento dell'occupazione avvenuta lo scorso anno - e ancora in corso, bisogna dire - per i più giovani non sia del tutto rassicurante.

Secondo un'indagine della fondazione Di Vittorio, l'aumento tendenziale è in gran parte determinato, addirittura, da occupati oltre 64 anni, che sono raddoppiati tra il 2008 e il 2022. Un dato che fa aumentare l'età media dei lavoratori: oggi i lavoratori over 50 sono il 40 per cento del totale.

In questo quadro generale arriva il provvedimento del Governo del 1° maggio, ahimè, che rimuove sostanzialmente - non la ridimensiona, ma la modifica in modo radicale - la misura del reddito di cittadinanza. Voglio dirlo dal mio punto di vista, dal nostro punto di vista, quello di Alleanza Verdi e Sinistra: in una condizione come questa servirebbe un reddito incondizionato. Invece, si taglia il reddito - lo diceva la collega Cecilia Guerra - a 400.000-500.000 famiglie.

Una domanda retorica, Presidente: cosa ha funzionato in pandemia? Varie cose, soprattutto, tre: la sanità, e tutti eravamo impegnati a ringraziare le lavoratrici e i lavoratori della sanità; la scuola, perché ha retto l'urto anche con gli strumenti tecnologici, ma, in quel momento, il rapporto si è mantenuto in qualche modo e la scuola ha continuato sostanzialmente a funzionare; il terzo elemento che ha funzionato veramente è stato il reddito di cittadinanza. Va detto, questo Governo, in 8 mesi, ha compromesso tutti e tre gli elementi: ha ridotto, di fatto, il finanziamento alla sanità, attacca la scuola pubblica in tutti i modi possibili, dalle dichiarazioni del Ministro alla riduzione degli spazi, delle ore di scuola e, infine, toglie a 400.000-500.000 famiglie il reddito di cittadinanza.

Fa questa cosa, assieme ad altri provvedimenti, già richiamati, che ricordo soltanto per titoli, poi ci tornerò. Sono due: in primo luogo, l'ampliamento della possibilità di utilizzare i voucher e poi la possibilità di utilizzare senza lacci e lacciuoli i contratti a termine.

L'ho già detto in Commissione e lo ripeto qui: sarebbe un errore immaginare queste distinte misure come effettivamente separate, come scoordinate, come pezzi di un puzzle che si tiene malamente assieme; non è così. Queste misure sono fortemente e significativamente legate l'una all'altra, si tengono l'una con l'altra, hanno una evidente coerenza, quasi una scientificità. Se devi rendere più facili i contratti a termine, perché questo ti viene chiesto da una parte del sistema imprenditoriale italiano, se devi aumentare l'uso dei voucher, perché questo ti viene chiesto da una parte delle imprese italiane, devi per forza, lo ripeto, devi per forza eliminare lo strumento di politica del lavoro che ha ridotto la ricattabilità dei lavoratori disoccupati. Ricorderete tutti quanti, credo, la denuncia di Bonomi, presidente di Confindustria, che si lamentava addirittura della concorrenza sleale tra reddito di cittadinanza e offerta salariale in questo Paese. Quella fu la prova provata del fatto che il reddito di cittadinanza funzionava, perché se un lavoratore può rifiutare un lavoro con un'offerta salariale troppo bassa, questo è un fatto positivo per un Paese, è un fatto positivo per un sistema produttivo.

Accenno soltanto a un paio di questioni relative alle altre due misure: i voucher e la semplificazione dal punto di vista dei contratti a termine. Innanzitutto, come sapete, per le imprese il limite di utilizzo viene portato a 15.000 euro e questo è un fatto molto significativo, non è una cosa qualsiasi, è una cosa che cambia la possibilità per tante imprese di non avere il peso dei lavoratori dipendenti. Rimane il fatto che ogni lavoratore può percepire massimo 5.000 euro, di cui di 2.500 da ogni datore di lavoro, ma stiamo parlando, soprattutto, per le caratteristiche dei voucher, per i settori di impresa in cui verrà utilizzato, di lavoro stagionale, quindi, non si tratta di poco; molto probabilmente, il rapporto di lavoro sarà regolato dai voucher, che è sbagliato pensare che siano uno strumento di pagamento. I voucher non sono uno strumento di pagamento, anche se c'è quella cosa terribile, già detta in quest'Aula, per cui il rapporto con il mio dipendente lo vado a comprare in tabaccheria - c'è una pedagogia negativa in tutto questo -, ovviamente, c'è questo, ma il voucher è uno strumento regolatorio del rapporto di lavoro.

Ricordo, anche per suggerire qualcosa rispetto alla quantità di lavoratori che potrebbero essere interessati, che nel 2015 un milione e 700.000 lavoratori sono stati pagati con i voucher. Rispetto al primo momento in cui furono introdotti i voucher - nel primo anno, erano poco più di un milione i lavoratori - questo numero fece un balzo e, oggi, noi possiamo realisticamente pensare che tra i due e i tre milioni di rapporti di lavoro saranno regolati dai voucher che non è che abbiano proprio tutto. Sembra che in quei 2,50 euro che fanno la differenza, fra i 10 euro e i 7,50 euro che vengono erogati al lavoratore, vi sia tutto, ma non è vero: non c'è la disoccupazione, non c'è la maternità, non c'è la malattia, non ci sono gli assegni familiari e c'è una bassa ricaduta in termini previdenziali, e scusate se è poco.

In quel quadro di cui abbiamo parlato prima, in cui i rapporti di lavoro sono così caratterizzati dal tempo limitato, da un tempo limitato involontario, capirete che se un lavoratore per anni si trova a essere utilizzato in alcuni periodi con questo strumento di lavoro, ebbene la ricaduta dal punto di vista dei diritti è una ricaduta forte, pesante, sostanziale.

Ovviamente, c'è poi l'altra questione che riguarda la massima libertà possibile, in questo momento, rispetto all'utilizzo dei contratti a termine. L'eliminazione delle causali è un segnale, ma anche qui dobbiamo sempre vederla in combinato disposto: il mercato del lavoro si muove in modo omogeneo, si muove anche sulla base di segnali e il primo segnale è venuto dalla Presidente del Consiglio quando ha fatto il discorso alle Camere; un altro brutto segnale è venuto dalla Presidente del Consiglio quando ha detto che la Patria è quel posto dove i sacrifici si fanno tutti assieme. Sembra una cosa giusta, cosa c'è di strano nel dire che i sacrifici si fanno tutti assieme? Messa così, tolta da qualunque contesto è un'affermazione condivisibile, solo che questo è un Paese in cui i sacrifici da 30 anni li fa soltanto una parte. Quindi, detto così è preoccupante, detto così significa che i sacrifici debbono continuare a farli sempre gli stessi!

Quindi, il problema è leggere queste misure nel contesto; come dicevo, c'è un messaggio forte, in questo decreto c'è un messaggio fortissimo a una parte del Paese, c'è una risposta chiara a una parte del Paese, a quella che ha chiesto, in questi anni, maggiore libertà di muoversi, una parte delle imprese italiane, neanche tutte, una parte delle imprese italiane.

Per non cadere nell'errore che qui ci sia semplicemente una classica contrapposizione, ribadisco che non si tratta di questo, c'è una parte delle imprese italiane che ha fatto questa domanda e a questa domanda, oggi, questo Governo dà questa risposta. Governo che non risponde, invece, a un'altra parte del Paese, ma fa un danno gigantesco non solo alle persone, non solo agli uomini e alle donne che lavorano, fa un danno gigantesco al sistema produttivo di questo Paese, perché noi non andremo avanti, così, ma andremo indietro, rispondiamo ad egoismi, non rispondiamo all'interesse generale!

In questo modo, voi ci proponete un sistema produttivo fatto di lavoratori demotivati e questo è il principale danno alla produttività del sistema. L'indice di soddisfazione dei lavoratori in Italia è molto basso, sta al 50,2, lontanissimo da quello degli altri Paesi europei. I nostri lavoratori sono insoddisfatti, demotivati, sono avanti negli anni e il sistema delle imprese è piccolo, perché fatto di imprese alle quali viene detto, con questo messaggio, che devono competere attraverso il costo del lavoro; quello è il terreno della competizione: pagate i vostri lavoratori il meno possibile, trovate il sistema di pagarli il meno possibile! Aggiungo - lo dico chiaramente -: in questo vi aiuteranno i consulenti del lavoro. Questo è il sistema che ci proponete: pagateli il meno possibile.

A questo si aggiunge - perché dobbiamo guardare anche le altre misure - la massa di finti lavoratori autonomi, di fatto, dipendenti, perché non possiamo separare ciò che accade con queste misure dalle altre che sono state adottate, come la flat tax al 15 per cento; mettere assieme questi elementi è importante. Abbiamo: persone fragili, abbandonate, sottoposte ad ogni possibile ricatto, lavoratori demotivati, avanti negli anni, imprese piccole che competono solo con riferimento al costo del lavoro, finti lavoratori autonomi che sono di fatto lavoratori dipendenti.

Rispondete soltanto a una parte del Paese e a quell'altra parte del Paese, fatta di lavoratrici e lavoratori, non date risposte.

Anche per questo, ovviamente, esprimiamo tutta la nostra contrarietà su questo provvedimento, ma riteniamo anche che ci sia, per fortuna, una larga mobilitazione in corso, che non poteva rimanere inascoltata. Le lavoratrici e i lavoratori non potevano non reagire anche allo sfregio che è stato fatto alla cultura del lavoro, adottando questo provvedimento il 1° maggio. Quella è stata una provocazione gravissima. Per fortuna, nel nostro Paese si è costruita una mobilitazione che va avanti nel tempo e che, com'è stato detto anche questa mattina in Commissione, ha visto l'altro ieri a Roma una grandissima manifestazione, che ha messo al centro la difesa della sanità pubblica, che si articolerà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, che vedrà questa sera in piazza Alleanza Verdi e Sinistra proprio su queste tematiche e che porterà, il 30 settembre, a una grande manifestazione nazionale contro la precarietà e in difesa della Costituzione. Speriamo che il nostro lavoro, qui nelle Aule del Parlamento, possa essere utile e il più possibile in sintonia con la mobilitazione di questa parte del Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Claudio Michele Stefanazzi. Ne ha facoltà.

CLAUDIO MICHELE STEFANAZZI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sin dalla scelta di convocare il Consiglio dei Ministri il giorno della festa dei lavoratori chiari sono stati i contorni che questo decreto avrebbe assunto. Un puro atto di propaganda che, esattamente al contrario del nome che porta, si fa beffa di lavoro e lavoratori. Per non parlare, poi, del fatto che è il primo e unico provvedimento in tema di lavoro del Governo ed è stato varato senza il minimo coinvolgimento delle parti sociali, come se non esistesse una rappresentanza sindacale, come se non esistessero diritti e interessi di chi lavora. Infatti, questo provvedimento ricalca questa idea, dando sempre più forma a un impianto culturale, ormai evidente, secondo il quale la povertà si combatte, facendo la guerra ai poveri, la competitività della nostra economia si recupera sulle spalle del capitale umano e un evasore fiscale vale molto più di un giovane disoccupato o di una famiglia in condizioni di bisogno.

Pensavamo che questo decreto fosse una provocazione, invece, ci siamo sbagliati ancora una volta, perché dalla sfida si è passati, in fretta e furia, alla farsa, come spesso capita a questo Governo. Quello che è successo la settimana scorsa al Senato descrive la cifra politica di questa maggioranza divisa su tutto, impacciata, completamente insensibile a ciò che accade al Paese, perché, se poteva essere un caso - e non lo è stato, evidentemente - la pessima figura rimediata in occasione del DEF, vedere saltare una maggioranza di Governo per un brindisi di compleanno è la riprova della totale inadeguatezza di un'intera classe politica e i contenuti di questo decreto sono, se possibile, ancora peggio.

Partiamo, dunque, da un cavallo di battaglia: il taglio al cuneo fiscale. Vi abbiamo proposto, a più riprese, di renderlo strutturale e avete insistito sulla via della temporaneità. Non è che non ci siano risorse, ma avete altre priorità di utilizzo delle risorse. Allora, il costo del lavoro diminuisce, ma di poco, per pochi e per poco. Infatti, non è mica per tutti: i lavoratori domestici, autonomi, Cococo e occasionali sono esclusi. Ma tanto non avranno il tempo di accorgersene, perché durerà 6 o 7 mesi, fino a dicembre e poi vedremo. Questo è un must del Governo Meloni, quello della precarietà di idee e di programmazione. Infatti, la precarietà è uno dei punti forti di questo decreto. In questo Paese, abbiamo il record europeo di NEET, con un giovane su 4 che non lavora, la disoccupazione femminile è incredibilmente maggiore rispetto alla media UE e i working poor sono sempre di più. Ormai un lavoratore su 10 guadagna meno di quanto gli servirebbe per badare, in maniera dignitosa, a sé e alla sua famiglia, come è prescritto, peraltro - lo ricordo a me stesso -, all'articolo 36 della Costituzione.

Abbiamo più di 3 milioni di lavoratori irregolari e un terzo dei lavoratori dipendenti del settore privato guadagna meno di 1.000 euro al mese. E, mentre le diseguaglianze si allargano, si sceglie di aumentare gli strumenti che favoriscono le condizioni di precarietà di chi lavora: sempre più contratti a termine e sempre più part time senza più limiti. Avete cancellato la stretta del decreto Dignità, riabilitando l'uso smodato dei voucher e permettendo la proroga acausale dei rapporti precari. Questo sempre a danno dei lavoratori, ovviamente, che diventano ancora di più la parte debole del rapporto di lavoro, oggetto di un ricatto sempre più atroce tra disoccupazione e condizioni lavorative degradanti.

Questo decreto non fa assolutamente nulla per sciogliere questi nodi e, anzi, rischia di aggravarli, perché, se non si può abbassare il costo del lavoro, tagliando le tasse. La destra italiana ci prova, abbassando gli stipendi in un Paese - ricordiamolo - in cui i salari sono bloccati da 20 anni e l'inflazione ha raggiunto quest'anno la doppia cifra. I lavoratori onesti no, ma gli evasori fiscali trovano sempre più protezione sul suolo nazionale: prima i 12 condoni della legge di bilancio e ora il concordato preventivo nella delega fiscale. Avete trovato il modo per combattere l'evasione, ossia far sì che non si chiami più così e che gli evasori possano scegliere, in serenità, quante tasse pagare, a loro piacimento. Nel frattempo, 100 miliardi di euro all'anno vengono sottratti alle casse dello Stato. Dunque, medici che non potremo formare né assumere, scuole e asili che non potremo costruire e gestire, tasse che non potremo abbassare, strade e ferrovie che non potremo realizzare, servizi pubblici che non saremo in grado di migliorare.

Quanto alla povertà non c'è che dire. Almeno su questo, purtroppo, avete mantenuto le promesse, smantellando l'unica misura di contrasto alla povertà capace di raggiungere tutti. Dunque, cade l'universalità e i requisiti sono sempre più stringenti. Grazie a voi, torniamo a essere uno dei pochissimi Paesi europei sprovvisti di uno strumento capace di raggiungere gli ultimi. L'assegno d'inclusione è un pannicello caldo, una misura che fa distinzioni ingiuste e si fonda su un'idea che esiste soltanto nella vostra testa, ossia che la povertà è legata alla mancanza di lavoro. Infatti, ciò che, in sostanza, dite è che, se qualcuno è in età da lavoro, allora per forza può lavorare, e se non ce la fa, è colpa sua. Ovviamente, non può essere così. Così facendo, tagliando il 40 per cento dei fondi e restringendo, alla metà, il numero dei beneficiari, anche in quest'occasione, siete riusciti a fare cassa sui meno abbienti e a creare un nuovo bacino di manodopera a basso costo. In tutto questo, non vi siete lasciati sfuggire nemmeno l'occasione per una mossa che, credo, possa essere definita tranquillamente sconcertante: mi riferisco al decreto della Ministra Calderone che ha abbassato i minimi e i massimi degli indennizzi che lo Stato riconosce ai familiari delle vittime degli infortuni sul lavoro. Mentre nelle piazze e nei salotti televisivi si promette più tutela per i lavoratori, si piange per ogni decesso di lavoro, si predica più sicurezza, nei palazzi ministeriali non si lesina qualche risparmio sul dolore di genitori e figli vittime del lavoro.

Insomma, signor Presidente, siamo davanti a un provvedimento che realizza una visione radicata della destra, una visione per cui la precarietà non è un problema, ma un valore da sfruttare, dove la povertà si nasconde, come la polvere, sotto il tappeto e dove i poveri sono un ingombro, un fastidio. State facendo di questo Paese un posto sempre più diseguale, più ingiusto e più iniquo, un posto dove, se hai un privilegio, lo puoi far valere e rafforzare, ma, se hai meno opportunità degli altri, ti devi arrangiare da solo, un posto in cui cresceranno le differenze socioeconomiche e monterà la rabbia e l'insicurezza. Noi non ci possiamo arrendere a una prospettiva di questo genere. Sul lavoro, come sui tagli alla sanità, continueremo a reclamare giustizia e buonsenso, contro l'autonomia differenziata, che ucciderà ogni speranza di vedere ricucito il Paese, e contro l'idea di un fisco amico solo degli evasori fiscali. All'idea che si possa lavorare gratis o quasi e senza alcun diritto ci opporremo convintamente.

C'è una deriva culturale, Presidente, in questo Paese che, peraltro, è un'onda lunga dell'individualismo imperante negli Stati Uniti e in tutta la cultura occidentale e che, con amarezza, si può sintetizzare in una bellissima frase di Kurt Vonnegut, un autore che, negli anni Cinquanta, per primo, ha denunciato l'egoismo e l'individualismo della cultura americana e poi di quella occidentale: “Da molto tempo si è insegnato agli americani a odiare tutti coloro che non vogliono o non possono lavorare, e addirittura ad odiarsi per questo”.

Vi prego, facciamo tutti attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Raffa. Ne ha facoltà.

ANGELA RAFFA (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, mi alzo oggi in quest'Aula con un senso di urgenza e indignazione. Il nostro Paese è stato sconvolto da un decreto tanto retrogrado da sembrare uscito da un'epoca dimenticata. Il Governo Meloni, nella sua immensa saggezza, ha deciso di mettere fine all'era del progresso sociale e di riportarci indietro, alle epoche più buie della nostra storia. Questo decreto, varato il 1° maggio, ironicamente il giorno del lavoro, sembra il frutto di un'elaborazione mentale e confusa, sospesa tra la nostalgia dei buoni vecchi tempi e un'ignoranza disarmante sulla realtà del mondo in cui viviamo.

Avete avuto il coraggio di intitolare questo provvedimento come decreto Lavoro. Sì, ci vuole tanto coraggio e parecchia faccia tosta per far passare un decreto che riporta in auge la precarietà in questo Paese come una manna dal cielo per i lavoratori. Con questo decreto abolite il reddito di cittadinanza, uno strumento che aveva il potenziale di migliorare le condizioni di vita di tante persone in difficoltà economica. Voi, però, non vi fermate ad abolirlo, come dicevate in campagna elettorale, ma lo peggiorate, istituendo dei nuovi aiuti ad alcune famiglie in difficoltà, creando una lotta tra bisognosi, perché si può accedere al beneficio da voi istituito solo in presenza di minori, disabili o anziani. Insomma, alimentate le discriminazioni anche tra i più deboli. Le domande che vi pongo sono: ma perché voi non volete permettere a cittadini in difficoltà di tirarsi su? Perché non volete dare loro un sostegno per cercare un impiego dignitoso e costruire una vita migliore? Questo Governo preferisce un'alternativa più affascinante, l'elemosina. Sì, perché la reintroduzione dei voucher per i lavoratori, quella forma moderna di servitù volontaria, è un segnale chiaro. Il messaggio è: se non riesci a trovare un lavoro che ti dia dignità, accontentati di un pezzetto di carta senza valore, che ti ricorderà quotidianamente quanto poco vali. Questi sono i voucher. Inoltre, avete anche totalmente abolito il decreto Dignità, che combatteva il precariato di questo Paese. Il MoVimento 5 Stelle, appena arrivato al Governo, aveva dato vita ad un decreto che disciplinava i contratti a tempo determinato dicendo che un'impresa o un professionista poteva assumere una persona a tempo determinato solo per 12 mesi, e solo se sussistevano delle giuste cause potevano rinnovare il contratto per massimo ulteriori 12 mesi, altrimenti il contratto si trasformava a tempo indeterminato. Questo decreto aveva fatto innalzare i contratti a tempo indeterminato, dando maggiore sicurezza e la possibilità di contrarre mutui alle giovani coppie, incentivando così anche la natalità e l'indipendenza economica dei giovani. Voi, invece, che fate? Lo abolite, di fatto, dando la possibilità di prorogare i contratti a tempo determinato anche senza nessuna buona causa. Stiamo tornando alla precarietà e insicurezza del futuro, state riportando indietro l'economia di questo Paese. Vi racconto qui situazioni di vita reale. Vengo da Messina e nella mia provincia c'è il principale distretto turistico siciliano, Taormina, per non parlare delle isole Eolie. Potrei portarvi centinaia di esempi: chi è stato assunto con contratto di apprendistato e poi si trova da solo a prendere gli ordini e a servire ai tavoli; chi, come lavapiatti, deve preparare i pranzi veloci. Quasi a nessuno viene fatto il contratto da stagionale, che darebbe loro qualche garanzia in più, ma solo contratti precari. O peggio ancora, quando ci sono gli incentivi vengono assunti a tempo indeterminato e poi licenziati alla fine della stagione, e non maturano nemmeno i mesi per prendere poi il sussidio di disoccupazione. Vi racconto anche la storia di Maria, commessa in un prestigioso negozio su viale San Martino, a cui non hanno più rinnovato il contratto, e, guarda caso, proprio mentre era rimasta incinta, ma ovviamente la motivazione ufficiale era un'altra. In questi giorni, grazie alla trasmissione Report di Rai Tre, emergono alcuni comportamenti imprenditoriali non edificanti, forse illegali, che pure accadono, però. Tranquilli, non parliamo oggi della Santanche', è inutile che dalla maggioranza si sollevino dei brusii, non la avevo neanche nominata. Parliamo del fatto che però quei comportamenti, messi in atto da lei o da altri imprenditori, esistono. Al di là del singolo caso, quali soluzioni vogliamo offrire ai lavoratori che vengono sfruttati e che non vengono pagati il giusto? È evidente che le leggi attuali non sono abbastanza, se questa è la realtà. Da qualche anno e fino ai giorni scorsi è un susseguirsi di proteste di lavoratori dei settori logistica, commercio, facchinaggio, trasporti. Lavorano per grandi aziende e marchi famosi, che tutti conosciamo e dove tutti noi andiamo a comprare, ma non vengono assunti da loro, nossignore. Vengono invece piazzati in cooperative, così i lavoratori costano meno, sono licenziabili e ricattabili. Così abbiamo cooperative e società di somministrazione di lavoro che chiudono e cambiano nome ogni 12 o 18 mesi per risparmiare i contributi, per prendere maggiori agevolazioni e, soprattutto, per non riconoscere gli scatti di anzianità ai lavoratori e tenerli sempre sotto ricatto. Ti ammali, resti incinta, non lavori gratuitamente il doppio dell'orario previsto? Allora la cooperativa non ti assumerà di nuovo al prossimo cambio di ragione sociale: è questa la realtà. Questa è la realtà che emerge ogni giorno, a cui assistiamo e che possiamo toccare con mano. Basta solo uscire da qui dentro, da questi palazzi e dai ristoranti eleganti, ed andare a parlare con i lavoratori, così disperati da trovare di tanto in tanto il coraggio di protestare, anche se sanno bene che così rischiano il posto di lavoro al prossimo rinnovo. Un decreto Lavoro dovrebbe servire per rispondere a queste situazioni; invece voi fate l'esatto contrario, tagliate gli aiuti ai poveri, a chi perde il lavoro, a chi un lavoro lo ha, ma è così sottopagato da non permettergli nemmeno di superare la soglia di povertà. Voi reintroducete la precarietà perpetua. Volete veramente questo per il Paese? È questa la vostra idea di Nazione? Vi chiedo di fermarvi, di riflettere. La strada che avete deciso di intraprendere è sbagliata, non c'è destra o sinistra, progressisti o conservatori. Qui ci sono giovani di questo Paese, c'è il lavoro, la possibilità per una coppia di mettere su famiglia, per un cittadino di contrarre un mutuo e comprarsi la casa dove vivere. In questo decreto c'è la vita (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ma la vostra visione di essa non solo è elitaria e benestante, ma proprio sbagliata. Fermatevi ora che siete ancora in tempo. Ma non finisce qui, perché questo Governo sembra avere una particolare passione per le armi: non solo sottrae fondi alle politiche sociali per finanziare la produzione di strumenti di distruzione, ma sembra anche credere che una società più armata sia sinonimo di sicurezza. Sarebbe come combattere un incendio con del carburante! Il risultato sarà solo un aumento della violenza e una spirale di paura e insicurezza, che getterà nel caos il nostro Paese. Eppure c'è un elemento di questa decisione che mi lascia particolarmente perplessa: perché la tempistica, perché il giorno del lavoro, una data simbolica per ricordare i sacrifici dei lavoratori di tutto il mondo, è stato scelto per annunciare un decreto che mina i diritti e le protezioni di chi lavora duramente? È quasi come se il Governo Meloni volesse sbeffeggiare le masse lavoratrici, facendo un inchino ironico alle lotte del passato. Onorevoli colleghi, questo decreto è un insulto all'intelligenza, un pugno nello stomaco del progresso sociale, è un atto di spregio verso il popolo italiano. Non possiamo restare in silenzio mentre i diritti e le conquiste del nostro Paese vengono calpestati. Dobbiamo opporci con forza e determinazione a questa follia, alzare la voce in difesa dei lavoratori, dei più deboli e di coloro che hanno bisogno di un aiuto per uscire dalla povertà. Le parole che ho appena pronunciato sono solo lo specchio della realtà assurda e pericolosa che il decreto del Governo Meloni rappresenta. Non possiamo permettere che il nostro Paese si avvolga in un manto di conservatorismo cieco, che sacrifica il benessere della gente sull'altare della propaganda, perché solo questo fate, bieca propaganda. Dobbiamo lottare per un'Italia più giusta, più solidale ed umana (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Sospendo la seduta fino alle ore 15,15.

La seduta, sospesa alle 15,10, è ripresa alle 15,15.

PRESIDENTE. la seduta è ripresa. È iscritto a parlare il deputato Aiello. Ne ha facoltà.

DAVIDE AIELLO (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, ci troviamo oggi in Aula per discutere il decreto emanato da questo Governo il 1° maggio, proprio il giorno della festa del lavoro, il giorno della festa dei lavoratori, giorno che - voglio ricordare a quest'Aula - ha un significato e valori importanti. Il lavoro è posto a fondamento della nostra Repubblica, così come recita l'articolo 1 della nostra Carta costituzionale e il 1° maggio è un giorno di unità nazionale e di coesione sociale, in cui i lavoratori si incontrano, scendono in piazza e manifestano, per rivendicare battaglie e diritti e per aprire anche un confronto, in cui si ragiona e si analizza quello che oggi è il mondo del lavoro che, come sappiamo benissimo, è in continua evoluzione. Non è un mondo statico ma dinamico; ogni giorno nascono nuovi mestieri, ne scompaiono altri e magari tornano in auge mestieri del passato. Per questo, ogni anno, il 1° maggio ci si ritrova nelle piazze che hanno un altissimo valore simbolico per il nostro Paese. Penso a Portella della Ginestra, a piazza San Giovanni qui a Roma, così come in tantissime altre piazze in Italia, lavoratori e lavoratrici si incontrano per ragionare tutti insieme sul futuro del mondo del lavoro. Ebbene, quel giorno, il Consiglio dei ministri, convocato dalla Presidente Giorgia Meloni, ha emanato un decreto per puro scopo propagandistico, perché avevate bisogno di sbandierare un taglio del cuneo fiscale e una riduzione del costo del lavoro, che poi, a detta di tutti e a detta degli addetti ai lavori, è un taglio irrisorio, che non risolve sicuramente i problemi del mondo del lavoro; è una misura temporanea che durerà soltanto da qui a fine anno. Non abbiamo visto da parte vostra, da parte di questo Governo, quel coraggio che tanto sbandierate e tanto vi eravate impegnati a declamare in campagna elettorale. Con questo decreto non avete risolto i problemi del mondo del lavoro e non avete sicuramente trovato le soluzioni, che lavoratori e imprenditori invece si aspettavano questo Governo trovasse. Il taglio del cuneo fiscale, da voi annunciato e realizzato con questo decreto, è una misura soltanto temporanea, che avrà vigore soltanto fino a fine anno dato che non avete trovato le risorse, quindi non c'è nulla di strutturale. Ricordo tantissimi interventi da parte dei rappresentanti di Fratelli d'Italia, che durante la scorsa legislatura, quando erano all'opposizione, chiedevano si intervenisse in modo strutturale. Adesso che siete al Governo non l'avete fatto e avete perso questa occasione per intervenire in tal senso. Presidente, non posso nascondere che provo veramente profondo senso di indignazione e rabbia, quando discuto di questo decreto Lavoro di questo Governo Meloni, perché è un provvedimento che rappresenta sfacciatamente un attacco diretto ai diritti fondamentali dei lavoratori e, soprattutto, un ulteriore impoverimento delle fasce più deboli della nostra società, proprio quelle fasce che avrebbero bisogno di maggiore attenzione, di interventi volti a tutelare le persone ai margini della società, costrette a vivere al di sotto della soglia di povertà.

Presidente, vorrei innanzitutto focalizzarmi sull'eliminazione sistematica del reddito di cittadinanza, una misura introdotta dal Movimento 5 Stelle. Ricordo che il reddito di cittadinanza è una misura europea, che esiste in tutti gli Stati europei, e voi vi siete resi complici della sua abolizione, perché l'avete stravolto, l'avete cambiato, l'avete sicuramente peggiorato. Il reddito di cittadinanza è fondamentale per combattere la povertà e garantire un sostegno adeguato alle persone che versano in situazioni di disagio economico. Servirebbe un reddito universale, un reddito incondizionato, invece voi non fate altro che inasprire le diversità e le diseguaglianze. Il Governo Meloni sta disintegrando questa misura, questo strumento equo e dignitoso, che aveva l'obiettivo di fornire una rete di sicurezza per i cittadini più bisognosi; lo fa sottraendo denaro direttamente dalle tasche dei poveri. Ciò dimostra un totale disinteresse per la lotta alle diseguaglianze e una mancanza di compassione verso chi vive quotidianamente in condizioni di estrema povertà. Per voi la povertà è una colpa. Non combattete la povertà, ma combattete i poveri e lo fate facendo i forti con i deboli e i deboli con i forti. Infatti, quando più volte in quest'Aula e nelle Commissioni vi abbiamo chiesto, ad esempio, di tassare gli extraprofitti realizzati dalle multinazionali durante il periodo pandemico, non avete dimostrato tutta questa fermezza che state dimostrando oggi puntando il dito contro la gente in povertà. Come se non bastasse, il decreto aggrava ulteriormente nel nostro Paese la precarietà, che colpisce soprattutto i giovani lavoratori, e lo fa incentivando l'instabilità, favorendo contratti a termine e lavori precari e introducendo i voucher, quei buoni che si acquistano dal tabacchino e che sono la rappresentazione plastica della vostra visione del mondo del lavoro. Per voi i lavoratori devono essere lavoratori usa e getta: oggi mi servi, ti uso, ti utilizzo, ti sottopago, domani non mi servi. Non c'è nessuna prospettiva, nessuna stabilità. Poi parlate di sostegno alla natalità e di sostegno ai giovani. Come fa un giovane a prospettare la propria vita e a prendere un impegno per il proprio futuro, se queste sono le basi del lavoro, un lavoro precario, un lavoro giornaliero? Secondo noi, questa impostazione sicuramente non porterà benefici ai cittadini italiani, soprattutto ai giovani lavoratori, che quotidianamente decidono, dopo essersi formati in Italia, di andare a lavorare all'estero, di spostarsi fuori dal nostro Paese, di abbandonare famiglie, amici e parenti per andare all'estero, perché lì trovano sicuramente condizioni migliori, salari dignitosi e contratti regolari. Con questo decreto, non avete sicuramente risolto i problemi dei giovani e, quindi, continueremo ad assistere all'esodo quotidiano di migliaia e migliaia di giovani italiani che, non trovando prospettiva in Italia, saranno costretti ad espatriare.

Potevate introdurre il salario minimo, un'altra misura dignitosa, presente in quasi tutti i Paesi europei. Non l'avete fatto, avete perso quest'altra occasione. L'Italia è uno dei Paesi in cui i salari sono più bassi, secondo la media OCSE, eppure il Governo ha perso quest'altra occasione. Non siete intervenuti per introdurre uno strumento di dignità perdendo un'altra occasione. Invece di affrontare seriamente e tecnicamente la problematica, magari creando opportunità concrete per i giovani, il Governo ha introdotto misure che avvantaggiano soltanto la precarietà. Voi ovviamente la chiamate “flessibilità”, perché siete anche bravi a trovare questi sinonimi. Parlate di flessibilità del mondo del lavoro per non parlare invece del problema della precarietà del mondo del lavoro, che voi state avallando. Questo atteggiamento, Presidente, è inaccettabile e rappresenta un tradimento verso le nuove generazioni, che sperano di costruire un futuro dignitoso per sé e, in prospettiva, per le proprie famiglie. Il MoVimento 5 Stelle è sempre stato impegnato nella difesa dei diritti dei lavoratori e nella lotta alle diseguaglianze sociali. Abbiamo sostenuto politiche volte a garantire un salario minimo dignitoso per tutti i cittadini, compresi quelli in situazioni di difficoltà economica. Tuttavia, il Governo Meloni sembra essere più interessato a proteggere gli interessi delle élite economiche, anziché dei cittadini comuni. Sempre in tema di dignità, è possibile mostrare una perfetta fotografia dei tempi che viviamo, è possibile far capire ai cittadini la vostra idea di lavoro. Come dicevo prima, volete lavoratori sottopagati, lavoratori usa e getta.

Non a caso, l'inchiesta del programma Report rivela fatti inquietanti che coinvolgono pezzi importanti del Governo, la Ministra Santanche' e forse anche il Presidente La Russa. Le loro azioni sospette e gli affari dubbi sollevano sicuramente interrogativi sulle loro condotte etiche e sul ruolo politico che essi ricoprono. Per questo abbiamo chiesto con urgenza che la Ministra Santanche' venisse qui in Aula a riferire su queste condotte e su questi fatti emersi, su questa inchiesta giornalistica emersa. Ovviamente capiamo l'imbarazzo del Governo, ma su questo torneremo a ribadire l'urgenza, perché chi riveste incarichi pubblici, chi riveste incarichi politici ha il dovere etico e morale di venire qui in Aula, in Parlamento, e spiegare agli italiani se è estraneo ai fatti o se quei fatti contestati siano effettivamente sussistenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E su questo, veramente, faremo sentire la nostra voce.

Si parla di società con bilanci in rosso, si parla di fornitori non pagati, di lavoratori non pagati. Si parla di lavoratori messi in cassa integrazione a loro insaputa, che hanno continuato a lavorare nonostante fossero in cassa integrazione.

Per mesi, per anni, abbiamo ascoltato proprio dalla Ministra Santanche' una retorica sui percettori del reddito di cittadinanza, chiamati fannulloni, divanisti, sui giovani che non vogliono lavorare, sul fatto che non si trovassero lavoratori nel periodo estivo, lavoratori stagionali. Ebbene, i dati dimostrano l'esatto contrario: proprio dall'entrata in vigore del reddito di cittadinanza, i contratti dei lavoratori stagionali sono aumentati. Questo perché, fortunatamente, abbiamo introdotto uno strumento di dignità in Italia. E non è che non si trovano giovani o lavoratori disposti a lavorare durante la stagione estiva, il fatto è diverso. Il fatto è che non trovate più lavoratori disposti a lavorare in modo precario e sottopagato, perché, quando si propone a un lavoratore un contratto regolare e uno stipendio dignitoso, i lavoratori si trovano eccome. Questa è la verità.

Presidente, noi ci opponiamo con forza a questo decreto-legge, perché rappresenta un attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori ed è una forma di ingiustizia sociale. Dobbiamo lavorare tutti insieme per costruire una società più equa e inclusiva, in cui i cittadini più vulnerabili vengano tutelati e in cui i giovani abbiano accesso a opportunità reali di lavoro dignitoso. Nonostante l'Italia, come certificato da Eurostat, sia il penultimo Paese europeo per il recupero dell'inflazione, i salari sono stati pesantemente colpiti dall'aumento dei prezzi, dall'inflazione, registrando una diminuzione di quasi il 15 per cento proprio a causa dell'inflazione.

Questa situazione non può essere, quindi, risolta tramite interventi blandi come questo vostro decreto. Occorrono interventi strutturali che non vediamo in questo provvedimento. Dobbiamo riconoscere che c'è una perdita di potere d'acquisto che coinvolge l'intero Paese e per questo bisogna intervenire con una certa urgenza. Dobbiamo reagire in modo concreto e non con specchietti per le allodole, come state facendo voi con questo provvedimento.

È necessario, quindi, rammentare, Presidente, che il MoVimento 5 Stelle, nel 2018, con il decreto Dignità ha inserito nel mondo del lavoro alcuni vantaggi per la trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato. Questo è stato un volano importante per il mondo del lavoro: sono stati più di 600.000 i contratti trasformati da tempo determinato a tempo indeterminato. Voi, invece, state facendo diventare la precarietà una regola, non l'eccezione. Stiamo passando dal decreto Dignità al decreto Precarietà. È questa la vostra idea di Paese. È questa la vostra idea del mondo del lavoro. E noi per questo ci opporremo con tutte le nostre forze (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gianni Cuperlo. Ne ha facoltà.

GIANNI CUPERLO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Su questo decreto abbiamo espresso un giudizio severo, negativo, che, ancora oggi, altri colleghi del mio gruppo, pochi minuti fa, hanno motivato con argomenti assai solidi e persino dettagliati. D'altra parte, noi siamo l'opposizione e quindi si potrebbe pensare che stiamo svolgendo semplicemente il nostro compito.

Però, nel caso di questo decreto, c'è qualcosa che va oltre la divisione dei ruoli all'interno di quest'Aula. Nel caso nostro, è l'intreccio tra una valutazione di merito sulle misure che voi avanzate e il giudizio che noi ci permettiamo di esprimere sulla cultura che ispira quelle misure; se volete, è stato già detto, a partire dal calendario, dal titolo - i nomi sono importanti - e dalla data che voi avete scelto. Decreto Lavoro: lo avete battezzato così e lo avete varato in quel giorno, altamente simbolico, che il collega Aiello ha appena ricordato nel suo intervento, ossia il 1° maggio.

Il 1° maggio è la festa dei lavoratori, venne istituita più di 130 anni fa (1889, a memoria) ed è un giorno che, nella storia, ha visto l'umanità degli operai, l'impiego salariato e poi, negli anni più prossimi a noi, la precarietà, pensionati maltrattati, giovani e donne rivendicare il riconoscimento di un valore primario, che era quello della loro dignità. Insomma, per voi l'occasione era abbastanza imperdibile, io questo lo capisco.

La stessa mattina, che vedeva le piazze di tutto il Paese riempirsi e sfilare a fianco ai sindacati, nella richiesta di tutele e garanzie per chi non ne possiede, il Governo si riuniva e licenziava un decreto che quelle piazze avrebbe dovuto tacitare, mostrando il volto più concreto del nuovo potere nei confronti degli ultimi, dei penultimi e dei terzultimi della fila. Questo almeno doveva essere il racconto pensato per convincere milioni di italiani che la musica finalmente era cambiata, che era finito il tempo di un'assistenza costosa per migliaia di sfaccendati, abbandonati sul divano, e che si tornava al primato dell'impegno, della fatica, del merito.

E con lo stesso spirito, del resto, per tutta l'ultima campagna elettorale voi avevate promesso solennemente di esibire lo scalpo del reddito di cittadinanza. E alla fine, Sottosegretario Durigon, un po' come in quei B-movie ambientati nel vecchio West - quelli meno epici, però, e più pistoleri -, alla fine lo scalpo lo avete esibito, con il risultato di togliere l'unico sostegno universalistico ad una serie di categorie che, a vostro avviso, a vostra discrezione, non lo meritano, lasciandolo come un gesto di carità a quanti non potevate negarlo, donne e uomini ultrasessantenni, con un minore o un disabile a carico. E questo, nonostante i dati ufficiali dell'ANPAL dicano che solo il 3 per cento dei percettori di quel sostegno sarebbe realmente occupabile. Però, questo è il primo segnale di quella coerenza - dal punto di vista vostro, ovviamente - tra il merito che avete scelto e la cultura che lo legittima. Voi sopprimete la misura universalistica che per tanti è stata una condizione di sopravvivenza, prevista, lo sapete benissimo, in tutta Europa e introdotta qui da noi con un grave ritardo, da principio col nostro reddito di inclusione e poi con quel reddito di cittadinanza, divenuto ai vostri occhi una specie di drappo rosso piovuto nell'arena.

Con questa vostra norma, il 50 per cento delle persone, che quel reddito hanno sinora percepito, lo perderà. Ma non vi siete almeno chiesti, in un sussulto di compassione, che cosa accadrà materialmente in quelle case, in quelle famiglie? Lasciate stare noi, che siamo l'opposizione e facciamo un altro mestiere, ma ascoltate la Caritas che, nelle audizioni al Senato, vi ha spiegato perché l'occupabilità di una persona non dipenda solamente dall'età, ma vi incidono molti altri elementi - lo ha ricordato benissimo la collega Cecilia Guerra questo pomeriggio -, ossia la sua formazione e il contesto sociale dove nasce, dove cresce e dove vive. Basterebbe questo a rendere insopportabile l'abuso di potere che vi spinge a far precipitare nell'angoscia centinaia di migliaia di famiglie, messe nella condizione di non quadrare più, non le vacanze al mare tra qualche settimana, che non faranno, ma l'affitto di casa, con le bollette o con il carrello della spesa da riempire il sabato pomeriggio.

Oltre a questo, però, quello che vi distingue, forse inconsapevolmente - è una mia curiosità, ma ne dubito -, è la vostra concezione della povertà, nel senso che quella metafora, effettivamente sgraziata, del divano, del rubare i soldi allo Stato, invece che impegnarsi a cercare un lavoro, rivela, fino in fondo - anche questo è stato accennato -, una concezione della povertà come colpa da espiare e non come ingiustizia da combattere. E non vi siete accontentati neppure di questo: avete voluto introdurre un'aggravante. Ve lo ricordate che, durante l'ultima sessione di bilancio, avete impedito l'adozione di un semplice aggettivo? Si dice che, nella lingua italiana, gran bella lingua, gli aggettivi abbiano per lo più una funzione descrittiva, ma non sempre è così: nel caso specifico, l'aggettivo era “congrua” e si riferiva al fatto che l'offerta di un impiego a un percettore del reddito di cittadinanza dovesse risultare compatibile con le sue condizioni di vita in termini di retribuzione, di ruolo e di luogo dell'impiego che gli veniva proposto. Insomma, per capirci, se l'offerta del lavoro contempla un reddito di 900 o 1.000 euro mensili, ma prevede il trasferimento a decine di chilometri di distanza dalla casa di residenza, è evidente che quell'offerta non è congrua e rischia solamente di peggiorare l'esistenza di quella famiglia.

Vi rubo un secondo sul tema, perché credo sia importante rispetto alle ragioni della nostra opposizione a questo provvedimento: l'idea che la povertà si debba considerare una colpa - questo desidero che lo sappiate, ma immagino che lo sappiate già - non è un vostro copyright, cioè non è una vostra esclusiva. Quell'impianto ha una tradizione molto consolidata nel pensiero più conservatore e più reazionario. Esiste una legge inglese di moltissimi anni fa, più o meno di un secolo e mezzo fa (mi pare si chiamasse New poor law) che prevedeva che qualunque persona, senza un'occupazione o un tetto sulla testa, fosse obbligata ad accettare un impiego a qualsivoglia condizione con qualsiasi salario, anche il più infimo, nello sfruttamento del suo corpo e delle sue braccia e, se si rifiutava, la pena era il ricovero coatto all'ospizio dei poveri. Ebbene, di quell'antica legge, anche volendolo, non trovate traccia nei documenti dei partiti di maggioranza o di opposizione di quel Paese, però - sempre volendolo e con il minimo sforzo - potete trovarla descritta nelle prime pagine di Oliver Twist, di Charles Dickens, del 1837. Come vedete, nulla di nuovo sotto il sole, salvo che pensavamo - e anche un po' speravamo – che, in un Paese quale il nostro, i riferimenti al valore e alla dignità del lavoro potessero trovare uno sviluppo diverso, una diversa evoluzione, fosse solo per quella dose di empatia e di vicinanza umana che dovrebbe spingere le classi dirigenti, le élite al potere, a coltivare una tensione e una cura costanti verso quelle che, tempo addietro, sono state battezzate come vite di scarto. Ma voi avevate bisogno di risorse, come tutti i Governi, del resto; la differenza, però, la fanno le scelte che ogni singolo Governo compie su dove andare a cercare quelle risorse. Avete presente il richiamo al fatto che non vi sarebbe più alcuna distinzione tra destra e sinistra e che, a contare, sarebbe solamente la concretezza delle soluzioni? Allora, per un istante, prendiamo per buono questo riflesso, anche se personalmente lo considero abbastanza assurdo; per un istante, ragioniamo sulle soluzioni. Un Governo può scegliere di andare a cercare le risorse, che servono a fare del bene agli ultimi e ai penultimi, recuperando una quota dei 100 e passa miliardi di evasione fiscale di questo Paese. In fondo, cosa ci sarebbe di male? Chi evade il fisco entra di diritto nello schema descritto dal professor Cipolla nel suo teorema sulle regole della stupidità umana. Secondo la teoria, nel quadrante dell'egoismo, si colloca chi, compiendo un atto dannoso per la comunità, sceglie di favorire unicamente se stesso. Allo stesso modo, sempre in quel teorema, il quadrante della massima virtù coincide, all'opposto, con l'intelligenza di compiere azioni che beneficiano chi le fa e, contestualmente, tutti gli altri. Pagare le tasse rientra a pieno titolo nel quadrante della virtù; vuol dire garantire a me stesso che, in caso di bisogno, sarò assistito da un ospedale pubblico con professionalità, ammesso che non costringiate altre migliaia di medici e infermieri a fuggire per i tagli insostenibili del settore, mentre non pagare le tasse equivale a un danno della comunità e, dunque, a un danno delle Stato e di chi lo gestisce - oggi voi - che si trova a disporre di risorse inferiori a quelle che sarebbero necessarie.

Come sapete, il quadrante del teorema dove è più sgradevole ritrovarsi è quello che contempla la scelta di agire in danno di se stessi e, allo stesso tempo, procurando danno agli altri. Secondo il teorema del professor Cipolla, in quel caso, si entra nel contesto più delicato, quello della stupidità umana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Senza voler esprimere giudizi, tanto meno offensivi, essendo voi la maggioranza che oggi guida il Paese - e quindi il Governo -, chiedo proprio a voi, in base a questa logica, di giudicare dove andrebbe collocata l'affermazione secondo cui pagare le tasse corrisponderebbe a un pizzo dello Stato. Dunque, avevate bisogno di risorse e non avete deciso di andarle a prendere nel mare profondo dell'evasione. No. Le avete prese dalla misura del reddito di cittadinanza, per poter dire, in quella giornata del 1° maggio, che avreste tagliato il famoso cuneo fiscale, salvo il dettaglio che non l'avete fatto in forma strutturale, cioè in modo permanente, ma vi siete limitati a prevederlo ad una scadenza discretamente ravvicinata, più o meno alla fine di quest'anno. Che poi - siamo in tempo di esami di maturità - è come dire a un ragazzo appena diplomato con ottimi voti che finalmente avrà il motorino agognato e, quando glielo si consegna, corredato di libretto, chiavi in mano e assicurazione, appena sale in sella, gli si comunica che il mezzo è a scadenza, come lo yogurt. Sarà felice il ragazzo? Questo lo lasciamo valutare a voi.

Abbiamo avanzato proposte ed emendamenti, sia al Senato sia qui, per rendere strutturale quel taglio, ma, nonostante avessimo indicato anche le coperture necessarie, non avete ritenuto di ascoltare una sola volta la voce dell'opposizione.

Vi abbiamo anche chiesto, nel contesto di questo confronto, di cambiare rotta sul salario minimo, altra misura prevista ovunque (salvo che qui e in una manciata di Paesi, peraltro, non tra i migliori), ma anche su questo la saracinesca è rimasta abbassata, perché, per la vostra visione del Paese, la competitività delle imprese non passa da un incremento della produttività, da investimenti su ricerca e sviluppo e da un'innovazione della qualità del lavoro e dei prodotti. La vostra strada è sempre la stessa, quella che ha spinto al declino tanti nostri comparti produttivi: una compressione dei salari, già colpiti dall'inflazione - quella sì, la tassa più ingiusta - e tutto questo in un Paese dove un terzo dei dipendenti privati non raggiunge i 12.000 euro di salario annuale, dove la disoccupazione tra i giovani sfiora un quarto del totale, dove il 12 per cento dei lavoratori vive in condizioni di povertà e 3.000.000 risultano essere totalmente irregolari.

Ecco perché servirebbe investire nella lotta alla precarietà. Per il contrasto a ingiustizie insopportabili e per costruire e favorire la competitività della nostra economia basterebbero tre mosse simultanee (rubo questa sintesi all'ex Ministro Fabrizio Barca): un'efficacia erga omnes dei contratti firmati dalle organizzazioni sindacali e datoriali rappresentative; una soglia minima legale per il salario di ogni lavoratrice e lavoratore; il rafforzamento e l'unificazione delle capacità ispettive. Ma è esattamente l'opposto di quello che fate voi.

Allora, anche nel caso del salario minimo, più delle parole, a contare sono le storie, le vite: oggi, nella sola logistica, migliaia di lavoratori, inquadrati formalmente come addetti alla vigilanza, sono pagati 5,37 euro l'ora, per un totale di 173 ore mensili, con una retribuzione netta di 650 euro; significa rimanere molto al di sotto della soglia di povertà. Parliamo di retribuzioni non indicizzate all'inflazione, che, negli ultimi due anni, si è mangiata quasi il 15 per cento del potere d'acquisto di queste fasce di occupati. In questi segmenti, anche i sindacati faticano a entrare, mentre molti di questi lavoratori sono inquadrati come autonomi, anziché come dipendenti. Parliamo di una giungla di contratti e retribuzioni, dove sarebbe giusto intervenire con una legge sulle rappresentanze, in modo da disboscare la selva di accordi fittizi o pirata, e dove, soprattutto, un salario minimo - insisto -, applicato in gran parte dei Paesi OCSE, farebbe emergere dal sottosuolo la dignità di donne e uomini, spesso giovani e con bassa qualifica, che non meritano il destino al quale la politica, in questi anni, li ha relegati.

Come vedete, colleghe e colleghi, sul merito delle misure che intendete approvare, le nostre obiezioni hanno provato a correggere un provvedimento scritto male e pensato anche peggio.

Per molti versi, è anche un provvedimento offensivo verso qualche milione di lavoratori e di disoccupati, che non avrebbero voluto ricevere da voi né benevolenza né carità, ma solamente certezza del diritto, in un Paese che troppo spesso questa certezza calpesta. Il dramma dei salari bloccati da 30 anni, contratti scaduti e non rinnovati per milioni di lavoratrici e lavoratori sono tutti elementi che condannano o rischiano di condannare all'irrilevanza quel capolavoro di significato e linguaggio scolpito all'articolo 36 della nostra Costituzione, quello dove si parla del diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato e, comunque, tale da garantire alla persona e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Ma quelli erano dei geni. Libera e dignitosa, appunto, perché, poi, libertà e dignità sono sempre stati capisaldi di una concezione matura del lavoro e del valore che aveva e che dovrebbe tornare ad avere nella vita delle persone.

Lo sa perché, lo sapete perché, Sottosegretario Durigon, in apertura dei vecchi copioni teatrali di commedie o tragedie passate alla storia che ancora si rappresentano sui palcoscenici di mezzo mondo, i personaggi dell'opera sono descritti con il nome, il cognome e il grado di parentela e quasi sempre a fianco c'è il mestiere, la professione che esercitano? Accade e accadeva, perché indicare quella qualifica, la professione, era una primissima nota della regia, era il modo di dettagliare la natura e l'identità del personaggio, persino la sua psicologia, nella consapevolezza che un ciabattino non osservasse il mondo con gli stessi occhi di un aristocratico. Ma è tutta la nostra cultura, la letteratura intrisa di questo significato del lavoro, del valore del lavoro. Sottosegretario, quando Pinocchio viene turlupinato dal Gatto e dalla Volpe, che lo convincono a sotterrare gli zecchini nel Campo dei miracoli, l'argomento che i lestofanti utilizzano è che, la mattina dopo, lui, Pinocchio, avrebbe trovato appesi all'albero tanti zecchini d'oro - testuale nella lingua di Collodi - quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno. Non è una formula buttata lì, tanto per dire: Collodi voleva esprimere il contrasto tra l'arricchimento facile paventato dai due imbroglioni - potremmo paragonarlo alla speculazione finanziaria - e la fatica del lavoro, della cura della terra, affinché produca dai semi il frutto. Il grano è la sorgente del cibo, che, poi, è la prima fonte della dignità.

Capite perché, prendendovela con quelli che con il reddito di cittadinanza sono sopravvissuti, reintroducendo i voucher, alimentando ancora di più il lavoro precario, sventolando il taglio del cuneo, al caldo dell'estate, ignorando cosa sarà dell'inverno, voi pensate di guadagnare qualche consenso? Ma nemmeno su questo io mi cullerei in grandi certezze. Io so, invece, che mancate all'appuntamento più prezioso, che è quello con la storia migliore di questo Paese, con un'etica del lavoro che in tanti abbiamo conosciuto da ragazzi dentro le nostre famiglie, per la testimonianza di genitori, nonni, parenti magari lontani e che alcuni tra noi hanno conosciuto dentro circoli e sezioni dei partiti dove abbiamo militato, militiamo, e dove poteva accadere che l'operaio discutesse, da pari a pari, con il primario o il preside della facoltà, perché accomunati dall'idea che il lavoro di ciascuno fosse sempre meritevole della massima considerazione e dignità.

Noi siamo all'opposizione, noi facciamo l'opposizione, anche se proviamo a ragionare in quest'Aula per migliorare i provvedimenti che trovano sempre un muro da parte vostra. Che dirvi? Che continueremo a farlo, ma per la semplice ragione che crediamo sia giusto per la principale forza della sinistra farsi carico di quante e quanti, qui dentro, non ci sono e non hanno voce.

Presidente, colleghe e colleghi, dare voce a chi non ne ha e rivendica i suoi diritti lo si può fare in modi diversi: la sola cosa che, di fatto, è impedita è farlo, mancando a loro, alle donne e agli uomini che lavorano o che il lavoro lo cercano, il rispetto di se stessi. Questo non sempre la politica lo ha compreso. Invece - ho accennato al teatro e con il teatro chiudo -, dopo la tragedia della guerra, lo compresero benissimo Paolo Grassi e Giorgio Strehler e il Piccolo Teatro di Milano, che, grazie al comune e a un sindaco illuminato, nella sala storica di via Rovello, avevano fondato il primo teatro stabile dell'Italia liberata e repubblicana. E sapete che cosa fecero? Decisero, Sottosegretario Durigon, che il lunedì, come oggi, ogni lunedì, alle 19,30, ci fosse una replica straordinaria dello spettacolo in cartellone. Poteva essere Goldoni, Shakespeare, Molière o Čechov: quella replica era dedicata agli operai, alle lavoratrici e ai lavoratori che finivano il turno alle 18,30. La maggior parte di quelli non abitava a Milano, nelle case del centro, veniva da Sesto San Giovanni, da altri comuni della provincia. Allora, che cosa si inventarono quei due? Due cose si inventarono: che, assieme al biglietto della replica, consegnavano a tutti un sacchetto con dentro un panino e una bibita e che, alla fine dello spettacolo, in assenza di mezzi pubblici, fuori dal teatro avrebbero trovato degli autobus per riportare a casa quegli spettatori nuovi, i più preziosi, che, la mattina dopo, avevano da stare in fabbrica o in ufficio.

Vedete cosa vuol dire pensare al lavoro come al complemento di una vita piena, vissuta nel calore della dignità e della cultura? Tutto qui. Ma sapete qual è la realtà, la più sincera per noi, la più triste per voi? Che sul divano non ci sono i fannulloni, sul divano ci siete voi. Anche per questo, per non lasciarvi troppo comodi dove state, voteremo contro al vostro decreto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cherchi. Ne ha facoltà.

SUSANNA CHERCHI (M5S). Grazie, Presidente. Io sono un po' in difficoltà, nel senso che ho preparato il mio discorso, però sono in difficoltà, perché mi sto rendendo conto che, qui, alla maggioranza non importa niente degli italiani. L'ultimo problema che hanno loro è quello di fare qualche cosa a favore degli italiani. Loro, gli italiani, non voglio usare il termine “li schifano”, che è brutto, però non li vorrebbero proprio vedere, perché alla maggioranza gli italiani danno fastidio, gli italiani poveri, naturalmente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), non gli italiani ricchi, gli italiani poveri, che sono un'altra cosa!

Vorrei fare una piccola considerazione. Con questo decreto, sembra quasi che si mettano d'accordo a cercare qualche cosa che sia legato alla crudeltà mentale. Quando io leggo decreto Lavoro, ribattezzato “decreto Precariato”, mi viene da pensare - ma pensa tu com'è la mente - alla frase scritta sul portone di Auschwitz: “Il lavoro rende liberi”. Questa, di Auschwitz, è una crudeltà mentale…

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole. Non nominiamo Auschwitz così, la prego.

WALTER RIZZETTO (FDI). Presidente! Presidente, è inaccettabile un atteggiamento del genere e quanto ha appena ricordato!

PRESIDENTE. La prego, onorevole. La prego, sennò urtiamo suscettibilità, che non è il caso di toccare assolutamente.

SUSANNA CHERCHI (M5S). Non volevo offendere…

WALTER RIZZETTO (FDI). No, no, è una vergona!

PRESIDENTE. Chiedo scusa, è già intervenuta la Presidenza.

WALTER RIZZETTO (FDI). È una vergogna quello che ha detto! Presidente, se vuole prendo il Regolamento!

PRESIDENTE. Certo, è intervenuta già la Presidenza. Prego, onorevole Cherchi. Mi raccomando, per cortesia…

WALTER RIZZETTO (FDI). No, Presidente, lei deve stigmatizzare!

PRESIDENTE. L'abbiamo fatto.

SUSANNA CHERCHI (M5S). Abbiamo detto che mi scuso! Ho detto che mi scuso, non basta?

PRESIDENTE. Ha chiesto scusa, raccogliamo le scuse.

SUSANNA CHERCHI (M5S). Ho detto che mi scuso, non basta?

WALTER RIZZETTO (FDI). No, non basta! Non basta!

PRESIDENTE. Per cortesia, raccogliamo le scuse e andiamo avanti con garbo e maniera.

WALTER RIZZETTO (FDI). Che vergogna!

SUSANNA CHERCHI (M5S). Cosa posso dire? In questo decreto, ci sono due misure: l'ADI e l'SFL (Supporto Sostegnoper la formazione e il lavoro). L'ADI spetterà a coloro che abbiano in famiglia un minorenne, un anziano, una persona disabile. L'ADI è simile al nostro reddito, ma molto meno cospicuo, perché, poi, ci sarà una card chiamata, card d'inclusione, che durerà 18 mesi e sarà rinnovata ogni 12 mesi, con uno stop di un mese. È un po' farraginoso. Però, ho notato una cosa: che non tutelano i nuclei familiari che hanno, per esempio, affitti da pagare. Di questo non si parla. Un'altra cosa che ho notato è che si parla di occupabili.

Di questo si può parlare, sì? Lo ripeto, di occupabili. Ma questi occupabili chi sono in realtà? Sono persone che possono anche autonomamente cercare dei progetti di formazione; e perché questo? Perché i corsi che avrebbero dovuto iniziare da gennaio non sono ancora iniziati, quindi, cosa succede? Visto che ad oggi ancora non c'è niente, alla fine uno dice: ebbene, cercateveli da soli questi corsi di aggiornamento, chissà che non vi vada bene.

Ma la cosa che di tutto questo mi piace di più è che, se un percettore di Catanzaro si vede offrire un lavoro a tempo indeterminato, per esempio, a Milano, anche se a conti fatti risultasse sotto la soglia di povertà, non può rifiutarlo, lo ripeto, non può rifiutarlo.

Allora, non voglio dilungarmi ulteriormente, perché non riesco proprio ad analizzare il decreto Lavoro, però, una cosa che ho notato è che sembra che i notabili del Governo si mettano intorno a un tavolo e si facciano una domanda: come possiamo fare per rendere ulteriormente invivibile la vita a questo odiato popolo povero? Non sto a ribadire che in Europa sono previste le politiche per i più bisognosi, perché tanto voi non lo capireste.

Il reddito di cittadinanza serve, il reddito di inclusione serve per i più poveri, ma questo voi non lo capite. La mia difficoltà è che mi rendo conto che sto parlando con dei sordi ed è inutile parlare con i sordi, perché i sordi non sentono, perché ve l'hanno detto in tutte le salse che il reddito di cittadinanza è una misura importante per le persone più povere.

Io vorrei farvi sentire un messaggio che mi è arrivato da poco, da parte di una persona. Posso leggerlo? Ebbene: “Gentilissima onorevole, le scrivo perché non sto bene, ho bisogno di aiuto, non so più cosa fare; non sto bene e sono da tanti mesi senza un lavoro fisso. Saltuariamente faccio le pulizie, ma non posso fare sforzi, perché devo essere operata alla colonna vertebrale. Ho soltanto 62 anni, ma con gravissimi problemi di salute che mi impediscono di alzarmi dal letto la mattina. Percepisco 420 euro di reddito e, forse, finché li avrò, per me saranno anche un aiuto, perché posso mangiare” - sottolineo “perché posso mangiare” - “mi preoccupo molto, però, perché adesso devo fare accertamenti all'ospedale e la lista d'attesa è infinita. Non posso curarmi, perché ogni visita mi costerebbe almeno 150 euro. Mi dica, lei, per favore, mi dica, lei, onorevole, cosa posso fare? Posso andare avanti così?”. Scusate, perché mi emoziona questa cosa. Continua: “Ho anche una grave depressione, sono disperata e tormentata e ho paura che questi pochi soldi che mi danno possano essermi tolti. Come faccio in queste condizioni, vedova e senza lavoro? Ci sono troppe persone che hanno bisogno di questo reddito. Vi chiedo per favore: lottate per noi e per i nostri diritti”.

Questo è un messaggio che mi è arrivato qualche giorno fa. Sono semplici parole, però, bisognerebbe sentire la voce di questa persona, perché io non rendo la disperazione di questa donna, non la rendo. Queste sono frasi di quelli che voi chiamate fannulloni e, se fossi in voi, mi passerei una mano sulla coscienza, perché queste persone non sono fannulloni: sono persone disperate che non sanno come mangiare.

Questa è la prima parte del mio intervento. Vorrei, però, passare al contenuto del decreto Lavoro, a cui è legato il problema della scuola. Dobbiamo ricordare che il periodo buio e difficile l'abbiamo vissuto negli anni precedenti, ma anche oggi e mi riferisco a quello che stiamo affrontando in questo momento, perché le ferite durante la pandemia ci sono state e le cicatrici rimangono per molto tempo. Abbiamo fatto, purtroppo, dei compromessi. Dovevamo pensare a tutelare la salute e la sicurezza di tutti i cittadini o evitare il collasso del sistema economico del nostro Paese? Un compromesso - che come sapete non è facile - a cui il Governo Conte ha cercato di dare una risposta efficace con gli strumenti che aveva a disposizione. Non sapevamo bene cosa ci avrebbe riservato il futuro; bisognava però andare avanti, giorno dopo giorno, perché era quello il problema, giorno dopo giorno. In quel momento gli italiani hanno dimostrato un senso di unità, di valori, di solidarietà, di amore verso la propria comunità; in quei momenti di gravissima urgenza, di paura, anzi, di timori per le persone in difficoltà che vedevano il proprio reddito sparire giorno dopo giorno a causa delle forzate chiusure.

C'è stato un piccolo, ma significativo barlume di speranza: più di un milione di persone ha evitato la povertà grazie al reddito di cittadinanza e non lo dico io, non lo dice il MoVimento 5 Stelle, ma lo certifica l'Istat che, nel suo ultimo rapporto annuale sulla situazione del Paese, ha certificato che, senza i sussidi erogati dal Governo Conte, come il reddito di cittadinanza, la pensione di cittadinanza e il reddito di emergenza, la povertà assoluta avrebbe toccato l'11,1 per cento e non il 9 per cento che invece è stato rilevato.

Questo è quello che ha prodotto una misura che la destra ha sempre definito il reddito dei fannulloni. Come quella signora che piangeva e che mi diceva di essere disperata: una fannullona, poverina, che non riesce nemmeno a curarsi, perché non ha i soldi. Proprio una fannullona! Questi fannulloni sono riusciti a portare il pasto caldo in tavola ai propri figli grazie alla vicinanza dello Stato che non li ha abbandonati.

Questa misura è scomoda per chi dei poveri si disinteressa e, quindi, questa è una retorica propagandistica e nauseabonda: il 1° maggio il Governo Meloni vara un decreto che ci apprestiamo a esaminare in quest'Aula, chiamato “Lavoro”, ma non ha nulla di lavoro, se non quello precario. In questo decreto, il Governo Meloni ha deciso di cancellare il reddito di cittadinanza facendo cassa sulle persone più povere, sui più fragili, quelli che voi vorreste eliminare, cioè non vedere.

Ci aspettavamo che l'ennesima decretazione d'urgenza desse finalmente una risposta a quei problemi strutturali e urgenti che affliggono il nostro Paese su questo tema, in un periodo di inflazione che stende un velo d'incertezza sulle prospettive di crescita futura della nostra economia. Questa maggioranza come risponde? Con un aumento del lavoro precario e povero, con l'estensione dei contratti a termine e una riforma della misura che in questi anni ha evitato a un milione di persone la povertà assoluta. Ha cancellato la cosa più importante.

Quindi, io dico che bisognerebbe stendere, più che un velo d'incertezza, un velo pietoso rispetto a quello che state facendo voi, ora. Sarebbe ora di aprire una riflessione seria sugli strumenti di ingresso nel mercato del lavoro e su come incentivare questo lavoro a tempo indeterminato e smetterla con queste misure frammentate e discontinue che creano che cosa? Se tu hai un lavoro un mese sì e un mese no, ti puoi comprare una casa, ti puoi sposare, puoi pensare di fare una famiglia? No, non lo puoi fare, devi avere un lavoro a tempo indeterminato per poter creare una famiglia. Quindi, occorre evitare che le uniche modalità per accumulare un po' di esperienze professionali per i giovani possano essere anche questi finti tirocini senza retribuzione, contratti a termine reiterati nel tempo o il lavoro in nero.

Andando più nello specifico del provvedimento, mi soffermerò in particolare sul Capo II che riguarda una serie di misure concernenti le condizioni sul lavoro in materia di salute e sicurezza, un tema molto delicato, considerato anche l'alto numero di infortuni e morti sul lavoro. Troppo poco si è fatto sul tema della prevenzione, ma questo decreto ha deciso di continuare su questa linea, introducendo pochi, confusi - lo ripeto: confusi, confusi e confusi - interventi.

Per far sì che la prevenzione sia veramente efficace occorrerebbe lavorare su una strategia nazionale che individui un'unica linea di intervento, invece, in Italia mancano ancora i decreti attuativi per completare l'applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, nonostante siano passati quindici anni.

Per quanto riguarda la scuola, io da ex docente non potevo non fare una riflessione sui principali articoli che riguardano questo tema.

In particolare, l'articolo 17, istituisce un Fondo appositamente dedicato ai familiari degli studenti vittime di infortuni verificatisi in occasione di attività formative a partire dal 1° gennaio 2018, con uno stanziamento di risorse pari a 10 milioni, ma a decorrere dal 2024 per un importo pari a 2 milioni. La norma è condivisibile. Quindi, sono contenta di questo, perché copre un vuoto normativo, anche alla luce dei dati dell'INAIL che registrano mediamente 5 infortuni mortali l'anno che dal 2018 colpiscono studenti impegnati in attività scolastiche, come dalla tabella presente nella relazione tecnica che è allegata al decreto. Tuttavia, non c'è una strategia efficace per prevenire questi incidenti. Cioè, non abbiamo ancora fatto qualche cosa affinché l'infortunio non si verifichi.

Per quanto riguarda la seconda parte dell'articolo 17, i commi 4 e 5 intervengono sulla disciplina dei percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento, i cosiddetti PCTO. Anche questi sono interventi apprezzabili, ma lasciano un po' di dubbi e perplessità circa la loro reale applicazione. Mi riferisco, per esempio, all'istituzione del docente coordinatore di progettazione, una nuova figura che, a detta del Ministro Valditara, sarà centrale nel coniugare le esigenze degli studenti e i profili educativi dei vari indirizzi scolastici. Una nuova responsabilità che grava già sulle funzioni dei docenti, le molteplici funzioni dei docenti, ma che, per l'ennesima volta, viene attribuita senza la previsione di nuove risorse. Continuiamo a chiedere ai docenti la loro disponibilità ma senza nuove risorse da destinare ai docenti o, meglio, si destinano risorse a legislazione vigente. Quindi, se la scuola ha dei fondi a disposizione - e la vedo grigia - bene, ma se la scuola ha grattato il fondo del barile, come accade sempre, pazienza.

Dico questo - lei mi dovrà perdonare - per esperienza personale (Commenti del deputato Rizzetto): ho dovuto mettere i soldi per comprare la carta igienica a scuola, perché soldi non ce n'erano. Quindi, possiamo immaginare se possono esserci soldi per un docente che deve fare altri lavori!

Da ultimo, vorrei fare un accenno all'articolo 18, che prevede l'estensione dell'ambito di applicazione dell'assicurazione INAIL contro gli infortuni sul lavoro - questo è importante - per studenti e personale operante nel settore dell'istruzione e della formazione. Sono misure condivisibili, ma mi sorge sempre un dubbio: perché dovrebbero valere soltanto per l'anno scolastico 2023-2024 e, quindi, in via transitoria? Perché non è stata resa strutturale anche questa misura? È chiaro che negli intenti di questa maggioranza non c'è la volontà di dare effettiva garanzia di tutela ai docenti e agli studenti investendo con risorse economiche stabili e durature, ma solo un tentativo di creare una coltre di nebbia che confonde il Paese senza fornire soluzioni, che, invece, appaiono molto necessarie. Dunque, uno può dire: tanto ce li danno i soldi, ma non sanno, gli italiani, che ce li danno per 2, 3 o 5 mesi e poi non ci sono più. È quello il problema!

Quindi, avviandomi verso la conclusione, vorrei ricordare a quest'Aula e alla maggioranza che dalla manifestazione di sabato scorso vi dovrebbe essere chiaro - eravamo 10.000 - che i cittadini vogliono cose concrete e sono stanchi delle vostre prese in giro, delle promesse mancate, delle parole smentite dai fatti, delle capriole che fate, degne dei più grandi acrobati circensi. I lavoratori chiedono di essere ascoltati, di essere tutelati, di essere stabilizzati. Chiedono un po' di dignità - non è difficile da capire - che voi, con questo ennesimo dannoso decreto, gli state togliendo!

Voglio finire dicendo soltanto una cosa velocissima. Noi sosteniamo che questo Governo sta affamando gli italiani, perché rifornisce l'Ucraina di materiale bellico. Ma allora perché - non riesco a capire: io me lo chiedo e non mi viene la risposta. Qualcuno mi deve dare questa risposta! - non tassate gli extraprofitti delle grandi multinazionali, comprese le industrie belliche? Perché queste devono inzuppare il biscotto nel sangue degli italiani guadagnando l'impossibile, quando - vivaddio! - con questi soldi potremmo fare asili d'oro e strade di platino? Chiedete i soldi alle multinazionali perché così l'Italia sarebbe molto più ricca di adesso (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)!

PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'Università degli studi di Firenze e del Seminario di studi e ricerche parlamentari “Silvano Tosi”. Grazie di essere qui (Applausi).

Ha chiesto di parlare per un richiamo al Regolamento l'onorevole Rizzetto. Ne ha facoltà.

WALTER RIZZETTO, Presidente della XI Commissione. Lei Presidente, come sa, in base ai commi 1 e 2 dell'articolo 8 del Regolamento, deve cercare di gestire, come spesso fa, l'Aula nel miglior modo possibile, secondo me cercando di intervenire tempestivamente rispetto ad alcune frasi che noi abbiamo appena ascoltato da parte della collega del MoVimento 5 Stelle.

Parto dall'ultima frase, Presidente, quando la collega - vado a citare - afferma che questo Governo affama gli italiani alimentando l'industria bellica nei confronti e a favore di una Nazione sovrana che è stata attaccata, ovvero l'Ucraina. Presidente, peggio - molto peggio! - mi sento quando la collega in questione, scivolando evidentemente in modo grottesco, drammatico e inconcepibile sul ragionamento che stava cercando di affrontare sul decreto Lavoro, è andata - e andremo a controllare nello stenografico, Presidente, quanto esattamente ha detto la collega - a paragonare il decreto Lavoro alla frase che, purtroppo, le persone, che venivano deportate ad Auschwitz, leggevano entrando in quel campo di concentramento.

Vede, Presidente, io penso che qui viga - e lei lo sa e ce lo insegna - chiaramente la libertà parlamentare di poter dire e di potersi assumere la responsabilità di quello che ogni deputata e ogni deputato afferma all'interno di quest'Aula. Per quanto mi riguarda, quanto detto, in modo gravissimo - gravissimo, Presidente! - dalla collega dovrà essere sanzionato in modo addirittura molto più pesante rispetto alle occupazioni di sale, perché sappiamo che giustamente anche le opposizioni stanno facendo il loro lavoro protestando rispetto ad alcune sospensioni che sono state comminate, ad esempio, nei confronti di alcuni deputati dell'opposizione; ma quanto affermato in quest'Aula dalla collega del MoVimento 5 Stelle, accostando il decreto Lavoro a una pagina della storia che è stata drammatica e che nessuno di noi vorrà più semplicemente rivivere, che dobbiamo evidentemente ricordare ma non in questo contesto. Secondo me, Presidente, è gravissimo e necessita di una sua informativa nei confronti del Presidente della Camera, che, mi auguro e spero, sanzionerà quanto detto in quest'Aula, considerato il fatto che la collega, che ha appena detto queste vergognose frasi, addirittura faceva o fa l'insegnante!

Quindi, Presidente, quello che stiamo vivendo in questi minuti in quest'Aula è un passaggio di estrema gravità, perché associare quella che è fondamentalmente una legittima fase normativa di un Governo a quanto la collega ha detto poc'anzi, per ciò che mi riguarda - Presidente, io sono da circa 11 anni dentro quest'Aula e ne ho viste di battaglie parlamentari - è la cosa più grave che ho ascoltato in 11 anni di carriera parlamentare. La ringrazio e la prego di intervenire tempestivamente su quanto le ho chiesto, informando il Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Rizzetto. Certamente dallo stenografico si evincerà quanto di dovere.

È iscritto a parlare l'onorevole Riccardo Tucci. Ne ha facoltà.

RICCARDO TUCCI (M5S). Grazie, Presidente. Presidente, sono molto preoccupato per quanto sta accadendo oggi con questo decreto. Sono preoccupato per due ordini di ragioni: in prima istanza, sono preoccupato per i percettori di reddito, a cui tagliate l'assegno mensile di circa il 30 per cento, e per i lavoratori, a cui state dicendo, da oggi in poi, che lo Stato consiglia - anzi, incentiva - il precariato, per l'appunto il precariato di Stato.

Ma oggi, Presidente, c'è una cosa che mi preoccupa ancora di più, una cosa che più che mai, però, dovrebbe preoccupare l'attuale Governo, ovvero l'ennesimo inganno che questo Governo porta avanti nei confronti del proprio elettorato. Elettori che avete ingannato promettendo a torto o a ragione - a mio modo di vedere a torto, e forse oggi vi rendete conto che, scusate il gioco di parole, ho ragione che avevate torto per l'appunto - che avreste abolito il reddito di cittadinanza. Invece, oggi scopriamo che l'impianto base della legge sul reddito di cittadinanza resta intatto. Viene toccata soltanto la parte economica, quindi andate a fare cassa sui poveri. Di fatto, oggi ammettete che, in campagna elettorale, avete detto una serie di fesserie.

Semplicemente oggi riducete, per l'appunto, la parte economica relativa al reddito di cittadinanza. Presidente, potremmo dire che siamo passati dal metadone di Stato alla marijuana di Stato; sempre una droga è, ma un po' più leggera (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Complimenti, Presidente, praticamente fate cassa sui poveri e finanziate il reparto delle armi. Vi voglio leggere una storia, presa da un articolo di un giornale locale nella mia provincia, nel Vibonese. È la storia di papà Giacomo, di Briatico, in provincia di Vibo Valentia, risalente ad aprile 2020, esattamente un anno dopo aver istituito il reddito di cittadinanza. È il dramma di un padre, abbandonato dalla moglie, che è stato costretto a lasciare il lavoro per accudire i suoi piccoli. Oggi vive solo con il reddito di cittadinanza e ci dice: “Io vivo per loro. Sono tutto per me”. Le lacrime di Giacomo brillano d'amore e dignità. Vive a Paradisoni, frazione di Briatico, nel Vibonese. I suoi due figli, Vanessa di 11 anni e Simone di 6 anni, sono il suo orgoglio e la sua ragione di vita: abbandonato dalla moglie, ha ottenuto dal giudice il loro affido esclusivo. Quella di Giacomo, Vanessa e Simone è insieme una storia di indigenza e di resilienza, di unità e di generosità. Una storia universale, che va oltre i giorni del Coronavirus (era ai tempi del COVID). E' la storia di un papà che, per fare anche da mamma, per accudire i figli, portarli a scuola, nutrirli, vestirli, è stato costretto a lasciare il lavoro. E ci dice sempre Giacomo: “Percepisco il reddito di cittadinanza, ma non mi lamento per un paio di mesi in cui ho ricevuto solo 108 euro. Da febbraio, invece, ne percepisco 575. Con questa cifra riesco a fare la spesa, ma non riesco, purtroppo, ancora a pagare le bollette, quelle no”.

Il reddito di cittadinanza, nell'Italia dei furbi e degli approfittatori, per Giacomo è stato una salvezza, anche se non basta. Come una salvezza per lui è stato il grande cuore dei suoi fratelli e di sua madre, della Chiesa, incarnata nel parroco. “Prima c'era un sacerdote che ci aiutava, mi pagava pure l'affitto di casa. Oggi, per fortuna, c'è il reddito di cittadinanza”.

Alla luce di questa storia, Presidente, e come questa tantissime altre in Italia, cosa andrà a dire questo Governo a quelle famiglie che, con la vostra revisione della legge sul reddito, avranno in media il 30 per cento in meno? Chi pagherà loro le bollette? Dovranno decidere se pagare le bollette o dar da mangiare ai figli. Cosa direte a quei milioni di cittadini che da oggi dovranno accontentarsi di un lavoro sottopagato perché non avranno armi a loro difesa - loro non avranno armi a loro difesa, altri sì - contro quegli imprenditori che sfrutteranno le loro debolezze? Presidente, per tutte queste motivazioni sono veramente preoccupato e chiedo a questo Governo: anche solo per un minuto, provate a immaginare questo Paese durante il COVID, anche solo per un giorno, senza il reddito di cittadinanza e con la vostra legge in vigore.

Cosa avrebbero fatto quei milioni di famiglie, che sarebbero cadute sotto la soglia di povertà assoluta? Cosa rischiava questo Paese? Questo Paese, probabilmente, avrebbe rischiato la rivoluzione civile. Oggi voi state smontando, di fatto, una norma che è una cintura di protezione sociale nei confronti di milioni di cittadini; lo è stata, si è dimostrata efficace. Non siete intervenuti su quei punti della norma che andavano migliorati: semplicemente vi siete limitati a fare cassa sui poveri. Questo è quello che la vostra azione governativa vuole portare avanti, è la vostra visione di Paese, che è completamente diversa dalla nostra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarracino. Ne ha facoltà.

MARCO SARRACINO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Ovviamente una premessa: noi, come Partito Democratico, non possiamo non dissociarci da quanto è stato detto precedentemente dalla collega del MoVimento 5 Stelle (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e Fratelli d'Italia) rispetto ad una delle più grandi tragedie della nostra storia, per cui prendiamo ovviamente le distanze.

Dopodiché, per entrare nel merito del provvedimento, noi ci opporremo con tutte le nostre forze dinanzi a quello che il Governo sta facendo con questo decreto, perché, con questo decreto, in realtà, emerge tutta la visione che avete della nostra società.

Una società in cui chi è debole deve restare tale, in cui chi è povero è praticamente colpevole della sua condizione di povertà, una società in cui chi è precario non potrà immaginare una vita differente da quella che svolge, in cui le ricchezze e le opportunità sono vantaggi per pochi prescelti. Questo è quello che emerge dalla vostra idea del Paese e che si manifesta plasticamente con questo decreto. In questa idea non si fa altro che accentuare le ingiustizie sociali ed economiche che già sono enormi nel nostro Paese.

Potremmo dirlo, forse questo è il decreto più identitario dell'attuale maggioranza, perché manifesta la vostra vera identità, la vostra furia ideologica secondo cui un Paese per crescere deve svalutare il costo del lavoro e comprimere i diritti dei lavoratori. E allora, siccome stamane ci è stato detto che noi non vogliamo affrontare il merito di questo decreto - nulla di più falso -, proviamo a mettere in fila quello che state realizzando. Voi state cancellando la principale misura di lotta alla povertà che c'era in Italia, uno strumento che sicuramente aveva dei limiti, ma che, specie durante la pandemia, ha comunque assicurato la tenuta sociale in molti quartieri delle nostre periferie e non solo.

È vero, i limiti c'erano, è stato detto da tutti, specie nella parte che avrebbe dovuto accompagnare nel mercato del lavoro i beneficiari del reddito, ma allora si poteva intervenire esclusivamente su questo versante, senza smontarne tutta l'impalcatura.

Anche la sanità pubblica, Presidente, non è perfetta, anche il trasporto pubblico ha delle defezioni, tutte le cose sono migliorabili, ma non per questo noi smettiamo di difenderle. Invece no, voi vi siete abbattuti contro chi è povero, tagliando del 28 per cento le risorse per combattere la povertà, che invece continua ad aumentare a causa della crisi, e di conseguenza si aiuta il 42 per cento in meno delle famiglie che invece andrebbero sostenute.

Questi sono fatti, e non siamo noi a non entrare nel merito, siete voi che fino ad ora non ci avete spiegato una sola ragione di questa scelta. Il tutto poi assume tratti francamente paradossali se incrociamo quello che state facendo con la vostra contrarietà, più volte ripetuta, rispetto al salario minimo. Rendiamoci conto della situazione: noi abbiamo un italiano su dieci che vive in condizioni di povertà, 4 milioni di italiani che sono lavoratori poveri, il salario medio di un under 35 nel nostro Paese è di 850 euro al mese. In questo decreto, signor Presidente, la maggioranza non affronta neanche per sbaglio queste questioni che per noi, per il Partito Democratico, rappresentano il vero dramma sociale che caratterizza in questo momento il nostro Paese.

E allora questa scelta che oggi la maggioranza sta compiendo è innanzitutto politica, che noi crediamo essere grave per gli effetti che avrà soprattutto nel Mezzogiorno, dove la situazione è già ora molto critica. Solo qualche giorno fa, infatti, Eurostat ci ha detto che le regioni più povere d'Europa - non d'Italia, d'Europa - sono quelle del nostro Sud, non solo per il tasso di povertà, ma anche per le scarse possibilità che donne e giovani hanno di poter lavorare con salari dignitosi. Una condizione che voi state rendendo di fatto immutabile, se non addirittura la state peggiorando con quello che state facendo.

Ve lo abbiamo già detto e continueremo a dirvelo: siete talmente concentrati sul fermare chi viene nel nostro Paese, fuggendo da guerre e povertà, che non vedete che quelle migliaia di ragazzi e ragazze, che ogni anno abbandonano le nostre città e le aree interne alla ricerca di un futuro e di una speranza altrove, stanno continuando, purtroppo, ad aumentare.

Nel cosiddetto decreto PA vi avevamo proposto di ragionare su un piano straordinario di assunzioni nella pubblica amministrazione anche per dare una piccola risposta a questo tipo di fenomeno.

Niente, ci è stato negato anche questo. Allora, continuate a scagliarvi contro i giovani del nostro Paese, identificandoli come scansafatiche, al grido: “si alzassero dal divano e andassero a lavorare”. Vi prego, smettiamola, è una vicenda veramente umiliante. Smettiamola con questa idea che i giovani non vogliano lavorare.

I ragazzi non vogliono essere sfruttati, che è una cosa molto diversa da quella che voi dite, e noi siamo dalla loro parte, contro chi pensa che si possa lavorare con turni massacranti e sottopagati. Infatti, se a 30 anni guadagni 800-850 euro al mese, come fai a costruirti un futuro, come fai a pensare, a immaginare di prendere una casa in affitto o addirittura di acquistarla? La vostra risposta qual è? Aumentare la precarietà, con questa straordinaria idea che non solo aumenta la durata dei contratti a tempo determinato ma inaugura questa formula, priva di alcuna tutela, per cui le parti in maniera autonoma potranno individuare le esigenze al fine di prolungare il contratto. È chiaro, Presidente, che nella situazione in cui siamo questo tipo di accordo non può non essere frutto di una bassissima capacità contrattuale da parte del lavoratore che, pur di mandare avanti la propria famiglia, non potendo perdere quel posto di lavoro, rischia di accedere a quel rinnovo a condizioni assolutamente peggiori rispetto alle precedenti. Questo è un fatto e anch'esso è frutto del vostro accanimento nei confronti di chi è più debole. Lo stesso vale per l'aumento dei voucher - è stato detto prima - che avete già aumentato in legge di bilancio e che ora addirittura portate a 15.000 euro e per l'enorme passo indietro rispetto alla possibilità dei lavoratori delle piattaforme di poter accedere all'algoritmo che regola la propria giornata di lavoro. È un'ulteriore compressione dei diritti nei confronti di persone spesso chiamate a turni massacranti, con bassissime tutele per i lavori usuranti. Per non parlare, infine, dell'assenza del Governo rispetto alle numerose crisi aziendali che ci sono nel nostro territorio. Siamo infatti dinanzi ad un'assenza totale di politiche industriali che possano dare una prospettiva e una centralità al nostro Paese nei mercati internazionali, una totale assenza!

Ricapitoliamo: riduzione degli strumenti per combattere la povertà, contrarietà al salario minimo, aumento dei contratti a termine che generano ulteriore precarietà e aumento dei voucher. Immaginiamo il mix di tutte queste scelte, caliamole nel nostro Paese e, in particolar modo, nel Mezzogiorno. L'effetto che si avrà è devastante e, per noi, il fatto che questo Governo sia contro il Sud non è un semplice slogan ma è la realtà. È una constatazione, perché a queste scelte vanno sommate altre due vicende. La prima è l'autonomia differenziata. Con l'autonomia differenziata voi spaccate l'Italia a metà perché, di fatto, si basa sul principio che le risorse debbano andare nei luoghi in cui le risorse ci sono già, senza prevedere alcun meccanismo di perequazione. Se nel decreto Lavoro l'accanimento nei confronti dei più deboli è davvero incomprensibile, nel caso dell'autonomia differenziata il disegno è assolutamente chiaro: voi pensate che il Sud sia una zavorra e, quindi, ambite ad un'Italia a due velocità. Noi non solo non ve lo consentiremo ma combatteremo con tutte le nostre forze questa idea di far nascere una sorta di diritto differenziato, ovvero che i diritti e le opportunità di una persona dipendano dal luogo in cui nasce. È un'idea inaccettabile e antistorica. Presidente, noi abbiamo avuto una straordinaria occasione, che è il PNRR. Cosa ci dice l'Europa? L'Europa ci dice che dopo la pandemia noi avevamo bisogno di più risorse rispetto agli altri Paesi, perché la priorità dell'Italia era quella di diminuire i divari e rafforzare la coesione. Voi non solo state trasformando questa occasione in un vero e proprio campo di battaglia ma state dimostrando la vostra contrarietà ideologica gli obiettivi che il PNRR si pone di realizzare. Noi dovremmo realizzare la transizione ecologica, ma voi siete contrari. Noi dovremmo mettere in campo politiche per ridurre le diseguaglianze, ma voi proponete l'autonomia differenziata. Come vedete, le cose si tengono fra loro. Arriviamo ad una questione, che per noi è la principale priorità da affrontare in questo momento ovvero la questione salariale. Siamo in un Paese in cui il 30 per cento di chi è dipendente nel settore privato ha salari annuali inferiori a 12.000 euro, come veniva ricordato prima, dove il tasso di disoccupazione tocca il 22 per cento tra i giovani e dove circa il 12 per cento dei lavoratori è in condizioni di povertà. Dinanzi a questi numeri non basta una misura spot come il taglio del cuneo, che fra qualche mese tra l'altro sparirà. Noi vi abbiamo posto il tema di renderlo strutturale, perché fra qualche settimana i lavoratori si accorgeranno che questo taglio è stato già consumato, purtroppo, dall'aumento del costo della vita. Attenzione, questo tipo di misura, per chi guadagna già poco, non ha di fatto alcuna incidenza. Noi ve lo diciamo con chiarezza: per il PD far crescere i salari in maniera permanente e strutturale è la principale politica da compiere in questo momento, perché occorre dare alle famiglie la possibilità di affrontare meglio questo periodo di crisi. Occorre una riflessione più ampia su come far crescere i salari, che preveda sicuramente anche il taglio delle tasse ma non solo il taglio delle tasse, perché le persone vanno pagate di più. Pertanto, Presidente, il nostro non può che essere un giudizio profondamente critico nei confronti di questo provvedimento che, nel suo complesso, disegna un'Italia diversa che, d'altronde, è la vostra idea di Italia: un Paese con meno diritti, con più precarietà, con più ingiustizie, un Paese più diviso tra Nord e Sud, tra città e aree interne, tra chi ce la fa e chi non ha questa possibilità. Noi contrasteremo questo modello che oggi presentate, perché per noi è prioritario essere al fianco di quell'Italia che oggi vive queste difficoltà. Non rinunciamo alla protezione sociale, difendiamo il lavoro e i lavoratori, sosteniamo chi lotta per difendere il proprio lavoro e i propri diritti. Per noi una vita precaria non è una vita giusta. Voi, invece, con questo decreto, ancora una volta avete fatto una scelta chiara: continuare la vostra inspiegabile crociata contro i poveri (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), umiliando e prendendovela con chi è più debole. Questo per noi non solo è inaccettabile ma vi faremo vedere che molto presto le cose cambieranno, non solo in questo Parlamento, ma anche e soprattutto nel Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Torto. Ne ha facoltà.

DANIELA TORTO (M5S). Grazie, Presidente. Il Governo, in questi mesi, ci ha costretti a guardare sempre la stessa scena che va in onda, guarda caso, puntualmente in ogni settimana, fiducia dopo fiducia, addirittura due fiducie in sette giorni. Detta così, può essere utilizzata come spunto per il titolo di un prossimo libro a firma Giorgia Meloni. Ad ogni modo, registriamo zero confronto democratico. Si resta, purtroppo, da parte dell'opposizione, prigionieri di una replica ossessiva, che danneggia l'Italia, che offende e umilia i lavoratori italiani e che soffoca le famiglie del nostro Paese, soprattutto quelle oneste e quelle più in difficoltà. Presidente, il Governo che chiama un simile provvedimento decreto Lavoro in realtà ci presenta soltanto un vero e proprio inno al precariato in Italia. Arriva oggi all'esame di quest'Assemblea, alla Camera dei deputati, dopo uno spettacolo indecente al quale abbiamo assistito da Palazzo Madama. Nonostante la pessima figura che già è stata fatta con l'approvazione del Documento di economia e finanza, purtroppo, non si impara dagli errori. Solo qualche giorno fa, abbiamo avuto l'ennesima prova che questa maggioranza continua a non sapersi conteggiare neppure nelle proprie Commissioni. Mi riferisco alla Commissione bilancio del Senato perché, per chi non lo sapesse, i senatori della maggioranza, anziché essere in Commissione bilancio a fare il loro dovere, si divertivano in altre stanze - così ci è stato riferito, Presidente - a sorseggiare buoni cocktail. Noi abbiamo reagito, da una parte, con grande stupore e anche con grande indignazione e, dall'altra, però, abbiamo tirato un sospiro di sollievo perché abbiamo pensato che questa maggioranza stavolta rischiava di portare a casa un altro disastro per l'Italia. Invece no, abbiamo sentito qualche stridio di unghie sugli specchi e il Governo con l'ennesima giravolta - perché ormai è questo l'esercizio da medaglia d'oro delle destre - ha deciso di perseverare nell'errore e di portare avanti questo scempio di decreto, usurpando così anche le ultime speranze di chi il lavoro lo vive come un diritto e non come uno strumento di schiavitù.

Presidente, la destra è convinta - e ce lo dimostra continuamente - che si debba ripristinare una cultura del lavoro. Questa espressione ultimamente viene messa in bocca a tanti esponenti della maggioranza, però credo che ci si metta in bocca cose di cui non si conosce la profondità. Perché dico questo? Perché se la Premier Giorgia Meloni conoscesse minimamente cos'è la cultura del lavoro, certo non avrebbe passato il 1° maggio a passeggiare tra i corridoi di Palazzo Chigi, peraltro sorridendo davanti alle telecamere quando non c'era proprio niente di cui sorridere, perché proprio in quel momento autorizzava il suo Governo a mettere in campo il precariato strutturale per l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Anziché rendere strutturali tutte quelle norme che creano lavoro, che generano lavoro, questa maggioranza pensa bene di rendere strutturale tutto ciò che compromette il lavoro sicuro e il lavoro duraturo.

Presidente, io chiedo, per suo tramite, come si possa avere tanta presunzione da denominare decreto Lavoro un provvedimento che, di fatto, azzera per i cittadini la possibilità di concorrere al progresso della società tramite propria attività. Questa è la definizione di lavoro nella Costituzione, per chi l'ha dimenticata. Ora, come fate a chiederci di votare un vergognoso decreto che annulla dei diritti sacrosanti di cui lo Stato dovrebbe essere il primo custode? E mi preme sottolineare che io non sto parlando soltanto di diritto al lavoro tutelato. Infatti, senza un lavoro dignitoso, Presidente, salta tutto: salta il diritto alla famiglia, salta il diritto allo studio, salta il diritto alla casa e salta il diritto alla salute.

Questa maggioranza - il partito di Giorgia Meloni - parla continuamente di crisi di natalità. Come pensa, Giorgia Meloni, che una giovane coppia possa mettere su famiglia, quando non ha un lavoro stabile e quando non viene garantita a questa coppia la possibilità di accedere semplicemente ad un mutuo? Vi rendete conto che le famiglie italiane, pur di tenere da parte qualche spicciolo dei propri risparmi, rinunciano addirittura alle cure sanitarie? Ma possibile che questa vergognosa maggioranza non apra gli occhi e non guardi il popolo che è lì fuori (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Come si fa, Presidente?

La verità è che ci si sta impegnando a rendere la vita del popolo italiano sempre più instabile e sempre più precaria. Si rendono effimeri i sacrifici del popolo. Avevate promesso di essere pronti a risollevare le sorti di questo Paese, invece vi presentate con dei decreti che sono utili quanto un debole soffio di vento in una giornata afosa d'estate. Perché è questo che state restituendo al Paese: una collezione asfissiante di illusioni e di guai.

La vostra politica sta imponendo oggi all'Italia un grave passo indietro. Dopo trent'anni, non si riesce, purtroppo, a cambiare la rotta sui salari minimi dei nostri lavoratori. Eppure, su questo voi vi eravate detti pronti. Di fronte a questi dati, però, la vostra propaganda becera non regge. Così come non regge per altre mille favole che avete raccontato giusto per strappare consensi in campagna elettorale: penso ai blocchi navali, penso alle pensioni, penso alle trivellazioni, penso al MES, e chi più ne ha, più ne metta. La maggioranza, piuttosto che aprire le porte a un confronto e a un dialogo serio con queste opposizioni, che pure rappresentano la voce del popolo, alza muri, alza cancelli e risponde con pericolosa superficialità.

Colleghi, come MoVimento 5 Stelle, vi abbiamo proposto un programma di salario minimo legale perché riteniamo che, in qualche modo, si debba permettere a tutti di riacquisire dignità e ci è sembrato davvero un atto dovuto verso tutti quei lavoratori che si spaccano la schiena dalla mattina alla sera per garantire semplicemente una vita dignitosa alla propria famiglia. Che cosa non vi sta bene della nostra proposta? Perché vi rifiutate addirittura di parlarne? Ci imponete la fiducia, ci date questo piccolo spazio in discussione generale, dove noi, purtroppo, parliamo alla Presidenza e anche ai muri. Infatti, se si potesse inquadrare l'Aula, si vedrebbe che di maggioranza non c'è segno.

Siamo chiari fino in fondo su questo, perché poi esiste sempre una sola verità. Le mezze verità non esistono, sono illusioni, sono finzioni e noi non le vogliamo raccontare. Il MoVimento 5 Stelle è l'unica forza politica che crede davvero in questa battaglia. Perché dico questo? Perché, se è vero che, da una parte, le destre non ci ascoltano oggi e non ci ascolteranno mai, è altrettanto vero che, fino ad oggi, purtroppo, nessuno è stato disponibile ad ascoltarci. E con noi, non sono state ascoltate le storie di tanti cittadini e cittadine italiane; e, allora, ne raccontiamo qualcuna. Per esempio, la storia di Sara che rinuncia coraggiosamente ad un lavoro sottopagato. Purtroppo, però, ci sono quasi 3 milioni di italiani che non lo fanno e che sono costretti a stare a queste regole. O la storia di Giuseppe e Francesca, che, a 54 e 56 anni, non percepiranno più il reddito di cittadinanza. Perché? Perché sono ritenuti occupabili. E quindi, nell'attesa che piombi dal cielo un'offerta di lavoro, nessuno potrà aiutarli. E poi ci sono tantissime altre storie che questo Governo dovrebbe ascoltare e conoscere per capire la gravità delle azioni che sta mettendo in campo. Infatti, Presidente, queste azioni non sono superficiali, non si pigia un bottone. Queste azioni porteranno alla decretazione di una legge che metterà la parola fine al lavoro in Italia. Noi parliamo di una battaglia di giustizia sociale in una giungla contrattuale che mette all'angolo il futuro dei nostri giovani e dei lavoratori più in generale. Eppure, ci aspetteranno, purtroppo, anni di contratti a termine.

Ci riempirete di voucher e di super voucher, a dispetto di tutte quelle norme, che, invece, durante il periodo della pandemia avevano davvero protetto il tessuto economico e sociale del nostro Paese. E questa è la vostra risposta: il vostro decreto Precarietà, perché le cose vanno chiamate con il nome giusto, altro che decreto Lavoro!

Presidente, questo Governo combatte quotidianamente una battaglia contro i poveri e lo fa anche con un acceso furore ideologico. Ora, i continui decreti d'urgenza - che nulla hanno di emergenza, nulla, nessun codice rosso per questi decreti - hanno soltanto avvalorato il modus operandi di una maggioranza antidemocratica, un Governo che teme la critica, un Governo che imbavaglia le opposizioni e che imbavaglia tutti coloro che non la pensano nello stesso modo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Noi non dimenticheremo questo. Non dimenticheremo l'atteggiamento propagandistico di questi partiti di destra, che, durante la campagna elettorale e nel momento in cui si è insediato questo Governo, hanno dichiarato guerra al reddito di cittadinanza: una misura che - non ci stancheremo mai di ricordarlo - aveva offerto, sì, durante la pandemia l'unica forma di protezione, la cintura di protezione sociale. Il partito di Giorgia Meloni gridava l'abolizione e l'azzeramento di questa misura e vantava una pozione magica i cui ingredienti nessuno conosceva. Oggi sappiamo che questa ricetta non esiste. Non esiste! E anziché riconoscere i propri errori, che cosa fa questa maggioranza? Tira fuori dal cilindro una formula nuova di sostegno alla povertà: una revisione del reddito di cittadinanza talmente inconcludente - perché questo è ciò che ci state proponendo - che mette sul lastrico una categoria intera, i cosiddetti occupabili, una categoria considerata astratta per chi, evidentemente, passa troppo tempo in questi palazzi e ha dimenticato che cos'è la povertà oppure non la conosce proprio.

Vada in piazza ora la Presidente Giorgia Meloni, a parlare con chi non ha di che mangiare, a parlare con chi non ha un lavoro, a parlare con chi non sa neanche dove e come formarsi al lavoro; scenda oggi in piazza la Meloni, per dire a questi cittadini una cosa, la verità: da oggi, lo Stato vi abbandona. Abbiate questo coraggio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Vedete, colleghi - i colleghi di maggioranza sono pochi, ma quei due o tre che sono in aula avranno modo di raccontarlo -, le riforme si fanno per la gente e vivendo tra la gente, mettendo in atto un sistema che sappia soddisfare le esigenze del popolo e non la bramosia del potere, perché vanno stabilizzati i nostri giovani, va fornito un incentivo occupazionale giovanile, e non lo farete certo con questo decreto Precariato; non vanno stabilizzate le vostre poltrone, perché noi stiamo vedendo questo, da otto mesi non fate che questo, non vanno messe in equilibrio le vostre beghe di partito. Utilizzate il tempo che vi rimane per investire sulla creazione di lavoro, quel lavoro che dicevate che c'era durante i Governi Conte 1 e Conte 2; c'erano delle urla in quest'aula, della Presidente Meloni, che diceva che il lavoro c'era e che nessuno come voi era capace di offrirlo agli italiani; ecco, è il vostro momento: che cosa state aspettando? Noi abbiamo capito che siete in estrema difficoltà e che vi viene anche proprio difficile chiedere il nostro aiuto e anche che l'orgoglio che vi portate dietro non vi consente più di impegnarvi per un bene più alto, che è il bene collettivo; però prendiamo atto di questo, facciamo noi un passo verso di voi, vi tendiamo noi una mano. E, allora, come si crea il lavoro? Perché è cosa conclamata, è chiaro e cristallino a tutti che non sapete dove sbattere la testa. Partiamo dalla pubblica amministrazione, passiamo all'istruzione, alla scuola, all'università, alla sanità; io non so se voi vi rendete conto di quanto queste realtà possano offrire non soltanto servizi per i cittadini, ma anche nuovi posti di lavoro; è così, basta fare una sola cosa, basta investire in questi settori, basta metterci risorse, una cosa che voi non sapete come si fa - ma sono cose che si fanno in Commissione bilancio, se volete, vi insegniamo anche quello - e bisogna investire sulla sanità per creare nuovi posti di lavoro - non c'è niente da ridere, collega -, bisogna investire sulla scuola per creare nuovi posti di lavoro e, pensate un po', si può investire anche nella pubblica amministrazione, sì, bypassando anche quella grande incapacità che avete di affrontare i ritardi sul PNRR (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), ecco, riuscite a prendere due piccioni con una fava, si dice al mio paese.

Io non so cosa creda questo Governo; perché non va avanti il Piano di ripresa e resilienza? Per due ragioni; una conclamata, la vostra incapacità e la vostra incompetenza, però fin qui, guardate, niente di nuovo; c'è un altro punto, quello importante, che voi non investite sul personale, sull'organico. Come fanno i vostri sindaci ad adempiere ai programmi del PNRR se non hanno nessuno nelle proprie strutture ad aiutarli, se non hanno persone formate a intraprendere questo percorso? C'è veramente poco da ridere e dispiace che, purtroppo, la maggioranza continui a sorridere sulla pelle dei cittadini italiani.

Ecco, in qualche minuto, vi abbiamo restituito la soluzione; adesso vi resta solo da darvi da fare. Presidente, io prendo parte ai lavori di questa Assemblea dal 2018 e in questi anni ho avuto modo di conoscere questo Parlamento, che vanta presenze, in arco temporale, molto più ampie della mia e dei miei colleghi del MoVimento 5 Stelle; ebbene, io oggi devo registrare, purtroppo, che troppo poco si riflette sul vero senso del fare politica qui dentro, su cosa si è chiamati a fare qui per aiutare tutti coloro che sono lì fuori. Un Governo attento al suo Paese sa decodificare le esigenze della comunità, sa sedersi a tavolino, dialogare e trovare una soluzione. Io credo che per risolvere i problemi del popolo - che comunque resta un'impresa ardua per tutti, non c'è dubbio - sono due le componenti essenziali del percorso, perché poi non è importante la meta, è importante come ci si arriva a tante cose.

Io credo che prima, di sicuro, c'è la partecipazione, che è il sale della democrazia e che purtroppo questo Governo continua a rifiutare e ne è dimostrazione il fatto che continuate a mettere in fiducia tutti i vostri provvedimenti . Addirittura, sapete cosa fate? Vi “auto-bocciate” gli emendamenti che presentate; praticamente, volete correggere i vostri stessi decreti, dopodiché il Governo vi invita a ritirare quelle modifiche e io credo che questo sia assurdo in una maggioranza tanto pronta come la vostra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)! Praticamente, siete i redentori e coloro che si auto-condannano; fate tutte e due le cose contemporaneamente.

Come seconda cosa, bisogna essere profondamente convinti che un sistema Paese sano non è quello che si schiaccia agli abusi del potere, non è quello dove si nasce per subire. Colleghi di maggioranza, se davvero volete dare prove di forza - perché state facendo questo, in questi mesi - datene una davvero lodevole: ascoltate, sappiate ascoltare il grido di chi vuole vedere i propri salari minimi aumentati, di chi si batte per una vita dignitosa e non una vita da schiavo. Voi, con questo decreto, avete trasformato il lavoro in schiavitù, e questo lo deve sapere il Paese intero e girarsi dall'altra parte o, ancor peggio, dare inizio ad un'era di precariato significa minacciare un diritto e, purtroppo, ad oggi non è l'unico diritto che state affossando, nel nostro Paese.

Ora, quello che io vi chiedo - e, concludo, Presidente - è di fermarvi. Vi dovete fermare perché il Paese non merita di essere di essere trattato in questo modo ed è vergognoso se non lo farete (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Valentina Ghio. Ne ha facoltà.

VALENTINA GHIO (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, questo decreto che discutiamo oggi in Aula è stato, a nostro avviso, impropriamente definito decreto Lavoro, perché le misure che avete proposto, che il Governo ha proposto, non vanno nella direzione auspicata e necessaria, ossia quella di offrire dignità di lavoro e di vita alle persone, ma aumentano la precarietà, non sostengono l'emersione della povertà, anzi riducono fortemente le misure in essere e non risolvono i nodi centrali di sviluppo delle politiche del lavoro.

Mi rivolgo al rappresentante del Governo, per suo tramite, Presidente: vedete, ci caratterizzano proprio due visioni diverse del lavoro e della società. La lotta alla povertà diventa per voi contrasto ai poveri; l'impostazione di misure che dovrebbero promuovere la crescita di lavoro non è, in alcun modo, accompagnata da misure strutturali di crescita dei salari, perché l'intervento - accennato - del taglio del cuneo fiscale è totalmente insufficiente rispetto all'impatto sui salari, che non crescono da troppo tempo e che reggono sempre meno il forte impatto che l'inflazione sta provocando sui lavoratori dipendenti e l'impatto dei vostri tagli su sanità pubblica e sul Fondo affitti, per fare qualche esempio, aggravano questa situazione.

Abbiamo provato, con i nostri interventi, con gli emendamenti dei colleghi in Commissione, a portare migliorie, anche a rendere strutturale questa misura episodica, ma avete respinto anche questo nostro tentativo. Ancora una volta avete dimostrato di non avere al centro delle vostre idee, della visione politica di Paese, dell'azione politica appunto, il contrasto alla povertà, la rimozione delle ingiustizie, delle disuguaglianze, visione che, invece, è alla base della nostra idea politica, di una società solidale, dove si cresce solo se lo si fa insieme, non acuendo i divari.

Con questo decreto avete reso tangibile la vostra mancanza di consapevolezza sulle grandi difficoltà in cui vivono tante famiglie oggi e tanti cittadini. L'abolizione tout court del reddito di cittadinanza, senza proporre misure alternative realmente adeguate, realmente caratterizzate dall'universalità propria di misure analoghe di reddito minimo, che esistono da tempo nei principali Paesi europei, evidenzia in voi la volontà di concepire la povertà come un fatto che va accettato e non combattuto. E noi ci ribelliamo, invece, a questa visione iniqua della società.

Anche i dati presentati in questi giorni dall'Ufficio parlamentare di bilancio - che ha calcolato che, su 1,2 milioni di nuclei familiari che hanno percepito il reddito, oltre 400.000 (oltre il 33 per cento) rimarranno esclusi dalla nuova misura, non perché non sono più poveri, ma perché all'interno di questi nuclei non sono presenti soggetti tutelati, codificati dalla nuova misura - hanno dato un'immagine chiara degli effetti devastanti su un'ampia parte di popolazione prodotti da questo intervento. E non bastano gli emendamenti tardivi che avete presentato in corso d'opera, peraltro in modo nemmeno del tutto condiviso fra voi. In Commissione è stato dato uno spettacolo eloquente in merito alla spaccatura al vostro interno su temi così importanti che riguardano la vita delle persone.

Quindi, con questo provvedimento, altro che inclusione: avete creato ulteriori e ampi divari sociali, introducendo misure categoriali che creano nuove discriminazioni fra i cittadini, fra le famiglie in povertà, in base a criteri che, peraltro, non riguardano neanche le condizioni di reddito, le condizioni patrimoniali, come dovrebbe essere corretto in questo caso, ma riguardano il numero di figli, le età anagrafiche.

Il sistema delineato esclude, ad esempio, i lavoratori fra i 18 e i 59 anni, che, fino ad oggi, percepivano il reddito, che non appartengono a famiglie con minori, con disabili, con over 60. Un giovane precario, di 30 anni, per esempio, pur in possesso dei requisiti richiesti attualmente e con forti difficoltà di occupabilità che persistono - perché è di questo che stiamo parlando: i dati e le analisi lo hanno evidenziato con chiarezza -, non riceverà più alcun sostegno. E come pensate di sostenere la sopravvivenza di quel giovane senza reddito e con scarse possibilità di occupabilità? È questa, quindi, la vostra visione inclusiva di politiche del lavoro, della società?

A questa discriminazione di base si aggiungono, poi, modalità di attivazione lavorativa rivolte ai beneficiari delle misure che, addirittura, tornano indietro rispetto alla valorizzazione della qualità del lavoro, ad esempio, obbligando ad accettare proposte di lavoro per il mantenimento del sussidio su tutto il territorio nazionale, senza tener conto del rapporto con i costi per la gestione della sopravvivenza, a partire dai costi per gli affitti - ne abbiamo parlato tanto in quest'Aula, in Commissione, nelle varie Commissioni -, nell'assenza totale di una politica per la casa, che vada ad incidere, soprattutto in quelle città che offrono più possibilità di lavoro, a costi proibitivi e incompatibili con uno stipendio normale.

Pertanto, complessivamente, questa prima parte del provvedimento in esame rende davvero strutturale, evidente, la retorica della povertà come colpa del singolo che non si dà abbastanza da fare, invece che contribuire a dare attuazione piena alla nostra Costituzione, che attribuisce alla società e, quindi, allo Stato la responsabilità collettiva e, quindi, l'onere di mettere in campo politiche pubbliche per combattere la povertà, per consentire alle persone di emergere.

E che dire delle misure introdotte sui contratti a termine, che vanno esattamente in senso contrario rispetto a un'inversione di rotta, di contrasto alla precarietà? Anche in questo caso, alcune considerazioni, come quelle eminenti del Governatore della Banca d'Italia del 31 maggio, ci dicono che, dopo 5 anni, la quota di giovani che resta precaria rimane al 20 per cento e che, oggi, la precarietà e i contratti a termine riguardano oltre 3 milioni di persone. Un numero altissimo, che contribuisce a rendere precario il futuro del nostro Paese.

E voi che fate? Cercate di invertire la rotta, di ridurre la precarietà crescente? Niente di tutto questo. L'intervento sui contratti a termine, oltre a mantenere le prerogative esistenti, amplia le maglie, fino a consentire, in assenza di contrattazione, di far definire la causale fra le parti con una evidente diversità di potere contrattuale in campo. Come può il giovane precario, che spera in un rinnovo, avere lo stesso potere contrattuale del suo datore di lavoro ovvero quello che il rinnovo lo decide? Di fatto, siamo di fronte, con questo provvedimento, a una vera e propria liberalizzazione dei contratti a termine fino a 24 mesi, siamo di fronte ad una individualizzazione spietata del rapporto.

Così come va in questo senso la continua elevazione del limite economico dei voucher in alcuni settori, da 5.000 a 10.000, ora a 15.000 euro annui.

Insomma, in un quadro di disuguaglianze crescenti, di bassa qualità del lavoro, che comporta nuova insicurezza per i giovani e i meno giovani, di fronte alla necessità di un sostegno alla natalità, di cui tanto vi riempite la bocca in ogni contesto, ma per la quale è evidente a tutti che occorrono veri interventi di sostegno al lavoro e al lavoro delle donne, di cui in questo provvedimento non troviamo traccia, voi che fate? Aumentate in ogni modo la precarizzazione del lavoro.

Quanto - ultimo argomento che tratto - al potenziamento delle misure di politiche del lavoro e dei servizi all'impiego, non si è provveduto con questo decreto a mettere in atto il pezzo mancante, questo sì, del percorso di sostegno all'occupabilità previsto da misure, come quelle del reddito di cittadinanza. Questo era un punto in cui dimostrare di incidere, invece avete fatto, sì, una cosa significativa, come l'attribuzione ai servizi sociali dei comuni della valutazione multidimensionale della persona, senza, però, mettere risorse per i comuni, senza consentire loro di investire in assunzione di assistenti sociali, quindi lasciando sulle spalle già affaticate pesantemente dei comuni un onere senza copertura aggiuntiva. Non appaiono risorse su questo, non appaiono impegni concreti e le politiche del lavoro e i servizi per l'impiego si presentano oggi molto differenziati, a macchia di leopardo, sul territorio nazionale, dando possibilità di sostegno diverse alle persone a seconda di dove risiedono, percorso che peggiorerà notevolmente, se porterete avanti il percorso di autonomia differenziata.

Quindi, in conclusione, signor Presidente, questo decreto ci appare carente e pericoloso. Non avete affrontato il tema dei salari, a partire dal salario minimo; non si parla di misure di rinnovo dei contratti collettivi; non avete messo in atto misure per la tutela dei lavoratori in caso di delocalizzazione e abbiamo diverse situazioni calde in tal senso nel nostro Paese; avete peggiorato la trasparenza e l'informazione nei rapporti di lavoro, indebolendo il potere contrattuale del lavoratore; non avete invertito la tendenza della precarizzazione, anzi, l'avete aumentata; non avete colto l'occasione per il ripristino di Opzione donna, che più volte abbiamo chiesto e non avete messo le basi per rendere omogenei i servizi per l'impiego su tutto il territorio nazionale. Niente di tutto questo.

Avete usato questo decreto per dividere i poveri di serie A dai poveri di serie B, per costruire una società sempre più precaria e diseguale, senza un'idea di politica industriale che faccia crescere i posti di lavoro. Non si combatte la povertà, riducendo le risorse, ma stanziandone di nuove, rendendo i servizi più efficienti e facendo sì che i sostegni non siano discriminanti.

Con questo decreto, avete soltanto contribuito, ancora una volta, ad aumentare le vite precarie di tante e di tanti nel nostro Paese e tutto questo per noi è, francamente, inaccettabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Quartini. Ne ha facoltà.

ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi - almeno quelli che sono presenti in Aula - sono un po' ridondante su alcune questioni.

La prima è che trovo davvero svilente, trovo squalificante in maniera davvero significativa ciò che sta avvenendo in quest'Aula dal 13 di ottobre scorso, perché, a suon di decreti e di fiducia, non si dibatte un bel niente, non si riesce a dare valore al lavoro che dovremmo fare in favore dei cittadini. Qui, siamo di nuovo alla stessa situazione che ormai va avanti da allora, dal 13 di ottobre, in un contesto di monocameralismo imperfetto. Praticamente, oggi, abbiamo superato tutti i limiti possibili dell'immaginabile, da questo punto di vista. In Commissione lavoro sono state date tre ore per analizzare oltre 200 emendamenti, tre ore! Ma la cosa davvero grottesca è che io ho letto dalle agenzie di stampa che - nonostante il Governo avesse detto “no” a qualunque tipo di ipotesi emendativa, le avesse bocciate in anticipo, in chiave preventiva, nonostante avesse detto questo - il Governo ha detto che sono state le opposizioni a non discutere gli emendamenti. È una cosa di un imbarazzante unico; il livello di manipolazione della realtà che la maggioranza porta avanti, Presidente, è una cosa inaudita! Ma queste cose vanno raccontate all'Italia intera, lo ripeto, vanno raccontate all'Italia intera. C'è un livello di manipolazione che è totale su tutti gli aspetti.

Questo Governo ha vinto una campagna elettorale, dicendo che erano pronti, e non è vero che erano pronti; questo Governo ha raccontato che avrebbe bloccato i porti, avrebbe bloccato la partenza delle navi, e non è vero; questo Governo ha raccontato delle cose meravigliose su quello che avrebbe fatto, con un clic che avrebbe dato 1.000 euro a tutti i cittadini italiani da un momento all'altro e non l'ha fatto; questo Governo si è lamentato della decretazione d'urgenza, in condizioni di emergenza pandemica, quando eravamo in un contesto difficilissimo all'interno di tutto il territorio nazionale e anche all'interno dell'Europa, e ora che non c'è nessun tipo di urgenza si fa più decretazione di urgenza, senza che ci siano la necessità e l'urgenza, di qualsiasi altro periodo da quando esiste la Repubblica. È una cosa davvero incredibile. Serve a qualcosa questo Parlamento oppure no? Perché mi viene anche il dubbio che, al limite, quando vorranno andare avanti sulla riforma costituzionale il Parlamento lo eliminino, perché basta il Governo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), non c'è mica più bisogno del Parlamento, della democrazia, in questo Paese, è sufficiente il Governo.

Il livello di insolenza che questo Governo ha lo abbiamo visto il 1° maggio. Scegliere il 1° maggio per produrre un decreto che non ha niente a che fare con la difesa del lavoro e che va a escludere tante persone da dei diritti importanti, soprattutto dal diritto a mangiare, e farlo il giorno del 1° maggio, vuol dire insultare le lotte sindacali di questo Paese da quando le lotte sindacali sono andate avanti, perché il 1° maggio è un giorno sacro per il lavoro!

Allora, un'operazione che avesse avuto lo scopo di migliorare le condizioni lavorative forse l'avremmo anche accettata, ma addirittura manipolare il Paese fino al punto di fare, il 1° maggio, un decreto che è di esclusione e di precariato è una cosa insopportabile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), lo ripeto, è una cosa insopportabile, perché è questo quello è stato fatto, Presidente!

Presidente, noi abbiamo una legge sanitaria che ci invidiano in tutto il mondo, perché abbiamo acquisito, meglio del Regno Unito, il sistema “Beveridge”, un sistema di sanità gratuita universale uguale ed equa; noi la rivendichiamo questa cosa.

La legge n. 833 del 1978 ha reso compiuto un comma importante della nostra Costituzione, il primo comma dell'articolo 32 della nostra Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. Ebbene, la legge n. 833 del 1978 ha reso operativa, ha reso compiuta la Costituzione rispetto a questo articolo; è una cosa enorme. Tuttavia, abbiamo avuto bisogno di una grande manifestazione, sabato scorso, per difenderlo, questo diritto, perché questo Governo - che oggi ha dichiarato addirittura di aver investito, ma ha messo meno soldi dell'inflazione in sanità - sta devastando la sanità pubblica, la sta devastando, cosa che non era successo prima, perché il Governo Conte, comunque sia, è vero che c'era la pandemia, ma è riuscito, fra PNRR con 17 miliardi e il momento difficile della pandemia, a mettere ulteriori 11 miliardi nella sanità. Aveva invertito la rotta e noi stiamo tornando ai livelli di prima della pandemia; si rischia di non rendere compiuto questo articolo della Costituzione. È una cosa intollerabile, noi non ci stiamo, noi difenderemo fino in fondo la sanità pubblica.

Volevo parlare però di un altro articolo della Costituzione: l'articolo 38. Al secondo comma, l'articolo 38 dice: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Lo ripeto: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di (…) disoccupazione involontaria”. Il reddito di cittadinanza rendeva compiuto questo comma dell'articolo 38 della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e voi lo state sminuendo, lo stato svalorizzando! È una cosa che non è assolutamente accettabile, è una cosa non accettabile, perché il reddito di cittadinanza non è solo una misura voluta dal MoVimento 5 Stelle e lo state aggredendo perché lo voleva il MoVimento 5 Stelle, diciamocelo, il motivo principale per cui viene messa in discussione questa misura è perché l'ha portata avanti il MoVimento 5 Stelle, semplicemente per questo, perché è una misura che è presente in tutta Europa.

Togliere il diritto a un reddito di cittadinanza nel nostro Paese riporterà questo Paese a un medioevo culturale rispetto ai bisogni e ai diritti dei cittadini in termini di lavoro, perché siamo involuti rispetto a tutta l'Europa. Addirittura, l'Europa sta andando, sempre di più, verso l'idea di un reddito minimo universale, garantito a tutti i cittadini europei e noi in Italia torniamo indietro sul discorso del reddito di cittadinanza. Dalle mie parti, si chiama medioevo, si chiama involuzione e lo fate esclusivamente perché è una proposta del MoVimento 5 Stelle. È una vergogna questa, non è una proposta nell'interesse generale del Paese, è l'opposto. È una misura importante; in tutta Europa è presente; è una misura di emancipazione, sì, è una misura di emancipazione, da che cosa? Prima di tutto dai ricatti di lavori con stipendi da fame, che è l'altra cosa che state ottenendo con questo “decreto Precariato”! Voi state ottenendo, con questo “decreto Precariato” una strutturazione - lo ha detto bene la collega Daniela Torto, prima - di lavoratori in affitto, voi volete che il lavoro sia sempre mercificato, voi volete dei lavoratori schiavi, schiavi moderni, non occupabili, ricattabili. Questo è quello che volete!

Non ci sono alternative, non ci sono altre spiegazioni su questo, perché il reddito di cittadinanza consentiva questo livello di emancipazione, e non solo rispetto ai diritti dei lavoratori: al diritto al lavoro e al diritto a un salario decente. Consentiva - fatemelo dire - anche un'emancipazione dal rischio di trovarsi coinvolti nella criminalità organizzata. Il reddito di cittadinanza era una manovra contro la mafia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Lo vogliamo sostenere o no? È accettabile una cosa del genere? Dal mio punto di vista, assolutamente no.

Il reddito di cittadinanza va visto anche come una misura importantissima di sanità pubblica e di salute pubblica, perché ve lo voglio ricordare, lo voglio ricordare a tutti, non dimenticatevelo, stampatevelo in testa tutti quanti: la causa più importante di cattiva salute è la povertà (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Il determinante più importante di cattiva salute è la povertà! Laddove c'è povertà c'è più cancro, laddove c'è povertà ci sono più fattori di rischio di malattia, laddove c'è povertà ci sono più malattie cardiovascolari. Allora, i soldi che noi mettiamo per il reddito di cittadinanza sono un investimento straordinario. Non sono un costo, perché li recuperiamo tutti in salute. Quindi, è una misura contro la povertà che è importantissima.

Ma non solo è contro il rischio di malattia, ma è anche contro il rischio di disagio sociale, perché i poveri vivono nelle periferie e non nelle grandi ville delle aree residenziali delle città e lì c'è più inquinamento, c'è più microcriminalità, c'è più criminalità e c'è tutta questa parte così importante di esclusione. Il reddito di cittadinanza aiuterebbe a crescere tantissimo. Vogliamo capire che ciò che si investe nella scuola, ciò che si investe in salute, ciò che si investe contro la povertà è un investimento - e non un costo - che noi potremo recuperare negli anni a venire? Invece niente! Questa maggioranza va avanti a spron battuto con una testa d'ariete incredibile, rischiando di riportare il Paese in un medioevo dei diritti e questa cosa non è assolutamente sopportabile.

Questo decreto era un'occasione d'oro, per esempio, per affrontare il grave problema dell'infortunistica sul lavoro. Sulla sicurezza del lavoro non c'è un euro; eppure noi abbiamo 1.090 morti nel 2022, più di 3 morti al giorno, e 264 nel primo quadrimestre del 2023, ma su questo non avete messo un euro. È questo quello che voi intendete in termini di decreto Lavoro, come l'avete chiamato, o inclusione sociale? Perché per difendere e per tutelare i cittadini si fa così poco, ma si fa tanto per garantire i poteri forti? Per quale motivo? Proviamo a chiedercelo, perché sinceramente a me fa ancora un magone enorme ricordare, per esempio, Sebastian Galassi, un rider deceduto sul lavoro in uno scontro stradale con un SUV a Firenze il 1° ottobre 2022. Pensate: il giorno dopo è stato licenziato con un algoritmo dall'azienda che lo aveva assunto perché non aveva portato a termine la consegna di una pizza.

Questo è il vostro modo di tutelare il lavoro e di tutelare i lavoratori. È un modo che non è assolutamente accettabile. Non è tollerabile! Era un'occasione anche per affrontare il lavoro povero, tutte le situazioni di criticità e, invece, non è stato fatto un bel niente da questo punto di vista.

Cos'altro dire? Dulcis in fundo, a spese del lavoro e della dignità dei cittadini addirittura si trova il verso di finanziare l'industria delle armi con 14,5 milioni. Ecco da che parte state: dalla parte del bellicismo e del potere dei forti e ve la prendete sempre con i deboli (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Emiliano Fossi. Ne ha facoltà.

EMILIANO FOSSI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, Governo, l'annuncio del decreto Lavoro il 1° maggio mi ha ricordato una misera pubblicità degli anni Ottanta, quella della Telefunken. Molti se la ricorderanno e, per chi non se la ricorda, forse, la frase: “Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci. Ma noi siamo scienza, non fantascienza” rammenterà qualcosa. “Nel giorno della festa dei lavoratori il Governo sceglie di lavorare per dare risposte a quei lavoratori e a coloro che legittimamente aspirano a migliorare la loro condizione. Lo facciamo con una serie molto articolata di provvedimenti, ma il più importante è relativo al taglio delle tasse sul lavoro”, “il più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni”. Diceva così, con enfasi, Giorgia Meloni in un video, patinato e scintillante, che mitizzava, più che altro, la figura della Presidente del Consiglio, dominus incontrastato e indiscusso di Governo e Parlamento.

Oggi, se analizziamo quel provvedimento, come stiamo provando a fare con molta fatica in questi giorni, vediamo tre cose: che sul lavoro c'è poco o niente, che il passaggio alle Camere è stato praticamente ininfluente e che la destra cerca di coprire i propri fallimenti con la propaganda.

Una cosa emerge chiara da questo provvedimento, cioè il concetto che la destra - questa destra - ha del lavoro. Nei Paesi civilizzati lavoro significa o dovrebbe significare meno precarietà, maggiori diritti, salari adeguati al costo della vita. Invece, vedendo il provvedimento che oggi esaminiamo, emergono tre concetti significativi: il primo è l'aumento della precarietà. Il decreto Lavoro favorisce l'utilizzo dei contratti a termine e dei voucher e prevede anche una liberalizzazione del lavoro somministrato. In questo contesto va aggiunto che i precari sono penalizzati rispetto ad altri lavoratori non soltanto nel posto di lavoro, ma anche nella vita. Per i precari, soprattutto quelli giovani, è, infatti, difficile essere indipendenti, farsi una famiglia e, quindi, avere dei figli. Precarietà e natalità sono, quindi, due rette parallele. Basti pensare alle difficoltà per i precari di accedere a un mutuo per acquisire la prima casa.

Va anche specificato, in questo contesto, come, per esempio, il Governo, in questa situazione già difficile e critica, faccia scadere tra pochi giorni, il 30 giugno, la garanzia statale per la richiesta di mutui agevolati da parte dei giovani sotto i 36 anni e delle altre categorie prioritarie che acquistano la prima casa. Quindi, il primo elemento che traiamo è che per la destra promuovere il lavoro significa promuovere la precarietà.

Il secondo aspetto significativo di questo decreto è quello di meno diritti, quindi non solo precarietà che porta a meno diritti per i lavoratori, ma tutto il provvedimento è costruito in modo da limitare i diritti degli occupati, soprattutto ai danni delle categorie deboli, dalla formazione negata a chi non risiede in Italia da 5 anni alle limitazioni per lo smart working ai soggetti fragili. Non vi è, poi, quasi nessuna norma concreta e risorse certe sulla stabilizzazione dei lavoratori della pubblica amministrazione, nonostante le promesse.

Nonostante questi continui e colpevoli ritardi lo Stato italiano sarà comunque prima o poi obbligato a stabilizzare gli insegnanti e il personale amministrativo della scuola pubblica, gli operatori sanitari, i lavoratori del settore dell'alta formazione artistica, musicale e del settore operistico, il personale degli istituti pubblici di ricerca, i lavoratori forestali e il personale volontario dei Vigili del fuoco. Lo prevede il secondo stadio della procedura di infrazione avviata ad aprile scorso dalla Commissione europea, che intende condannare l'abuso di contratti e di rapporti di lavoro a termine nella pubblica amministrazione. Quindi, per la destra promuovere il lavoro significa anche limitare i diritti dei lavoratori. Su questo non c'erano molti dubbi, visto anche come una Ministra della Repubblica, ancora in carica, pare trattasse i suoi dipendenti.

Il terzo punto è costituito da salari adeguati al costo della vita. Del taglio epocale delle tasse annunciato dalla Premier il 1° maggio scorso rimangono poche decine di euro di aumento, peraltro solo per pochi mesi. Poche decine di euro a fronte di un'inflazione che continua ad essere a due cifre. Infatti, l'Istat ha comunicato che, nel mese di maggio 2023, l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività ha registrato un aumento dello 0,3 per cento su base mensile e un incremento del 7,6 per cento su base annua, rispetto all'8,2 per cento del mese precedente, e, dunque, i rincari per gli italiani sono maggiori.

Se prendiamo in esame, infatti, il carrello della spesa e le rilevazioni, a maggio, del settore che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall'industria, quindi dalla grande distribuzione organizzata, è al 14,1 per cento; ad aprile, era al 14,4 per cento. La situazione purtroppo è critica anche perché la BCE ha aumentato ulteriormente i tassi di interesse, e i mutui e i prestiti delle famiglie sono saliti ulteriormente. Non venite poi a parlarci della vostra delega fiscale, della tassazione della tredicesima e degli straordinari sbandierati in questi giorni. Sono ancora incerte le percentuali delle riduzioni, le coperture economiche e la tempistica. Anche qualora si trovassero le risorse, si tratta di un disegno di legge delega che dovrà essere approvato alla Camera, poi al Senato senza modifiche, difficile per un provvedimento che non è un decreto. Dovranno poi essere redatti ed approvati i decreti attuativi, essendo una legge delega. Quindi, passeranno anni.

Un capitolo a parte merita poi la vicenda dei rinnovi dei contratti pubblici, anche questi annunciati da mesi dal Governo ma mai concretizzati perché non ha ancora trovato le risorse. Quindi, per la destra promuovere il lavoro significa rinviare i rinnovi dei contratti collettivi e dare mancette per qualche mese a qualche lavoratore, spacciando peraltro tutto questo - è bene ricordarlo - come il più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni. Su questo è bene insistere perché lavoro, salari e inflazione non sono concetti astratti, che possono essere nascosti da operazioni demagogiche, sovraniste e strumentali, sono la vera vita dei cittadini che, presto, verranno a presentarvi il conto. In conclusione, o la destra italiana ha un concetto del lavoro diverso rispetto al resto del mondo - ci può stare, visti i risultati - o in questo provvedimento di lavoro c'è poco o niente.

Questo provvedimento ha avuto comunque un merito, un aspetto di rilievo che va sottolineato. Che il Governo avesse delle incapacità lo vediamo ogni giorno su temi decisivi, come l'attuazione del PNRR; che il Governo fosse anche in cattiva fede è palese dai continui provvedimenti ideologici che presenta con l'obiettivo di distrarre l'opinione pubblica dai temi reali, alimentando confusione, per poi tornare sui propri passi, rallentando colpevolmente i lavori parlamentari che dovrebbero essere focalizzati sulle problematiche dei cittadini. Se facessi una lista dettagliata, nonostante 9 mesi di Governo, rallenterei anche io i lavori parlamentari, ma basta qualche esempio: rave, cannabis, ONG, maternità surrogata, diritti dei bambini delle famiglie LGBT. Grazie a questo provvedimento, però, abbiamo avuto la prova provata che la destra è divisa in maniera drammatica ed evidente. La maggioranza che va sotto in Commissione bilancio al Senato sulla discussione degli emendamenti del decreto Lavoro e, soprattutto, le scuse di facciata di autorevoli esponenti confermano questa spaccatura, poi esplosa con l'esasperato tatticismo per la ratifica del MES.

Prima di andare a concludere, penso che occuparsi di lavoro significhi certamente decreto Lavoro. I provvedimenti che dovevano essere presi e che non sono stati presi procurano invece ulteriore frammentazione del mondo del lavoro, precarietà, insicurezza delle persone che si sentono a rischio e non garantite. Occuparsi di lavoro significa e significherebbe anche occuparsi di crisi, di vertenze aperte. Ce ne sono tante nel nostro Paese. Io, che ho a cuore naturalmente tutto il Paese, tutta la nostra Nazione, e in modo particolare la regione da cui provengo, la Toscana, non posso fare a meno di sottolineare alcune crisi e vertenze fondamentali che attanagliano la mia regione, uno dei territori più colpiti dalla crisi energetica e dall'inflazione. In questi mesi la regione Toscana ha provato a parare il colpo, provando a salvaguardare i livelli occupazionali, collaborando con le organizzazioni sindacali e utilizzando nuovi strumenti e accordi ispirati al principio di responsabilità sociale dell'impresa. Tuttavia, ci vuole un impegno più forte anche da parte del Governo, delle istituzioni nazionali, più fattivo, più deciso, più presente. Abbiamo tante crisi aperte: nella lavorazione del vetro, l'azienda Industria Vetraria Valdarnese a San Giovanni Valdarno; nelle macchine industriali per ristorazione, l'azienda Giga Grandi Cucine a Scandicci; nell'abbigliamento, l'azienda Giorgio Armani Retail Srl a Leccio; nell'automotive, l'azienda GKN Driveline-QF a Campi Bisenzio, nel trattamento dei rifiuti, l'azienda Moggi Smaltimenti a Pontassieve; nella chimica, l'azienda Venator di Scarlino; nella siderurgia, le Acciaierie di Piombino; nella logistica, l'azienda MT Logistica di Livorno; nelle analisi chimiche, l'azienda Agrolab a Carrara; nel siderurgico, l'azienda Sanac a Massa; nel turismo e sanità, l'azienda Terme di Montecatini a Montecatini Terme; nei call center, l'azienda Pay Care a Siena; nel campo dell'energia solare e della mobilità elettrica, l'impresa Fimer di Arezzo. Ci vuole una visione industriale ma ci vuole anche la rapidità di intervento, perché i tavoli siano aperti e siano riuniti presso il MISE e presso i Ministeri competenti in maniera più forte e più precisa rispetto a quanto fatto sino ad ora. Concludendo, il decreto Lavoro è stato l'ennesima occasione persa dalla destra. Una destra che, ancora una volta, evita di contrastare le cattive pratiche che penalizzano il lavoro dignitoso e di qualità, come le delocalizzazioni delle imprese o il caporalato. Una destra che ha utilizzato un decreto Lavoro per penalizzare addirittura la povertà, come testimoniato dai percettori del reddito di cittadinanza che vengono dimezzati, e questa destra pare vedere la povertà come uno stigma, come una colpa, come hanno rilevato molti colleghi che sono intervenuti prima di me.

Una destra che continua ad utilizzare decreti e fiducie pur avendo, così dicono, una maggioranza ampia, un orizzonte politico lunghissimo e nessuna contingenza drammatica, come è stato, ad esempio, negli anni scorsi con il COVID, quando comunque l'attuale Premier si sbracciava da questi stessi banchi denunciando il bavaglio democratico. Sappiamo che continuerete a dire che gli elettori vi hanno votato per fare questo, lo fate da mesi, nonostante i continui disastri. Non sapete fare altro. Sinceramente, vi chiedo: siete veramente sicuri che gli elettori vi hanno votato per fare questo? Pensateci bene prima di rispondere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marianna Ricciardi. Ne ha facoltà.

MARIANNA RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi e colleghe, il 17 giugno, con noi, con il MoVimento 5 stelle, in piazza c'erano 20.000 persone venute da ogni parte d'Italia per gridare “basta precariato”. Perché? Perché la condizione di precarietà, in primis quella lavorativa, che tarpa le ali, ostruisce i sogni, non consente alle persone di realizzarsi esercitando il proprio talento, rappresenta un problema sociale che mina la stabilità economica e il benessere delle persone. In pratica, il precariato è un vero attentato al diritto alla felicità.

È nostro dovere, come Paese civile e come Repubblica fondata sul lavoro, così come sancito dalla nostra Costituzione, affrontare la grande sfida sociale e lavorare insieme per contrastare il lavoro precario, che arreca conseguenze negative per i lavoratori, incertezza del contratto, mancanza di tutele e difficoltà nell'organizzare la propria vita. Queste sono le conseguenze più evidenti, che convergono in una difficoltà devastante nel pianificare e perfino immaginare il proprio futuro a causa dell'instabilità finanziaria e sociale. Però, questa, in fondo, è solo la teoria perché poi c'è la pratica, quel cunicolo di invisibilità in cui si affollano migliaia di storie vere, di cittadini che la precarietà la girano nel mattino dentro il caffè amaro di ogni nuovo giorno non protetto e non sicuro. Ci sono storie come quella di Elena, una giovane ambiziosa, con grandi sogni nel cassetto, un cassetto dove aveva anche una laurea in design, presa con il desiderio di lavorare in un'agenzia di pubblicità, magari di successo. Sapete come sono questi giovani, sognano. Tuttavia, Elena capisce presto che trovare un impiego stabile e ben remunerato è un miraggio e si ritrova ad accettare tanti lavori precari per andare avanti e pagare le bollette. Diventa una designer freelance, che sembra una cosa altisonante ma che tradotto vuol dire che, quando finisci un progetto, ti ritrovi senza lavoro. A un certo punto comincia a lavorare in un piccolo studio creativo, ma sempre con contratto a tempo determinato e un salario appena sufficiente per sbarcare il lunario. Elena è andata avanti tra lavori temporanei e periodi di disoccupazione, nonostante le sue competenze e la sua determinazione. Dopo anni di lavori precari, riesce a trovare un'opportunità in un'agenzia di design rinomata, ottiene un contratto a tempo indeterminato e un salario adeguato alle sue competenze. Un lieto fine? No, Elena ci arriva a 40 anni, in una città che non è quella di sua origine, e nel frattempo quello stipendio fisso e da lavoro stabile si è inflazionato, e a causa della bolla speculativa in atto non le consente nemmeno di affittare una casa in centro o di accendere un mutuo.

Cosa abbiamo fatto per Elena e per i milioni di giovani come lei? So dirvi cosa dovremmo fare. In primo luogo, è necessario migliorare la qualità dei posti di lavoro disponibili. In secondo luogo, è fondamentale investire nell'istruzione e nella formazione professionale. Inoltre, dobbiamo incentivare la creazione di un ambiente imprenditoriale sano e sostenibile, sostenere le piccole e medie imprese, fornire agevolazioni fiscali per la creazione di nuove attività e favorire la collaborazione tra settore pubblico e privato. Infine, dobbiamo potenziare i sistemi di protezione sociale, dobbiamo garantire la presenza di reti di sicurezza per coloro che si trovano senza lavoro e che vivono situazioni di precarietà. Ciò implica la promozione di politiche di welfare che offrano sostegno economico, accesso a servizi di formazione e di qualificazione professionale, nonché programmi di reinserimento nel mercato del lavoro.

Nella scorsa legislatura il presidente Conte ha affrontato numerose questioni economiche e sociali, incluso il tema del precariato. Il suo Governo ha promosso misure volte a garantire una maggiore protezione dei lavoratori e una riduzione dell'instabilità occupazionale. Ricordo che ha introdotto il cosiddetto decreto Dignità, approvato nel 2018, che prevedeva una serie di misure volte a contrastare la precarietà del lavoro, tra cui la limitazione dei contratti a termine. Il decreto ha, infatti, introdotto restrizioni sui contratti a termine, cercando di limitarne l'abuso e sono state fissate regole più stringenti per l'utilizzo di contratti a tempo determinato, al fine di promuovere l'assunzione stabile. Vi è poi l'incremento dei diritti dei lavoratori: il decreto Dignità ha introdotto misure per rafforzare i diritti dei lavoratori, come la tutela contro il licenziamento ingiustificato e una maggiore protezione in caso di contratti precari. C'è stato il potenziamento delle tutele per gli appalti, perché sono state introdotte disposizioni per garantire una maggiore sicurezza e stabilità per i lavoratori impiegati nelle imprese appaltatrici. Ci sono stati incentivi per l'assunzione a tempo indeterminato: sono state previste agevolazioni fiscali per le imprese che assumono a tempo indeterminato al fine di promuovere l'occupazione stabile. C'è stata la lotta al lavoro sommerso: il decreto Dignità aveva, infatti, previsto delle misure per contrastare il lavoro non dichiarato, il cosiddetto lavoro nero, con sanzioni più severe per le imprese che lo praticano.

Se volevate perseguire l'obiettivo di dare ai nostri concittadini condizioni di lavoro dignitose e la possibilità di progettare il proprio futuro, avevate una strada già spianata, non c'era bisogno di inventarsi chissà cosa. Il problema è che noi e voi perseguiamo obiettivi diversi.

Il vostro decreto Lavoro incide, tra le varie cose, sulla disciplina del lavoro a termine; in particolare interviene sulle ipotesi che consentono al datore di lavoro di rinnovare o prorogare oltre i 12 mesi un contratto di lavoro a tempo determinato, andando a modificare le causali introdotte dal decreto Dignità. È proprio per questo che lo abbiamo ribattezzato “decreto Precariato”.

Nel 2018, per arginare l'impennata dei contratti precari che con il Jobs Act aveva sfondato quasi quota 3 milioni, il decreto Dignità aveva stabilito per tali accordi una durata di 12 mesi, con possibilità di una durata superiore ma comunque non eccedente i 24 mesi, soltanto attraverso l'apposizione di causali stringenti, quali esigenze temporanee e oggettive estranee all'ordinaria attività ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori o connesse a incrementi temporanei significativi e non programmabili dell'attività ordinaria. Parliamo, quindi, di un sistema di causali legato alla sussistenza di condizioni straordinarie, imprevedibili o comunque eccezionali rispetto all'organizzazione produttiva, proprio ciò che dovrebbero rappresentare i contratti a termine: un'eccezione non la regola.

Mantenendo la possibilità di stipulare o prorogare i contratti a tempo determinato, senza necessità di giustificarne la ragione entro i primi 12 mesi, il nuovo decreto modifica le causali che consentono di apporre un termine superiore al contratto. Secondo la nuova disciplina, al datore di lavoro è concesso prorogare oltre i 12 mesi o rinnovare un contratto a tempo determinato in presenza di una di queste tre condizioni: nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria; in assenza di un accordo collettivo e comunque entro il 31 dicembre 2024 per esigenze tecniche, organizzative e produttive individuate dalle parti; per sostituzione di altri lavoratori.

Soffermiamoci in particolar modo sul secondo punto. Dire che, in assenza di un intervento da parte della contrattazione collettiva, l'individuazione delle esigenze tecniche, organizzative e produttive è rimessa alla libertà delle parti significa sbilanciare le cose a favore della parte più forte ossia il datore di lavoro, a scapito di quella più debole, che invece è il lavoratore.

Ma non vi bastava e siete stati capaci di fare anche peggio. Avete legalizzato lo sfruttamento, aumentando fino a 15.000 euro annui la possibilità di ricorrere ai voucher. Per ogni buono da 10 euro il lavoratore percepisce 7,50 euro, mentre 2,50 euro vanno tra INPS e INAIL. Tale meccanismo suona come un vero e proprio inganno, a cui si aggiunge la beffa del futuro pensionistico di questi lavoratori, che non avranno diritto a un assegno quantomeno dignitoso.

In conclusione, vorrei dirlo in maniera rispettosa, ma non trovo altre parole: voi siete allergici ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e davvero pare che non ci sia un antistaminico morale che vi possa curare. In nome di quel “non disturbare chi vuole fare”, pronunciato il giorno in cui la Presidente Meloni ha chiesto la fiducia alle Camere, avete alimentato un clima avvelenato, mettendo i cittadini in difficoltà gli uni contro gli altri, facendo credere che un sostegno di appena 500 euro al mese fosse la causa di tutti i mali del nostro Paese. Avete scatenato la guerra tra i poveri, giocando sulla rabbia e defilandovi dalle vostre responsabilità. Dietro il paravento del patriottismo, avete innescato invece un meccanismo di divisione e di disunione.

È triste vedere come siate insensibili persino alle parole del Presidente della Repubblica, che in occasione del 1° maggio ha detto espressamente che la precarietà stride con crescita e sviluppo. E lo vogliamo dire che, in un momento in cui la disuguaglianza economica e sociale è ancora una realtà, avete deciso di distruggere il reddito di cittadinanza?

Avreste dovuto operare per mantenere lo strumento di sostegno e finalmente far partire le politiche attive del lavoro. Dovevate lavorare per creare una società più equa e più giusta, invece state lavorando per spaccare il Paese, scatenare la guerra tra i fragili e rendere strutturali le disuguaglianze. Il lavoro di cui parlate voi ha sempre qualche altra parola vicino: a cottimo, sottopagato, sfruttato, determinato, precario. Lavoro “dignitoso” mai (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gribaudo. Ne ha facoltà.

CHIARA GRIBAUDO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, il dibattito pubblico, politico e parlamentare di questi mesi sul tema del lavoro, a mio avviso, è emblematico dell'enorme distanza che c'è ancora oggi tra la destra e la sinistra in questo Paese.

Chi per anni ci ha raccontato che destra e sinistra non esistono più, perché non c'è alcuna differenza nelle proposte, leggendo invece il testo di questo decreto e ascoltando i vostri interventi in quest'Aula e peggio ancora in televisione, sentendo le voci e il grido che arriva dalle manifestazioni di piazza, non può che ammettere che c'è un approccio molto diverso sul tema del lavoro e della lotta alla disoccupazione, alla povertà e alle disuguaglianze.

Questa profonda differenza non solo esiste, ma si fa sempre più marcata. Su questo provvedimento si sono scontrate due visioni del mondo. Da una parte, c'è una destra conservatrice, corporativa, anacronistica, convinta ancora che i profitti delle imprese possano crescere solo tenendo bassi i salari e sacrificando i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, in nome della competitività e dell'individualismo. Sei povero? È perché non lavori. Non hai un lavoro? È perché non lo vuoi trovare. Non guadagni abbastanza per arrivare a fine mese? È colpa tua, perché non ti impegni abbastanza. La colpa è sempre dei lavoratori, della catena debole del processo.

Prima di tutto, proporrei alla maggioranza e al Governo un esame di coscienza. A volte, onorevoli colleghi, se le cose non vanno è perché chi governa non è in grado di farle andare. Basta fatalismo, basta scaricabarile, rendetevi conto che state favorendo una narrazione tossica sul lavoro in questo Paese.

Noi ci collochiamo dall'altra parte del campo e rifiutiamo totalmente questa narrazione, figlia del peggiore conservatorismo thatcheriano. Continueremo a scendere in piazza, come abbiamo fatto in questi mesi, a fianco delle lavoratrici e dei lavoratori, dei disoccupati, di coloro che si sentono abbandonati dallo Stato, di quelle tante donne che avrebbero dovuto andare in pensione e che per colpa vostra non hanno potuto. La prima donna Premier cosa ha fatto? Ha cancellato una misura di sostegno alle donne e non ha consentito a circa 20.000 donne di andare in pensione in via anticipata. Questo è il vostro modo di lavorare e noi staremo sempre dall'altra parte, dalla parte di chi cerca un lavoro dignitoso, un lavoro sicuro, una paga equa.

Insomma, per opporsi a questa destra, destra-centro, abbiamo bisogno di una sinistra che torni a chiedere a gran voce salari più alti, diritti e tutele per tutti, anche nel mercato del lavoro che cambia, per dipendenti e autonomi, orari e forme di organizzazione del lavoro più flessibili, facendo attenzione al corretto bilanciamento vita-lavoro, perché solo questa è la strada per aumentare la produttività delle nostre imprese. Lo dico a chi ci ascolta da fuori: siamo al fianco di quanti nel Paese hanno la giusta paura che i provvedimenti di questa maggioranza peggioreranno ancora la loro condizione e quella dei loro figli. Respingiamo con forza agli attacchi di una destra che vorrebbe cancellare il nostro welfare state e aizzare una guerra tra poveri. Abbiamo bisogno di un'opposizione nel Paese e in Parlamento che ricordi al Governo che la povertà non è una colpa. Le difficoltà sociali ed economiche sono spesso frutto di diversi fattori, che non si aboliscono per decreto.

Lo voglio dire con chiarezza: servono misure mirate di sostegno al reddito e politiche attive del lavoro. Se il Governo avesse voluto fare un regalo ai lavoratori in occasione della loro festa o anche solo fare un passo nei loro confronti, avrebbe dovuto approvare una legge sul salario minimo per combattere la piaga del lavoro povero nel nostro Paese. Invece, ha scelto di fare esattamente l'opposto. Se dovessi sintetizzarlo in una frase, direi che il Governo ha considerato urgente un decreto per precarizzare ulteriormente il lavoro in questo Paese: puro masochismo di Stato e pura cattiveria gratuita, perché, nei fatti, in questo decreto non c'è alcuna norma che, numeri alla mano, aiuterà la produttività o la competitività delle imprese italiane, non c'è alcuna prospettiva di crescita economica nel Paese. Ma andiamo per ordine.

Ricorderete tutti l'enfasi mediatica, la scenetta messa in piedi dalla Premier, anzi, pardon, dal Presidente del Consiglio e dalle sue eccellenti comparse, in quel video di propaganda in cui ci raccontava che si erano riuniti il 1° maggio per approvare il più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni. Ebbene, ci abbiamo messo poco, tutti quanti, a capire che si trattava di una bugia, di una grande bugia. Per questo, dopo le sue roboanti affermazioni, la Presidente Meloni, pardon, il Presidente Meloni non ha potuto tenere una conferenza stampa a margine del Consiglio dei ministri. Qualcuno, probabilmente, in quella sala stampa le avrebbe chiesto di verificare le sue affermazioni e ricordato che, solo un anno prima, con la legge di bilancio del 2022, il precedente Governo aveva stanziato, nell'ordine, 7 miliardi di euro per ridurre l'IRPEF, 1 miliardo di euro per l'IRAP, 1,8 miliardi di euro per ridurre temporaneamente, per tutto il 2022, i contributi previdenziali per i redditi fino a 35.000 euro, a cui ad agosto si è aggiunto oltre 1 miliardo con il decreto Aiuti-bis che, per fortuna, almeno questo, il Governo Meloni non ha fatto altro che confermare.

Chiariamolo subito: noi siamo per l'abbassamento delle tasse sul lavoro. D'altronde, tutti i Governi sostenuti dal Partito Democratico hanno lavorato in questa direzione. Il punto è che questo taglio del cuneo contributivo è servito al Governo per coprire il taglio del reddito di cittadinanza e aprire una nuova stagione di precarizzazione del mercato del lavoro. Voglio partire subito da quest'ultimo punto. L'articolo 24 del decreto-legge modifica l'attuale norma sui contratti a tempo determinato, stabilendo che potranno avere una durata massima di 24 mesi e non più di 12 mesi, senza dover fornire particolari giustificazioni. Di fatto, la norma cancella le causali che erano richieste per l'impiego e per la proroga dei contratti a termine, ovvero le esigenze temporanee e oggettive connesse a incrementi straordinari dell'attività. Il nuovo testo dice che le parti potranno individuare le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva per prorogarne la durata. Quando leggiamo le parti, però, dobbiamo fare una considerazione. Pensiamo davvero che i datori di lavoro e i lavoratori siano da mettere sullo stesso piano, che abbiano la stessa forza contrattuale? Evidentemente, no. Allora, ancora una volta questa destra dimostra quello che vuole fare, come anche altre forze politiche hanno provato a costruire nel tempo, anche qualche leader magari: la disintermediazione sociale. In un momento in cui avevamo un'occasione straordinaria e storica, come le risorse del Next Generation EU, e potevamo davvero ricostruire un patto tra gli italiani e dare maggior forza non solo ai salari ma a una contrattazione collettiva e, quindi, ridare centralità ai corpi intermedi di questo Paese, che ci servono per tenere lo stato sociale, questo Governo, invece, lavora sulla disintermediazione e, ancora una volta, lascia da sole le persone, soprattutto i lavoratori e le lavoratrici più deboli, di fronte a una contrattazione che rischia naturalmente di prevaricarli. Anche questo - noi lo rivendichiamo con forza - è un errore politico enorme che produrrà danni drammatici sul piano delle garanzie dei lavoratori e, in generale, su come è organizzata la nostra democrazia. Io volevo sottolineare questo, perché è uno degli aspetti, secondo me, più delicati.

Inoltre - me lo faccia dire, Presidente - questo Governo si riempie la bocca di natalità. Anche in questo caso, il Governo ha fatto qualcosa per aumentare il lavoro di qualità, favorire il lavoro femminile e l'occupazione stabile? Sappiamo che la maternità rappresenta, ancora oggi, nel 2023, nonostante gli sforzi normativi, un elemento che discrimina la continuità nel lavoro delle donne. Questo Governo ha agito in questa direzione? Assolutamente no. Da un Governo che si diceva intenzionato a invertire la tendenza dei nostri giovani concittadini ad avere figli, mi sarei almeno aspettata una voce più forte sull'attuazione, per esempio, della legge n. 162 del 2021, impropriamente chiamata solo legge sulla parità salariale ma che prevede delle norme di attenzione al welfare aziendale, al sostegno alle carriere delle donne nel mercato del lavoro, alle discriminazioni dirette e indirette nei luoghi di lavoro. Ecco, di tutto questo il Governo naturalmente non parla. Non lavora né per la parità salariale né per tentare di stabilizzare i contratti dei giovani inseriti nel mercato del lavoro, riducendo dunque i margini di impegno e proroga dei contratti brevi, per consentire loro di scegliere prima o con maggiore tranquillità se avere dei figli. Invece, il Governo decide di andare nella direzione opposta e non è in grado nemmeno di prendere un impegno su un ordine del giorno per spendere le risorse previste dal PNRR per costruire gli asili nido in tutto il Paese. Anche questo è un elemento che voglio sottolineare, Presidente, perché quella è un'occasione storica, non solo per riformare il nostro Paese, ma per dare opportunità a tantissimi bambini e bambine nel nostro Paese, che, al Nord come al Sud, hanno la necessità di avere, giustamente, accesso alla scuola e agli asili nido, in questo caso, in maniera diffusa in tutto il Paese. Invece, noi rischiamo di inasprire ancora di più le disuguaglianze. Queste scelte sono pericolose per la tenuta non solo del nostro welfare state ma, in generale, per i conti pubblici. Altro che prudenza. Qui, se non remiamo tutti in questa direzione, in una direzione diversa da quella scelta da questo Governo, andiamo a fondo. Eppure il Partito Democratico si è reso disponibile. Abbiamo incalzato il Governo sul PNRR proprio perché noi vogliamo dare un contributo nell'interesse del Paese e nell'interesse della crescita del nostro Paese e dello sviluppo di un Paese più giusto. Da questo punto di vista, naturalmente, la destra è silente. Ce lo ha ricordato anche il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco - che approfitto per ringraziare per il lavoro di questi anni - il quale, nelle sue considerazioni finali del 31 maggio, ha richiamato tutta la politica a guardare con preoccupazione, a proposito, a quella quota del 20 per cento di giovani che, dopo 5 anni dall'ingresso nel mercato del lavoro, è ancora precaria, perché poi sono proprio quei giovani che sono esausti e che cercano rifugio all'estero.

Istat, Ministero del Lavoro e INPS concordano che abbiamo oltre 3 milioni di lavoratori e lavoratrici con contratti a termine e che i settori più precari sono turismo e ristorazione. In questi settori abbiamo due problemi strettamente legati tra loro: i salari troppo bassi e la mancanza di manodopera. Dunque, quale dovrebbe essere la soluzione? Le regole del mercato del lavoro vorrebbero che, in un settore in forte ripresa come quello del turismo, i salari dovrebbero aumentare ed essere più stabili per attrarre nuovi lavoratori. Cosa fa, invece, il Governo? Va nella direzione opposta, sceglie di allargare ulteriormente l'impiego dei voucher, dopo averli reintrodotti con la scorsa legge di bilancio, prevedendo, all'articolo 37, un tetto a 15.000 euro annui per chi opera nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento. Di fatto, la norma rende perfettamente sostituibili i voucher - che, ricordiamolo, a proposito di peggioramenti introdotti al Senato, potranno di nuovo essere comprati in tabaccheria - con un contratto di lavoro a tempo determinato stagionale, che ovviamente avrebbe anche maggiori tutele per lavoratrici e lavoratori, cancellando gli sforzi di anni di Governo del centrosinistra per introdurre nuovi strumenti per sostenere il lavoro stagionale. Come se non bastasse, sempre con questo decreto, il Governo sceglie di far pagare a tutti i contribuenti italiani il costo di un ulteriore sgravio fiscale per il lavoro straordinario solo del comparto turistico. Perché lo fa? Grazie all'inchiesta giornalistica di Report, oggi è chiarissimo: perché siamo di fronte a un gigantesco conflitto di interesse, che avevamo già denunciato quando la Ministra Santanche' era stata nominata presso il Ministero del Turismo. Oggi viene fuori che la sua gestione aziendale è caratterizzata da pagamenti in ritardo a dipendenti e fornitori, stipendi dovuti non pervenuti e versamenti di contributi non effettuati. Ma come? Festeggiate un taglio del cuneo contributivo e poi si scopre che un vostro Ministro proprio non versava i contributi? Ormai è chiaro che la Meloni ha scelto di affidare il Ministero del Turismo del nostro Paese ad un'imprenditrice che non sa dove sta di casa l'etica imprenditoriale e che, per di più, ha dimostrato scarsa capacità di guidare un'azienda, figuriamoci l'intero comparto turistico italiano. Vi sembra normale che un Ministro, che ha avuto nella sua vita condotte societarie così gravi, possa riscrivere le norme del mercato del lavoro del settore turistico, della ristorazione e dell'accoglienza? Su questo, come Partito Democratico, pretendiamo che la Ministra venga a spiegare in quest'Aula e al Paese perché dovremmo ancora fidarci della sua buona fede. Oppure, faccia un passo indietro per dignità istituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Vi ricordo che in passato ci sono state dimissioni per il mancato versamento dei contributi ad una lavoratrice; lo dico alla Sottosegretaria, se vuole farlo presente. Al Governo e alla maggioranza dico questo: state tranquilli che la stagione turistica sarà da record come sempre, anche senza la straordinaria campagna “Open to meraviglia”.

Come dicevo prima, il taglio del cuneo fiscale non serve solo a coprire le scelte del Governo sulle regole contrattuali del mercato del lavoro. Sappiamo bene che questo decreto-legge nasce dall'esigenza di riscrivere le norme sul reddito di cittadinanza che, pur con tutti i suoi limiti, che riconoscevamo, era rimasto uno dei pochi strumenti di contrasto alla povertà. La maggioranza, da anni, ha investito in una campagna mediatica e di disinformazione contro una bandiera degli avversari politici - le bandierine ideologiche, le loro preferite da sventolare - disinteressandosi della dignità umana, della persona e della famiglia. Viviamo in un Paese in cui è impossibile emanciparsi da una condizione di difficoltà economica. Dobbiamo dirlo, avete avuto il coraggio di raccontare al Paese che tutti i percettori del reddito di cittadinanza sono dei fannulloni.

I dati dell'ANPAL, in realtà, ci dicono che, se impieghiamo il criterio della distanza dal mondo del lavoro e non esclusivamente criteri anagrafici, solo il 3 per cento dei percettori di reddito di cittadinanza è realmente occupabile. Dunque, ciò che serviva era migliorare e potenziare la presa in carico del percettore di reddito e un percorso di reinserimento nel mercato del lavoro; su questo aspetto avremmo potuto lavorare insieme per ovviare ai problemi e ai limiti che sono emersi. Avete preferito, come sempre, la strada più semplice: quella di tornare indietro, che però si rivela anche essere quella più pericolosa, ripeto, per la tenuta sociale del Paese; e naturalmente avete deciso, in questa Camera, di mettere ancora una volta l'ennesima fiducia, proprio evitando il dibattito.

Se consideriamo i dati, l'Istat ha certificato che nel 2022 un italiano su quattro ha vissuto a rischio povertà, un dato aggravato dalla pandemia, dalla guerra e dalla successiva crisi energetica; stiamo parlando di circa 15 milioni di individui che si trovano in una situazione di esclusione sociale, ovvero che hanno difficoltà ad accedere all'acquisto di beni primari, tra cui un'abitazione adeguatamente riscaldata e una dieta bilanciata e, tra questi, sono 5,6 milioni i poveri assoluti. L'enorme rischio che vedo all'orizzonte è che, con la crescita dell'inflazione - che, notoriamente, è la tassa più iniqua e che ricade indiscriminatamente su tutti, anche sui prodotti di prima necessità -, questo dato possa aggravarsi.

Dato questo quadro, non bisognava assolutamente disinvestire su strumenti di lotta alla povertà. Non dobbiamo poi dimenticarci che, a causa di alcune caratteristiche del mercato del lavoro italiano - penso, ad esempio alla grandezza media delle imprese italiane e alla mancata crescita dei salari -, è cresciuto spaventosamente il numero di persone che, pur lavorando, permangono in condizioni di povertà.

Confcooperative ci dice che ci sono 3,8 milioni di lavoratori che ricevono una retribuzione annuale uguale o inferiore ai 6.000 euro, con un 10,2 per cento di lavoratori in povertà relativa, dato che sale al 17,3 per cento per gli operai e al 18,3 per cento per gli occupati nelle regioni del Sud. Nel 2021, il reddito di cittadinanza ha evitato la caduta di ben 6 punti percentuali del reddito disponibile delle famiglie del 20 per cento delle famiglie più povere.

Sempre secondo l'Istat, a testimonianza delle forti disuguaglianze presenti nel nostro Paese, il reddito del 20 per cento delle famiglie più benestanti, nel 2021, è stato, in media, pari a 5,6 volte quello delle famiglie più povere, ma sarebbe stato pari a ben 6,1 volte senza il reddito di cittadinanza.

Dunque, io ritengo che, legittimamente, il nuovo Governo possa scegliere di operare una riforma di questo strumento, anche se mi piacerebbe che questo Paese diventasse una democrazia matura, nella quale ogni nuovo Governo non finisce per smontare le politiche dei Governi precedenti, senza aver valutato gli effetti concreti delle misure messe in atto, perché il monitoraggio delle misure è molto importante quando dobbiamo decidere soprattutto sulle misure che davvero possono cambiare la vita quotidiana delle persone.

Trovo molto sbagliato che si metta mano allo strumento con l'obiettivo, invece, di fare cassa e, anziché modificarlo per migliorarlo, per modificarne alcune storture, per arrivare con maggiore efficacia alla platea di coloro che effettivamente necessitano temporaneamente di un aiuto economico per risollevarsi, i nuovi criteri di occupabilità, costruiti non sulla base di criteri che misurano la reale possibilità di accesso al mercato del lavoro, ma sulle responsabilità di cura e della composizione familiare, escludendo così quasi la metà della platea degli attuali beneficiari, continuando però a offrire loro percorsi di inclusione e lavorativi totalmente inadeguati, non aiuterà. La netta separazione, ancora, tra i percorsi di inclusione sociale e quelli di inserimento lavorativo, senza aver aggredito le difficoltà legate alla costruzione della presa in carico delle esigenze dei singoli percettori e con la chiusura di ANPAL non crea perplessità solo nell'opposizione, ma in tutti quei mondi, anche del Terzo settore, che da sempre si sono occupati di povertà, nel nostro Paese; penso ovviamente a quanto detto dagli esponenti della Caritas in audizione o a quanto ha scritto Alleanza contro la povertà. INPS e ANPAL hanno poi dimostrato come le persone che versano in stato di povertà relativa o assoluta siano molto diverse per condizioni sociali, educative e per esperienze lavorative. Queste caratteristiche complesse e non uniformi della popolazione, coinvolta nelle misure di contrasto alla povertà, soprattutto nella forma del reddito minimo, possono appunto dare spazio a forme diverse di intervento, come emerge anche dalle diverse esperienze internazionali, in modo particolare quelle europee.

Continua, però, a non trovare spazio un approccio intersezionale di analisi delle caratteristiche soggettive che, per ampia parte della platea di riferimento, sono un elemento centrale che richiederebbe una seria valutazione.

Dunque, quali modifiche avrebbe dovuto operare, secondo noi, il Governo? Sembrano essere caduti nel vuoto tutti gli studi di valutazione e anche le 10 proposte del Comitato scientifico presieduto dalla sociologa Saraceno sulle misure di contrasto alla povertà e sul reddito di cittadinanza.

Tra le modifiche che credo avrebbero avuto un impatto più positivo sul tessuto economico e sociale delle nostre città vi sono sicuramente: l'eliminazione del requisito della residenza che discrimina stranieri e senza fissa dimora, i quali dovrebbero essere, invece, raggiunti da queste misure, per diminuire il degrado e insicurezza, soprattutto nei grandi centri; la differenziazione del contributo per l'affitto, incrementandolo al crescere del numero del nucleo familiare; bene, invece, l'aumento degli incentivi alle imprese per le assunzioni, ma andavano rafforzate le misure per garantire un lavoro congruo, stimolare l'accesso a una buona occupazione, che aiuti concretamente i beneficiari a uscire da una condizione di povertà.

Quanto all'attribuire ai servizi sociali comunali la valutazione multidimensionale della situazione della famiglia e dei singoli componenti, questa va bene, ma era necessario per questo, come abbiamo proposto, di investire cifre importanti, per permettere ai comuni di svolgere questo compito nel miglior modo possibile; così, invece, li sovraccarichiamo ancora una volta, senza giuste risorse e giuste competenze.

Con le modifiche introdotte dal decreto legge n. 48 del 2023, il nuovo assegno di inclusione non può, dunque, essere considerato una misura di contrasto alla povertà, perché ha finalità diverse e sostiene esclusivamente nuclei familiari in cui sono presenti soggetti fragili; chi è in condizione di povertà, ma non ha nel suo nucleo soggetti con tali caratteristiche, è escluso dalla misura. Di conseguenza, l'Italia diverrà l'unico e l'ultimo Paese in Europa senza uno strumento di lotta alla povertà universale, in contrasto anche con il recente indirizzo emerso nei consessi dell'Unione europea.

In buona sostanza, con questo decreto, non solo avete rinunciato ad affrontare il problema dei salari e avete ampliato le forme di precarietà, ma ci state allontanando sempre di più da quel modello di welfare state europeo statale e di impresa che vede nella Germania e nella Francia Paesi a cui ispirarsi, ma sappiamo bene, purtroppo, che voi preferite giocare nella serie C e avere come alleati e punti di riferimento la Polonia e l'Ungheria.

Desidero, infine, ringraziare i colleghi del Senato e quelli della Commissione lavoro con cui ci siamo battuti, nel poco tempo che ci è stato concesso, per provare a modificare le criticità più evidenti di questo decreto e ripristinare uno strumento di sostegno al reddito, finalmente universalistico; abbiamo registrato un atteggiamento di netta chiusura, ma il gruppo del Partito Democratico continuerà a battersi per il lavoro di qualità, il contrasto alla povertà, la giustizia sociale, la cura delle fasce più fragili della popolazione, battaglie che sono alla base del nostro impegno politico e che non finiscono con il voto contrario a questo provvedimento. Li trasferiremo nel Paese, nelle piazze, perché siamo sicuri che sempre più italiani si renderanno conto dei danni e dell'inefficacia delle vostre scelte già prima delle elezioni europee (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alessandro Caramiello. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CARAMIELLO (M5S). Grazie, Presidente. Membri del Governo, onorevoli colleghi, con l'approvazione del decreto Lavoro, ormai ribattezzato decreto Precariato, questo Governo ha fatto cadere definitivamente la propria maschera, condannando milioni di lavoratori a un futuro retto dai pilastri dell'instabilità e della precarietà. Ci saremmo aspettati un minimo di dibattito parlamentare, ma ormai è chiaro che questo Governo va avanti soltanto a colpi di decreti-legge e di fiducie; basta vedere oggi quanti parlamentari della maggioranza ci sono, forse tre o quattro rispetto ai 237 che compongono la maggioranza. Ma noi abbiamo un dovere, come parlamentari e quindi non arretreremo di fronte a questa arroganza istituzionale.

Il decreto-legge in esame dispone l'abrogazione del reddito di cittadinanza, a decorrere dal 1° gennaio 2024, e la sua sostituzione, da un lato, con l'assegno di inclusione in favore dei nuclei familiari, in cui vi sia almeno un soggetto minorenne o avente almeno sessanta anni di età o disabile, e, dall'altro, mediante l'introduzione di strumenti di attivazione al lavoro per i cosiddetti occupabili.

La riforma del reddito di cittadinanza abolisce, di fatto, il diritto di ogni cittadino - quale che sia la sua età, la condizione lavorativa o altro - a una vita minimamente decente. Ciò lo scrive l'ideatore dell'Alleanza contro la Povertà e coordinatore scientifico del progetto “Caritas”, Cristiano Gori, sul lavoce.info e aggiunge che sarà difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta. Giustissimo, chi sottovaluta tale decisione è un irresponsabile e, purtroppo, il Paese se ne accorgerà presto. Il presidente Gori continua e sottolinea che: “In ogni Stato europeo chiunque versi in condizioni di indigenza, con risorse economiche inferiori a una determinata soglia di povertà, è titolato a ricevere con continuità nel tempo, fino a quando il bisogno persiste, un contributo monetario che gli consenta uno standard di vita minimamente accettabile. Ciò viene garantito a tutti i poveri in quanto tali e non solo ad alcune categorie (…)”.

Onorevoli colleghi, vi voglio ricordare che, a seguito dell'emergenza da COVID-19, il nostro Paese sta ancora vivendo una crisi economica senza precedenti e che, se non ci fosse stato il reddito di cittadinanza, proprio durante la pandemia, molte famiglie non avrebbero potuto comprare nemmeno il latte in polvere ai propri figli. E ve lo posso testimoniare io che, in quel periodo, da consigliere comunale, portavo a casa delle famiglie più indigenti, che ci venivano segnalate dalle politiche sociali, pacchi alimentari con beni di prima necessità. Questo Governo, invece, che fa? Presidente, con questo provvedimento si modifica, in particolare, la disciplina dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, in relazione ai presupposti di ammissibilità per i contratti di durata superiore ai 12 mesi, proseguendo l'opera di smantellamento del sistema di tutele poste a garanzia dei diritti dei lavoratori introdotto con il Governo “Conte 1”. Colleghi, sapete quanti contratti a tempo indeterminato aveva prodotto il decreto Dignità? Ve lo dico io. Fra il 2018 e il 2019, il decreto Dignità ha prodotto più 600.000 contratti a tempo indeterminato, a cui bisogna aggiungere altri 170.000 nel 2019, con un più 30 per cento rispetto al 2018. Oggi, invece, in Italia, abbiamo dei dati preoccupanti, soprattutto nel Mezzogiorno. Presidente, basti pensare che la classifica delle regioni a rischio povertà in Europa vede la Sicilia e la Campania, rispettivamente, al primo e al secondo posto, mentre la Calabria, la Puglia, la Basilicata e il Molise occupano, rispettivamente, il dodicesimo, il tredicesimo, il diciottesimo e il diciannovesimo posto. In poche parole, aggregando le regioni meridionali, il Mezzogiorno risulta essere l'area più povera dell'Unione europea. In particolare, dal 2002 al 2017, oltre 2 milioni di cittadini hanno abbandonato il Mezzogiorno, più della metà sono giovani e il 33 per cento di essi laureati. Ci saremmo aspettati da un Governo che professa di stare con gli italiani un impegno a favore dei tanti cittadini che vivono nelle aree fragili del Paese, senza prospettive lavorative, senza un futuro e, quindi, condannati ad emigrare non per scelta, ma per necessità. È la politica che deve creare quelle condizioni necessarie affinché si generi lavoro, ma, purtroppo, questo Esecutivo ignora milioni di italiani, che chiedono risposte rapide e concrete, così come ignora un Parlamento troppo spesso silenziato. Presidente, i cittadini italiani si stanno accorgendo che questa maggioranza non era pronta e che si è trattato solo di propaganda. Ricordiamo bene che l'allora parlamentare di opposizione, Meloni, aveva formalizzato una proposta nella quale chiedeva al Governo di dare 1.000 euro a tutti i cittadini che ne facessero richiesta e che avevano soltanto 2.000 euro sul conto. Oggi il Presidente Meloni governa questo Paese ed ha dimenticato quello che proponeva. Vi formalizzo io la richiesta dimenticata dalla Meloni: date subito, con un click, 1.000 euro a chi ha necessità. E ve lo dico nella mia lingua: a vocca vostra è nu bellu strumento.

Tornando alla realtà del quotidiano, mi ha contattato un marittimo qualche giorno fa, un'altra categoria di lavoratori abbandonata e che la Meloni voleva difendere, ma voleva difendere sempre, però, quando era in campagna elettorale, quando era all'opposizione. Ebbene, Presidente, questo marittimo sbarcato per motivi medici mi ha detto: ho 5 euro in tasca, una famiglia da portare avanti e nulla sul conto corrente. E come lui ce ne sono tantissimi. Che dite? Vogliamo iniziare da lui? Con un click vogliamo dargli subito 1.000 euro?

In quest'Aula ho sentito che ci sono dei consiglieri comunali, ci sono sindaci di piccole comunità, primi front-end dei cittadini: ma non sentite anche voi il grido di aiuto delle vostre comunità? Purtroppo prendiamo atto che questo Governo sta andando avanti per la propria strada, senza ascoltare nessuno, e questo lo sosteniamo non soltanto noi del MoVimento 5 Stelle, ma lo sostengono i numerosi attori auditi negli ultimi mesi nelle Commissioni parlamentari. Esempio lampante è quello dei sindacati, che questo Governo ha convocato a giochi fatti, cioè a decreto compiuto, umiliando così tutti i lavoratori del Paese, in particolar modo i giovani, proponendo un sistema che continuerà a legalizzare tirocini fittizi, contratti precari e paghe da fame. In sostanza, si continuerà ad alimentare lo sfruttamento.

Ma a questo Governo non basta ciò. Da mesi, questa maggioranza sta urlando che l'abrogazione del reddito di cittadinanza alleggerirà i conti dello Stato. Ma siete veramente sicuri, onorevoli colleghi, che far sprofondare nuovamente nella povertà assoluta migliaia di persone sia un guadagno? Parliamo di persone a cui viene corrisposto un reddito medio di 500 euro, necessario, a stento, per sopravvivere e voi continuate a denigrarli chiamandoli furbetti, fannulloni e truffatori (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Questa è una vergogna. Pur di attaccare il MoVimento 5 Stelle, insultate il popolo che vi ha portato in quest'Aula. In nome della propaganda fareste di tutto, come avete sempre fatto, scagliandovi contro i più fragili, mentre andate a braccetto con i forti e con le varie lobby.

Spero siate pronti ad affrontare le conseguenze sociali del vuoto che creerete a partire dal 2024, quando entrerà in vigore il reato di povertà, che state sancendo con l'abolizione del reddito di cittadinanza, riportando nella miseria assoluta centinaia di famiglie. Dal canto nostro, il MoVimento 5 Stelle sarà sempre vicino alle categorie deboli, ai fragili, a chi ha veramente bisogno e continuerà a dare voce a quei 14 milioni di italiani a rischio povertà o esclusione sociale quantificati dall'ultimo rapporto Istat, la cui unica preoccupazione è solo quella di arrivare a fine mese. Il reddito di cittadinanza ha salvato queste persone dalla disperazione e voi vi prenderete la responsabilità di farle sprofondare nel baratro. Addirittura l'Unione europea ha difeso il reddito di cittadinanza, che viene, oltretutto, applicato in diverse forme e in moltissimi Paesi dell'Unione europea. La verità è che voi non siete minimamente interessati al benessere dei nostri concittadini: anziché cercare di migliorare il reddito di cittadinanza, magari potenziando i centri per l'impiego, che ricordiamo essere lo strumento che dovrebbe essere utilizzato per incrociare domanda e offerta, avete deciso di non migliorare la misura, ma di cancellarla con un colpo di penna, disciplinando, nel decreto Lavoro, una misura sostitutiva, l'assegno di inclusione, che prevede una misera mancetta solo per una platea ristrettissima di italiani. Parliamo di una misura che presenta dei parametri molto stringenti, addirittura per i soggetti fragili e, cioè, per i portatori di disabilità, che versano in condizioni economiche critiche, che rischiano, in alcuni casi, di non accedere all'assegno di inclusione, come denunciato da molte associazioni di categoria.

Non avete avuto cuore nemmeno per chi rischia di restare indietro. Onorevoli colleghi, purtroppo, questo Esecutivo sta agendo in maniera sistematica per rendere il lavoro sempre più precario e per fare gli interessi di coloro che in Italia sfruttano giovani e lavoratori, facendo leva sulla fame e sulla povertà. Il “decreto Precariato” rafforza, infatti, la possibilità di ricorrere a contratti a termine, un modo abbastanza chiaro di ammiccare ai datori di lavoro che vogliono evitare di assumere. Inoltre, la previsione secondo cui è possibile assumere fino a due anni senza causali, ad eccezione di motivazioni di natura tecnica, organizzativa e produttiva, aumenterà considerevolmente il contenzioso giudiziario. In questo modo, i lavoratori che chiedono rapporti di lavoro stabili e paghe in linea con l'orario di lavoro resteranno amaramente delusi. Non parliamo, poi, del settore agricolo, dove nessun intervento viene posto in essere in questo provvedimento, pur essendo, come è noto, un settore molto particolare, con caratteristiche e peculiarità che andrebbero affrontate concretamente e non ignorate. La tutela dei lavoratori agricoli e la necessità di garantire loro gli stessi diritti degli altri settori appaiono quanto mai necessarie e non solo al fine di arginare gli spazi di nero e irregolarità che ancora caratterizzano il settore, ma anche e soprattutto per dare a questo comparto il valore che merita. Se si parla di lavoro agricolo, sostegno al reddito e ammortizzatori sociali, non si può dimenticare il settore della pesca, i cui lavoratori appaiono, oggi, ancor più penalizzati degli agricoltori. In tale contesto, non si può dimenticare che da anni resta sospesa l'introduzione della CISOA nel settore.

Presidente, ora, veniamo al dunque. L'estensione dell'utilizzo dei voucher è un'altra scelta in controtendenza con gli Esecutivi del Presidente Conte e che finirà per aumentare la precarietà. L'estensione riguarda soprattutto il turismo, un settore strategico per la ripresa economica e, in particolare, il settore dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento, ma anche quello, come dicevo, dell'agricoltura. Non si prevede soltanto un generico ritorno dei voucher, peraltro già operato durante la legge di bilancio, ma se ne estende l'utilizzabilità per un massimo di 15.000 euro e se ne consente l'utilizzo alle imprese che hanno fino a 25 dipendenti subordinati a tempo indeterminato, in un settore da sempre caratterizzato da lavoro povero, precario e irregolare. L'esperienza ha inoltre dimostrato che l'utilizzo delle prestazioni occasionali è assolutamente inadeguato a fare emergere il lavoro sommerso, mentre, al contrario, diventa uno strumento di agevolazione di forme di lavoro irregolare.

Proprio su questo tema, viste le ultime vicende che abbiamo letto e visto sui media, riguardanti il Ministro del Turismo Santanche', forse ora è più chiaro a tutti l'indirizzo politico che si vuole dare. Abbiamo chiesto che quanto prima il Ministro venga a riferire in Aula per chiarire se è vero che avrebbe accumulato debiti nei confronti dei fornitori per un ammontare totale di 8 milioni di euro - e questi sono lavoratori -, se è vero che ci sono dipendenti non pagati, se è vero che ci sono TFR non erogati e se è vero che la cassa integrazione è stata usata in modo fraudolento. Se può farlo, bene, altrimenti le dimissioni ad horas sarebbero il minimo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Un Ministro della Repubblica deve avere una sensibilità politica che lo porti a fare delle scelte e a dare un indirizzo a favore proprio dei lavoratori, nel rispetto dell'indirizzo costituzionale. Ricordo, invece, proprio il Ministro in questione gridare contro un percettore del reddito di cittadinanza in una trasmissione di Giletti, dicendo che era un pessimo esempio per i suoi figli. Ebbene, con tutti questi “se”, se non si ricevono risposte in Aula per spiegare, è lei un pessimo esempio per le nostre istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ma forse per spiegarle come ci si dimette, dobbiamo farla contattare da qualche collega della maggioranza appartenente al suo stesso partito, che si è dimesso da questo Esecutivo, ma non da questo Parlamento, perché comprava con i soldi pubblici, presentando gli scontrini in consiglio regionale, swarovski, orecchini, eccetera, eccetera, e mi fermo qui. Diceva Plauto: intelligenti pauca. In quest'Aula, ci sono stati linciaggi per molto meno, molto, molto meno. Avete chiesto le dimissioni, con urla e insulti, di un collega mai imputato, avete espulso con pena massima dei colleghi onorevoli sulla base di valutazioni generiche (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) sulla base di post e foto social, mortificando la funzione parlamentare che sta anche nell'opporsi ai tentativi di sovvertire le scelte fatte dai cittadini, pronti, come sempre, ad usare il manganello contro i nemici, ma sempre disponibili ad incensare e beatificare i condannati per frode contro lo Stato e non solo.

Presidente, tornando al decreto, possiamo notare che viene previsto che l'importo massimo di compenso erogabile tramite prestazioni occasionali a chi opera in questi settori venga elevato a 15.000 euro; un chiaro segnale di sostegno a quanti sfruttano i lavoratori con contratti mascherati da prestazioni occasionali, dato confermato dall'Osservatorio sul precariato INPS, secondo cui il numero dei lavoratori impiegati con questa tipologia di retribuzione è in costante aumento. Si tratta di un provvedimento che, un secondo dopo la sua approvazione, è stato criticato da tutte le categorie produttive, dai sindacati, dagli ordini professionali e da milioni di lavoratori. È, quindi, evidente che questo decreto nasca per fare favori alle sole categorie datoriali, discriminando i sottoposti e i più fragili (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Penso anche al settore dei rider o di quanti lavorano per una piattaforma digitale a cui, in forza di questo provvedimento, verrà negato il diritto di conoscere le regole dell'algoritmo che regola il loro lavoro. Di fatto, questo decreto, segnando un passo indietro rispetto alla disciplina del decreto Trasparenza, stralcia il loro diritto a conoscere le formule matematiche che regolano compensi ed orari da cui dipende la quantificazione del loro salario. Questo è solo un esempio, ma rende l'idea della spregiudicata finezza con cui sono state scritte alcune norme che sono al servizio di una visione predatoria. Ebbene, il MoVimento 5 Stelle ha provato a raddrizzare la rotta, presentando numerosi emendamenti, con l'auspicio di migliorare le condizioni di vita degli italiani ed evitare di favorire la deplorevole prassi dello sfruttamento. Nulla da fare, ancora una volta si è scelto di non ascoltarci. Abbiamo provato ad introdurre una misura di civiltà che avrebbe portato la retribuzione dei rapporti di lavoro a tempo pieno dei lavoratori dipendenti privati ad una cifra non inferiore a 9 euro l'ora, un salario minimo, un salario di sopravvivenza, secondo il dettato costituzionale, un provvedimento già presente in molti Stati dell'Unione europea, ma che viene clamorosamente osteggiato da questo Esecutivo. Ricordo, ancora, che quella del salario è un'iniziativa appoggiata dalla stessa Comunità europea, che sta fortemente sostenendo i propri Stati a creare un quadro preciso e puntuale, volto a disciplinare un salario minimo nazionale. Altra proposta che abbiamo avanzato è la proposta emendativa che intendeva introdurre un'indennità in caso di violenza di genere per le lavoratrici autonome. Un testo che avrebbe consentito l'equiparazione della tutela tra queste lavoratrici e quelle dipendenti, dato che solo queste ultime, in caso di comprovata violenza, possono accedere a tale forma di indennità erogata dall'INPS.

E' una vergogna che lede l'articolo 3 della Costituzione, ma che ancora una volta questo Governo ha ignorato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

E, ancora, penso alla nostra proposta, volta a consentire ai rappresentanti dei lavoratori di partecipare alle assemblee societarie, o alla proposta di disciplinare una decontribuzione totale per i contratti di lavoro domestico, emendamento che serviva a valorizzare un settore vitale a livello economico e sociale.

Così come sarebbe stato fondamentale istituire un Fondo per le competenze digitali, che avevamo proposto ed è stato rispedito al mittente. Nulla da fare: i nostri emendamenti sono stati presi, inseriti in un tritacarte e mandati al macero. Con grande arroganza politico-istituzionale questo Esecutivo ha dimostrato di non avere voglia di dialogare con i membri tutti di questo Parlamento, mettendo la museruola non solo all'opposizione ma anche ai milioni di italiani che rappresentiamo in quest'Aula. Quanta arroganza e quanta incompetenza!

Vado a concludere, Presidente. Ebbene, la migliore risposta a questa misura scellerata è stata fornita da quelle migliaia di cittadini che sono scesi in piazza per gridare: “Basta vite precarie!” (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Presidente, ormai abbiamo preso atto, dal 1° maggio, cioè da quando questo Governo simbolicamente ha annunciato il decreto, tra l'altro tramite un video che si è prodotto in bianco e nero e che ricordava quelli dell'Istituto Luce, che la propaganda non serve al Paese ed è deleteria per la tutela sociale. All'Italia serve una politica capace di dare risposte chiare ed esaustive, che generino lavoro stabile e pagato il giusto, e non precarietà e sfruttamento, come, invece, state facendo voi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ouidad Bakkali. Ne ha facoltà.

OUIDAD BAKKALI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Cari colleghi e colleghe, membri del Governo, si è scelto come proscenio per questo decreto la giornata del 1° maggio, festa che eleva il valore del lavoro e, nel fare questo, celebra anche la nostra Costituzione, in particolare gli articoli sul lavoro, gli articoli 1, 4 e 35. Poi, quel piano sequenza - lo hanno citato in tanti in questa discussione - che attraversa Palazzo Chigi, insieme alla Presidente Meloni, e che accompagna idealmente i follower, come se fosse quasi una categoria da sostituire a quella di cittadino, direttamente nel Consiglio dei Ministri a celebrare l'operosità di questo Governo, che finalmente libera le casse dello Stato dal grande spreco del reddito di cittadinanza, elargito ai divanisti, e si riversano finalmente nel mercato del lavoro centinaia di migliaia di occupabili per decreto. Maestà, abbiamo bisogno di forza lavoro: date loro degli occupabili. Una misura categoriale, che abolisce il diritto a una protezione universale continuativa. Dunque, 500.000 nuclei senza più questo reddito perché non corrispondono alla vostra profilazione di povertà: nuclei con minori, disabili a carico, over 65. Altri 100.000 fuori perché corrispondere o meno un affitto per voi non pesa sul reddito di una famiglia.

Da un decreto annunciato il 1° maggio e chiamato decreto Lavoro gli italiani e le italiane - in particolare i 4 milioni di lavoratori poveri - si aspettavano misure che migliorassero le condizioni di lavoro, che alzassero i salari, che stabilizzassero i contratti, che intervenissero sul dramma della sicurezza sui posti di lavoro, che conta quasi 300 morti nel solo 2023. Poi, dare strumenti, visioni e risorse per migliorare le politiche attive per il lavoro, perché, se è stato un grande vulnus del reddito di cittadinanza il progetto dei navigator, lo è e lo sarà certamente la vostra idea di erogare 350 euro ai cosiddetti occupabili, che frequenteranno 500.000 posti in più nei corsi di formazione che oggi, però, non ci sono.

Qual è, quindi, la vostra idea, qual è la vostra visione di supporto per la formazione e per il lavoro? Gli enti locali lo hanno sottolineato e rilevato chiaramente. L'analisi multidimensionale in capo ai comuni è senz'altro importante per definire percorsi di inclusione e formazione lavorativa, ma quell'analisi andava fatta a monte, superando le categorie della povertà che avete definito e, ancora una volta, provando che manca visione e lettura della complessità dei problemi che sta vivendo il Paese in questo momento.

In questo decreto emerge con forza la vostra idea cinica e classista della povertà: si è poveri per indolenza, si è poveri per demerito, si è poveri per scelta. Nessuna scelta, invece, sulle condizioni di lavoro: occupabili e precari per decreto dai 18 ai 59 anni, che è una fascia di età chiara e ampia. Si è occupabili tutti in egual modo, secondo voi: le donne, in un Paese che taglia i servizi, in un Paese dove si è scivolati dal sessantatreesimo al settantanovesimo posto nel Global Gender Gap; poi i giovani, quei giovani che per il 20 per cento - lo hanno citato in tanti - non hanno mai conosciuto altro contratto se non quello precario, se non quello a termine, se non abitato quelle zone buie del lavoro fragile e intermittente, degli stage, dei praticantati, delle formule miste tra lavoro dipendente e autonomo, quelle categorie, in quella fascia di età, che sono marginali e discriminate.

Sa, signor Presidente, vengo da una delle province alluvionate e nei primi giorni ero in servizio come volontaria in uno degli hub di prima accoglienza, dove, nel cuore della notte, abbiamo accolto cittadini e cittadine evacuati, alcuni per precauzione, e sfollati da tanti territori travolti dall'acqua, dal fango o minacciati dalle frane. Erano famiglie, anziani, persone sole, coppie, famiglie con figli e senza figli, persone senza rete familiare, persone senza fissa dimora. Quello che la pandemia ha isolato e invisibilizzato dentro le case quando arriva un evento catastrofico di queste dimensioni diventa visibile e si raccoglie tutto in un palasport di provincia. Dentro quei palasport voi avreste visto solo occupabili. Noi abbiamo visto persone, ognuna con la sua condizione e la sua dignità, ognuna, senza distinzione e categoria alcuna, con il diritto a una protezione sociale, ma questo decreto porterà questo Paese a essere l'unico in Europa senza misure universali a tutela di chi cade in povertà, comportando, ovviamente, altri effetti quali quelli della minaccia alla coesione sociale, della tenuta dei servizi sociali dei comuni e della sicurezza nei posti di lavoro. Poveri, occupabili e precari diventano nuove categorie che si fondono in una sola.

Dicevo, in apertura, del piano sequenza della Presidente, che accompagna i follower nel palazzo. Oggi quelle porte, che il 1° maggio si spalancavano sul CdM al lavoro e operoso, le immagino aprirsi su una sala vuota, dove campeggia un grande manifesto con una Venere imbarazzata e silente e con un solo hashtag: open to precarietà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

ENRICO CAPPELLETTI (M5S). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Sull'ordine dei lavori? Ne ha facoltà.

ENRICO CAPPELLETTI (M5S). Non vedo in quest'Aula in questo momento la relatrice. Credo sia opportuno rilevarlo. Prendo atto del fatto che ci siano pochi o nessun esponente di maggioranza, ma che manchi anche la relatrice credo che…

PRESIDENTE. Chiedo scusa: c'è la vicepresidente. In base al Regolamento va bene la vicepresidente.

ENRICO CAPPELLETTI (M5S). Quindi, la signora relatrice è sostituita dalla vicepresidente.

PRESIDENTE. Sì, in base al Regolamento va bene. Grazie per la segnalazione, comunque.

È iscritta a parlare la deputata Valentina D'Orso. Ne ha facoltà.

VALENTINA D'ORSO (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, vado dritta al punto. Questo decreto è pericoloso - lo stiamo dicendo in tutti i modi - ma non solo e non tanto per le soluzioni che adotta in termini di contrasto alla povertà, perché, vedete, sotto questo aspetto, comunque, uno strumento viene previsto.

Certo, si tratta di una tutela al ribasso rispetto al reddito di cittadinanza, ma comunque uno strumento viene previsto. Gli cambiate il nome: adesso lo chiamate assegno di inclusione; riducete gli importi erogabili, riducete il tempo di erogazione in caso di rinnovo. Insomma, un'operazione di restyling per imprimere il vostro bel marchio di fabbrica, perché non si dica che siete di manica larga con le fasce più deboli della popolazione; non si dica che mettete risorse importanti per i più poveri, togliendoli alle priorità dei più ricchi.

Verrebbe altrimenti macchiata la vostra reputazione di Robin Hood al contrario, tanto cara alle lobby e ai potentati che vi sostengono.

Questo decreto è pericoloso per un altro aspetto: per la visione del mondo del lavoro che esprime, la visione del mondo del lavoro che ha questa maggioranza e che ha questo Governo. È per questo che, sin da subito, lo abbiamo ribattezzato decreto Precariato, ma, forse, sarebbe stato ancora più azzeccato definirlo decreto Sfruttamento o decreto per la Promozione e lo sviluppo del lavoro nero, anche più altisonante come rubrica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), perché non vi possono essere sfuggiti due effetti devastanti di questo provvedimento. Il primo: avete spostato nuovamente il luogo dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro dal settore pubblico al privato.

Presidente, con l'impianto del reddito di cittadinanza noi, invece, avevamo fatto esattamente l'operazione opposta: investire sul ruolo dello Stato e delle regioni in tema di politiche attive del lavoro, in ossequio e in attuazione della nostra Costituzione del resto. L'articolo 1, che apre la nostra Costituzione, afferma che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Quindi, dicevo, investire nell'attore pubblico, questa era la nostra scelta, l'attore pubblico che è l'unico garante possibile della dignità del lavoro; investire nelle strutture pubbliche a ciò deputate, i famigerati centri per l'impiego.

Abbiamo messo tantissime risorse per potenziare l'organico dei centri per l'impiego, sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi di competenze. Abbiamo introdotto la figura dei navigator, la figura più bistrattata, attaccata e mortificata degli ultimi anni, perché forse aveva una colpa: far entrare gli occhi dello Stato all'interno di un'articolazione regionale. I navigator avrebbero dovuto integrarsi nei centri per l'impiego, avrebbero potuto e dovuto trasferire le proprie conoscenze e competenze specifiche al personale, spesso meno qualificato, dei centri per l'impiego, dobbiamo dircelo.

Avrebbero potuto insegnare a quel personale anche metodi nuovi, innovativi; avrebbero potuto dare un'accelerazione alla digitalizzazione e, forse, in questo, in molte regioni, ci sono riusciti. Avrebbero potuto contaminare i centri per l'impiego con la loro intraprendenza nel cercare soluzioni nuove, nel fare rete. Ed, invece, le regioni hanno alzato muri insormontabili davanti ai navigator, ne hanno spesso sterilizzato o marginalizzato il ruolo. Alcune regioni hanno anche messo ulteriormente i bastoni tra le ruote all'impianto che avevamo dato attraverso il reddito di cittadinanza e non hanno svolto tempestivamente i concorsi per potenziare i centri per l'impiego. Ed è stata una scelta deliberata, questa, consapevole.

Alcune regioni, come la mia, la Sicilia, si sono spinte anche oltre. Non solo hanno bandito in ritardo il concorso (la Sicilia ha bandito i concorsi per le assunzioni nei centri per l'impiego oltre 3 anni dopo avere ricevuto le risorse dallo Stato), ma, come in Sicilia, lo ripeto, hanno fatto anche di più. Hanno scritto il bando di concorso in modo da escludere dall'accesso al concorso molti dei profili riconducibili ai navigator, mortificando definitivamente la professionalità e l'esperienza acquisita sul campo. Ciò, per evitare, chiaramente, sempre il loro ingresso nei centri per l'impiego.

Abbiamo, forse, peccato di ingenuità, lo ammetto, pensando che le regioni, che noi non governavamo, avrebbero comunque collaborato in questo disegno ambizioso e innovativo in nome di un obiettivo che pensavamo fosse comune, il bene collettivo. Ed, invece, hanno letteralmente sabotato il secondo pilastro su cui poggiava il reddito di cittadinanza, le politiche attive del lavoro. Questo lo voglio ricordare anche oggi, in quest'Aula e lo ribadirò sempre in qualsiasi consesso, perché la verità, probabilmente, è che l'obiettivo era già allora un altro, quello dichiaratamente messo oggi nero su bianco in questo decreto: le politiche attive del lavoro come appannaggio esclusivo dei privati, agenzie per il lavoro, agenzie interinali, di somministrazione, secondo il modello più amato dal centrodestra, per cui il lavoratore deve essere a disposizione, a chiamata, piegato alle esigenze del datore di lavoro, che ne può fare ciò che vuole, servirsene quando vuole e poi abbandonarlo al proprio destino. È il concetto che sta dietro ai voucher, molti miei colleghi lo hanno ricordato; è il concetto che sta dietro alla scelta di eliminare l'obbligo di inserire specifiche causali nei contratti a tempo determinato, che avevamo messo per disincentivare l'utilizzo dei contratti a tempo determinato, per renderli eccezione e non regola.

La maggioranza e il Governo chiamano tutto questo flessibilità, dandone un'accezione, una sfumatura evidentemente positiva. Sostengono che sia il futuro del mercato del lavoro, ma per chi subisce questa flessibilità vuol dire solo una cosa: non avere un futuro, non avere certezze, non avere stabilità, non poter fare progetti di vita. Vuol dire avere una vita precaria (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ve lo hanno urlato 20.000 persone in piazza il 17 giugno scorso, ma siete sordi, come sempre, e tirate dritto.

Il secondo effetto devastante di questo provvedimento, andiamo a questo, sarà quello di tornare ad emarginare - come minimo dico emarginare - soprattutto nelle regioni meridionali, prima fra tutte la mia, la Sicilia, una nutrita platea di cittadini rientranti tra i cosiddetti attivabili al lavoro o occupabili che dir si voglia, che, con il reddito di cittadinanza, avevano visto uno Stato finalmente presente, al loro fianco, in alcune aree periferiche, degradate molto spesso, purtroppo, in cui magari lo Stato entra nella vita delle persone con indosso una divisa, quando i danni già sono belli e fatti.

Per la prima volta lo Stato mostrava anche un altro volto: il volto di chi si prende cura delle persone, di chi assume su di sé il peso delle difficoltà e la responsabilità di trovare la soluzione al problema dei problemi per tante famiglie: reperire un lavoro dignitoso. Il reddito di cittadinanza ha dato la libertà a tantissime persone che non si sono più rivolte al boss del quartiere per un pacco di spesa o per trovare un lavoro, perché finalmente a questo pensava lo Stato.

Il reddito di cittadinanza ha assestato un duro colpo alle mafie che, per sopravvivere, si servono del controllo del territorio e del consenso sociale. Non lo dico io, lo dicono tante intercettazioni, quelle in cui sentiamo i boss che maledicono il reddito di cittadinanza, perché non trovano più persone disposte a spacciare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Il reddito di cittadinanza solo per questo motivo andava mantenuto, andava difeso e semmai tutto l'impianto andava rafforzato. Invece, voi lasciate di nuovo al loro destino e alla loro disperazione tanti cittadini e tante cittadine e li state spingendo nuovamente verso una vita di espedienti e di lavoro nero, nella migliore delle ipotesi, perché li state spingendo anche tra le braccia delle mafie, verso la manovalanza criminale e la protezione di padrini vecchi e nuovi, nella peggiore delle ipotesi. E lo state facendo consapevolmente e deliberatamente: è un effetto voluto, è la fotografia dell'Italia che volete costruire. Un Paese dove il più forte schiaccia il più debole o, come minimo, se ne serve senza alcuno scrupolo.

È il medesimo obiettivo, del resto, che volete ottenere anche in materia di giustizia. La vostra idea è una giustizia classista, volta a salvare i potenti dalle maglie giudiziarie, volta a legalizzare l'abuso di potere, il sopruso si direbbe. Sono pezzi di un puzzle che si compone giorno dopo giorno e che restituisce un'immagine sempre più nitida e preoccupante. Ebbene, noi ci opporremo con forza e lucidità a ciascun pezzo di questo puzzle, con l'obiettivo di non farvelo completare mai (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Orrico. Ne ha facoltà.

ANNA LAURA ORRICO (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, intervengo in questa discussione generale al posto della collega Valentina Barzotti che, come altri sei colleghi, è stata raggiunta da un provvedimento disciplinare ingiusto e smisurato per avere protestato - senza alcuna forma di violenza o mancanza di rispetto verso questa istituzione - contro quanto, invece, la maggioranza di centrodestra vuole compiere in Giunta delle elezioni, andando a ledere il diritto e la libertà di voto degli italiani, per favorire la riconquista della poltrona al solito rampollo di una delle tante dinastie politiche presenti in Italia.

Ciò, a dimostrazione che questa maggioranza di destra-destra non ha alcun rispetto per i cittadini e per le istituzioni che rappresentano (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Il provvedimento in esame oggi, che va a rimodellare, a nostro avviso in senso negativo, alcuni punti fondamentali della materia non nasce certo sotto una buona stella. Varato con un blitz mediatico, degno dell'Istituto Luce, nel giorno della festa dei lavoratori, non supportato neanche da tutta la maggioranza, andata sotto in Commissione bilancio al Senato, riesce nella titanica impresa di alimentare le condizioni di precarietà nel mondo del lavoro del nostro Paese, già provato da insicurezza e difficoltà strutturali. Calzante è stato il battesimo semantico che il MoVimento 5 Stelle ha dato a questo decreto, quando lo ha definito, sin dall'inizio, decreto Precarietà. Ma non è soltanto il frutto di errate scelte politiche e strategiche quanto espressione della volontà di questa maggioranza di destrutturare, strumentalmente e irresponsabilmente, le misure fortemente volute e attuate dal MoVimento 5 Stelle, che avevano dato sollievo alle categorie di cittadini più fragili. Penso, innanzitutto, alla trasformazione del reddito di cittadinanza, che in questa sua nuova veste, l'assegno di inclusione, scompare nell'essenza per cui era stato pensato, rappresentando la più importante cintura sociale della storia della nostra Repubblica. Facendo cassa sulle risorse per il contrasto alla povertà, in un momento in cui l'inflazione resta sopra l'8 per cento, giusto per dare qualche riferimento numerico concreto, si passa dai circa 8 miliardi annui del reddito di cittadinanza ai 3,5 miliardi dell'ADI e dagli 1,2 milioni di nuclei familiari che hanno percepito il reddito di cittadinanza ai 740.000 attuali. Ci dirigiamo verso una misura rigida, deludente e sfibrata, rispetto al recente passato, che non si potrebbe neanche configurare come il reddito minimo suggerito dall'Unione europea. D'altronde, come certificato dall'ultimo rapporto Istat, tesi confermata anche dalla CEI, senza il sostegno del reddito di cittadinanza avremmo avuto un milione di poveri in più. Meno risorse per la misura, meno consistenza economica per ogni percettore, meno possibilità di un'esistenza serena per le fasce popolari più disagiate, alle prese con le difficoltà della congiuntura economica, la ricollocazione lavorativa, il pagamento del fitto di casa. Persino la quasi totalità degli italiani e delle italiane portatori di disabilità con gravi difficoltà economiche, visti i criteri così stringenti previsti dall'assegno di inclusione sociale, ne rimarrà esclusa. È evidente quanto questo Governo e la compagine politica che lo rappresenta siano distanti dalla realtà che vivono gli italiani, una realtà fatta di disuguaglianze, fragilità, povertà nascoste e conclamate. Una realtà come quella di Rosetta, laurea triennale in Scienze dell'educazione, grazie proprio al supporto del reddito di cittadinanza che le ha consentito di sottrarsi ad una residenza assistita dove subiva continue vessazioni, per avere un tetto e intraprendere un percorso di studi, orfana di madre, un padre alcolista violento. Ora perderà il sostegno dello Stato, in attesa di un lavoro. Con 350 euro al mese, mi dice la Presidente Meloni, dall'alto del suo patrimonio conquistato in trent'anni di carriera politica, come farà a non tornare in strada (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Con questo decreto il Governo crea inoltre nuove forme di discriminazione tra chi è povero e vive da solo e chi ha figli, tra figli minorenni e figli maggiorenni, come se la maggiore età nel nostro Paese si accompagnasse a una immediata acquisizione dell'indipendenza economica. C'è un sottile messaggio - forse neppure tanto sottile - in quello che sta diventando un disegno complessivo di Paese dove, se non hai figli, presto perderai anche il diritto di parola e, se sei povero e senza figli, probabilmente non hai neppure diritto di esistere! Lo si sta facendo anche con la nuova forma di Opzione donna, che consente solo alle donne con figli di accedere a questo beneficio per andare prima in pensione, come se chi non avesse figli, per scelta o per qualunque altra ragione, non avesse diritti.

Eppure, il reddito di cittadinanza ha restituito molti diritti a tantissimi cittadini che erano diventati invisibili; ha restituito il diritto allo studio a tanti giovani che non potevano permettersi di acquistare i libri per l'università; ha restituito il diritto ai lavoratori a una retribuzione giusta e a uscire dalla piaga del lavoro nero, contrariamente a quanto afferma qualche sedicente Ministro che usava accusare il reddito di cittadinanza come causa della mancanza di risorsa lavoro per alcuni settori, come quello del turismo dove, per inciso, il lavoro nero arriva anche a incidere per il 90 per cento, in alcune regioni. Tuttavia, questo decreto incide anche sulla disciplina del lavoro a termine. In particolare, interviene sulle ipotesi che consentono al datore di lavoro di rinnovare o prorogare oltre i 12 mesi un contratto di lavoro a tempo determinato, andando a modificare le causali introdotte dal decreto Dignità e, dunque, a disinnescarlo. Nel 2018, per arginare l'impennata dei contratti precari che con il Jobs Act avevano sfondato quota 3 milioni, il decreto-legge fortemente voluto dal MoVimento 5 Stelle aveva stabilito per tali accordi una durata di 12 mesi, con la possibilità di una proroga superiore ma, comunque, non eccedente i 24 mesi, soltanto attraverso l'apposizione di causali stringenti. C'era dunque da considerare un sistema di causali legato alla sussistenza di condizioni straordinarie e imprevedibili o comunque eccezionali rispetto all'organizzazione produttiva, proprio ciò che dovrebbero rappresentare i contratti a termine, un'eccezione e non la regola. Non a caso, al fine di indirizzare i datori di lavoro verso l'utilizzo di forme contrattuali stabili, con il decreto Dignità avevamo previsto l'aumento dello 0,5 per cento del contributo addizionale in caso di rinnovo del contratto a tempo determinato.

Tra il 2018 e il 2019, il decreto Dignità ha prodotto un incremento di 600.000 contratti a tempo indeterminato e ha fatto da volano alle trasformazioni che, nel 2019, sono risultate pari a 706.000, 170.000 in più rispetto al 2018. Lo scorso anno, con il decreto Dignità congelato, nel nostro Paese è stato raggiunto il record di contratti precari: 3,1 milioni. Inoltre, secondo la nuova disciplina, al datore di lavoro è concesso prorogare oltre i 12 mesi o rinnovare un contratto a tempo determinato a determinate condizioni, fra cui l'assenza di contrattazione collettiva, sbilanciando così il rapporto a favore del contraente più forte, ovvero il datore di lavoro, a scapito della parte più debole, ossia il lavoratore. Dunque, quando il Governo afferma che con il decreto Lavoro, varato il 1° maggio, non ci sarà un aumento della precarietà, mente deliberatamente. I risultati che produrrà sono purtroppo già noti. Anche su questo fronte ci sono centinaia, migliaia di storie che potremmo raccontare, a testimonianza di quanto la precarietà sia l'anticamera del fallimento di tutte le politiche economiche che, piuttosto che investire nella formazione e trasformazione del lavoro, preferiscono la logica del lavoro come ricatto, perché il precariato va a braccetto con salari da fame e assenza di adeguate tutele dei diritti dei lavoratori. Probabilmente, è questo il gioco che favorisce gli imprenditori stile Santanche', che hanno demonizzato il reddito di cittadinanza solo perché metteva i lavoratori nelle condizioni di chiedere una retribuzione giusta, al di sopra della soglia di povertà, e di rifiutare qualunque forma di lavoro nero. Dovreste chiedervi cosa fare per evitare la perdita e la trasformazione di milioni di posti di lavoro in conseguenza dell'avanzare del progresso tecnologico che spinge l'intelligenza artificiale a sostituirsi sempre di più al lavoro umano. Noi ci stiamo ponendo il tema e, per questo, abbiamo chiesto nelle Commissioni affari costituzionali, lavoro, cultura e attività produttive di avviare un'indagine sul fenomeno, perché non vogliamo trovarci impreparati quando decine e decine di lavoratori perderanno il proprio lavoro o dovranno acquisire nuove competenze per adattarsi alle trasformazioni in atto. È proprio in questo scenario che il reddito di cittadinanza o qualsiasi altra forma di reddito universale trova ancora più significato e senso di esistere, ma dubito che questa maggioranza abbia orecchie per ascoltare e una tale capacità di lungimiranza.

Ma veniamo all'ormai tanto famigerato taglio del cuneo, presentato trionfalisticamente da Meloni e Giorgetti, che ne hanno parlato come del più grande calo delle tasse degli ultimi anni, millantando addirittura un impatto da 100 euro netti in più al mese. Tutto falso. Innanzitutto, il taglio di ulteriori 4 punti non è strutturale, ma vale solo per 6 mesi, come espone plasticamente uno studio de Il Sole 24 Ore. L'ultimo taglio del cuneo porta in dote dai 24 ai 60 euro in più al mese, per soli 6 mesi. Spalmato l'intervento su tutte le mensilità del 2023, calcolo più serio per comprenderne l'impatto annuo, fanno dagli 11 ai 27 euro in più al mese. Ai benefici netti più consistenti, comunque mai di 100 euro, ci si avvicina solo per una ristretta parte dei contribuenti e solo considerando anche il taglio del cuneo fiscale fatto dal Governo Draghi. Si dirà che, comunque, è meglio poco che niente, e potrebbe anche avere un senso. Va, però, aggiunto che quel pochissimo che il Governo presume di aggiungere, sarà letteralmente divorato dall'aumento delle rate dei mutui, per gli italiani che le devono pagare, e dall'aumento delle bollette del gas a causa dell'inopinata scelta del Governo di abbandonare una serie di sconti tariffari sin qui garantiti. Tra l'altro, questo taglio del cuneo, per essere rifinanziato nel 2024, avrà bisogno di 10 miliardi di euro, che dovrebbero aggiungersi alle altre promesse di un Governo, che, però, nel frattempo, ha assunto un approccio di politica economica a dir poco restrittivo e austero. Infine, insensibile ai richiami del Presidente della Repubblica sulla promiscuità delle materie nei decreti-legge, che dire del fatto che il Governo abbia infilato in questo decreto un finanziamento straordinario - 14,5 milioni di euro - a favore delle industrie militari della Difesa per la produzione di munizioni di piccolo e grosso calibro? Altre menzogne al Paese, altre risorse investite in un conflitto, senza la neppure minima volontà e capacità di percorrere strade diplomatiche. Altri mezzi sottratti ai più indigenti e in difficoltà. In conclusione, appare del tutto chiaro come questo Governo provi un fastidio latente per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e una repulsione per i poveri. Giorgia Meloni e il suo Governo di destra-destra, quella peggiore, nostalgica e affarista, forte coi deboli e disponibile con le lobby, hanno creato e alimentato un clima avvelenato, mettendo gli uni contro gli altri i cittadini in difficoltà e facendo credere che un sostegno di appena 500 euro al mese sia stata la madre di tutti i mali del nostro Paese. Un argomento buono per le loro campagne mediatiche, dense di fake news e prive non solo di ogni contatto con la realtà, quanto di umana comprensione verso i più deboli. Governo e maggioranza si mostrano sordi persino davanti alle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che, proprio in occasione del 1° maggio, ha detto espressamente che la precarietà stride con crescita e sviluppo. Ma questa, purtroppo, non è una novità. In ultimo, Presidente, vorrei concludere questo mio intervento per denunciare l'atteggiamento di questa maggioranza, che non ha alcun rispetto per i diritti delle minoranze e, poiché non regge il confronto e lo scontro dialettico, censura gli interventi, come è accaduto questa mattina in Commissione, dove il presidente della Commissione lavoro non ha evidentemente gradito il mio giudizio negativo su questo decreto e mi ha tolto la parola. Ebbene, nonostante la censura, nonostante le sanzioni comminate a sette colleghi del MoVimento 5 Stelle, nonostante il sistema mediatico oggi sia quasi totalmente appiattito verso questo Governo, c'è qualcosa che non si può fermare ed è l'onda nelle piazze (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), quella delle migliaia di cittadine e cittadini che ogni settimana continuano a protestare contro la precarietà per i diritti civili e sociali, per la libertà. Noi saremo al loro fianco ovunque: nelle Aule del Parlamento, nelle piazze, nei condomini, nelle periferie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), perché non ci lasceremo intimorire da questo vento gelido che sta soffiando sulla nostra democrazia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ida Carmina. Ne ha facoltà.

IDA CARMINA (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il titolo del cosiddetto decreto Lavoro del 1° maggio pare una beffa di cattivo gusto. Un decreto che sostanzialmente riduce ed elimina, per buona parte della platea, il reddito di cittadinanza: la più grande misura di protezione sociale e di solidarietà realizzata in Italia nei confronti delle persone meno abbienti o che si trovino in difficoltà. Elimina garanzie per i lavoratori e precarizza il rapporto di lavoro, un vero e proprio decreto Precarietà. Un decreto denominato “Misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro”, che noi rigettiamo nel metodo e nel merito. Ancora una volta, il Governo Meloni ricorre alla decretazione d'urgenza, abusando di una funzione legislativa che non compete al Governo, ma al Parlamento, di un potere che, in virtù del principio della separazione dei poteri, spetta, nelle più progredite democrazie, ai Parlamenti. Il Parlamento è l'unico organo costituzionale in Italia eletto direttamente dal popolo sovrano e quindi il Governo Meloni, ogni volta e continuamente, lede la sovranità popolare. Potere eccezionalmente derogabile solo in casi di necessità e urgenza. Il problema è che, per ogni cosa, c'è una necessità e urgenza. Mi chiedo quante persone siano state imputate per il delitto di rave, visto che era così urgente in Italia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)! Sarebbe da guardare le statistiche.

Ancor peggio, si prevede che, imminentemente, verrà posta ancora una volta la questione di fiducia, con cui il Governo non fa altro che ricattare la sua stessa maggioranza, perché i numeri della maggioranza attualmente sono schiaccianti - dico attualmente perché già si palesano i primi dissapori interni -, ma con questo sistema azzera il Parlamento e ricatta la sua maggioranza. Io non so in che tipo di democrazia noi siamo ancora oggi. E badate bene che non basta dichiarare di essere una democrazia o una Repubblica per esserlo effettivamente. Ricordo che c'è uno Stato che si chiama Repubblica Popolare Cinese e non mi pare che lì si possa dire che vi sia una democrazia conclamata.

Andiamo a questo decreto. Contiene, quindi, misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro. Era davvero necessario e urgente che il Governo provvedesse in materia? Per questa volta devo dire che l'urgenza c'era. Ma questa urgenza è stata determinata dallo stesso Governo Meloni che, - nella sua furia iconoclasta nei confronti del MoVimento 5 Stelle e del reddito di cittadinanza, una misura di civiltà prevista in tutta Europa, persino nel Paese dell'amico Orban, in Ungheria, è presente dal 1993 e non si pensa assolutamente di eliminarla -, nella legge di bilancio ha previsto il suo smantellamento, e così è divenuto urgente provvedere per non lasciare milioni di persone in difficoltà, senza alcuna forma di protezione sociale. Ed era, invero, urgente provvedere, ma nella direzione opposta a quella intrapresa dal Governo Meloni. Rispetto alla situazione in cui ci trovavamo mesi fa, all'epoca dell'approvazione della legge di bilancio, la situazione è molto cambiata. In Italia la situazione si è aggravata dal punto di vista sociale, anche per via del contesto geopolitico, con una guerra nel cuore dell'Europa, che ha causato disastrosi effetti non solo in termini di sangue versato, russo e ucraino, ma anche in termini di effetti economici. Siamo in un'economia di guerra, è inutile negarlo, considerando le risorse che il nostro Paese e tutta l'Europa stanno destinando all'acquisto delle armi, avendo previsto l'utilizzabilità dei fondi del PNRR destinati inizialmente alla ripresa dei popoli europei dopo il disastro della pandemia.

Quindi, non solo per questo, ma con una misura cinicamente mascherata da intervento a sostegno all'occupazione, il Governo ha infilato in questo stesso decreto un finanziamento straordinario di 14,5 milioni di euro a favore delle industrie militari per la produzione di munizioni di piccolo e medio calibro. L'intento, come si legge nella relazione di maggioranza, nero su bianco, è di rafforzare la produzione per continuare a rispondere alle forniture alle Forze armate ucraine senza sguarnire le riserve strategiche nazionali. Ed ecco disvelata un'altra grande ipocrisia, perché lo scorso 21 marzo lo stesso Presidente Meloni ha sostenuto che noi non spendiamo un euro per le armi che mandiamo in Ucraina, perché attingiamo ai nostri arsenali, negando l'ovvia esigenza di ripianare le scorte, investendo denaro pubblico per produrre e comprare nuovi armamenti e munizioni.

Siamo in un'economia di guerra, ce lo dice anche l'inflazione - l'aumento generalizzato dei prezzi grava soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione -, determinata non dall'aumento dei salari, che sono fermi da decenni, ma dalle oscillazioni subite dai prezzi, specie dell'energia, del gas, a causa delle speculazioni; un'inflazione da profitti, che doveva essere limitata, magari con tasse sull'extraprofitto delle imprese che si avvalgono di queste speculazioni. Ma è un'inflazione determinata anche dalle sanzioni nei confronti della Russia.

Oggi abbiamo 4 milioni di lavoratori poveri, con un salario ormai da fame, il cui potere d'acquisto è stato ridotto a niente, polverizzato dall'inflazione; non ce la fanno ad arrivare alle ultime settimane del mese, con un significativo aumento dei tassi d'interesse da parte della BCE, che sta mangiando il risparmio degli italiani (in pochi mesi, da gennaio ad ora, 50 miliardi in meno di risparmio degli italiani) e sta determinando anche un significativo innalzamento delle rate dei mutui, che stanno diventando insostenibili per le famiglie italiane; con gli affitti, che sono rincarati (già erano cari), con 900.000 famiglie povere, che non ce la fanno a corrisponderli, con gravi discriminazioni territoriali che ci sono in Italia e un'immigrazione che sta assumendo carattere di vera e sottaciuta emergenza del Paese. Il tasso di povertà aumenta, la sanità pubblica è al disastro. A fronte di tutto ciò, ben altri provvedimenti riteniamo fossero urgenti per il popolo italiano. Piuttosto che delimitare o eliminare il reddito di cittadinanza, semmai si doveva incentivare, stabilizzare, migliorare, se c'era qualcosa che non andava. Se non ci fosse stato il reddito di cittadinanza, la pandemia avrebbe generato un disastro sociale con un milione di poveri in più. Ma perché, questa situazione difficile, considerata la guerra in Ucraina, non è ancora emergenziale? Non siamo ancora in un'emergenza che richiede quantomeno cautela rispetto a certi provvedimenti? Non sarebbe stato consigliabile soprassedere almeno rispetto a un'abolizione che avrà effetti sociali ed economici umani disastrosi? Ma questo Governo vede la sofferenza del popolo italiano? Invece, con questo decreto si riforma il reddito di cittadinanza portando a compimento l'opera demolitoria le cui premesse erano state poste con la legge di bilancio.

Questo nel metodo. Andiamo al contenuto. Con questo decreto si adottano due grandi misure antisociali. La prima è contro i poveri e non contro la povertà, perché non si fa niente contro la povertà, non si adottano misure di politica industriale per favorire il lavoro e gli investimenti; anzi, il PNRR, che si potrebbe utilizzare a questo fine, non si riesce a spendere. Quindi, pensiamo bene di prevedere l'abolizione del reddito di cittadinanza e un'altra misura antisociale contro i lavoratori, contro i giovani, contro le famiglie, contro il futuro dell'Italia e degli italiani e ciò con la precarizzazione del contratto di lavoro.

Andiamo alla riforma del reddito di cittadinanza; a ben guardare, in realtà, il Governo ci fa un complimento, fa un complimento alla misura adottata dal MoVimento 5 Stelle, perché, in realtà, ne viene riproposto pari pari l'impianto, persino con riferimento ai PUC, ai progetti di utilità sociale, al compito dei comuni, solo che si riducono i beneficiari e si rendono più difficoltose le condizioni per accedere al reddito o difficili o improponibili - e in alcuni casi assolutamente inaccettabili - quelle per mantenerlo; in buona sostanza, si fa cassa sui poveri. Avendo bisogno di soldi, peraltro comprese le armi, si decide di tagliare una misura di solidarietà sociale. Secondo uno studio di Etica ed Economia, con il passaggio dal reddito di cittadinanza all'assegno di inclusione, la spesa annua si ridurrebbe di circa 3,5 miliardi di euro e il risparmio più consistente riguarda i nuclei con un unico componente che, badate, a volte sono le persone più disperate, perché, hanno problemi gravi, magari non conclamati, e sono sole e anche lo Stato le lascia sole nelle difficoltà.

Il reddito ha avuto una spesa media, nel quadriennio, di circa 8 miliardi l'anno; si fa quindi cassa sulle risorse per il contrasto alla povertà in un momento in cui l'inflazione resta sopra l'8 per cento.

Nel dettaglio poi si distingue l'assegno di inclusione, che riguarderà i non occupabili e andrà in vigore dal 1° gennaio 2024 e si calcola che siano circa 700.000 i nuclei familiari e poi si prevede il supporto per la formazione e il lavoro, che sarà operativo, si spera, da settembre (perché doveva essere operativo già da gennaio), e sarà invece riservato ai cosiddetti occupabili, che sono circa 436.000 nuclei familiari.

Chi sono gli occupabili? Sono leggendarie creature mitologiche, mostri di età fra i 18 e i 59 anni, nei confronti dei quali si è scatenata la guerra santa del Governo Meloni. In realtà, sono coloro che astrattamente avrebbero la possibilità di lavorare e non lo fanno. Ma siete davvero convinti che ci sia così tanto lavoro in Italia e che la gente preferisca stare in un limbo, percepire un reddito senza andare a lavorare? Conoscete la disperazione dei disoccupati? Nessuno mai vi è venuto a chiedere di essere aiutato per trovare lavoro?

In quest'Aula sono risuonate parole vergognose, che segnano la distanza fra il Governo Meloni, a trazione evidentemente nordista, e la realtà del Paese: parassiti, divanisti e chi più ne ha più ne metta.

La realtà è molto diversa. Il commissario straordinario di ANPAL, Raffaele Tangorra, stima che un beneficiario occupabile di reddito di cittadinanza su 30 è immediatamente reinseribile nel mercato del lavoro; quindi solo 1 su 30 troverà lavoro. Viceversa, 2 su 3 hanno un'elevata probabilità di diventare disoccupati perenni. Secondo la FISH, Federazione italiana per il superamento dell'handicap, persino per l'assegno di inclusione, che sostituisce il reddito di cittadinanza, si prevedono criteri così stringenti che la quasi totalità delle persone con disabilità ne rimarrà esclusa, anche se in gravi difficoltà economiche.

Si mette un confine rigido che non consente, quindi, un'efficace risposta ai bisogni multidimensionali delle persone che hanno a che fare con situazioni di difficoltà e povertà.

Le parole sugli occupabili tradiscono una concezione arcaica, ottocentesca del lavoro, molto distante dalla nostra: lavoro ridotto alla sua dimensione economica di fattore di produzione, merce, oggetto e strumento di arricchimento di chi impiega il capitale, di chi rischia il capitale e, quindi, deve essere remunerato con il profitto. È una concezione molto distante dalla civiltà giuslavorista e costituzionale italiana. Il lavoro è un'attività umana inscindibile dalla persona che lo esprime, che lo espleta.

In questa realtà umana, in questa contrapposizione fra domanda e offerta di lavoro sul mercato del lavoro, la posizione dei datori di lavoro e dei lavoratori è estremamente differente, perché il datore di lavoro è in una posizione di forza, può ricattare il lavoratore che ha bisogno di lavorare, tanto è vero che non è un caso che la nostra Costituzione abbia inciso nel suo corpo i diritti dei lavoratori, addirittura alcuni dichiarandoli irrinunciabili, cioè escludendoli dalla possibilità pattizia. Anche volendo, il lavoratore non può rinunciare a certi diritti. È bello ricordare che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, ma, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Perché il lavoro è per l'uomo, non è il contrario: non è l'uomo per il lavoro, per far arricchire i capitalisti.

E, guardate, che, quando si diceva “un'esistenza libera e dignitosa”, il parametro per verificare se le condizioni contrattuali fossero tali da garantire al lavoratore o alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa, erano - con un rinvio, mi sembra all'articolo 2099 del codice civile e all'articolo 39 della Costituzione - i contratti collettivi del lavoro. Ma i contratti collettivi, fermi da decenni, rapportati ad oggi, sono ancora in condizione di garantire un'esistenza libera e dignitosa al lavoratore, se sono fermi da 10 anni? E, quindi, è inutile, per negare il salario minimo e l'esigenza di un salario minimo legale, rinviare alla contrattazione collettiva, se questa è ferma da decenni, perché noi non facciamo altro che alimentare la povertà dei lavoratori. E sono 4 milioni che, pur lavorando in modo dignitoso, faticando - perché l'etimologia della parola “lavoro” è “fatica” -, non riescono a sostentare le proprie famiglie e dare il minimo, le condizioni di vita essenziali alle proprie famiglie. Su questo bisognerebbe provvedere urgentemente, non togliere protezione sociale alla gente.

Io sono stata sindaco del comune che ha fra le maggiori percentuali di percettori di reddito: la provincia di Agrigento aveva un rapporto percentuale di un percettore ogni 34 abitanti; il mio paese aveva un percettore ogni 18 abitanti, ma non perché gli empedoclini, i miei compaesani, fossero degli scansa-lavoro, non perché questi ragazzi con tante lauree, spesso più di una laurea, fossero degli smidollati “divanisti”, ma semplicemente perché il lavoro non c'è, perché il mio paese sconta il passato di una industrializzazione fallita, con l'Italcementi che ha chiuso i battenti, con l'ENEL che è passata dall'alimentazione a carbone, e la previsione di 300 operai, al turbogas, quindi gli operai si sono ridotti a 30, e via enumerando.

I percettori non sono parassiti, ma gente nei cui confronti l'Italia assolve al suo dovere di sostegno sociale, per evitare che, nelle more della possibilità di trovare un nuovo lavoro, si possa creare un disordine sociale, non soltanto per le persone ma per l'intera collettività. Infatti, cosa faranno questi occupabili a cui noi toglieremo il reddito di cittadinanza? Ve lo siete chiesto? Cosa farà un padre disperato, disoccupato? Si suiciderà?

Io ero sindaco prima che vi fosse l'avvento del reddito di cittadinanza: sono diventata sindaco nel 2016, il reddito è intervenuto nel 2019. Io avevo, come si dice, la casa piena: la camera antistante al mio ufficio era piena di persone disperate, che non riuscivano a lavorare e questo significa che non riuscivano a pagare l'affitto e non riuscivano a pagare le bollette - era una pletora - o gli abbonamenti scolastici dei figli. C'era una madre divorziata, separata, a cui il marito non corrispondeva l'assegno per i figli e veniva ogni mese, dicendo “non so come fare per pagare l'assegno a mia figlia”. Un altro, una volta, venne perché non riusciva a pagare il funerale alla giovane moglie morta e noi comuni, con grande difficoltà finanziaria, i soldi per la solidarietà sociale non ne avevamo, bisognava fare le collette, cercare qualche altro rimedio. Gente che non si riusciva a curare o a fare visite specialistiche o viaggi della salute per i trapianti. Queste erano le esigenze di chi oggi percepisce il reddito di cittadinanza, a cui voi lo state togliendo.

Ieri ho incontrato il sindaco di Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia, che mi ha detto: Ida, prepariamoci ad avere di nuovo la casa piena, la casa piena di disperati (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), non di parassiti, di gente che dovrebbe sentire accanto lo Stato italiano. E pensare che voi dicevate di essere la destra sociale: ma quale destra sociale è questa? Dovrei entrare in ulteriori dettagli, ma soprassiedo.

Altra grande misura di questo provvedimento sono le nuove regole dei contratti a termine. A differenza di quello che era previsto nel decreto Dignità del 2018 - che riduceva i casi in cui era ammissibile il contratto a tempo determinato ad ipotesi residuali, prevedendo la generalizzazione del contratto a tempo indeterminato proprio per dare la stabilità ai lavoratori - questo decreto, invece, determina come regola il contratto precario, dando la possibilità di estensione, dopo i primi 12 mesi senza alcuna causa, rimessa, fra le tre ipotesi, in sostanza, alla contrattazione fra le parti. Ma voi volete dire che, veramente, un lavoratore assunto con un contratto a tempo determinato in scadenza può essere libero nella contrattazione con un datore di lavoro o questi gli imporrà ciò che vuole? Ma è chiaro che c'è uno sbilanciamento e non c'è alcuna tutela dei lavoratori.

Guardate che il lavoro incide, è espressione della stessa vita della persona e condannare i giovani italiani a una vita da precari, perché soprattutto loro saranno destinati a questi contratti precari, non è per niente nobile, non è per niente bello.

Papa Francesco, recentemente, ha detto: “A nessuno manchi mai il diritto alla pensione”. Vogliamo parlare della reintroduzione dei voucher per i contratti fino a 15.000 euro, seppur nel settore della convegnistica e via enumerando? Con riferimento a questi contratti e all'importo dei voucher, è previsto che 7,5 euro andranno al lavoratore, 2,5 per la futura pensione. Di che cosa parliamo? Diamoglieli tutti e 10 a loro, perché tanto queste persone non avranno una pensione, non avranno una pensione dignitosa (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

State togliendo il futuro ai giovani italiani. Quale vita si può avere da precari? Avete mai provato ad andare in una banca a chiedere un mutuo per la casa con un contratto precario? O, forse, si dovranno rivolgere direttamente al Presidente del Consiglio Meloni per potere acquistare una casa?

Ma certo, chi fa queste norme non ne ha bisogno. C'è un detto in Sicilia che dice: cu n'avi fami, nun pò capiri u scirato, chi non ha fame non può capire la povera gente, non la può capire (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Qualsiasi cosa della vita con un contratto precario è inibita, anche l'acquisto di una macchina.

Concludo, perché mi ero segnata tante cose. In realtà, in questo provvedimento, appunto, si denuncia una concezione del lavoratore, ma anche dell'uomo, completamente diversa da quella che noi abbiamo, perché questo lavoro è frutto di una mentalità che guarda al liberalismo più accentuato, a un conservatorismo cieco, assolutamente cieco, che non prende in considerazione la giustizia sociale, che segna un arretramento rispetto a tutele che ormai erano conclamate. Ma avete mai letto Oliver Twist di Dickens? È del 1838. Noi a quello stiamo tornando: una vita da precari, una vita senza tutele, dove i padroni, non più i datori di lavoro ma i padroni, potranno decidere della vita della gente. Quando ha esordito questo Governo, il Presidente Meloni, nel chiedere la fiducia alle Camere, ha detto: noi intendiamo non disturbare chi vuole fare. Ebbene, io direi che non volevano disturbare chi vuole sfruttare. Un uomo e la sua dignità prescindono dal lavoro che svolge, ma i diritti dei lavoratori vanno assicurati per tutelare l'uomo che lavora (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Grimaldi. Ne ha facoltà.

MARCO GRIMALDI (AVS). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi e, direi, Ministri, ma, come sempre, non se ne vede uno, il 1° maggio 2023, mentre le piazze italiane celebravano la festa del lavoro, un vero delitto al lavoro si consumava. Il Governo approvava infatti il decreto-legge di cui oggi votiamo la conversione in legge. La verità è che dopo il 25 aprile avete voluto dare uno schiaffo a un momento che non sentivate vostro e con il decreto avete provato a occuparlo mediaticamente. Avete voluto lanciare un messaggio meschino e sciocco: mentre i sindacati festeggiano, noi lavoriamo. Che miseria, Presidente, che miseria!

Nel corso dell'iter di questo decreto siete stati indifferenti, indifferenti alle proposte di modifica delle opposizioni, indifferenti alle preoccupazioni dei soggetti auditi, dalla Caritas all'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Non avete tenuto conto di alcun dato, neanche di quelli comunicati dall'INPS. Anzi, proprio per questo, commissariamolo! Siete stati indifferenti nei confronti delle parti sociali, ignorate per l'ennesima volta, anzi, sbeffeggiate proprio nel giorno in cui festeggiavano uno dei luoghi e dei momenti più importanti della storia del lavoro.

Vi siete mostrati del tutto indifferenti verso le condizioni di povertà, sfruttamento e precarietà che affliggono migliaia e migliaia di persone.

Misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro leggasi urgenza di cancellare l'odiato reddito di cittadinanza, che voi chiamate elemosina di Stato, e foga, foga di liberalizzare, precarizzare ulteriormente il mondo del lavoro, a vantaggio dei datori. Il primo, il più vergognoso segno di tutto questo è, appunto, la modifica in senso restrittivo del reddito di cittadinanza, sostituito con il vostro miserevole assegno di inclusione. I dati dell'ufficio parlamentare, non certo di soggetti esterni o delle opposizioni, hanno parlato chiaro: 42 per cento in meno di famiglie percettrici, 28 per cento di risorse per il contrasto alla povertà in meno.

Si dà corso alla legge di bilancio 2023 che prospettava un'organica riforma delle misure di sostegno alla povertà, con la sua revisione del reddito. Al suo posto, ecco l'assegno che separa i sommersi dai salvati, selezionando solo i nuclei familiari in cui vi sia, appunto, un soggetto minorenne o avente almeno sessanta anni di età o disabile o, aggiunta dell'ultimo minuto, almeno un componente in condizioni di svantaggio inserito in programmi di cura e assistenza. Avete diviso cinicamente le persone povere per categorie: meritevoli e degni di aiuti solo coloro che hanno non autosufficienti o minori a carico, tutti gli altri si arrangino, come se non fossero ugualmente poveri, come se dovessero scontare la colpa della loro condizione.

È lì, è lì, è proprio un'ossessione. Ovviamente, è superfluo ricordarvi che una misura di vero contrasto alla povertà deve essere universale e, di fatto, è così in tutti i Paesi dell'Unione europea. Esiste anche una raccomandazione del Consiglio d'Europa ma anche a questo, è inutile dirlo, siete indifferenti.

In sostanza, avete deciso di mortificare apertamente le persone indigenti, rifiutando di garantire a tutte loro condizioni dignitose e un giusto compenso, come stabilito dalla nostra Costituzione. “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, ecco l'articolo 3.

Invece: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”, ecco l'articolo 4. Sottolineo: “secondo le proprie possibilità e la propria scelta”. Ma per voi no, non si sono sacrificati abbastanza, non hanno messo da parte scelte, desideri, possibilità, per accettare qualunque offerta venisse loro proposta. Perciò, non hanno saputo come uscire con le proprie forze da una condizione di difficoltà, non meritano comprensione, vanno puniti. Non si sono sacrificati abbastanza quei quasi 2 milioni di famiglie in povertà assoluta. In sedici anni, le famiglie con un livello di spesa insufficiente a garantire una vita dignitosa sono raddoppiate. Evidentemente, avevano, però, dei divani morbidissimi da cui era impossibile alzarsi. Ecco, non si sacrificano abbastanza i quasi 3 milioni di working poor oggi presenti in Italia, circa il 13 per cento degli occupati, e i giovani che oggi incontrano il doppio delle possibilità di ricevere un salario basso rispetto a un lavoratore tra i 50 e i 65 anni. Eh, sì, devono cessare di lagnarsi. Basta, basta, cominciate a sacrificarvi, sacrificatevi, voi perché, invece, gli altri l'hanno fatto in passato. Così, questa continua lotta fra i privilegiati e quelli che hanno troppi diritti, come se i nostri genitori ne avessero avuti davvero tanti. Già, avevano il diritto alla mutua, allo sciopero. Sì, troppi privilegi. Così continua questa narrazione: tutti quei ragazzi e quelle ragazze ultra titolati, con lauree, master e dottorati, non dovrebbero fuggire dall'Italia in cerca di un'occupazione degna dei loro titoli e dei loro sforzi, dovrebbero restare qui a sacrificarsi, consegnare pizze a cottimo, consumarsi in un call center, lavare i piatti in un ristorante, tanto abbiamo fatto finalmente la vera riforma, sì, abbiamo detassato le mance. È questa la vostra arroganza. Forse no, vi piacciono ancora di più se lontani da qui, immigrati. L'unica immigrazione che dovreste fermare la vedete lì, la osservate e non ve ne frega nulla. Tutte quelle donne, precisamente una su due, assunte con un contratto part time senza volerlo, non devono pretendere di emanciparsi attraverso il lavoro, perché mai? Devono sacrificarsi, sacrificarsi e se il loro salario non basta a pagare l'asilo nido dei figli tornino a casa a fare ciò che la legge divina ha disposto per loro!

Il vostro è un attacco, un attacco sferrato, non solo, ai poveri, ma al lavoro dignitoso, perché costringete di nuovo ad accettare lavori sottopagati, non tutelati, in condizioni di sfruttamento. D'altra parte, avete rifiutato in ogni modo - lo ripeto, in ogni modo - una discussione sul salario minimo legale e questo va di pari passo con il decreto che stiamo discutendo. In modo cinico e truffaldino avete posto il salario minimo in contrasto con il taglio del cuneo fiscale, un taglio, tra l'altro, approvato solo fino a dicembre.

Non l'abbiamo detto chiaramente? In Italia serve una legge sul salario minimo legale, serve rivalutare ogni anno la base delle variazioni dell'indice dei prezzi. Ne trarrebbero beneficio circa 2,6 milioni di lavoratori e lavoratrici. Non è niente, vero? Non è davvero niente.

Poi arriviamo all'articolo 24, ulteriormente modificato, ossia la vostra indisciplina dei contratti di lavoro dipendente a tempo determinato nel settore privato, perché con l'emendamento della senatrice Murelli entro i primi 12 mesi i contratti a termine potranno essere non solo prorogati ma anche rinnovati senza le previste causali. Quindi, non solo avete ridefinito le causali relative alla durata dei contratti superiore ai 12 mesi, ma le avete escluse per le proroghe e anche per i rinnovi, qualora la durata complessiva del rapporto non superi, appunto, i 12 mesi, e avete modificato la disciplina, operante in assenza di diverse previsioni dei contratti collettivi, del limite quantitativo del ricorso ai contratti di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato.

Insomma, non bastava la revisione in senso punitivo e restrittivo del reddito di cittadinanza né il totale disinteresse ad affrontare il problema della perdita del potere d'acquisto dei salari. Si mette mano al decreto Dignità del 2018, che aveva tentato di porre un freno alla proliferazione senza limiti dei contratti a termine, imponendo che quelli che raggiungevano l'anno di durata facessero immediatamente scattare la propria fine naturale e l'assunzione a tempo indeterminato. È stato un tentativo di limitare l'instabilità occupazionale soprattutto fra giovani e donne.

Giovani e donne: fa sorridere, perché sono le categorie al centro degli obiettivi trasversali del PNRR, ma abbiamo capito, in questi mesi, che il PNRR per voi è solo una gran seccatura, anche perché periodicamente la Presidente Meloni fa dell'occupazione femminile una sua bandiera, ma evidentemente lo fa solo per alimentare la guerra ai migranti, solo quando se ne parla in quel senso, come se ci fosse una gara delle culle. Poi, quando si parla di precarietà, il più grande strumento che hanno le politiche contro la crescita di questo Paese e contro la natalità, state zitti.

Il tribunale di Gorizia ha condannato il Ministero dell'Istruzione per abuso dei contratti a termine nella scuola, ma la destra al Governo è pronta a una nuova deregulation anche in questo settore. Voi continuate a fare regali a chi ha privilegi e a sottrarre tutele e diritti a tutti gli altri. Intanto, negli ultimi anni la quota di ricchezza detenuta dal 10 per cento più ricco degli italiani è aumentata, appunto, di un altro punto percentuale. La quota del 20 per cento più povera è rimasta ferma e sono calate le quote di ricchezza di tutti gli altri decili della popolazione.

Insomma, vorrei chiedervi davvero, dopo le tante vostre dichiarazioni, chi è parassita di chi: il percettore di reddito, il povero, il disoccupato è parassita di chi? Di chi produce ricchezza? O forse, invece, c'è un capitalismo straccione e parassitario che sopravvive solo grazie a forti iniezioni di disuguaglianza, sperequazione, iniquità fiscale e sfruttamento? Non risponderete, già lo so. Il Governo non risponde mai a nessuna discussione generale. Come ho detto, siete indifferenti, anzi siete conniventi. La vostra è una filosofia classista: i subalterni, coloro che stanno peggio, continuino a stare peggio e se la prendano con se stessi; i datori di lavoro, che chiedono maggiore flessibilità, siano accontentati; gli evasori fiscali siano perdonati, anzi promossi, e le imprenditrici, oggi Ministre, le cui aziende sono sospette di comportamenti lesivi della dignità dei lavoratori e delle lavoratrici, stiano serenamente al loro posto. Fornitori sul lastrico, dipendenti licenziati, TFR mai corrisposti, due aziende con i conti in rosso, manager strapagati, ma lei annuncia querele e il Ministro Crosetto inizia a dire che c'è una grande operazione, una speculazione, e minaccia, anche lui, dicendo: “Prima o poi succederà anche a voi”. Tutto questo è incredibile!

Guardate, tutti qui chiedono a voi e alla Ministra Santanche' di venire qui a riferire. Io, invece, voglio dire una cosa contro corrente: vada a pagare 2 milioni di tasse, ma non in 10 anni col 30 per cento di sconto. Vada dove la mandano i lavoratori, vada via e si dimetta. Non c'è bisogno di discutere di tutto questo, tra l'altro senza nessun voto su quel comportamento.

Ho finito, Presidente. Dopo la guerra agli ultimi che scappano da conflitti, miserie e cambiamenti climatici, dopo la campagna di criminalizzazione delle famiglie arcobaleno, ecco che arriva la guerra ai poveri, ai lavoratori e alle lavoratrici. In edicola una nuova puntata del romanzo d'appendice “L'ipocrisia al potere”. Sì, si può comprare con i voucher. In onda l'ennesima scena del film “Fa la cosa ingiusta”.

Per questo, Presidente, continueremo a opporci e a chiedere a tutte le opposizioni di unirsi, perché il lavoro ha bisogno di rappresentanza, ha bisogno di cancellare i contratti collettivi pirata, ha bisogno di abolire i contratti che non sono veri, come tutti quei tirocini e quegli stage gratuiti che profumano solo di lavoro povero e ricatto, di ingiustizia e di sfruttamento.

Per questo siamo qui, per questo siamo qui a dirvi cosa ci dovrebbe essere in un decreto Lavoro, per questo siamo qui a dirvi che ogni tanto dovreste leggere qualche emendamento, approvarlo e vedere che cosa c'è nelle proposte dell'opposizione. E, se non lo faremo qui e in queste ore, sappiate che ci stiamo organizzando e presto arriverà una risposta a tutta questa inettitudine (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Patty L'Abbate. Ne ha facoltà.

PATTY L'ABBATE (M5S). Grazie, Presidente. Governo, colleghi, il 1° maggio questo Governo è partito con il provvedimento che ha chiamato, appunto, decreto Lavoro. Il 1° maggio è una data molto particolare, speciale per i lavoratori, che devono essere messi al primo posto. Ma lo sono veramente con questo decreto? No, non lo sono. Purtroppo, non lo sono.

La visione è chiara: questo Governo emana provvedimenti per tutelare i poteri forti e schiaccia i deboli. Distrugge il reddito di cittadinanza, una misura che da anni ritroviamo in tutta Europa. In Italia questo Governo decide di fare cassa sui deboli, sui fragili. Noi ci chiediamo il motivo e una risposta ce la siamo data: perché era una misura del MoVimento 5 Stelle.

Allora, cambiate il nome, fatela vostra e togliete al MoVimento 5 Stelle la paternità di questa misura, ma non danneggiate i più fragili. I criteri stringenti ora previsti per l'assegno di inclusione (perché lo avete chiamato in questo modo ma, ahimè, è una misura veramente molto critica) lasceranno fuori anche alcuni disabili e le loro famiglie.

Qui ricordo una mamma, una mamma pugliese, una mamma sola, perché non aveva il marito, con una figlia con una disabilità molto grave. Lei viveva con la mamma perché non aveva un tetto e la mamma l'aiutava come poteva. In periodo di COVID mi chiese: “Io ho bisogno del reddito di cittadinanza perché non posso andare a lavorare, perché la problematica di mia figlia è così particolare che io devo stare tutti i momenti lì, insieme a lei, e non posso permettermi di pagare qualcun altro. Mia madre è già tanto che sta qui, lei che è anziana, e che ci ospita nella sua casa”. È riuscita, poi, ad avere il reddito di cittadinanza. Quindi, immaginate come quella famiglia abbia trovato l'equilibrio. Io mi chiedo: adesso cosa succederà in quella famiglia?

In questo provvedimento sapete cosa dovevate inserire per i lavoratori, per la loro dignità, per diminuire realmente la povertà, la disuguaglianza, quello che abbiamo inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza? Ma noi parliamo, il Governo parla a slogan e poi fa il contrario. Si doveva inserire il salario minimo!

Il 17 maggio in piazza a Roma, con il presidente Giuseppe Conte e con il MoVimento 5 Stelle, vi erano 20.000 persone. Perché? Perché hanno capito qual è la parte giusta. Mi ha fermato Giovanni il quale mi ha detto: “Onorevole, io prendo 4 euro all'ora. Secondo lei, io ci arrivo a fine mese con 4 euro all'ora?”. No, non ce la fa. Questo mi raccontavano.

Questo mi raccontavano, questo raccontava quel giorno chi ci incontrava, perché noi stavamo lì con loro nella piazza, perché l'ascolto va fatto lì, perché noi siamo i portavoce dei cittadini, e loro ci dicono quelle cose che voi ci bocciate negli emendamenti. Cosa strana, anche, come è possibile che non ascoltate nemmeno più il Parlamento? Tre ore per portare avanti in una Commissione un decreto così importante sul lavoro. E poi ci dite che i lavoratori sono posti al primo posto? No, non ci sembra. Parliamo di politiche attive del lavoro, 4,4 miliardi di euro previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.

A che punto siamo? Siamo a zero, al livello zero, perché le regioni, anche quelle da voi amministrate, soprattutto, non hanno assunto nemmeno la metà degli addetti nel settore lavoro, che dovrebbe fare incontrare l'offerta e la domanda di lavoro.

Poi ho sentito ripetere da questo Governo, e anche qui in Aula: dobbiamo fare figli perché la nostra popolazione è piuttosto anziana. Ma dico: con che coraggio noi chiediamo ai nostri giovani di fare figli quando gli abbiamo dato i voucher fino a 15.000 euro all'anno, quindi un lavoro precario? Quando ci sono i tassi d'interesse alle stelle e non abbiamo fatto nulla, ancora nulla fa questo Governo, per permettere ai nostri ragazzi di mettere su famiglia, di avere un tetto sulla testa?

Il Governo non interviene, i salari da fame, e l'altra cosa che lascia veramente molto perplessi e sembra un passo veramente indietro è questo sbilanciamento sui contratti a favore del datore di lavoro. Quindi date questa possibilità, se non c'è una contrattazione collettiva, di trovare un accordo fra le parti. Ma immaginate in che modo possono essere sfruttati quelli che sono alla fine i nostri figli. Anche il Presidente della Repubblica vi ha ricordato con le sue parole che la precarietà stride con la crescita e lo sviluppo, e noi diciamo che dobbiamo far crescere il Paese, dobbiamo tutelare il made in Italy, dobbiamo tutelare le famiglie, ma come?

Stiamo andando nel senso contrario. Questo Governo non ascolta, non ascolta nemmeno il Parlamento. Sapete quello che dovreste fare, e qui chiudo veramente questo mio discorso? Un consiglio è quello di dare supporto…vorrei chiedere al collega magari di chiacchierare in un momento successivo, signor Presidente.

PRESIDENTE. Per cortesia, per cortesia.

PATTY L'ABBATE (M5S). Chiudo, Presidente. Un consiglio che do è questo: dobbiamo dare supporto e finanziare le nostre imprese, piccole e medie imprese, perché sono loro che creano il lavoro. Il nostro Terzo settore, quindi la sanità, i servizi, chi effettua un servizio di cura verso l'altro, perché questo è il futuro. Dobbiamo creare lavoro utile. Serve per le famiglie italiane, ma serve anche per aumentare il prodotto interno lordo, serve per mandare avanti l'economia italiana. Quindi quello che non dovevate assolutamente fare, ma avete fatto anche questo, è di finanziare l'industria delle armi. Nessuno ve lo chiede fra i cittadini, andate nelle piazze e chiedete loro: volete che diamo i soldini a quelli delle armi?

No, vi diranno: noi abbiamo bisogno di avere delle azioni nella sanità, di avere degli asili, di avere supporto, di avere un lavoro, un lavoro dignitoso. È questo che vi chiedono, e per questo noi del MoVimento 5 Stelle saremo sempre dalla parte dei cittadini, dalla parte di chi ci chiede di intervenire a loro favore, perché questo Governo non lo sta facendo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lovecchio. Ne ha facoltà.

GIORGIO LOVECCHIO (M5S). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, mi rivolgo a voi oggi per esporre una questione di fondamentale importanza per il nostro Paese: la precarietà del lavoro e le criticità del decreto Lavoro del 1° maggio. Come rappresentanti del popolo italiano, abbiamo il dovere di porre l'attenzione su una problematica che affligge milioni di lavoratori nel nostro Paese e che richiede urgenti azioni da parte delle istituzioni. Il decreto Lavoro del 1° maggio, sebbene presentato come un'iniziativa volta a promuovere la flessibilità e la creazione di posti di lavoro, ha mostrato importanti criticità, che non possono essere ignorate. L'intento di favorire l'occupazione è certamente lodevole, ma è necessario affrontare le conseguenze negative che tale decreto ha comportato sulla stabilità e la sicurezza lavorativa, perché, Presidente, innanzitutto il decreto ha aumentato in modo significativo il numero di lavoratori precari nel nostro Paese. La flessibilità lavorativa, se non correttamente regolamentata, può portare all'instaurarsi di rapporti di lavoro incerti e sottopagati. La mancanza di tutele adeguate per i lavoratori precari li espone a condizioni di vulnerabilità, con contratti a termine che si susseguono senza una reale possibilità di accesso a un'occupazione stabile e dignitosa.

Un altro punto critico che riguarda questo decreto è la mancanza di tutela dei diritti dei lavoratori perché il decreto Lavoro del 1° maggio ha allentato le norme che garantivano una serie di diritti fondamentali, quali il diritto alla contrattazione collettiva, la tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro e la possibilità di licenziamento solo per giusta causa. Questo ha creato un clima di insicurezza e di diseguaglianza tra i lavoratori, mettendo a rischio il tessuto sociale ed economico del nostro Paese.

È altresì importante sottolineare l'impatto negativo del decreto Lavoro sulla qualità del lavoro. La precarietà lavorativa non solo influisce sulla stabilità economica dei lavoratori, ma anche sulla loro realizzazione personale e professionale. L'assenza di un'occupazione stabile impedisce ai lavoratori di programmare il proprio futuro, di pianificare una famiglia, di accedere al credito, di programmare una pensione dignitosa, di poter programmare la vita reale di tutti i giorni per poter avere una stabilità.

Inoltre, la mancanza di incentivi per le imprese a offrire posti di lavoro a tempo indeterminato rallenta la crescita economica del nostro Paese e limita le opportunità di investimento e sviluppo. Per affrontare efficacemente la precarietà del lavoro e le criticità del decreto Lavoro del 1° maggio è necessario adottare una serie di misure correttive.

In primo luogo, dobbiamo rafforzare le tutele per i lavoratori precari, garantendone la stabilità occupazionale, l'accesso ai diritti previdenziali e assicurativi e la possibilità di partecipare alla contrattazione collettiva.

Inoltre è fondamentale promuovere la formazione continua e la riqualificazione professionale per consentire ai lavoratori di adattarsi ai cambiamenti nel mercato del lavoro e di accedere a nuove opportunità. È altresì necessario ripensare il concetto stesso di flessibilità lavorativa, puntando su una flessibilità che favorisca il benessere dei lavoratori e la conciliazione tra vita professionale e familiare. La flessibilità dovrebbe essere accompagnata da una reale protezione dei diritti dei lavoratori, come, ad esempio, la riduzione del ricorso ai contratti a termine non giustificati e la promozione di forme di lavoro più stabili e sicure.

Infine, e concludo, è fondamentale investire nell'innovazione per la creazione di nuovi posti di lavoro, promuovere l'innovazione tecnologica e lo sviluppo di settori ad alta intensità di conoscenza, per contribuire alla creazione di opportunità occupazionali stabili e ben remunerate.

Inoltre l'adozione di politiche industriali di sostegno alle piccole e medie imprese, ossatura del nostro Paese, può favorire la crescita economica e la creazione di posti di lavoro di qualità. Onorevoli colleghe e colleghi, la precarietà del lavoro rappresenta una sfida sociale ed economica di fondamentale importanza per il nostro Paese. È nostro dovere agire per garantire ai lavoratori italiani una prospettiva di futuro stabile e dignitosa.

Il decreto Lavoro del 1° maggio ha mostrato importanti criticità, che non possono essere ignorate. Dobbiamo lavorare insieme, e quindi faccio un invito a tutti quanti, per riformare il quadro normativo e promuovere politiche che favoriscano l'occupazione di qualità e la tutela dei diritti dei lavoratori. Noi siamo chiamati a prendere decisioni coraggiose e a impegnarci per il bene comune. Non possiamo permettere che milioni di lavoratori italiani continuino a vivere nella precarietà e nell'incertezza. È tempo di agire, è tempo di riformare il mondo del lavoro, per garantire a tutti una vita dignitosa e un futuro migliore (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cappelletti. Ne ha facoltà.

ENRICO CAPPELLETTI (M5S). Presidente, il MoVimento 5 Stelle ha rinominato il decreto Lavoro come decreto Precariato. Secondo il principale sindacato italiano, invece, il Governo con questo decreto rende strutturale la precarietà, quindi forse non abbiamo neanche esagerato.

Si tratta sicuramente di un decreto simbolo - un simbolo per il centrodestra - per approvare il quale avete aspettato, guarda caso, proprio il 1° maggio ossia una data solenne, talmente importante che al Senato i senatori di maggioranza si sono dimenticati di andarlo a votare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e questo è un dato di fatto.

Secondo il Presidente La Russa erano ad un ben più importante cocktail di compleanno. Probabilmente, secondo la migliore tradizione del centrodestra, si è trattato di un festino elegante a cui però dubito che giovani vittime di lavoro precario abbiano potuto avere accesso, anche perché ve l'avrebbero raccontato in quell'occasione.

Questo decreto è un insulto a tutti i giovani, quegli stessi giovani che vengono ogni giorno umiliati con tirocini fittizi, con contratti precari e paghe da fame. Il decreto fa di contratti a tempo determinato e voucher la regola dei rapporti di lavoro, non l'eccezione. È questo il problema. Per l'ennesima volta Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia e l'onnipresente terzo polo si definiscono a parole patrioti, ma l'unica cosa che sanno fare è indebolire i diritti dei lavoratori, a cominciare dai giovani.

Stiamo vivendo in un mondo al contrario, perché il contratto a tempo determinato dovrebbe essere un'eccezione, dovrebbe essere disincentivato, dovrebbe costare un po' di più e, al contrario, vanno sostenuti, promossi e incentivati i contratti a tempo indeterminato, tutto l'opposto di quello che sta facendo il centrodestra. La precarietà, colleghi, non può e non deve essere la regola in questo Paese. Certo, capisco che la precarietà possa essere anche un business, ad esempio, per le catene di agenzie di lavoro interinale. Capisco anche che alcune di queste catene, guarda caso, appartengano proprio a politici di centrodestra e, quindi, alla vostra area politica. Ciò non giustifica, ma al contrario aggrava ancora il quadro. Perché, invece, non avete valutato che sarebbe stato più opportuno cancellare la vergogna dei contratti sotto la soglia di povertà? Con il decreto Dignità, che andava esattamente nella direzione opposta a questo decreto, abbiamo creato 600.000 posti di lavoro a tempo indeterminato in un solo anno, tra il 2018 e il 2019. Il decreto Dignità, oltre a produrre questi 600.000 nuovi contratti, ha fatto da volano alle trasformazioni contrattuali che, nel 2019, sono poi risultate pari a 706.000, 170.000 in più rispetto all'anno precedente.

Con questo provvedimento quanti posti di lavoro andrete invece a smantellare, cioè a trasformare da tempo indeterminato a tempo determinato? Tutti i tentativi di migliorare il testo, poi, sono finiti nel vuoto. Avete addirittura abrogato l'emendamento che prevedeva la misura di esonero contributivo del 100 per cento per tre anni, in favore delle famiglie che assumono i lavoratori domestici addetti all'assistenza di anziani non autosufficienti. E questo non perché non ci fosse la convergenza politica; c'era l'accordo di tutto il Parlamento, però non siete riusciti a trovare 15 milioni. Signori, 15 milioni è più o meno la cifra che il Ministro Crosetto vorrebbe spendere in armi ogni 15 minuti. Rendiamoci anche conto delle dimensioni del problema! Per l'assistenza agli anziani non autosufficienti sarebbero stati preziosi, però non ci sono. Avete perfino provato a dimezzare i fondi per i risarcimenti dei gravi infortuni di lavoro. Certo, dopo che è deflagrato lo scandalo sui media, avete fatto marcia indietro, andando di fatto a mettere una toppa evidentemente peggiore del buco.

Il vostro intento è chiaro ed è sempre lo stesso: forti con i deboli e genuflessi con i forti. Serviva ben altro, a partire da un salario minimo legale, come avviene nella grande maggioranza delle democrazie occidentali. Ricordo che perfino il governatore di Bankitalia, Visco, ha richiesto il salario minimo.

Si arriva anche ad un'accelerazione delle procedure di assunzione per i centri per l'impiego con l'introduzione di penali per le regioni inadempienti, spesso non a caso governate dal centrodestra. Nelle regioni che amministrate non siete stati nemmeno capaci di spendere le risorse messe a disposizione dallo Stato per le prescritte assunzioni nei centri per l'impiego e questa è la realtà. Probabilmente, si tratta di un obiettivo pianificato e voluto. Salari da fame e precarizzazione dei rapporti di lavoro sono il chiaro frutto di uno scambio politico con il vostro mondo di riferimento, ma in questo modo girate le spalle ai più deboli, a chi fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. La chiamate flessibilità, ma la declinate come precarietà e sfruttamento dei lavoratori.

Nel nostro Paese proliferano i contratti pirata con retribuzioni a 500, 600, 700 euro al mese e voi le incentivate, forse perché non riuscite a comprendere cosa questo davvero comporti, forse perché non sapete cosa sia il lavoro, sicuramente perché non vi siete mai trovati a lavorare in queste condizioni. Condizioni a cui è costretto più di un milione e mezzo di italiani, i cosiddetti working poor. Certo è che, se aveste provato a vivere anche un solo giorno della vostra vita in queste condizioni, non l'avreste mai consentito.

State portando alla disperazione centinaia di migliaia di lavoratori e condannando alla precarietà un'intera generazione di giovani. Io spero almeno che ve ne rendiate conto. Una società in cui i contratti di lavoro sono prevalentemente precari è una società malata che non cresce, non si sviluppa, incentiva l'emigrazione dei nostri giovani migliori, diminuisce la sua capacità di spesa, blocca la possibilità per le giovani coppie di contrarre un mutuo, acquistare una casa e mettere su famiglia, preclude ai nostri giovani la possibilità di vivere una vita dignitosa. Ce lo ha ricordato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che, in occasione del 1° maggio, ha detto espressamente che il concetto di precarietà stride con quello di crescita e di sviluppo.

In conclusione, Presidente, appare evidente che questo Governo provi un fastidio evidente per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori; appare anche evidente come questo Governo provi fastidio per il concetto stesso di lavoro dignitoso. Forse, dovremmo rinominare questo decreto Precariato come decreto Indegnità, ma non credo affatto che saranno da considerarsi indegni coloro che ne cadranno vittima, quanto piuttosto coloro che li stanno condannando ad una vita di precarietà, per decisione e precisa responsabilità del Governo di Giorgia Meloni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caso. Ne ha facoltà.

ANTONIO CASO (M5S). Grazie, Presidente. Da quando ho iniziato questo mandato, il mio primo in quest'Aula, ogni volta che per strada incrocio amici, conoscenti o semplici cittadini che, purtroppo, come tanti, troppi italiani, vivono una vita precaria o sono percettori di reddito di cittadinanza, tra le tante domande che mi pongono, ce n'è una comune, ricorrente: “Lor signori, a Roma, quelli che governano, quelli della maggioranza, quando attaccano il reddito di cittadinanza, quando indicano i percettori come fannulloni nullafacenti, quando li dipingono con una brutalità estrema, tra l'altro, come il male assoluto dell'Italia, hanno la consapevolezza che stanno parlando di esseri umani? Sanno che stanno parlando di famiglie in difficoltà? Sanno che stanno parlando di uomini e donne, di madri e padri che ogni sacrosanto giorno devono decidere se pagare una bolletta o mettere il piatto a tavola e fare la spesa, che devono inventare cosa dire ai figli per non essere in imbarazzo? Sanno che non siamo dei numeri, ma siamo delle persone?”. Probabilmente no (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ed è per questo che voglio portare qui oggi alcune storie, le voci dell'Italia vera, di chi si spacca la schiena, ma resta comunque povero, quelle di chi vive vite precarie, vite che ora - sia chiaro - grazie a voi e a questo decreto, non possono altro che peggiorare.

“Sono Emanuele, lavoro come aiuto cuoco, 25 ore settimanali nelle mense scolastiche, e ho un contratto part time ciclico verticale. Quando la scuola chiude, il lavoro è sospeso, ma, purtroppo, è sospeso anche lo stipendio e, per lo Stato, è tutto regolare. Natale, Pasqua, l'estate, per voi sono vacanze, per me sono sofferenza, perché i mutui, le spese sanitarie, gli affitti e le bollette non vanno certo in vacanza; io ho 51 anni, sono un papà di due bambini, un marito che cade in depressione ogni volta che arriva l'estate. Per molti sono vacanze, per me è solo umiliazione. In questi periodi chiedo a chiunque la possibilità di lavorare, magari la sera, perché nessuno può tenere i bambini, perché a casa proviamo a lavorare in due, ma ogni volta che busso ad una porta mi dicono che il lavoro non c'è. Per molti sono anche un uomo fortunato, perché ho un contratto; eppure, mi sento un fallito. Questa non è solo la mia storia, ma è quella di più di 100.000 famiglie legate al mondo delle mense scolastiche che ogni anno devono combattere con la precarietà, con quella condizione di instabilità e di insicurezza economica.

Siamo quelli che lavorano e vivono ad intermittenza. Ci battiamo da anni affinché la NASpI venga estesa anche a noi, perché non riusciamo ancora a credere che per lo Stato esistiamo solo quando ne ha bisogno.

E ci tengo a sottolineare che, su questo tema, questa maggioranza ha bocciato un emendamento a questo decreto e, probabilmente, boccerà anche un ordine del giorno che arriverà nei prossimi giorni.

Un altro racconto: “Sono Marina, 38 anni, ed oggi è la prima volta che sono andata a ritirare il mio pacco Caritas. Oggi, per la prima volta, ho capito che il Governo mi ha veramente abbandonata. E ha abbandonato migliaia di mamme e di papà, che, come me, avevano trovato nella scuola la propria strada lavorativa. Prima facevo un lavoro da commessa, sottopagata ovviamente. Poi, una grande notizia: la convocazione da parte della scuola come collaboratrice per affrontare il periodo pandemico e, finalmente, la speranza di un futuro migliore per me e per i miei bimbi. Lavoro un anno intero, tanto punteggio, anche se per farlo facevo 200 chilometri ogni giorno e quasi tutto il mio stipendio l'ho speso per babysitter e carburante. Finisce il secondo anno scolastico e, all'improvviso, ad un passo dal maturare il punteggio necessario per una supplenza più duratura, il buio più assoluto”.

Queste storie dovreste conoscerle. Sono i precari ATA, a cui in quest'Aula più volte ho dato voce con emendamenti, fin dalla legge di bilancio, e con ordini del giorno costanti. Precari a cui questa maggioranza - ricordo - ha fatto costantemente promesse in campagna elettorale, promettendo mari e monti e poi voltando loro le spalle (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

E poi ci sono altre storie, quelle più tragiche, che purtroppo finiscono con una morte. Sono Riccardo Campoli, anzi lo ero: 69 anni, avevo un contratto regolare, ma facevo turni massacranti. L'ennesimo giorno di lavoro, in una tenuta agricola a nord-est di Roma, sono stato travolto e schiacciato da un trattore. La procura ha aperto un'inchiesta.

Sono Nicholas Nanut, anzi lo ero: 30 anni, turno di notte in un'azienda d'alluminio, un macchinario mi ha triturato. L'azienda è stata posta sotto sequestro, ci sarà un'inchiesta.

E se qualcuno, in quest'Aula, si stesse chiedendo perché parlare di morti sul lavoro, o magari lo reputasse anche fuori luogo in questo momento, gli consiglio di leggere un recente studio, che dimostra chiaramente che il rischio di morte tra i lavoratori precari ed irregolari risulta 4 volte superiore a quello dei lavoratori stabili.

Però, io, comunque, i complimenti a questo Governo e a questa maggioranza voglio farli, perché con molte persone il vostro lavaggio del cervello ha funzionato. Molti italiani si sono veramente convinti che il problema dell'Italia fosse la misura del reddito di cittadinanza. Anche diversi precari sfruttati sul lavoro hanno pensato che il nemico fosse il percettore del reddito di cittadinanza. Addirittura avete convinto anche alcuni piccoli commercianti, che poi nei percettori del reddito avevano i loro clienti; clienti che, ora, senza il reddito, non avranno più. Infatti, in tanti, in molti - quelli che, probabilmente, poi, ingenuamente vi hanno votato - hanno creduto alla vostra assurda narrazione di fannulloni seduti sul divano a far nulla e ad intascare i soldi dello Stato. Ebbene, voi siete stati sempre molto attenti a dimenticare, ad esempio, che poi tutti i soldi dati ai percettori di reddito di cittadinanza, in realtà, sono stati messi in circolo nell'economia reale, quella di tutti i giorni, quella sotto casa, perché quei soldi - dimentichiamo sempre di dirlo - non è che potevano essere conservati e quindi finivano dal salumiere sotto casa, al minimarket, dal fruttivendolo. Questa è la misura che state attaccando, sia chiaro. Quindi, complimenti per essere riusciti, ancora una volta, a scatenare la guerra tra poveri (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Noi, con i Governi a guida Conte e a guida del MoVimento 5 Stelle, avevamo iniziato ad introdurre concetti chiari: non abbandonare le persone in povertà assoluta, portare dignità nel mondo del lavoro e, soprattutto, contrastare la precarietà. Soluzioni non perfette, sia chiaro, ma comunque dei passi avanti. Progressi che questa maggioranza, però, man mano sta smantellando e sta annullando, portando il nostro Paese indietro nel tempo con misure anacronistiche e proiettate nel passato, anziché nel futuro. Infatti, mentre altrove, in Europa e nel mondo, si inizia a sperimentare con successo, ad esempio, la settimana lavorativa di 4 giorni, mentre altrove si inizia a ragionare sul reddito universale e incondizionato, voi cosa fate? Qual è la soluzione di questa maggioranza? Investire sul lavoro precario, sui voucher, sui contratti brevi. È evidente che l'obiettivo di questa maggioranza sia affamare le persone e precarizzare le loro vite per tenerle sempre più in una condizione di difficoltà. Questa è una strategia che vi caratterizza.

E arrivo a conclusione, Presidente, ritornando a dare di nuovo la voce agli ultimi, citando chi questo Governo e questa maggioranza continua ad ignorare.

Conduciamo tutti vite incerte, nelle quali nessuno, ormai, progetta più niente. Siamo spaesati, siamo uomini, siamo donne, siamo italiani, siamo stranieri, lavoriamo in posti di lavoro al limite e fuori dalle norme di sicurezza, per paghe da fame e con forme contrattuali anomale, irregolari o inesistenti. Siamo, però, fiduciosi che, con la sacrosanta estensione dei contratti precari, con il sacrosanto ritorno ai voucher vita natural durante e con la sacrosanta abolizione del reddito di cittadinanza, voluti da questo Governo sacrosanto, potremo finalmente tornare a figliare e contrastare, così, la sostituzione etnica, senza timore di finire spesso ammazzati da datori di lavoro senza scrupoli. Solo un favore, se potete: evitate, nel caso sfortunato in cui qualcuno morisse, di fare al malcapitato sentite condoglianze (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1238​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Marta Schifone, che rinuncia. Ha facoltà di replicare la Vice Ministra del Lavoro e delle politiche sociali, deputata Maria Teresa Bellucci, che rinuncia.

Prima di passare all'esame delle questioni pregiudiziali, sospendo la seduta per 5 minuti. Riprendiamo alle ore 20,18.

La seduta, sospesa alle 20,13, è ripresa alle 20,18.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 72, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 685 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro (Approvato dal Senato) (A.C. 1238​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1238: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro.

(Esame di questioni pregiudiziali - A.C. 1238​)

PRESIDENTE. Passiamo ora all'esame delle questioni pregiudiziali Scotto ed altri n. 1, Alfonso Colucci ed altri n. 2 e Zanella ed altri n. 3 (Vedi l'allegato A), presentate, a norma dell'articolo 96-bis, comma 3, del Regolamento.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 20,20).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di 5 e 20 minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame di questioni pregiudiziali - A.C. 1238​)

PRESIDENTE. A norma del comma 4 dell'articolo 40 del Regolamento, in caso di più questioni pregiudiziali ha luogo una unica discussione. In tale discussione, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 40, potrà intervenire uno dei proponenti (purché appartenenti a gruppi diversi), per illustrare ciascuno degli strumenti presentati per non più di dieci minuti. Potrà, altresì, intervenire un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti. Al termine della discussione, si procederà, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 3, quarto periodo del Regolamento, ad un'unica votazione sulle questioni pregiudiziali presentate.

Il deputato Andrea Casu ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Scotto ed altri n. 1, di cui è cofirmatario.

ANDREA CASU (PD-IDP). Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, con il voto sulle pregiudiziali, si conclude una lunga giornata di lavori parlamentari. Ci siamo confrontati nell'XI Commissione e in Aula, abbiamo trascorso insieme una lunga giornata, ma non è stata una bella giornata, perché l'abbiamo spesa con la consapevolezza, con la profonda amarezza di sapere che tutto quello che abbiamo fatto oggi, qui, alla Camera, è, purtroppo, inutile, perché viviamo in un monocameralismo alternato, ce l'ha ricordato oggi il presidente Fornaro, dove il combinato disposto del ricorso alla decretazione d'urgenza e dei voti di fiducia, di fatto, ha trasformato la seconda Camera in una buca delle lettere, in cui arrivano dal Governo e dal voto della prima Camera decreti che sono bloccati, chiusi (Prendere e lasciare, come il titolo dell'album di Francesco De Gregori).

Andiamo avanti così, nella direzione sbagliata, incuranti dei richiami del Presidente della Repubblica, incuranti anche di questo mio intervento… Quindi, chiederei al Presidente…

PRESIDENTE. Onorevole Casu, scusi. Per cortesia, signori, ascoltiamo il collega, per cortesia.

ANDREA CASU (PD-IDP). Incuranti dei richiami del Presidente della Repubblica, incuranti degli incontri, incuranti del fatto che questo Governo, il Governo Meloni, ha assolutamente il record nella decretazione d'urgenza. E ricordiamo, quando Fratelli d'Italia era all'opposizione, quanto veniva criticata questa formula. Si ravvisa su qualunque tema la necessità di intervenire con atti di straordinaria necessità e urgenza. Ma l'unica straordinaria necessità e urgenza su cui servirebbe un'azione è l'alluvione che c'è stata in Romagna: gli atti servirebbero per lottare per l'emergenza e la ricostruzione. Dopo due mesi, siamo ancora senza un commissario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Ma il motivo per cui oggi presentiamo la pregiudiziale ex articolo 40 del Regolamento della Camera è perché questo testo non sarebbe nemmeno dovuto arrivare qui, si sarebbe dovuto fermare prima. Al riguardo, è lo stesso Comitato per la legislazione del Senato ad osservare che il decreto in esame non risulta essere corredato di analisi tecnico-normative e di analisi dell'impatto sulla regolamentazione. Stiamo parlando di carenze sempre gravi, ma ancora di più lo sono per un provvedimento che indubbiamente ha pesanti ricadute su fasce importanti della popolazione del nostro Paese. L'abbiamo visto da punti di vista politici differenti nella discussione, ma almeno siamo tutti concordi sul fatto che questo provvedimento avrà un impatto notevole sulla carne viva delle persone.

Ecco, voi siete la maggioranza. Se volete trasformare, ridurre il lavoro del parlamentare al lavoro di venire qui a pigiare un bottone potete farlo, ma non potete toglierci il diritto di conoscere, prima di votare, le conseguenze, l'impatto delle scelte di pigiare o meno il bottone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Ricordo a tutti noi un numero che mette i brividi, ce lo dice l'Ufficio parlamentare di bilancio, nella sua relazione; ci dice che è di circa 1,2 milioni il numero di nuclei familiari che hanno beneficiato del reddito di cittadinanza. Con questo decreto, circa 400.000 nuclei familiari saranno esclusi dal nuovo assegno di inclusione in quanto non saranno presenti nel nucleo familiare quei soggetti tutelati che consentono di accedere alla nuova misura. Non basta. Dei restanti circa 790.000 nuclei familiari, circa 97.000, il 12 per cento, risulterebbero, comunque, esclusi per effetto dei vincoli di natura economica, mentre viene accentuata la precarietà del lavoro.

Presidente, è veramente impossibile continuare così l'intervento.

PRESIDENTE. Ha ragione, ha ragione. Colleghi, per cortesia!

ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie, Presidente. Ringrazio, per gli interventi di oggi in Commissione, prima e in Aula poi, i colleghi e le colleghe Scotto, Gribaudo, Sarracino, Fossi, Guerra, Stefanazzi, Cuperlo, Ghia, Bakkali, perché mi consentono di non dover ripetere tutte le ragioni di merito della nostra contrarietà politica a un decreto che reca misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro solo nel titolo. Il taglio, tanto sbandierato, del cuneo fiscale non è strutturale, non è un taglio, è un graffio. Manca il contrasto alla precarietà, che, anzi, è accentuata con le misure prese dal Governo. Non ci sono misure finalizzate a rinnovare i contratti collettivi nazionali, né azioni concrete volte a tutelare i lavoratori di imprese che decidono di delocalizzare.

È del tutto assente la trasparenza nei rapporti di lavoro, il tema strategico degli algoritmi della piattaforma, lo scorrimento delle graduatorie dei concorsi in corso di validità che potrebbe garantire quelle esigenze di rafforzamento e rinnovamento della pubblica amministrazione, il potenziamento dei centri dell'impiego, dei servizi sociali, mentre non vi è alcuna misura di contrasto effettivo alla povertà; anzi, avete deciso di cancellare il reddito di cittadinanza, che è l'unica misura che prevedeva un intervento universale di contrasto alla povertà senza nessuna vera alternativa, se non la povertà per centinaia di migliaia di famiglie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). E avete deciso scientemente di far aumentare le diseguaglianze, agevolando i contratti precari, favorendo i contratti a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato, che non usufruiranno di alcun incentivo. Una misura che, insieme all'innalzamento del limite dei voucher, ora portato a 15.000 euro in alcuni settori, diminuisce fortemente la qualità dei rapporti di lavoro.

Vi vantate della riduzione del cuneo fiscale, ma l'avete fatto solo per 6 mesi ed usando fondi ricavati colpendo proprio gli stessi lavoratori che dite di voler favorire, una partita di giro. Lo avete chiamato decreto 1° maggio, per richiamare una data fondamentale per la storia delle battaglie delle lavoratrici e dei lavoratori, una storia grande, fatta di migliaia di pagine. Io sono andato a cercare, tra queste pagine, se ci poteva essere un legame con il vostro decreto e, forse, l'unico legame che collega questo decreto al 1° maggio è una canzone, una canzone del movimento operaio, che racconta una storia vera, la storia di un pastificio. Si chiama Santa Caterina dei pastai, non so quanti la conoscano in quest'Aula: racconta una grande festa, tutta pagata, in cui c'era tutto, dalla minestra all'insalata, organizzata dal padrone della fabbrica per annunciare grandi novità per tutti, ma, alla fine, i benefici sarebbero stati solo per pochi, principalmente per lui. La fine della canzone era amara: il prezzo della festa l'avrebbero pagato i lavoratori, con una trattenuta dallo stipendio.

Noi sappiamo chi pagherà il prezzo della festa del 1° maggio che ha organizzato il Governo Meloni: i più poveri, i più fragili, i più indifesi. L'esatto contrario del significato del 1° maggio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). E, allora, mi domando se questo è l'obiettivo: calpestare in questo modo la storia che celebra le lotte e le conquiste di lavoratrici e lavoratori, emanare un decreto che colpisce i più deboli, che toglie tutto a chi già non ha nulla per illudere chi ha un pochettino di più e costringere, poi, la Camera ad occuparsene adesso, per quattro giorni, senza poter cambiare nemmeno una riga; ciò nella stessa settimana in cui inchieste giornalistiche rivelano comportamenti inquietanti ed inaccettabili verso i lavoratori delle aziende guidate dalla Ministra Santanche' (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), da una Ministra del Governo Meloni! E ancora non abbiamo nemmeno calendarizzato il giorno in cui la Ministra sarà qui per rispondere alle domande del PD, delle opposizioni, del Paese. L'abbiamo chiesto in ogni sede e ancora non c'è questa data.

Se questo è l'obiettivo - ed è questo l'obiettivo perché lo avete dimostrato - avreste dovuto scegliere una data diversa per riunire il Consiglio dei ministri per varare questo decreto: l'avreste dovuto fare il 7 aprile, il giorno del compleanno della Ministra Santanche' (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Avreste avuto più coraggio, dignità e coerenza a dire apertamente qual è la vostra visione, a dichiararlo, a chiamarlo “decreto Santanche'” perché è in quella direzione che volete portare il Paese.

Giù la maschera, questo decreto è un programma politico chiaro: togliere tutto a chi non ha nulla, prendere in giro i lavoratori e le lavoratrici e, al contempo, non muovere un dito per chiedere a chi li sfrutta di rispondere dei propri comportamenti.

Questo non è il futuro, questo è il passato, un passato che il Partito Democratico, l'Italia democratica e progressista ha sempre combattuto e continuerà sempre a combattere. Per questo, chiediamo alla Camera di votare le pregiudiziali e respingere questo ritorno al passato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Il deputato Penza ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Alfonso Colucci ed altri n. 2, di cui è cofirmatario.

PASQUALINO PENZA (M5S). Grazie, Presidente. Intanto voglio fare i miei complimenti alla maggioranza per aver riempito l'Aula alle 8,30 di sera (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), giusto per prendere il gettone di cittadinanza, quindi la presenza.

Mi rivolgo a lei, signor Presidente, non solo come rappresentante del popolo, ma come cittadino preoccupato per l'orientamento che sta prendendo il nostro Paese. L'argomento di oggi è il disegno di legge di conversione del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, che riguarda misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro. Per dirla in termini più semplici, stiamo parlando del destino dei più vulnerabili della nostra società. Siamo in Italia, una Repubblica democratica basata sul lavoro, così come recita la nostra amata Costituzione.

La nostra Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, si impegna a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l'uguaglianza dei cittadini ed ha il compito di assicurare a tutti i cittadini il diritto al lavoro. Eppure, sembra che questi principi fondamentali siano stati messi da parte nell'elaborazione del decreto in discussione. L'intenzione di smantellare il reddito di cittadinanza e la classificazione del valore all'interno della soglia di povertà, nonché la liberalizzazione dei contratti a termine sono alcune delle misure proposte che, invece di promuovere l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro, sembrano andare in direzione contraria.

Non intendiamo sminuire le difficoltà che ci sono, ma, signor Presidente, ogni cittadino che si trova in condizioni di indigenza o, comunque, al di sotto di una determinata soglia ha diritto a un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa: questo è un principio che tutti gli Stati europei rispettano, eppure, con l'attuale disegno di legge, l'Italia rischia di diventare l'unico Paese a non garantire più questo diritto.

Poi c'è la questione dei contratti a termine. Siamo veramente disposti a sacrificare le prospettive future dei nostri giovani, così come l'integrità del nostro sistema Paese per una liberalizzazione di contratti a termine che, a nostro avviso, sembra più una corsa verso il basso, che un passo in avanti?

Altro aspetto fondamentale, come dimostrano i dati dell'Ufficio parlamentare di bilancio: l'integrazione tra reddito di cittadinanza e politiche attive del lavoro ha funzionato con più del 30 per cento dei beneficiari, che hanno attivato un rapporto di lavoro durante la fruizione della misura.

E non possiamo non menzionare il fatto che il provvedimento abbatte qualsiasi parvenza di opposizione o critica al suo percorso predefinito, nel tentativo quasi febbrile di demolire ogni fondamento di sicurezza economica e sociale che l'Italia ha costruito nel corso degli anni. Ritroviamo, ad esempio, un argomento oramai abusato del discorso politico, quello della “sindrome del divano”: con questa espressione si è cercato di etichettare e demonizzare i beneficiari del reddito di cittadinanza, suggerendo che la possibilità di una certa sicurezza economica porta inevitabilmente alla pigrizia e alla riluttanza al lavoro. Ma i dati parlano una lingua diversa: dimostrano che l'integrazione tra i sussidi e le politiche attive del lavoro ha effettivamente funzionato. Se ne conclude che la “sindrome del divano” non è altro che un fantasma evocato per giustificare politiche che indeboliscono i diritti dei lavoratori e la sicurezza sociale.

Il Governo sembra, altresì, ignorare che i Paesi con le più basse percentuali di povertà non sono quelli con la maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro, ma quelli con un sistema welfare più forte. Sembra aver dimenticato che la Repubblica italiana è fondata sulla dignità e sui diritti inviolabili del singolo, che includono il diritto al lavoro e il diritto ad una vita decente e non sulla libera mercificazione dei diritti dei lavoratori.

E cosa dire della tanto acclamata occupabilità? Si tratta di un concetto di comodo, che trascura completamente le circostanze individuali e reali del lavoro. Come può essere definita occupabile una persona senza formazione adeguata o residente in un'area con alto tasso di disoccupazione? Sembra che la vera occupabilità, secondo il Governo, si basi su parametri astratti e non sulla realtà delle persone.

Per non parlare della liberalizzazione dei contratti a termine, che l'Istat ha sottolineato come causa principale dell'instabilità lavorativa. Ma come potrebbe un giovane progettare un futuro con un contratto a termine con una durata inferiore ai 3 giorni? Questo è il risultato della politica del lavoro del Governo: una generazione di condannati all'insicurezza e al precariato.

Il discorso sul salario minimo legale, poi, è un altro esempio della disconnessione del Governo dalla realtà. Un salario minimo garantito non è solo un diritto fondamentale, ma è anche un efficace strumento di contrasto alla povertà e alla disuguaglianza. Ma sembra che questi concetti siano ormai fuori moda, superati da un neoliberismo sfrenato che vede nel mercato l'unica bussola morale.

Infine, assolutamente preoccupante è l'assenza dell'analisi dell'impatto della regolamentazione, che avrebbe dovuto essere condotta prima dell'adozione delle misure proposte. Questo conferma, ancora una volta, l'atteggiamento arrogante ed autoritario che il Governo adotta nel fare a pezzi il sistema di protezione sociale.

Ma a cosa serve, mi domando, una macchina in moto se non ha passeggeri? A cosa serve se le famiglie italiane sono lasciate indietro, mentre i loro posti sono presi dalle multinazionali? Ma sicuramente non ci dobbiamo preoccupare, certo il mondo del lavoro si apre a noi come un'ostrica fresca davanti ai nostri occhi, così come ci hanno assicurato.

Ma andiamo un po' più a fondo. Vi ricordate il famoso reddito di cittadinanza, il nostro fiore all'occhiello?

Si trattava della nostra risposta alla piaga della povertà che affliggeva il nostro Paese. Certo, non era perfetto, ma era un punto di partenza, un primo passo per garantire a tutti i cittadini di poter avere accesso a una vita dignitosa. Ebbene, a quanto pare, il nostro Governo ha deciso che non ne avremo più bisogno. Mi chiedo chi abbia deciso che un sistema di sostegno universale fosse inutile; chi ha deciso che la povertà non è più un problema in Italia? Forse, gli stessi che affermano che l'istruzione è superflua e che la sanità è un lusso? Magari lo stesso genio che ha stabilito che il cambiamento climatico non esiste. E non mi si venga a dire che non ci sono fondi sufficienti. È sorprendente come ci siano sempre soldi per le grandi società sportive, per le banche e per gli stipendi dei politici, e per i cittadini comuni invece solo briciole, complimenti. Signor Presidente, se però ci potesse essere un po' di silenzio in Aula, perché già i colleghi sono arrivati in ritardo, se fanno anche baccano…

PRESIDENTE. Colleghi, ascoltiamo il collega Pasqualino Penza.

PASQUALINO PENZA (M5S). Non bastasse, il Governo sembra aver deciso che il lavoro è una questione di età; chi ha meno di 60 anni e non è disabile deve dire addio al reddito di cittadinanza. Benvenuti nel mondo del lavoro, cari amici, peccato che il mondo del lavoro che ci viene prospettato assomigli più a un campo minato che a un campo fiorito. I più anziani, ci dicono, avranno meno probabilità di trovare lavoro e, quindi, avranno diritto all'Assegno di inclusione; gli occupabili, invece, quei poveri tra i 18 e 59 anni, sono condannati a farsi strada in un mercato del lavoro che, siamo sinceri, non ha mai brillato per le sue opportunità. Non si tratta solo di una questione di dignità, ma anche di logica. Cosa succede quando si forza un gruppo di persone già vulnerabili a cercare lavoro in un mercato saturo? Non so voi, ma noi non vediamo un lieto fine. Ma aspettate, c'è di più; ricordate quando ho menzionato il tema dell'istruzione? Ebbene, a quanto pare, la maggior parte di questi occupabili non ha un'istruzione superiore alla scuola dell'obbligo, eppure, ci dicono che dovranno trovare un lavoro, semplice, no? Eppure, la logica sembra essere un concetto estraneo a questo Governo.

Tutto ciò ci porta a un punto cruciale: non è solo una questione di diritti sociali, ma anche di sviluppo economico. Un Paese in cui una fetta significativa della popolazione non ha accesso all'istruzione superiore, non ha possibilità di lavorare in posti dignitosi e sicuri; è un Paese destinato a rimanere indietro. Il Governo, però, sembra essere troppo impegnato a tagliare fondi all'istruzione, alla sanità e alla protezione sociale per accorgersi di questo e chi ne paga il prezzo? I cittadini, gli studenti che non possono permettersi un alloggio per l'università, le famiglie che lottano per arrivare a fine mese, gli anziani che non hanno mezzi per garantirsi le cure mediche. Il nostro Governo sembra aver dimenticato un aspetto fondamentale: il suo dovere non è solo quello di garantire la crescita economica, ma anche di proteggere i diritti dei cittadini, di garantire un tenore di vita dignitoso per tutti, di promuovere l'equità sociale.

Ma si sa, la politica è fatta di scelte e le scelte del nostro Governo sono chiare: privilegiare le grandi aziende, le multinazionali e i ricchi a discapito dei cittadini comuni, tagliare i fondi destinati alla protezione sociale per finanziare, magari, incentivi e scudi fiscali.

Questo, cari colleghi, è il mondo del lavoro secondo il nostro Governo: un mondo in cui la dignità e i diritti dei lavoratori sono considerati superflui, un mondo in cui l'istruzione e la sanità sono considerati un lusso, non un diritto, un mondo in cui la povertà e la disuguaglianza sono viste come inevitabili, non come un problema da risolvere.

Ma cosa possiamo fare per cambiare le cose? Primo, dobbiamo lavorare per rendere l'istruzione superiore accessibile a tutti, indipendentemente dalle risorse economiche; inoltre, dobbiamo investire di più nelle scuole tecniche e professionali, per garantire che ci siano altre opzioni di qualità per i nostri giovani. Secondo, dobbiamo garantire che tutti i lavoratori abbiano un salario minimo garantito. Terzo, dobbiamo riformare il nostro sistema di protezione sociale in modo che sia efficiente ed equo. Quarto, abbiamo bisogno di garantire e proteggere i diritti dei lavoratori e la loro sicurezza. Infine, dobbiamo fare di più per ridurre le disuguaglianze economiche; questo significa tassare gli extra profitti delle grandi aziende e usare questi soldi per investimenti in servizi pubblici come l'istruzione e la sanità. L'Italia ha bisogno di una classe politica che condivide queste idee. Il MoVimento 5 Stelle sarà sempre dalla parte dei cittadini e lotterà per i loro diritti. Faremo sentire la loro voce.

In conclusione, la visione di un mondo del lavoro equo e dignitoso non è un sogno irraggiungibile. È una possibilità reale se siamo disposti ad impegnarci e a lottare per essa. Auspicando che ci sia un dibattito più ampio su come possiamo costruire un mondo del lavoro più efficiente e diverso da questo provvedimento, concludo ribadendo: basta vite precarie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)!

PRESIDENTE. Il deputato Dori ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Zanella ed altri n. 3, di cui è cofirmatario.

DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. Nel corso dell'illustrazione delle pregiudiziali svolta qui in Aula il 7 giugno scorso, in occasione della conversione in legge del decreto n. 57 del 2023, avevo già posto il tema della disomogeneità genetica dei decreti-legge, cioè quella multisettorialità dei provvedimenti d'urgenza fin dal loro testo originario. In quell'occasione citai la recentissima sentenza della Corte costituzionale del 5 giugno scorso, la sentenza n. 110 del 2023. In quella sentenza, la Corte affronta il tema della disomogeneità genetica del decreto-legge, che provoca l'effetto di rendere le norme poco chiare. Secondo la Corte, le leggi “oscure” - così sono definite -, che determinano un'intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta, sono in contrasto con il principio di ragionevolezza, che ha il suo fondamento nell'articolo 3 della Costituzione. La scarsa chiarezza entra in rotta di collisione con il principio di uguaglianza dei cittadini. La norma si palesa incostituzionale per violazione dell'articolo 3 della Costituzione.

Se il tema della chiarezza normativa era già stato affrontato da tempo dalla Corte costituzionale con riferimento alla legge penale, ora la Corte lo estende a tutte le norme, anche a quelle non penali. La Consulta ricorda l'esigenza di rispetto degli standard minimi di intelligibilità del significato delle proposizioni normative e, conseguentemente, di ragionevole prevedibilità della loro applicazione. Un rigore che si impone soprattutto in materia penale, dove è in gioco la libertà personale, ma sarebbe un errore - è questo ciò che afferma la Corte costituzionale - pensare che tale esigenza non sussista rispetto a tutte le norme che regolano i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini e anche i rapporti reciproci tra questi ultimi. In ogni ambito, infatti, i consociati hanno un'ovvia aspettativa che la legge possa definire ex ante e in maniera ragionevolmente affidabile i limiti entro i quali i suoi diritti e gli interessi legittimi potranno trovare tutela, in modo da poter compiere, su quelle basi, le proprie libere scelte di azione. “Una norma radicalmente oscura”, si legge proprio nella sentenza che ho citato, “ (…) crea inevitabilmente le condizioni per un'applicazione diseguale della legge, in violazione di quel principio di parità di trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia consacrata nell'articolo 3 della Costituzione”. In questo senso, un decreto-legge palesemente disomogeneo può rendere la norma oscura per il cittadino e, quindi, violare l'articolo 3 della Costituzione.

La recente sentenza va, inoltre, collegata a un'altra storica sentenza della Consulta, la n. 22 del 2012, che ritiene illegittimo il decreto-legge qualora il suo contenuto non rispetti il vincolo della omogeneità, vincolo che la Corte ritiene implicitamente previsto dall'articolo 77 della Costituzione ed esplicitato dall'articolo 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988. Quest'ultima disposizione, laddove prescrive che il contenuto del decreto-legge deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo, pur non avendo in sé e per sé rango costituzionale e non potendo, quindi, assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti alla Corte, costituisce, almeno in questa sede, esplicitazione della ratio del secondo comma dell'articolo 77, che impone il collegamento dell'intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza che induce il Governo ad avvalersi chiaramente dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza delegazione da parte del Parlamento.

Considerato che il nostro giudizio parlamentare, qui in questa sede, non è alternativo, né si sovrappone a quello della Corte costituzionale, la mancata omogeneità fra contenuto del decreto-legge e il suo titolo è rilevante in questo contesto, integrando, a tutti gli effetti, una violazione anche dell'articolo 77 della Costituzione.

È evidente che il provvedimento in esame interviene a disciplinare una pluralità di ambiti materiali che difficilmente possono considerarsi avvinti da quel nesso oggettivo e funzionale richiesto dalla Corte costituzionale affinché il contenuto di un provvedimento d'urgenza possa ragionevolmente considerarsi unitario. Questo è l'ennesimo decreto-legge nel quale la disomogeneità è palesata da disposizioni che vanno dall'istituzione dell'assegno di inclusione e l'abrogazione del reddito di cittadinanza agli interventi in materia di rafforzamento delle regole di sicurezza sul lavoro e tutela degli infortuni, dall'istituzione del Fondo per i familiari degli studenti vittime di infortuni alla dotazione del Fondo per la fruizione dei servizi di trasporto pubblico, dalle disposizioni sui contratti a termine al potenziamento, della sola regione Sicilia, dell'attività ispettiva della sicurezza nei luoghi di lavoro, dei rapporti di lavoro e di legislazione sociale, dal completamento dell'attività liquidatoria dell'Alitalia alla disciplina dei contributi per il settore dell'autotrasporto merci e persone.

Quanto appena illustrato non è nemmeno l'unico motivo di violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Le misure del Capo I, che comportano l'abrogazione del reddito di cittadinanza e la sua sostituzione con l'assegno di inclusione, si appalesano, infatti, discriminatorie nella misura in cui si prevede un doppio binario di povertà, che distingue chi è ritenuto meritevole di ricevere un sostegno economico, e di essere quindi preso in carico per l'attivazione di percorsi di inclusione sociale e lavorativa, e chi è ritenuto colpevole della propria situazione, che si trova a essere sostenuto solo a certe condizioni. Ciò è perfettamente nel solco dell'approccio politico e culturale di questo Governo al tema della povertà. Dobbiamo, invece, ribadire che la povertà non è una colpa individuale, ma è una responsabilità dello Stato. Lo Stato non può effettuare una radiografia etica del cittadino, la povertà va considerata in senso oggettivo ed è una responsabilità collettiva alla quale lo Stato non può sottrarsi.

Non possiamo non rilevare che in questo decreto in conversione troviamo un insufficiente taglio del cuneo fiscale, anche in considerazione dell'impatto dell'inflazione sui prezzi e sui redditi dei lavoratori; insufficienti misure relative alla salute e alla sicurezza dei lavoratori; un'inefficace strategia di rafforzamento dell'attività ispettiva; una forte accelerazione verso la precarizzazione del mercato del lavoro, con la proliferazione del lavoro a termine e flessibilità inaccettabili.

Per concludere, il Governo, ancora una volta, abusa in modo sistematico della facoltà, accordatagli dall'articolo 77 della Costituzione, di ricorrere alla decretazione d'urgenza. Manifesta nuovamente la volontà di alterare a proprio vantaggio l'equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo, che è alla base della corretta dialettica istituzionale, anch'essa evocata dall'articolo 70 della Costituzione, laddove configura una precisa concezione della forma di Governo parlamentare, dei rapporti fra Parlamento ed Esecutivo, nonché del procedimento legislativo.

Alla luce di queste considerazioni, come Alleanza Verdi e Sinistra voteremo a favore delle questioni pregiudiziali, chiedendo pertanto di non procedere all'esame del predetto decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Alessio. Ne ha facoltà.

ANTONIO D'ALESSIO (A-IV-RE). Grazie, Presidente, dichiaro sin da adesso il nostro voto di astensione. Non è che non ci siano patologie rispetto al modus procedendi del Governo e della maggioranza. I rilievi sulle forzature istituzionali e sugli strumenti adottati sono assolutamente considerevoli, l'utilizzo improprio della decretazione d'urgenza è rilevantissimo e stride oggettivamente con le doglianze continue, addirittura veementi, anche a mezzo stampa, dell'attuale maggioranza, ieri opposizione, che ha sempre stigmatizzato l'abuso dei decreti-legge, e lo ha fatto con amplificazioni anche mediatiche.

Quindi, sia chiara la nostra posizione: esprimiamo, per l'ennesima volta, un giudizio fortemente negativo verso l'incedere e i percorsi del Governo, verso l'abuso della decretazione d'urgenza, verso numeri da record, che comprimono il regolare democratico dibattito parlamentare e pregiudicano uno spazio che può peraltro migliorare i provvedimenti stessi, oltre naturalmente a violentare la funzione del Parlamento. Tuttavia - ma anche queste sono considerazioni già rassegnate in Aula, in altre circostanze - anche lo strumento delle questioni pregiudiziali non può diventare automatico, non può diventare banalmente ripetitivo, come una clausola di stile, come la celebrazione di un passaggio procedurale ineliminabile, quanto inutile. Che si ponga con forza e convinzione la questione pregiudiziale in tutti i casi - e noi li abbiamo votati positivamente e favorevolmente - in cui la fondatezza della stessa è evidente e imbarazza gli stessi colleghi della maggioranza. Questo, a nostro avviso, è già successo. Forse quello di oggi, che non è un provvedimento – attenzione – su cui voteremo a favore, perché a volte confondiamo un po' le questioni di merito con le pregiudiziali, è comunque un decreto che, rispetto ad altri, è meno patologicamente caratterizzato da disomogeneità e mancanza di urgenza. Forse, oggi, al netto delle valutazioni nel merito, le questioni pregiudiziali potevano essere evitate e noi ci asterremo dal votarle (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Vinci. Ne ha facoltà.

GIANLUCA VINCI (FDI). Grazie, signor Presidente. In queste pregiudiziali vedo tanta, tanta confusione. Abbiamo sentito in quest'Aula parlare più nel merito che in punto di diritto, rispetto a quella che dovrebbe essere una questione pregiudiziale. Abbiamo anche sentito citare la Costituzione e riportare anche da colleghi nella pregiudiziale. Mi permetto di leggere brevemente una parte della pregiudiziale che cita la Costituzione: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Chi legge questo passo della Costituzione capisce che non si tratta di reddito di cittadinanza, cioè di percepire un reddito, ma di cosa posso fare io per la Nazione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia) e del fatto che devo poter svolgere qualcosa. Ciò viene completamente travisato e addirittura messo all'interno di una pregiudiziale, come a dire che è la Costituzione prevede il reddito di cittadinanza. Ma di cosa stiamo parlando? Magari, citate qualche altro articolo, che ha qualche attinenza maggiore, ma non certo articoli che riguardano il diritto al lavoro, che con il reddito di cittadinanza proprio nulla c'entrano (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Soprattutto, si arriva a dire che c'erano 1.200.000 nuclei familiari con percettori di reddito di cittadinanza, che, con questo decreto, è stato tolto a 400.000, che non hanno più diritto e che non ci sono soggetti tutelati; altri 97.000 - udite, udite - a quanto scritto in queste pregiudiziali non vi avranno più diritto, perché risulterebbero comunque esclusi dalla fruizione per effetto dei vincoli di natura economica, Ma pensate un po': lo Stato dà dei soldi e mette vincoli di natura economica ai percettori! Quindi, se hanno case intestate, immobili e altro, a questo punto non hanno più diritto ad avere il reddito, mentre si vuole addirittura sostenere che lo Stato deve, mettiamola così, erogare del denaro - non voglio dire “regalarlo” - a soggetti senza neanche definire le consistenze economiche di coloro ai quali questo denaro va dato. Stiamo parlando assolutamente del nulla. Si arriva addirittura - e lo fa il MoVimento 5 Stelle, nella propria pregiudiziale - a indicare l'Ungheria come un esempio. Allora, mi premurerò di ricordare via via nei prossimi mesi che il MoVimento 5 Stelle porta l'Ungheria come un esempio, perché l'Ungheria ha, dal 1993, una sorta di reddito di cittadinanza. In realtà, con questo provvedimento si è fatto qualcosa di assolutamente urgente, ossia togliere il reddito a chi non ne aveva diritto. Non è assolutamente vero che vengono lasciati soli i più deboli, perché ci sono 700.000 famiglie che potranno ancora percepire un sostentamento, perché non lasciamo solo nessuno, ma ci saranno 500.000 nuclei familiari, che non ne avevano diritto per motivi anche economici, come riportato addirittura nelle pregiudiziali, e che quindi non percepiranno più il sostegno.

Mi premuro soltanto di ricordare a chi ha scritto queste pregiudiziali che, al contrario di quanto indicato, perché così viene detto, i percettori non avranno - questo è quello che viene scritto dalle attuali opposizioni - possibilità di entrare nel mondo del lavoro, perché solo il 30 per cento ha più di un'istruzione superiore e la scuola dell'obbligo. Praticamente, se uno ha più della terza media, a dire dell'opposizione, deve percepire il reddito, perché non può lavorare, non si capisce per quale motivo. Il 65,5 per cento vive nel Mezzogiorno, e anche questo non ritengo sia un motivo utile da solo per erogare il reddito di cittadinanza. Ma soprattutto, il 60 per cento ha più di quarant'anni, quindi con più di quarant'anni si fa fatica a lavorare. L'ho voluto dire perché anche chi ci ascolta fuori da quest'Aula capisca quali sono le motivazioni, assolutamente pretestuose e clientelari che PD e 5 Stelle portano a sostegno di queste pregiudiziali. Per questom, il nostro voto sarà assolutamente contrario (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Paolo Emilio Russo. Ne ha facoltà.

PAOLO EMILIO RUSSO (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, membri del Governo, questo decreto Lavoro è concreto sin nel nome. Taglio del cuneo fiscale, detassazione del lavoro notturno e festivo per il settore turistico e ricettivo, e il sostegno a chi cerca un posto: sono il cuore di un intervento che non era rinviabile e che rispetta, dunque, appieno i dettami della nostra Costituzione. Il rispetto del criterio di necessità e urgenza è fuori discussione, perché, se così non fosse, non avremmo oggi il reddito di cittadinanza, che oggi trasformiamo in reddito di inclusione. Questa stessa misura fu, infatti, introdotta nel 2019 con un decreto-legge, il n. 4. Idem per la modifica della normativa sui contratti a termine, cioè a tempo determinato: con il decreto Dignità, nel 2018, il Governo guidato da Giuseppe Conte era intervenuto per irrigidire propagandisticamente il ricorso ad uno strumento fondamentale per le aziende e per i lavoratori; e sempre per decreto, oggi, il Governo, guidato da Giorgia Meloni, interviene finalmente per attribuirgli la natura originaria.

Vogliamo parlare dei voucher? Il Governo guidato da Paolo Gentiloni decise di procedere con un doppio intervento d'urgenza. Doppio: li ha abrogati con un decreto-legge, il n. 25 del 2017, al solo scopo di impedire lo svolgimento del referendum promosso dalla CGIL, e poi li ha riattivati, nella forma del cosiddetto libretto famiglia, all'interno del decreto-legge n. 50 del 2017.

Insomma, non è un caso che dalla lettura dei testi delle tre pregiudiziali presentate dai colleghi del PD, di 5 Stelle e di Alleanza Verdi e Sinistra - che sono tre perché l'opposizione ancora una volta si divide su una materia fondamentale - appaia chiaro che le prime a non contestare i requisiti di necessità e urgenza o di omogeneità sono proprio le stesse pregiudiziali. I colleghi del PD si soffermano sull'assenza dell'analisi di impatto della regolamentazione. Chi di loro ha fatto il Ministro, e sono tanti, potrà confermare che sovente capiti che questo non ci sia. Per esempio, capitò con l'atto n. 1018 della scorsa legislatura, che poi, guarda caso, è il decreto che ha introdotto il reddito di cittadinanza.

La pregiudiziale del MoVimento 5 Stelle vale, invece, come un ripasso di ben 9 disposizioni costituzionali, ma colpisce di più quando rivaluta, abbastanza sorprendentemente, Viktor Orbán e perché cita l'Ungheria tra gli Stati che hanno una misura simile al reddito di cittadinanza. L'assegno di inclusione sarà molto più efficiente e mirato, sarà rivolto a chi ne ha davvero bisogno, come i nuclei familiari con minori diversamente abili o ultrasessantenni.

Per concludere, questo decreto guarda ai lavoratori e, al tempo stesso, anche alle imprese, e si muove nel solco di un principio che per noi è fondamentale e che sta alla base delle teorie liberali: senza impresa non c'è lavoro, senza lavoro non ci può essere benessere. E allora la creatività e il coraggio dei nostri piccoli, medi e grandi imprenditori, vanno accompagnati, perché sono fondamentali per la crescita e per lo sviluppo. Lo facciamo con questo decreto Lavoro e promuovendo ogni intervento che possa contribuire a fare dell'Italia un Paese capace di attirare cervelli e di sviluppare idee. È pertanto un grande successo che il Governo sia riuscito oggi a portare a Milano il Tribunale unico dei brevetti, che sarà operativo tra 12 mesi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Grazie al Ministro degli Affari esteri, il vicepresidente Antonio Tajani, che è qui con noi, e a tutto il Governo. Per tutte queste ragioni, il nostro voto sulle pregiudiziali sarà contrario (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi sulle questioni pregiudiziali.

Passiamo dunque ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali Scotto ed altri n. 1, Alfonso Colucci ed altri n. 2 e Zanella ed altri n. 3.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 1).

(Esame dell'articolo unico - A.C. 1238​)

PRESIDENTE. Essendo state respinte le questioni pregiudiziali, passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione e delle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge (Vedi l'allegato A).

Avverto che la Commissione bilancio ha espresso il prescritto parere, che è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Posizione della questione di fiducia - Articolo unico - A.C. 1238​)

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, senatore Luca Ciriani. Ne ha facoltà.

LUCA CIRIANI, Ministro per i Rapporti con il Parlamento. Grazie, signor Presidente. Onorevoli deputati, a nome del Governo, autorizzato dal Consiglio dei ministri, pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti, subemendamenti e articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1238: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2023 n. 48, recante misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle).

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Secondo quanto convenuto nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 21 giugno scorso, a seguito della posizione della questione di fiducia sull'articolo unico del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1238, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato, la votazione per appello nominale avrà luogo nella seduta di domani, martedì 27 giugno, a partire dalle ore 21, previe dichiarazioni di voto a partire dalle ore 19,30.

Nella seduta di mercoledì 28 giugno i lavori proseguiranno con l'esame degli ordini del giorno, per le fasi dell'illustrazione, dell'espressione del parere da parte del Governo e per la votazione, a partire dalle ore 16, con prosecuzione notturna. L'esame degli ordini del giorno, ove necessario, proseguirà nella seduta di giovedì 29 giugno, a partire dalle ore 9,30. Nella seduta di giovedì 29 giugno, a partire dalle ore 17, avranno luogo le dichiarazioni di voto finale e la votazione finale, con ripresa televisiva diretta degli interventi dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto.

Estraggo ora a sorte il nominativo del deputato dal quale avrà inizio la chiama.

(Segue il sorteggio).

La chiama avrà inizio dal deputato Roberto Morassut.

Avverto che, secondo quanto già comunicato ai gruppi, il termine per la presentazione degli ordini del giorno riferiti al provvedimento in esame è fissato alle ore 12 di domani, martedì 27 giugno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 27 giugno 2023 - Ore 19,30:

1. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 685 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro (Approvato dal Senato). (C. 1238​)

Relatrice:SCHIFONE.

La seduta termina alle 21,05.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nominale DDL 1238 - QUEST. PREG. 1, 2 E 3 267 254 13 128 78 176 37 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui é mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi é premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.