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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 106 di lunedì 22 maggio 2023

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIO MULE'

La seduta comincia alle 10,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO TRAVERSI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 maggio 2023.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 74, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Roberto Pella. Ne ha facoltà.

ROBERTO PELLA (FI-PPE). Grazie, Presidente Mule'. Quattordici le vittime, un picco di 36.000 persone sfollate, oltre 300 le frane, 600 le strade chiuse, 23 i corsi d'acqua esondati, 3.000 le donne e gli uomini al lavoro per l'emergenza, 1.700 i volontari che di ora in ora crescono, specie tra i giovanissimi. Grazie alla Protezione civile, all'ANA, ai Vigili del fuoco, alle Forze dell'ordine, all'Esercito, ai responsabili delle infrastrutture e a tutti coloro che, insieme ai tecnici e al personale dei comuni, delle province e della regione Emilia-Romagna, stanno intervenendo in questi giorni drammatici. C'è bisogno di fondi che il Governo ha già assicurato e che stanzierà a partire dal Consiglio dei ministri di domani. Tramite lei, chiediamo che possa riferire in quest'Aula. Soprattutto, c'è bisogno di misure speditive e straordinarie, per poterle spendere nel minor tempo possibile, senza ritardi e blocchi burocratici. La vicinanza è stata espressa dal Presidente del Consiglio Meloni, che ha scelto di rientrare in anticipo dal G7 in Giappone, e da tutto il Parlamento, che non abbasserà i riflettori su questa tragica alluvione. Il presidente Berlusconi segue costantemente l'evolversi della situazione e ha attivato tutti i canali, incluso quello europeo, per assicurare il massimo sostegno possibile per aiutare cittadini e imprese, sospendendo tutti i pagamenti, le bollette, i mutui, gli adempimenti tributari e contributivi, e per l'attivazione del Fondo di garanzia per le piccole imprese. Come lo stesso presidente Berlusconi ha dichiarato, di fronte alle immagini drammatiche che ci vengono dalla Romagna, nessuno sforzo è troppo grande per aiutare quelle popolazioni. Le mani sono il simbolo della laboriosità dei romagnoli, le mani sono il simbolo della tanta solidarietà arrivata da tutto il Paese. Le mani, signor Presidente, sono quelle dei colleghi sindaci, i quali, anche a mani nude, lavorano ogni giorno per la loro comunità, perché i sindaci sono quelli che restano, sono quelli che non abbandonano i territori e le comunità e che non lasciano mai soli i propri cittadini, fino alla fine, fino a quando non sarà tutto ricostruito.

Per questa ragione, Presidente - e concludo -, vorrei dimostrare tutta la vicinanza, mia personale e credo sicuramente di tutto il Parlamento ai colleghi sindaci che, in questo momento, sono impegnati: mi riferisco, in modo particolare, ai 14 comuni del ravennese (Brisighella, Conselice, Lugo di Romagna, Massa Lombarda, Sant'Agata sul Santerno, Cotignola, Solarolo, Faenza, Castel Bolognese, Riolo Terme, Bagnacavallo, Russi, Cervia e Ravenna), ai 12 del forlivese-cesenatese (Forlì, Cesena, Cesenatico, Gatteo a Mare, Gambettola, Savignano sul Rubicone, Mercato Saraceno, Castrocaro Terme e Terra del Sole, Meldola e Bertinoro); ai 2 nel riminese (Riccione e Santarcangelo di Romagna) e, infine, ai 15 del bolognese (Bologna, Budrio, Molinella, Medicina, Castel San Pietro Terme, Imola, Mordano, Castel Guelfo, Castel del Rio, Fontanelice, Castenaso, Ozzano dell'Emilia, Pianoro, San Lazzaro di Savena e Sala Bolognese). Presidente, credo sia importante ricordare queste 43 comunità, con i loro sindaci e i loro concittadini che, in questo momento, sono fortemente colpiti e credo sia importante per il Parlamento dimostrare questa vicinanza. Come ho detto prima, auspichiamo veramente un pronto intervento del Governo e che possa riferire nelle prossime ore in Parlamento.

PRESIDENTE. Onorevole Pella, come sa, ogni singolo abitante dell'Emilia-Romagna riceve in questo momento, da quando è iniziata questa tragedia, la vicinanza totale e assoluta della Camera dei deputati e della Presidenza, che oggi reiteriamo dopo il suo intervento. Il rappresentante del Governo ha udito le sue considerazioni e già ci sono contatti con la Presidenza del Consiglio per lo svolgimento al più presto dell'informativa già sollecitata.

Discussione della proposta di legge: Madia ed altri: Delega al Governo in materia di esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza, in caso di impedimenti per motivi di studio, lavoro o cura (A.C. 115-A​) e delle abbinate proposte di legge: Magi e Della Vedova; Grippo e Pastorella; Zanella ed altri; Pavanelli (A.C. 88​-424​-769​-907​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 115-A: Delega al Governo in materia di esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza, in caso di impedimenti per motivi di studio, lavoro o cura e delle abbinate proposte di legge nn. 88-424-769-907.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 maggio 2023 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 maggio 2023).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 115-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Igor Iezzi.

IGOR IEZZI, Relatore. Grazie, Presidente. Chiedo l'autorizzazione a consegnare il testo della mia relazione alla Presidenza.

PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di farlo successivamente.

Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto Comprensivo Carlo Gesualdo da Venosa, di Venosa, in provincia di Potenza, che assistono ai nostri lavori dalle tribune. Benvenuti nell'Aula della Camera dei deputati (Applausi).

È iscritta a parlare la deputata Rachele Scarpa. Ne ha facoltà.

RACHELE SCARPA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, quando ho avuto l'opportunità, tra i primissimi atti di questa legislatura, di sottoscrivere e presentare la proposta di legge Madia sul voto fuori sede, vi confesso che non immaginavo così il momento in cui saremmo arrivati a discuterla e ad approvarla. Io ho 26 anni, ho alle spalle l'esperienza universitaria e - come potete immaginare - è ancora fresco in me il ricordo della vita da fuori sede, i compagni di università, le loro vite, le loro storie e le loro difficoltà. Immaginavo la discussione di oggi come un momento bello e luminoso di democrazia. Avevamo e - credo che potremmo averla ancora, se la maggioranza oggi tornasse sui suoi passi - la possibilità, noi che sediamo in quest'Aula, di mettere la parola “fine” a un capitolo di grande ingiustizia per 5 milioni di cittadini e cittadine. Per me - questa volta, come altre - quelle persone non sono un'entità astratta, elettorale e distante, ma sono anche coetanei, amici, compagni di vita e di percorso. Potremmo quindi mettere fine a un'ingiustizia che riguarda la vita di tutte queste persone.

Il lavoro che dovremmo fare oggi, di discussione di questa proposta di legge, mi tocca da vicino, quindi, non solo perché parla a me, ma anche perché parla ai miei valori. Il voto fuori sede non è solo un diritto del cittadino, non è solo un'esigenza di democrazia, ma è anche una dimostrazione di interesse e considerazione verso la mia generazione, un passo in più verso la piena attuazione del diritto allo studio, un incentivo alla mobilità e, non da un ultimo, un atto concreto di rimozione di quegli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti all'organizzazione politica, economica e sociale del nostro Paese.

L'università è uno degli strumenti più belli e più potenti che uno Stato ha per creare occasioni di scambio e crescita delle persone e di un territorio, per dare ai cittadini nuove opportunità di formazione e di mobilità. L'esistenza della figura del fuori sede, in particolare - dico io - per ragioni di studio e ricerca, dovrebbe quindi essere sostenuta dal Governo, perché genera una ricchezza sociale unica per le nostre comunità. Chi studia in Italia - vicino o lontano da casa che sia - rappresenta una delle migliori garanzie che abbiamo per costruire un futuro migliore per il nostro Paese. Sto dicendo cose credo largamente condivisibili; eppure, sento il dovere di ripeterle anche qui, oggi, in quest'Aula, perché questi sono giorni in cui, alle proteste assidue e giuste di migliaia di fuori sede che si sono accampati ad esempio fuori dalle università, in tenda, per il diritto alla casa, c'è chi risponde ancora con tanto, troppo, paternalismo e decisamente pochi fatti.

Quindi, anziché lasciare che qualcuno dica che uno studente che paga 700 euro al mese per una stanza non merita di fare l'università, pretendendo di spiegare che i diritti non contano, perché tanto vince il più furbo, noi in quest'Aula dovremmo garantire e nutrire l'idea che una persona nata in Sicilia possa fare un'esperienza di studio in Veneto o che una persona nata in Veneto possa fare un'esperienza di studio o di lavoro in Sicilia, incentivando questo percorso con ogni mezzo possibile, che sia garantire la possibilità di abitare nella città in cui si studia o dare ai fuori sede la possibilità di esercitare il diritto più prezioso di tutti, il diritto al voto, senza che siano costretti a spendere un capitale per tornare dove risiedono. E non sono solo gli studenti a trovarsi in questa condizione, colleghi, sono anche milioni di lavoratori, costretti a vivere lontano dalla propria terra, magari dalla propria famiglia, tutto perché, dal posto in cui provengono, magari non arrivano le stesse opportunità. Anche a loro vogliamo negare il diritto di voto?

In Italia, ad oggi, la possibilità di votare da fuori sede non esiste e questa è una mancanza che fa così rumore da non poter più essere ignorata; rimbomba assordante ogni tornata elettorale, quando leggiamo attoniti e ogni volta più increduli il dato dell'astensione in inesorabile crescita. Sarebbe certamente riduttivo addebitarla all'assenza del voto fuori sede, perché sappiamo che il fenomeno dell'astensionismo ha ragioni più strutturali e più profonde, però voglio anche invitarvi a riflettere su questo tema. Non è, forse, una ragione strutturale e profonda che porta probabilmente tante e tanti a percepire molto meno l'urgenza e l'importanza del voto? Il profondo disinteresse che questa lacuna nel nostro ordinamento lascia percepire e segnala nei confronti dei giovani? Uso le parole di Piero Calamandrei, che si è rivolto nel 1955 agli studenti milanesi: “Domandiamoci che cosa è per i giovani la Costituzione” e che cosa è per i giovani il Parlamento, in questo caso, - aggiungo io - che a quella Costituzione ha il compito di dare gambe nella realtà. In quello stesso discorso Calamandrei diceva che la Costituzione non è mai legge morta; in larga parte, chiaramente la Costituzione è una realtà, ma resiste ancora una parte che è rimasta programmatica e che, quindi, è un impegno e un lavoro ancora da compiere. Di famosi ostacoli, di cui si parla all'articolo 3 della nostra Costituzione, colleghi, ne rimangono ancora tanti. Oggi credo che qui dovremmo discutere di come rimuoverne uno per avvicinare, non solo concettualmente, un'intera generazione di persone in formazione alla partecipazione democratica per dare dignità e responsabilità a quelle persone e per dare loro valore.

È nostro compito farlo ed è nostro compito superare insieme quelle difficoltà tecniche che tengono l'Italia inchiodata su tale questione - unica in Europa, oltre a Malta e a Cipro - ed è compito del Parlamento, ancora prima che del Governo, individuare quale sia la strada migliore.

Tuttavia, ancora una volta ho la sensazione di dire cose che dovrebbero essere scontate, così scontate che tutti gli autorevoli pareri auditi in Commissione evidenziavano come l'intento sotteso alle norme in esame debba essere trasversale e condiviso. Sono cose scontate anche perché ci sono: un lungo lavoro di studio scientifico portato avanti negli ultimi decenni, un lavoro parlamentare che ha attraversato tutta l'ultima legislatura, una diffusa mobilitazione spontanea - penso, tra gli altri, al lavoro dei Giovani Democratici del comitato “Voto dove vivo” o del comitato “Voto sano da lontano” - ma anche tantissima partecipazione spontanea di studenti e cittadini. Si tratta di un lavoro che ci ha consegnato, credo, tutti gli strumenti per prendere di petto le difficoltà tecniche. Sono cose scontate, inoltre, perché abbiamo già acconsentito, in questi anni, a garantire il voto ai cittadini temporaneamente all'estero attraverso il voto per corrispondenza, che è una modalità di voto - lo sappiamo - mal presidiata e anche più complessa e scivolosa del voto presidiato anticipato, proposto nella versione originale del provvedimento oggi in discussione con l'idea forte che il riconoscimento e la garanzia del diritto di voto non possano essere negati per le complessità delle loro modalità di esercizio. Vede, Presidente, questo sembra quasi un invito ad andarsene per un giovane che è all'inizio del suo percorso di studi: vai all'estero e il tuo diritto di voto sarà garantito, oppure resta in Italia, dove la tua piena dignità di cittadino in formazione vale meno di non meglio noti insormontabili ostacoli tecnici. Spero di dire cose scontate, infine, perché tutti i partiti che compongono questa maggioranza, in particolare - ho notato - gli esponenti più giovani di questi partiti, si sono espressi a più riprese in favore del voto fuori sede. Eppure, temo che queste affermazioni non siano affatto scontate. Speravo che oggi fosse un giorno di festa e un giorno di democrazia. Invece - devo dirvelo - lo vivo con l'angoscia dell'incognito, del salto nel vuoto e - aggiungo anche - con l'inquietudine di chi osserva come su questo provvedimento, su cui almeno sulla carta dovremmo essere tutti d'accordo, si adottino strane scorciatoie.

Provo a riassumere anche l'iter di questa proposta di legge, perché penso che i cittadini che, in questo momento, ci ascoltano e si interessano ai lavori parlamentari abbiano il diritto di capire bene che cosa sta accadendo. La proposta di legge Madia, valutata, tra le altre, dalla Commissione affari costituzionali come la più solida e per questo adottata come testo base, è stata inserita nel calendario dell'Assemblea in quota all'opposizione, su richiesta del Partito Democratico. Prevede l'istituzione del voto presidiato anticipato, forse la modalità più sicura e semplice individuabile e consentirebbe ai fuori sede di esercitare il diritto di voto ai referendum, alle elezioni politiche e alle elezioni europee. Durante il ciclo di audizioni, l'opinione più critica sulla possibilità concreta di dare attuazione a questa proposta, in particolare per il voto alle europee e alle politiche, è stata data da chi avrebbe poi il compito effettivo di rendere esecutiva la legge, ossia dal Viminale, nella persona dell'eccellenza prefetto Sgaraglia.

Dopo anni di studi e analisi, dopo tanta mobilitazione, dopo tanto lavoro, emergono ancora difficoltà operative. L'Italia è un Paese complesso, colleghi, lo sappiamo e non siamo qui per negarlo e, quando si tratta di una materia delicata come questa, la prudenza non è mai troppa. Questo lo capisco. Ma io credo che la voragine lasciata da un diritto negato a 5 milioni di cittadine e cittadini non possa essere subordinata alla prudenza e la comunione di intenti, almeno dichiarata, dovrebbe muoverci a superare insieme le difficoltà evidenziate dall'audito e anche le resistenze, a questo punto innegabili, che esistono, anche all'interno dell'ingranaggio statale, su questo tema.

Credo che questa volta noi dovremmo avere il coraggio di far valere il primato della politica sull'amministrazione e del Parlamento sul Governo, e dare un segnale di utilità e di vicinanza ai nostri concittadini da parte di questa Assemblea.

Vorrei dirvi queste cose, quindi, con l'entusiasmo della collaborazione, colleghi della maggioranza, ma non posso, perché la proposta di legge che arriva qui oggi in Aula non è quella presentata dal Partito Democratico e, oggi, quest'Aula si è vista sottrarre, con una forzatura, la prerogativa di discutere nel merito la questione del voto fuori sede. L'emendamento presentato dal relatore di maggioranza al testo Madia fa, di fatto, un'operazione semplice: con un colpo di spugna spazza via tutto l'articolato della legge e consegna, senza scadenze e senza vincoli, una delega in bianco al Governo, lo stesso Governo che, attraverso il suo personale tecnico, ha detto chiaramente, in audizione, che le difficoltà operative sul voto fuori sede sono pressoché insormontabili.

Allora, Presidente, io vorrei semplicemente chiedere, suo tramite, ai miei colleghi della maggioranza: se è vero che siamo tutti d'accordo, che tutti riconosciamo che abbiamo un compito, che ci è stato assegnato dalla Costituzione, cioè garantire il diritto di voto a chi, pur volendo non può, di fatto, esercitarlo, perché, allora, non cerchiamo convergenze e soluzioni in Parlamento? Perché discutiamo oggi non una proposta di legge ma il suo guscio vuoto, delegando completamente al potere esecutivo ciò per cui noi siamo stati eletti? Perché non avete accettato, colleghi, alcuna mediazione nel seguire questa strada?

Trasformare la proposta di legge Madia in una legge delega è sbagliato, a nostro parere. Tuttavia, nel momento in cui è stato presentato quell'emendamento, le opposizioni hanno provveduto, con responsabilità e anche con un atto di fiducia, io credo, nei confronti di questa maggioranza, a subemendare la delega al Governo, proponendo scadenze, termini più precisi e qualche paletto, per dare un minimo di garanzia sul fatto che questa delega verrà pienamente attuata. Però, nessuno di questi subemendamenti è passato. Perché? Io ve lo voglio chiedere qui in Aula, perché a chiunque volesse, in buona fede, credere nella vostra volontà di realizzare il voto fuori sede questo non è chiaro.

Se invece, come temo, la volontà di portare a casa un risultato vero non c'è, ma c'è solo l'esigenza di dimostrarsi attivi su un tema molto sentito, per poi annacquare questo attivismo con tempi prolungati o con soluzioni edulcorate o nella speranza che ce lo dimentichiamo, io oggi sono qui per dirvi, colleghi, che non sarà così.

Per questo abbiamo scelto, anche di fronte alla prepotenza della maggioranza in Commissione, di non ritirare la nostra proposta di legge, perché avrebbe significato prenderci la responsabilità di far naufragare, per chissà quanti anni, ogni possibilità di ottenere anche solo un piccolo risultato su questo fronte. Una delega in bianco al Governo non dà alcuna certezza ma ci dà la possibilità di tenervi inchiodati alle vostre responsabilità. Con questa mossa della maggioranza stiamo già, con tutta probabilità, perdendo il primo obiettivo che ci eravamo fissati insieme - alle mobilitazioni mi ricordo che c'erano tutti - cioè garantire il voto fuori sede per le elezioni europee del 2024. Noi non vogliamo vedere un'altra elezione zoppa, un'altra elezione dove possiamo addebitare l'astensionismo anche a questa mancanza. Vi chiederemo conto ogni giorno del vostro lavoro per dare piena attuazione alla delega. Vi chiederemo di rendere conto al Parlamento, ogni giorno, di come voi state lavorando per far sì che il Governo attui la delega che voi state scegliendo di dargli, di rendere conto della discussione che voi oggi vi state prendendo la responsabilità di non fare in quest'Aula.

Quindi, vorrei essere entusiasta e fiduciosa, Presidente, ma non lo sono. Ho l'impressione che quella di oggi verrà decantata come una vittoria, ma forse sarà un furto.

Sarà sicuramente un furto alla discussione parlamentare, un furto alla corretta prassi della dialettica democratica, ma, soprattutto, un furto alle cittadine e ai cittadini fuori sede, che chiedono solo che sia data loro la dignità più importante di tutti, la dignità del diritto di voto. Noi rimarremo qui ogni giorno a incalzarvi con atti di sindacato ispettivo, nelle piazze, nei luoghi di istruzione e di lavoro e anche nell'Aula del Parlamento. Non accetteremo un solo passo indietro, colleghi, perché, se lo vorrete fare, dovrete prendervene la responsabilità di fronte al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gardini. Ne ha facoltà.

ELISABETTA GARDINI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, per me e per tutti noi, obiettivamente, è un giorno di festa e di democrazia; spiegherò poi il perché, entrando anche nel merito, caro Presidente, poiché c'è una parte politica che ritiene la democrazia prepotenza (ma, su questo punto, ci arriverò più avanti).

Oggi siamo riuniti con il comune intento di agevolare la partecipazione dei cittadini proprio alla vita democratica della Nazione e, finalmente, l'esercizio del voto per i fuori sede potrà diventare una realtà.

D'altronde, non è un mistero - lo vedono i cittadini elettori -, ogni volta che al Governo c'è il centrodestra, il tempo a disposizione del cittadino per organizzarsi e andare a votare viene aumentato, si vota sempre in due giornate, mentre, quando c'è il centrosinistra al Governo, il voto viene sempre contratto, compresso; a loro non interessa dei disagi che questo comporta ai cittadini e sono assolutamente sordi alle richieste dei cittadini di potersi meglio organizzare, avendo a disposizione o il giorno festivo o il giorno feriale. Quindi, non accettiamo lezioni da nessuno.

Oggi, con la nostra maggioranza di centrodestra, finalmente arriva in Aula una proposta di legge che ha per oggetto l'esercizio del diritto di voto da parte degli elettori che hanno temporaneamente il domicilio in un comune diverso da quello di residenza per motivi di lavoro, di studio o di cura. Sappiamo che per molti cittadini che studiano o lavorano lontano dal proprio comune di residenza può essere complicato esercitare il proprio diritto al voto.

L'Istat, con i suoi dati, ci dice che in Italia - è già stato ricordato - sono circa 4,9 milioni le persone che svolgono la propria attività di studio o la propria attività lavorativa fuori dalla propria provincia o città metropolitana di residenza, ma di questi 4,9 milioni, in realtà, sono circa 1.860.000 le persone che impiegherebbero dalle 4 alle 12 ore per recarsi al voto, dal proprio domicilio, nel comune di residenza, e rientrare al domicilio. Riduciamo di molto: 1.860.000. Quindi, circa il 4 per cento del corpo elettorale (un dato, comunque, considerevole), per votare, deve affrontare spostamenti impegnativi, e molti di queste persone sono giovani. Infatti, i dati Istat ci dicono che la fascia più coinvolta da questi spostamenti si attesta tra i 18 e i 35 anni e gli spostamenti sono prevalentemente dalle regioni del Sud verso il Nord Italia. Questa cosa avrebbe anche alcune conseguenze; infatti (la materia è complessa), erano state presentate alcune proposte di legge che prevedevano di far votare le persone sulla lista del domicilio; tale scelta andrebbe tutta a svantaggio del Sud e a vantaggio del Nord, perché ci sarebbero spostamenti e ricalcoli che andrebbero quindi a far ricalcolare anche i seggi da assegnare, con una sperequazione tra Sud e Nord.

Noi non ci siamo scandalizzati quando abbiamo letto queste cose, perché capiamo che la materia è talmente complessa che, a volte, cercando di far bene, di trovare soluzioni, si incappa in errori per cui i tecnici, i giuristi e i Ministeri ci dicono di fare attenzione, perché si rischia di andare addirittura contro i dettati della Costituzione.

Per questi spostamenti, ci sono rimborsi erogati per le agevolazioni di viaggio e i dati riportati dal Ministero dell'Interno ci dicono, per esempio che, per le elezioni del 2022, quindi, quelle dello scorso anno, sono stati erogati rimborsi a circa 280.000 elettori, per un totale di poco più di 8 milioni di euro. Allo stesso modo, per le elezioni che, complessivamente, si sono tenute nel 2018 sono stati erogati - la cifra è la stessa - circa 8 milioni di euro per le agevolazioni di viaggio. Gli elettori che ne hanno usufruito sono di più, perché, invece che 280.000, sono 320.000. Quindi, è evidente che va bene - va benissimo, è giusto, è corretto, siamo qui per questo - lavorare su normative che facilitino l'elettore fuori sede nell'esercizio del voto. Ed è vero, abbiamo lavorato in Commissione, abbiamo discusso, dibattuto e audito per ore e per diversi giorni giuristi, sindacati, rappresentanti di comitati e associazioni, studenti e anche il Capo Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'Interno, il prefetto Claudio Sgaraglia.

Devo dire che il quadro uscito da queste tante e interessanti audizioni è sicuramente favorevole - favorevole, ripeto - nello spirito, però da queste audizioni, sono uscite molte criticità, perché, tecnicamente, le cose non sono così semplici, non sono assolutamente semplici. Ci sono problemi reali e concreti. Quindi, da un lato, ci sono i problemi reali e concreti, e dall'altro, c'è altrettanto e con più forza ancora, la chiara volontà di recuperare elettori da questa forma di astensionismo indicato come involontario, perché sarebbe dovuto principalmente alla difficoltà concreta di recarsi alle urne.

Ma qui si potrebbero aprire grandi parentesi, perché potremmo analizzare molti altri casi di astensionismo involontario. Basti pensare alla popolazione anziana con difficoltà di mobilità, ma qui mi fermo, perché altrimenti apriamo un capitolo diverso.

È importante sottolineare il valore del lavoro che stiamo facendo, per ampliare la platea degli elettori che, effettivamente, verranno facilitati nell'esercizio del voto, perché questo va visto sempre nella sua componente duale di diritto-dovere. La Costituzione, infatti, che, all'articolo 48, secondo comma, stabilisce le caratteristiche del voto, ci dice che il voto deve essere personale ed eguale, libero e segreto, e lo qualifica come dovere civico.

Così come mi piace ricordare qui l'articolo che è già stato ricordato, che è l'articolo 3, al secondo comma, che dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli - abbreviando - che impediscono l'effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Ora, nel momento in cui andiamo a garantire il diritto di voto ai fuori sede, dobbiamo garantire, altresì, che i cittadini lontani da casa possano votare in maniera sicura e nel rispetto della privacy.

Questi i punti cardine che vanno assolutamente rispettati, ma non è un'opzione, non è una scelta. È un obbligo dettato dalla nostra Costituzione. E, allora, ripeto che dobbiamo riconoscere tutti che, nel dibattito in Commissione, sono emersi moltissimi aspetti critici che attenevano a singoli punti delle varie proposte di legge, ma da cui non è esente nemmeno la proposta di legge Madia, n. 115.

Erano emerse preoccupazioni - lo ripeto - dai tecnici, soprattutto dai giuristi, dal prefetto e dal Ministero dell'Interno, rispetto a possibili squilibri territoriali, scompensi di rappresentatività territoriale, violazione di norme costituzionali, mescolamenti indebiti, così come anche a incertezze sulla tempistica, sul quando si deve votare e quanti devono votare. Siccome si vota prima degli altri, magari si vota prima che si sia compiuta la campagna elettorale, quindi negando il diritto all'informazione? Sono cose che non ho detto io, non sono mie annotazioni, sono annotazioni fatte dai tecnici, dai giuristi, insieme a tantissime altre. Io per questo vorrei rimandare chi è interessato a sentire nel dettaglio le criticità, la delicatezza e la complessità del tema a YouTube. Infatti, digitando “voto in comune diverso da quello di residenza, audizione del prefetto Sgaraglia”, si trova un'audizione che in modo sintetico rappresenta proprio la complessità e la delicatezza della materia. Per cui, non ci possiamo permettere di trovare soluzioni creative che vadano contro i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale, che norma in modo compiuto il voto. Si tratta di una Carta che evidentemente va rispettata a tempi alterni.

Allora, la complessità e la delicatezza della materia fanno sì che in alcuni casi proprio le proposte appaiano sufficienti a porre il problema ma non sufficienti a regolarlo. È qui che noi vogliamo intervenire, perché il problema viene rappresentato chiaramente anche dalla proposta di legge Madia che, però, non è esaustiva per regolarlo. Non abbiamo e non avevamo, tra le varie proposte di legge, una proposta di legge compiuta, nemmeno mettendole insieme, che potesse essere esaustiva nel risolvere i problemi. Sicuramente, li ha posti e questo lo condividiamo, assolutamente.

Devo dire che, a questo punto, mi appaiono assolutamente pretestuose tante polemiche che sono state sollevate dalla minoranza, anche alla luce di quanto detto dal prefetto Sgaraglia. Lo ripeto, invito ad andare su YouTube ad ascoltare, dalla sua bocca, le cose che adesso riporto. Egli ha infatti ha confermato, dietro domanda puntuale proprio della prima firmataria, Marianna Madia, che le criticità da lui rappresentate durante l'audizione che si è tenuta alla Commissione affari costituzionali il giorno 13 aprile ultimo scorso sono esattamente - ripeto, esattamente - le stesse criticità che erano state sollevate nella scorsa legislatura durante i lavori su questo tema, su questa materia, dal prefetto Orano. Ricordo che, allora, a capo del Ministero dell'Interno sedeva il Ministro Lamorgese, quindi completamente diversi erano il Governo, il Ministero, i tecnici ma le criticità erano le stesse, perché sono concrete. Quelle non sono né di destra né di sinistra né di centro, sono criticità concrete in una materia delicatissima e complicatissima, nella quale soltanto i tecnici più esperti riescono a raccapezzarsi.

A questo punto, sentiamo il mantra: nella scorsa legislatura non abbiamo potuto portare a termine i lavori su questa materia perché, ahinoi, la legislatura è stata interrotta. A parte il fatto che c'erano stati quattro anni e passa, prima, per portarli a termine, penso che non sia stato tanto per l'interruzione della legislatura, che non è arrivata al termine, ma perché ci sono stati proprio questi problemi effettivi, queste criticità reali che vanno risolte. Ciò vale, soprattutto, quando si vuole mettere insieme anche l'elezione nel più piccolo comune. Non so fino a che punto la questione possa essere risolvibile. Comunque, le criticità vanno risolte per garantire anche agli elettori fuori sede di poter votare nel comune di domicilio, con le stesse garanzie di sicurezza e segretezza del voto che avrebbero votando nel comune di residenza.

Quindi, rimandando al mittente - e concludo - tutte le polemiche che ci allontanerebbero dal vero obiettivo, che è quello di rimuovere gli ostacoli che si frappongono fra i cittadini e il voto, e che mi auguro che resti obiettivo comune, ribadisco che finalmente grazie al Governo Meloni e alla maggioranza di centrodestra i cittadini domiciliati in un luogo diverso da quello di residenza potranno votare in maniera sicura e nel rispetto della loro privacy. Con la delega al Governo potremo raggiungere l'obiettivo di normare la materia in modo che venga sancito il rispetto dell'esercizio del voto, tutelando questo diritto e garantendone allo stesso tempo la sicurezza e la riservatezza. Ricordo che, inoltre, viene prevista anche la rimodulazione degli interventi finanziari per le agevolazioni di viaggio per chi vorrà esercitare il diritto al voto in sede e spostarsi, quindi, dal domicilio.

È nello stile di questa maggioranza, Presidente: siamo aperti al confronto, sempre, siamo aperti al dialogo, sempre. La proposta di legge è stata recepita dalla minoranza, l'abbiamo incardinata alla Commissione affari costituzionali e, oggi, è in Aula. Non si capisce di che cosa questa minoranza si lamenti, perché i Regolamenti dicono che bisogna calendarizzare anche le proposte di legge della minoranza, ma andrebbe contro tutti i principi di democrazia che poi la minoranza decidesse dalla A alla Z come va riempito quel contenitore.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

ELISABETTA GARDINI (FDI). Concludo, Presidente. Lei capisce che ci sono parti politiche in questo Parlamento che sono abituate a comandare anche quando perdono le elezioni, ma si devono abituare al fatto che sono in minoranza e che c'è una maggioranza politica. Siamo aperti al dialogo e mi auguro che saranno tutti collaborativi per fare un buon lavoro e arrivare alla meta (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Baldino. Ne ha facoltà.

VITTORIA BALDINO (M5S). Signor Presidente, adesso glielo spiego io di cosa si lamenta la minoranza rispetto alla definizione dell'iter di questa proposta di legge.

PRESIDENTE. Si rivolga a me, la prego.

VITTORIA BALDINO (M5S). Sì, tramite lei, Presidente. Sentendo parlare alcuni esponenti della maggioranza, mi sembra di vivere in un mondo parallelo rispetto a come le cose stiano nella realtà. A parte che la realtà è complessa e l'iter che potrebbe portare al cambiamento, all'innovazione del nostro sistema di voto senza dubbio è complesso, nessuno dice il contrario, però non vogliamo condannare quello che è stato fatto prima a una damnatio memoriae, perché il lavoro per addestrare questa complessità è già stato fatto nella scorsa legislatura ed è qui. Questo è un lavoro che si trova negli archivi del Ministero dell'Interno, non è un lavoro di parte, è un lavoro che è stato promosso dall'allora Ministro con delega alle riforme istituzionali, Federico D'Incà, che ha istituito una commissione, una commissione contro l'astensionismo presieduta dal professor Bassanini e composta da autorevolissimi docenti ordinari di diritto costituzionale e anche dal prefetto Fabrizio Orano, direttore generale per i servizi elettorali del Ministero dell'Interno. Quindi, il lavoro di analisi del fenomeno è stato già fatto e le valutazioni delle criticità, anche in relazione al rispetto dei criteri previsti dall'articolo 48 della Costituzione rispetto al diritto di voto, sono state già superate da questo lavoro autorevole che è stato svolto nella scorsa legislatura e che è culminato anche con l'elaborazione di alcune proposte.

Adesso, arrivo alle proposte. Prima di tutto, però, vorrei esprimere il rammarico, Presidente, per come il Governo e la maggioranza hanno dimostrato mancanza di coraggio, innanzitutto, e scarso interesse. Questo lo dimostra anche il fatto che oggi né il relatore né il Governo abbiano deciso di intervenire in Aula su questa discussione generale, meno male che è un giorno di festa, questo, per la democrazia. Hanno dimostrato anche miopia nell'osservazione della realtà, sia internamente, nel nostro Paese, sia esternamente, rispetto a quello che avviene negli altri Paesi.

Infatti, diciamolo subito, l'Italia è l'unico Paese europeo, insieme a Cipro e Malta, che non ha un sistema di voto alternativo e, dall'analisi comparata di altri 19 Paesi liberaldemocratici, svolta dagli autorevoli esperti, di cui oggi si perde la memoria, risulta che l'Italia è l'unico Paese che non ha un sistema di voto alternativo, l'unico Paese che non è riuscito a superare queste criticità.

Ho sentito dire tante volte, rispetto a tanti temi, che la sinistra avrebbe governato per 10 anni, 11 anni, 14 anni. In questo Paese, negli ultimi 20 anni, hanno governato in egual misura destra e sinistra e nessuno ha risolto il problema (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Questa è la verità, se vogliamo dire la verità ai cittadini che ci stanno ascoltando, però qui non sono a rimarcare responsabilità. Poiché, nella scorsa legislatura un passo avanti è stato fatto, perché per la prima volta qualcuno si è assunto la briga di esaminare il fenomeno, fare un'analisi comparata, valutare le criticità ed elaborare proposte, partiamo dal lavoro che è stato già fatto, non ricominciamo da capo, altrimenti, facciamo come i gamberi: un passo avanti e dieci indietro.

Prima di tutto, vorrei esprimere un rammarico per quello che è accaduto in Commissione e per come si sono svolti i lavori, anche per la scelta del mancato abbinamento della mia proposta di legge, quella a mia prima firma, il cui abbinamento è stato bocciato dalla maggioranza successivamente a una previa, impropria ed insolita relazione della Sottosegretaria per l'Interno, Wanda Ferro, che ha demolito con argomentazioni assolutamente pretestuose - ma ci arrivo più avanti - la mia proposta di legge. Quindi, di 6 proposte di legge sul tema, tutte delle opposizioni, nemmeno una della maggioranza, ne sono state abbinate 5 - perché la mia, ripeto, si è ritenuto di non abbinarla - e, alla fine, come siamo arrivati in quest'Aula? Siamo arrivati con una proposta di legge annacquata, anzi, integralmente sostituita con un emendamento da una legge delega in bianco, che si attribuisce al Governo, il quale, se avesse voluto, avrebbe potuto benissimo utilizzare un disegno di legge, magari anche in maniera più compiuta. Però, siccome, evidentemente, non c'è, tra le sensibilità di questo Governo e di questa maggioranza, arrivare alla definizione di questo iter, che finalmente potrebbe portare alla rivoluzione del nostro sistema di voto, oggi, questa fiducia al Governo non mi sento assolutamente di darla.

Entriamo nel merito della questione, perché, se elaboriamo ed esaminiamo i dati, tutte le persone che hanno a cuore la democrazia non possono che leggere con preoccupazione i dati relativi al declino della partecipazione elettorale, che riguarda da tempo il nostro Paese. Infatti, se partiamo dalle prime elezioni repubblicane, per la Camera dei deputati, partecipò al voto oltre il 92 per cento della popolazione. Per le ultime elezioni politiche, quelle del settembre 2022, si è, invece, registrato il dato di affluenza più basso di sempre: soltanto il 64 per cento della popolazione è andato a votare ed è un dato che è sceso di 9 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni del 2018.

L'astensionismo, come abbiamo visto esaminando il fenomeno, può dipendere da diversi fattori, però, senza dubbio, si può distinguere tra chi si astiene per scelta, volontariamente, per protesta o per disinteresse nei confronti della politica, e chi lo fa per cause indipendenti dalla sua volontà, il cosiddetto astensionismo involontario. E chi sono? Sono le persone che hanno difficoltà, problemi di mobilità e quelle che si trovano fuori dal proprio comune di residenza per motivi di studio e di lavoro.

Volendo quantificare questo fenomeno, diversi studi indipendenti concordano nel ritenere che il numero stimato di cittadini, che vivono momentaneamente lontano dal proprio comune di residenza, è pari a quasi 5 milioni e si stima, inoltre, che rappresentano all'incirca l'11 per cento del nostro corpo elettorale, esclusi i 4 milioni di cittadini residenti all'estero, iscritti all'AIRE. Di questi 5 milioni, solo per fare un esempio, gli elettori - che, per rientrare dal luogo dove vivono e lavorano al luogo di residenza, ad esempio per votare, impiegano oltre 4 ore - sono quasi 2 milioni, quindi il 4 per cento degli aventi diritto al voto, senza contare, poi, l'astensionismo per motivi motori, che è quello che colpisce maggiormente le persone più anziane.

In generale, per dare l'idea dell'ampiezza del fenomeno e di quanto sia urgente intervenire per garantire istituzioni realmente rappresentative della volontà popolare - tutta e non soltanto di quella che decide o che ha la possibilità di decidere, di scegliere di esercitare il proprio diritto-dovere di voto - alle ultime elezioni l'astensionismo si attesta, come abbiamo detto, intorno al 36 per cento: tradotto in numeri, si tratta di circa 17 milioni gli italiani che non hanno avuto voce in queste elezioni.

Pensiamo che tutto il centrodestra, che attualmente governa il Paese, sulla base di una percentuale del consenso del 44 per cento, ha totalizzato 12 milioni di voti: un numero di voti largamente inferiore ai 17 milioni che si sono astenuti. Con questo non voglio, ovviamente, sminuire la legittimazione democratica della coalizione che oggi è al Governo, ma voglio significare che chiunque governi a queste condizioni non può sicuramente immaginare di rappresentare la maggioranza della popolazione, perché banalmente non è così e il partito, invece, che ha la maggioranza più ampia è quello del non voto. Sembra vuota retorica, ma, purtroppo, è la dura, triste e plastica realtà.

Ma la cosa ancor più grave, di cui bisogna prendere atto, è che questi numeri sono destinati ad aumentare, a causa dell'aumento dell'aspettativa di vita e, soprattutto, delle evoluzioni in atto nella nostra società, del moltiplicarsi degli spostamenti per ragioni di studio e di lavoro.

Proprio per tutti questi dati, per l'evoluzione del fenomeno che abbiamo descritto, desta stupore l'attenzione minimale, ipocrita, contingente che viene dedicata al tema sia da alcune forze politiche sia dai media che ne discutono quasi solo nell'imminenza delle consultazioni elettorali. Perché di astensionismo si parla, in generale, solo nei pochi giorni che precedono le elezioni e in quelli immediatamente successivi, ma, poi, tra un'elezione e l'altra, quando le istituzioni avrebbero il tempo di adottare misure concrete, subentra il famosissimo, celeberrimo benaltrismo - ci sono cose più importanti o ben altre cose urgenti da fare - e, quindi, la questione si inabissa ed esce dalle agende politiche.

Questa volta devo dire, però, che, grazie all'attenzione delle forze che attualmente compongono l'opposizione, il tema è stato posto in cima all'agenda del Parlamento, ma, come nelle migliori tradizioni, con il voto di domani rischia di inabissarsi ancora una volta. Eppure, intervenire per garantire a tutti la partecipazione non è soltanto un auspicio da fanatici della democrazia, ma è doveroso, perché, si ricordava poc'anzi, è compito fondamentale della Repubblica - scolpito nell'articolo 3, secondo comma, della Costituzione - rimuovere gli ostacoli alla partecipazione politica. Quindi, mi preme dire che, come ho anticipato prima, il nostro Paese è in ritardo rispetto agli altri, perché vediamo cosa accade negli altri Paesi. In ogni democrazia, le istituzioni cercano di fare tutto il possibile per sostenere, agevolare e favorire la partecipazione dei cittadini sia alle elezioni sia ai referendum e, quindi, per rimuovere ogni ostacolo che possa spingere all'astensione tutti coloro che vogliono esercitare con il voto il proprio diritto politico a partecipare alle scelte democratiche del Paese, mentre l'Italia, finora, ha fatto molto meno degli altri principali Paesi democratici.

Infatti, come dicevo prima, secondo la ricerca svolta dalla Commissione Bassanini, che ha preso in considerazione 19 Paesi ritenuti confrontabili con l'Italia, perché hanno un ordinamento o, comunque, sistemi politici liberaldemocratici come quello adottato dalla nostra Costituzione italiana, tutti i Paesi considerati prevedono modalità di votazione che consentono a coloro che sono lontani dal luogo di residenza o hanno difficoltà a recarsi al seggio di esercitare il diritto di voto nel giorno previsto della votazione oppure anticipatamente. Si tratta di modalità di voto alternative che sono utilizzabili, in alcuni Paesi, in via generale (sono generalizzati, cioè per tutti, indipendentemente dalle ragioni esposte dal singolo), mentre, in altri, soltanto al ricorrere di alcune condizioni, come, per esempio, la difficoltà di recarsi al seggio per motivi di salute o di lavoro, eccetera.

Se, invece, come abbiamo detto prima, ci limitiamo nel nostro raggio di osservazione ai soli Paesi europei, l'Italia è l'unico Paese, insieme a Cipro e Malta - che comunque sono Paesi molto piccoli - a non prevedere un sistema di voto alternativo. Ciò è abbastanza mortificante per un grande Paese come il nostro. Quindi, come dicevo, nessuno nega le difficoltà di un intervento che mira a modificare radicalmente il nostro sistema di voto, per renderlo più efficiente alla luce del contesto sociale radicalmente mutato rispetto a cinquant'anni fa. Una siffatta operazione richiede, infatti, un intervento e un'attività di raccolta dati e di comparazione con esperienze già consolidate degli altri Paesi, un esame approfondito del fenomeno dei rischi e uno studio su come mitigare tali rischi per elaborare un modello di voto in linea con i principi costituzionali. La notizia di oggi - che vi do perché, evidentemente, non ne siete a conoscenza - è che questo lavoro è già stato fatto ed è a vostra disposizione, vi basta andarlo a prendere, leggerlo, sfogliarlo, fare le vostre valutazioni e, poi, procedere. Infatti, nella scorsa legislatura, vista la spiccata sensibilità di alcune forze che componevano la maggioranza, prima tra tutte il MoVimento 5 Stelle, si è istituita una commissione che ha elaborato questa proposta. Sono stati individuati gli ostacoli da rimuovere e le criticità e, soprattutto, sono state individuate delle soluzioni. Proprio da qui trae spunto la mia proposta di legge, che maggioranza e Governo hanno ritenuto di non esaminare insieme alle altre quando invece, per esempio, la proposta di legge Madia, che arriva oggi in Aula seppure totalmente annacquata, prevede comunque lo stesso meccanismo di voto: un voto anticipato presidiato. Si tratta, ripeto, di una proposta esaminata da autorevoli esponenti anche dello stesso Ministero dell'Interno che oggi, invece, per bocca della Sottosegretaria di Fratelli d'Italia, Wanda Ferro, giudica in senso estremamente negativo, con motivazioni approssimative, opinabili e a tratti pretestuose.

Vediamo nello specifico che cos'è il voto anticipato presidiato. È una modalità di espressione del voto in grado di intervenire in maniera efficace sulle cause che sono alla base dell'astensionismo involontario, minimizzando i rischi di incompatibilità costituzionale. Perché questo? Perché, da un lato, presenta i vantaggi propri del voto per corrispondenza, perché consentirebbe di votare a distanza agli elettori che non possono recarsi al proprio seggio nel giorno delle elezioni; dall'altro lato, si tratta di una forma di voto presidiato che, quindi, consente di garantire la personalità, la libertà e la segretezza del voto, di cui all'articolo 48 della Costituzione. Il voto anticipato presidiato consentirebbe infatti all'elettore, che possa prevedere di avere difficoltà a recarsi al seggio nei giorni previsti per la votazione, di esercitare il diritto di voto nei giorni precedenti all'election day in qualunque parte del territorio nazionale, con le garanzie proprie del tradizionale procedimento elettorale. La proposta prevede che il voto avvenga in apposite cabine elettorali, collocate presso gli uffici postali. Perché gli uffici postali? Perché hanno una diffusione capillare su tutto il territorio nazionale, non c'è un paese dove non vi sia un ufficio postale. Oppure, eventualmente, possono essere collocate presso altri uffici pubblici, come gli uffici comunali e circoscrizionali. Attenzione: questa previsione che si voti presso gli uffici postali è stata esaminata e analizzata dalla commissione Bassanini e c'è stata un'interlocuzione anche con Poste Italiane. Quindi, sono stati fatti molti passi in avanti ed eravamo veramente pronti ad approvare questa proposta. Tuttavia, affinché ciò avvenga, affinché questa legge sia effettivamente efficiente e operativa, sono necessarie alcune operazioni propedeutiche che, a mio avviso, sono necessarie a prescindere dal tipo di sistema di voto che si decide di improntare. Infatti, nel 2023, sarebbe ora di salutare la vecchia tessera cartacea per fare spazio a un certificato elettorale digitale, che si rinnovi automaticamente alla scadenza e che chiunque possa sempre conservare sul proprio dispositivo, visto che con il dispositivo ormai facciamo tutto. Non capisco perché non possiamo avere una tessera elettorale digitale sul nostro dispositivo, sempre consentendo l'accessibilità alle persone più anziane che, magari, non hanno accesso ai dispositivi smartphone; però, la maggior parte della popolazione ha questo accesso.

Quindi, il primo presupposto è l'introduzione del certificato elettorale digitale, che consentirebbe anche un'immediata registrazione del voto, ovunque sia espresso, precludendo la possibilità di un doppio voto. Inoltre, è necessaria la programmazione di un'applicazione - altro strumento che ormai utilizziamo per fare qualsiasi cosa - grazie alla quale il funzionario incaricato possa accertare il diritto dell'elettore al voto e identificare il seggio elettorale di residenza dell'interessato. Infine, e soprattutto, è necessario provvedere de visu, seduta stante, alla stampa delle schede elettorali associate all'elettore per la specifica tornata elettorale. Quindi, io che sono un elettore fuori sede, ad esempio, un elettore calabrese fuori sede a Roma, vado a votare nell'ufficio postale di piazza Bologna e lì il funzionario incaricato stamperà, dopo l'esibizione del certificato elettorale digitale, la mia scheda elettorale della circoscrizione in Calabria. Per cui, io andrò a votare per i miei rappresentanti in Calabria, senza toccare la rappresentanza della mia circoscrizione. Così dovrebbe funzionare. Poi il voto sarebbe inserito in apposite buste da spedire al seggio naturale, dove le normali operazioni di voto potrebbero concorrere con quelle anticipate. In quel momento, le schede tutte uguali - quindi si cambierebbe anche la scheda elettorale - verrebbero inserite nell'urna e lo spoglio avverrebbe in maniera contestuale, garantendo effettivamente la segretezza del voto.

Il secondo presupposto, affinché questo sistema di voto diventi efficiente, ma anche in generale per efficientare i sistemi elettorali e per garantire e incentivare la partecipazione del voto, è concentrare il più possibile le scadenze elettorali in un massimo due appuntamenti annuali. Se i cittadini sono chiamati ripetutamente alle urne, è normale una carenza di informazione rispetto all'appuntamento elettorale. Basti pensare che solo nel quinquennio ottobre 2013-giugno 2018 si sono tenuti ben 64 appuntamenti elettorali. Invece, l'indizione di una sola data o di due date all'anno, di due appuntamenti elettorali da tenersi in determinati periodi stabiliti all'inizio dell'anno con decreto del Ministero dell'Interno, costituirebbe un incentivo alla partecipazione e consentirebbe di diminuire i costi a carico dello Stato.

A tale ultimo proposito, per quanto riguarda il luogo da adibire a seggi elettorali, come dicevo, la proposta individua gli uffici postali. Nonostante l'opinione espressa dal Ministero dell'Interno, per bocca della Sottosegretaria Wanda Ferro, in sede di abbinamento della mia proposta di legge, la proposta non è affatto peregrina, come la si vuole far passare. Se guardiamo a livello comparato, i seggi elettorali negli altri Paesi sono collocati di norma in edifici pubblici, in particolare nelle scuole, ma anche in centri culturali, nelle sedi comunali, nonché presso gli edifici di culto - si vota anche nelle chiese in alcuni Paesi - e nelle biblioteche, negli uffici postali e nei palazzetti dello sport. In taluni Paesi addirittura, come in Estonia, nei Paesi Bassi, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, le votazioni possono avere luogo anche nei centri commerciali e nei luoghi di ristorazione. La finalità unica è quella di individuare delle soluzioni che consentano la massima flessibilità nel raggiungimento della sede della votazione da parte degli elettori, così da favorire la partecipazione. Il requisito comune è quello di predisporre dei locali adeguati sotto il profilo della dimensione, sotto il profilo igienico e privi di barriere architettoniche, cosa che purtroppo spesso le nostre sedi scolastiche non garantiscono e questo è un ulteriore motivo per cui molte persone non vanno a votare. Quindi, dove è scritto che i seggi devono essere adibiti soltanto nelle scuole, come in Italia, con lo svantaggio peraltro di continue e ingiustificate interruzioni delle attività didattiche?

Per chiudere sul voto anticipato presidiato, bisogna anche dire che trova riscontro in altri Paesi, in 9 Paesi per l'esattezza, cioè Australia, Belgio, Canada, Danimarca, Estonia, Norvegia, Portogallo, Stati Uniti e Svezia; in 9 Paesi su 19 presi in considerazione.

In particolare, nella maggior parte di questi Paesi, si prevede la possibilità di votare di persona anticipatamente, non solo nel luogo di residenza, ma anche in altri seggi. Inoltre, in molti di questi la possibilità è riconosciuta alla generalità degli elettori, non soltanto a determinati elettori per specificati motivi individuati.

Quindi, voglio smontare punto per punto - perché questa discussione generale mi dà anche l'occasione di farlo - le critiche che sono state rivolte a questa proposta di legge dal Governo. Infatti, come abbiamo detto, questa era una proposta frutto di analisi e di comparazione con altri Paesi, che ha ricevuto critiche aspre e una bocciatura ingiustificata da parte della maggioranza che, purtroppo, devo dirlo, ha dimostrato approssimazione e scarsa conoscenza del fenomeno che si intende aggredire e anche di ciò che accade negli altri Paesi.

In particolare, con mio grande stupore sono state sollevate critiche alla proposta dell'election day, ossia alla proposta di concentrare gli appuntamenti elettorali in due turni annuali, perché, a vostra opinione, determinerebbe un notevole aggravio di spesa - semmai è il contrario! - e che si renderebbero necessarie specifiche disposizioni di coordinamento per gli adempimenti dei comuni e perfino per il funzionamento degli uffici elettorali di sezione. Che grande sforzo immane, a fronte, invece, di un consistente recupero di costo e soprattutto di elettori! Mentre, in generale, il sistema di voto anticipato presidiato sempre dal Governo - da questo Governo - è stato giudicato troppo ampio e generico, poiché la disciplina prevista sembra applicarsi a ogni tipo di consultazione elettorale, non identifica categorie di elettori che ne possano beneficiare e non introduce alcun elemento temporale di temporanea residenza fuori dal proprio collegio. Allora, posto che si ripropone quanto accade senza problemi in molti altri Paesi, vi riempite tanto la bocca di parole come “sburocratizzare”, “semplificare”, “agevolare”, ma voi volete risolvere il problema, oppure lo volete aggravare? Perché noi lo vogliamo risolvere. Se lo si vuole risolvere, non lo si fa prevedendo tagliandi vari, carte bollate, scartoffie, che invece di avvicinare l'elettore, lo allontanano ancora di più. Votare deve essere semplice, garantito e accessibile a tutti, ovunque.

Poi, un'ulteriore critica mossa dimostra proprio l'incomprensione della proposta di legge che invece era chiarissima e corredata anche da un'ampia relazione illustrativa puntuale, che ne anticipava i contenuti. Si rilevava un'apparente discrasia tra la stampa de visu della scheda elettorale e lo scrutinio presso il seggio naturale, ammonendo che tale modalità di scrutinio non sarebbe in grado di garantire l'irriconoscibilità delle schede votate in anticipo, creando un serio vulnus al principio costituzionale di segretezza del voto. Ora, a parte che scopriamo oggi che vi interessa garantire l'irriconoscibilità del voto, quando in Giunta per le elezioni volete affermare il principio esattamente contrario (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), addirittura legalizzando un surrettizio sistema di controllo del voto retroattivo, sovvertendo il risultato elettorale di schede già votate. Volete cambiare il risultato dopo, introducendo la riconoscibilità del voto. Quindi, rispetto ad alcune elezioni si può fare la riconoscibilità del voto, è legittima, è costituzionale, non ve ne frega niente. Invece, per garantire e consentire a tutti di votare, no, c'è un problema di garantire la segretezza del voto: cosa che assolutamente non è, perché la proposta di legge, forse, non l'avete neanche letta, non l'avete neanche capita! L'intenzione non è quella di rendere ancora più complicate le operazioni di voto, ma è quella di agevolarle e anche di cambiare la scheda elettorale. Ma è un problema del 2023 cambiare il formato della scheda elettorale per rendere il voto accessibile a tutti? A me non sembra, non sembra proprio, perché io credo che l'obiettivo principale sia quello di garantire la massima partecipazione.

Poi, l'ultima critica, davvero pretestuosa, consisterebbe nel fatto che l'anticipazione del voto determinerebbe un'anomala compressione del periodo di campagna elettorale a svantaggio degli elettori che decideranno di votare in anticipo. Ma scusate, con i 4 milioni di elettori all'estero che cosa succede? Non succede questo? Non votano in anticipo? Non c'è anche per loro la compressione della campagna elettorale? E in tutti gli altri Paesi che cosa succede? Non succede, pure, questo?

Ascoltando le vostre perplessità, la sensazione è che si vogliano cercare problemi, anziché trovare soluzioni. Io vorrei capire - e non solo io, ma tante persone che ci stanno ascoltando, tutte le reti per il voto fuori sede, tutti i giovani del nostro Paese - se il mio Paese è disposto ad assumere su di sé l'onere di cambiare il formato delle schede e di rinunciare a qualche giorno di campagna elettorale, pur di allargare la partecipazione al voto e garantire a tutti questo diritto sacrosanto, sancito dalla nostra Costituzione. La domanda è solo una: siete disposti o non siete disposti? Perché, se non siete disposti - e così mi state dimostrando - è inutile che facciamo questa pagliacciata, oggi, della legge delega, perché tanto non avete intenzione di risolvere il problema, volete solo prendere tempo.

Infatti, noi, oggi, Presidente, e mi sto avviando a conclusione, non voteremo a favore, perché ci sembra una mortificazione del Parlamento sostituire integralmente una proposta di legge delle opposizioni, inserita in calendario in quota opposizione, con una legge delega. È una mortificazione vera e propria, è come dire che il Parlamento non è in grado di legiferare su un argomento che, invece, è prettamente materia legislativa. E poi è anche una presa in giro, perché, come dicevamo, se il Governo avesse voluto la delega, avrebbe presentato un disegno di legge delega o l'avrebbe fatto presentare a qualche esponente della maggioranza. Invece, sul tema, le proposte di legge erano tutte a prima firma delle opposizioni. Quindi, dicevo, sebbene non voteremo a favore, oggi siamo in Aula, perché abbiamo deciso, insieme alla collega Madia, agli altri gruppi e alla collega Grippo, di mantenere in piedi questa proposta di legge. Quindi, di fatto, quella che stiamo compiendo oggi è un'apertura di credito nei confronti del Governo: un credito, però, condizionato a un'intensa attività di pressione e di ispezione che ci appresteremo a portare avanti anche con il sostegno delle associazioni che da sempre si spendono su questo tema e di migliaia di giovani che ci osservano e che aspettano finalmente una svolta.

Quindi, vi esorto a farvi coraggio per fare in modo che la volontà politica su questo tema, se è presente e se c'è, abbia la meglio sulla resistenza dei burocrati di Palazzo. E che per una volta dimostriate che la resistenza al cambiamento, su una materia così fondamentale per la nostra democrazia, non vi appartiene. Come si dice, un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa. Noi ci vogliamo ascrivere tra i primi, voi avete deciso di indossare la maglia dei perdenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Salutiamo i giovanissimi allievi dell'Istituto comprensivo Greve in Chianti, di Greve, che da oltre mezz'ora assistono ai nostri lavori (Applausi). Saranno poi chiamati a fare un riassunto di quello che hanno sentito. Non è vero, non vi preoccupate.

È iscritta a parlare l'onorevole Grippo. Ne ha facoltà.

VALENTINA GRIPPO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. È bene che ci siano oggi dei giovani ad ascoltare la nostra discussione, perché, per quanto barocca e articolata, ha al centro ben due aspetti fondamentali per il loro futuro. Il primo è se verrà garantito il loro diritto al voto, anche laddove scelgano di andare a studiare o a lavorare da un'altra parte del nostro Paese. Il secondo è se vedranno questa istituzione parlamentare avere ancora la facoltà di svolgere appieno la propria funzione. Io ho la sensazione che la discussione di oggi sia lunare, grottesca.

C'è un tema sul quale… Presidente già siamo pochi, se ci ascoltiamo fra di noi forse…

PRESIDENTE. È colpa dell'onorevole Zaratti!

VALENTINA GRIPPO (A-IV-RE). Fra l'altro, una delle particolarità della discussione odierna è che è talmente lunare e grottesca che la maggioranza è riuscita nel miracolo di far essere tutte le opposizioni concordi e granitiche nel denunciare la surrealtà del metodo che andiamo a validare oggi, spero di no, e domani con il voto.

E vengo a riassumere dei punti che, a mio avviso - come hanno bene illustrato i colleghi che mi hanno preceduto, anche i colleghi della maggioranza - sono chiari e condivisi da tutti.

Il primo punto è che solo in Italia non è consentito votare presso il proprio domicilio; tra tutti i Paesi europei rimaniamo solo noi, Malta e Cipro; tutte le altre democrazie, negli ultimi dieci anni, si sono dotate successivamente di questo strumento.

Siamo anche tutti d'accordo che sia un'indecenza il fatto che 5 milioni di persone non possano votare: stiamo parlando del 10 per cento degli elettori italiani. In quest'Aula - io seguivo tale discussione prima ancora di prendervi parte - da 10 anni si presentano proposte di legge per cercare di superare questo vulnus. Siamo anche tutti d'accordo sul fatto che gli strumenti per risolvere questo problema esistono: possono votare i militari quando si trovano in un domicilio diverso da quello della loro residenza e possono votare i residenti all'estero, con il paradosso che, se nostro figlio studia a Cambridge può votare, se studia a Milano non può votare; possono votare le persone con disabilità o quelle che hanno una fragilità che impedisce loro di recarsi sul luogo del voto e, giustamente, possono farlo presso il proprio domicilio.

Gli strumenti ci sono, sono diversi e sarebbe stato bello discutere in quest'Aula - e, naturalmente, sarebbe passato lo strumento prediletto dalla maggioranza - del voto anticipato presidiato, del voto per corrispondenza, del voto telematico, dei tanti strumenti che la modernità e il benchmark delle altre democrazie del mondo ci presentano, e di quale avremmo voluto utilizzare nel nostro Paese.

Quindi, siamo davanti a un paradosso. C'è un quadro chiaro di quello che c'è, di quello che va fatto e c'è una comune volontà in quest'Aula, della maggioranza e dell'opposizione, di garantire questo diritto; c'è addirittura un impegno in quest'Aula della maggioranza. Non mi riferisco solo a quello che Giorgia Meloni diceva nel 2010, da Ministro delle Politiche giovanili, ossia che, al più presto, si sarebbe dovuta implementare una norma per consentire agli studenti fuori sede di votare; mi riferisco a ciò che è stato detto dalla maggioranza in quest'Aula.

Forse ricorderete che, durante i lavori sul decreto per le elezioni regionali, presentai, con la sottoscrizione di Marianna Madia e di altri colleghi, un ordine del giorno con cui chiedevamo di attivare le modalità che consentissero agli studenti e ai lavoratori fuori sede di votare presso il proprio domicilio. Ebbene, all'epoca voi interveniste in quest'Aula dicendoci che non sapevate se sareste riusciti a fare in tempo per le elezioni regionali di qualche mese fa, ma che era già tutto pronto, tanto che tutta l'Aula, all'unanimità, votò a favore di quell'ordine del giorno; e il Governo disse - risulta dal resoconto stenografico - che avrebbe fatto di tutto per garantire il voto fuori sede, forse non per le regionali, ma per le amministrative. Le amministrative si sono tenute ormai qualche settimana fa e, ahimè, anche in quell'occasione, 5 milioni di cittadini non hanno avuto l'opportunità di votare. Ma eravate d'accordo anche voi della maggioranza che in modo semplice fosse possibile dare attuazione a questo principio! Allora, cosa è successo nel frattempo?

È successo quello che succede a chiunque governa. Chiunque governa si confronta con la resistenza della macchina amministrativa al cambiamento. Noi abbiamo già detto al Governo Meloni che, ogni volta che si tratterà di modernizzare il Paese, ci troverà dalla sua parte. Ci sarà sempre il voto favorevole del terzo polo, di Azione-Italia Viva, su qualsiasi trasformazione, deburocratizzazione, semplificazione o tutela dei diritti civili dei cittadini. Allora, perché oggi ci troviamo a discutere in una situazione così paradossale? Come sarebbe potuta andare la giornata di oggi se questo fosse stato un mondo normale? Avremmo discusso, la maggioranza avrebbe fatto le sue proposte di merito, noi avremmo fatto le nostre, il Governo avrebbe valutato che cosa poteva essere accolto, non avremmo spogliato il Parlamento della sua prerogativa, specialmente in materia elettorale, di decidere quali sono le regole del gioco con le quali si andrà alle elezioni e avremmo riconosciuto un diritto di tanti nostri concittadini.

Invece abbiamo scelto di fare un'altra cosa. Voglio ancora pensare che sia stata una distrazione, una voglia di pragmatismo o che i colleghi della maggioranza o la Presidenza non abbiano voluto creare un precedente così grave.

Mi è capitato, in questi giorni, per caso, di parlare con un esimio esponente della Corte costituzionale di quello che sta avvenendo oggi in quest'Aula. Ebbene, dal punto di vista costituzionale e dal punto di vista del metodo, forse quello che stiamo facendo è ancora più macroscopico rispetto al profilo del merito della questione. Sinceramente, a me neanche interessa più di tanto che stiamo parlando di proposte di legge presentate dalla minoranza; questo attiene a un altro vulnus e, in un'istituzione democratica, in sede parlamentare, forse è una questione di rispetto; avete ragione sul fatto che non vi sia un diritto della minoranza a vedere approvate le leggi che si propongono così come le si propongono: siamo minoranza e vince chi ha i numeri; ma sicuramente quella di vedere discusse le proposte che si vogliono fare all'Aula è una prerogativa costituzionale importante del Parlamento. Allora, privarsene per una ragione che voi - non io - avete definito come tecnicamente non così articolata e complessa, ma semplicemente con delle specificità che possono essere discusse, non ha senso.

La proposta di legge che ho presentato - che non aveva maggiore dignità di quelle della collega Baldino, della collega Madia o delle altre che stiamo discutendo - aveva un impianto leggermente diverso e delegava il Governo - come è normale che sia - a varare dei regolamenti attuativi che avrebbero, poi, nella pratica, tradotto in operatività i principi votati in sede parlamentare.

Ebbene, voi vi rendete conto che cosa significhi una prassi parlamentare per la quale, su qualsiasi legge, la maggioranza vota un articolo che stralcia la discussione parlamentare e decide che se ne occuperà il Governo, che non ha un'opposizione, anche con riferimento a una discussione critica dell'elaborazione parlamentare? Da domani, potremmo farlo su tutto: sull'energia, sulla disabilità, sulla famiglia, sul lavoro.

La Costituzione dice con grande rigore quali sono le condizioni e qual è il metodo con il quale l'Esecutivo entra nel processo legislativo. Ci sono tre strade: la proposta di legge di iniziativa governativa, il decreto-legge e il decreto delegato, con dei paletti molto chiari. Non ci sfugge che, all'inizio, l'emendamento che inserisce una legge delega, questa creazione costituzionale, ha iniziato il suo percorso essendo incostituzionale in sé perché non aveva neanche dei termini temporali. I termini sono stati inseriti in corso d'opera perché ci si è resi conto della macroscopicità di quello che stava avvenendo. E sapete quali termini sono stati proposti dalla maggioranza che aveva detto - ripeto - che non sapeva se ce l'avrebbe fatta a garantire il voto fuori sede per le regionali 2023 e che avrebbe provato a farlo per le amministrative del 2023? Sapete quali sono i termini con i quali noi discutiamo domani? Diciotto mesi più un anno per l'attuazione: 30 mesi, due anni e mezzo per una cosa che voi stessi avete detto essere pronta.

Allora, so che questa resistenza non è del Governo o dei miei colleghi parlamentari, ma viene dalla burocrazia, che ha sempre paura del cambiamento. Però, quando noi dobbiamo affermare dei diritti, dobbiamo avere il coraggio di sfidare anche la resistenza al cambiamento della burocrazia. Non possiamo diventare dei passacarte e lo dico con un totale rispetto di chi fa questo mestiere, delle osservazioni e dei rilievi che vengono fatti.

Ma la volontà di cambiare deve passare anche per la forza compatta del Parlamento di imporre la trasformazione quando questa è necessaria, perché tante rivoluzioni democratiche avvenute in questo Paese, se noi avessimo seguito l'istinto di conservazione inerziale di chi opera dentro la pubblica amministrazione, non sarebbero state fatte.

Allora, vi prego e prego i colleghi della maggioranza di fare due riflessioni: la prima è se davvero abbia senso istituire questo precedente, in virtù del quale ci spogliamo delle nostre facoltà di discutere. Parlo, peraltro, a delle forze politiche.

Giorgia Meloni ha svolto in quest'Aula per tanto tempo un ruolo di opposizione e l'ha svolto appieno, facendo proposte di legge e discutendole anche con veemenza e con forza. Ebbene, attraverso lei, l'appello, anche rivolto alla Presidente del Consiglio, è di rendersi conto di cosa succede se stabiliamo che il Parlamento possa privarsi di una discussione scomoda o su cui non c'è l'unanimità. Io ritengo di no, che non sia nell'idea né di questo Governo né di questo Parlamento, e penso che una riflessione su questo possa essere fatta.

Ma, in secondo luogo, vi faccio un altro appello, che è di merito. Presenteremo domani una serie di emendamenti e tra questi uno sui tempi. Allora, se vogliamo credere alla narrazione che voi date, se vogliamo credere che questa delega e questo emendamento non siano un modo per lanciare la palla in tribuna e lasciare che la partita finisca, se davvero voi siete pronti (manca poco), allora, per favore, raccogliete l'emendamento che abbiamo firmato tutti noi dell'opposizione, con cui vi chiediamo di dare un termine stretto, che era quello che voi stessi avete annunciato in quest'Aula, cioè tre mesi, perché un termine di 18 mesi, a cui si aggiunge un altro anno, arrivando così a 30 mesi, significa decidere che i giovani di questo Paese, già così disaffezionati, fra un anno non voteranno alle elezioni europee, che è una votazione importante per tutti.

Faccio presente che tutti questi giovani non votano Azione, 5 Stelle, Partito Democratico o Verdi: sono giovani che votano per Fratelli d'Italia, Forza Italia o Lega. Sono giovani che vogliono esprimere la propria posizione e, ovviamente, parliamo dei giovani, perché sono la maggior parte di questi 5 milioni di persone, ma ci sono anche persone di età più avanzata, lavoratori e altre persone ancora.

Allora, domani in quest'Aula ci sarà un referendum tra chi vuole far votare queste persone nel 2024 e chi non le vuole far votare. Questo racconteremo alla stampa, questo dovranno sapere le associazioni degli studenti e questo dovranno sapere i cittadini, perché di ciò si tratta. Qualcuno ha paura del voto dei giovani alle europee? Se non si ha paura del voto dei giovani alle europee, visto che il futuro è soprattutto loro, mettiamoli nella condizione di poter scegliere.

Ovviamente, a me piacerebbe - so che è un mondo dei sogni, ma ogni tanto le istituzioni, in questi 12 anni, mi hanno stupito con atti di orgoglio - che arrivasse dal Governo Meloni e dalla maggioranza una richiesta di riportare alla discussione parlamentare questa proposta di legge, perché sarebbe una grande prova di democrazia e di maturità istituzionale. Ma se questo non avverrà, vi chiedo, in subordine, di recepire l'emendamento sui termini - nonché gli altri emendamenti che vi presentiamo - perché questo emendamento è il termometro che ci dice se c'è l'intenzione di fare questa riforma o non c'è l'intenzione di farla. È chiaro a tutti che se diamo 30 mesi perché questa avvenga abbiamo scelto di non farla. Dunque, i 5 milioni di persone - ci saranno appelli e ci saranno richieste - che chiedono di votare hanno il diritto di ottenere da quest'Aula un messaggio chiaro.

È talmente macroscopico quello che oggi sta avvenendo - lo ripeto - che voglio pensare che ci sia buona fede o che qualcosa sia sfuggita di mano: lo dico anche a lei, Presidente, che ha esperienza dei lavori di quest'Aula e sa che sta avvenendo su un tema, tutto sommato, non divisivo, se non nei confronti della pubblica amministrazione e penso che i colleghi siano quasi tutti convinti. Ma cosa avverrebbe se lo stesso metodo venisse utilizzato di default? Siamo già un Parlamento in cui la maggior parte delle leggi che votiamo è di conversione di decreti-legge e in cui la fiducia viene posta con un ritmo incessante, e - ripeto - non mi riferisco solo a questo Governo, perché lo svuotamento del ruolo dell'organo legislativo è sotto gli occhi di tutti e, ahimè, avviene da tanti anni. Se a tutto ciò aggiungiamo quest'ultimo tassello, ossia la possibilità di prendere ogni proposta di legge della minoranza, ma anche della maggioranza, che per qualche motivo il Governo vuole che sia a sua immagine e somiglianza, senza nemmeno una discussione parlamentare, allora ogni volta un membro della maggioranza, che vuole farsi bello agli occhi del Presidente del Consiglio, può presentare un emendamento e finisce la discussione. Questo non mi sembra serio nei confronti del Parlamento e, soprattutto, nei confronti dei cittadini che rappresentiamo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaratti. Ne ha facoltà.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). Signor Presidente, signora rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, in verità questa mattina mi aspettavo un ringraziamento da parte della maggioranza nei confronti dell'opposizione, perché, finalmente, arriviamo a discutere un provvedimento con lavori di ordinaria amministrazione, così come si dice. Dopo tante, tante, tante fiducie finalmente abbiamo un provvedimento del quale si discuterà nel merito nell'Aula preposta a questo, cioè l'Aula della Camera dei deputati.

Avevamo perso un po' l'abitudine, visto quello che è accaduto nell'ultimo periodo, dove i voti di fiducia si susseguono uno dietro l'altro e, addirittura, ce ne sono due a settimana. Spero che non raggiungiate, signori rappresentanti della maggioranza, il record di tre fiducie in una sola settimana, perché credo che questo non sia mai accaduto nella storia della nostra Camera.

Voglio davvero ringraziare i colleghi delle opposizioni, perché questa volta, più di altre, siamo riusciti a lavorare con grande unità e con un grande coordinamento, cercando di rappresentare le istanze di quelle giovani e di quei giovani che, in questi anni, si sono battuti per cercare di esercitare un diritto fondamentale, che è il diritto al voto.

Il provvedimento di oggi, secondo me, pone tre questioni. La prima è che questa proposta di legge arriva in Aula in quota alle opposizioni. Mi sarei aspettato, da parte della maggioranza, una comprensione maggiore rispetto alla qualità di questa proposta. Mi sarei aspettato che, proprio perché era in quota all'opposizione, non ci fosse quel tentativo, che è stato in realtà realizzato, di stravolgere completamente il testo della proposta di legge, introducendo una delega, della quale parleremo dopo, che, appunto, cambia sostanzialmente il significato di questa proposta di legge. Viene da domandarsi a che servano, allora, le proposte di legge in quota alle opposizioni.

Ovviamente, non è automatico il fatto che le opposizioni presentino proposte di legge in Aula e che la maggioranza le debba votare, dato che, naturalmente, può anche votare contro. Quello che, secondo me, è discutibile e che dovrebbe diventare oggetto di una discussione, anche regolamentare, è il fatto che la maggioranza cambi sostanzialmente la natura del provvedimento, attraverso un emendamento in Commissione, e questo francamente crea un problema che deve essere assolutamente risolto.

È una questione che riguarda sia la vicenda del voto dove vivo sia i lavori ordinari della nostra Camera. È una questione importante per la democrazia, cioè il fatto che le opposizioni vogliono discutere in Aula un provvedimento di legge che loro propongono esattamente così come lo propongono. Credo che questo fatto vada rivalutato e ritengo che la vicenda vada segnalata anche alla Giunta per il Regolamento che sta lavorando sul nuovo Regolamento della Camera. Ripeto: la maggioranza non è obbligata, ovviamente, a votare quel provvedimento e può votare contro, ma certamente stravolgerne il contenuto non è la cosa migliore che si possa immaginare.

La seconda questione che solleva questo provvedimento è la vicenda della delega troppo ampia in materia elettorale. Noi siamo molto dubbiosi se questo possa essere costituzionalmente consentito, perché sappiamo che, sulla materia elettorale, c'è la riserva di legge e si può intervenire soltanto attraverso una legge. In altre occasioni è stata data una delega, come, per esempio, in occasione della definizione dei collegi elettorali, ma sono state deleghe molto tecniche e strettamente definite. Mai, come in questa occasione, è stata data una delega così ampia al Governo e questo, secondo me, è un precedente che andrebbe analizzato, un precedente importante, perché delegare al Governo una materia così delicata, come quella della materia elettorale, potrebbe rappresentare un problema serio per come noi intendiamo la democrazia nel nostro Paese.

Quindi, siamo scettici, siamo dubbiosi rispetto alla possibilità di questa delega così ampia, seppur corretta in Commissione, e ringrazio l'onorevole Bordonali dell'emendamento che ha presentato, per porre limiti temporali a questa delega che, nella prima stesura, non erano addirittura previsti.

L'altra questione è il ruolo - stiamo nel merito - che gioca il Ministero dell'Interno. Francamente, non è compito del Ministero dell'Interno dire se si può fare o non si può fare, perché parliamo di una delle questioni fondamentali della democrazia, ossia la possibilità per 5 milioni di cittadine e di cittadini italiani di esercitare il loro diritto di voto. Siccome la Costituzione specifica in modo abbastanza chiaro che la sovranità appartiene al popolo, in quell'articolo non è specificato che appartiene al popolo limitatamente ai cittadini residenti. Prevede, più ampiamente, che la sovranità appartiene al popolo. Il diritto di voto è un diritto politico fondamentale per l'esistenza di qualunque democrazia. Non permettere a 5 milioni di cittadine e di cittadini italiani l'esercizio di questo voto non è possibile. Non è che non si può fare, non è possibile. E che il Ministero dell'Interno ci venga a dire in audizione che, per quel motivo tecnico o quell'altro motivo tecnico, questo non si può fare, quell'altro non si può fare, è assolutamente folle, anche perché il voto a distanza è permesso in tutte le democrazie europee, forse mondiali. Non c'è alcuna democrazia che non preveda un voto a distanza. Ma, per essere precisi, cara Sottosegretaria, anche in Italia abbiamo il voto a distanza, perché i nostri cittadini all'estero votano per corrispondenza.

Mi domando e domando, ma se per questi cittadini giustamente è consentito di votare per posta, con tutti i problemi tecnici che questo comporta, perché esercitare quel diritto è una questione fondamentale, e pertanto si sono organizzati e si sono risolti i problemi tecnici relativi a questa questione, come mai non riusciamo a fare la stessa cosa per i cittadini italiani che sono residenti in Italia? Utilizziamo un sistema simile. Se nella nostra legge elettorale è prevista la possibilità del voto per corrispondenza, non si capisce per quale ragione non lo facciamo anche nel nostro Paese, considerato che le altre soluzioni prospettate, forse anche più ragionevoli, sono state tutte scartate.

Ma mi domando, la maggioranza che siede nei banchi della Commissione e nei banchi di quest'Aula è autonoma rispetto alle decisioni che prende o no? Perché sembra quasi che prenda le indicazioni dal Ministero dell'Interno. Ma neanche dalla parte politica del Ministero dell'Interno, prende le indicazioni e segue pedissequamente le indicazioni della parte tecnica del Ministero dell'Interno. Scusatemi, ma tutto ciò è ridicolo, quando noi siamo di fronte a una questione che riguarda il diritto di voto dei cittadini e delle cittadine.

Noi dovremmo fare di tutto, sempre, per assicurare l'esercizio di questo voto; e non soltanto, ovviamente, perché c'è una disaffezione al voto sempre più pronunciata, e quindi per cercare di coinvolgere e migliorare la nostra organizzazione elettorale, che, devo dire, è rimasta ferma ai tempi della Costituente. Ora, a parte la scheda elettorale, con tutti i timbri che abbiamo introdotto qualche anno fa, il sistema è identico a quello che ha permesso ai nostri genitori e ai nostri nonni di partecipare alle elezioni dell'Assemblea Costituente. È evidente che è necessario migliorare quel sistema anche alla luce delle tecnologie e del cambiamento della società che c'è stato in questi 70 anni, e quindi permettere a più persone di partecipare al voto, per avere una migliore rappresentanza di quello che pensa il nostro Paese ma, soprattutto, stiamo parlando di un diritto inalienabile, fondamentale della nostra Carta costituzionale, e cioè che la sovranità appartiene al popolo, quindi appartiene a tutte le cittadine e a tutti i cittadini. E a tutti quanti e a tutte quante va garantito il diritto di votare, il diritto di esprimere il voto. Ovviamente 70 anni fa, signor Presidente, le situazioni erano diverse. Così tanti ragazzi che studiavano in altre città non c'erano, e neanche i cambiamenti di residenza per via del lavoro; l'emigrazione interna che c'è stata in quegli anni si basava su lavori stabili. Pertanto le persone che si trasferivano di città normalmente acquisivano la residenza della nuova città di appartenenza. Oggi non è più così, ci sono milioni di persone che hanno diritto a esercitare il proprio voto e che non ci riescono, per le condizioni sociali ed economiche. Pensate quanto è importante per una famiglia, che magari fa un sacrificio enorme per permettere al proprio figlio o alla propria figlia di studiare e di pagare - come abbiamo constatato anche in occasione delle discussioni che ci sono state in questi giorni - il costo degli affitti per gli studenti universitari, per gli studenti fuori sede, gravarsi anche del fatto di dover affrontare una spesa importante per permettere al proprio figlio o alla propria figlia di esercitare il voto. Ma di queste questioni un Paese sano, un Paese serio, se ne occupa, non sta ad aspettare quello che dice il Ministero dell'Interno perché, come giustamente veniva citato dalla collega Grippo, il provvedimento viene da lontano, non è che ne stiamo discutendo noi per la prima volta.

Il collega Iezzi lo sa bene, già nella precedente legislatura si era discusso approfonditamente di questo argomento. Ma mi domando, in tutti questi anni, il Ministero dell'Interno non è riuscito a formulare un'ipotesi che permetta a queste persone di votare? Troppo scomodo, troppo lavoro, troppa fatica? Assumiamo qualcun altro, se non bastano i funzionari in carica al Ministero dell'Interno o delle prefetture per fare questo lavoro fondamentale, perché su tante cose si può discutere, ma non sul diritto di voto, su quello non si può discutere.

Quando un'opposizione presenta una proposta di legge, deve avere il rispetto della maggioranza. Voglio ricordare quando è stato introdotto il diritto di voto per i cittadini residenti all'estero. Questa proposta venne fatta da un deputato dell'opposizione, l'onorevole Tremaglia, e fu approvata senza alcuna particolare intromissione da parte del Governo di centrosinistra. Fu approvata nel 2001, aveva come promotore appunto l'onorevole Tremaglia in quanto parlamentare, non in quanto Ministro del Governo Berlusconi. Fu approvata così come era stata proposta e si trovarono le modalità per permettere ai cittadini italiani all'estero di poter esercitare il proprio diritto di voto. Ora, quanto meno, utilizzate lo stesso stile che ha avuto il centrosinistra nei confronti dell'onorevole Tremaglia per quanto riguarda il diritto degli italiani che sono residenti in Italia, e che vivono in un'altra città, di esercitare il proprio diritto di voto. Il tema riguarda i giovani studenti, riguarda i giovani lavoratori precari. La precarietà è una questione importante, Presidente, in questa discussione, perché un giovane che si trasferisce di città e ha un lavoro definitivo, a tempo indeterminato, diventa residente della nuova città. Un giovane che va a fare il precario non diventa residente della nuova città, quindi noi stiamo penalizzando i giovani precari, ancora una volta, anche per il diritto di voto, anche per manifestare un'opinione. Stiamo penalizzando i giovani studenti, stiamo penalizzando le persone lontane da casa per motivi di salute. Non può essere giustificabile la posizione del Ministero dell'Interno e, tanto meno, può essere giustificabile la posizione della maggioranza, che si appiattisce su quella posizione del Ministero dell'Interno. Facciamo come con gli italiani all'estero, facciamo votare questi ragazzi e ragazze per corrispondenza, se non ci sono altre possibilità. Questa legge è particolarmente importante perché riguarda la sovranità, quella vera, su chi ha diritto a partecipare alle scelte fondamentali della vita del Paese e come può accedere a questo diritto.

Quando non viene concesso l'accesso a un diritto come questo, ciò significa negare il diritto di voto a 5 milioni di persone. È un reato gravissimo, è quasi un attentato alla Costituzione, perché la Costituzione si basa su questo fondamentale principio.

Per questo, secondo me, voi state sbagliando, amici della maggioranza; state sbagliando perché, accondiscendendo così alle incertezze, e me lo si lasci dire, anche un poco alle negligenze del Ministero che, per tanti, tanti, tanti mesi non ha pensato a trovare una soluzione il più possibile adeguata alle esigenze del Ministero stesso, ecco, accondiscendendo a tutte queste questioni, state perdendo di vista qual è il compito fondamentale della Camera dei deputati e dei legislatori, e cioè quello di fare delle leggi che, in primo luogo, consentano a tutte le cittadine e a tutti i cittadini lo stesso diritto di esprimere il proprio parere, la propria opinione, in occasione delle elezioni importanti che ci sono nel Paese. La prima tra queste elezioni importanti è quella delle elezioni europee. Sempre di più la funzione dell'Europa incide sulle scelte che ogni singolo Paese fa e il fatto di poter partecipare alle prossime elezioni europee è importante, anche per un europeismo diffuso tra i giovani e le giovani del nostro Paese, per il fatto che si sentono molto cittadini d'Europa, i nostri giovani e le nostre giovani. Non fare in modo che possano partecipare a questa scadenza elettorale sarebbe assolutamente grave.

Io penso che si possa correggere il provvedimento, perché noi dell'opposizione abbiamo presentato emendamenti unitari, quindi, appoggiati da tutte e tutti, che fanno riferimento, peraltro, alle posizioni espresse dai comitati costituiti da tanti giovani e da tante giovani e, quindi, il provvedimento si può correggere, a cominciare anche, in subordine, da quello che diceva poc'anzi la collega Grippo, e cioè che una delega di tre mesi è forse più che sufficiente per elaborare una proposta da mettere sul tavolo, dal punto di vista tecnico. Anche se sono convinto che, in mancanza di una proposta del Ministero dell'Interno su quali modalità procedere per permettere a tutte e a tutti di esercitare questo diritto, sia sufficiente introdurre il sistema che già nella nostra legge elettorale è previsto per gli italiani all'estero, e cioè il voto per corrispondenza. Credo che sia la cosa più giusta in questo momento, che parte soprattutto da un fatto: i sistemi elettorali possono essere più belli o più brutti, possono essere più giusti o più sbagliati, possono essere migliorabili in tutti i modi, ma devono essere uguali per tutti, cioè tutte e tutti coloro che ne hanno diritto devono avere la possibilità di avere una scheda, poi, decideranno autonomamente se esercitare questo diritto o no.

Quando noi tagliamo proditoriamente ed eliminiamo il diritto - per queste cittadine e questi cittadini - di esercitare tale diritto, come in questo caso, credo che facciamo un errore che non riguarda soltanto l'opposizione, ma riguarda il nostro Paese, riguarda il Parlamento e riguarda, ovviamente, i diritti che noi, in qualche modo, dobbiamo rappresentare e garantire (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD-IDP). Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, innanzitutto, prima di intervenire, in queste ore così delicate e così difficili, voglio rinnovare, a nome del gruppo del Partito Democratico, la vicinanza alle popolazioni, alle famiglie e alle vittime colpite da quello che sta avvenendo e che è avvenuto in Emilia-Romagna. Ci deve essere un pieno sostegno di tutte le forze politiche e per questo rinnoviamo, in questa sede, insieme alla nostra solidarietà e al nostro massimo sostegno, la richiesta di avere un'informativa del Governo in quest'Aula; lo faremo anche nella Conferenza dei presidenti di gruppo di mercoledì. È fondamentale che anche il Parlamento faccia la propria parte nel sostenere un momento molto difficile, pensando all'emergenza e alla necessità della ricostruzione.

Entrando nel vivo del dibattito di oggi, di questo momento importante della vita delle nostre istituzioni, sono contento di aver seguito con attenzione tutti gli interventi; mi dispiace non aver potuto ascoltare l'intervento dei relatori, che lo hanno depositato, avrò modo poi di approfondire, però, ho ascoltato appunto tutti gli interventi e voglio partire dal primo di quest'Aula, quello della collega Rachele Scarpa, la nostra parlamentare del Partito Democratico e la più giovane di questo Parlamento. Sentire Rachele usare una parola molto forte mi ha richiamato alle responsabilità che sento, che sentiamo, che tutti noi dovremmo ricordare ogni volta che varchiamo la soglia di quest'Aula: siamo qui per sanare un'ingiustizia e io penso che di questo stiamo parlando e da questo dobbiamo partire, al di là poi del fatto che andremo magari a dividerci su alcuni aspetti, però, questo, condividiamolo.

C'è un'ingiustizia molto grave nel nostro Paese ed è, in realtà, una doppia ingiustizia, perché dietro vi sono le storie personali, familiari che portano italiane e italiani a mettere in una valigia la propria vita e a spostarsi da una regione a un'altra, da un comune a un altro, da una zona all'altra dell'Italia per ragioni di studio, per completare il proprio percorso di studio o per ragioni di lavoro, per trovare quell'occasione di lavoro che non si è trovata altrove, o per ragioni di cura, ossia per prendersi cura di qualcuno e dover spostare l'intera propria intera vita per andare a svolgere questa funzione fondamentale; spesso, c'è l'impossibilità di poterlo fare senza doversi trasferire. Noi abbiamo parlato, stiamo parlando del tema dell'astensionismo volontario, ma dietro l'astensionismo involontario di tanti astenuti c'è l'ingiustizia di essere fuori sede in maniera involontaria, ossia di essere stati costretti a fare questa scelta. Negando il diritto di voto a persone che ogni giorno scontano i limiti di questo sistema, in un sistema democratico che concede a tutti noi di potersi esprimere e di poter dire la propria, stiamo dicendo che non gli consentiamo, nel momento in cui sono chiamate a poter dire quello che pensano sul futuro, per cambiare la direzione del loro futuro, di potere esprimere il loro voto o, badate bene, glielo consentiamo ma, spesso, in una maniera che non è sostenibile. Infatti, consideriamo le difficoltà che hanno gli studenti fuori sede, che addirittura stanno manifestando la loro impossibilità di pagare 600 o 700 euro per un alloggio, fuori dalle università; noi a questi studenti possiamo chiedere di spendere le risorse che servono, che non sono solo quelle che si possono rimborsare, ma anche tutte quelle spese accessorie che occorrono per un viaggio che spesso è di chilometri e chilometri? Non mi riferisco solamente al costo del biglietto del treno o a parte del costo del biglietto del treno ma, nel caso del lavoro, anche al costo della rinuncia di quella che è, poi, la possibilità di lavorare o, nel caso della cura, all'impossibilità di trovare qualcuno che ti sostituisca. Ecco, noi stiamo negando questo diritto e la collega Scarpa ha aperto il suo intervento e vi ha chiesto perché, di fronte alla possibilità, oggi - con una proposta di legge che ha una storia antica, l'abbiamo ricordata e la ricorderemo anche in questo intervento -, di dare un segnale chiaro, noi stiamo facendo un ulteriore rinvio, poi, entrerò nel dettaglio di cosa può significare questo rinvio, di cosa significa politicamente per noi però, il dato di fatto è certo: se noi domani votassimo la proposta di legge Madia, il testo base emendato, come riteniamo di volerlo emendare, da domani sarebbe legge dello Stato la possibilità per gli studenti, per i lavoratori, per le persone che, per ragioni di cura, vivono fuori dalla propria regione, di poter votare a partire dalle prossime elezioni. Facendo quest'altra scelta noi apriamo un altro iter dai percorsi indefiniti e spostiamo sine die questa possibilità, andrò poi a esprimermi meglio sul perché di questa definizione.

A questo “perché” c'è stata una risposta, dell'onorevole Gardini - entrerò nel merito - e c'è stata una serie di interventi. Io non ripeterò quello che ha detto l'onorevole Baldino, ricordando la storia e il lavoro compiuto nella scorsa legislatura, gli esempi che ha portato l'onorevole Grippo sulla situazione che ci vede quasi un unicum in Europa, insieme a Malta e Cipro - ma, se continuiamo così, potremmo restare anche da soli, da questo punto di vista - o quello che ha detto l'onorevole Zaratti sul fatto che oggi siamo qui per un'iniziativa dell'opposizione, del Partito Democratico, per una battaglia che abbiamo fortemente voluto rimettere in cima alle priorità di questa legislatura, per occuparci di questo tema. Le risposte alla domanda “perché?” della collega Scarpa da parte dell'onorevole Gardini ci hanno evidenziato le problematicità di questo tema e i moltissimi aspetti critici che proverò a citare testualmente.

Ho preso appunti: quando si affrontano temi così complessi si può incappare in errori. L'astensionismo involontario non riguarda solo i fuori sede, ma anche altre figure che non sono considerate in questa legge, come gli anziani con problemi di mobilità. Non apriamo questo tema: è una materia complicatissima, in cui soltanto gli esperti riescono a districarsi.

E poi vi è un punto finale, da cui vorrei partire. Non è stata la caduta del Governo, probabilmente, a impedire la votazione nella scorsa legislatura; ricordiamo che, sì, il 25 luglio dello scorso anno era calendarizzata, in quest'Aula, la votazione di questo provvedimento; è vero dunque che, se non ci fosse stata la caduta del Governo, noi avremmo potuto già votare, in quest'Aula, questo provvedimento -, però, probabilmente, sono stati questi problemi a far sì che, nell'arco di un'intera legislatura, non si sia riusciti ad addivenire a un testo che li superasse. Qual è il punto? Che questi problemi ci sono certamente, vanno affrontati; vi è stato il percorso che ha portato al testo base, da cui sarebbe partita la discussione parlamentare, quindi ulteriormente emendabile e modificabile nel merito, se non ci fosse stato il maxiemendamento da parte del Governo; tutti questi aspetti ci sono, ci sono stati, ci saranno, però il tema è semplicemente scegliere in quale direzione vogliamo andare, se noi, a un certo punto, vogliamo dire stop alla discussione e al confronto.

Io ho citato esponenti di altre forze politiche delle opposizioni, ma mi posso riconoscere in alcune idee presentate dalla maggioranza. Qui non stiamo parlando di destra o di sinistra, qui stiamo parlando del diritto al voto di tutte le italiane e di tutti gli italiani. Vogliamo fermare, a un certo punto, la discussione e cominciare a garantire questo diritto di voto? Infatti, come è stato ricordato, noi garantiamo il diritto di voto ai cittadini all'estero ed è una importantissima innovazione che è stata portata, che ha dato la possibilità di sentirsi inclusa nelle scelte di questo Parlamento a una comunità di milioni di persone, persone che hanno dovuto affrontare un grande viaggio nella propria vita, hanno portato un pezzo d'Italia fuori dai confini nazionali e possono portare un pezzo di mondo dentro i confini nazionali, ma non riconosciamo solamente il diritto di voto agli italiani all'estero, noi riconosciamo già il diritto di voto agli italiani all'estero fuori sede. Ossia, un cittadino italiano che vive a Washington e che, per ragioni di lavoro o per ragioni di cura o per ragioni di studio, mantenendo la residenza a Washington, si trasferisce a New York, può votare da New York. Quindi, questa ingiustizia palese che stiamo facendo nei confronti dei fuori sede in Italia l'abbiamo già superata, l'abbiamo già sanata per quanto riguarda il voto degli italiani che vivono all'estero. E, quando andiamo a leggere la nostra Costituzione, l'articolo 48, e si parla di voto come “eguale, libero e segreto”, non è un caso che i Costituenti abbiano scelto come prima parola “eguale”, perché, nell'uguaglianza c'è il diritto di voto tra tutte e tutti noi; è l'inizio, è l'incipit è la prima pietra su cui si costruisce una democrazia.

La proposta di legge che noi avevamo presentato, che era stata adottata il 13 aprile in Commissione come testo base, era composta di 7 articoli, andava a incidere sulle disposizioni di voto con un criterio - nella legge delega non c'è il criterio, quindi stiamo ripartendo, come nel gioco dell'oca, dall'inizio - e collocava nel voto anticipato rafforzato e in una procedura attivabile tramite SPID la possibilità di votare in una regione diversa da quella di residenza, in un giorno antecedente, in seggi appositamente dedicati. Era la proposta di partenza, la legge Madia nella scorsa legislatura? No, noi eravamo partiti con un'altra impostazione: avevamo proposto il voto per posta, analogamente a quanto avviene per il voto dei cittadini italiani residenti all'estero, ma c'è stato un confronto, un lavoro parlamentare e si è valutato, nella scorsa legislatura, che questa fosse la soluzione più adatta, più idonea per riuscire ad affrontare tutti quei problemi che ha ricordato la collega Gardini. Se la maggioranza ha un'idea diversa e condivide l'urgenza, presenti gli emendamenti in Parlamento per votare la diversità di idee. Se, dopo che, in 5 anni, siamo passati dal voto per posta al voto anticipato rafforzato e, alla fine, bisogna ritornare al voto per posta, ce ne faremo una ragione, ma garantiamo ai cittadini italiani di poter votare in maniera eguale, libera e segreta.

E non solo. Con riferimento all'emendamento che ci è stato presentato, all'emendamento unico, io sono sempre spaventato di fronte a questo strumento, perché abbiamo constatato cosa ha rappresentato, nell'evoluzione dei nostri lavori parlamentari, l'emendamento unico e il conseguente voto di fiducia sul decreto legislativo. Se, adesso, a quell'emendamento unico sommiamo anche l'idea dell'emendamento unico in Commissione, per trasformare un provvedimento che si sta per votare, dopo un lunghissimo percorso parlamentare, nel lancio della palla in tribuna per una legge delega, veramente rischiamo di contrarre in maniera eccessiva gli spazi di modifica. A quel punto, veramente, c'è da andare a intervenire, forse, con una legge costituzionale, sull'articolo 70 della Costituzione, che stiamo, ormai, svuotando pezzo dopo pezzo, fino a ridurlo a un osso sempre più fino.

Detto questo, però, questo emendamento inserisce il termine dei 18 mesi. Ora, 18 mesi cosa significa? Siamo a maggio 2023: significa il 2023 e significa il 2024, ossia le prossime elezioni europee. Quindi, dopo aver discusso per chiedere il voto alle regionali, e ci è stato detto, in quest'Aula, dal Governo, che non si poteva fare per le regionali, ma che lo avrebbero fatto per le amministrative, e non c'è stato il voto alle elezioni amministrative, stiamo dicendo, in quest'Aula, che non ci sarà nemmeno il voto alle elezioni europee per questi studenti, per questi lavoratori, per queste persone. Diamo un nome alle cose, diamo il nome che queste cose hanno.

Tutto questo significa solo cancellare il lavoro della scorsa legislatura? No. Significa solo cancellare il lavoro che, anche in questa legislatura, si è fatto in Commissione per arrivare a un testo base, per arrivare a portare in Aula il lavoro che ha fatto il Partito Democratico per mettere questo tema in cima alle priorità? No. Significa anche calpestare una richiesta che proviene da tantissime realtà associative e comitati di giovani impegnati, perché, in una società in cui sempre meno persone vanno a votare - e questo Parlamento è stato votato da meno della metà degli italiani - e sempre meno giovani partecipano alla vita pubblica, ci sono dei giovani che si sono riuniti intorno a questa battaglia oltre gli steccati politici, penso al comitato Voto dove vivo, alla rete Voto sano da lontano, alle associazioni studentesche, alla Primavera gli studenti, all'UDU, a LINK, ad ADI, a più di 30 associazioni studentesche; anche Azione universitaria si è espressa a sostegno della necessità di questo passaggio. Ora, noi a tutte queste realtà cosa stiamo dicendo? Stiamo dicendo che il Parlamento, che, finalmente, aveva l'occasione di legiferare su questo tema in maniera diretta, immediata, con una legge dello Stato che garantisse loro questo diritto, che sanasse questa ingiustizia, sta rinviando al Governo la responsabilità di riavviare un percorso, senza inserire nemmeno criteri che possano portare in questo percorso il frutto del lavoro che si è fatto negli anni passati.

È come nel film Ricomincio da capo, in cui il protagonista si svegliava ogni giorno ed era lo stesso giorno precedente: di fronte a questo tema, noi stiamo ricominciando da capo. E lo stiamo facendo con un'esperienza storica che ci dice che abbiamo un dibattito su questo tema che è come un fuoco, che si accende alla vigilia delle elezioni, in cui tutte le forze politiche si esprimono con appelli, con candidati che dicono “è assolutamente indegno, queste saranno le ultime elezioni in cui avverrà questo”, poi questo fuoco si spegne, emerge la problematizzazione del tema, che cuoce a fuoco lento per 5 anni, e, alla vigilia delle elezioni successive, ricominciamo di nuovo a dire queste cose. E questo fatto, badate bene, è una di quelle ragioni che generano l'astensionismo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), non l'astensionismo involontario, l'astensionismo volontario, di quelli che dicono che il Parlamento non è in grado di affrontare nemmeno temi come questo. Quindi, non è il dibattito sulle riforme istituzionali, sulla volontà politica, sulla rappresentanza democratica, su chi deve essere chiamato a svolgere questa funzione.

Qui si tratta di dire: ma siamo in grado di garantire a milioni e milioni di italiane e italiani la possibilità di votare quando la garantiamo già ai cittadini italiani fuori sede residenti all'estero? Siamo in grado di farlo fare anche ai cittadini italiani fuori sede residenti in Italia? Di fronte a una domanda come questa, abbiamo il dovere e la responsabilità di offrire una risposta e di essere chiari in un dibattito parlamentare.

Mi avvio a concludere perché è stato detto molto e sarà detto molto domani in Aula. Non è la prima volta che avviene questo tentativo di utilizzare lo strumento dell'emendare la proposta dell'opposizione per modificarla. A volte è avvenuto, anche di recente, in questa legislatura, su un'altra nostra proposta, a cui tenevamo molto, quella del “mai più bambini in carcere”. È stato però utilizzato in una maniera differente: ne era stato stravolto talmente il senso che con la nostra proposta anziché “mai più bambini in carcere” avremmo avuto più bambini in carcere. In quel caso noi abbiamo ritirato la proposta perché, se si fosse votato quel testo, avremmo ottenuto l'effetto di fare il contrario di quanto avevamo proposto, nello spazio che ci era stato solo formalmente destinato, essendo avvenuto questo tipo di gioco alla rovescia. Lì abbiamo fatto una scelta. Questa volta, però, non abbiamo ritirato il testo perché, forse, è successo qualcosa di addirittura peggiore rispetto allo stravolgimento completo del significato. Quando avevamo chiesto che questo tema fosse affrontato prioritariamente in Parlamento, negli angusti spazi che noi abbiamo a disposizione, noi volevamo che il Parlamento votasse una legge per garantire il diritto di voto ai fuori sede. Il fatto che, attraverso questo gioco di rimandi, ci ritroviamo a dover chiedere al Governo di avviare una procedura di legge delega ex articolo 76 da zero rischia di generare un cortocircuito che potrebbe aprire veramente una voragine nella quale precipiterebbe il senso e il ruolo di quest'Aula. È per questo che non abbiamo ritirato la proposta, è per questo che non ci ritiriamo da questo dibattito parlamentare, è per questo che non ci ritireremo né domani né mai, in ogni sede, in ogni minuto che ci sarà concesso in quest'Aula, attraverso ogni atto di sindacato ispettivo e attraverso tutte quelle prerogative parlamentari che continueremo a difendere dall'opposizione, come abbiamo fatto quando eravamo al Governo, perché difendere il Parlamento significa difendere la democrazia. Intendiamo ribadire la possibilità di voto per tutti gli studenti, i lavoratori e le persone che per ragioni di cura sono costrette - ribadisco, costrette - a non poter votare nel proprio seggio di residenza nel giorno delle elezioni, in tutte le elezioni. I 7 articoli della legge Madia, nel testo base, già lo disciplinavano: elezioni europee, elezioni politiche, elezioni suppletive. Si può in qualunque momento avere la necessità di fare un'elezione suppletiva e noi neghiamo il voto a distanza per le elezioni suppletive, quando è ancora più complicato rientrare. Per tutte le elezioni che abbiamo, come per il referendum di cui all'articolo 75 della Costituzione, istituto di democrazia diretta, occorre potere fare sì che queste persone possano votare. Si parla di 5 milioni, 4 milioni, 3 milioni, non so quanti esattamente, ma so che è un'ingiustizia, devono poter votare! Per il Partito Democratico è una priorità politica assoluta e per questo non ci ritiriamo dal dibattito, non ritiriamo la proposta e non ci ritiriamo dalla richiesta al Parlamento di fare al più presto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e di deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Salutiamo la splendida rappresentanza degli allievi dell'Istituto comprensivo Alfieri-Garibaldi di Foggia e i loro professori (Applausi), che assistono ai nostri lavori.

Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 115-A​ ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Iezzi.

IGOR IEZZI, Relatore. Grazie, Presidente. Rubo pochi minuti, perché ci sarà poi possibilità, durante la discussione in Aula.

PRESIDENTE. Lei non ruba, ci mancherebbe. È sua facoltà intervenire, non ruba nulla, arricchisce il dibattito.

IGOR IEZZI, Relatore. Grazie, per la precisazione. Arricchisco il dibattito per pochi minuti, anche considerato che in sede di discussione degli emendamenti ci sarà maggiore possibilità di approfondire il tema.

Innanzitutto, non condivido davvero il tono un po' catastrofistico delle opposizioni perché, quando questo testo sarà legge, sarà una bellissima giornata per questo Parlamento e per gli studenti tutti. Questo per un motivo molto semplice, perché per la prima volta il Parlamento dirà in maniera chiara che gli studenti fuori sede hanno diritto al voto, cosa che oggi non è. Questo è già un passo in avanti importante, un passo in avanti che finora, nonostante tante parole, non era stato fatto. Ho sentito dire che l'opposizione è unita. In realtà, guardiamo un attimo i testi che avete presentato: ogni opposizione ha presentato un proprio testo con modalità diverse su qualsiasi argomento. Era diverso l'ambito di applicazione, dato che alcuni di voi proponevano il referendum, le europee e le politiche, mentre altri ci aggiungevano le elezioni amministrative, ed era diverso il luogo in cui doveva essere portato il voto, poiché alcuni di voi dicevano che il voto doveva essere registrato nel seggio di residenza mentre altri nel seggio di domicilio, e soprattutto era diversa la modalità con cui si doveva esprimere questo voto, dato che il testo della Madia propone il voto anticipato presidiato mentre altri di voi proponevano il voto elettronico online mentre altri, come ho sentito anche prima, proponevano il voto per corrispondenza che, tra l'altro, faccio presente che laddove è stato applicato non ha dato grande prova di sé, tanto che nel nostro Paese spesso si parla di modificare la modalità di voto per gli italiani all'estero. Come principio è giustissimo ma ha sempre arrecato tantissimi problemi all'estero. Come sappiamo, cronache non recentissime ma recenti ci hanno dimostrato che il voto per corrispondenza crea tensioni incredibili all'interno dei Paesi. Quindi, non credo che tutti i modelli utilizzati all'estero siano applicabili da noi, proprio perché si è dimostrato che creano problemi, sia in Italia sia all'estero.

L'ultima riflessione - su altri punti mi riservo di intervenire in sede di emendamenti - riguarda la questione della legge delega e della legge in quota opposizione. Non è così. Noi abbiamo iniziato una discussione anche in Giunta per il Regolamento e credo che tutte le cose dette saranno oggetto di approfondimento quando per il nuovo Regolamento discuteremo in Giunta di questo tipo di argomento. Altro però è dire che noi stravolgiamo il vostro testo. Faccio un esempio, tanto siamo tra di noi e mi permetto di farlo. Un conto è se l'opposizione porta un testo per la difesa e l'introduzione dello ius scholae nel nostro Paese e la maggioranza lo cambia e lo fa diventare un provvedimento che cancella la possibilità di diventare cittadini nel nostro Paese. Chiaramente, quello sarebbe uno stravolgimento ma noi in questo caso non stravolgiamo nulla. Noi adottiamo una nuova metodologia, che è quella della legge delega. Attenzione, la legge delega - vi invito davvero a riflettere - è molto più democratica dell'articolo 6 che voi avete previsto, perché nell'articolo 6, riferendovi a un regolamento di attuazione, prevedete un passaggio molto meno democratico della nostra legge delega. Infatti, la nostra legge delega quantomeno dovrebbe venire in Parlamento e il Parlamento, attraverso le Commissioni, avrebbe un potere di veto, non formale ma politico. Infatti, qualora il Governo non volesse rispettare il parere della Commissione, dovrebbe esprimere un contro parere e motivare perché non rispetta il parere della Commissione. Voi, invece, prevedete un regolamento di attuazione, che non arriva in Parlamento. Infatti, voi fate riferimento all'articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988, quindi, non arriverebbe in Parlamento. Questo regolamento di attuazione, praticamente, sarebbe su tutto lo scibile umano che riguarda il voto dei fuori sede. Voi cosa dite? Voi attraverso la legge Madia dite che bisogna fare il voto presidiato anticipato. Basta, non dite nient'altro! Non definite - cito il vostro articolo 6 - i criteri per l'individuazione e la disposizione delle sezioni elettorali presidiate. Dove? Non definite le forme di svolgimento delle operazioni di voto con modalità che ne assicurino la personalità e la segretezza. Quali? Non definite le norme per la custodia, l'invio e lo scrutinio delle schede votate in un comune diverso da quello di residenza dell'elettore. Come si portano queste schede (Commenti del deputato Casu)? Non dite nulla, ma fate una delega paradossalmente maggiore rispetto a quella che proponiamo noi, perché quantomeno la nostra delega deve tornare in Parlamento per un parere.

La vostra invece sarebbe oggetto del lavoro del Ministero dell'Interno, passerebbe in Consiglio dei ministri, poi dal Presidente della Repubblica, e il Parlamento non la vede. Su tutti quegli argomenti che sono proprio oggetto delle difficoltà che ha riscontrato il Viminale. E attenzione: difficoltà che ha riscontrato il Viminale non oggi, che ci sono i cattivi del centrodestra, che c'è il cattivissimo Piantedosi, con la cattivissima Ferro e i cattivissimi Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia e Noi Moderati. No! Perché l'intervento che ha fatto il rappresentante del Viminale, in audizione da noi, era assolutamente sovrapponibile all'intervento che fece anni fa, quando il Ministro era Lamorgese, e quando in maggioranza c'erano il Partito Democratico e il MoVimento 5 Stelle. Identico. Perché sono delle difficoltà oggettive.

E allora la buona politica cosa fa in queste occasioni? Non strumentalizza i ragazzi, perché i ragazzi non devono essere strumentalizzati. La buona politica cerca di mettersi a lavorare. Tra l'altro, parlando con loro, ho sentito che loro proponevano - lo dirò poi, anche quando ne discuteremo più avanti - un tavolo con le associazioni, dopo la legge delega. E io credo che sia una cosa importante e utile per trovare le modalità migliori per arrivare alla soluzione di quei problemi, che, ripeto, sono problemi oggettivi e sono problemi tecnici. Il discutere di come vengono trasportate le schede - uso l'esempio più facile, un po' semplicistico - non è una cosa secondaria. Chi trasporta queste schede dei ragazzi di Crotone che votano a Milano? Le trasporta la Polizia? Cioè, noi priviamo il territorio degli agenti per due giorni, il tempo che le schede da nord vanno a sud, e ritorno? Cioè, sono tutti argomenti sui quali bisogna sedersi e lavorare, non sono facili, sono talmente difficili e complicati che neanche voi trovate la soluzione e prevedete un regolamento d'attuazione, che, ripeto, a differenza del nostro, è meno democratico, perché noi, quantomeno, pensiamo di passare per le vie del Parlamento. Voi, con il regolamento di attuazione, non ci passate.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Ringrazio i colleghi, ringrazio il relatore. È doveroso da parte mia intervenire, sottolineando e sottoscrivendo ogni parola detta dall'onorevole Iezzi, ma anche con quella capacità che contraddistingue la politica rispetto a una narrazione che non è reale. Non è reale non per una difesa, in questo momento, dei colori, rispetto all'operato dei tecnici del Viminale, che, come è stato detto, molte questioni avevano già posto con altri Sottosegretari e con altro Ministro, ma soprattutto anche perché questa è la volontà messa in campo da un comitato, credo, dal 2009. E non a caso - questo lo voglio sottolineare ancora una volta - i giovani dimostrano, forse, di essere anche più avanti della politica stessa. Infatti, devo dire, i comitati hanno accettato di buon grado, sia nella conferenza stampa, che ho avuto modo di seguire da remoto, sia anche contattandoli a seguito dell'ultimo step in Commissione, dove si dicono fortemente fiduciosi, ma soprattutto d'accordo con la delega al Governo.

Però qualche puntualizzazione va fatta, anche perché, in qualche modo, si parla delle criticità, che sono state elencate in buona parte dal collega Iezzi, ma io invito i colleghi a rileggere le audizioni dei professori che sono stati chiamati in Commissione, i quali hanno sottolineato altrettante criticità e altrettante perplessità. Quindi credo che sia nero su bianco e possiate riscontrare che non è una questione che appartiene alla burocrazia del Viminale.

Parto dal presupposto che sia importante fare una buona legge. Oggi ci troviamo a dover tornare indietro su molti percorsi del passato, che certamente, nel momento in cui sono stati scritti, sono stati scritti con la buona volontà. Penso alla riforma delle province. Tornare indietro è sempre molto complicato e molto difficile. E questo, in qualche modo, ci porta a dire che 18 mesi è il tempo massimo, poi magari ce ne vorranno 7, 8, 9, 10, ma comunque tutti quelli che ci vorranno per far sì che sia una buona legge, una legge che non abbia soltanto il titolo o che sancisca soltanto il principio.

Non lo dico a me, io vengo dal profondo sud, io sono una terrona, io sono una donna di Calabria, conosco perfettamente per quanti e per quali motivi si deve emigrare. E certamente sono anche una donna impegnata in politica da oltre 40 anni, si vede che non sono il nuovo che avanza, lo sono politicamente da 40 anni, lo sono nelle istituzioni da 35, e le garantisco che sono all'interno delle istituzioni - per chi, come il collega Stumpo, conosce la mia storia - non per nomina, ma sempre eletta dai cittadini.

Questo significa che per me il voto è un fatto importante, per me, per la mia maggioranza, per i colleghi, e penso di poter parlare anche a nome del relatore. L'idea di abbattere il muro dell'astensionismo è una cosa che ci accomuna. Ma ci deve accomunare anche rispetto a quello che una norma deve prevedere, ossia delle regole chiare. Ho sentito parlare del voto degli italiani all'estero, siamo finiti su Striscia la notizia. Voglio ricordare cosa è avvenuto nella spedizione di quel (Commenti del deputato Zaratti - Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)

PRESIDENTE. Onorevole Zaratti… Onorevole Zaratti, la prego, ascoltiamo.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Però, io non l'ho interrotta. Non per un fatto di galanteria, ma perché ormai l'opportunità me la sono guadagnata sul campo. Dicevo che proprio questo…

PRESIDENTE. Onorevole Ferro, abbia pazienza…

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. …ci deve far riflettere…

PRESIDENTE. Onorevole Ferro, abbia pazienza un attimo…

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. …nel dire che comunque…

PRESIDENTE. Onorevole Ferro, sto parlando con lei…

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Mi scusi.

PRESIDENTE. Facciamo, per favore, svolgere la replica, per il rispetto che ha avuto il rappresentante del Governo nell'ascoltare tutti i vostri interventi. Prego, onorevole Ferro.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Chiedo scusa, non avevo inteso.

Stavo dicendo che credo che degli errori occorra, invece, fare tesoro e quindi trovare la migliore ricetta, che consenta la privacy per chi vota, che garantisca all'elettore il voto, che garantisca i comuni, piuttosto che le prefetture, che poi diventano un trait d'union in molti casi e in molti tipi di elezioni.

E allora parto dal presupposto che ci vorrà il tempo che ci vorrà, ma sarà sicuramente una norma che questa maggioranza e questo Governo intendono fare. E lo intendono fare anche ascoltando quei giovani dei comitati. Quei giovani - i quali probabilmente hanno inteso e letto anche quelle criticità che sono state dette nelle varie audizioni, ribadisco, non soltanto dal Viminale, ma anche da professori chiamati per le audizioni dalle minoranze - ci potranno dare sicuramente un contributo in più. Non credo siano cambiati gli uomini del Viminale: quelli di ieri sono quelli di oggi, che godono ovviamente della mia profonda stima. Ma credo, probabilmente, che è cambiato qualcosa. Forse è cambiata la politica. Sentir dire che c'è una maggioranza che prende indicazioni dal Viminale, ma neanche dalla parte del Viminale. No, guardi, da questo punto di vista, non abbiamo mai consentito che niente e nessuno potesse occupare lo spazio della politica, così come non abbiamo mai consentito alla politica di fare ciò che spetta alla burocrazia. Quindi su questo voglio tranquillizzare le minoranze sul fatto che, da parte nostra, ci sarà il massimo impegno, anche nell'ascolto di quelle che, in qualche modo, saranno le ragioni.

Non c'è la fiducia, questo è un dibattito aperto, un dibattito dove ci si può incontrare o scontrare su alcune posizioni, ma sicuramente è un dibattito dove credo non si possa tacciare questo Governo e questa maggioranza di essere ladri di democrazia. Dopo tanti anni - non a caso ho detto che il primo comitato pose questo problema dal 2009 -, questo è un Governo politico, eletto democraticamente e soprattutto eletto da quello che, per quanto ci riguarda, è l'unico vero potere che riconosciamo: il potere del popolo sovrano. Quindi non intendiamo rubare nessuna democrazia e daremo la possibilità - nelle regole e nelle possibilità che il Viminale, insieme agli altri Ministeri, metteranno in campo insieme alla politica - a chi è fuori sede di poter espletare il voto. Il tempo sicuramente è tiranno, ma fare una cattiva legge per consentire qualcosa subito o ingannare i nostri giovani regalando loro il contentino del referendum non ci appartiene, perché i nostri giovani dovranno guardare anche ad una politica che non solo consenta loro di votare a distanza, ma che li ha guardati negli occhi e ha detto loro quello che si poteva e quello che non si poteva fare.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Molinari ed altri; Bignami ed altri; Faraone ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell'emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus SARS-CoV-2 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 (A.C. 384​-446​-459-A​) (ore 13).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 384-446-459-A: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell'emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus SARS-CoV-2 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è in distribuzione e sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi allegato A).

(Discussione sulle linee generali – Testo unificato – A.C. 384-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.

La XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Buonguerrieri.

ALICE BUONGUERRIERI, Relatrice. Grazie, Presidente, onorevoli colleghi e rappresentante del Governo. L'Assemblea avvia oggi l'esame del testo unificato delle proposte di legge a firma Molinari, Bignami e Faraone, recanti l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulla gestione dell'emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus SARS-CoV-2 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2. Le tre proposte di legge sono state oggetto di un esame articolato in sede referente presso la Commissione affari sociali.

Nella fase preliminare, ovvero nell'ambito dell'attività istruttoria, si è svolto un ampio ciclo di audizioni, nel corso delle quali è stato acquisito il contributo di diversi soggetti, tra rappresentanti istituzionali, associazioni ed esperti della materia.

A seguito della discussione, in qualità di relatrice, ho predisposto una proposta di testo unificato, volta a costituire una sintesi tra i testi delle tre proposte di legge che la Commissione ha deliberato di adottare come testo base per il prosieguo dell'esame. Sono state quindi presentate 109 proposte emendative, tutte da parte dei gruppi dell'opposizione, all'esame e alla votazione delle quali sono state dedicate diverse sedute della Commissione.

Ritengo importante sottolineare sin da subito il fatto che le proposte emendative sono state tutte puntualmente verificate nel merito, senza alcuna preclusione, senza alcun pregiudizio, e che sono state accolte tutte quelle che sono state ovviamente ritenute migliorative del testo del provvedimento, mentre non sono state accolte tutte quelle proposte emendative volte a sopprimere alcune parti della proposta di legge o a stravolgerne completamente il senso e lo scopo. Mai ci si è sottratti al confronto, mai ci si è sottratti alle richieste di chiarimento, ovviamente evitando di ripetere i medesimi concetti o le medesime riflessioni e precisazioni per ogni emendamento dal contenuto o scopo speculare.

Come già chiarito in Commissione, la Commissione d'inchiesta di cui si discute ha l'obiettivo di fare chiarezza sui fatti accaduti durante la pandemia e di accertare la gestione dell'emergenza pandemica, anche al fine di evitare che eventuali errori compiuti nella gestione della fase pandemica stessa possano ripetersi in occasione di possibili eventi futuri di analoga portata e di analoga gravità. Nella fase conclusiva dell'iter in sede referente sono stati acquisiti i pareri delle Commissioni competenti, tutti pareri favorevoli. È stata altresì recepita l'unica osservazione formulata nel parere della Commissione affari costituzionali attraverso l'approvazione di un ulteriore emendamento.

Entrando nel merito del contenuto del provvedimento, rappresento che l'articolo 1 del testo che si propone all'Assemblea prevede l'istituzione della Commissione d'inchiesta con il compito di accertare le misure adottate per prevenire, contrastare e contenere l'emergenza sanitaria causata dalla diffusione del virus SARS-CoV-2 nel territorio nazionale e di valutarne la prontezza e l'efficacia, anche al fine di far fronte - come abbiamo detto prima - a una possibile futura nuova pandemia di analoga portata e gravità. La Commissione dovrà concludere i propri lavori entro la fine della XIX legislatura, con la presentazione alle Camere di una relazione sulla propria attività d'indagine e sui risultati con essa conseguiti.

L'articolo 2, in sintesi, dispone che la Commissione d'inchiesta sia composta da 15 senatori e da 15 deputati nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.

L'articolo 3 del testo che si propone all'Assemblea reca l'elenco dei molteplici compiti assegnati alla Commissione d'inchiesta. Essi sono sempre, in sintesi, i seguenti: svolgere indagini e valutare l'efficacia, la tempestività e i risultati delle misure adottate dal Governo e dalle sue strutture di supporto, al fine di contrastare, prevenire e ridurre la diffusione e l'impatto del SARS-CoV-2; esaminare i documenti, i verbali di organi collegiali, gli scenari di previsione e gli eventuali piani sul contagio da SARS-CoV-2 elaborati dal Governo, comunque sottoposti alla sua attenzione; accertare le ragioni del mancato aggiornamento del Piano pandemico nazionale redatto nel 2006 e accertare i motivi della mancata attivazione del Piano pandemico nazionale allora vigente; accertare le ragioni per cui il Piano pandemico nazionale e la sua attivazione non sono stati oggetto di considerazione da parte degli organismi istituiti dal Governo, tra cui la task force istituita presso il Ministero della Salute e il Comitato tecnico-scientifico. E ancora: accertare l'eventuale esistenza di un Piano sanitario nazionale per il contrasto del virus SARS-CoV-2 e le ragioni della sua mancata pubblicazione o divulgazione; verificare i compiti e valutare l'efficacia e i risultati delle attività della task force, del Comitato scientifico e degli altri organi, Commissioni o comitati di supporto; verificare il rispetto delle normative nazionali, europee e internazionali in materia di emergenze epidemiologiche da parte dello Stato italiano; esaminare i rapporti intercorsi tra le competenti autorità dello Stato italiano e l'OMS ai fini della gestione dell'emergenza epidemiologica; indagare e accertare le vicende relative al ritiro del rapporto sulla risposta dell'Italia al virus SARS-CoV-2 dopo la sua pubblicazione nel sito Internet dell'ufficio regionale per l'Europa dell'OMS; valutare la tempestività e l'adeguatezza delle indicazioni e degli strumenti che il Governo e le sue strutture di supporto hanno fornito alle regioni e agli enti locali. Proseguendo: valutare la tempestività e l'adeguatezza delle misure adottate dal Governo e dalle sue strutture di supporto sotto il profilo del potenziamento del Servizio sanitario nazionale. E ancora: verificare la quantità, la qualità e il prezzo dei dispositivi di protezione individuale, dei dispositivi medici, dei materiali per gli esami di laboratorio e degli altri beni sanitari distribuiti alle regioni nel corso dell'emergenza pandemica; verificare, certo, anche eventuali ritardi, carenze e criticità nella catena degli approvvigionamenti; indagare su eventuali donazioni, esportazioni di quantità di dispositivi di protezione individuale e altri beni utili per il contenimento dei contagi; indagare su eventuali abusi, sprechi, irregolarità, comportamenti illeciti e fenomeni speculativi che abbiano interessato l'attività, le procedure di acquisto e la gestione delle risorse destinate al contenimento della diffusione della malattia da SARS-CoV-2; approfondire poi, in particolare, i seguenti aspetti che vertono, per esempio, sull'acquisto dei dispositivi di protezione individuale prodotti in Cina, sulla corrispondenza di tali dispositivi ai requisiti minimi necessari per la loro utilizzazione - vado e proseguo sempre in sintesi -, sui contratti di appalto e di concessione, sulla progettazione e sulla realizzazione di strutture e unità sanitarie destinate ai pazienti affetti da COVID-19, sugli hub vaccinali, sull'applicazione Immuni, sulla piattaforma unica nazionale per la gestione del sistema di allerta per i contagi. E poi anche sull'acquisto di banchi a rotelle. Inoltre: verificare e valutare le misure di contenimento, individuando anche eventuali obblighi e restrizioni carenti di giustificazione in base ai criteri della ragionevolezza, della proporzionalità, dell'efficacia, valutando anche se tali provvedimenti fossero forniti di adeguato fondamento scientifico. Poi ancora: verificare e valutare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituzionalmente garantiti nella gestione e applicazione delle misure di contenimento adottate dal Governo, sia nelle fasi iniziali, sia nelle fasi successive della pandemia. E ancora: verificare e valutare la legittimità della dichiarazione dello stato di emergenza e dello strumento della decretazione d'urgenza; valutare l'adeguatezza e proporzionalità delle misure adottate per la prevenzione e la gestione dei contagi in ambito scolastico; valutare la tempestività e l'efficacia delle indicazioni fornite allo Stato italiano dall'OMS; verificare l'efficacia, l'adeguatezza e la congruità della comunicazione istituzionale delle informazioni diffuse alla popolazione; verificare l'eventuale esistenza di conflitti di interesse riguardanti i componenti degli organi tecnico-governativi, le associazioni di categoria e le case farmaceutiche; verificare ancora l'efficacia e la corrispondenza dei protocolli terapeutici alle linee guida contenute nel Piano pandemico e svolgere anche indagini relative agli acquisti delle dosi di vaccino destinate all'Italia, nonché all'efficacia del piano pandemico predisposto.

Occorre verificare, poi, anche gli atti di processo di revisione continua sui vaccini anti-SARS-CoV-2 e stimare e valutare l'incidenza che i fatti e i comportamenti emersi nel corso dell'inchiesta possono aver avuto sulla diffusione dei contagi, sui tassi di ricovero e di mortalità per COVID-19, nonché sugli effetti avversi e sindromi post-vacciniche denunciate.

L'articolo 4, sempre proseguendo nella lettura, Presidente, in sintesi, prevede che la Commissione proceda alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.

L'articolo 5 prevede che la Commissione possa ottenere copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti e anche copie di atti e documenti custoditi dagli organi e dagli uffici delle pubbliche amministrazioni, garantendo, chiaramente, il regime di segretezza eventualmente posto sugli atti a lei trasmessi.

Anche l'articolo 6 va in questa direzione, recando disposizioni più di dettaglio sull'obbligo del segreto.

L'articolo 7, infine, reca la disciplina dell'organizzazione interna della Commissione d'inchiesta, prevedendo, tra le altre, che l'attività e il funzionamento di quest'ultima siano disciplinati da un regolamento interno, approvato dalla medesima Commissione prima dell'inizio della sua attività di inchiesta.

La proposta di legge, quindi, così come anche in questa sede rappresentata e riassunta in sintesi, licenziata dalla Commissione affari sociali in sede referente, con pareri - lo ribadisco - favorevoli dalle altre Commissioni, è ora pronta per l'esame dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

MARCELLO GEMMATO, Sottosegretario di Stato per la Salute. Voglio dire che, anche per rispetto dell'Aula, mi riservo di intervenire al termine del dibattito.

PRESIDENTE. Quindi, in sede di replica.

Saluto gli studenti e i docenti dell'Università degli Studi di Milano, che oggi assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

È iscritto a parlare l'onorevole Stumpo. Ne ha facoltà.

NICOLA STUMPO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, colleghi, ho ascoltato la relatrice e continuo ad avere gli stessi dubbi che mi hanno accompagnato - su questo siamo d'accordo - nella lunga discussione che abbiamo avuto. Questa è l'unica cosa che condivido, ossia che non abbiamo occupato frettolosamente il tempo della Commissione, ma abbiamo discusso, prendendoci il tempo necessario in Commissione. Peccato, che era tempo perso. È un peccato, perché la relatrice - e prima di entrare nel merito dirò alcune cose, che ho risentito oggi - ha detto che abbiamo fatto alcune audizioni. È vero. Sono pubbliche e chiunque può andarle a leggere. Però, non una parola di quanto detto nelle audizioni è diventata oggetto di arricchimento della proposta di questa Commissione. Non una!

È vero che sono stati presentati 109 emendamenti e che, di questi, 105 - potrei sbagliare di qualche unità, perché forse sono 104, ma non credo cambi molto - sono stati bocciati e, addirittura, un nostro emendamento, del Partito Democratico, è stato approvato con il voto contrario, nel senso che la riformulazione era peggiorativa dell'emendamento. Eppure, vi abbiamo detto: votatevelo! Se voi pensate di riformulare gli emendamenti della minoranza, riaggiustandoli in base alla vostra logica, fatelo. Ed è stato approvato con il voto della maggioranza e il voto contrario di chi l'aveva presentato. Quindi, se ho sbagliato di un'unità, me la riprendo, nel senso che quello non era un emendamento approvato.

Tra quelli approvati, uno è - credo l'ultimo - di Italia Viva e riguarda il fatto che ci si fa carico di digitalizzare i lavori della Commissione (pensate che innovazione “straordinaria” nel 2023) e, poi, qualche parola modificata qua e là, per aggiustare, sull'altro piano, l'italiano di un testo assolutamente folle, ma anche da questo punto di vista abbiamo provato a dare un contributo. Questi sono gli emendamenti approvati. Questi.

Poi, invece, c'è stata una serie di discussioni. Proverò, in questi circa 10 minuti che ho a disposizione, ad entrare prima nel merito degli emendamenti e poi a fare un ragionamento politico su questa Commissione.

Nell'articolo 1 si parla dei tempi della Commissione. La relatrice l'ha appena detto: la Commissione avrà tutta la legislatura per arrivare in fondo. Noi, insieme ad altre opposizioni, abbiamo fatto una proposta, provando anche a sollecitare nella maggioranza una riflessione e una riformulazione di questa nostra proposta. Noi avevamo scritto 18 mesi, ma su tale iniziativa naturalmente la risposta è stata “no”, perché ciò che interessa, in questo caso, è guardare dal buco della serratura e non risolvere eventualmente i problemi successivi in base a quello che è stato.

Dunque, si fa per l'intera legislatura, mentre nell'altro ramo del Parlamento, al Senato, sulla Commissione Orlandi credo ci sia una proposta della maggioranza di una durata pari a 24 mesi, forse perché, se si ha più tempo, vi è il rischio di trovare qualche connivenza storica fra quegli anni e la propria provenienza culturale. Questa è la discussione.

Se una Commissione ha due anni per riguardare i temi di molti anni fa, relativi alla vicenda Orlandi, per guardare le cose di oggi due anni sarebbero stati sufficienti. Forse, bisogna arrivare sino al momento delle elezioni, con quella che ho già definito una clava che si vuole usare. E poi spiegherò il motivo per cui si vuole usare una clava.

Avevamo provato a modificare, chiedendo non di guardare a quello che è successo, ma di istituire una Commissione, per fronteggiare meglio un'eventuale pandemia e per richiamare le persone che avevamo già audito, per farci dire cosa servirebbe per il futuro e cosa si è provato a fare in questa fase. No, noi vogliamo vedere quello che è successo!

Andiamo al cuore della proposta: l'articolo 3. Lo dico ai colleghi del Quarto polo, perché il provvedimento è un testo unico a firma di due soggetti politici del centrodestra e di esponenti di Italia Viva, i colleghi Faraone e Bonetti. Dopodiché, si è aperto l'articolo 3 con la richiesta di riscrivere il senso della Commissione da parte di uno dei firmatari della legge stessa e questo è un unicum, nell'ambito dell'istituzione di una Commissione come questa. Non riesco a capire come sia possibile sottoscrivere un testo unico e non condividerne il cuore e chiedersi cosa fare. Infatti, dentro quell'articolo, così come abbiamo provato a scrivere, c'è anche il senso politico di questa vicenda.

Siccome i presidenti Cirio, Fontana e Zaia (li cito, partendo da ovest a est) non possono permettere di andare a vedere quello che è successo, noi ci fermiamo a vedere le indicazioni dei Governi centrali. Allora, mi domando: rispetto a un atto del Governo, che non ha un potere diretto sulla gestione del COVID, come su tante altre questioni in campo sanitario, e che non può essere indagato soltanto come causa principale, ma anche per ciò ha prodotto, cosa vogliamo vedere? Se quegli atti sono stati fatti il giorno prima o il giorno dopo?

Facciamo come Salvini che, a febbraio del 2020, con un cellulare in mano, all'aeroporto di Fiumicino chiedeva di aprire l'Italia e, due giorni dopo, andava in una trasmissione a chiedere, invece, di chiudere tutto, perché c'era la pandemia? Questo è quello che ci interessa sapere, ci sono i video, basta andare su YouTube. Ringrazio Dio che Salvini era un parlamentare, un semplice viaggiatore, in quei giorni, a Fiumicino, e non il Ministro delle Infrastrutture, come in questo caso. Avrebbe creato danni ben maggiori (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) che con un video, riprendendosi e dicendo amenità.

Voi state facendo questa Commissione solo per utilizzare una clava contro i Governi precedenti. Ma vi ricordo, fatto salvo Fratelli d'Italia, che, nei Governi precedenti, c'eravate anche voi, c'era la Lega, c'era Forza Italia, c'erano le forze minori che compongono il centrodestra, che hanno sostenuto, con il Governo Draghi, una linea che era la stessa che ha consentito all'Italia, nonostante il dramma che abbiamo vissuto, nonostante i morti, di contenere la situazione, perché noi siamo stati la prima fila in Europa di questa pandemia e ne abbiamo pagato i prezzi anche in virtù, e forse questo dovremmo vedere, degli errori commessi nella sanità, perché un'ottima sanità di servizi non è una sanità territoriale.

Vorrei sapere, allora sì, perché eravamo privi di un numero adeguato, se guardo alla Germania, di posti in terapia intensiva; come mai ci sono sanità in Italia dove si va a farsi curare, ma non si è in grado di avere una sanità territoriale.

Concludo velocemente, se mi manca solo un minuto, e lo diranno i colleghi che parleranno successivamente. Avete dato voce ai no-vax con questa Commissione. Vi avevamo chiesto di tenere conto della Corte costituzionale, ma ci avete detto che non era il caso. Chiudo veramente velocemente: in Italia ci sono state almeno tre o quattro Commissioni di rilevanza per il Paese. Nel 1979, nel 1981 e nel 1988: quelle sul caso Moro, sulla P2 e sulle stragi. Poi ce n'è stata un'altra nel 2002, quella Mitrokhin. Le prime tre sono state votate all'unanimità, l'ultima del 2002, quella Mitrokhin, è stata votata dalla maggioranza, i testi erano solo della maggioranza. Negli altri casi, i testi erano delle opposizioni e della maggioranza.

Vi chiedo chi saranno gli Scaramella e i Farina di questa Commissione. Siete lo stesso brodo di coltura, volete utilizzare le istituzioni per andare contro una parte dell'opposizione.

Questa non è l'idea di costruire un Paese unito. Avete chiesto, qualche giorno fa, di discutere di riforme costituzionali, ma pensate di poterlo fare così, con i nuovi Scaramella, quelli che poi, dopo essere stati utilizzati, sono finiti in galera? Concludo, Presidente.

Il nostro senso delle istituzioni questa volta non ci consentirà di stare zitti, perché si offendono le istituzioni. Cambiate linea, prendetevi questa finta vittoria in quest'Aula del Parlamento, oggi, nei prossimi giorni. Poi al Senato provate a riprendere una discussione, altrimenti i rischi di rottura istituzionale saranno davvero alti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Patriarca. Ne ha facoltà.

ANNARITA PATRIARCA (FI-PPE). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il 9 gennaio 2020, con la dichiarazione dell'Organizzazione mondiale della sanità dell'avvenuto isolamento da parte delle autorità cinesi di un nuovo ceppo di Coronavirus, mai identificato prima nell'uomo, ha avuto inizio quella fase di emergenza sanitaria internazionale che l'11 marzo dello stesso anno fu definita, sempre dall'OMS, come una pandemia. Sarebbe riduttivo dire che quella pandemia ha influenzato e ancora oggi influenza molteplici aspetti della realtà quotidiana degli italiani e del Paese.

Di fatto, la pandemia ha sconvolto assetti economici, finanziari, imprenditoriali, geopolitici e sociali in maniera che mai nel XXI secolo avremmo potuto immaginare; e lo ha fatto non in Italia, non in Europa, ma in tutto il mondo. Sarebbe lungo e doloroso ripercorrere qui i danni provocati dal COVID, sia in maniera diretta che indiretta, nel nostro Paese, in questi anni, a cominciare dalle perdite umane: danni ed effetti di cui ancora risentiamo. Penso, fra i tanti, alle conseguenze sulla formazione dei nostri ragazzi di due anni di didattica digitale a distanza. Penso alle difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie, con conseguenti liste di attesa che non riusciamo oggi a smaltire. Penso a tutta la rete di prevenzione sanitaria totalmente saltata, per non parlare degli effetti che hanno condizionato e condizionano gli assetti economici.

Il fatto è che bisogna fare i conti con un evento epocale che ci ha cambiato tutti. Sulla base dei dati resi disponibili dalla Johns Hopkins University, che ha raccolto per tre anni i dati ufficiali forniti dai Paesi a livello mondiale, sono stati più di 676 milioni i casi accertati, 6.881.955 i morti e 13.338.833.198 le dosi di vaccino somministrate. In Italia sono stati più di 25, quasi 26 milioni i contagiati.

Sono stati eseguiti più di 267 milioni di tamponi, sono state somministrate più di 140 milioni di dosi di vaccino e abbiamo pagato l'altissimo prezzo di quasi 180.000 morti. Da quella crisi sanitaria siamo usciti, ma dalle esperienze è necessario trarre un insegnamento, anche alla luce del fatto che gli scienziati ci hanno più volte avvisati che è necessario farci trovare pronti perché eventi simili si possono riproporre. E se è vero che l'emergenza è per sua natura imprevedibile, non dobbiamo farci trovare impreparati. Ciò è necessario.

Per questo salutiamo con favore l'esigenza di chiarezza che è alla base della proposta di istituzione di una Commissione d'inchiesta che evidenzi le best practice, che individui gli errori, che faccia luce sulle irregolarità, sugli sprechi e sulle responsabilità, anche considerando il fatto che ancora per molto, purtroppo, ci confronteremo con le conseguenze della pandemia da COVID-19.

Anche nelle fasi più acute della crisi Forza Italia ha sempre avuto un atteggiamento di grande responsabilità ed equilibrio, anche dal punto di vista della comunicazione. Un atteggiamento responsabile che dura ancora oggi, pur nella consapevolezza di dover dar seguito alla necessità di acquisizione e valutazione dei fatti e degli atti relativi alla gestione della fase pandemica, senza preconcetti, ma anche senza alibi.

È importante imparare le lezioni ed essere adeguatamente preparati per il futuro, al fine di garantire un elevato livello di protezione della salute umana anche per quanto riguarda l'impatto dei cosiddetti effetti del long-COVID. Lo stesso Parlamento europeo il 10 marzo del 2022 ha istituito una Commissione speciale sulla pandemia da COVID-19, che poi è stata prorogata il 18 gennaio scorso. La Commissione aveva come obiettivo quello di analizzare i fatti, fare esperienza delle lezioni apprese ed individuare soluzioni per il futuro alla luce del riconoscimento del fatto che il COVID ha causato milioni di morti, danni irreparabili e che l'Europa e il resto del mondo non erano pronti ad affrontare una tale crisi sanitaria e le conseguenze sociali ed economiche determinate.

La pandemia ha esasperato i problemi strutturali esistenti nel settore sanitario, in particolare la carenza di forza lavoro. Proprio nei giorni scorsi abbiamo esaminato e votato in quest'Aula un provvedimento urgente che, tra l'altro, ha introdotto misure volte a fronteggiare le criticità del Servizio sanitario connesse alla carenza di medici e operatori della sanità soprattutto nei percorsi dell'emergenza/urgenza. È un provvedimento che denota la consapevolezza delle problematiche riscontrate e la volontà di trovare soluzioni.

Questa Commissione è un'assunzione di responsabilità che passa attraverso la conoscenza di quello che è stato e di un'acquisita consapevolezza anche delle criticità che si sono manifestate.

Risolvere queste criticità strutturali è un compito e un impegno di questo Governo e di questa maggioranza, ma, permettetemi, dell'intero Parlamento. Possiamo farlo, però, soltanto se abbiamo un quadro completo di quella che è stata la pandemia, di quello che ha rappresentato per il nostro Paese, delle scelte che sono state fatte, della capacità di queste scelte di risolvere i problemi che si sono presentati. Questo sarà il compito prezioso di questa Commissione, che richiederà l'impegno e la disponibilità di tutte le parti politiche presenti in questo Parlamento.

Ci possiamo dividere sulle formulazioni, ci possiamo dividere sulle parole, ma dobbiamo, sulle reali finalità di questa Commissione, per forza trovarci uniti, perché è nell'interesse, non di una parte politica o di ognuno di noi singolarmente, ma dell'intero Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Baldino. Ne ha facoltà.

VITTORIA BALDINO (M5S). Grazie, Presidente. Purtroppo la realtà non è com'è stata appena descritta dalla collega Patriarca; se così fosse, noi saremmo molto d'accordo sull'istituzione di una Commissione d'inchiesta che rechi principalmente un obiettivo, ossia uno strumento nelle mani di Governi, di regioni, di comuni, che si dovessero trovare - speriamo, mai più - a gestire una crisi pandemica senza precedenti, come quella che il Governo Conte 2, tutti i presidenti di regione e tutti i sindaci degli 8.000 comuni italiani si sono trovati a gestire nel marzo 2020.

Invece, Presidente, oggi, purtroppo, mi trovo qui a dover denunciare uno scandalo, un vero e proprio scandalo che si è consumato in Commissione Affari sociali, che si sta consumando oggi e che si consumerà nei prossimi giorni in quest'Aula, perché la maggioranza con la forza, la prepotenza e l'arroganza dei numeri vuole istituire una Commissione d'inchiesta sulla gestione della pandemia che contiene già una sentenza scritta e che - cosa più grave di tutte - non è affatto un'assunzione di responsabilità, come diceva la collega poco fa, anzi, è un'assoluzione nei confronti dei presidenti di regione, perché Presidente, mi dispiace ribadire l'ovvio, ma questa è la Costituzione italiana e l'articolo 117 della Costituzione italiana, come modificato a seguito della riforma del Titolo V, dice che la competenza in materia sanitaria è una competenza concorrente, quindi, vuol dire che spetta alle regioni legiferare in materia di sanità e che lo Stato detta soltanto i principi generali.

In questa Commissione d'inchiesta, come voi avete scritto, non c'è un riferimento alle regioni; le regioni sono totalmente escluse dal campo di indagine di questa Commissione d'inchiesta. Questo vuol dire che l'obiettivo di questa Commissione non è quello di indagare su cosa non abbia funzionato per fare in modo che quello che è accaduto non accada più, ossia che nessuno abbia una cassetta degli attrezzi, un libretto di istruzioni, un precedente su cui basarsi per prendere quelle decisioni dolorose, sofferte, inedite che il Presidente, allora, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ma - lo ripeto - i presidenti di regione, i sindaci italiani si sono trovati ad assumere in quel periodo drammatico della nostra storia.

Io vorrei leggere alcune parti dell'articolo 3, ma l'ha fatto prima di me il collega Stumpo e non voglio prendere molto tempo. L'articolo 3, che prevede i compiti della Commissione, è allucinante; se lo leggiamo, è allucinante. Addirittura, al punto bb) praticamente si propone di indagare e di verificare l'efficacia, l'adeguatezza e la congruità della comunicazione istituzionale e delle informazioni diffuse alla popolazione durante la pandemia; cioè, in pratica volete indagare sulle conferenze stampa del Presidente Conte, invece di indagare su quei mezzi di informazione che diffondevano fake news sui vaccini, sulla pandemia, sulla teoria del complotto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Perché non fate una cosa, allora, visto che la verità è che voi volete assolvere i presidenti di regione, che pure hanno delle responsabilità. Se da una parte chiedete maggiore autonomia, dall'altra parte non volete assumervi le responsabilità di questi maggiori poteri, maggiori funzioni, maggiori autonomie che chiedete. Allora, siccome la verità è che c'è un'unica forza politica che - come diceva Stumpo poco fa - nel corso del precedente Governo non era al Governo, ma era all'opposizione e solleticava gli appetiti dei no-vax, perché non fate una Commissione di inchiesta sui vaccini? Fatela. Forse non potete, perché una parte del vostro Governo e della vostra maggioranza sarebbe in imbarazzo a farla, ma la verità è proprio questa, l'obiettivo di questa Commissione d'inchiesta è duplice, Presidente: da una parte solleticare gli appetiti dei no-vax che vi hanno votato e che adesso vogliono avere un tornaconto e, dall'altra, utilizzare questa Commissione come una clava politica nei confronti di chi oggi è all'opposizione, perché, Presidente, qual è il messaggio che vogliamo mandare? Il messaggio che vogliamo mandare pesa come un macigno sulle vostre teste, perché oggi voi siete l'istituzione che governa il Paese e perché domani chiunque si troverà a gestire una delicatissima fase, come quella che si sono trovati a gestire i Governi e i presidenti di regione precedenti, avrà timore di non avere la copertura istituzionale dello Stato, perché chi verrà dopo potrebbe istituire con la forza dei numeri e della maggioranza una Commissione d'inchiesta che contiene già una sentenza.

Ecco, Presidente, non so se i cittadini sanno quello che stanno facendo oggi la maggioranza e il Governo, però noi glielo diciamo e utilizzeremo tutti gli spazi in questa settimana per denunciare questo scandalo di cui dovreste solo vergognarvi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tremaglia. Ne ha facoltà.

ANDREA TREMAGLIA (FDI). Grazie, Presidente. Ovviamente, ringrazio la relatrice che ha portato e rappresentato quest'oggi il provvedimento in Aula. È evidente che il tema è, di per sé, particolarmente delicato sia sul piano politico sia sul piano personale per molti di noi. Nel corso della nostra vita singola e collettiva di comunità ci capita, purtroppo, spesso, quando qualcosa di brutto capita a noi o alla nostra comunità, di domandarci e di cercare un senso al dolore; non scendo ovviamente in nessuna considerazione filosofica in questa sede, ma è evidente che ci capiti di domandarci perché ci capita qualcosa di brutto, perché succede qualcosa di tragico a noi, alle nostre famiglie, ai nostri amici. Se si entra nella discussione, come siamo entrati, di una Commissione d'inchiesta sulla pandemia e sulla gestione della pandemia in Italia, è evidente che questa domanda, da un tenore più individuale e filosofico, assurga a un valore prettamente pratico, concreto, problematico, come abbiamo visto anche negli interventi dell'opposizione, quest'oggi.

Siccome chi parla viene da uno dei territori purtroppo in prima fila, più colpiti dalla prima ondata della pandemia in Italia, è evidente che la domanda implicita in ogni discussione sulla gestione della pandemia diventa: perché è capitato quello che è capitato e perché a Bergamo, perché a Brescia, perché a Cremona, perché in Emilia?

Io non penso e non credo che l'intento sia quello di cercare una vendetta. Io credo che siamo tutti pienamente consapevoli che, purtroppo, quello che è stato, ormai, è successo; non si può e non si potrà mai riportare indietro l'orologio a prima dell'inizio della tragedia della pandemia, ma penso che siano dovute alcune riflessioni, penso che, oltre a uno studio scientifico sul perché certe zone della nostra Nazione e certe fasce sono state più colpite - già ci sono degli studi scientifici in questo senso -, occorra anche un'analisi politica e amministrativa del perché quelle aree, di che cosa non sia stato fatto, di che cosa si poteva fare, del perché non sia stato fatto, del perché si poteva fare e questo, lo ripeto, non come una clava nei confronti dei Governi, ma per quella chiarezza che è dovuta ed è in premessa al rispetto per quanti hanno sofferto e perché non si ripeta qualcosa di simile in futuro.

Io - lo ripeto - pur essendo coinvolta in maniera anche diretta sul piano territoriale, cerco di non cadere nella retorica.

Ho voluto recuperare un testo molto interessante, un libro di inchiesta del giornalista Fabrizio Gatti, dal titolo L'infinito errore, che, in maniera, secondo me, abbastanza lucida approfondisce alcuni passaggi di quanto è successo in quei mesi fuori dall'Italia e, poi, in Italia e tratta dell'errore che si rischia di fare. Cito uno degli ultimi brani del libro che, di nuovo, consiglio a tutti noi. Scrive Gatti: “(…) non dovremmo permetterci di chiamare eroi i medici, gli infermieri, gli strumentisti e gli addetti alle pulizie e alle manutenzioni degli ospedali. Perché facendo così segniamo il loro destino. Lo tolleriamo. Pensiamo che la loro morte sia accettabile. E assolviamo coloro che da Wuhan in poi li hanno e ci hanno portati al disastro”. E ancora: “La retorica dell'eroismo celebra l'indifferenza. Serve a non guardare in faccia i fatti e a non sentirci, tutti quanti, corresponsabili. Ma quanto dolore ha provocato tutto questo?”.

Questa riflessione è una riflessione che io sento molto mia, perché è evidente che capita, con buona intenzione, come abbiamo fatto senz'altro tutti noi in questi anni, in questi mesi, di riferirci ai nostri eroi riferendoci a chi ha affrontato la pandemia in primo piano, purtroppo, in prima persona. Però, il rischio è di nascondere dietro a questo eroismo, dietro alla bontà e alla generosità di tanti, quello che non funzionava. Questo - io sono molto chiaro e molto diretto -, per me vale a tutti i livelli. Prima, la collega ha ricordato il livello regionale. Io penso che sia giusto che, anche a livello regionale, esista molta chiarezza, esistano approfondimenti. Da questo punto di vista - lo dico senza nessun tono polemico, perché sul tema io non voglio fare proprio nessuna polemica - da lombardo, oltre che da bergamasco, mi permetto di ricordare che la regione Lombardia ha istituito una commissione di inchiesta, che ha visto la partecipazione, ovviamente, di maggioranza e di opposizione. La particolarità è che, proprio nelle critiche, legittime, per carità, delle opposizioni, all'esito della commissione di inchiesta della regione Lombardia, si legge che le stesse opposizioni stigmatizzano - in senso negativo, evidentemente - la resistenza della politica a credere nella gravità dei fatti, un atteggiamento che ha riguardato OMS, Governi nazionali e regionali e molte articolazioni politiche.

Quindi io penso che, forse, alcuni tra di noi debbano parlare a tutti i propri livelli politici, locali e regionali, per farsi un'idea completa e riportare, oggi, in maniera completa non quello che è successo - che, ripeto, purtroppo sappiamo - ma l'atteggiamento con cui bisogna affrontare quello che è successo. Da lombardo e da bergamasco ripeto che se, senz'altro, c'è un'attenzione nel comprendere quello che nelle prime fasi andava e poteva essere fatto, ugualmente io credo che non ci si possa e non ci si debba nascondere dietro alla retorica dell'eroismo, non ci si possa nascondere dietro alla disciplina, all'obbedienza e al rispetto per le istituzioni, per le leggi e per i decreti che i cittadini italiani hanno dimostrato nei lunghi mesi della pandemia, che non ci si possa nascondere dietro a questa disciplina per non farsi delle domande sulla più lunga, diffusa, invasiva limitazione delle libertà personali della storia repubblicana.

Questo non significa una condanna a priori, ma significa che non si può far passare come una clava politica la ricerca di chiarezza su quali fossero le basi, quali fossero i fondamenti di tutti quei provvedimenti - che adesso non sto a ricordare perché, evidentemente, sarebbe lungo - che nei mesi dell'emergenza, nei mesi della pandemia si sono succeduti. Questi penso che siano atteggiamenti molto sbagliati anche da parte dell'opposizione. Senz'altro non esiste e non esisterà un intento persecutorio, senz'altro non esisterà altro che la ricerca di ricomposizione nei confronti dei nostri cittadini di quelle storie che, in molti casi, restano un pochino - un po' tanto - senza risposta, senza chiarezza, senza senso.

Al di là di queste tante storie, mi permetto di concludere, Presidente, con una nota veramente personale: da cittadino di Bergamo, spaventato da quello che stava succedendo, ovviamente, per i primi giorni del primo lockdown rimasi chiuso in casa; a un certo punto, finirono le scorte, le derrate alimentari, quindi, dopo diversi giorni, credo forse più di una settimana dall'inizio del lockdown, uscii di casa e percorsi il viale delle mura di Bergamo, in una situazione che, purtroppo, ricordiamo tutti assolutamente surreale, di deserto, di città fantasma, per andare al supermercato e comprare qualcosa da mangiare. A un certo punto, dietro una delle curve di queste mura vuote e silenziose, in un sabato mattina, che solitamente è un momento per i turisti e, soprattutto, era una giornata molto bella, molto assolata, sulla facciata di uno dei palazzi nobiliari della città alta di Bergamo, Palazzo Medolago, vidi - non c'era mai stato - un tricolore immenso che copriva tutta la facciata, che riconobbi subito perché era uno dei tricolori che avevano adornato le mura di Bergamo nel 2010 durante l'adunata degli Alpini, che fu ospitata a Bergamo in quell'anno. Quelle bandiere - perché erano tante, coprivano tutte le mura - erano state donate da una persona che mi fa piacere ricordare in quest'Aula, Italo Pilenga, un orfano di guerra che, nel secondo dopoguerra, come tanti bergamaschi, come tanti italiani, si rimboccò le maniche, aprì da solo un'azienda che, poi, crebbe e divenne un'azienda internazionale, molto importante, sul nostro territorio e donò, nel 2010, queste bandiere alla città. Era un uomo forte, generoso, tutte le volte che lo incontravo - ho avuto il piacere di conoscerlo molto bene - gli chiedevo quanti anni avesse, perché ne dimostrava 15, 20 in meno di quelli che effettivamente aveva. Pochi giorni prima del lockdown era ancora in fabbrica - andava tutti i giorni a lavorare, entrava prima e usciva dopo i suoi dipendenti - e poi si ammalò. In maniera molto rapida, quella che sembrava un'influenza divenne qualcosa di più grave, anche a livello polmonare, e lo portò via in due giorni, sostanzialmente in poche ore, agli affetti della sua famiglia e dei suoi cari. È evidente che ci sono tante storie così, è evidente, soprattutto, che ci sono tante persone come Italo Pilenga, un italiano che credeva nell'Italia, che aveva investito nell'Italia, che credeva nella politica. Io penso che noi dobbiamo chiarezza agli italiani, dobbiamo chiarezza soprattutto a quegli italiani che credono nell'Italia, che credono nella politica, anche perché, se non siamo qui a fare questo, cosa siamo qui a fare? Quindi credo che dobbiamo fare la nostra parte, non, come qualcuno teme o sospetta, per vendetta o con odio, ma per giustizia e con amore (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dori. Ne ha facoltà.

DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. Il testo che approda oggi in Aula per l'istituzione della Commissione di inchiesta COVID si potrebbe riassumere in due domande: meglio una mezza verità oppure una verità negata? Ma se la mezza verità servisse soltanto a nascondere l'altra mezza verità? Presidente, senza giri di parole, da bergamasco le dico che sono estremamente deluso, perché questa è una grande occasione persa per i nostri cittadini, che cercano risposte, per i medici, gli infermieri e tutti coloro che sono stati in prima linea contro il COVID. Se la maggioranza di Governo avesse accolto alcuni emendamenti delle opposizioni, anche del mio gruppo, oggi potremmo raccontare un'altra storia, ma, purtroppo, non è stato così. Il centrodestra ha deciso di concentrarsi solo sull'operato del Governo nella gestione della pandemia da COVID-19. Se lo scopo di una Commissione di inchiesta è agevolare un avvicinamento alla verità, questa Commissione parte con il piede sbagliato. Inutile ricordare in quest'Aula che una Commissione di inchiesta parlamentare non ha lo scopo di giudicare ma di raccogliere notizie e dati utili. Noi non ci sostituiamo alla magistratura ma possiamo fare emergere nuovi elementi. Se, però, la maggioranza decide di indagare solo in una direzione, significa che così si spaccherà il Paese, si creerà confusione, anziché pacificarlo, come, invece, si dovrebbe fare con l'arma della trasparenza.

Il testo che approda oggi in Aula, invece, è monco e, quindi, la Commissione non potrà che lavorare male e lentamente. Questa Commissione esclude dall'indagine l'operato degli enti territoriali, in particolare delle regioni. Perché il centrodestra ha escluso dall'indagine l'operato delle regioni? È grave. Le regioni hanno competenze in ambito sanitario, hanno partecipato - eccome! - alla gestione della pandemia, hanno avuto un ruolo fondamentale. La loro esclusione è pretestuosa, oltre che un'offesa ai cittadini. Viene da chiedersi quale idea di cittadini abbia questa maggioranza, quale rispetto per loro. Lo scopo è di far passare solo una versione dei fatti? La verità, invece, va indagata, tutta, a 360 gradi. Quali sono le vere, reali intenzioni della maggioranza?

La Commissione d'inchiesta poteva essere un prezioso strumento per rispondere a esigenze di interesse pubblico, mentre qui viene usata come una clava contro qualcuno, un regolamento di conti. Almeno, spero che la maggioranza sia consapevole che i cittadini vogliono altro: vogliono la verità, non ricostruzioni faziose. In questo modo, oggi, il centrodestra, con il testo in esame, genera due problemi. Il primo: i fatti non verranno pienamente ricostruiti, perché si vuole fare luce solo su una parte di essi. Il secondo: si crea consapevolmente una spaccatura sociale, perché è implicito che, se si vuole un focus solo su qualcosa e non su tutto, c'è già un giudizio, un pregiudizio, il tentativo di confermare una tesi già scritta.

Oggi, dovevamo tutti insieme scrivere una bella pagina di politica, andare tutti nella stessa direzione. Poi, si può star qui a fare bei discorsi retorici, strappa-applauso o strappalacrime, ma, nei fatti, questa maggioranza non vuole fare chiarezza e, quindi, spacca il Paese su un tema come questo.

Tra l'altro, a mio parere, la maggioranza fa un errore di valutazione politica, perché non tutte le regioni amministrate dal centrodestra hanno reagito alla pandemia nello stesso modo, basta vedere la differenza tra Lombardia e Veneto. Capisco, ovviamente, che il centrodestra non voglia mettere in discussione soprattutto il modello sanitario lombardo, millantato da sempre come eccellenza ma, nei fatti, al collasso e in mano ai privati con liste di attesa infinite. Noi abbiamo visto due film diversi in Lombardia e in Veneto per mesi, sia negli screening, sia nelle ospedalizzazioni ma, evidentemente, parlare delle differenze tra Lombardia e Veneto nella gestione della pandemia significava aprire un congresso interno a un partito di maggioranza, quindi, si è voluto evitare.

Partire da un minimo di sana autocritica, però - questo lo dico a tutti -, sarebbe un segno di maturità politica. La maggioranza si mostra, in questo modo, debole e mostra un nervo scoperto, se ha necessità di tener fuori dall'inchiesta le regioni. Forse, la maggioranza non reggerebbe certi imbarazzi? Capisco che sarebbe difficile, ad esempio, reggere l'imbarazzo di fronte alla risposta data dall'ex assessore al welfare di regione Lombardia, Gallera, che, il 22 febbraio 2020, in risposta al direttore dell'Azienda regionale emergenza urgenza di Bergamo, Angelo Giupponi, che chiedeva di allestire degli ospedali esclusivamente riservati ai ricoverati per COVID-19 per evitare promiscuità con altri pazienti, affermava: “Non abbiamo voglia di leggere le tue cazzate”.

Cerco di restare il più oggettivo possibile. Ritengo che la cosiddetta zona rossa in Val Seriana dovesse essere creata senza alcun ritardo. Poi nessuno potrà mai sapere esattamente quanto quella scelta avrebbe potuto evitare o limitare, certo è che, se avessimo evitato anche solo un contagio o una vittima, questo sarebbe stato sufficiente per legittimare quella scelta. Come sappiamo, però, fu una fase, anche prolungata, in cui lo stesso Parlamento ha vissuto un periodo di congelamento, con decisioni prese fuori da queste Aule. È un dato oggettivo, non di critica. Ci si è trovati a dover affrontare problemi concreti anche solo per capire come votare qui in Aula, con la possibilità di un voto telematico, a distanza. Era un Parlamento che apprendeva direttamente dalle TV, mediante le conferenze stampa, le misure adottate di volta in volta, almeno finché non sono stati poi individuati strumenti normativi per dare almeno una cornice costituzionalmente digeribile.

Se negli occhi degli italiani restano le immagini dei mezzi militari, che il 18 marzo 2020 portarono via da Bergamo le bare delle vittime COVID, che lì non potevano più trovare posto, negli occhi dei bergamaschi c'è, invece, il ricordo degli occhi dei propri cari, che avrebbero voluto rivedere e che, invece, non hanno più visto.

È il dolore di una mancanza, alimentato da un desiderio di verità. Inoltre, non si tratta soltanto di capire se ci siano e di chi siano le responsabilità, ma dovrebbe esserci uno stimolo alla conoscenza, a individuare le falle nel sistema, per attrezzarsi adeguatamente e non farsi trovare nuovamente impreparati di fronte a nuove possibili pandemie. Perché tutto ciò è successo soprattutto a Bergamo, in particolare in Val Seriana e, da lì, in altre città, in particolare della Lombardia, Brescia e Cremona, e dell'Emilia? Da quanto tempo, anzi, da quanti mesi, circolava già il virus, non riconosciuto come COVID, ma ricondotto ad anomale polmoniti? Quali sono stati gli elementi di innesco? Ci sono state pressioni da parte di influenti imprenditori bergamaschi o, comunque, del Nord Italia per rimandare le misure? Quale possibile correlazione anche tra l'inquinamento dell'ambiente e dell'aria e lo stato di salute della popolazione e la diffusione del virus? Com'è avvenuta la gestione delle RSA per gli anziani? Tutte domande che rimbalzano da tre anni nella testa di tutti.

Prendiamo atto, quindi, che, con questa Commissione di inchiesta, la maggioranza non ha uno scopo di verità. C'è uno scopo, anzitutto, politico e, allora, non si può pensare di avvicinarsi alla verità. Non possiamo renderci complici di un'azione di nascondimento. È come voler entrare in una stanza buia con una torcia, illuminare solo una parete e trarre le conclusioni sulle condizioni di quell'intera stanza, senza nemmeno avere guardato la parete che sta di fronte. Questa Commissione d'inchiesta poteva essere un'ottima occasione - occasione persa, purtroppo - perché è stato anteposto un calcolo politico alla volontà di verità. Quindi, a prescindere dalla decisione che il mio gruppo parlamentare prenderà, da parlamentare bergamasco, da un lato, non posso votare contro l'istituzione della Commissione d'inchiesta, perché, se anche si riuscisse a fare un mezzo passo in avanti - anche se dubito, purtroppo -, sarebbe comunque un mezzo passo in avanti utile. Allo stesso tempo, non posso approvare un testo così limitato, così parziale, in cui, a tratti, si strizza l'occhio ai no-vax. Trovo tutto ciò inaccettabile, perché, invece, sappiamo che ci siamo dati la salvezza da quel virus con la ricerca scientifica e, quindi, anche e soprattutto con i vaccini.

Pertanto, a malincuore, mi asterrò, nella certezza che, comunque, quella Commissione d'inchiesta verrà approvata e costituita, ma non rendendomi complice di quel velo di silenzio, che il centrodestra, purtroppo, ha voluto mettere sul ruolo delle regioni.

A mio parere, doveva essere tutto diverso. Questa maggioranza sta sbagliando e, quindi, non mi renderò complice di una verità negata.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Loizzo. Ne ha facoltà.

SIMONA LOIZZO (LEGA). Innanzitutto grazie, Presidente, grazie, onorevoli colleghi. Vorrei ringraziare la relatrice, l'onorevole Buonguerrieri, per la grande capacità sintetica di racchiudere in un decreto le aspettative e le pulsioni di ogni partito di maggioranza, e il mio capogruppo Molinari, per aver per primo pensato e depositato una legge sull'istituzione di una Commissione d'inchiesta sull'emergenza COVID.

Indagare su tutte le misure adottate dal Governo durante la pandemia, dalle restrizioni alle chiusure, dagli acquisti di mascherine ai banchi mai usati, è un legittimo obiettivo di tale Commissione. Primo fra tutti, vi è l'obiettivo di indagare sulla mancata esistenza di un piano pandemico, vulnus mai del tutto chiarito, da cui, a cascata, si sono registrate criticità ineludibili su ogni singolo aspetto della gestione pandemica, caratterizzata da ritardi, carenze e criticità nella catena di approvvigionamento dei dispositivi individuali di protezione, nella loro specificità e anche nelle scelte delle loro caratteristiche di presidi di difesa a virus respiratori così importanti.

Abusi, sprechi e irregolarità nella gestione possono aver minato una risposta efficace all'epidemia, come l'acquisto di dispositivi inadeguati può aver assolutamente inciso su una più rapida diffusione di un virus respiratorio. La realizzazione incompleta di strutture e la creazione di centri sanitari destinati ai pazienti COVID, laddove esistenti, ancora non attualmente completati, sono altresì da considerarsi come elementi dirompenti, in cui la gestione della pandemia ha presentato vuoti incredibili, facilitatori della gravità di diffusione del virus, incidendo sulle capacità di controllo dell'evoluzione dello stato emergenziale.

Il continuo utilizzo dello strumento, ahimè poco democratico, della decretazione d'urgenza mal si è coniugato con il rispetto dei diritti umani, ma anche delle libertà fondamentali costituzionalmente garantite.

La Commissione non è, non sarà mai e non si sostituirà mai, nel suo spirito, agli organi inquirenti de facto, ma intende perseguire lo scopo di verità a cui l'organo bicamerale è istituzionalmente volto nel suo incedere verso la giusta spinta e verso elaborazioni future per emergenze analoghe, che speriamo non ci siano mai.

Non basta un tecnico ‘me la cavo' o ‘me la sono cavata', né un ‘forse andrà tutto bene'. La Commissione correrà ad analizzare ogni aspetto tecnico-organizzativo alla base di una mancata risposta sotto i limiti di adeguatezza ed efficacia, non giustificabili solo con l'accettazione e con l'accezione emergenziale della pandemia e di tutti i processi di gestione della stessa, che hanno registrato spesso e volentieri un sottosoglia.

La mancanza del Piano pandemico e le dinamiche secondo le quali l'Organizzazione mondiale della sanità definiva, in una relazione pubblicata e poi immediatamente ritirata, la reazione del Sistema sanitario nazionale italiano alla pandemia, confusionaria ma anche creativa - creativa, scrive l'OMS - impongono la necessità di comprendere alcune responsabilità del mancato aggiornamento del Piano pandemico italiano, da cui imparare una lezione di vita.

La mancanza di decisione nella scelta dei presìdi e dei device, la mancanza oggi non ancora chiarita dagli organi ministeriali preposti alla prevenzione: tutto questo sarà oggetto di un lavoro attento della Commissione. La Commissione sarà chiamata a un lavoro di revisione coordinato, che faciliterà lo sviluppo di nuovi modelli sanitari e un'Italia più preparata a contrastare futuri eventi epidemici.

L'Italia, nel Piano nazionale di preparazione e risposta alla pandemia influenzale del 2006, confermato nel 2017, dopo l'esperienza SARS, ha presentato pianificazioni di tipo teorico più che pratico, e sulla mancata traduzione del Piano in misure concrete e attuali si ravvisa la necessità del lavoro di questa Commissione. Troppo tempo è passato prima di avere la guida ufficiale e soprattutto, in questo eccessivo tempo impiegato a elaborare un piano di azione, sta il vulnus che ha provocato centinaia di migliaia di morti.

Il mancato contenimento della diffusione virale insieme all'incapacità di controllo del flusso dei pazienti che entravano negli ospedali del Nord come del Sud: è questo che determina il culmine di una grave debolezza della sanità pubblica del nostro Paese. La preparazione alla pandemia, per essere efficace, richiede formazione, organizzazione e spesa, senza apparente risultato effettivo. Il tema della preparedness, la necessità di essere preparati, di cui oggi si parla, si inserisce in termini più generali nella preparazione agli eventi su larga scala, come per esempio i terremoti.

Un'altra cosa che tengo a dire è che la mancanza di preparazione globale è mancanza non solo di azione di controllo, ma anche di azione di sorveglianza nei confronti di quegli operatori che hanno perso la vita e dei loro contatti. La mancata acquisizione dei dispositivi e dei device come i respiratori: noi li contavamo e non arrivavano mai. Poi, la mancanza di piani di preallerta e allerta, cosa che fa parte di un Paese civile e di un sistema sanitario civile. E ancora, di nuovo, il tempo: una variabile intercorsa di ben 40 giorni che passarono tra il primo contagio e l'esecuzione di un piano attivo.

I piani pandemici non sono solo schemi di responsabilità o di definizione di catene di comando, ma sono soprattutto piani decisionali e comunicativi. Tale incompletezza di comunicazione e di decisione si è drammaticamente intrecciata, nel nostro sistema sanitario, alla mancanza di rinnovamento del patrimonio tecnologico, alla confusione politico-istituzionale e ministeriale, e alla totale mancanza di una struttura complessiva di governance.

I dolorosi lutti, di cui parlava il collega di Fratelli d'Italia, ci avvolgono oggi e chiedono un'adeguata risposta, ma soprattutto una risposta vera (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Girelli. Ne ha facoltà.

GIAN ANTONIO GIRELLI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Si rischia di ripetere, anche oggi in Aula, tante cose che sono state oggetto di discussione in Commissione. Commissione che, sinceramente, ho vissuto e interpretato in maniera molto diversa rispetto a quanto è stato oggi descritto da parte di esponenti della maggioranza. Infatti, non si è trattato di un momento di confronto nel merito, in cui verificare assieme quali fossero gli obiettivi o l'utilità di uno strumento come quello della Commissione d'inchiesta per raggiungere l'obiettivo che anche qui è stato dichiarato. È stato, di fatto, un momento in cui sono emersi, secondo me, due aspetti di particolare rilevanza e gravità.

Il primo: la scelta dello strumento stesso della Commissione d'inchiesta. Noi siamo in un momento in cui una procura ha svolto delle indagini, presto ci sarà il seguito processuale rispetto a questo aspetto, e credo che sarà interessante, utile e anche doveroso nei confronti dei cittadini e delle istituzioni stesse avere da quel livello un rimando rispetto a quegli approfondimenti.

Noi abbiamo usato lo strumento della Commissione di inchiesta che - lo vorrei ribadire, perché vedo che qualche descrittore dei lavori della Commissione ha poco chiari alcuni aspetti - è diverso rispetto alle Commissioni regionali, le quali non hanno alcun potere inquirente: hanno semplicemente la possibilità di approfondire, acquisire e redigere delle conclusioni, non certo di svolgere indagini o pretendere che qualcuno vada a relazionare alle Commissioni stesse. Quindi, è un compito completamente diverso.

Si è scelta - dicevo - la Commissione d'inchiesta, invece di altri strumenti che magari potevano permetterci di fare un lavoro diverso da quello della procura; ma, peggio ancora, noi abbiamo avuto un testo che, di fatto, non è il frutto di un lavoro parlamentare. È più il frutto di uno specifico testo blindato, redatto non si sa bene dove e non si sa bene da chi, che non è stato assolutamente possibile emendare, se non per questioni di contorno, quasi per rompere la statistica con riferimento al fatto di dire che nessun emendamento è stato approvato.

Infatti, nessun emendamento di contenuto vero - mi riferisco all'articolo 3, piuttosto che al richiamo ai livelli territoriali, nell'esame di quanto è avvenuto - è stato minimamente considerato.

Ma ancor di più, non è stata nemmeno considerata la possibilità di dare un rimando a quest'Aula, per lo meno dopo un intervallo di tempo comprensibile, in ordine a quanto si sta facendo in quella Commissione, quasi si desse per scontato che questa Commissione durerà per tutta la legislatura e che non dovrà, nel corso di tutto questo periodo, rendersi minimamente responsabile nei confronti di quest'Aula.

Ecco, io vorrei dire che questa è l'ennesima dimostrazione - ma credo che ormai sia un'abitudine - di avere un Parlamento di fatto sia commissariato dal Governo che manca quindi di una sua libertà anche nel predisporre i lavori su un tema tanto delicato, come quello del COVID. Da questo punto di vista, so bene quello che ha voluto dire il collega Tremaglia - che è di Bergamo, io sono di Brescia - quando ha richiamato determinate situazioni, ma so anche altrettanto bene, proprio per le morti che si sono avute in quelle comunità, per le famiglie distrutte, per il dolore patito, per le telefonate di operatori sanitari che non sapevano cosa fare, per i sistemi di emergenza e urgenza che sono andati in default, per i pronto soccorso che aprivano e chiudevano senza una logica e senza una regia, per i malati che venivano trasportati in terapie intensive in Germania, piuttosto che in regioni vicine e per tantissime situazioni di questo genere, che si sente la necessità di comprendere cosa è avvenuto, di comprendere a 360°, dal livello nazionale e governativo al livello territoriale, non per andare a vedere chi ha più colpa, ma proprio per capire cosa non ha funzionato e cosa bisogna mettere a posto rispetto ad emergenze straordinarie, terribilmente straordinarie, come quelle che abbiamo vissuto, partendo certo dal Piano pandemico che - vorrei ricordarlo - è del 2006 e aveva bisogno di essere rivisto, come anche i piani regionali conseguenti, tant'è che alcune regioni, come la Lombardia, hanno provveduto a fare una rivisitazione subito dopo, nel 2022, se non vado errato, a partire dalle scorte di dispositivi di protezione - in teoria ogni presidio ospedaliero e ogni struttura sanitaria avrebbe dovuto averne un numero necessario - e dall'incapacità di garantire alla rete territoriale sanitaria, ai medici di medicina generale, piuttosto che ad altre realtà, un minimo di supporto, di aiuto e di indirizzo riguardo al comportamento da tenere, con una sottolineatura - questo è da riflettere - in particolare su alcune realtà territoriali, rispetto ad altre, nelle quali è mancata una rete territoriale capace di fronteggiare l'emergenza, non dico di risolvere il problema sanitario - perché non sarebbe stato sicuramente in grado di farlo nessuno in quel momento - ma di essere vicina a chi era in difficoltà sì; invece purtroppo anche questo spesso è mancato, proprio per lo smantellamento della cosiddetta medicina territoriale, che sarebbe buona cosa se ricominciassimo a chiamare “di prossimità”. Ma invece di fare un elenco molto preciso di tutto questo, noi, nell'articolato dell'istituzione della Commissione, andiamo persino a scomodare la validità del vaccino, prestando il fianco a letture no-vax: mi sento di dirlo anche se poi qualche pennivendolo magari farà un uso improprio, nella redazione giornalistica, di quanto viene detto in Commissione, piuttosto che in Aula. E questo io credo che non possiamo permetterlo; è un insulto alla scienza vera, non alla scienza presunta che, in nome della messa in discussione di alcune rilevanze scientifiche si è costruita una visibilità mediatica e ancora adesso frequenta talk show o quant'altro a spiegarci cose che non hanno nessun supporto scientifico da parte delle vere autorità riconosciute. Ma, d'altra parte, anche all'interno dell'articolato, noi andiamo a considerare l'Istituto superiore di sanità alla pari di una qualsiasi organizzazione che esprime pareri contrari, perché anche quello siamo riusciti a non fare. La dimostrazione sta - perché anch'io vi invito a rileggere e risentire tutte le audizioni fatte - in quello che ci è stato chiesto da quel mondo della scienza: di avere il coraggio di andare a 360°, di analizzare tutti i livelli istituzionali nel loro comportamento, anche qui, in questo caso, per poter garantire in futuro una maggiore efficienza, una maggiore capacità di risposta, di collaborazione e coesione nel prendere le decisioni.

Andando un po' più in profondità, mi viene un sospetto - questo sì e dispiace dirlo -, che è già stato precisato da alcuni colleghi prima, su quale sia l'effettiva volontà di questa Commissione, se non quella di mettere in discussione una stagione di Governo del nostro Paese, dimenticando che essa è oltretutto raccolta e continuata da un'altra stagione politica che ha visto protagoniste anche forze dell'attuale maggioranza quasi che, nella comodità dell'oggi, si possa con grande tranquillità giudicare le gravissime decisioni di ieri.

Vorrei chiedere a tutti di tornare indietro nel tempo, di vivere con la stessa sensazione, la stessa paura, lo stesso timore, la stessa tensione di chi stava nelle istituzioni in quel momento, su qualsiasi banco sedesse, rispetto a quanto capitava fuori dalle Aule istituzionali dove sedeva. Un Paese silenzioso e deserto, con morti che in alcune zone raggiungevano il 500 per cento delle percentuali normali, con case di riposo che erano diventate dei momenti di dolore quotidiano, che hanno perso in alcuni casi anche più della metà dei loro ospiti, con operatori sanitari che gridavano e lanciavano messaggi di dolore e di disperazione, chiamati a volte a scelte incredibilmente difficili rispetto a cosa fare e rispetto a certe situazioni. Ecco io, forte di quella sensazione e di quel ricordo, quello a cui mi sentirei di invitarvi è di togliere tutti quei richiami a sentenze e a giudizi già scritti, a voler evidenziare tutte le possibili criticità che oggi vengono molto facilmente evidenziate ma, in maniera molto più libera, di andare come una carta bianca a capire tutto quello che c'è da capire, senza porci dei limiti, senza escludere nulla, ma con il coraggio di comprendere davvero dove un po' tutti abbiamo probabilmente sbagliato, ma nessuno - penso e spero - con la consapevolezza di volerlo fare. Su questo vorrei rassicurare che, da parte del Partito Democratico, non c'è nessun panico e nessun timore perché sappiamo benissimo che le persone che in quel momento rappresentavano la nostra forza politica l'hanno fatto con la massima tensione morale, con la massima serietà, con la massima attenzione a quello che il mondo scientifico, quello vero, diceva loro di fare, ma anche con la massima volontà di comprendere davvero fino in fondo cosa di meglio poteva costruire per il futuro…

PRESIDENTE. Avrebbe già dovuto concludere.

GIAN ANTONIO GIRELLI (PD-IDP). …ma anche con la massima determinazione e forza nell'impedire che, da una tragedia nazionale, potessero nascere uno scontro politico e una speculazione politica. Questa credo che sarebbe l'ennesima vergogna che non possiamo di certo permetterci; certo ne abbiamo viste altre in questi mesi, ma su questa credo saremo ancora più forti e ancora più capaci di dire il nostro “no” (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Trancassini. Ne ha facoltà.

PAOLO TRANCASSINI (FDI). Grazie Presidente, rappresentante del Governo e onorevoli colleghi. Noi oggi ci troviamo a discutere della costituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulla gestione dell'emergenza sanitaria e del mancato aggiornamento del Piano pandemico nazionale. L'ho voluto ripetere, Presidente, perché, alla luce degli interventi che mi hanno preceduto, credo che a qualche ascoltatore possa venire il dubbio sul fatto che questa maggioranza si sia macchiata di chissà quale colpo di mano, di chissà quale atto di arroganza o di dispetto istituzionale. La costituzione di questa Commissione non ce l'ha chiesta l'Europa, non ce l'hanno chiesta i poteri forti; ce l'hanno chiesta la gente, la coscienza, la volontà collettiva di fare chiarezza in un momento estremamente complicato e difficile, nel quale molte cose non sono state chiare. La madre di tutte le domande è se è andato tutto bene. È andata bene la gestione della pandemia? Noi pensiamo di no, perché ci sono molte zone d'ombra e, come forza politica - è stato ricordato in precedenza -, noi sin da subito ci siamo sottratti a quel processo di beatificazione di San Giuseppe Conte da Casalino.

Ci siamo sottratti immediatamente perché ci era abbastanza chiaro che l'accelerazione sulla compressione dei diritti democratici era troppo forte, mal gestita e, soprattutto, mai condivisa da un punto di vista parlamentare.

Ricordo ai colleghi che oggi hanno usato parole forti che noi abbiamo chiuso per primi, abbiamo riaperto per ultimi e abbiamo avuto uno dei tassi di mortalità più grandi al mondo e in Europa. Allora, forse è il caso di approfondire quel periodo, di farci delle domande se abbiamo prodotto danni all'economia, di ricordarci come abbiamo gestito la cassa integrazione all'inizio della pandemia, con ritardi di mesi che hanno portato molte famiglie sull'orlo della disperazione e, magari, anche a qualche cosa di più. È bene ricordarci e approfondire quando siamo andati a prendere i dispositivi di protezione in Cina e dobbiamo ricordare e approfondire il tema delle Primule. Noi non abbiamo dimenticato l'App Immuni, quanto è costata, a cosa è servita, che tipo di tracciamento era, quanto ha agevolato e quanto ha aiutato nella lotta alla pandemia. Poi, i banchi a rotelle e la volontà di focalizzarsi sui codici Ateco, che tanta disparità hanno creato nella popolazione.

È stato detto in precedenza dalla collega Baldino, signor Presidente, che addirittura questa Commissione vorrebbe occuparsi anche della comunicazione. Io non ho partecipato ai lavori della Commissione e non so esattamente qual è il compito o, meglio, il margine, ma da un punto di vista della comunicazione bisogna che noi ci ricordiamo quando, in prima serata, abbiamo messo in difficoltà milioni e milioni di italiani, perché non si capiva quello che sarebbe successo l'indomani. Noi abbiamo fatto leggere i DPCM ai commercialisti. I parlamentari hanno ricevuto decine e decine di telefonate da persone che non sapevano quello che potevano fare e quello che non potevano fare. Ci dobbiamo ricordare che in questa Nazione c'è stato il giallo rafforzato - dico il giallo rafforzato - in una deriva di armocromia che, evidentemente, doveva farci presagire che quello sarebbe stato poi, il faro dell'ideologia del Partito Democratico.

In quei giorni, le narrazioni della maggioranza e del Presidente Conte, per noi chiusi dentro casa, erano che esisteva un modello Italia e che eravamo punto di riferimento e guida dal punto di vista della lotta alla pandemia e addirittura eravamo guida dal punto di vista della ripresa economica. Ma, allora, se così è stato, concludiamo questo processo di beatificazione. Lo dico ai colleghi del MoVimento 5 Stelle: tutti i santi sono stati processati e, al termine del processo, quindi dell'attività della Commissione d'inchiesta, c'è il rito finale della beatificazione, con le campane che suonano a festa nel luogo di nascita e di morte del beatificato. Si è auto-dichiarato beato, ce lo avete propinato in tutte le prime serate e siete anche convinti oggi che tutto è andato bene. Allora, non capisco qual è questa clava. Non mi sento armato, se questo è quello che volete sapere, perché noi pensiamo semplicemente che tutto questo debba servire anche per evitare di commettere errori in futuro.

È stato detto che la commissione d'inchiesta doveva riguardare anche le regioni. Ricordo ai distratti colleghi che nelle regioni governate dal centrodestra ci sono state le commissioni d'inchiesta, ma è nelle regioni governate dal centrosinistra che non ci sono state commissioni di inchiesta. Quanto l'abbiamo chiesta nella regione Lazio, in cui dovevamo soltanto cercare di capire per quale motivo qualche milione di euro era stato affidato al primo che passava e in cambio non avevamo avuto le mascherine!

Allora, Presidente, noi non ci vergogniamo di utilizzare uno strumento previsto dalla democrazia. Non pensiamo, come ritiene il collega Stumpo, che abbiamo perso tempo né che ne perderemo. Però, una considerazione, alla luce di tutto questo clamore e di tutto questo arrabbiarsi, me la faccia fare. Infatti, io penso che dietro questo non ci sia soltanto il timore che magari possa emergere qualche errore e che il beato, alla fine, risulterà un semplice cittadino che si è improvvisato in un ruolo più grande di lui. No, il fastidio nasce, soprattutto a sinistra, soprattutto nel Partito Democratico, perché è come se ci fosse una forma di lesa maestà. Ci faccia caso, Presidente. In questi primi mesi di questo Governo questa strisciante sensazione di fastidio, ogni qualvolta la maggioranza parla e ogni qualvolta la maggioranza fa la maggioranza, arriva, forte e chiaro, dal Partito Democratico - è stato detto dal collega Stumpo - perché c'è un problema culturale. Ma non c'è il problema culturale sottolineato dall'onorevole Stumpo, c'è un problema culturale di una forza politica che si considera al di sopra di tutto, che si considera storicamente la più brava, che si considera storicamente l'unico punto di riferimento e, in realtà, è l'unica forza politica che brilla per la cultura del potere. Però, questa volta le è andata male, perché i cittadini hanno espresso una maggioranza molto chiara.

Ovviamente, noi siamo favorevoli alla costituzione di questa Commissione d'inchiesta e rassicuro l'opposizione che sarà una Commissione d'inchiesta, come diceva anche il collega Stumpo, in cui ci saranno atti chiari, ci sarà la trasparenza e sarà data la possibilità all'opposizione di procedere con quel processo di beatificazione al quale tanto ha tenuto in precedenza (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Quartini. Ne ha facoltà.

ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. I 7 articoli della proposta di legge - checché ne dica chi mi ha preceduto - sono, Presidente, con evidenza indiscutibile, pretestuosi, faziosi e strumentali. Formulano un teorema politico precostituito, volto a giustificare una sentenza già scritta e ingiustificabile. Perché non indagare anche a livello regionale? Perché indagare solo il livello governativo e, nello specifico, con una lente di ingrandimento speciale sulla prima fase della pandemia, cioè il Governo “Conte 2”? È evidente che alla maggioranza non interessa affatto migliorare la sanità pubblica ma aggredire violentemente gli avversari politici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), cose che avvengono solo nei regimi e non nelle democrazie. Andare a rivedere, fase dopo fase, le diverse scelte coraggiose che hanno permesso di uscire dalla pandemia è utile se finalizzato a imparare e a migliorare.

Presidente, vuole provare lei a capire quale meccanismo così miope guida la maggioranza rispetto a una proposta di legge che dovrebbe avere un alto interesse nazionale, quello di migliorare un Servizio sanitario nazionale che è in credito nei confronti del bilancio dello Stato di ben 37 miliardi? Tra gli accusatori di oggi ci sono anche coloro che hanno tentato di usare anche il COVID a fini elettorali, fino ad aizzare rivolte popolari contro le Forze dell'ordine e contro le restrizioni, favorendo la diffusione del virus e di fatto ignorando e disprezzando il lavoro e il sacrificio dei medici e di tutti i sanitari che si sono prodigati in una collaborazione mai vista, mettendo a rischio le loro stesse vite e a volte anche morendo.

Si attaccano più o meno implicitamente, senza alcuna base scientifica né giuridica, tutte le misure adottate dal Governo. Eppure, nessun Paese ha saputo reagire in maniera più efficace e immediata dell'Italia, le cui misure sono state estese anche all'estero. Il Governo di allora è stato contestato da quell'opposizione di destra che non ha saputo, nelle regioni amministrate, impedire gli impatti peggiori del dramma.

La Commissione fa bene a investigare sulle misure di contenimento adottate dal Governo, perché sono proprio quelle misure che hanno impedito che le conseguenze delle diverse ondate del virus fossero ben peggiori. E ricordiamo gli ospedali pubblici al collasso e le strutture private, tanto diffuse proprio nelle regioni governate dall'attuale maggioranza, che ben si guardavano dallo sporcarsi le mani con i malati di COVID, preferendo malattie più remunerative e meno rischiose. Ricordiamoci di chi inneggiava allo scendere in piazza senza mascherine quando il virus dilagava perché, se avessimo seguito le loro idee, i negozi sarebbero rimasti chiusi molto più a lungo.

E così diventa paradossale e grottesco trovarsi a doversi difendere per avere usato la decretazione d'urgenza o lo stato di emergenza, quando erano gli unici modi per poter intervenire in tempi ristretti, rispettando, tra tutti i diritti fondamentali delle persone, anche quello di non ammalarsi e morire (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). È semplicemente vergognoso e squallido attaccare proprio la comunicazione istituzionale, e ancora è più vergognoso non voler indagare sulle fake news dei siti extraistituzionali, come avevamo proposto. Il Governo ha fatto, e siamo orgogliosi che lo abbia fatto, tutto quello per cui adesso viene posto sotto accusa, per averci messo la faccia, sì, anche tutte le sere!

I protocolli terapeutici, anch'essi messi sotto accusa nell'articolo 3, sono sempre stati adeguati alle linee guida migliori e più avanzate. I vaccini, che molti di coloro che adesso si ergono a giudici inquisitori, con la condanna già in mano, all'epoca contestavano nelle file dei no-vax, sono stati una priorità per l'Italia che, grazie all'organizzazione della campagna vaccinale, ha potuto porre un freno all'espandersi del virus. L'articolo 3 della proposta di legge simboleggia una vera e propria emergenza, e non è l'emergenza sanitaria, che è stata superata, nonostante coloro che vogliono l'annientamento di chi governava, ma questo articolo 3 è un'emergenza democratica, quella che ha aggredito ogni proposta di miglioramento, in spregio a tutti coloro che si adoperavano, ognuno nel proprio ruolo, per aiutare persone, per salvaguardare l'economia e la stessa tenuta sociale del Paese.

L'intenzione di attaccare è palese, tant'è vero che la proposta di capire perché in certe regioni il problema è stato maggiore è stata bocciata subito dai proponenti. Troppo sconveniente mostrare i propri errori, meglio andare a cercarne, fino a inventarseli, nelle azioni altrui. E poi, mi consenta, Presidente, come farebbe la maggioranza a difendere l'autonomia differenziata di fronte al fallimento del regionalismo differenziato in sanità? Troppo scomodo sarebbe per il Governo attuale accettare il fatto che, nella fase iniziale della pandemia, il ruolo delle regioni è stato determinante nella diffusione del virus, che è necessario indagare la diffusione esponenziale nella regione Lombardia per capire perché proprio in quella regione c'è stato un numero enorme di contagi e decessi. Se si togliesse dalla statistica la regione Lombardia, l'Italia sarebbe al trentesimo posto in termini di danni da virus, pensiamoci un attimo.

Va indagato, non va posto il dito contro, va capito per migliorare il sistema. Questa Commissione sarà un'occasione mancata, Presidente, e mi avvio alle conclusioni. Tuttavia ricordiamoci che, in caso di altre emergenze, sarà bene avere a disposizione quel sistema sanitario universale che, con persone che aspettano mesi per un esame, mentre si fanno regali alle strutture private, sotto il rumore della Commissione, silenziosamente ci si appresta a smantellare definitivamente, perché senza un Servizio sanitario nazionale pubblico ben organizzato la stessa tenuta sociale del Paese crollerà (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT (PD-IDP). Grazie, Presidente. Il 31 dicembre 2019 le autorità sanitarie cinesi notificarono un focolaio di casi di polmonite ad eziologia non nota nella città di Wuhan. Il 23 gennaio, dopo neanche un mese dai primi casi, vista la rapida diffusione del virus del SARS-CoV-2, ebbe inizio il primo lockdown di massa nella storia. Sessanta milioni di persone appartenenti alla provincia di Hubei, di cui 11 nella sola città di Wuhan, entrarono in un rigido lockdown.

Strade deserte, servizi ridotti al minimo. Le immagini che giungevano dalla Cina sembravano quelle di un film e nessuno lontanamente avrebbe potuto immaginare che le stesse misure sarebbero state varate anche nel nostro Paese poco più di un mese e mezzo dopo. Pur essendo stati identificati a fine gennaio due casi di Coronavirus in turisti cinesi in visita a Roma, il 21 febbraio del 2020 venne identificato quello che erroneamente sarebbe stato chiamato il “paziente zero”, un trentottenne di Codogno. Diversi focolai erano presenti in alcune zone del Nord Italia, come a Vo' Euganeo, nella provincia di Bergamo, e fu l'inizio della prima devastante ondata per l'Italia, a cui si cercò di porre rimedio con il lockdown nazionale a partire da domenica 8 marzo, con misure assolutamente impreviste e non note nella tradizione e nella storia recente.

Il virus si diffuse rapidamente a un territorio sempre più vasto, l'epidemia era in gran parte fuori controllo da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità. L'11 marzo del 2020, dopo soli tre mesi dal primo caso, l'OMS dichiarò ufficialmente lo stato di pandemia. Furono emblematiche le parole del direttore dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus: nelle ultime due settimane il numero di casi di COVID-19 al di fuori della Cina è aumentato di 13 volte, il numero dei Paesi colpiti è triplicato, disse. Ci sono più di 118.000 casi in 114 Paesi e 4.300 persone hanno perso la vita, altre migliaia stanno lottando per la propria vita negli ospedali, e così via.

Iniziò subito la ricerca di un vaccino, l'unica arma efficace per contrastare il virus, oltre al distanziamento, alle chiusure nei momenti più drammatici, all'uso delle mascherine. A fine ottobre del 2020, dopo un'estate relativamente tranquilla, in cui si pensò addirittura che l'ondata fosse stata sconfitta, iniziò invece la seconda ondata. Francia, Spagna, Germania e successivamente l'Italia hanno sperimentato la risalita del numero dei contagi. Al di là del numero totale dei casi, non comparabile tra la prima e la seconda ondata, in Italia assistemmo a un contagio diffuso su tutto il territorio nazionale, non più solo al Nord. Una situazione, quindi, molto differente rispetto a marzo. Finalmente, il 21 dicembre, l'EMA approvò il primo vaccino nella storia contro il COVID-19.

Si trattava di un vaccino sviluppato dalla Pfizer, il primo vaccino con tecnologia a mRNA. Un'approvazione cui seguì da parte della FDA quella di un altro vaccino sviluppato a Modena, a cui seguirà poi una data storica per l'Unione europea, il 27 dicembre, data in cui tutti i Paesi europei contemporaneamente iniziarono le prime iniezioni del vaccino. E fu l'inizio di una nuova era del contrasto. Dopo tre anni dall'inizio della pandemia, il 5 maggio del 2023 il direttore generale dell'OMS Ghebreyesus finalmente ha dichiarato la fine del COVID-19 come emergenza sanitaria.

Sulla scia di quegli anni drammatici oggi si vuole istituire una Commissione d'inchiesta, ma non per far luce oggettivamente sugli avvenimenti abbattutisi in maniera imprevista e imprevedibile sull'Europa e sul mondo intero, su avvenimenti verificatisi allora, ma solo per fare una speculazione politica. Nella scorsa legislatura tutte le forze politiche presenti in Parlamento, ad eccezione di una, la forza politica a cui appartiene l'attuale Presidente del Consiglio, hanno contribuito alla gestione di un momento così drammatico per la vita degli italiani, si sono fatte carico delle responsabilità, esponendosi, che quel momento richiedeva.

Adesso, invece, per la prima volta assistiamo all'istituzione di una Commissione d'inchiesta che non fa altro... ricordo un efficacissimo intervento del nostro collega Tabacci in Parlamento, quando disse: questo Parlamento ha finito per essere un luogo nel quale non si fanno altro che Commissioni di inchiesta, una sorta di paratribunale. E questo è un caso evidente, Commissione d'inchiesta sul COVID-19.

Una Commissione d'inchiesta approvata, peraltro, solo dalla maggioranza, perché, nonostante il nostro atteggiamento collaborativo, nessuna nostra richiesta, intendo delle opposizioni, di miglioramento del testo è stata accolta. Si vuole, quindi, solo strumentalizzare e politicizzare una tragedia che ha riguardato tutti, indagando sull'operato del Governo allora in carica nella gestione di una fase come quella pandemica, una fase talmente complessa da mettere a dura prova la tenuta stessa del sistema e che, anche e soprattutto grazie al grande lavoro del Ministro Roberto Speranza, abbiamo affrontato e superato.

Con i nostri emendamenti, abbiamo chiesto alcune cose. Primo: di allargare l'inchiesta anche all'operato delle regioni e degli enti locali e la risposta è stata: no. Possiamo, quindi, indagare su cosa è avvenuto in Cina, ma non si può parlare di cosa è avvenuto in Lombardia, in Veneto e in Piemonte. Secondo: di non sovrapporre - ma questo sta nell'istituzione stessa di una Commissione d'inchiesta, era soltanto una sottolineatura - l'operato della Commissione rispetto a quello che è già stato fatto, indagando con la magistratura, ma anche qui la risposta è stata: no. Terzo: di non avvalorare le teorie no-vax, mettendo in discussione l'efficacia scientifica dei vaccini, ma anche qui la risposta è stata: no. Del resto, dovremo pur parlare, in questo lavoro che si farà, del fatto che, mentre, in quei mesi drammatici, c'era chi si dava da fare e si esponeva responsabilmente nel cercare di organizzare le difese dalla pandemia, c'era chi andava in piazza, come la destra, senza le mascherine, per protestare contro le misure di protezione e di distanziamento in modo più o meno esplicito e più o meno aperto. Quarto: abbiamo chiesto di rispettare le sentenze della Corte costituzionale, in particolare la sentenza n. 127 del 2022, che ribadisce che la quarantena obbligatoria non è contraria all'articolo 13 della Costituzione e, quindi, non è lesiva della libertà di circolazione, ma anche qui la risposta è stata: no. Quinto: di non strumentalizzare una tragedia di questa portata, che, ancora oggi, nella settimana che va dal 5 all'11 maggio, ha fatto registrare quasi 20.000 nuovi casi e 176 vittime; anche qui la risposta è stata negativa. Infine, abbiamo chiesto di avere un approccio finalizzato a individuare gli interventi necessari per prevenire criticità nel caso di future emergenze sanitarie, sia a livello centrale sia locale, e anche qui la risposta è stata negativa.

Su sei emendamenti, tesi a collaborare per costituire una Commissione d'inchiesta che non condividiamo per le ragioni che ho descritto, la capacità inclusiva della maggioranza, che prima protestava contro le misure di protezione, e che adesso vuol fare una Commissione d'inchiesta, è stata così rigida da dire sempre “no” alle proposte dell'opposizione. Che valore può avere una Commissione d'inchiesta di questo tipo? Nessun valore; è soltanto una grancassa di propaganda e di strumentalizzazione.

Per questi motivi, Presidente, il gruppo del PD in Commissione affari sociali ha deciso, in maniera abbastanza pesante, ma costretto, di non partecipare al voto finale in Commissione su un testo su cui non è stato possibile apportare alcun contributo e alcun correttivo e che rischia di fallire rispetto a quello che dovrebbe essere l'obiettivo di perseguire l'interesse del Paese.

Per queste ragioni, non condividiamo questa iniziativa e riteniamo veramente irresponsabile che la principale forza politica della maggioranza si avventuri su un terreno di irresponsabilità, che nessun contributo potrà dare ad individuare meglio la storia e le soluzioni di questo dramma che abbiamo vissuto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cappelletti. Ne ha facoltà.

ENRICO CAPPELLETTI (M5S). Presidente, gentili colleghi e colleghe, rappresentante del Governo, c'è una parola che sintetizza meglio di qualunque altra questo provvedimento e quella parola è “censura”.

La cosa peggiore che si può fare in democrazia è proprio quella di censurare delle voci. La censura è quella forma di controllo sociale che limita la libertà di espressione e di accesso alle informazioni; si basa sul principio secondo il quale quando determinate informazioni possono creare problemi politici, è meglio che i cittadini non le conoscano, è meglio che non si diffondano.

Ebbene, signor Presidente, è di tutta evidenza che con questo provvedimento sarà impedita alla Commissione d'inchiesta ogni valutazione sulla condotta delle regioni nella gestione del COVID. Che sia perché Lombardia e Veneto, che, notoriamente, hanno registrato un disastro nella gestione della pandemia, sono state amministrate dalla stessa maggioranza che sorregge questo Governo? Secondo voi, se, per assurdo, queste due regioni fossero state amministrate dal MoVimento 5 Stelle, sarebbero sottratte alla valutazione della Commissione? Invece, avreste fatto l'esatto contrario, cioè avreste istituito una Commissione d'inchiesta sul COVID e l'avreste limitata, nella sua indagine, alle sole due regioni gestite dal MoVimento 5 Stelle (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)! Questo avreste fatto!

Perché è una censura? Perché la Costituzione italiana prevede una competenza concorrente Stato-regioni in materia di tutela della salute. Per questo motivo, volere una Commissione d'inchiesta sulla gestione della pandemia, imponendo una censura sulle regioni, risponde esattamente al concetto di censura. Da cittadino veneto che ha seguito, passo passo, il dramma della pandemia, non posso non ricordare che la mia regione ha pianto 1.600 morti in più delle altre. Qualcuno l'ha definita la “curva di Zaia” - questo durante la seconda ondata - e rileva che durante la seconda ondata siamo riusciti a fare peggio di chiunque altro, addirittura peggio della Lombardia.

Perché non volete che si parli delle cause che hanno portato a questo disastro? Il Veneto è passato, in pochi mesi, dall'essere considerato una regione modello nella lotta alla pandemia ad essere la regione peggio gestita d'Italia, con più contagi e decessi di ogni altra. Perché dovevamo censurarlo? Perché questa Commissione sul COVID non se ne deve occupare?

Dovremmo poter parlare dei dati sui contagi comunicati sbagliati dalle regioni, delle relazioni fantasma, delle minacce ai medici e ai dirigenti, dell'emarginazione dei capaci e dell'adozione di scelte delle regioni che, guarda caso, schiacciavano sempre l'occhiolino a Confindustria, tutto messo in luce in maniera molto efficace da una trasmissione televisiva, Report, sulla gestione del COVID. Perché volete censurarlo? Perché non volete che si parli di questi argomenti?

I vari decreti che si sono succeduti durante la pandemia lasciavano alle regioni la possibilità di adottare misure più mirate e stringenti, ma il presidente Zaia non l'ha mai fatto, tradendo perfino quell'autonomia che da sempre ha invocato dal Governo. Perché neppure di questo in Commissione COVID si può parlare?

La mia regione ha contrastato quasi ogni iniziativa posta in essere dal Governo per arginare l'epidemia; è scesa in piazza al fianco di coloro che invocavano aperture e la cancellazione delle misure di contenimento quando andava fatto l'esatto contrario. Ma voi, Sottosegretario, volete censurarlo: di questo la Commissione COVID non si deve occupare, i cittadini non lo devono sapere. La regione Veneto ha strumentalizzato i successi ottenuti dal professor Crisanti per trarre un indebito vantaggio politico, salvo poi metterlo alla berlina, perché faceva ombra al presidente Zaia, privando la sanità regionale di una importante risorsa, proprio quando ne avevamo più bisogno. Ma per voi anche di questo la Commissione COVID non deve parlare.

La regione ha gonfiato i posti in terapia intensiva, comprendendo anche le sale chirurgiche, per evitare che fosse considerata in zona rossa, ma voi questo lo volete censurare, di questo non si deve parlare. L'utilizzo improprio dei tamponi rapidi ha alimentato il boom dei contagi in regione; con il 30 per cento di errore, questo tipo di tamponi andava utilizzato per gli screening di massa, non certo per gli operatori sanitari in servizio negli ospedali. Ma vuoi, anche questo, lo volete censurare, anche di questo gravissimo errore la Commissione non si deve occupare.

La regione Veneto ha anche ignorato misure importanti di prevenzione, come la mancata attivazione dell'App Immuni, prima è stato citato. Pensate che l'App Immuni è stata scaricata da 400.000 cittadini della regione, ma non è mai stata attivata dalla stessa, sottraendo la possibilità di sapere se si fosse entrati in contatto con soggetti positivi e, quindi, mettere in atto le opportune misure di prevenzione. Però anche questo deve essere censurato, non se ne deve parlare.

La regione non ha previsto l'adozione di strutture alternative per isolare temporaneamente i contagiati, disponendo del solo isolamento in casa. In questa maniera, ha aumentato drammaticamente i contagi intrafamiliari. Ma di questo non se ne deve parlare, la Commissione non se ne deve occupare e i cittadini non lo devono sapere.

La regione avrebbe dovuto far partire 100 USCA: dopo 9 mesi dal decreto, ne sono state attivate meno della metà. Eppure, sarebbero state utilissime per ridurre gli accessi negli ospedali. Ma di questo non se ne deve parlare.

Il costo più alto, infine, è stato pagato dagli anziani. Amnesty International ha evidenziato come la regione abbia completamente trascurato le RSA. In Veneto, un decesso su tre ha riguardato anziani ospiti di queste strutture, contro uno su cinque, per esempio, della Lombardia. Ma voi questo fallimento lo volete censurare, la Commissione non se ne deve occupare e i cittadini non lo devono sapere.

In conclusione, Presidente, se vogliamo essere pronti ad affrontare una futura pandemia, dobbiamo partire dal riconoscimento degli errori commessi. Ben venga, dunque, la Commissione di inchiesta, ma senza escludere gli errori drammatici commessi dalle regioni, in particolare da Veneto e Lombardia. Escludere le regioni solo perché quelle che hanno registrato i peggiori disastri sono dello stesso colore politico della maggioranza è un atto irresponsabile che copre di ridicolo chi lo propone, ne evidenzia tutta l'ignoranza o la malafede in materia costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e, quel che è peggio, vanifica completamente l'utilità della Commissione. Sempre che, signor Presidente, lo scopo non sia quello di strumentalizzare un dramma terribile, come quello del COVID, che tante sofferenze ha causato nel nostro Paese, come atto di sciacallaggio politico avente l'unico scopo di attaccare l'avversario. In questo caso, sappiate che noi lo contrasteremo con tutte le nostre forze (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Francesco Silvestri. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SILVESTRI (M5S). Grazie, Presidente. Permettetemi di partire, un po' insolitamente, dai titoli di coda, dalla fine di questa esperienza di Commissione. Io credo che questa Commissione di inchiesta non sia solamente una farsa - e lo è -, o una speculazione politica - e lo è -, ma anche una mancanza di rispetto profondo rispetto ad un periodo che il nostro Paese ha vissuto in una maniera singolare - perché siamo stati i primi - e non con poche sofferenze, rispetto a chi non c'è più, ma anche a chi c'è ancora e a tutto un tessuto sanitario ed imprenditoriale che ha vissuto questi anni in una maniera drammatica.

E sapete perché è un'offesa? Perché l'obiettivo di questa Commissione non è capire le falle del nostro sistema sanitario nazionale, per evitare che qualcosa si possa ripetere; non è fatta per capire, qualora un'emergenza del genere - spero di no - dovesse coinvolgerci di nuovo da qui a breve termine, come possiamo acquisire quegli elementi di esperienza per non far più ricadere sul nostro sistema sanitario nazionale, sulle nostre imprese e sulla nostra socialità determinate situazioni, ma è fatta per mettere sul banco degli imputati una persona che ha dato tutto quello che doveva, tutto quello che poteva, insieme a chi ha lottato contro la problematica del COVID. È fatta per mettere su un tribunale.

Sapete perché lo dico? Perché io ho letto la legge istitutiva, ci sono cose molto insolite: io ho letto dieci volte la parola “valutare”. Una Commissione di inchiesta deve indagare, non deve valutare, deve dare quegli elementi anche di valutazione al Parlamento e al sistema Paese affinché ci sia un'analisi profonda. Se l'obiettivo è solamente quello, è ovvio che si sta tramutando in un tribunale. Però, attenzione, perché, poi, in questo tribunale, con riferimento alle persone che salgono sul banco degli imputati, ne avete anche deciso le modalità, in un modo o in un altro. In questo caso, devono essere solamente Giuseppe Conte e tutto l'entourage che ha lavorato insieme a lui e, ovviamente, non vi è alcun tipo di analisi sulla questione regionale, come se, nella memoria delle persone, non esistesse più quello che è successo all'interno delle regioni, come se quell'elemento dovesse scomparire anche solo dalle dieci valutazioni che avete messo dentro. Non avete messo tutta la parte regionale. Il che, poi, è strano da chi sta cercando una legge sull'autonomia differenziata. Io non ho capito, avete questa sensibilità per quanto riguarda la trasmissione di funzioni alle regioni, poi, dopo un periodo come il COVID, questo non merita alcun tipo di analisi? È un po' contraddittorio da questo punto di vista. Ma, poi, la malafede si evidenzia non solo qui, ma anche nel periodo storico che andate a contestare, perché si parla del primo periodo della pandemia, quindi si sta parlando solo del Governo Conte. Quindi, il Governo Draghi, quella parte lì, no, altrimenti Draghi, che vi ha lasciato tutti gli strumenti per continuare a fare l'austerity, si arrabbia. Quindi, quell'analisi lì non c'è, c'è solo l'analisi del primo Governo Conte.

Io vi dico che avete fatto una figura davvero pessima, perché posso capire le differenze che ci possono essere rispetto alle visioni di politiche industriali, rispetto alla visione sociale del Paese, reddito di cittadinanza “sì”, reddito di cittadinanza “no”, superbonus. Non fate nulla sui mutui, poi, invece, date una difesa. Va bene, quelle sono differenze, avete vinto le elezioni, ok, ma arrivare a scrivere un testo come quello che avete scritto, lasciando fuori tutta la parte regionale, lasciando fuori tutta una seconda parte di periodo COVID, è una cosa che vi garantisco vi tornerà contro. Se c'è una cosa che questo Paese non può sopportare - magari può avere fiducia in una parte politica una volta e in una parte politica nell'altra -, ma se c'è una cosa che la storia del nostro Paese ci insegna è che lo sciacallaggio politico, fatto sulla pelle delle persone, sul sangue delle persone, è una cosa che nessuno tollera, di qualsiasi estrazione sociale o politica sia. Ed è questo l'esempio massimo di quello che state facendo.

Tra l'altro, chi ci sta facendo questo processo politico è anche quella parte che ha passato tre quarti della pandemia a dire a Conte di chiudere quando apriva, di aprire quando chiudeva, a scattare selfie senza mascherina, dando quel bellissimo messaggio culturale che in una pandemia mondiale è assolutamente la prima cosa da fare, senza offrire alcun tipo di contributo, se non quello di denunciare, in un momento di conflittualità sociale tremenda, cose false, come l'attivazione sul MES, poi sbugiardati dall'allora Presidente del Consiglio stesso in diretta nazionale televisiva; e, anche lì, il livello del vostro atteggiamento.

Noi abbiamo mantenuto in Commissione un atteggiamento addirittura costruttivo davanti a tutta questa buffonata, perché io non ho altri termini per definire questo vostro atteggiamento. Vi abbiamo dato dei contributi, non li avete accettati, siete andati avanti in questo indirizzo di processo. Benissimo. Noi, ovviamente, non risponderemo, perché, quando le partite sono truccate dall'inizio, la partecipazione è assolutamente ininfluente, però vi dico che, rispetto alle cose fatte fino a questo momento in Parlamento, su cui possiamo avere, ovviamente, opinioni diverse, questa è sicuramente quella che vi disonora di più (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - Testo unificato - A.C. 384-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Buonguerrieri.

ALICE BUONGUERRIERI (FDI), Relatrice. Grazie, Presidente, sarò breve. Mi limito, in questa fase, a riaffermare il fatto che le critiche sollevate dai colleghi di opposizione, che hanno, tra l'altro, ad oggetto argomenti che abbiamo sviluppato e ampiamente discusso in Commissione, su cui torneremo, se necessario, anche in corso di dibattito emendativo, non possono essere in alcun modo condivise.

Infatti, diversamente da quanto affermato da alcuni dei colleghi, Presidente, con questa proposta di legge non si crea alcuna clava politica. L'articolo 3, tanto discusso e richiamato da alcuni colleghi intervenuti in precedenza, parla chiaro e ha l'obiettivo di accertare, verificare, esaminare, approfondire - questi sono i termini utilizzati dall'articolo 3 tanto incriminato - tutte le fasi della gestione pandemica, per consegnare agli italiani la verità su quello che è stato un periodo tragico, appunto, l'emergenza pandemica. Dunque non c'è alcuna sentenza anticipata in questa proposta di legge ma solo ed esclusivamente la volontà di fare chiarezza, una chiarezza che dobbiamo agli italiani, come abbiamo in più occasioni ribadito, e una chiarezza con l'obiettivo - anche questo va rimarcato sin da subito - di fissare la regolamentazione sanitaria internazionale, disposta dall'OMS, e la normativa comunitaria, che come noi tutti sappiamo è obbligatoria e vincolante per il nostro ordinamento.

Per il resto, mi sento di sottoscrivere totalmente le dichiarazioni dei colleghi Tremaglia e Trancassini e di riproporre una semplice domanda: se chi ha gestito la fase pandemica ha fatto tutto bene, che problema ha ad accertare la verità dei fatti e ad accertare come sia stata gestita la fase dell'emergenza pandemica? Credo che tutte queste agitazioni e sollecitazioni non abbiano sinceramente ragione di esistere.

Quanto invece alla estensione dell'accertamento alle regioni, abbiamo detto più volte e chiaramente - ma mi pare sfugga ai colleghi nuovamente - che la competenza in fase di pandemia è esclusivamente posta in capo allo Stato, a titolo di profilassi internazionale. Non lo dico io, non lo dice Fratelli d'Italia, ma lo dice la Costituzione e lo ribadisce anche la Corte costituzionale. Quindi, anche sotto questo profilo, non c'è e non può essere intravisto alcun tipo di accanimento, alcuna censura, alcuna esclusione che abbia il fine politico, come strumentalmente invece indicato dai colleghi, di accertare nei confronti dell'uno la situazione e non nei confronti dell'altro. Ho sentito dire che, con questa proposta di legge, si strizzerebbe l'occhio ai no-vax, ma sinceramente non so cosa ci sia di no-vax nel voler sapere quanto sono costati agli italiani i vaccini, per esempio, o semplicemente nel voler verificare ed accertare le procedure di approvazione dei vaccini in tempo di pandemia o nel voler verificare e accertare eventuali effetti avversi collegati ai vaccini, che per qualcuno dovrebbero incredibilmente continuare a rimanere dei tabù. Invece, anche questo, dal nostro punto di vista, può essere molto importante, può anche avere il fine importantissimo di salvare vite.

Presidente, concludo affermando ancora una volta lo spirito di questa proposta di legge - piaccia o no ai colleghi di opposizione - che è quello di accertare la verità dei fatti e consegnare questa verità agli italiani.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo. Prego, Sottosegretario Gemmato.

MARCELLO GEMMATO, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Anch'io vorrei rasserenare, laddove possibile, i colleghi della minoranza, che nell'espressione della discussione generale, a mio avviso - lo dico sommessamente - hanno un attimo alzato i toni: “buffonata”, “figura pessima”, “Commissione d'inchiesta con sentenza già scritta”, “no-vax”, parlamentari di Fratelli d'Italia che avrebbero partecipato a manifestazioni senza mascherina. In via informale, poi, comunicateci queste cose, perché vorremmo saperle. Essendo io stato parlamentare nella scorsa legislatura, non ricordo sinceramente di avervi partecipato. Anzi, come linea d'azione politica, non abbiamo mai fomentato, in un momento difficile per la nostra Nazione, sentimenti no-vax e neanche un estremismo, che, purtroppo, forse anche a causa di alcuni provvedimenti, innegabilmente c'era e condizionava la pubblica opinione italiana.

Nel dibattito, per esempio, non ho sentito citare l'incipit e il titolo dell'iniziativa dei deputati, ovvero istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla diffusione epidemica del virus e sul mancato aggiornamento del Piano pandemico nazionale. Non ho sentito una parola, in fase di discussione generale, sul mancato aggiornamento del Piano pandemico nazionale, che dovrebbe essere un tema oggetto di dibattito di un ramo del nostro Parlamento, rispetto al quale immaginavo, invece, ci sarebbe stato un approfondimento. Senza puntare il dito contro alcuno, il fatto che non esistesse il Piano pandemico nazionale interessa qualcuno o non interessa alcuno? Ci si è attardati nel richiamare alcuni punti e lo voglio dire per amore di verità. Ho seguito i lavori in Commissione, ci sono stati un centinaio di emendamenti e una decina, anzi 7 - ricordo a memoria - sono stati approvati. Per chi c'era - vedo in Aula il collega Nicola Stumpo - registro il fatto che, riguardo a un momento altrettanto importante, quale quello se decidere per esempio se l'Italia dovesse essere chiusa o aperta, noi abbiamo presentato centinaia di emendamenti. Sapete - lo dico ai nuovi colleghi - quanti ce ne sono stati approvati? Non 80, non 50, non 40, non 30, non 10, non 5, non 1 ma zero! Non è stato approvato neppure un emendamento, riguardo a un momento in cui si decideva di stralciare l'articolo 1 - entriamo nel tema della nostra Costituzione - con il green pass, in cui si decideva che i lavoratori non potevano andare a lavorare se non avevano il green pass. Non è stato approvato alcun nostro emendamento e anche di questo non abbiamo parlato. In un provvedimento con 100 emendamenti, il 10 per cento, il 7 per cento degli stessi viene accolto. Quindi, c'è stata condivisione, c'è stato dibattito, c'è stata l'approvazione di alcuni emendamenti. Ripeto, per noi, in un provvedimento con un centinaio di emendamenti, zero. Si chiama democrazia: ci hanno eletto, i rappresentanti del popolo arrivano in una Commissione, quella Commissione stabilisce una linea di indirizzo, ci sono degli emendamenti, alcuni vengono approvati, altri no. È una cosa così banale che mi dispiace anche ricordarla. Come mi spiace ricordare il profluvio di parole per giustificare ed evidentemente anche nascondere tante mancanze. Condivido l'opinione della relatrice di maggioranza e dei colleghi che sono intervenuti: della verità non dobbiamo avere paura. La verità è verità e questa è una sede di verità, quindi non dobbiamo avere paura. Nel tentativo di nascondere l'affermarsi della verità, si è anche detto - mi rivolgo al collega Quartini del quale ho sentito, come del resto di tutti gli altri intervenuti, con attenzione l'intervento - che non si vorrebbe rafforzare la sanità pubblica e che c'è un credito di 37 miliardi. Interpreto le parole del collega Quartini e penso si riferisca al definanziamento di 37 miliardi - citato, fonte Gimbe - del 2019, rispetto al decennio precedente. Allora, visto che siamo in una sede di verità, registro che nei 10 anni antecedenti il 2019, non ha governato il centrodestra, non ha governato Fratelli d'Italia. Registro che hanno governato gli amici suoi, coloro con i quali state in giunta in Puglia e che sono al vostro fianco. Quindi, probabilmente quest'annotazione la potreste fare anche in sede di minoranza e far notare che probabilmente avete definanziato il sistema. Ora, lei lo viene a dire a noi, che in quegli anni non c'eravamo e che - registro - stiamo parlando di tutt'altro. Non stiamo infatti parlando del definanziamento del Sistema sanitario nazionale pubblico, tema che mi affascina, collega Quartini, perché per tabulas e con i numeri le voglio ricordare che, nel 2018, il Fondo sanitario nazionale era dotato di 114 miliardi di euro. Oggi, siamo nel 2023, e il dottor Ghebreyesus ci dice che la pandemia è finita, quindi sono condizioni omologhe: nel 2018 non c'era la pandemia e nel 2023 non c'è la pandemia.

Nel 2018, all'esito di ciò che lei diceva, del definanziamento di 37 miliardi di euro da parte di Governi non certo affini alla nostra posizione politica, era dotato di 114 miliardi di euro. Oggi il Fondo sanitario nazionale sfiora i 130 miliardi di euro. E le voglio registrare che la prassi previsionale del DEF per il prossimo triennio è la stessa che voi avete portato l'anno scorso, in aprile, in approvazione in Aula. Quindi, è un tema - le dimostro anche con i numeri - che mi affascina, lo conosco e vorrei che fosse oggetto del nostro dibattito. Le dico sommessamente che, probabilmente, portato in una discussione generale in cui noi parliamo dell'istituzione di una Commissione sul COVID e sulla mancanza del Piano pandemico nazionale, mi ricorda molto - e la cito evidentemente per stemperare questo mio intervento - la cosiddetta ‘ammuina' che si fa in modo da creare confusione. Noi, confusione, non ne abbiamo. Noi abbiamo un obiettivo ben preciso, che peraltro ci è stato affidato dagli elettori, perché non a caso Fratelli d'Italia prende il 26 per cento, il centrodestra stravince le elezioni, anche in tema di COVID, e non - lo voglio ricordare - alimentando sentimenti no-vax, lo fa alimentando sentimenti scientifici. Noi vorremmo capire scientificamente cosa è avvenuto, per una parte, e, d'altra parte, forse, registrare se ci sono sbagliate scelte politiche. E in questo non condivido la narrazione secondo cui l'Italia sarebbe un benchmark di riferimento per il mondo per la gestione della pandemia, non fosse altro per il fatto che, per larga parte della stessa, noi siamo stati ai primissimi posti al mondo per mortalità e letalità.

Quindi, come esponente del Governo, registro il fatto che l'intento non è sicuramente punitivo, è un intento di verità, lo voglio ripetere. La verità poi emerge e deve emergere negli atti parlamentari. Io vorrei che a contribuire all'emersione della verità vi fossero tutte le forze parlamentari, nessuna esclusa. Lo abbiamo dimostrato, e lo ripeto, anche con l'approvazione di alcuni vostri emendamenti, perché l'orizzonte della verità è un orizzonte che dovrebbe interessare tutti e non solo una parte politica.

(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 384-A​)

PRESIDENTE. Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, prima dell'avvio della discussione, sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Quartini ed altri n. 1 e la questione pregiudiziale di merito Furfaro ed altri n. 1, che saranno esaminate e poste in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Colleghi, con il vostro permesso, sospenderei a questo punto la seduta per qualche minuto. Riprenderemo alle 15,20.

La seduta, sospesa alle 15,15, è ripresa alle 15,30.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 75, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

Discussione della proposta di legge: Mule' e Cavandoli: Disposizioni concernenti la definizione di un programma diagnostico per l'individuazione del diabete di tipo 1 e della celiachia nella popolazione pediatrica (A.C. 622-A​) (ore 15,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 622-A: Disposizioni concernenti la definizione di un programma diagnostico per l'individuazione del diabete di tipo 1 e della celiachia nella popolazione pediatrica.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è in distribuzione e sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 622-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Annarita Patriarca.

ANNARITA PATRIARCA (FI-PPE), Relatrice. Grazie, Presidente. Governo, colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge presentata dall'onorevole Mule', concernente la definizione di un programma diagnostico per l'individuazione del diabete di tipo 1 e della celiachia nella popolazione pediatrica, al termine dell'esame in sede referente svoltosi presso la Commissione affari sociali.

La proposta di legge ha la finalità di definire e realizzare un programma di salute pubblica di diagnosi tramite screening, destinato alla popolazione in età infantile e adolescenziale, individuata in una fascia di età da 1 a 17 anni, per identificare i soggetti a rischio di sviluppo di diabete di tipo 1 o di celiachia. Grazie alla diagnosi precoce, infatti, è possibile ridurre le complicanze potenzialmente mortali, derivanti da questo tipo di malattie.

Rilevo in particolare che il diabete di tipo 1, la cui eziologia è ancora poco chiara e con caratteristiche di malattia autoimmune, consegue a distruzione delle isole pancreatiche e deve essere gestito mediante terapia a vita, che prevede la somministrazione di insulina per via iniettiva. Il periodo di incubazione, che ha carattere asintomatico, può essere riconosciuto attraverso esami ematologici, per misurare con test di screening determinati autoanticorpi, che sostanziano la diagnosi precoce e permettono di attuare apposite strategie di prevenzione della chetoacidosi diabetica in esordio, che può portare ad uno stato di coma con necessità di terapia intensiva e, in casi estremi, anche di morte.

La celiachia è, invece, un'infiammazione cronica dell'intestino tenue a carattere genetico, anch'essa con caratteristiche di malattia autoimmune, dovuta al glutine, che determina la necessità di rimozione a vita di tale componente dalla dieta individuale. Si stima che circa la metà delle persone affette da celiachia non ha una diagnosi accertata a causa della sintomatologia lieve o atipica. Il test diagnostico è rappresentato, anche in questo caso, dall'individuare la presenza nel sangue di autoanticorpi specifici che sono in grado, se non curati, di creare, in particolare nella popolazione giovane e in fase di sviluppo, compromissioni della crescita strutturale e della mineralizzazione ossea, oltre a disturbi gastrointestinali di carattere cronico.

In base ai più recenti studi in materia, esiste una correlazione tra le due patologie: una percentuale dall'1,5 al 10 per cento, fino a picchi addirittura in alcuni casi del 24 per cento, dei soggetti con diabete di tipo 1 presenta anche il morbo celiaco, con una prevalenza media dell'associazione tra queste due malattie autoimmuni che va dal 4,1 al 6,5 per cento, conosciuta da almeno due decenni di letteratura medica. L'alta prevalenza particolarmente in età pediatrica, pari comunque ad almeno 10 volte quella della popolazione non diabetica, suggerisce che possa essere più che una semplice associazione. Infatti, si discute se, condividendo le due malattie e gli stessi fattori genetici, si possano considerare due epifenomeni dovuti alla medesima predisposizione, oppure se il glutine abbia un diretto o indiretto ruolo causale anche nella malattia diabetica.

Entrando nel merito del contenuto della proposta di legge, che si compone di quattro articoli, rilevo che, al fine di prevenire l'insorgenza di chetoacidosi in soggetti affetti da diabete di tipo 1 e di rallentare la progressione della malattia mediante l'impiego delle terapie disponibili, nonché di effettuare la diagnosi precoce della celiachia, l'articolo 1 prevede l'emanazione di un decreto del Ministro della Salute entro 120 giorni dall'entrata in vigore della proposta di legge, volto a dettare i criteri per l'adozione di un programma pluriennale di screening su base nazionale della popolazione pediatrica per l'individuazione degli anticorpi del diabete di tipo 1 e della celiachia. A seguito dell'approvazione di due emendamenti nel corso dell'esame in sede referente si prevede che debba essere acquisito preventivamente il parere della Conferenza Stato-regioni e che debbano essere sentite le associazioni e fondazioni maggiormente rappresentative delle persone con dette patologie. Lo schema di decreto è quindi sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Il programma di screening sarà avviato a partire dall'anno 2024; a tal fine è autorizzata la spesa di 3,85 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e di 2,85 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2026, a valere sullo specifico fondo istituito presso il Ministero della Salute con l'ultima legge di bilancio, come rifinanziato dall'articolo 4 della proposta di legge. L'articolo 2 prevede l'istituzione di un Osservatorio nazionale sul diabete di tipo 1 presso il Ministero della Salute, costituito da componenti nominati con decreto del Ministro della Salute, composto da un rappresentante del Ministero della Salute, che assume le funzioni di presidente, da due rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, da medici di comprovata esperienza specializzati nella cura e nella predizione attraverso gli autoanticorpi del diabete di tipo 1 e della celiachia; di rappresentanti di associazioni e fondazioni di rilevanza nazionale operanti nel settore della prevenzione del diabete di tipo 1 e della celiachia. I membri dell'Osservatorio durano in carica tre anni e il loro incarico può essere rinnovato una sola volta. L'Osservatorio studia ed elabora le risultanze dello screening e pubblica annualmente una relazione nel sito Internet istituzionale del Ministero della Salute. Le disposizioni dell'articolo 3 riguardano le campagne periodiche di informazione e sensibilizzazione sociale sul tema in oggetto ad opera del Ministero della Salute, con specifico riferimento all'importanza della diagnosi precoce in età pediatrica e per la conoscenza del programma di screening. L'articolo 4 - come ho già fatto presente - reca le disposizioni finanziarie. Questo che portiamo oggi in Aula è un provvedimento in materia di tutela della salute che si inquadra in un'ottica di promozione e rafforzamento della prevenzione. Voglio ringraziare la maggioranza e l'opposizione per aver lavorato in Commissione con un clima di collaborazione e con un sereno e costruttivo confronto. Grazie anche a questo si sono concordate alcune correzioni che dovranno essere fatte in Aula, quindi verranno presentati degli emendamenti per inserire, laddove non era stato fatto, anche percorsi di celiachia accanto a quelli del diabete. Si era trattato soltanto di una distrazione materiale e si è concordato di presentare degli emendamenti che sosterremo in Aula per uniformare il testo in una direzione condivisa. Voglio comunque ringraziare - ultimo ma non per importanza - il Presidente Mule' per aver portato questo argomento alla nostra attenzione e - come primo firmatario di questa legge - averla tenacemente sostenuta per portare l'iter parlamentare ad un rapido completamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva eventualmente di intervenire in sede di replica.

È iscritto a parlare l'onorevole Paolo Ciani. Ne ha facoltà.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Grazie Presidente. Colleghe, colleghi e rappresentante del Governo, oggi discutiamo una proposta di legge che ha la finalità di definire un programma di salute pubblica, di diagnosi tramite screening, destinato alla popolazione in età infantile e adolescenziale, individuata nel range di età dagli 1 ai 17 anni per identificare i soggetti a rischio di sviluppo di diabete di tipo 1 o di celiachia. Come tutti sappiamo, il diabete di tipo 1 e la celiachia sono due malattie croniche e autoimmuni, che possono causare importanti conseguenze sulla salute dei pazienti e per questo sono importanti le iniziative legislative volte alla tutela di queste condizioni, tanto più se riguardano la salute dei nostri bambini e adolescenti.

Per quanto riguarda la celiachia i dati del Ministero della Salute ci dicono che, al 31 dicembre del 2019, i celiaci diagnosticati erano 233.000, di cui il 34 per cento appartenente alla popolazione maschile e il 66 per cento a quella femminile, ma si stima siano circa 400.000 le persone che non hanno ancora ricevuto una diagnosi corretta. La celiachia - come è noto - è una malattia autoimmune che si manifesta in presenza di una reazione anomala del sistema immunitario alla presenza di glutine nei cibi e l'unica cura esistente è rappresentata solo ed esclusivamente dall'eliminazione del glutine dalla dieta alimentare della persona affetta da questa malattia. Molto spesso non è facile pervenire ad una diagnosi precoce e accurata a causa della sintomatologia lieve o atipica che pertanto passa inosservata, ma risulta essenziale per evitare i danni al sistema digestivo e per migliorare la qualità della vita dei bambini e degli adulti colpiti da questa malattia. Per quanto riguarda il diabete di tipo 1, chiamato anche diabete giovanile e insulino-dipendente, che si distingue dal diabete di tipo 2 perché insorge di solito in giovane età, come riportato dalla Relazione al Parlamento sullo stato delle conoscenze e delle nuove acquisizioni in tema di diabete mellito nella scorsa legislatura, in Italia interessa una percentuale di popolazione tra il 5,6 per cento (nella relazione Istat) ed il 4,7 per cento, nei dati della sorveglianza di popolazione 18-69 anni intervistata dal PASSI - Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia. Le persone con diabete di tipo 1 sono circa 300.000 e l'incidenza di questa patologia è in aumento in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi occidentali. Anche il diabete mellito di tipo 1 è una patologia cronica autoimmune, che fa sì che le cellule del pancreas, le cosiddette beta cellule, che producono insulina vengano distrutte dal sistema immunitario perché riconosciute come estranee. Questo tipo di diabete rappresenta circa il 10 per cento dei casi di diabete ed è una malattia incurabile, che non si può prevenire in alcun modo. Anche in questo caso una diagnosi precoce e un trattamento adeguato possono aiutare a prevenire complicanze a lungo termine e migliorare la qualità della vita di chi ne è affetto. La proposta di legge introduce un programma diagnostico di screening per l'individuazione precoce di queste due malattie. Il programma prevede una serie di test e controlli da eseguirsi su tutti i bambini e adolescenti, al fine di individuare eventuali segni precoci della malattia. Questa iniziativa, dunque, almeno nei suoi intenti, rappresenta un passo significativo nella tutela della salute dei nostri bambini e ragazzi, in quanto si prefigge di individuare in modo più veloce la malattia, consentendo ai pazienti di ricevere cure tempestive e di evitare le complicazioni a queste associate. Inoltre, l'articolo 3 della proposta fissa anche apprezzabili obiettivi di sensibilizzazione e informazione, legati all'importanza della diagnosi precoce. In questi anni abbiamo visto quanto i programmi di informazione siano serviti e siano utili per diagnosticare precocemente questa malattia. Tuttavia mi corre l'obbligo di porre l'accento su alcuni punti che richiedono una valutazione più attenta, a mio avviso, e che fanno emergere alcune criticità nel testo, che spero potranno essere corrette, sia in corso di analisi, sia in corso di attuazione dopo l'eventuale approvazione. Innanzitutto vi è la questione relativa alle due diverse malattie: abbiamo sentito quanto talvolta siano correlate, ma sappiamo anche le distinzioni tra le due patologie.

L'altro tema di fondo è quello relativo allo strumento individuato per arrivare all'obiettivo prefissato di giungere a una diagnosi precoce, ovvero lo screening. Infatti, per esempio,interpellando alcuni esperti - ancor più approfondendo la relazione sullo stato delle conoscenze e delle nuove acquisizioni scientifiche in tema di malattia celiaca (qui parliamo della celiachia) con particolare riferimento ai problemi concernenti la diagnosi precoce e il monitoraggio delle complicanze riferite all'anno 2021, trasmessa dal Ministero della Salute al Parlamento, ossia l'ultimo documento che l'attuale Ministero ha divulgato su uno degli argomenti che oggi trattiamo, cioè la celiachia - emergono dubbi su come lo strumento dello screening possa essere quello più appropriato al fine che la legge si propone.

Quello che emerge dal documento del Ministero, infatti, è che non si possa equiparare lo screening di massa alla diagnosi precoce. Se, in generale, lo screening di massa consiste nel sottoporre tutta la popolazione, in questo caso infantile, ai test, indipendentemente dalla presenza di sintomi e/o fattori di rischio e permettendo così di identificare tutte le persone che probabilmente sono affette da quella certa malattia, nel caso specifico delle malattie prese in considerazione dalla proposta di legge uno screening non equivarrebbe alla diagnosi, poiché quest'ultima è identificabile solo con la comparsa dei primi sintomi e segni della malattia nel paziente.

Cito testualmente un passaggio della relazione ministeriale sulla celiachia, dove si legge: “Al momento, quindi, lo screening di massa per la celiachia non sarebbe in grado di offrire una risposta definitiva e, considerato che la celiachia può esordire a qualsiasi età, un risultato negativo dello screening non escluderebbe l'insorgenza della malattia successivamente allo screening con risultato negativo agli anticorpi. In caso di positività anticorpale per le diagnosi di celiachia potenziale una percentuale di casi intorno al 50 per cento si negativizza e per l'incertezza dell'età di sviluppo della celiachia si avrebbe difficoltà anche a decidere a quale età effettuare lo screening nella popolazione generale. È importante sottolineare che non sono disponibili evidenze definitive neanche sulla storia naturale della celiachia e sul decorso clinico delle persone celiache asintomatiche non trattate con la dieta senza glutine. Esistono solo evidenze indirette, parziali e contraddittorie che il mancato trattamento dietetico possa determinare un maggior rischio di complicanze. Uno studio italiano conferma che coloro che sono stati diagnosticati celiaci, a seguito di programmi di screening e non per i sintomi manifestati, anche in età pediatrica, hanno una peggior compliance alla dieta senza glutine e una maggior prevalenza di malattie autoimmuni dopo 20 anni dalla diagnosi rispetto ai celiaci diagnosticati perché sintomatici”.

Peraltro, la scelta dello screening di massa porterebbe sicuramente a un aumento dei costi per il sistema sanitario nazionale sia per i test di screening stessi che per le procedure diagnostiche successive, perché la persona che dovesse risultare positiva inizierebbe comprensibilmente tutta una serie di controlli che potrebbero, però, non rivelarsi utili ai fini di una diagnosi corretta. Inoltre, la diagnosi di celiachia può avere un impatto significativo sulla vita delle persone, portando a un carico psicologico e sociale significativo per i pazienti e per le loro famiglie, questo con l'ulteriore rischio di incontrare reticenze e opposizioni nel sottoporsi al test da parte della popolazione, senza considerare che la persona a cui viene data la diagnosi da screening potrebbe - e non già ha - sviluppare la malattia senza poter incidere realmente sulla comparsa della stessa.

Un discorso analogo sembra potersi fare per il diabete. Il problema più evidente è che se si fa uno screening e si individua una positività, che potrebbe evolversi in diabete in un tempo variabile tra i 2 e i 20 anni, non c'è ad oggi una cura che possa essere proposta. L'argomento più stringente e più importante - è stato sottolineato - è la possibilità di evitare la DKA, la chetoacidosi diabetica, che è una conseguenza, anche mortale, del diabete, se non riconosciuto in tempo in presenza di sintomi. Sicuramente, una buona campagna di sensibilizzazione presso i pediatri di base, verso le scuole e nei pronto soccorso è quello che serve molto per imparare a riconoscere e a trattare con tempismo i sintomi del diabete. Lo screening potrebbe portare a risultati talvolta falsi positivi, indicando erroneamente che un individuo è a rischio di sviluppare il diabete di tipo 1. Inoltre, potrebbero essere necessari ulteriori test e monitoraggi per confermare la diagnosi, aumentando la preoccupazione e l'impatto emotivo presso le famiglie dei bambini.

L'implementazione di programmi di screening su larga scala richiederebbe l'utilizzo di molte risorse, risorse significative - ne sono state ipotizzate alcune, ma bisognerà vedere nel corso del tempo - di personale medico preparato, attrezzature diagnostiche e test specifici.

Ciò potrebbe comportare costi elevati in un momento delicato per il nostro sistema sanitario, con la necessità di bilanciare attentamente l'investimento in programmi di screening rispetto ad altre priorità sanitarie (penso sicuramente alla ricerca e alla comunicazione su questo tipo di malattie).

Con “altre priorità” mi riferisco, ad esempio, a investire, oltre che sulla ricerca - è inutile dirlo -, anche, come anticipato, sulla sensibilizzazione e sull'informazione, poiché le persone sappiano riconoscere la comparsa dei primi sintomi della malattia e, a quel punto - soprattutto a quel punto -, possano intervenire, in maniera pronta e adeguata, per tenere sotto controllo lo sviluppo della malattia. Andando a studiare l'andamento di questi anni, mi ha colpito, quando, a seguito di grandi campagne su queste malattie all'inizio degli anni Duemila, sono stati riconosciuti, in quegli anni, molti più casi di diabete di tipo 1 presso la popolazione in età infantile.

Purtroppo, ad oggi, la scienza ci dice che sapere prima che si svilupperà una delle due malattie senza aver ancora sviluppato i primi sintomi non rappresenta sempre un fattore utile alla prevenzione di queste due malattie. In generale, gli screening sulla popolazione hanno la funzione di diagnosticare precocemente una malattia per la quale si ha una cura o un trattamento volto a ridurne le conseguenze. Il progetto di legge, rispetto al diabete ha l'obiettivo di ridurre l'insorgenza di chetoacidosi. Ma, mi domando, se esista già un protocollo di cura per i pazienti che hanno una diagnosi di predizione e non di presenza di patologia al momento dello screening - credo che, al momento, non essendoci sintomatologia, non sia previsto -, perché, se non c'è una cura che permetta la guarigione o, quantomeno, una cura che ritardi l'insorgenza dei sintomi, che senso ha una diagnosi con un peso psicologicamente così delicato? Lo domando per farlo meglio.

Chiaramente, tutti ci auguriamo che possa servire a sviluppare una risposta adeguata, ma, per ora, non ho trovato una risposta, né nella presentazione del testo della legge, né negli studi correlati. Evidentemente, pur sapendo che la proposta di legge è stata avanzata con la preoccupazione - penso - di una fondazione attiva in Italia su questi temi, sul tema del diabete soprattutto, e si riferisce a uno studio condotto in Germania, denominato “Frida”, tuttavia, in questa fase dei lavori parlamentari, è mancato un confronto più ampio, di dialogo con il resto della comunità scientifica, con altre associazioni esperte delle due materie e con le relative associazioni di pazienti, cosa che avrebbe permesso un approfondimento su aspetti non secondari e ora solo brevemente accennati.

È evidente la necessità di investire nella presa in carico e cura dei pazienti con diabete di tipo 1 e celiachia, a maggior ragione in età pediatrica, come si prefigge questa legge, di cui ringraziamo il proponente, peraltro, Vicepresidente della Camera, perché, evidentemente, questo è il fine a cui si rivolge.

Domani il mio collega Girelli spiegherà meglio la nostra posizione, che, comunque, sarà positiva. In questo intervento. mi sono permesso di porre alcuni dubbi, che spero potremo approfondire nel corso del tempo, proprio per aiutare quella fascia di popolazione, quei giovani e quei bambini, che possono incappare in queste due malattie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marrocco. Ne ha facoltà.

PATRIZIA MARROCCO (FI-PPE). Grazie, Presidente. L'avvio del dibattito e la successiva approvazione di questa proposta di legge, che dovrebbe avvenire nelle sedute dei prossimi giorni, costituisce un momento davvero molto, molto importante. Negli interventi di chi mi ha preceduto, ho sentito dire che la prevenzione porterebbe costi per il sistema sanitario. Allora, mi pongo anch'io alcuni dubbi e alcune domande: cosa accadrebbe invece, al contrario, se non riconosciamo la malattia con il tempismo che questa proposta di legge ci impone? Qui parliamo di bambini, collega, e della tutela della loro salute.

Quando si tratta di bambini, lascerei da parte queste domande, legate ai costi e ai soldi, e, in questo frangente, non voglio sottolineare alcuni soldi spesi inutilmente nei precedenti Governi, ma mi limito soltanto a dire sì alla prevenzione, no a rincorrere la malattia o le malattie.

Continuo, Presidente. Sovente si abusa di questa definizione, ma in questo caso l'importanza del momento è oggettiva ed è evidente, e lo è per diversi motivi che proverò a illustrare in questo intervento.

La proposta di legge presentata dal Presidente Mule', al quale, mi consentirete, va il mio ringraziamento e il ringraziamento di tutte le mamme per una proposta di legge di buonsenso e che rimarca una grande sensibilità, sia politica che umana, in sé, è un testo molto agile e semplice, come altrettanto semplice è il pilastro di questo intervento normativo.

Si istituisce un programma pluriennale di screening della popolazione pediatrica su tutto il territorio nazionale per individuare, in via preventiva, gli anticorpi del diabete di tipo 1 e quelli della celiachia. Ci si muove, dunque, sul crinale dell'individuazione il più possibile anticipata di due malattie che possiamo definire universali, nel senso che sono diffuse in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale e che, purtroppo, hanno una forte incidenza su bambini e ragazzi. Si pensi alla celiachia, che, negli ultimi 20 anni, ha raddoppiato la sua incidenza sulla popolazione. Uno studio recentissimo, pubblicato da uno dei massimi esperti della materia, come il professor Carlo Catassi, dice che la celiachia in età infantile colpisce un bambino ogni 60, il diabete di tipo 1 colpisce, nell'80-90 per cento dei casi, i bambini, e i bambini italiani che riscontrano l'insorgenza di questa patologia sono circa 13 ogni 100.000.

Per entrambe le malattie, per diversi motivi, la diagnosi non è immediata. Per la celiachia, che si può manifestare con sintomi differenti, solo nel 30 per cento dei casi il pediatra si accorge dell'insorgenza di questa patologia. Nel diabete di tipo 1, la diagnosi per un determinato periodo è addirittura impossibile in assenza di analisi specifiche, perché, nella sua insorgenza, è totalmente asintomatico. Inoltre, questa patologia è particolarmente insidiosa, perché, se non riconosciuta e affrontata, può produrre conseguenze molto gravi, come il coma diabetico e in alcuni casi, purtroppo, anche la morte.

Ecco, dunque, uno dei primi motivi, perché questa proposta di legge è importante, perché con lo screening, su base nazionale, saremo in grado di capire in anticipo quando un soggetto ha gli anticorpi della celiachia o del diabete di tipo 1. In quest'ultimo caso, tale conoscenza anticipata alla fase in cui ancora la malattia è totalmente asintomatica consentirà di adottare una serie di misure che eviteranno il verificarsi di eventi acuti, quali il coma diabetico. Perché si prevede di effettuare lo screening sul diabete e la celiachia? Pur essendo due malattie tra loro diverse e distinte, i dati statistici segnalano una forte incidenza percentuale tra la presenza della celiachia e la successiva insorgenza del diabete di tipo 1.

Dunque, poter individuare, con un semplicissimo e indolore esame, gli anticorpi della celiachia in questa fase può costituire un campanello di allarme per monitorare con attenzione un'eventuale insorgenza successiva anche del diabete di tipo 1.

L'altro elemento importante di questo intervento sta nel fatto che avrà un forte impatto sulle famiglie. Il diabete di tipo 1, come tutte le malattie, riguarda ovviamente il paziente, ma questo tipo di malattia, per l'età nella quale insorge e per il tipo di cure che richiede, produce un grande effetto sullo stile di vita dell'intera famiglia.

Il bambino o il ragazzino all'improvviso si trova a dover cambiare vita. Niente più merendine, ma iniezioni di insulina, pasti ad orario rigido, attività motoria limitata, un cambio imposto dalla necessità di sopravvivenza. Ma è la famiglia che dovrà fare in modo che il nuovo stile di vita e le cure siano applicate in maniera rigorosa. Sono i genitori che, da un giorno all'altro, si trovano catapultati nella preoccupazione costante, dopo essere dovuti correre d'urgenza in ospedale, di controllare costantemente, dal proprio smartphone, il livello di insulina del proprio figlio.

L'approvazione di questa proposta di legge, come ho già avuto modo di dire, consentirà a tante mamme e a tanti papà di prepararsi, di parare il colpo in anticipo, di metabolizzare la presenza di anticorpi del diabete di tipo 1 nel proprio figlio e attrezzarsi di conseguenza, non solo materialmente, ma anche psicologicamente. L'approvazione di questa proposta di legge consentirà di salvare vite. L'approvazione di questa proposta di legge consentirà anche di perseguire un'ulteriore finalità, che è quella di immagazzinare un gran numero di dati da destinare alla ricerca, tramite il lavoro dell'Osservatorio nazionale che sarà istituito.

Dal diabete di tipo 1 come dalla celiachia ad oggi non si guarisce, ci si deve convivere, ma ciò che è impossibile oggi potrebbe essere possibile domani e bisogna farsi trovare pronti, unendo le conoscenze acquisite su basi sperimentali con le nuove possibilità che lo sviluppo tecnologico metterà a disposizione.

Un ultimo aspetto che, a mio avviso, è opportuno sottolineare in questa sede riguarda il percorso che ci ha portato qui oggi. Questa proposta di legge nasce a seguito di una lunga interlocuzione, da un lato, con esponenti della società scientifica e, dall'altro, con persone che hanno sperimentato sulla loro pelle e su quella dei loro figli una malattia come il diabete di tipo 1. Cito per tutti la Fondazione italiana diabete.

In questo percorso la politica, per come ci siamo abituati a conoscerla, non c'entra; c'è stata, invece, la politica nel senso più alto del termine, ovvero le cose che sono utili per la comunità. Volutamente, pur essendo fiera di appartenervi, non ho citato mai il mio gruppo e il mio partito Forza Italia, perché, se nella scrittura di questa proposta di legge abbiamo visto esservi stata un'ampia collaborazione, anche il percorso in sede parlamentare fino ad oggi è stato corale, con il mandato al relatore votato anche dai gruppi di opposizione, fatta eccezione per un'astensione, che speriamo davvero possa unirsi al consenso degli altri gruppi in Aula.

C'è stato un percorso parlamentare che ha sempre avuto chiaro l'obiettivo: in legge di bilancio, prima ancora che l'iter di questa proposta partisse, è stato istituito un fondo con un'apposita dotazione finanziaria per la realizzazione dello screening su scala nazionale. Qualche mese fa è stata approvata una mozione in materia di Servizio sanitario nazionale che, tra i suoi impegni, aveva quelli previsti da questa proposta di legge.

Oggi componiamo un ulteriore passo con l'esame in Aula, al termine di un iter nel quale non solo c'è stata collaborazione tra i vari gruppi parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione, ma anche grazie al grande lavoro svolto dalla relatrice Annarita Patriarca.

C'è stata l'ampia disponibilità del Ministero della Salute a integrare ulteriormente le risorse già stanziate in legge di bilancio. Concludendo, colleghi, quando tra qualche giorno approveremo questa proposta di legge, scriveremo una bella pagina parlamentare; una pagina che non descriverà la vittoria di questo o di quell'altro gruppo, di questo parlamentare o di quell'altro, ma del Parlamento che doterà il Paese di uno strumento concreto e utile per fronteggiare una malattia pericolosa come il diabete di tipo 1.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marianna Ricciardi. Ne ha facoltà.

MARIANNA RICCIARDI (M5S). Presidente, colleghi, il presente provvedimento ha la finalità di definire un programma di salute pubblica di diagnosi tramite screening destinato alla popolazione in età infantile e adolescenziale, individuata nel range di età tra 1 e 17 anni, per identificare i soggetti a rischio di sviluppo di diabete di tipo 1 e di celiachia. Quando parliamo di queste patologie, risulta fondamentale una diagnosi precoce, dal momento che vi è il rischio di sviluppare complicanze serie che impattano sulla sopravvivenza e sulla qualità di vita. Complicanze che potrebbero essere mitigate o addirittura evitate dall'inizio precoce di un regime alimentare terapeutico adeguato.

Auspichiamo che questo provvedimento, che implementa i finanziamenti già previsti nella legge di bilancio per il triennio 2023-2025 per gli screening su base nazionale nella popolazione pediatrica, assuma i criteri che sono alla base dei livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana, i cosiddetti LARN.

I prossimi passaggi, a mio avviso, dovrebbero essere quelli di: intraprendere iniziative legislative volte a potenziare la campagna informativa all'interno degli studi medici pediatrici e di medicina generale, anche mediante affissione di manifesti intuitivi e brochure mirate sul tema; adottare iniziative per includere nel prossimo aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza alcune delle prestazioni per la diagnosi precoce della celiachia nei soggetti ritenuti maggiormente a rischio, a partire dai neonati e dagli adolescenti da 1 a 17 anni; intraprendere ulteriori iniziative per favorire l'acquisto, con un contributo mensile, di prodotti per pazienti affetti da celiachia, con l'obiettivo di coprire il fabbisogno nutrizionale giornaliero di carboidrati, da soddisfare con alimenti specificamente formulati, il cui ammontare cambia a seconda del sesso e dell'età del soggetto, tenuto conto dei LARN che, stabiliti dalla Società italiana di nutrizione umana, sono il punto di riferimento per definire il fabbisogno energetico della popolazione, tenendo conto dei più diffusi stili di vita, dell'età e del sesso.

In questa sede annuncio che presenterò un ordine del giorno per chiedere un impegno proprio per intraprendere queste iniziative perché, quando si parla di iniziative volte alla tutela della salute pubblica, ci troverete sempre pronti a fare la nostra parte in maniera propositiva (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Colosimo. Ne ha facoltà.

CHIARA COLOSIMO (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa proposta di legge ha l'ambizioso obiettivo di trasformare lo screening in uno strumento necessario a ridurre le complicanze potenzialmente mortali in caso di insorgenza della malattia in età infantile e adolescenziale, nel range di età dagli 1 ai 17 anni. Perché? Perché, Presidente - ma non devo dirlo a lei che lo sa benissimo -, abbiamo la necessità di immaginare una sanità pubblica che sia al passo con i tempi ed è ormai dimostrato che la diagnosi precoce sia l'unico modo per venire soddisfare la necessità di affrontare le spese per la sanità pubblica con parsimonia e, allo stesso tempo, non lasciare nessuno indietro, soprattutto se vi è qualcuno che sta già male.

Il diabete mellito in età evolutiva viene oggi definito come un gruppo di disordini metabolici eterogenei, lei lo sa, dal punto di vista patogenetico, clinico, genetico, caratterizzati da elevati livelli ematici di glucosio. Noi sappiamo che il diabete di tipo 1 rappresenta la malattia cronica endocrino-metabolica più frequente nell'età pediatrica; sappiamo anche che la sua eziologia è ancora, purtroppo, poco chiara e questo ha certamente comportato un ritardo in alcune scelte, ritardo che, con questa sua proposta di legge, Presidente, andiamo a colmare e lo facciamo innanzitutto perché sappiamo che le conseguenze più gravi di questo tipo di malattia, soprattutto quelle relative ai malfunzionamenti del pancreas e a una cura che rischia di arrivare in ritardo rispetto ad una diagnosi, possono essere anche mortali.

Il numero di giovani e di bambini con diabete di tipo 1 è in crescita, particolarmente nella fascia di età inferiore a sei anni. Questo è un dato che ci porta, innanzitutto, a valutare la necessità di capirne l'impatto anche psicologico e non solo sanitario, un impatto psicologico che c'è, a maggior ragione se una malattia viene diagnosticata tardi e, quindi, una grave crisi rischia di portare all'impossibilità dell'organismo di utilizzare il glucosio come fonte energetica per mancanza di insulina. È per questo che la presa in cura del bambino o dell'adolescente, come qui viene scritto, attraverso una diagnosi precoce è una delle scelte maggiori che noi dobbiamo fare e rappresenta non solo una sfida, ma anche un obiettivo, quell'obiettivo di assicurare un'adeguata qualità di vita futura.

Abbiamo l'obbligo morale, Presidente, di ridurre il più possibile l'età di insorgenza delle complicanze. È per questo che è molto intelligente affiancare, come in questa proposta di legge, la celiachia, una delle malattie croniche più frequenti nel mondo occidentale, con una prevalenza che, nei bambini, può giungere fino all'1,3 per cento. Come sappiamo, è caratterizzata da un'infiammazione e dall'atrofia della mucosa dell'intestino, causata, in soggetti predisposti geneticamente, da una proteina del glutine. Ecco, il tema è che, nelle fasi iniziali della malattia celiaca, la sintomatologia può essere molto lieve, alle volte completamente assente e questo quadro clinico così difficile da individuare in tempi rapidi ci impone di utilizzare metodi che con questa proposta di legge noi andiamo a scegliere e che sono quelli che fino a qui hanno dimostrato la maggiore capacità di prevenzione. Ecco, perché anche per il morbo celiaco, che ha un'origine autoimmunitaria, non sorprende - lo ripeto, non sorprende - la sua frequente associazione con il diabete mellito di tipo 1. Infatti, il rapporto tra diabete e celiachia è ormai dimostrato dall'elevata prevalenza del morbo celiaco nel diabete di tipo 1, dato che può essere in parte spiegato, oltre che appunto dalla comune origine autoimmunitaria, anche dalla presenza dei medesimi marker genetici.

Dobbiamo, inoltre, notare, Presidente, come in un quarto dei pazienti con il morbo celiaco, non ancora affetti da diabete di tipo 1, siano riscontrabili gli anticorpi propri della condizione diabetica. Questo lo dicono i recenti studi epidemiologici che hanno rilevato la presenza della celiachia in una percentuale che va dal 10 al 25 per cento dei soggetti affetti da diabete di tipo 1.

Ecco, perché, Presidente, la contemporanea presenza di entrambe le patologie nella popolazione generale va dal 4 al 6,5 per cento, con picchi - lo sappiamo bene - molto più alti. È molto probabile, tra l'altro, che i numeri siano destinati ad aumentare nel corso degli anni, grazie al miglioramento proprio delle tecniche di diagnosi e di screening, così come è successo per la celiachia, dapprima considerata una malattia rara e, poi, diventata una delle patologie più frequenti che noi vogliamo andare a combattere prima che la sua insorgenza possa portare gravi danni.

Questa prevalenza della patologia è estremamente importante e ci “obbliga” a istituire un programma diagnostico di salute pubblica per individuare precocemente i soggetti a rischio e ridurre al minimo le diagnosi tardive e ridimensionare, finalmente, le complicanze. Uno screening, quindi, non è solo giustificato, Presidente, ma è giusto, perché se ne trae beneficio in termini di riduzione delle complicanze associate sia al morbo celiaco sia al diabete, con un miglior controllo del diabete, e di conseguenza anche sotto il profilo dei costi sanitari. Riguardo ai costi, in questo caso siamo orgogliosi di aver rinnovato ed aumentato la dotazione. Questa rinnovata consapevolezza era già presente nei primi atti dell'attuale Governo che, nella legge di bilancio, aveva previsto l'istituzione di un fondo con una dotazione che è stata aumentata per ciascuno degli anni a venire; lo abbiamo fatto con la presente proposta di legge. All'articolo 1, per l'attuazione di un programma pluriennale di screening è autorizzata quindi la spesa di 3,85 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e di 2,85 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2026.

Inoltre, nello stato di previsione del Ministero della Salute per l'anno 2023 sono state confermate risorse complessive pari a 334.000 euro, e oltre, per garantire la somministrazione dei pasti senza glutine su richiesta degli interessati nelle mense delle strutture pubbliche scolastiche e ospedaliere e oltre 592 euro a persona sono da assegnare alle regioni e province autonome per le attività formative e di aggiornamento rivolte a ristoratori ed albergatori, perché tutti possano avere diritto di andare anche a mangiare fuori.

Alla luce di tali considerazioni, noi siamo fermamente convinti del ruolo preventivo dello screening e siamo al contempo molto convinti di non poter tralasciare altri aspetti altrettanto importanti, come l'impegno e la vigilanza in materia di gestione quotidiana della malattia nell'adolescente e nel bambino, che oggi purtroppo è spesso demandata solamente ai caregiver familiari, soprattutto nei primi anni di vita. Non dobbiamo peraltro trascurare le problematiche legate alle dinamiche di rifiuto della malattia e il conseguente peggioramento del controllo glicemico soprattutto negli anni dell'adolescenza. È necessario, quindi, assicurare una programmazione appropriata dei servizi e fare in modo che le risorse siano pronte per fornire cure di alta qualità su tutto il territorio nazionale e a tutti i bambini a cui verrà diagnosticato il diabete negli anni a venire. In particolare, abbiamo bisogno, Presidente, di evitare iniquità e diseguaglianze e di garantire a bambini e ragazzi con diabete di tipo 1 un'assistenza di qualità, auspicando comportamenti omogenei e se è possibile anche flessibili e personalizzabili in base alle diverse esigenze dei bambini, con diverse età e diverse necessità.

Infine, auspichiamo, al fine della diagnosi precoce, di ottimizzare la cura del paziente di diabete di tipo 1 e incentivare la ricerca scientifica, lo screening genetico e le attività di intervento terapeutico e sperimentale che esplorano la possibilità di nuove terapie che possano ritardare o prevenire l'insorgenza del diabete di tipo 1 in persone potenzialmente predisposte.

Ecco perché è fondamentale diffondere informazioni attraverso le campagne di sensibilizzazione, anche in questa legge previste, sull'importanza della diagnosi precoce in età pediatrica. Per questo in questa proposta di legge c'è anche uno stanziamento apposito che noi salutiamo con molta, molta gioia. L'obiettivo, lo dicevo all'inizio, è ambizioso, ma si intende perseguirlo per rendere lo screening uno standard di cura. Allora, saranno sicuramente necessari anche cambiamenti educativi e comportamentali tra gli operatori sanitari, i pazienti e i genitori, per spostare la prospettiva comunitaria da un modello incentrato unicamente sul trattamento come quello odierno alla necessità di uno screening.

Quindi, Presidente, io non solo la ringrazio per questo importante lavoro unanime, ma sono felice di salutare questa proposta di legge in pieno accordo con la linea del Governo Meloni e del Ministro Schillaci in materia di politica sanitaria. È infatti noto che l'adozione di misure atte a incrementare gli investimenti in prevenzione è per noi fondamentale ed è al centro della nostra attività politica. Per questo noi aspettiamo con piacere l'approvazione di questa proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Loizzo. Ne ha facoltà.

SIMONA LOIZZO (LEGA). Grazie, Presidente. Intanto, vorrei rivolgere a lei, onorevole Mule', i miei personali complimenti per una legge che va a coprire un vulnus legislativo e il plauso mio personale, da medico che si è interessato per tanti anni anche di tematiche che riguardano l'età pediatrica. La legge da lei proposta prevede di aiutare il processo di prevenzione nella popolazione pediatrica da 1 a 17 anni del diabete di tipo 1, con lo scopo di evitare complicanze lesive della salute dei pazienti, come la chetoacidosi.

Il provvedimento consentirà, attraverso un attento screening di tipo predittivo e non opportunistico, quindi alla comparsa dei primi sintomi, di raccogliere ogni maggiore informazione sulle cause di insorgenza della malattia e l'inserimento precoce in terapie farmacologiche che possano rallentare il corso della malattia. Altrettanta attenzione viene data alla diagnosi precoce della celiachia, causa di complicanze gravi se non diagnosticata in tempo. Si stima ad oggi che il 65 per cento dei casi non sia diagnosticato.

Le malattie attenzionate dal provvedimento sono spesso correlate, con un'incidenza di patologie correlabili fino al 6 per cento. Questa volontà di procedere a uno screening combinato, secondo me, raggiungerà lo scopo previsto di andare a identificare molti più casi di quelli previsti al 6 per cento. Lo screening sarà allegato al capitolo 2310 dello stato di previsione con un fondo ad hoc e anche questo, che era stato inizialmente uno dei motivi per cui si è ritardato, ci fa sperare che il fondo ad hoc possa essere di aiuto per la continuazione delle attività di screening anche nel prossimo futuro.

Si istituirà, poi, un osservatorio sul diabete di tipo 1, con il compito di elaborare le risultanze dello screening nazionale, speriamo con l'ausilio di tutte le società scientifiche volte allo studio di questa patologia, ovviamente prevedendo un'adeguata campagna informativa e di sensibilizzazione che possa anche passare attraverso la promozione di corretti stili di vita dal punto di vista della salute, anche nutrizionale.

Lo strumento finanziario della legge è un serbatoio di quasi 2,5 milioni per il triennio 2023-2025. Lo screening combinato con la stessa indagine individuerà diabete di tipo 1 e celiachia. La rivoluzione legata agli screening è oggi uno dei capisaldi della prevenzione applicata ai percorsi diagnostico-terapeutici in età pediatrica e incardina anche l'unica forma di reale controllo di tutte quelle patologie che, cronicizzandosi, inducono un notevole aggravarsi di patologie multiorgano, con enormi costi per il sistema sanitario nazionale.

La prevenzione è un tema di politica sanitaria molto caro a questo Governo e, soprattutto, moderno in termini di adeguatezza delle cure, ma anche di risparmio di risorse, e si inserisce in un contesto di razionalizzazione oggi non più eludibile. Quindi, risorse nuove ma anche promozione di programmi di sistema sanitario nazionale di tutela della popolazione in età pediatrica.

Con il provvedimento ci si propone di istituire un programma diagnostico di salute pubblica per individuare quanto più precocemente i soggetti a rischio attraverso il riscontro nel sangue di autoanticorpi contro le cellule beta del pancreas e, per la celiachia, di autoanticorpi anti-glutine, che può essere eseguito rapidamente, in maniera corretta.

Una ritardata diagnosi - lo vediamo in questo momento storico della celiachia - ha comportato malassorbimento e compromissione della crescita staturale dei bambini e anche deficit di mineralizzazione ossea. Quindi, lo screening combinato, l'istituzione di un Osservatorio, insieme a processi di implementazione di percorsi di informazione, rappresentano il gold standard della nuova frontiera terapeutica. Il Governo c'è e mostra tutta la sua forza in queste procedure.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 622-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Patriarca.

ANNARITA PATRIARCA , Relatrice. Grazie, Presidente. L'importanza della prevenzione sussiste, soprattutto, laddove c'è incertezza nell'eziologia, nella diagnosi o nella cura di una patologia. C'è una ricerca in evoluzione, è vero, ci sono anche pareri vari riguardo la stessa patologia; il fatto è che per queste patologie avere la possibilità, soprattutto quando i sintomi non sono ancora evidenti o sono lievi, di sapere effettivamente di cosa si soffra aiuta nella gestione del paziente, aiuta nella modifica dello stile di vita e aiuta anche nella cura da somministrare. Per esempio, per il diabete di tipo 1, lo screening preventivo della chetoacidosi salva la vita. Per quanto concerne, ad esempio, la celiachia, lo screening pediatrico serve anche per una serie di effetti che la celiachia ha sul processo di crescita e sviluppo dei bambini, potendo compromettere la mineralizzazione delle ossa o potendo provocare disturbi gastrointestinali che possono diventare di carattere cronico.

Uno screening del genere aiuta a stabilire le strategie sì, da utilizzare nel caso singolo, ma consente anche, attraverso incroci della compresenza, per esempio, come abbiamo tutti analizzato adesso, delle due patologie, la maggiore incidenza in alcune fasce di età e in alcune aree territoriali presenti, di effettuare degli studi che permettono di comprendere ancora più cose rispetto a quelle che conosciamo su queste patologie.

Inoltre, dobbiamo anche dire che circa il 40 per cento dei bambini con il diabete di tipo 1 esordisce in Italia in chetoacidosi diabetica, molti in chetoacidosi o DKA, che è proprio la chetoacidosi diabetica grave, che necessita di terapia intensiva e che, come attestano le più recenti ricerche, determina danni cerebrali permanenti. La chetoacidosi diabetica porta alla morte, abbiamo detto. In questi casi, una diagnosi tempestiva aiuta eccome. Lo screening non è un costo, se guardiamo, a questo punto, ai danni permanenti o alle prognosi più infauste che possono riguardare soprattutto i bambini.

Dobbiamo recuperare una cultura della prevenzione e la cultura della prevenzione si basa, soprattutto, sul monitoraggio di una patologia, non soltanto in chiave predittiva per comprendere, ai primi stadi, quali sono i sintomi e, quindi, fare una diagnosi, ma anche e, soprattutto, per tenere sotto controllo l'evoluzione nel breve e nel lungo periodo. In questi anni in cui il COVID ha bloccato il sistema sanitario, abbiamo subito tutti - e ne paghiamo oggi le conseguenze - il rallentamento o, addirittura, il blocco di tutta la fase preventiva, lo paghiamo oggi nell'incidenza dei tumori, in una serie di patologie cardiache trascurate. Abbiamo imparato, dalla scienza e dall'esperienza, che riuscire a diagnosticare anzitempo una patologia, inevitabilmente, produce effetti positivi, sia sul singolo caso sia su larga scala.

Quindi, dietro questa proposta di legge, ci sono studi fatti soprattutto sulla celiachia e sul diabete in età pediatrica, che, negli ultimi anni, hanno numeri seriamente preoccupanti. Dietro questa proposta di legge c'è uno studio che è stato citato dalla collega Marrocco, ma ce ne sono altri, come ci sono studi contrastanti su alcuni punti. Ma penso, in generale - e lo pensa la comunità scientifica, che ha più valenza del parere della sottoscritta - che, se non recuperiamo, a 360 gradi, una cultura della prevenzione, non riusciremo, né in termini di ricerca, né in termini di efficacia e risposta del Servizio sanitario nazionale e nemmeno in termini di risparmio di spesa, ad avere i risultati che auspichiamo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, se lo ritiene, il rappresentante del Governo, Sottosegretario Gemmato.

MARCELLO GEMMATO, Sottosegretario di Stato per la Salute. Sì, giusto per complimentarmi per il livello del dibattito. Condivido pienamente le parole della collega Patriarca. Purtroppo, il COVID ha messo le lancette indietro rispetto a tutta una serie di screening che si facevano e che, in fase predittiva, producevano l'emersione di tante patologie, che, da un lato, quindi potevano essere curate e che, dall'altro, brutalmente anche in termini di bilanci dello Stato, hanno un impatto forte, perché le patologie che si conclamano hanno un costo maggiore. Ripeto: a noi interessa primariamente il tema della salute degli italiani, ma come effetto collaterale e diretto c'è anche una maggiore spesa nelle casse dello Stato.

Nella fattispecie, parlare di celiachia e di diabete di tipo 1 significa parlare della vita dei nostri figli e della vita delle persone indifese, dell'emergenza di patologie potenzialmente molto dannose. Complimenti anche lei, Presidente, in duplice veste questa sera, come presentatore, ma anche come Presidente di questa Assise, complimenti a chi ha immaginato lei, complimenti alla Commissione che, puntualmente, ha affrontato il tema e complimenti anche ai colleghi per il livello del dibattito.

PRESIDENTE. Molteplici grazie a lei, Sottosegretario Gemmato. Il dibattito a questo punto è rinviato alle prossime sedute.

Discussione della mozione Foti ed altri n. 1-00102 concernente iniziative di competenza in relazione alla mancata estradizione di alcuni terroristi dalla Francia (ore 16,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Foti ed altri n. 1-00102 concernente iniziative di competenza in relazione alla mancata estradizione di alcuni terroristi dalla Francia (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che, in data odierna, è stata presentata una nuova formulazione della mozione Foti ed altri ed altri n. 1-00102 (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Alessandro Urzi', che illustrerà anche la mozione Foti ed altri n. 1-00102 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO URZI' (FDI). Grazie, Presidente. Vorrei dare proprio illustrazione alla mozione nel suo corpo principale, partendo dalla notizia che il 28 marzo 2023 la Corte di cassazione francese ha deciso di respingere, a titolo definitivo, la richiesta, risalente al gennaio 2020, del Governo italiano di estradizione di 10 militanti della lotta armata rifugiatisi in Francia e arrestati nel mese di aprile 2021.

La Corte di cassazione francese ha rigettato il ricorso del procuratore generale Rémy Heitz contro il “no” già pronunciato il 29 giugno 2022 dalla corte di appello, nonostante la volontà comune dei Governi italiano e francese di ottenere giustizia per le vittime delle azioni terroristiche messe in atto negli anni passati dagli arrestati. Non a caso, il 26 marzo 2023, il Ministro della Giustizia francese Éric Dupond-Moretti, riguardo ai 10 ex terroristi arrestati, aveva detto di considerarli assassini, auspicando la loro estradizione.

Ricordiamoli, questi 10 militanti della lotta armata. Giorgio Pietrostefani, fondatore, insieme ad Adriano Sofri, di Lotta continua, condannato come mandante dell'omicidio del commissario Luigi Calabresi; Marina Petrella, appartenente alle Brigate Rosse e condannata per l'omicidio del generale Galvaligi, oltre che per il sequestro del giudice Giovanni D'Urso e dell'assessore regionale della Democrazia Cristiana Ciro Cirillo; Roberta Cappelli (Brigate Rosse), anch'essa condannata per l'omicidio del generale Galvaligi, dell'agente di polizia Michele Granato e del vicequestore Sebastiano Vinci; Giovanni Alimonti (Brigate Rosse) condannato per il tentato omicidio del vicedirigente della DIGOS Nicola Simone; Enzo Calvitti (Brigate Rosse) condannato in contumacia a 18 anni di carcere per associazione a scopi terroristici e banda armata.

Poi, Maurizio Di Marzio della colonna romana delle Brigate Rosse, il cui nome è legato all'attentato al dirigente dell'ufficio provinciale del collocamento di Roma, Enzo Retrosi, nel 1981 e, soprattutto, al tentato sequestro del vicecapo della DIGOS della capitale Nicola Simone il giorno dell'Epifania del 1982; Sergio Tornaghi, membro della Colonna Milanese “Walter Alasia”, condannato all'ergastolo per l'omicidio di Renato Briano, direttore generale della “Ercole Marelli”; Narciso Manenti di Guerriglia Proletaria, condannato nel 1983 all'ergastolo per l'omicidio dell'appuntato dei carabinieri Giuseppe Gurrieri, ucciso davanti al figlio quattordicenne in uno studio di medicina, dove aveva fatto irruzione per sequestrare un medico che lavorava presso il carcere di Bergamo; Luigi Bergamin dei PAC (Proletari armati per il comunismo) del ben noto terrorista Cesare Battisti, condannato a 16 anni e 11 mesi di reclusione come ideatore dell'omicidio del maresciallo Antonio Santoro, capo degli agenti di Polizia penitenziaria, ucciso a Udine il 6 giugno 1978 dallo stesso Cesare Battisti; Raffaele Ventura delle Formazioni comuniste combattenti, condannato a 20 anni di carcere per concorso morale nell'omicidio del vicebrigadiere Antonio Custra, avvenuto il 14 maggio 1977 durante una manifestazione della sinistra extraparlamentare a Milano.

La decisione della Corte di cassazione, Presidente, giunge dopo il parere negativo già fornito il 7 febbraio 2023 dall'avvocato generale della stessa Corte, Xavier Tarabeaux, il quale aveva consigliato di respingere il ricorso del procuratore.

Le motivazioni addotte dai magistrati francesi al fine di giustificare la loro decisione sono le seguenti. Vi è il fatto che alcuni dei 10 ex terroristi siano stati condannati in contumacia decenni fa e che essi non godrebbero, qualora estradati in Italia, di un nuovo processo. Stando a quanto previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, non verrebbero rispettate - così si dice - le nuove vite che i 10 terroristi si sono, nel frattempo, creati in Francia con tutto ciò che riguarda le loro attuali professioni e famiglie, pur tenendo conto della gravità dei fatti contestati.

Secondo il Governo italiano il lasso di tempo passato è da ricondurre unicamente a un'interpretazione distorta della cosiddetta dottrina Mitterrand, risalente agli anni Ottanta del secolo scorso. L'allora Presidente della Repubblica francese François Mitterrand aveva offerto rifugio agli ex terroristi italiani, ma a condizione che non si fossero macchiati di gravi reati di sangue, condizione di sicuro non soddisfatta dai 10 terroristi in questione e da altri ancora, condannati in Italia per omicidi come quelli del commissario Luigi Calabresi (Pietrostefani), del generale Enrico Galvaligi (Petrella e Cappelli) o dell'avvocato Enrico Podenovi (La Ronga, Stefan e Gaimozzi, tutti membri dei Comitati comunisti rivoluzionari, un'organizzazione paramilitare riconducibile a Prima linea). La dottrina Mitterrand, quindi, era diretta a non concedere l'estradizione di persone imputate, condannate o ricercate per atti di natura violenta ma d'ispirazione politica contro qualunque Stato, purché non diretti contro lo Stato francese, concedendo di fatto un diritto d'asilo a ricercati stranieri.

I parenti delle vittime dei crimini commessi dai 10 ex terroristi possono presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo contro la decisione della Corte di cassazione francese. I ricorsi alla Corte di Strasburgo non possono essere presentati, però, da autorità di Governo, bensì da ogni persona fisica, organizzazione non governativa o gruppo di privati, che pretenda di essere vittima di una violazione dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli.

L'attuale Governo francese ha già riconosciuto il diritto dell'Italia a pretendere l'applicazione delle condanne inflitte nel nostro Paese contro i 10 terroristi, ora rifugiati in Francia. La decisione della Corte di cassazione francese di non accordare l'estradizione dei 10 terroristi arrestati in Francia, a seguito dell'avvio del relativo iter da parte del Governo italiano, è stata giustamente stigmatizzata da quest'ultimo Governo, cui non può non unirsi il pieno dissenso del Parlamento italiano.

Per questo, Presidente, oggi ci troviamo qui a impegnare la Camera in un voto, che impegna a sua volta il Governo ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a fornire tutta la necessaria e dovuta assistenza legale ai parenti delle vittime dei reati commessi dai 10 terroristi italiani rifugiati in Francia, nella loro già annunciata intenzione di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo contro la decisione della Corte di cassazione francese; ferma restando l'intenzione di non voler interferire in questioni interne, si impegna il Governo a sensibilizzare le autorità francesi, affinché esplorino ogni possibile soluzione compatibile con il loro ordinamento e con la normativa eurocomunitaria sulla cooperazione giudiziaria in materia penale, per rispondere alla legittima richiesta di giustizia dei parenti delle vittime dei 10 terroristi italiani.

I toni della mozione, quindi, Presidente - lo ha visto - non sono severi, in omaggio al già richiamato principio della non intromissione in affari interni di un Paese amico, con cui siamo impegnati su molti fronti, fianco a fianco, a partire dalle iniziative sulla politica estera fino al comune sentire evidentemente anche sulle vicende belliche in atto. Chi parla, peraltro, è anche membro dell'associazione interna parlamentare Italia-Francia. Quindi, l'amicizia transalpina non è in discussione; anzi, è un valore assoluto. I toni non sono, quindi, severi, Presidente, ma non per questo non sono fermi.

L'Italia non intende dire al Governo di uno Stato sovrano, evidentemente, cosa fare o cosa non fare: non l'ha mai fatto ed evidentemente non lo farà ora. Il punto è alimentare e rinsaldare la collaborazione con il Governo francese, che ha stigmatizzato la decisione della Corte di cassazione di negare l'estradizione dei terroristi italiani.

Noi deputati di Fratelli d'Italia - e auspichiamo l'intera Camera - sosteniamo con forza, in questo caso, ancora una volta, il lavoro diplomatico del Governo, così com'è stato fatto per altre questioni di rilevanza internazionale. Ci aspettiamo la stessa determinazione che ha portato l'Italia a essere di nuovo protagonista.

C'è chi parla, invece, di ossessione e atteggiamento vendicativo. Noi rispondiamo, Presidente, che invece si tratta semplicemente di giustizia. La solita teoria di intellettuali ideologizzati ha definito l'atteggiamento del Governo italiano vendicativo. D'altronde, si dice, dopo tanti anni che senso avrebbe riportare in Italia degli ottantenni che si sono rifatti una vita altrove? In primis, Presidente, stiamo parlando di terroristi che hanno agito contro lo Stato, macchiandosi di delitti violenti e orribili, condannati tutti per omicidio, per essere stati mandanti o per avere partecipato in altre forme.

In secondo luogo, abbiamo intenzione di andare fino in fondo per accertare anche responsabilità di fiancheggiatori e responsabili sotto altre forme.

Infine, vogliamo ribadire tre princìpi: la giustizia non è mai a tempo determinato; la giustizia è anche quella nei confronti dei familiari e delle vittime, che attendono da anni, troppi anni; e poi vi è il principio politico per cui lo Stato c'è e ci sarà sempre, contro il terrorismo, in tutte le sue forme.

Non è vendetta, Presidente, ma è giustizia, come quella che si aspettano da oltre cinquant'anni le vittime dimenticate del terrorismo, me lo lasci dire, secessionista. Una pagina che ha lacerato l'Alto-Adige, da cui provengo, con mine antiuomo, raffiche di mitra, cariche di tritolo, 21 vite spezzate, lasciando 57 feriti, oltre 360 attentati in 32 anni di guerriglia, sino al 1988, l'altro ieri. Abbiamo contato, sul terrorismo secessionista, 157 condanne, 103 altoatesini, 40 austriaci, 14 germanici; e abbiamo contato, fra gli italiani, gli altoatesini, e ancora oggi contiamo i latitanti riparati all'estero, in Austria e, nel passato, in Germania.

Siegfried Steger, uno dei famigerati quattro cosiddetti “bravi ragazzi della Valle Aurina”, ancora oggi ci ricorda, riferendosi ai reati che gli sono stati contestati, che certe cose non si fanno certo con i guanti bianchi. “T'hanno ammazzato quasi per gioco” cantavano in Brennero 66 i Pooh, celebrando la strage di Malga Sasso.

E allora, Presidente, su tale vicenda - questa è tutta un'altra storia, evidentemente, rispetto a quella dell'Alto-Adige, ma idealmente si ricollega perfettamente alla vicenda francese - noi abbiamo il dovere di metterci il cuore, la faccia e il voto. Sono interi libri di storia che attendono il capitolo finale. Ecco perché le vicende francesi lasciano ancora ferite aperte.

L'Italia ha fatto tutto quanto in suo potere - questo ce l'ha detto il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che voglio qui ricordare - perché fosse rimosso l'ostacolo politico che per decenni ha impedito alla magistratura francese di valutare le nostre richieste.

Avevo già avuto modo - ci ricorda il Ministro Nordio - di ringraziare di persona il collega Éric Dupond-Moretti, per essere stato al fianco dell'Italia e per la sua costante attenzione nei confronti delle nostre richieste. Dupond-Moretti - ha sottolineato Nordio - ha compreso il nostro bisogno di verità e giustizia, e, dando corso alle nostre domande di estradizione, ha testimoniato la piena fiducia del Governo francese nella nostra magistratura, che ha giudicato gli imputati degli anni di piombo sempre nel rispetto di tutte le garanzie.

C'è un dettaglio fastidioso e ipocrita, ci ha ricordato invece Mario Calabresi, figlio di Luigi Calabresi, assassinato nel 1972: la Cassazione, quella francese, scrive che i rifugiati in Francia si sono costruiti, da anni, una situazione familiare stabile e, quindi, l'estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto a una vita privata e familiare. Ma pensate al danno sproporzionato che loro hanno fatto uccidendo dei mariti e padri di famiglia. E questo è ancora più vero perché da parte di nessuno di loro c'è mai stata una parola di ravvedimento, di solidarietà, di riparazione.

C'è anche, Presidente, chi, come Alberto Di Cataldo, figlio di Francesco, il maresciallo ucciso a Milano dalle BR nel 1978, ha espresso un punto di vista che rispettiamo, diverso, improntato alla carità: la vera partita non è l'estradizione - ci ha detto -, quanto misurare se queste persone daranno un contributo per capire quanto è successo in quegli anni. Riteniamo nobili queste parole, Presidente, indubbiamente. Fratelli d'Italia ha avviato questa iniziativa per due grandi ragioni: verità e giustizia. Ma noi siamo certi che entrambe potranno essere garantite con gli assassini in carcere, in Italia, finalmente (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gianassi. Prima di ascoltarla, onorevole, mi faccia salutare i giovani studenti, allievi ed i docenti dell'Istituto Redentore, di Mantova, che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Prego, onorevole Gianassi.

FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, quando ci accingiamo a parlare e riflettere con la finalità di assumere iniziative istituzionali, in questo caso parlamentari, sul tema del terrorismo e sulle responsabilità di coloro che hanno aderito a movimenti terroristici, io credo che dobbiamo innanzitutto partire, avendo riguardo alla sofferenza e al dolore delle vittime e dei familiari delle vittime. La sfida che coinvolge le istituzioni è contribuire a ricercare la verità e la giustizia, innanzitutto nell'interesse e nella tutela delle vittime e dei loro familiari, con un approccio delle istituzioni fermo e rigoroso nell'accertamento della verità, nell'individuazione delle responsabilità e nell'esecuzione delle pene, mantenendo sempre un collegamento strettissimo con coloro i quali hanno subìto un danno irreparabile e per i quali, dall'afflizione e dal compimento degli atti terroristici, hanno subito l'interruzione delle loro vite e l'inizio di una nuova vita, molto difficile, angosciante e piena di sofferenze. Le istituzioni devono stare accanto, curare, proteggere, essere in una relazione persino sentimentale con chi ha subìto la tragedia, la violenza e l'ottusità del terrorismo. Io credo che sia con quest'approccio e con questo riguardo che le istituzioni devono essere protagoniste di un percorso finalizzato all'accertamento della verità e all'esecuzione delle pene nei confronti di coloro che sono stati giudicati responsabili di crimini gravissimi.

Oltre a questo faro, che deve guidarci nell'assunzione delle decisioni, io credo che sia opportuno, da parte delle forze politiche e istituzionali, inquadrare il fenomeno del terrorismo su un piano generale e globale, perché possiamo trarre alcuni spunti di riflessione anche sui cedimenti e le debolezze delle istituzioni statali, per lungo tempo manifestati nei confronti del fenomeno del terrorismo. Non è un caso che, nella comunità internazionale, la previsione e la codificazione, attraverso il sistema delle convenzioni bilaterali e multilaterali, dei crimini internazionali abbia lasciato per troppo tempo al di fuori del recinto del diritto internazionale penale il crimine del terrorismo. Per molto tempo non si sono avute convenzioni internazionali che definissero il terrorismo, che lo punissero e che obbligassero gli Stati a esercitare una repressione. Vi sono stati diversi interventi convenzionali rispetto ad alcuni specifici atti di terrorismo. Questo è avvenuto per lungo tempo, perché c'è stato un dibattito aperto nella comunità internazionale rispetto all'atteggiamento che gli Stati avrebbero dovuto assumere in relazione al terrorismo.

Fortunatamente, negli ultimi decenni vi è stata una maturazione della comunità internazionale e del pensiero giuridico internazionale e oggi, a differenza del passato, possiamo assumere che anche il terrorismo è un crimine internazionale, sia quando è qualificato come crimine contro l'umanità sia quando è qualificato come crimine di guerra in un contesto di guerra, ma anche come autonomo crimine internazionale. Certamente, è internazionale quando il crimine è commesso in relazione ad azioni che hanno una capacità transnazionale e non è il caso del terrorismo italiano, ma la maturazione della comunità internazionale rispetto al fenomeno del terrorismo è, comunque, un fatto importante, anche in relazione ai rapporti tra gli Stati nella reazione rispetto ai fenomeni nazionali del terrorismo.

In effetti, anche con riferimento alla vicenda francese abbiamo assistito, seppure con lentezza, a un mutamento dell'orientamento delle istituzioni politiche francesi rispetto al trattamento da assumere nei confronti di terroristi che si sono macchiati di crimini gravissimi e che sono poi riparati in Francia. Non è un caso - è stato detto nella relazione, rispetto a questi lavori - che finalmente il Governo francese e il Presidente Macron hanno assunto un orientamento diverso e oggi ci troviamo nel caso opposto e paradossale in cui non vi è più un'obiezione politica e istituzionale della Repubblica francese, ma è l'autorità giudiziaria francese ad avere bloccato il processo di estradizione. Vi è stata, però, un'evoluzione. Questo, nella comunità internazionale, è un fatto positivo, che consente anche all'Italia, al Governo e ai suoi rappresentanti, nelle sedi internazionali competenti, di agire affinché sia sempre più forte il sentimento di reazione rispetto a un crimine odioso, che non può avere mai giustificazione alcuna. Se in passato - e forse questo fu uno dei motivi che rese difficili i lavori della comunità internazionale - furono associate, successivamente alla fine del secondo conflitto mondiale, azioni terroristiche in relazione alle azioni di movimenti di liberazione nazionale, ormai è da molti decenni che questo tema è stato superato. Vi è stato un terrorismo di tipo politico, come quello a cui abbiamo assistito nel nostro Paese, con un terrorismo che si è ispirato a ideologie di sinistra e un altro a ideologie di destra, ma entrambi hanno avuto una matrice comune: la violenza barbara e ingiustificabile contro persone delle istituzioni e cittadini civili. Successivamente, abbiamo assistito anche a forme diverse, quali il terrorismo di matrice religiosa, anch'esso violentissimo e barbaro, contro il quale contrapporre una comunità internazionale degli uomini e delle donne forte e democratica.

Rispetto a queste aperture della comunità internazionale degli ultimi decenni, io credo che possiamo dire - e qui vengo al terzo punto della riflessione che possiamo svolgere - che, invece, l'Italia, avendo pagato un prezzo altissimo, ben prima di altri Paesi, ha lavorato, all'interno del perimetro nazionale, per contrastare le forme violente del terrorismo, con una legislazione certamente speciale finalizzata a contrastare quei fenomeni odiosi e in tutte le sedi - nel dibattito nazionale, con i partiti dell'arco costituzionale - ha cercato di evidenziare che tutte le azioni di terrorismo che vengono effettuate con finalità politica non sono azioni politiche, ma azioni di violenza che strumentalizzano le idee politiche. Non c'è alcuna fede politica che possa essere accomunata al terrorismo.

Il terrorismo è barbarie, è negazione delle fedi politiche che hanno diritto di confrontarsi, anche in modo duro e aspro, ma nel rispetto dei valori fondamentali di una comunità, che sta, appunto, nel rispetto della persona, delle idee altrui, della salute e della salvaguardia delle altre persone.

Rispetto a questo contesto bene ha fatto il Governo precedente, il Governo Draghi con la Ministra Cartabia, a non dare per scontato ciò che non può essere scontato, cioè che autori di crimini gravissimi, condannati in via definitiva dalla giustizia italiana, siano riparati da anni all'estero e non abbiano scontato la loro pena, senza mostrare, come è stato detto nell'intervento che mi ha preceduto, segni di pentimento. Addirittura, talvolta hanno sottoposto le vittime a giudizi offensivi, denigratori e privi di qualunque forma di umanità e rispetto per il dolore arrecato. Dunque, bene hanno fatto le istituzioni francesi ad aprire la strada a una diversa risposta delle autorità francesi rispetto al rifiuto dell'estradizione in passato manifestato.

Tuttavia, se vi è stata un'apertura politica e istituzionale, le autorità giudiziarie francesi hanno assunto il posizionamento del diniego all'estradizione in modo definitivo con la sentenza della suprema corte francese dei mesi scorsi. Le argomentazioni che sono state addotte, cioè la violazione di due articoli della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, l'articolo 6 sull'equo processo e l'articolo 8 sulla tutela del diritto a una vita familiare, non possono essere accettate, innanzitutto perché la contestazione sull'istituto della contumacia che muovono le autorità giudiziarie francesi, che renderebbe, a loro dire, non equo il processo che si svolge in Italia, è un'affermazione tecnicamente non accettabile. Infatti, il sistema processuale italiano è composto da guarentigie, da sistemi di tutela e di protezione e si svolge in condizione di parità tra le parti; in secondo luogo, perché, come è già stato detto, il diritto all'unità familiare è un diritto fondamentale del quale sono state private le vittime del terrorismo, quei giovani che hanno perso i padri e le madri, quei padri che hanno perso i figli, i mariti che hanno perso le mogli e le mogli che hanno perso i mariti, tutti quegli uomini e quelle donne che, in Italia e altrove, hanno perso improvvisamente, in modo violento, un proprio affetto in modo irrimediabile e, come dicevo prima, senza loro volontà costretti a vivere una nuova e difficile vita.

Quindi, è opportuno mantenere coerenza con gli intendimenti assunti nel recente passato e continuare a lavorare perché giustizia possa essere fatta, sempre mantenendo quel collegamento necessario con i familiari delle vittime, faro dell'azione che deve ispirare le istituzioni.

Sul punto io ritengo che sia necessario allargare il nostro sguardo. Nell'intervento che sto svolgendo ho cercato di inquadrare il tema nazionale che noi viviamo dentro un contesto internazionale molto complesso, che sembra aver preso una strada finalmente convincente dopo decenni di ritardo. Credo che anche il nostro approccio nella gestione dei casi che ci riguardano debba essere il più largo e generale possibile. Se noi vogliamo - e dobbiamo farlo - lavorare insieme per consentire che la giustizia faccia il suo corso, che i responsabili di reati gravi paghino il prezzo delle loro responsabilità e che si realizzino meccanismi riparatori a tutela delle vittime è necessario, innanzitutto, prendere un impegno generale, privo di condizionamenti territoriali, che riguarda il contrasto al terrorismo.

Quindi, l'auspicio che mi sento di rivolgere è che l'impegno che chiediamo al Governo sia un impegno generale, che riguardi i terroristi riparati in Francia e gli altri riparati altrove che ancora non sono stati restituiti all'Italia per l'esecuzione delle responsabilità che sono state certificate in sede giudiziaria. Penso a chi è riparato in Nicaragua, a chi è riparato in Giappone e a chi è fuggito in Argentina: terroristi rossi e terroristi neri che hanno offeso gli ideali politici usando la violenza, provocando morte e disperazione.

Il secondo impegno che credo dobbiamo chiedere al Governo è che non solo lavori con grande determinazione in tutti gli scenari internazionali e nelle relazioni bilaterali con gli Stati nei quali i terroristi si sono rifugiati, ma anche che, per chi è all'interno del nostro Paese, il Governo assuma sempre una posizione chiarissima, integerrima, intransigente in relazione al contrasto del fenomeno del terrorismo. In questo senso, lo dico senza sollevare polemiche ma per offrire uno spunto di riflessione o un contributo, noi abbiamo stigmatizzato la costituzione tardiva del Governo italiano nel procedimento penale di Brescia. È qui accanto a me il collega Gian Antonio Girelli, bresciano, ma non è un tema solo della città di Brescia, è un tema nazionale. La strage di piazza della Loggia a Brescia è stato uno degli attentati terroristici più gravi che abbiamo vissuto negli anni del terrorismo e, dunque, l'estromissione del Governo italiano dal procedimento, in qualità di parte civile, per la tardiva costituzione è una ferita grave. L'appello che noi rivolgiamo, quindi, è che sulle tematiche relative al contrasto del terrorismo, anche per fatti molto risalenti nel tempo, vi sia sempre la massima attenzione, per tutte le vicende che hanno insanguinato il Paese, nei confronti di tutti coloro che sono stati dichiarati responsabili o che sono sotto processo per gravissime responsabilità.

Lo dobbiamo a noi stessi, all'amore, credo, che ognuno di noi, con idee diverse, attribuisce alla politica, all'importanza che riconosciamo alle istituzioni e, ancora una volta, all'impegno che dobbiamo mettere nel rispetto e nella vicinanza verso le vittime. Mi ha molto colpito in questi giorni un dibattito che si è aperto in Spagna, altro Paese che ha subìto il terrorismo, in particolare nei Paesi Baschi. Nei prossimi giorni, nelle elezioni amministrative nei Paesi Baschi la coalizione Euskal Herria Bildu candiderà alcune persone che in passato sono state vicine all'ETA. Hanno scontato le loro responsabilità e i giudici spagnoli hanno dichiarato che è del tutto legittima la loro candidatura ma si è aperto un dibattito politico.

Rispetto a una posizione molto forte che aveva espresso, la candidata del Partito Popolare alla presidenza della Comunità di Madrid che, stigmatizzando questo fatto, aveva dichiarato “l'ETA è viva, è nel potere attraverso le candidature di queste persone”, ha ricevuto una risposta molto dura e forte dalle vittime del terrorismo. “Si smetta di dire atrocità, ci risparmi il dolore di sentire che ETA continua a vivere, glielo chiedo per favore”, ha dichiarato un figlio delle vittime, “se davvero vuole rispettare le vittime del terrorismo che lottano per la memoria e per la giustizia”. Mi hanno sorpreso, perché sono le parole delle vittime rispetto a un posizionamento politico e di critica durissima verso una coalizione che aveva aperto nelle proprie liste a candidati che avevano avuto rapporti con un movimento terroristico. Questo dimostra quanta è, ovviamente e naturalmente, la sensibilità delle vittime, rispetto alla quale la politica non può permettersi passi falsi, incoerenze, titubanze, sottovalutazioni e nemmeno facili opportunismi. È la nobiltà della politica che pretende prima di tutto serietà e vicinanza alle vittime, costi quel che costi. È quindi un appello che rivolgo a tutti, convinto che possa essere raccolto, perché non è polemico ma vuole offrire uno spazio di riflessione comune.

Dunque, se l'approccio è generale, per tutti i fatti insisteremo e per tutti i responsabili di crimini gravi ci adopereremo affinché questi ultimi possano rispondere delle azioni che hanno commesso e, se lo dobbiamo fare e lo facciamo nel rispetto delle vittime, affianchiamo nella nostra riflessione anche il tema della riparazione del danno. Effettivamente, alcuni interventi di familiari delle vittime, anche da questo punto di vista, come in Spagna, aprono spazi di riflessione. Come a dire, è importante il processo penale, è importante l'esecuzione della pena, perseguiamoli entrambi, ma sono importanti anche ulteriori fatti.

Nel nostro Paese, anche sul tema della giustizia riparativa, abbiamo aperto una riflessione. Per molti decenni, nel nostro codice di procedura penale la parola “vittima” non è quasi esistita, era quasi espunta dal codice. Con l'ultima riforma, hanno contribuito partiti che oggi stanno in maggioranza, come altri che oggi sono in minoranza, è stato introdotto il principio, il modello della giustizia riparativa. Il nuovo Governo dovrà, in qualche modo, garantirne l'esecuzione e l'applicazione, ma è un tema importante, culturalmente importante, perché c'è un'esigenza repressiva delle istituzioni statuali, ma c'è l'esigenza di rendere le vittime protagoniste dei percorsi di accertamento delle responsabilità finalizzati alla riparazione, se è possibile, nelle forme in cui è possibile, attraverso il coinvolgimento delle vittime dei gravi crimini che sono stati commessi.

Le frasi odiose, prive di qualunque umanità, rivolte nei confronti dei fatti di sangue e pronunciate da coloro che hanno commesso quei fatti, sono terribili, perché rappresentano nuove ferite mortali per i familiari delle vittime. D'altronde, sempre per fatti gravissimi, il modello della giustizia riparativa è stato aperto nel mondo - penso al caso sudafricano - da Nelson Mandela, che pure aveva molte ragioni per pretendere una giustizia punitiva: decenni chiuso in una piccola cella da un regime razzista. Una volta liberato e dopo aver vinto democraticamente le elezioni, propose al Paese un percorso di accertamento della verità e di riconciliazione, nell'interesse esclusivo delle vittime.

È dunque un ulteriore spunto di riflessione, insieme alle giuste azioni che intraprenderemo e che intraprenderà il Governo per ottenere la consegna delle persone, laddove vi fossero le condizioni. Ho visto che c'è stata una riscrittura del testo, è oggettivamente più cauta, ma non voglio entrare in tecnicalità. Resta il principio politico, l'impegno che il Governo assumerà per mantenersi coerente con quanto è stato fatto per la consegna delle persone e il sostegno alle vittime nelle sedi giudiziarie, se sarà la Corte europea dei diritti dell'uomo, e, comunque, l'allargamento del nostro impegno su questo tema, lo ripeto, con coerenza, intransigenza, vicinanza e amore verso i tanti italiani e le tante italiane che hanno pagato un prezzo altissimo e meritano di avere le istituzioni e la politica vicine, senza distinzione di colore, con un unico colore, quello della giustizia e della verità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Carla Giuliano. Ne ha facoltà.

CARLA GIULIANO (M5S). Grazie, Presidente. Questa mozione ci dà l'occasione per svolgere alcune riflessioni su un tema che è delicatissimo. La Cassazione francese, purtroppo, ha confermato il rifiuto della Francia all'estradizione di dieci militanti delle Brigate Rosse che hanno insanguinato l'Italia nei cosiddetti anni di piombo. Questo rifiuto definitivo rispetto a una richiesta fortemente voluta e portata avanti, nel 2020, dal precedente Governo con il Ministro Bonafede, e, con altrettanta convinzione, anche dai Governi successivi, credo che sia, purtroppo, l'ennesima ferita inferta ai parenti delle vittime del terrorismo e al nostro Paese, che ha sofferto e ha vissuto sulla sua pelle quegli anni e che, in questo modo, vede nuovamente stravolti i principi democratici di giustizia e di certezza del diritto.

Quello che, in questo caso, mi preme sottolineare è l'attenzione alle vittime, che dovrebbe essere al centro di ogni valutazione. Infatti, quelle vittime non possono avere pienamente giustizia fino a quando non saranno accertati fatti ulteriori - che, spesso, vanno oltre la verità giudiziaria - e che non possono neanche avere il diritto a una riconciliazione, a una sorta di giustizia riparativa, anche solo da un punto di vista morale. Infatti, quello che scrivono tutti i parenti delle vittime non è la volontà di vendetta, ma è la volontà di giustizia e di ritrovare una riconciliazione con un periodo storico che ha stravolto non solo l'Italia, ma anche le vite di queste persone.

E, allora, come ricordava anche qualche collega prima di me, è davvero singolare leggere, tra le motivazioni che hanno portato al rigetto dell'estradizione, la volontà di non stravolgere la vita familiare che questi terroristi hanno poi iniziato una volta andati in Francia. Infatti, proprio la Cassazione scrive che i rifugiati, in Francia, si sono costruiti da anni una situazione familiare stabile e una vita privata e familiare. Lo ripeto, forse, purtroppo, non si pensa al danno irreparabile che hanno subito tanto le vittime di quegli anni, quanto i loro parenti, un danno irreparabile perché, nella maggior parte dei casi, è stato pagato con la morte; ma non si pensa neanche ai danni psicologici irreparabili di chi è stato vittima di gambizzazioni, sequestri o tentati sequestri. Tra l'altro, negli anni l'atteggiamento politico della Francia - che, fortunatamente, negli ultimi anni è molto cambiato - è stato frutto anche di una ricostruzione distorta degli anni del terrorismo in Italia, perché si è voluto dare un crisma di ideologia politica e un crisma di lotta, di guerra civile che veniva fatta sotto le mentite spoglie di un'ideologia politica evidentemente superiore o quasi che legittimasse questi atti di violenza, che restano e sono atti di violenza, atti di sangue, atti terroristici a tutti gli effetti, di terrore, che non possono e non devono trovare alcuna giustificazione politica.

Presidente, in quegli anni ancora non ero nata, ma ancora oggi ricordo e sento le parole di mio padre che, in quegli anni, come componente della Polizia di Stato, era addetto alla sezione antiterrorismo e lavorava tra Roma e le Marche, nel periodo del brigatista Peci che poi fu il primo collaboratore di giustizia, a cui fu ucciso il fratello, e che, quindi, ebbe la singolarità di essere vittima e carnefice del suo stesso sistema, del sistema di cui faceva parte. Ebbene, ciò che sconvolse l'Italia in quegli anni - lo ripeto, dai racconti che ho l'opportunità e l'onore di ascoltare - era un senso di terrore generale, perché obiettivi ingiustificati di una violenza cieca non erano soltanto i rappresentanti dello Stato, quindi, Forze dell'ordine e magistrati - e, anche in questo caso, non sarebbe una violenza giustificata, anzi -, ma anche “comuni” cittadini: macellai, imprenditori, gioiellieri.

Lo ripeto, dalle parole dei miei familiari, ho percepito davvero il senso di insicurezza e di terrore che poteva provare un comune cittadino semplicemente tornando a casa in una sera più buia delle altre, magari accorgendosi di avere alle spalle un ragazzo e una ragazza che camminavano dietro di lui, che lo seguivano insistentemente, senza sapere che quei ragazzi, quel ragazzo e quella ragazza, andavano altrove e non lo seguivano, invece, come obiettivo.

Credo che questa mozione debba essere un riconoscimento e un aiuto dello Stato italiano alle vittime, perché, a seguito di questa decisione della Cassazione francese, l'unico strumento che rimane in mano alle vittime per ottenere un minimo di verità e di giustizia è il ricorso alla Corte di giustizia.

Valutiamo molto positivamente uno degli impegni di questa mozione, che è quello di aiutare, anche da un punto di vista legale, le singole persone che già hanno annunciato di voler adire la giustizia europea per sostenerle in questa che, lo ripeto, è una battaglia di civiltà, non ha nulla a che fare con la vendetta. È una battaglia di civiltà che restituisce anche a noi, come Stato italiano, dignità, verità e giustizia.

E proprio perché ho avuto l'onore, tra l'altro, di essere in contatto con il nipote di una vittima del terrorismo, voglio ricordare - sono soltanto alcuni nomi, tra tanti - alcuni di quei nomi che ricordavo prima che hanno perso la vita o che hanno visto la loro vita assolutamente stravolta da azioni violente, ingiustificate e assolutamente da condannare. Voglio appunto ricordare, oltre al già ricordato commissario Calabresi, tante altre vittime di quel periodo, come il brigadiere Giuseppe Ciotta, che è stato ucciso da Prima Linea, e il cui nipote, con cui, lo ripeto, sono in contatto e lo ringrazio, è anche il presidente di Anni di Piombo, osservatorio nazionale per la verità storica. Voglio ricordare Rosario Berardi, Antonio Esposito e Sebastiano Vinci, anche loro erano membri delle Forze dell'ordine e morirono tutti a pochi anni di distanza; facevano parte di una squadra che si occupava della repressione degli atti di terrorismo ai diretti ordini del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Ci sono state, poi, tante vittime eclatanti, tra cui l'onorevole Moro e tanti altri ancora. Abbiamo, lo ripeto dei macellai, per esempio, Lino Sabbadin, il macellaio che fu ucciso nel 1997 proprio in Veneto ad opera dei Proletari armati e tanti altri.

Allora, più che ricordare i nomi di quelli che devono essere ancora oggi chiamati con il loro nome, cioè terroristi, voglio ricordare anche solo simbolicamente i nomi delle vittime, perché spesso, Presidente, questo mi è stato purtroppo riferito da tanti familiari delle vittime, viene dato quasi più risalto alle figure di questi terroristi che sono al centro di varie richieste di estradizione e di procedimenti giudiziari anche all'estero, ma ci si dimentica delle vittime, vittime che ogni volta che si apre un processo, ogni volta che si apre un'eco mediatica su questi casi, ricevono un'ulteriore ferita. Purtroppo - e qui non c'è responsabilità politica, né del Governo italiano, né di quello francese, che fortunatamente sembra essersi smarcato dalla cosiddetta dottrina Mitterand - a ogni evoluzione giudiziaria i parenti di queste vittime ricevono l'ennesimo colpo.

Quindi, noi come MoVimento 5 Stelle assolutamente siamo contenti e speriamo che ci sia una unità di intenti anche a livello parlamentare nel portare avanti iniziative a tutela dei parenti delle vittime. Concludo, soltanto con un monito che mi è stato proprio suggerito, leggendo un'intervista che è stata rilasciata qualche tempo fa, proprio dal nipote di una delle vittime; tutti sappiamo che il 9 maggio noi ricordiamo la giornata in onore delle vittime del terrorismo e della mafia, però, purtroppo, Presidente, forse anche per una mancata capillare informazione, con sconcerto e anche con un certo disagio, ho appreso che, da uno studio effettuato, circa l'80 per cento degli intervistati non sa nulla degli anni di piombo o è poco informato e il 60 per cento degli intervistati non ha mai sentito parlare del Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo. Allora, credo che questa mozione possa essere anche un ulteriore stimolo - e lo dico a tutto il Parlamento e al Governo - per mettere in campo iniziative, anche nelle scuole, iniziative capillari, iniziative di formazione e di informazione, perché, se perdiamo pezzi della nostra storia, per quanto dolorosa, sanguinosa e drammatica sia, non riusciremo a riconoscere la bellezza di vivere in un Paese democratico, che rispetta i valori costituzionali e che rispetta ciascuna persona, un Paese in cui ciascuna persona può vivere in libertà, nella certezza di veder garantiti i propri diritti, primo tra tutti, il diritto alla vita che in quegli anni terribili veniva spesso negato, considerato che questi terroristi, purtroppo, si arrogavano il diritto di vita e di morte.

Quindi, il mio auspicio è che davvero si possa iniziare a mettere in campo una campagna di informazione e di sensibilizzazione adeguata nei confronti di questo periodo storico, che ancora presenta tante verità poco chiare e una campagna di informazione nelle scuole, e non solo, perché leggere questi dati mi ha lasciato davvero con l'amaro in bocca.

Concludo con - ovviamente - un pensiero a tutti i parenti delle vittime e ripeto, accogliamo con favore, sperando che poi possa avere un seguito concreto e positivo, questa mozione, che costituisce un passo ulteriore verso la verità e un aiuto concreto, anche dal punto di vista legale, al percorso che, purtroppo, dopo questa decisione della Cassazione francese, le vittime e i parenti delle vittime saranno costretti a perseguire (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Chiedo al Governo se intende intervenire o si riserva di farlo successivamente. Lo farà, successivamente. Il seguito della discussione è pertanto rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Lazzarini ed altri n. 1-00099 e Di Lauro ed altri n. 1-00137 in materia di fibrosi cistica (ore 17,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Lazzarini ed altri n. 1-00099 e Di Lauro ed altri n. 1-00137 in materia di fibrosi cistica (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Girelli ed altri n. 1-00141 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione. Avverto, inoltre, che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Lazzarini ed altri n. 1-00099, che è stata sottoscritta, tra gli altri, anche dai deputati Vietri, Benigni e Cavo, i quali, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventano rispettivamente il secondo, terzo e il quarto firmatario (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Lazzarini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00099 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

ARIANNA LAZZARINI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, illustrerò, nel corso dell'intervento, la mozione all'esame dell'Aula in materia di fibrosi cistica, ripercorrendo le proposte che abbiamo presentato per migliorare la qualità della vita e le opportunità di inclusione sociale delle persone affette da questa grave patologia.

Prima dell'illustrazione, vorrei però inviare anch'io - e vogliamo inviare - un pensiero di vicinanza alle persone e alle migliaia di famiglie colpite dall'alluvione in Emilia Romagna; ci sono la Protezione civile, che sta lavorando, gli “angeli del fango”, i volontari, le Forze dell'ordine, la Croce rossa, le Forze armate. A tutte queste persone va il mio sentito ringraziamento, per il contributo fondamentale che stanno dando in una situazione così delicata e drammatica. L'auspicio è che le condizioni possano migliorare nelle prossime ore e che arrivino presto gli aiuti, anche grazie alle misure che il Governo sta valutando e metterà in campo, con la prontezza di intervento che lo contraddistingue.

Tornando alla mozione, ricordiamo innanzitutto cosa è la fibrosi cistica: è una malattia genetica multiorgano, cronica e degenerativa, che danneggia progressivamente gli apparati respiratorio e digerente. È caratterizzata dalla produzione di muco eccessivamente denso, che chiude i bronchi e determina infezioni respiratorie ripetute. Viene ostruito anche il pancreas, impedendo che gli enzimi pancreatici raggiungano l'intestino e, di conseguenza, che i cibi vengono digeriti e assimilati.

Si stima che, nel nostro Paese, un bambino su 2.500 nasca affetto da fibrosi cistica, con 200 nuovi casi l'anno e un numero totale di pazienti censiti nel registro italiano pari a 5.801. Nonostante la gravità e l'impatto della patologia, l'ultimo intervento in materia risale a circa trent'anni fa, quando fu approvata la legge 23 dicembre 1993, n. 548, che ha segnato una prima svolta per il trattamento della malattia; è grazie a questa legge, infatti, che è stata prevista l'istituzione, in ogni regione, di centri altamente specializzati e una prima copertura economica per l'attuazione delle misure di ricerca, prevenzione e cura. Ricordiamo anche il contributo fondamentale dato, nel processo di approvazione della legge, dalla Lega italiana fibrosi cistica, un'associazione di pazienti nata grazie alla forza di volontà di gruppi di genitori che, uniti, si sentivano più forti e meno soli. La mozione ricorda questo impegno e sottolinea anche il contributo garantito quotidianamente dall'associazione nell'attuazione degli interventi, con l'obiettivo di raggiungere ogni persona affetta da fibrosi cistica e favorire un miglioramento delle cure disponibili, delle opportunità sociali e dei diritti. Sono queste le linee direttrici che abbiamo seguito nella predisposizione della mozione e che vengono declinate in altrettanti impegni e azioni concrete.

Ripercorro, quindi, i punti principali, sui quali auspico - e sono convinta - vi possa essere un'ampia condivisione.

Il primo punto trattato è quello della ricerca, sostegno e promozione delle attività di ricerca. Al riguardo, chiediamo che i finanziamenti previsti per la fibrosi cistica vengano interamente recuperati e tornino ad essere erogati per quote - quote assistenza e quote di ricerca - come lo erano fino al 2012, ovviamente nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge.

L'importanza della ricerca è confermata anche dai progressi registrati in campo terapeutico negli ultimi anni, i quali hanno portato allo sviluppo di nuovi medicinali per la cura della fibrosi cistica, che hanno permesso di ottenere risultati sorprendenti nella progressione della malattia polmonare, con una riduzione dell'infezione e dei ricoveri.

La mozione si concentra anche sull'esigenza di definire requisiti validati omogenei per l'accreditamento dei centri. Sul punto proponiamo il riconoscimento a livello nazionale del manuale di accreditamento dei centri per la fibrosi cistica realizzato dalla Società italiana fibrosi cistica, dalla Lega italiana fibrosi cistica e dall'Associazione italiana per la qualità dell'assistenza sociosanitaria e sociale. Si chiede il giusto riconoscimento di tale manuale affinché possa diventare un riferimento nella cura e nell'approccio a questa grave patologia.

Altro punto centrale è la formazione; si propone di coinvolgere le associazioni nei percorsi formativi per il personale dei centri di riferimento regionali anche attraverso la facilitazione di scambi professionali tra i centri stessi. Inoltre, considerato che i pazienti adulti rappresentano circa il 61 per cento della popolazione con fibrosi cistica, con bisogni – ovviamente - assistenziali completamente diversi da quelli dell'età pediatrica, si chiede di promuovere la formazione di fibrocistologi per adulti, ad oggi pressoché inesistenti.

Vi sono poi ulteriori aspetti meritevoli di attenzione, che riguardano l'utilizzo della telemedicina, i farmaci innovativi ma, altresì, sul piano sociale, il riconoscimento delle agevolazioni previste dalla normativa vigente per il settore auto; per la maggior parte dei pazienti, i benefici legati all'acquisto dell'auto non vengono riconosciuti, ingiustamente, e dovremo intervenire per cambiare la situazione, considerando anche che, nella fibrosi cistica, la deambulazione può risultare sensibilmente ridotta e si riscontra l'impossibilità o, comunque, la disincentivazione all'uso dei mezzi pubblici, per l'alto rischio di contrarre infezioni respiratorie.

Tutte queste misure sono importanti per migliorare, come dicevo, le prospettive e la qualità della vita delle persone che convivono con la fibrosi cistica. Spero, quindi, che il testo in discussione registri la massima convergenza da parte di tutte le forze politiche e che si mettano al primo posto i bisogni e le esigenze di queste persone e delle loro famiglie.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Lauro, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00137. Ne ha facoltà.

CARMEN DI LAURO (M5S). Grazie, Presidente. La fibrosi cistica è la più diffusa delle malattie genetiche: è causata dal difetto di una proteina, chiamata CFTR, e si stima che, nel mondo, ne siano colpite circa 100.000 persone. Nel nostro Paese, la fibrosi cistica colpisce un neonato su 2.500-2.700 circa e si verificano circa 200 nuovi casi l'anno. Potrebbe essere considerata rara, sebbene nel nostro Paese non sia inserita nell'elenco delle malattie rare, bensì nell'elenco delle malattie croniche e invalidanti. Una persona che non ha la malattia, ma è portatrice sana del gene CFTR mutato, può avere un figlio con la fibrosi cistica, se anche il partner è portatore sano del gene mutato. In Italia, si stima che circa 1 individuo su 25 sia portatore del gene difettoso.

Questa malattia colpisce molti organi, soprattutto, l'apparato polmonare e l'apparato digerente e i sintomi tendono a comparire nella prima infanzia, sebbene, a volte, si manifestino subito dopo la nascita o fino all'età adulta. Possono, inoltre, essere sviluppate altre malattie e disturbi associati alla fibrosi cistica, come, ad esempio, il diabete o le malattie del fegato. La malattia non influisce sulle capacità intellettive e non si manifesta sull'aspetto fisico e, per questo, viene definita anche come una malattia invisibile. Ciò nonostante, spesso, il malato deve ricorrere al trapianto dei polmoni.

Le analisi per diagnosticare la fibrosi cistica possono essere effettuate a ogni età, tuttavia, grazie ai test di screening, la maggior parte dei casi è diagnosticata subito dopo la nascita. Dal 2016, lo screening per la fibrosi cistica fa parte del Programma nazionale di screening neonatale esteso, che non solo mira a diagnosticare la fibrosi cistica, ma anche un lungo elenco di rari disturbi metabolici ereditari. Per confermare la malattia sono, poi, effettuati altri test, come il test del sudore e il test genetico. Se l'anamnesi familiare lo richiede, può essere effettuato il test per determinare se sia il gene difettoso e se si sia portatrice o portatore sano e, quindi, se si sia a rischio di generare un figlio malato.

Ad oggi, non esistono terapie per la guarigione definitiva, tuttavia esistono terapie per contrastare l'evoluzione e per alleviare e prevenire le complicazioni conseguenti alla malattia e per migliorare la qualità della vita delle persone che ne sono colpite. La fibrosi cistica è una malattia progressiva, che tende a peggiorare con il tempo e, tuttavia, la prognosi è migliorata notevolmente negli ultimi anni, grazie ai progressi nella terapia, soprattutto, se diagnosticata in fase precoce. Attualmente, circa la metà delle persone malate vive oltre i 40 anni. Originariamente, era considerata una malattia pediatrica, poiché fatale per i bambini, che morivano per malnutrizione; successivamente, grazie ai registri di fibrosi cistica, è stato possibile comprendere i fattori associati a esito infausto e sono state individuate terapie personalizzate e adattate ai casi specifici. Già dal 1989 è stato istituito il Registro italiano fibrosi cistica, con lo scopo di raccogliere dati sulla diffusione della malattia e consentire uno studio più approfondito.

Questa malattia implica la necessità della presa in carico globale del paziente presso centri di riferimento di alta specializzazione, che siano in grado di seguirlo dalla diagnosi e per tutta la vita, fino all'età adulta, con cure personalizzate, tenendo conto di tutti i numerosi aspetti della patologia e delle conseguenze di questa sulla vita del paziente, che deve, comunque, sottoporsi quotidianamente a un programma terapeutico molto impegnativo.

Studi scientifici hanno sottolineato che i soggetti affetti da fibrosi cistica e i loro familiari hanno un elevato rischio di sviluppare sintomi ansiosi e depressivi, con una probabilità di due o tre volte maggiore rispetto alla popolazione generale. È stato dimostrato che i sintomi di sofferenza psichica possono associarsi a una riduzione del funzionamento polmonare, a diminuzione della massa corporea, a un minor rispetto delle prescrizioni mediche concordate, a un peggioramento della qualità della vita e a un aumento del numero di ospedalizzazioni. I sintomi depressivi riducono, dunque, l'aderenza e l'efficacia del percorso di cura ed è pertanto fondamentale fornire il necessario supporto psicologico. È, quindi, necessario promuovere la cura del paziente con fibrosi cistica nella globalità, includendo anche la salute psicologica della persona e del suo nucleo familiare.

La legge n. 548 del 1993 segna una tappa fondamentale nel progresso del nostro Paese nel trattamento della fibrosi cistica, dettando disposizioni specifiche per la prevenzione e cura. Infatti, in base a questa legge, le regioni sono tenute a predisporre progetti obiettivo, azioni programmate ed altre iniziative dirette a fronteggiare la fibrosi cistica, da considerarsi malattia, quindi, di alto interesse sociale.

Più in particolare, gli interventi delle regioni devono essere rivolti: alla prevenzione primaria e alla diagnosi precoce e prenatale; alla cura e alla riabilitazione dei malati, anche con la fornitura a domicilio delle apparecchiature, degli ausili e dei presidi sanitari necessari per il trattamento complessivo; ad agevolare l'inserimento sociale, scolastico, lavorativo e sportivo dei malati di fibrosi cistica; a favorire l'educazione e l'informazione sanitaria del cittadino malato e dei suoi familiari, nonché della popolazione; a provvedere alla preparazione e all'aggiornamento professionale del personale sociosanitario addetto; a promuovere programmi di ricerca atti a migliorare le conoscenze cliniche e di base della malattia.

La legge n. 548 ha consentito anche l'istituzione di centri regionali specializzati di riferimento, con funzioni di prevenzione, di diagnosi, di cura e di riabilitazione dei malati, di orientamento e coordinamento delle attività sanitarie, sociali formative e informative e, dove ne esistano le condizioni adeguate, di ricerca sulla fibrosi cistica.

Le regioni sono, inoltre, tenute ad assicurare ai predetti centri strutture, personale e attrezzature adeguate, a predisporre specifici stanziamenti per promuovere e sostenere le attività di ricerca, ad assicurare l'eventuale trapianto di organi senza alcun onere per il paziente e per la sua famiglia, indipendentemente dal reddito.

La cura e l'assistenza delle persone con fibrosi cistica sono coordinate dai predetti centri, che provvedono alla cura e alla riabilitazione, sia in regime ospedaliero, sia in regime ambulatoriale e di day hospital, sia a domicilio. Le regioni sono tenute anche a promuovere iniziative di educazione sanitaria rivolte alla popolazione.

Per tutti questi numerosi impegni in capo alle regioni sono state stanziate e vincolate specifiche risorse fin dalla legge citata, con indicazione di riparto tra le regioni sulla base della consistenza numerica dei pazienti assistiti nelle singole regioni, della popolazione residente, nonché delle documentate funzioni dei centri ivi istituiti, tenuto conto delle attività specifiche di prevenzione e, dove attuata e attuabile, dell'attività di ricerca.

Successivamente, con la legge n. 362 del 1999 sono state finalizzate risorse pari a circa 4 milioni di euro, a decorrere dal 1999 ma, dal 2012, tali risorse non sono state più vincolate e sono confluite nella parte indistinta del Fondo sanitario nazionale.

Non vi è dubbio che il progresso della malattia sia da collegarsi alla lungimiranza del legislatore che, ben 30 anni fa, aveva pensato di istituire dei centri regionali di riferimento ma, soprattutto, aveva pensato di vincolare e finalizzare un finanziamento specifico per il rafforzamento delle attività di prevenzione, cura e ricerca. Se fino al 2012 il finanziamento era soddisfattivo anche delle esigenze fondamentali della ricerca, successivamente, a causa del complessivo e progressivo definanziamento che ha colpito il Servizio sanitario nazionale e che oggi si ripete in tutta la sua drammaticità, le risorse per la fibrosi cistica si sono assottigliate proprio per effetto del riversamento delle stesse nella parte indistinta del Fondo sanitario nazionale, che consente alle regioni di tirare da una parte all'altra una coperta evidentemente troppo corta e insufficiente a coprire tutte le necessità di salute delle persone, incluse quelle affette da questa malattia.

Eppure, oggi c'è un gran bisogno di studiare e di cercare terapie innovative per correggere il difetto genetico; terapie personalizzate, terapie che, in relazione alle infezioni polmonari, sappiano contrastare l'emergenza dell'antimicrobico-resistenza.

Occorre garantire a tutti i malati i farmaci necessari e innovativi per la cura della fibrosi cistica, alle persone di qualsiasi età e per le diverse mutazioni presenti. Si tratta generalmente di farmaci con un costo enorme e per questo ne viene limitato l'accesso ad un numero circoscritto di pazienti.

Infine, bisogna sottolineare che le regioni hanno dato attuazione alla predetta legge in maniera differenziata e, purtroppo, non tutte le regioni hanno assicurato i presidi di prevenzione e cura necessari e dedicati. Il risultato è la differenziazione di accesso alle cure e la disomogeneità nei LEA associati.

Per tali ragioni, abbiamo chiesto che il Governo si impegni su più punti; che si impegni ad incrementare e a vincolare, nell'ambito del Fondo sanitario nazionale, le risorse per assicurare strutture, personale e attrezzature adeguate per l'assistenza e la cura dei pazienti con fibrosi cistica; ad implementare l'assistenza domiciliare anche farmacologica, quale modello assistenziale strategico per migliorare la qualità della vita dei pazienti con fibrosi cistica, assicurando che nell'équipe multidisciplinare siano incluse tutte le figure professionali necessarie, quali il medico specialista oppure il pediatra o il medico di medicina generale, il nutrizionista, il fisioterapista, l'infermiere professionale, l'assistente sociale e lo psicologo; ad agevolare un modello assistenziale personalizzato, che consenta di assecondare le scelte dei pazienti e della famiglia e che riduca ogni forma di ospedalizzazione, così riducendo il rischio di diffusione intraospedaliera di infezioni multi-resistenti tra i pazienti; ad attivare ogni azione utile per potenziare le capacità e le possibilità lavorative, scolastiche, sportive e sociali delle persone affette da questa malattia e dei loro familiari; ad incrementare le risorse necessarie a sostenere la ricerca per la fibrosi cistica, istituendo un fondo specifico presso il Ministero della Salute; ad adottare iniziative che assicurino a tutti i malati i farmaci innovativi, già approvati dalle agenzie europee, e necessari per la cura della fibrosi cistica, rimuovendo la selettività di accesso ai farmaci medesimi che sia determinata da ragioni economiche e di costo del farmaco; ad effettuare, nel corrente anno, un monitoraggio sull'attuazione della legge 23 dicembre 1993, n. 548, da parte delle singole regioni e province autonome, al fine di valutare un percorso di aggiornamento e potenziamento delle disposizioni già previste dalla predetta legge e al fine di superare le sperequazioni esistenti a livello regionale sui servizi offerti; a rafforzare l'assistenza e la cura delle persone con fibrosi cistica, ad uniformare le prestazioni sanitarie e sociosanitarie nel territorio nazionale attraverso l'adozione di linee guida recanti i requisiti di appropriatezza dei centri e delle strutture dedicate, nonché gli obiettivi generali e specifici, gli interventi e i risultati attesi; a definire un sistema di accreditamento dei centri regionali specializzati di riferimento, al fine di rafforzare la funzione di prevenzione, di diagnosi, di cura e riabilitazione dei malati, di orientamento e coordinamento delle attività sanitarie, sociali, formative e informative e di ricerca sulla fibrosi cistica; ad assicurare ad ogni persona affetta da questa malattia e al suo nucleo familiare l'assistenza psicologica necessaria ad affrontare e a convivere con la malattia, prevedendo tale assistenza quale requisito necessario e fondamentale per l'accreditamento dei centri regionali di riferimento; infine, a rafforzare la collaborazione con le associazioni di volontariato e di familiari, al fine di rispondere alle diversificate esigenze di cura e assistenza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Girelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00141. Ne ha facoltà.

GIAN ANTONIO GIRELLI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Innanzitutto desidero, tramite lei, ringraziare la collega Lazzarini, che ci ha dato l'opportunità e l'occasione di trattare un tema tanto delicato ed importante, seppure attraverso lo strumento di una mozione, che però credo, visto l'interesse e anche la stesura di mozioni correlate, sia considerata una priorità per l'Aula parlamentare; e mi auguro, quindi, che ciò valga anche per la sua attuazione da parte del Governo.

Ritengo di non dover, a mia volta, fare una ricostruzione della tipologia della malattia. Lo hanno già fatto bene le colleghe che mi hanno preceduto e credo che non ci si possa che riconoscere in tutto quanto hanno detto. Così pure non nascondo che una buona parte delle mozioni finiscono con il ribadire una descrizione del medesimo quadro e delle medesime situazioni, indicando più o meno le stesse necessità da attuare.

Io non so - perché confesso che devo ancora imparare bene alcune procedure – se, nel momento in cui si va all'approvazione, addirittura non si possa giungere a un testo unificato, che tenga assieme tutto quanto emerso, arricchendolo.

Sarebbe un obiettivo che potremmo darci con grandissima tranquillità, proprio per l'importanza e la volontà comune di dare una risposta a tante persone e a tante famiglie, uscendo da quell'equivoco, tra malattie rare o malattie invalidanti, per cui, magari, perdiamo tempo nella loro descrizione e poi ci dimentichiamo di fare qualcosa nei confronti delle persone che convivono quotidianamente con queste malattie.

Mi limito a richiamare solo alcuni punti che abbiamo voluto evidenziare nella mozione da noi presentata, partendo dall'importanza dell'investimento nella ricerca, che è indubbiamente il settore prioritario, se si vuole davvero fare un lavoro di prospettiva che possa dare risposte qualitativamente diverse in futuro, puntando sulle sperimentazioni di farmaci, ma anche su strategie di ricerca, favorendo, soprattutto, rapporti sempre più internazionali rispetto ad uno scambio anche di buone pratiche o di esperienze consolidate.

Abbiamo voluto ravvisare anche la necessità di avere sul territorio nazionale una certa uniformità di servizio e di risposta ai cittadini, proprio per impedire il più possibile il manifestarsi di situazioni per cui ci sia un determinato tipo di risposta a seconda del territorio in cui si vive. Da questo punto di vista, richiamiamo l'importanza sia della formazione, sia dello scambio di esperienze e di buone pratiche. La formazione non è fatta per compartimenti stagni, ma per relazioni continue.

Altro aspetto da non sottovalutare è l'utilizzo della telemedicina anche in questo campo che, soprattutto per il monitoraggio dei pazienti, può diventare uno strumento di particolare utilità, che spesso e volentieri può anche ovviare alla mancanza di una capillarità di centri sul territorio. Le distanze, infatti, attraverso le opportunità che la scienza ci mette in condizioni di utilizzare, a volte possono essere ridotte.

Poi vi è il tema della fiscalità: è già stato affrontato anche in altre mozioni, soprattutto riguardo all'utilizzo e all'acquisto dell'automobile che credo sia un fatto da tenere nella massima considerazione, unitamente alla valutazione della possibilità, dell'autonomia o della capacità di guida delle persone affette da questa patologia. Vi è la necessità di chiarire il quadro e renderlo più direttamente gestibile e anche comprensibile, oserei dire, ai malati stessi.

Infine, abbiamo voluto richiamare due aspetti, correlati a una considerazione, anche questa già espressa: grazie alla ricerca e alle nuove tipologie di cura, e, mi auguro, come è stato detto, in futuro, anche a diagnosi sempre più precoci, per fortuna l'età media di queste persone si è allungata di molto. L'auspicio, direi la speranza, davvero forte, è che ciò avvenga sempre di più in futuro.

Questo implica un quid di impegno ulteriore nell'integrazione delle persone con riferimento a due aspetti: all'integrazione nel percorso scolastico, per quanto riguarda i bambini e i ragazzi, che deve mettere in condizione di vivere il più possibile nella normalità la loro partecipazione alla vita scolastica, e, successivamente, all'inserimento in alcuni percorsi lavorativi. E ciò, anche con riferimento alla vita ricreativa e sociale che tutti chiaramente hanno. Chi già deve convivere con difficoltà a maggior ragione non può trovare in questi contesti ulteriori ostacoli o impedimenti ad un inserimento il più possibile equo, armonico e praticabile.

Presidente, mi fermo qui perché diventerebbe ridondante ripetere quello che hanno già detto le colleghe in maniera anche molto precisa, con l'auspicio, che prima le dicevo, di poter davvero lavorare per arrivare poi, in Aula, ad un testo condiviso da tutti.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Chiedo al Governo se intenda intervenire o se si riservi di farlo successivamente. Si riserva.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Cappelletti. Ne ha facoltà, per 2 minuti.

ENRICO CAPPELLETTI (M5S). Grazie, Presidente. Io mi rivolgo al Presidente della Camera, per cui la ringrazio anche della sua attenzione. Nel corso della seduta del 24 gennaio 2023 è stato accolto un ordine del giorno particolarmente importante, accolto dal Governo e poi votato all'unanimità da questa Camera. Il motivo per cui era particolarmente importante è presto detto: riguardava, naturalmente, la guerra in Ucraina e le possibilità della sua evoluzione. Impegnava il Governo, con un dispositivo preciso: “ad adoperarsi (…) per la convocazione di una conferenza sulla sicurezza in Europa, al fine di ristabilire (…) un quadro di pace, sicurezza e cooperazione, nonché avviare un percorso per una conferenza multilaterale sulla pace; a perseguire (…) la ricerca di accordi per la de-escalation militare (…); ricercare in ogni sede opportuna, una soluzione negoziale del conflitto…”.

Presidente, ora è sotto gli occhi di tutti che, a distanza di quattro mesi, non solo non si è fatto nulla per dare seguito a questo indirizzo preciso della Camera dei deputati, peraltro espresso all'unanimità dalle sue forze politiche, ma, al contrario, assistiamo, anche in queste ore, a una pericolosa escalation militare, cioè stiamo andando esattamente nella direzione opposta. Considerato che questa richiesta di pace è stata, peraltro, condivisa dal Governo, non solo è stato disatteso un impegno importantissimo, ma anche un atto di indirizzo politico di questa Camera.

Mi auguro che il Presidente della Camera possa assumere urgenti iniziative per rappresentare al Governo questa grave violazione di una propria prerogativa, ossia quella di approvare atti di indirizzo molto precisi, esigendo il rispetto di questa Camera e, soprattutto, dei suoi atti di indirizzo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Prendo atto di quanto dichiarato e, ovviamente, rivolgerò la sua richiesta alla Presidenza.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Lauro. Ne ha facoltà per due minuti.

CARMEN DI LAURO (M5S). Grazie, Presidente. Io quest'oggi vorrei portare all'attenzione della Presidenza e di quest'Aula un fatto molto triste che sta avvenendo a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, che è la mia città. Cosa sta succedendo? Sta succedendo che circa 38 persone affette da disabilità, per la maggior parte giovani, rischiano di non poter essere più seguite e assistite dal centro diurno, di cui fino a poco tempo fa hanno potuto usufruire e dove erano state accolte (un centro diurno convenzionato). Infatti, le famiglie hanno ricevuto, da un giorno all'altro, un avviso in cui si spiegava che ci sarebbe stata una riconversione dei posti letto. Quindi, per quei pochi che potranno essere assistiti, si parlerà di un regime residenziale, dunque di stare lontano dalle proprie famiglie praticamente 24 ore su 24.

Questa notizia, ovviamente, ha gettato in allarme e ha messo nel panico le famiglie di questi pazienti che - ripeto - all'improvviso si vedranno privati di un servizio che per loro è essenziale.

Quindi, mi associo all'appello delle famiglie e all'appello del commissario prefettizio, affinché, tramite l'intervento dell'ASL, si cerchi al più presto una soluzione, anche perché queste famiglie a oggi non hanno alternative, perché altri centri che offrono servizi simili in zona non ce ne sono.

Quindi, voglio ricordare ora, in questa sede, che la sanità territoriale, che ricordiamo, ancora una volta, è di competenza regionale, ha il dovere di garantire un numero congruo di posti letto per le necessità diverse dei pazienti, ma, anche e soprattutto, un'adeguata distribuzione sul territorio. Continuerò sicuramente a seguire questa vicenda e mi auguro che venga trovata una soluzione al più presto. Continuerò, appunto, ad attenzionarla ed esprimo la mia più totale vicinanza anche alle famiglie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 23 maggio 2023 - Ore 11:

1. Svolgimento di una interrogazione .

(ore 14)

2. Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51, recante disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale (C. 1151​)

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

MADIA ed altri: Delega al Governo in materia di esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza, in caso di impedimenti per motivi di studio, lavoro o cura. (C. 115-A​)

e delle abbinate proposte di legge: MAGI e DELLA VEDOVA; GRIPPO e PASTORELLA; ZANELLA ed altri; PAVANELLI. (C. 88​-424​-769​-907​)

Relatore: IEZZI.

4. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità e della questione pregiudiziale di merito presentate):

MOLINARI ed altri; BIGNAMI ed altri; FARAONE ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell'emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus SARS-CoV-2 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2. (C. 384​-446​-459-A​)

Relatrice: BUONGUERRIERI.

5. Seguito della discussione della proposta di legge:

MULÈ e CAVANDOLI: Disposizioni concernenti la definizione di un programma diagnostico per l'individuazione del diabete di tipo 1 e della celiachia nella popolazione pediatrica. (C. 622-A​)

Relatrice: PATRIARCA.

6. Seguito della discussione della mozione Foti ed altri n. 1-00102 concernente iniziative di competenza in relazione alla mancata estradizione di alcuni terroristi dalla Francia .

7. Seguito della discussione delle mozioni Lazzarini, Vietri, Benigni, Cavo ed altri n. 1-00099, Di Lauro ed altri n. 1-00137 e Girelli ed altri n. 1-00141 in materia di fibrosi cistica .

La seduta termina alle 17,50.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: IGOR IEZZI (A.C. 115-A​ E ABB.)

IGOR IEZZI, Relatore. (Relazione – A.C. 115-A​ e abb.). Onorevoli colleghi!

La proposta di legge di cui oggi l'Assemblea avvia l'esame, iscritta nel calendario in quota opposizione, reca delega al Governo in materia di esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza, in caso di impedimenti per motivi di studio, lavoro o cura.

Con riguardo all'iter del provvedimento faccio presente che la Commissione Affari costituzionali ha avviato il 23 febbraio scorso l'esame delle abbinate proposte di legge Magi C. 88​, Madia C. 115​, Grippo C. 424​ e Zanella C. 769​ recanti disposizioni per l'esercizio del diritto di voto da parte di elettori che abbiano stabilito temporaneamente il loro domicilio in un luogo diverso da quello di residenza, cui è stata successivamente abbinata la proposta di legge Pavanelli C. 907​. Nel corso della fase istruttoria, la Commissione Affari costituzionali ha svolto un ampio ciclo di audizioni informali che ha coinvolto, oltre a professori universitari di diritto pubblico, rappresentanti della Provincia di Bolzano e dei sindacati del personale della Polizia di Stato ed esponenti di associazioni e comitati impegnati sul tema del voto fuori sede, anche il Capo del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno.

La Commissione ha quindi deliberato di adottare quale testo base per il prosieguo dell'esame il testo della proposta di legge C. 115​ della collega Madia, successivamente modificata nel corso dell'esame in sede referente.

Il testo risultante dalle proposte emendative approvate dalla Commissione, che consta di un unico articolo, reca una delega al Governo con un duplice oggetto:

- la disciplina dell'esercizio del diritto di voto degli elettori fuori dal comune di residenza;

- la rimodulazione delle tariffe agevolate per i servizi di trasporto in favore degli elettori che si recano a votare nel comune di residenza.

In particolare, l'articolo 1, comma 1, delega il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, uno o più decreti legislativi al fine di consentire, nel rispetto dell'articolo 48 della Costituzione, l'esercizio del diritto di voto a tutti i cittadini, garantendo la piena partecipazione degli elettori al processo democratico.

Nell'esercizio della delega il Governo, in primo luogo, (lettera a) del comma 1), è chiamato a disciplinare le modalità atte a garantire l'esercizio del diritto di voto degli elettori che si trovano in un comune diverso da quello di residenza in occasione dello svolgimento di consultazioni elettorali o referendarie. L'esercizio del diritto di voto fuori del comune di residenza è circoscritto agli elettori che si trovano fuori dal comune di residenza per motivi di studio, lavoro o cura. In secondo luogo (lettera b) del comma 1), la delega è diretta a rimodulare le tariffe agevolate che gli enti e le società che gestiscono i servizi di trasporto applicano agli elettori, residenti in Italia e all'estero, che si recano a votare nei comuni di iscrizione elettorale.

Al comma 1 vengono poi indicati alcuni princìpi direttivi da seguire nell'esercizio della delega da parte del Governo: si prevede quindi il rispetto dei princìpi di uguaglianza, personalità, libertà, segretezza e sicurezza del voto. Si tratta di principi sovrapponibili a quanto già stabilito dall'articolo 48 della Costituzione, richiamato dal testo. La norma costituzionale prevede infatti, al secondo domma, che il voto è personale ed eguale, libero e segreto e che il suo esercizio è dovere civico. Dunque, il principio della sicurezza del voto è l'unico ulteriore rispetto a quanto già previsto dalla Costituzione per l'esercizio del diritto di elettorato attivo.

Il comma 2 dell'articolo 1 definisce la procedura di esercizio della delega legislativa prevedendo che gli schemi dei decreti legislativi sono adottati su proposta del Ministro dell'interno, dopo aver acquisito il parere della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato, che sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione degli schemi di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere. Successivamente, gli schemi di decreto legislativo, corredati della relazione tecnica, sono trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari: le Commissioni hanno sessanta giorni di tempo dalla data di trasmissione per rendere i pareri, decorso i quali i decreti legislativi possono essere comunque adottati. Nel caso in cui il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le osservazioni e le eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione: le Commissioni competenti per materia esprimono nuovamente un parere entro i dieci giorni successivi alla data della nuova trasmissione e, decorso tale termine, i decreti possono comunque essere adottati. Inoltre, se i decreti determinano nuovi o maggiori oneri che non trovano compensazione nell'ambito dei medesimi, la loro emanazione è subordinata alla entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse, come stabilito in via generale dalla legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196).

Il comma 3, come spesso previsto dalle leggi di delega, introduce la possibilità che il Governo adotti uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e della procedura stabilita dall'articolo 1 del provvedimento in esame.