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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 84 di martedì 11 aprile 2023

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIO MULE'

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO GIACHETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 5 aprile 2023.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 59, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della proposta di legge: Meloni e Morrone: Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C. 338-B​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dalla Camera e modificata dal Senato, n. 338-B: Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 4 aprile 2023 (Vedi l'allegato A della seduta del 4 aprile 2023).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 338-B​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice Ingrid Bisa.

INGRID BISA , Relatrice. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e membri del Governo, la presente relazione è anche a nome della correlatrice, la collega onorevole Varchi.

L'Assemblea riprende oggi la trattazione del progetto di legge recante disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, nel testo già licenziato dalla Camera e modificato dal Senato. In questa sede, rinviando al dibattito svolto in prima lettura e all'analisi del contenuto della proposta, ci si limita ad illustrare l'unica modifica apportata dal Senato, sulla quale deve concentrarsi l'attuale esame parlamentare, in ossequio al principio dell'intangibilità del testo, oggetto di doppia approvazione conforme, che regola la navette parlamentari.

La modifica apportata dal Senato riguarda il testo dell'articolo 7 ed è motivata esclusivamente dall'esigenza di aggiornare un riferimento normativo. In particolare, la norma licenziata dalla Camera richiamava l'articolo 702-bis del codice di procedura civile, in quanto ancora vigente alla data di approvazione presso questo ramo del Parlamento, avvenuta il 25 gennaio 2023. La sua abrogazione, ad opera del decreto legislativo n. 149 del 2022, la cosiddetta riforma Cartabia, che ha sostituito il rito sommario con il rito semplificato, ha avuto invece effetto a partire dal 28 febbraio 2023. Poiché a quella data il provvedimento era ancora in corso di esame presso il Senato, prima della sua approvazione definitiva si è reso necessario aggiornare il richiamo alla disposizione del codice di procedura civile adesso vigente e dunque svolgere un'ulteriore lettura della Camera prima della sua definitiva approvazione. Il riferimento corretto è adesso all'articolo 281-undecies del codice di procedura civile. Non si è in ogni caso apportata alcuna modifica sostanziale rispetto al testo licenziato in questa sede nel mese di gennaio; resta, infatti, ferma la disposizione secondo cui il parere dato dall'ordine o dal collegio acquista efficacia di titolo esecutivo per il professionista, se rilasciato nel rispetto delle procedure e se il debitore non ha proposto opposizione, ai sensi dell'articolo 281-undecies del codice di procedura civile, entro 40 giorni dalla notificazione del parere stesso. Si rammenta peraltro che il testo in esame riproduce fedelmente il testo approvato dalla Camera il 13 ottobre 2021 e dalla competente Commissione parlamentare del Senato nel luglio del 2022 che, a seguito dell'improvvisa fine della legislatura, non era potuto giungere all'approvazione finale. Anche nella votazione finale della Camera del 25 gennaio 2023 si è registrata l'unanimità dei consensi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che rinuncia. È iscritta a parlare la deputata Marta Schifone. Ne ha facoltà.

MARTA SCHIFONE (FDI). Grazie Presidente, sottosegretario e colleghi. Oggi la Camera discute in terza lettura la proposta di legge a prima firma Giorgia Meloni in materia di equo compenso per le prestazioni professionali. L'A.C. 338 ripropone il testo della proposta di legge che origina dalla scorsa legislatura, poi, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, l'iter si era interrotto. La proposta di legge che discutiamo oggi alla Camera è stata tra le prime presentate dal nostro gruppo parlamentare in questa legislatura: lo avevamo promesso dai banchi dell'opposizione, lo avevamo scritto nel programma del centrodestra, segnatamente di Fratelli d'Italia, lo avevamo raccontato in campagna elettorale e oggi siamo qui per chiudere questo percorso, confermando la nostra attitudine alla coerenza. È un testo composto da tredici articoli, che interviene sulla disciplina in materia di equo compenso delle prestazioni professionali rese nei confronti di particolari categorie, con la finalità di rafforzare dunque la tutela del professionista.

Questa per noi è una legge di civiltà, un atto di giustizia e un atto di dignità ed è la battaglia di tutti i liberi professionisti contro chi invece vuole calpestare un diritto costituzionalmente sancito, garantito dall'articolo 36 della Costituzione, contro chi vuole mantenere uno status quo, contro chi vuole mantenere rendite di posizione e regolamentare in modo inappropriato l'attività economica dei professionisti. Lo scopo della disciplina è quello della tutela a tutto tondo dei professionisti e dell'applicazione di un diritto essenziale, quello a ricevere un compenso equo nei rapporti contrattuali. Si cerca di far passare un unico principio, quello della giusta remunerazione, della remunerazione dignitosa della prestazione, della remunerazione adeguata e congrua. Con questo provvedimento diciamo: “Mai più professionisti sottopagati”. Troppo spesso infatti abbiamo assistito inermi a contrattazioni al ribasso; troppo spesso in questi anni si sono verificate situazioni paradossali in cui i professionisti, pur di lavorare, accettavano dei lavori con compensi davvero minimi, quasi simbolici, molto spesso purtroppo a titolo gratuito. Come abbiamo detto, nel rapporto con le grandi società di capitali, ma anche con le banche, con le assicurazioni e con la pubblica amministrazione si è scatenata una squallida guerra al ribasso. Come possiamo dimenticare, tra i vari casi, quello del professionista di Catanzaro che si vede proposto un compenso di un euro per la redazione del piano del regolamento urbanistico del comune di Catanzaro. E con lui, purtroppo, c'è una lunga, lunghissima lista; con questo provvedimento si metterà la parola “fine” alla pubblicazione di bandi della pubblica amministrazione nei quali si chiede più volte la prestazione a titolo gratuito. Abbiamo piantato - e pianteremo - un paletto legislativo, che può essere naturalmente esteso, che può essere ampliato - tutto è perfettibile -, ma era indifferibile un paletto legislativo nel campo del mondo produttivo pubblico e privato per regolamentare i rapporti con gli operatori economici, convinti - come siamo da tempo - che la concorrenza, quando è sregolata e sleale nel lavoro, specie in quello intellettuale, non può che evolvere in una inevitabile mancata qualità della prestazione. E la proposta, infatti, prevede la conformità del compenso ai parametri definiti dai decreti ministeriali, specie nei confronti dei committenti forti.

Applichiamo così la forte tutela contrattuale del professionista, che è il contraente debole, laddove troppo spesso hanno prevalso logiche di mercatismo spinto che hanno rasentato la slealtà e che hanno indugiato in un meccanismo economico-finanziario che ci fa orrore. E allora con questo provvedimento il cannibalismo del mercato del lavoro da parte dei contraenti forti non esisterà più.

Questa proposta di legge, che reca la prima firma di Giorgia Meloni, ha una portata simbolica ed è un sigillo per raccontare cosa rappresentano per noi i professionisti: un modello, al quale la destra italiana da sempre si ispira e a cui da sempre aspira, che porta avanti i valori fondanti, come la meritocrazia, lo studio, la deontologia, l'etica, le competenze. Ogni giorno, i professionisti italiani difendono gli italiani chiamandoli pazienti, chiamandoli clienti, chiamandoli assistiti e mai consumatori, perché questa parte non è mai risultata asservibile, da un lato, alle logiche del mainstream, al mercato selvaggio senza regole, alla globalizzazione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), e dall'altro, alle logiche di bieco e becero assistenzialismo, ma ha sempre puntato ai valori fondanti della destra italiana che sono il merito e la competenza.

Sappiamo che i professionisti, più generalmente gli autonomi, sono stati quelli principalmente colpiti da questa crisi sociale, conseguita al COVID. Abbiamo ancora un conflitto nel cuore dell'Europa, che naturalmente ci ha portato alla crisi energetica e al caro delle materie prime. E sappiamo che ci sono numerosi divari che ancora persistono e che forse si acuiscono: penso al gap generazionale, al gap territoriale al gap gender. Però chi conosce bene questi mondi sa che la crisi dei professionisti viene da lontano: è stata acuita sicuramente da queste contingenze, ma è figlia di una politica miope, delle lenzuolate di Bersani, dell'abolizione delle tariffe professionali, dei provvedimenti del Governo Monti, di un approccio ideologico che puntava alla disintermediazione dei corpi intermedi. Una politica ideologizzata, una politica polarizzata, una politica tesa ad emarginare e, in alcuni casi, criminalizzare i professionisti: un intero comparto considerato come un privilegiato, come un elusore, come un evasore, come un nemico da abbattere e mai come una risorsa da valorizzare.

Dimentichiamo troppo spesso questo per qualità, ma anche, consentitemi, per quantità, perché, voglio ricordarlo, questo segmento del mercato del lavoro conta, per gli ordinisti, 1.430.000 iscritti agli ordini professionali. Nel provvedimento sono stati inseriti, naturalmente, anche i professionisti non ordinisti, le cosiddette professioni non regolamentate, quelle che fanno riferimento alla legge n. 4 del 2013, anche quello un comparto che conta più o meno 440.000 professionisti. E quindi, come dicevo, l'aggregato dei liberi professionisti costituisce il 6,3 per cento degli occupati, il 27 per cento del lavoro autonomo, ogni 1.000 lavoratori ci sono 52 liberi professionisti. E ricordo che i professionisti italiani sono il maggior numero di professionisti in Europa. E quindi, anche per convincimento, non si può prescindere dai professionisti. Non lo possono fare gli italiani, non lo può fare la politica e, soprattutto, non lo deve fare il legislatore.

Tutto questo per raccontarvi che non è casuale il nostro interesse, così come non è casuale questo provvedimento che viene da un lungo lavoro di interlocuzione con questi mondi, con il partito, Giorgia Meloni, la classe dirigente, il gruppo parlamentare: abbiamo tutti portato avanti da molto tempo un lavoro fatto di ascolto, di eventi, di audizioni, di elaborazione e di sintesi.

È il caso di ricordare oggi che questo gruppo parlamentare ha guidato dall'opposizione, nella scorsa legislatura, un'operazione per un patto per questo pezzo di mondo produttivo e oggi siamo qui a celebrare una vittoria per i professionisti italiani, perché riscrive un pezzo di storia, perché restituisce un pezzo di storia, perché restituisce un pezzo di dignità. E quindi: grazie al nostro Presidente, che ci ha sempre creduto e che ha voluto apporre la prima firma su questa proposta. Grazie a Francesco Lollobrigida, oggi Ministro della Repubblica, ma nella scorsa legislatura presidente dei deputati del gruppo, promotore e regista di questo provvedimento. Grazie a Carolina Varchi, relatrice, e a tutto il gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia, oggi guidato da Tommaso Foti. E, naturalmente, grazie ai colleghi della maggioranza che hanno lavorato su questo testo, che lo hanno condiviso e sostenuto, così come credo sarà rinnovato il consenso da parte dell'opposizione.

Insomma, l'equo compenso che andiamo ad approvare è una vittoria di tutti, come dicevo. È una vittoria nostra, di Giorgia Meloni, di Fratelli d'Italia, della maggioranza di centrodestra. È una vittoria dei professionisti, ma mi sento di dire che è anche una vittoria degli italiani, perché non dobbiamo mai dimenticare che la tutela del comparto libero-professionale è di interesse pubblico. I professionisti italiani sono i veri difensori dei cittadini italiani, perché difendono il loro diritto alla salute, perché li difendono nelle aule dei tribunali, perché difendono l'ambiente, il territorio, il risparmio, l'economia, l'opinione. E quindi dobbiamo sempre tenere presente un'equazione molto importante: un professionista più sostenuto, un professionista più tutelato, un professionista più aiutato ci darà sempre un cittadino italiano maggiormente garantito (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Roberto Morassut Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghi, la proposta di legge che oggi ci apprestiamo a discutere rischia di rimanere una grande occasione mancata per i professionisti italiani. La proposta, infatti, affronta il tema importantissimo dell'equo compenso: una misura di giustizia e di equità per centinaia di migliaia di professionisti. I professionisti possiedono competenze, frutto di anni di studio e di formazione, attraverso le quali svolgono ruoli indispensabili per il progresso e la tenuta del nostro Paese.

Ai professionisti sono affidate funzioni delicate e importanti, nella sanità, nella giustizia, nell'economia, nella salvaguardia dell'ambiente e del territorio, nella cultura, funzioni socialmente rilevanti nella vita dei cittadini, per lo sviluppo delle imprese e per il progresso del nostro Paese. A questi ruoli, tuttavia, molto spesso, anzi troppo spesso, non corrisponde una remunerazione adeguata. Spesso il lavoro dei professionisti è sottopagato, a volte addirittura c'è la pretesa che tale lavoro non debba essere retribuito. E purtroppo, molto spesso, è proprio la pubblica amministrazione - Ministeri, regioni, comuni - ad emanare avvisi e bandi con richiesta di prestazioni a titolo gratuito. Così migliaia di professionisti, soprattutto giovani, hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese, perché sottopagati, soggetti alla concorrenza sleale delle grandi strutture, alla piaga della falsa partita IVA e al potere contrattuale dei grandi committenti che oggi determinano al ribasso il valore delle prestazioni professionali.

Per affrontare questo e altri problemi del mondo del lavoro professionale, nelle ultime legislature si era perseguita la strada dell'universalismo dei diritti del lavoro e della fine delle categorie che lo frammentano e lo dividono in mille pezzi, compromettendone le tutele.

Con la legge n. 81 del 2017 sono state ricucite fratture tra mondi del lavoro, dipendente e autonomo, allargando a quest'ultimo tutele importanti in materia di congedo parentale, infortunio, malattia e maternità, oltre a defiscalizzare gli investimenti in formazione, continuando, con formazione continua dei professionisti, a garantire la loro possibilità di accedere a fondi europei. Si tratta di norme che sono state tutte costruite attraverso il dialogo e il confronto continuo con le associazioni, i sindacati di settore, oltre naturalmente agli ordini professionali e alle Casse di previdenza, nello spirito di raccogliere tutte le esigenze in un mondo che, dall'epoca dell'istituzione degli ordini, è molto cambiato, è profondamente cambiato, e il legislatore non può non prenderne atto. Anche per questo, l'ultima norma approvata in Parlamento, che affrontava il tema dell'equo compenso nel 2017, aveva un orizzonte largo: norma che, occorre riconoscerlo, è rimasta inattuata.

Abbiamo più volte messo in luce gli ostruzionismi, le perplessità delle strutture ministeriali, i pareri avversi delle Authority e della concorrenza, spesso lesivi addirittura del potere del legislatore.

Questi ostacoli hanno, evidentemente, spinto la discussione parlamentare a riprendere il tema dell'equo compenso, con l'obiettivo, anche giusto, di rafforzare questo principio di rango costituzionale e di difendere i diritti dei professionisti.

Per tali ragioni, memori dei problemi e degli errori del passato, si sarebbe dovuto procedere con maggiore attenzione. Nella scorsa legislatura vi è stato un confronto che, in molti punti, ci ha lasciati insoddisfatti, pur nella generale condivisione di un provvedimento che avevamo sostenuto, anche se poi la chiusura anticipata dei lavori parlamentari ne ha impedito l'approvazione. Oggi, per quella che potremmo definire un'ansia da risultato del centrodestra e per l'incapacità - diversamente da quanto diceva, prima di me, la collega di Fratelli d'Italia - di ascoltare e di comprendere i rilievi mossi dalla grandissima maggioranza delle rappresentanze del mondo professionale, si è riusciti a mettere tutti d'accordo sul fatto che il testo aveva bisogno di modifiche, ma la maggioranza non è stata capace, di approvarne alcuna. Tutto questo ha generato un testo che noi giudichiamo insoddisfacente. È insoddisfacente, perché non garantirà l'equo compenso ai professionisti, se non in una misura molto marginale. Non è soltanto l'opinione del Partito Democratico, ma un effetto di ciò che è scritto nella legge. In primo luogo, è scritto che l'equo compenso sarà applicato nei rapporti con le imprese che hanno più di 50 dipendenti o ricavi annui maggiori di 10 milioni di euro. Basta guardarci intorno per capire e comprendere: quante sono le imprese con più di 50 dipendenti, in Italia? Ce lo dice l'Istat: lo 0,62 per cento del totale. Quante sono le imprese con più di 10 milioni di ricavi? Lo dice il MEF: l'1,6 per cento del totale. Con questi numeri, la maggioranza ha avuto il coraggio di respingere l'emendamento che, riducendo tali parametri, avrebbe permesso di includere effettivamente un numero congruo di professionisti e di andare al cuore del problema.

È stato scritto che il professionista che percepisce un compenso sotto soglia viene automaticamente sanzionato dall'ordine di appartenenza, riuscendo così a violare tre principi in una volta. Il primo principio è legale, relativamente agli ordinamenti che attribuiscono la definizione della disciplina deontologica e delle relative sanzioni all'autonomia regolamentare degli ordini; il secondo principio è di equità, perché vengono sanzionati i soli iscritti agli ordini, dimenticando attività - pensiamo, ad esempio, agli organi di controllo societari - svolte congiuntamente da iscritti e non iscritti; il terzo, più grave, è il principio logico, perché si è ritenuto che la sanzione a carico del professionista sia addirittura motivo di autodifesa, trascurando il fatto che, se c'è bisogno di una legge sull'equo compenso, è proprio nei casi in cui il professionista contraente è debole. Allora, in un contesto in cui c'è una parte debole e una parte forte, il deterrente si mette a carico del contraente forte, non di quello debole. Invece, con la sanzione sul professionista sottopagato, la maggioranza, con quel testo, ha messo in mano al committente il miglior strumento possibile di autotutela. Quale professionista denuncerà il committente che non paghi l'equo compenso, se, a quel punto, sa che incorrerà nella sanzione? Insomma, si è riusciti nell'impresa di scrivere la prima legge al mondo che sanziona il soggetto, il professionista, che invece dovrebbe essere tutelato, e si è avuto il coraggio di respingere l'emendamento del PD che aboliva questa sanzione.

La terza questione è che avete confermato un'impostazione incentrata sul ruolo degli ordini professionali, invece che sulla tutela dei professionisti, iscritti e non, negando, come nell'istituzione dell'Osservatorio sull'equo compenso e l'associazionismo dei professionisti, quella dignità ricevuta fin dalla legge n. 4 del 2013.

Insomma, il provvedimento, per quanto meritevole negli intenti di affrontare un tema così importante come quello dell'equo compenso, parte già con gravi limiti. Sembra, infatti, incredibile che quegli stessi ordini che oggi non riescono a vigilare sul rispetto dei diritti e dell'equa retribuzione dei propri partecipanti e tirocinanti possano riuscire domani a vigilare sul rispetto dell'equo compenso di tutti i loro iscritti. C'è, sì, un problema di povertà del lavoro, che, dal mondo del lavoro dipendente, si allarga ai liberi professionisti. C'è un tema di precarietà, che non può essere dimenticato quando si parla di equo compenso. Non si può, ad esempio, dimenticare l'unicum europeo degli avvocati italiani, costretti dalla legge ad aprire partita IVA e a non poter essere dipendenti. Non si può dimenticare la condizione di povertà e precarietà dei farmacisti dipendenti, vessati da una pesantissima doppia contribuzione, o, ancora, la frammentazione degli ammortizzatori sociali, che la pandemia ci ha insegnato a essere un percorso a ostacoli per i professionisti.

Nella scorsa legislatura siamo riusciti ad approvare l'ISCRO, il primo ammortizzatore sociale per gli iscritti alla gestione separata - ma manca ancora il prezzo degli ammortizzatori per gli iscritti agli ordini e ai collegi - e la finanziaria con l'abolizione della doppia tassazione sui contributi versati alle casse professionali.

Le nostre richieste - le ribadisco in questa sede, dopo la lunga discussione svoltasi nelle Commissioni di merito – sono, in sostanza, quattro: allargare la platea dei liberi professionisti che hanno diritto all'equo compenso; allargare la platea delle società tenute a riconoscere l'equo compenso, riducendo i limiti dimensionali delle imprese (dipendenti e fatturato), al cui sussistere scatta l'obbligo di equo compenso, e allargando le tipologie di imprese tenute a riconoscerlo, ad esempio, le agenzie di riscossione; abrogare l'obbligo di sanzione disciplinare per il professionista che accetta compenso non equo, perché se è parte debole non può essere anche sanzionato; introdurre una norma transitoria che imponga alle convenzioni in essere di adeguarsi alle regole sull'equo compenso.

Sono tutti argomenti che ci ricordano la necessità, l'imprescindibilità di affrontare i diritti dei lavoratori, autonomi e professionisti, in un'ottica di universalità, senza tornare a divisioni di un mondo del lavoro che non esiste più. La legge che oggi ci apprestiamo a discutere è un'occasione mancata, perché deriva da una incapacità di ascolto, da parte della maggioranza, delle proposte dell'opposizione, ma, soprattutto, degli stakeholder che hanno partecipato alla discussione che si è prodotta fino a questo momento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Patriarca. Ne ha facoltà.

ANNARITA PATRIARCA (FI-PPE). Grazie, Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo anni di attesa, l'equo compenso torna al centro del dibattito politico nazionale, grazie all'impegno della maggioranza.

Il testo, oggi in approvazione, si prefigge l'obiettivo principale di tutelare le professioni liberali, messe a rischio da insidie, quali lobby economiche, grandi corporation, multinazionali e, non ultima, l'intelligenza artificiale.

Le tradizioni secolari che caratterizzano le nostre professioni sono ormai minacciate da una deregulation senza regole e da un mercatismo selvaggio, un mercatismo dove vige la legge del più forte, un mercatismo savana, che non può in alcun modo essere ulteriormente tollerato. La decisione di abolire i minimi tariffari ha fortemente mortificato le professioni liberali, che sono state costrette ad accettare contratti capestro che sviliscono il loro importante ruolo. Inoltre, questa scelta contrasta con il principio costituzionale che stabilisce che la prestazione professionale deve essere retribuita in maniera proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto.

Il principio dell'equo compenso professionale è fondamentale, non solo per garantire ai professionisti un trattamento equo, ma anche per tutelare l'interesse collettivo alla qualità della prestazione professionale e alla dignità della professione stessa. Il tema dell'equo compenso per i prestatori d'opera intellettuale non ha trovato certamente Forza Italia impreparata, solo che si consideri che nel nostro Partito vive e opera proficuamente un dipartimento specificamente dedicato alle professioni e che ha rappresentato, grazie alla felice intuizione del presidente Berlusconi, un punto di riferimento sul quale tutte le rappresentanze di questo variegato mondo hanno potuto portare le proprie esperienze e rappresentare le numerose situazioni e connesse criticità.

Questo provvedimento è stato un luogo di incontro e di confronto che già dal 2018, grazie a un emendamento allora proposto da Forza Italia, aveva portato al riconoscimento del principio dell'equo compenso nella legge di bilancio. L'8 novembre 2022, una proposta di legge, di iniziativa dell'onorevole Mule', sull'equo compenso è stata presentata in questo Parlamento. Dopo anni di attesa, dopo la legge di conversione del decreto Bersani e a quasi dieci anni dalla conversione del decreto Cresci Italia di Monti, finalmente, grazie al fattivo contributo di tutte le forze di questa maggioranza, riportiamo al centro del dibattito politico un tema così importante, come appunto quello dell'equo compenso. Il testo mira a rafforzare la tutela dei professionisti. Abbiamo constatato che vari sono gli elementi che, in questa fase storica, insidiano le professioni liberali, che sono un vanto della nostra storia, della nostra cultura e del nostro tessuto economico: lobby economiche, grandi corporation e multinazionali mettono in discussione le nostre tradizioni secolari, sotto l'egida di questa deregulation senza regole.

Per noi, oggi, invece, tutelare contrattualmente il professionista rappresenta un dovere del legislatore per non lasciare spazio a patti leonini destinati a danneggiare i professionisti stessi, perché senza un'equa e giusta retribuzione non vi è dignità per chi lavora.

Il principio dell'equità del compenso professionale, nella sua duplice dimensione di diritto soggettivo del professionista ad un trattamento equo e interesse della collettività alla qualità della prestazione professionale e alla dignità della professione, costituisce la solida attuazione proprio di questo principio costituzionale stabilito dall'articolo 36 della nostra Costituzione. È da non dimenticare che l'equo compenso riveste un ruolo strumentale all'attuazione del principio di uguaglianza, sancito dall'articolo 3 della Costituzione, tanto con riferimento alla sua dimensione formale, come divieto di discriminazione tra categorie di lavoratori, quanto con riferimento alla sua dimensione sostanziale, quale impegno dello Stato alla rimozione degli ostacoli che limitano di fatto l'uguaglianza dei cittadini.

Stiamo finalmente invertendo la rotta rispetto al passato, un passato dove l'opzione del legislatore si è radicata sul sostanziale fraintendimento fra liberalizzazione e deregolamentazione che, in una sorta di eterogenesi dei fini, ha prodotto un concetto di concorrenza che mi sento di poter definire “distorto”.

Alla luce dei fatti, il modus operandi dei precedenti legislatori, che intendeva creare l'auspicato mercato libero tramite la pura e semplice deregolamentazione, ha creato un sistema esattamente contrario: non un mercato del lavoro atto a garantire opposte istanze, quali equità, lealtà e diritti di partecipazione alla competizione economica, con un mercato concorrenziale e di servizi professionali, bensì un mercato sregolato nel quale la legge del più forte ha finito con il prevaricare i diritti dei più deboli, vale a dire solo e soltanto una preoccupante giungla.

Oggi, sappiamo con certezza che nessuno di quegli obiettivi è mai stato conseguito, anzi, abbiamo avuto soltanto effetti contrari. È la stessa Corte di giustizia dell'Unione europea che si è pronunciata per il riconoscimento dell'obbligatorietà delle tariffe negli Stati membri. Il punto più basso e svilente - lo voglio ricordare in quest'Aula - di quell'orientamento è stato raggiunto con i noti casi dei bandi per prestazioni professionali da rendere a titolo gratuito, provenienti perfino da amministrazioni apicali dello Stato. È fondamentale comprendere che riconoscere, ad esempio, agli avvocati un compenso adeguato e dignitoso significa garantirsi una prestazione professionale di qualità e un avvocato autonomo e indipendente, ottenendo così una tutela effettiva della propria domanda di giustizia.

Dunque, quella sull'equo compenso non è una battaglia di cartello e, soprattutto, non è una battaglia sindacale; è invece una battaglia, per quanto riguarda noi di Forza Italia, per la tutela effettiva dei diritti e delle prestazioni professionali e questo principio, grazie proprio ad un emendamento di Forza Italia nella scorsa legislatura e confluito nell'attuale testo, è stato esteso a una più vasta platea di professionisti che saranno tutelati nell'espletamento della loro prestazione d'opera intellettuale, includendo anche le cosiddette professioni non regolamentate.

Del pari, siamo fieri di aver contribuito a estendere il novero dei soggetti obbligati al rispetto delle disposizioni in tema di equo compenso ai contraenti forti, quali le pubbliche amministrazioni e le loro partecipate, le società veicolo di cartolarizzazione e le loro controllate e società mandatarie. I nostri professionisti non saranno più umiliati da bandi pubblicati dalle pubbliche amministrazioni a zero compensi.

La nostra speranza, signor Presidente, era che il testo venisse licenziato senza modifiche dall'altra Camera; ciò non è stato possibile perché poi nel corso dei lavori si è ravvisata la necessità di qualche piccola modifica di coordinamento normativo. Tuttavia, oggi, il testo modificato solo con riguardo a questo dettaglio potrà diventare un primo baluardo a presidio dei nostri liberi professionisti. Un primo baluardo perché questo testo, seppur, come detto, meritorio, non risolve tutti i problemi delle categorie professionali, in quanto frutto di una mediazione e di quanto era possibile fare oggi. Non si può sottacere la disposizione relativa alla non retroattività della disciplina che fa sì che restino in vigore i contratti già stipulati, seppure a condizioni capestro. Sarebbe stato opportuno, probabilmente, riuscire, già in questo testo, a sancire la nullità di quelle disposizioni. I contratti in essere sono evidentemente a tempo indeterminato e se non vengono disdetti manterranno efficacia a lungo. Tra l'altro, se si fosse prevista la retroattività della norma sull'equo compenso credo che il bilancio dello Stato ne avrebbe tratto giovamento, perché le dichiarazioni Irpef dei professionisti nei prossimi anni sarebbero state sensibilmente superiori, con evidente beneficio anche per il gettito fiscale. Non è stato possibile. Il Governo ci ha spiegato che ciò avrebbe comportato difficoltà insormontabili. Ne prendiamo atto e lo accettiamo, ma ci impegniamo a ritornare sul punto alla prima occasione utile.

Un altro aspetto che mi preme sottolineare è relativo alla sanzione disciplinare prevista per il professionista che, comunque, accetti clausole contrattuali vessatorie. Questa ipotesi sanzionatoria va interpretata, a nostro giudizio, non come una sorta di spada di Damocle che pende sul professionista, ma semmai come uno scudo, una tutela rafforzata che egli potrà invocare per rifiutare anche sul piano deontologico contratti capestro che gli vengano imposti dal cliente. Peraltro, in condizioni particolari e provate, gli organi disciplinari degli ordini professionali potranno certamente lasciar andare esente da sanzione l'eventuale professionista che abbia agito in stato di necessità. La politica ha il compito di creare le condizioni favorevoli per l'attività dei professionisti, mettendo in atto le giuste politiche economiche in grado di migliorare la pubblica amministrazione. La legge di oggi è un importante passo in questa direzione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Carla Giuliano. Ne ha facoltà.

CARLA GIULIANO (M5S). Grazie, Presidente. Ritorniamo in quest'Aula, oggi, a parlare della disciplina dell'equo compenso, di questo provvedimento, giunto qui in terza lettura, dopo l'analisi in Senato che ha sostanzialmente riconfermato tutto l'impianto del provvedimento e ha apportato una modifica soltanto formale. Si tratta di un testo sicuramente atteso da tutto il mondo dei professionisti, un testo sicuramente meritevole negli intenti che però, come abbiamo già sottolineato nel primo passaggio alla Camera, in Commissione e ancora sottolineiamo qui oggi, purtroppo, è carente e presenta diverse criticità nella sua applicazione concreta.

È un primo passo, comunque, che ci vede assolutamente favorevoli, un primo passo che va incontro a quel variegato mondo di professionisti che, con la loro competenza e con i servizi che offrono alle imprese e ai cittadini, rappresentano certamente l'impalcatura, l'ossatura di conoscenza e di professionalità su cui si fonda il nostro Paese. Quindi, è sicuramente meritevole, meritorio e corretto porre in essere disposizioni che possano tutelare questa platea di cittadini sempre più ampia e sempre più necessaria.

Come dicevo, si tratta di un provvedimento meritevole negli intenti, ma che purtroppo risulta monco nel concreto, presentando diverse criticità che noi, come MoVimento 5 Stelle, abbiamo rilevato nelle sedi competenti, attraverso gli emendamenti che abbiamo presentato e gli ordini del giorno, frutto dell'ascolto di quelle stesse categorie professionali che sono venute a condividere l'impianto generale del provvedimento, ma hanno riferito, appunto, criticità, in particolare su tre aspetti che andrò a declinare.

Prima di declinare questi aspetti voglio, però, fare una premessa di metodo, perché già nel primo passaggio di questo provvedimento alla Camera, dinanzi alle nostre proposte emendative, tutte rigettate, ci fu posta dal Governo una questione di celerità; il Governo sostanzialmente ci disse che era necessario quanto prima adottare questo provvedimento, molto atteso dalle categorie professionali e, dunque, di fronte a questa esigenza di celerità e alla necessità di dare una prima risposta, noi come MoVimento 5 Stelle abbiamo fatto un passo indietro, con la speranza e la promessa, che però il Governo evidentemente non ha mantenuto, di ritornare su questo provvedimento il prima possibile.

Ebbene, il prima possibile si è verificato ora, perché il passaggio al Senato, che sarebbe dovuto andare liscio, invece, per un errore di coordinamento formale, ha comportato un ritorno alla Camera, tradendo così quelle esigenze di celerità sotto cui si era coperto il Governo che sostanzialmente non aveva, apertis verbis, voluto dirci quale fosse la sua volontà politica precisa.

A fronte di ciò, ossia a fronte del passaggio al Senato senza che fossero eliminate quelle criticità che andrò a dire tra poco, è chiaro che c'è una precisa volontà politica del Governo e di questa maggioranza di dar vita a un provvedimento che – ripeto, seppur meritevole nell'impianto generale - presenta forti criticità che, a nostro parere, ne condizioneranno moltissimo l'applicazione pratica.

Vado a declinare le criticità. Quella più evidente, che è stata più volte segnalata, anche con forte preoccupazione, è relativa alle sanzioni disciplinari. Sappiamo che, secondo quello che dispone questo provvedimento, il compenso, per ritenersi equo, deve rispettare specifici parametri di quantità e di qualità del lavoro svolto, deve essere proporzionato al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale e deve essere conforme ai parametri ministeriali. Sappiamo anche che la norma circoscrive l'ambito applicativo delle disposizioni sull'equo compenso, limitandole, per quanto riguarda il committente, alle imprese che impiegano più di 50 dipendenti e fatturano più di 10 milioni di euro. Però - questo è il punto -, proprio questo provvedimento, de iure, considera le pubbliche amministrazioni e le grandi imprese, ossia quelle che hanno i requisiti che citavo poc'anzi, come committenti forti del rapporto contrattuale intrattenuto con il professionista sulla base di una convenzione.

Perché dico questo? Perché, la scorsa volta, una forza di maggioranza, in particolare Forza Italia, sostenne la correttezza e la legittimità del mantenimento delle sanzioni disciplinari, asserendo che la sanzione disciplinare serviva a evitare, da parte dei professionisti, una sorta di dumping, ossia quel comportamento tale per cui il professionista accetta per sé condizioni sfavorevoli pur di accaparrarsi nuovi clienti. Ebbene, già all'epoca smontammo questa tesi, semplicemente portando il dato normativo, ossia evidenziando che, per legge, le imprese a cui si applica la disciplina dell'equo compenso sono contraenti forti - lo dice il provvedimento - e, quindi, necessariamente qualsiasi professionista, di fronte a queste imprese committenti, è professionista debole; ascoltavo ora, da parte di esponenti della maggioranza, che la bontà e la legittimità delle sanzioni disciplinari risiederebbero nel fatto che la sanzione disciplinare costituirebbe quasi una tutela in più per il professionista, che in questo modo non sarebbe portato ad accettare convenzioni per lui sfavorevoli. Credo che questa ricostruzione sia assolutamente fuorviante e anche piuttosto fantasiosa, perché evidentemente si ignora la realtà di tutta una grande parte di professionisti, che, ovviamente, a fronte del grande peso contrattuale che hanno alcune imprese, è obbligata ad accettare compensi che non sono equi, che non sono dignitosi e che non sono parametrati alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Quindi, prevedere sanzioni disciplinari a carico del professionista che si autodenuncia, ossia denuncia di aver sottoscritto una convenzione che prevede per lui un compenso non equo, non tiene conto della debolezza intrinseca del professionista, che - lo ripeto - de iure, in base a questo provvedimento, è considerato la parte debole del rapporto. Soprattutto, c'è un effetto paradossale: non solo il professionista ha il danno di aver percepito un compenso non equo, ma, se decide di far valere le sue ragioni in sede giudiziale - quindi, segnala e denuncia in sede giudiziale il compenso non equo -, si vedrà irrogare dal proprio ordine di appartenenza una sanzione disciplinare. Questo meccanismo, come capite bene, è, a dir poco, distorto. È un meccanismo davvero diabolico e avrà l'effetto, purtroppo, di rendere sostanzialmente non operativo questo provvedimento, perché nessun libero professionista - in particolare i giovani, se avranno “la fortuna” e anche l'onore e il prestigio di lavorare per grandi imprese - denuncerà mai una convenzione che prevede un compenso non equo, perché sa che si esporrà a una sanzione disciplinare. Quindi, oltre al danno di aver percepito un compenso non equo, anche la beffa.

Tra l'altro, con questo meccanismo avete creato un ulteriore danno, perché avete determinato una disparità tra i professionisti iscritti agli ordini professionali, che verranno sanzionati disciplinarmente, e i professionisti che non sono iscritti agli ordini professionali e che, quindi, pur avendo tenuto lo stesso comportamento, ossia essendo, “vittime” di una convenzione che prevede a loro danno un compenso non equo, non riceveranno una sanzione disciplinare semplicemente perché non hanno un ordine professionale di riferimento che possa, tra “esercitare” nei loro confronti un potere e irrogare loro una relativa sanzione disciplinare.

Nonostante vi fosse stata l'occasione di porre rimedio a questo vulnus, che noi riteniamo estremamente grave - e l'occasione vi è stata data, in sede di esame al Senato -, purtroppo non sono stati accolti i nostri emendamenti. Purtroppo, avete deciso di andare dritti su questa strada e, sebbene la maggioranza sicuramente continuerà a intestarsi questo provvedimento come una bandierina, ci sarà l'effetto - ripeto - di non recare un'effettiva tutela ai professionisti, in particolare a quelli ordinistici.

Concludo, Presidente, sottolineando altri due punti, che rappresentano, per noi, criticità altrettanto forti, che ci sono state segnalate dalle diverse associazioni e dai diversi stakeholder che abbiamo audito. Un altro aspetto è quello di non aver incluso nel novero delle grandi imprese, quindi nel novero dei soggetti che saranno assoggettati alla disciplina dell'equo compenso, anche le società di riscossione e le società di cartolarizzazione dei crediti. Certamente, si tratta di grandi società che affidano, spesso tramite convenzione, ai professionisti alcuni cosiddetti pacchetti di cause. Quindi, sarebbe stato più che opportuno estendere anche a loro questa disciplina.

Da ultimo - e anche questa mancata previsione renderà monco il provvedimento - rilevo che non avete avuto, purtroppo, il coraggio di prevedere una disciplina transitoria che inglobasse nel provvedimento anche le convenzioni già sottoscritte, ma che non sono ancora entrate in essere. Questo perché l'articolo 11 di questo provvedimento, che reca le disposizioni transitorie, prevede che queste disposizioni, ossia le disposizioni di cui oggi parliamo, non si applicano alle convenzioni in corso, sottoscritte prima dell'entrata in vigore di questo provvedimento. Dunque, questo provvedimento, purtroppo, avrà soltanto efficacia pro futuro. Su questo punto noi avevamo presentato uno specifico emendamento, per fare in modo che la legge si potesse applicare a tutti gli incarichi conferiti successivamente alla data di entrata in vigore di questo provvedimento, anche se erano incarichi che facevano riferimento a una convenzione sottoscritta antecedentemente.

Anche qui sarebbe bastato uno sforzo veramente piccolo di volontà politica per non lasciare senza tutela tutti quei professionisti che hanno già sottoscritto una convenzione che, normalmente, non ha durata, non ha scadenza, ha una durata illimitata e, quindi, questi professionisti rimarranno fuori dalle tutele di questo provvedimento. Come dicevo all'inizio, questo è un provvedimento che, comunque, troverà il nostro appoggio, perché quello che sta a noi a cuore è dare tutela all'ampia categoria dei professionisti, però mi dispiace davvero che il Governo e la maggioranza non abbiano avuto il coraggio e abbiano, anzi, manifestato una volontà politica opposta rispetto a quei passi in più, quei due, tre passi in più fondamentali, che avrebbero veramente potuto rendere operativo, materialmente, questo provvedimento, che, purtroppo, con queste macchie che ho evidenziato, io spero di no, ma credo che rimarrà soltanto sulla carta (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 338-B​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, la deputata Bisa, che rinuncia. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, che rinuncia. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di inchiesta parlamentare: Gribaudo ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati (Doc. XXII, n. 6-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 6-A: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 4 aprile 2023 (Vedi l'allegato A della seduta del 4 aprile 2023).

(Discussione sulle linee generali - Doc. XXII, n. 6-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

Le Commissioni XI (Lavoro) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la XI Commissione (Lavoro), deputato Laus.

MAURO ANTONIO DONATO LAUS (PD-IDP), Relatore per la XI Commissione. Grazie, Presidente. Governo, onorevoli colleghe e colleghi, prima di passare all'illustrazione del provvedimento oggi all'esame di quest'Aula, consentitemi alcune considerazioni di sistema. Le ragioni per l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati sono, purtroppo, tristemente confermate ogni anno dai report dell'INAIL, che testimoniano come il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro sia ben lungi dall'essere conseguito, nonostante siano già trascorsi ben 15 anni dall'entrata in vigore del testo unico sulla sicurezza, il n. 81 del 2008, un corpo normativo all'avanguardia, conforme alle regolamentazioni europee ed internazionali. Tali ragioni sono, altresì, confermate da tutte le analisi sulla condizione del lavoro nel nostro Paese per quanto concerne i bassi livelli retributivi, il patologico numero dei contratti nazionali registrati presso il CNEL, la diffusione della precarietà dei contratti atipici e delle false partite IVA, i dislivelli occupazionali esistenti tra le diverse aree del Paese, la mancata valorizzazione del lavoro delle donne. Tutti elementi che svalutano il fattore lavoro e finiscono per indebolire il nostro sistema produttivo nelle catene internazionali della produzione. Lo stesso Presidente della Repubblica, il 3 febbraio 2022, nel suo discorso di giuramento per il suo mandato, ebbe la sensibilità di ricordare, nel novero dei temi su cui si deve declinare il concetto di dignità in una moderna e solida democrazia: “dignità è azzerare le morti sul lavoro che feriscono la società e la coscienza di ognuno di noi, perché la sicurezza del lavoro, di ogni lavoratore riguarda il valore che attribuiamo alla vita”. Un impegno fondamentale e costante per le istituzioni, così come per tutti gli attori economici e sociali coinvolti. L'auspicio che credo debba vedere tutti concordi è che il lavoro dell'istituenda Commissione possa essere quanto più approfondito ed efficace, al fine di individuare quelle soluzioni che facciano fare al nostro Paese un decisivo passo avanti sui temi della sicurezza e della qualità del lavoro. In tale prospettiva è altresì auspicabile avviare una strategia di insieme, che punti ad una nuova centralità del lavoro nel nostro Paese e che sia incentrata su alcuni capisaldi, quali: una legge sulla rappresentanza che ponga fine alla proliferazione di contratti collettivi, ai circa 1.000 depositati al CNEL, che continuano a generare incertezze normative e a drogare la concorrenza tra le imprese; un sistema di tutele delle vittime di sfruttamento, con interventi strutturali e non episodici, garantendo assistenza una volta acclarata la condizione di sfruttamento; l'accoglimento immediato delle finalità delle direttive europee, anticipandone le aspettative rispetto alle scadenze ordinarie in materia di nuove forme di sfruttamento, in un mondo del lavoro in continua trasformazione. Si consideri il caso del cosiddetto caporalato digitale - le implicazioni sulla condizione dei lavoratori conseguenti la diffusione dell'intelligenza artificiale -, che, in taluni casi, rischia di trasformarsi in uno strumento invasivo, senza controllo. Ancora: un efficace sistema di garanzia circa il rispetto dell'obbligo del trattamento economico e normativo, complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti del committente appaltatore, soprattutto dopo le recenti modifiche del codice degli appalti, che hanno introdotto nel nostro ordinamento i subappalti a cascata o l'allargamento degli affidamenti diretti e delle procedure negoziate. Un insieme di aspetti che potranno certamente essere al centro dello studio e degli approfondimenti della Commissione che ci stiamo accingendo ad approvare, un lavoro che dovrà tassativamente svolgersi in stretto coordinamento con l'analogo organismo che il Senato ha recentemente approvato.

Il provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea prevede l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia. Ricordo preliminarmente che le Commissioni XI (Lavoro) e XII (Affari sociali) hanno avviato, nella seduta del 21 febbraio 2023, l'esame in sede referente di tale proposta. L'esame è, quindi, proseguito nella seduta del 29 marzo 2023 con l'approvazione di quattro emendamenti. In particolare, per effetto di tre di tali proposte emendative approvate in sede referente, sono stati specificati alcuni compiti attribuiti alla Commissione e ne è stato attribuito uno nuovo. Con l'approvazione della quarta proposta emendativa, si è provveduto all'aggiornamento della previsione relativa alla spesa di funzionamento della Commissione. L'esame in sede referente si è, poi, concluso nella seduta del 4 aprile 2023. Come già detto, il provvedimento è volto a prevedere, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, per la durata della presente legislatura, l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati, come specificato dall'articolo 1. Per quanto concerne la composizione, la proposta di inchiesta prevede che la Commissione sia composta da 20 deputati, scelti dal Presidente della Camera, anche tenendo conto della specificità dei compiti assegnati alla Commissione, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, assicurando, comunque, la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo parlamentare e garantendo, per quanto possibile, l'equilibrio tra i sessi. Si prevede, inoltre, che entro 10 giorni dalla nomina dei componenti, il Presidente della Camera convochi la Commissione per la costituzione dell'ufficio di presidenza, composto dal presidente, due vicepresidenti e due segretari. Nella elezione del presidente, se nessuno riporta la maggioranza assoluta dei componenti della Commissione, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti, è proclamato eletto o va al ballottaggio il più anziano di età. La Commissione elegge al proprio interno due vicepresidenti e due segretari con il sistema del voto limitato. Risultano eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti e, in caso di parità di voti, è proclamato eletto o va al ballottaggio il più anziano di età. La Commissione è rinnovata dopo il primo biennio dalla sua costituzione, con la possibilità di conferma dei propri componenti e riferisce alla Camera a cadenza annuale, con singole relazioni e con relazioni generali, nonché ogniqualvolta ne ravvisi la necessità e, comunque, a conclusione dei propri lavori.

Con riferimento ai compiti della Commissione, la proposta ne individua un ampio novero che comprende: l'approfondimento della conoscenza della dimensione del fenomeno degli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo al numero di incidenti mortali, di malattie e di invalidità, verificando e quantificando l'esistenza di eventuali differenze tra le vittime con specifico riguardo al genere di appartenenza, al territorio di ubicazione del luogo di lavoro, all'età, al settore lavorativo, al tipo contrattuale e al tipo aziendale e/o societario; l'individuazione delle principali cause degli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo all'incidenza dei fenomeni di interposizione illecita, somministrazione irregolare di manodopera, di sfruttamento della precarietà, del lavoro sommerso e irregolare e del controllo di imprese da parte di organizzazioni criminali; l'accertamento del livello di applicazione delle norme antinfortunistiche e l'efficacia della legislazione vigente; la verifica dell'efficacia dei controlli svolti dagli organi ispettivi; la quantificazione del costo degli infortuni sul lavoro e la relativa incidenza sulla finanza pubblica; la valutazione degli eventuali casi di presenza di minori nei luoghi di lavoro, con particolare riguardo ai minori che provengono dall'estero, nonché delle misure adottate per la protezione degli stessi nei casi di esposizione a rischi di infortunio; l'individuazione di eventuali misure di natura legislativa e amministrativa finalizzate ad accrescere l'efficacia della prevenzione e ad attenuare gli effetti degli infortuni; la valutazione della congruità delle provvidenze e degli interventi di assistenza previsti dalla normativa vigente in favore dei lavoratori e dei loro familiari in caso di incidente mortale, malattia e invalidità e infortunio sul lavoro; l'analisi dei casi di sfruttamento o di minor tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro nell'ambito dell'intermediazione di manodopera.

La proposta di inchiesta provvede, inoltre, a disciplinare i poteri e i limiti della Commissione. In primo luogo, si prevede che la Commissione proceda alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria e che non possa adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo. Viene poi previsto che, per le testimonianze davanti alla Commissione, si applichino le disposizioni degli articoli dal 366 al 372 del codice penale. Si dispone anche la non opponibilità alla Commissione, limitatamente all'oggetto dell'indagine di sua competenza, del segreto d'ufficio professionale e bancario, precisando altresì che è sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato.

Si prevede, altresì, che la Commissione possa ottenere copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale, e che l'autorità giudiziaria possa anche trasmettere copie di atti e documenti di propria iniziativa.

La Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza degli atti, così trasmessi, coperti da segreto, specificando inoltre che devono essere coperti dal segreto i nomi, gli atti e i documenti che riguardano procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari; ha, inoltre, il potere di stabilire quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione a esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso.

Come di consueto, i componenti della Commissione, con i funzionari, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio, sono tenuti all'obbligo del segreto, anche dopo la cessazione dell'incarico, su tutti gli atti e i documenti che la Commissione ha acquisito ai fini dell'inchiesta e soggetti al regime di segretezza.

Con riguardo all'organizzazione interna della Commissione, la disciplina dell'attività e del funzionamento della stessa è demandata ad un regolamento interno da approvare prima dell'inizio dei lavori.

È affermato il principio della pubblicità delle sedute, ferma restando la possibilità di disporre diversamente. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di Polizia giudiziaria e di tutte le collaborazioni ritenute necessarie, e per l'espletamento delle sue funzioni fruisce di personale, locali e strumenti operativi posti a disposizione dal Presidente della Camera. Si prevede, infine, la quantificazione delle spese per il funzionamento della Commissione, determinandole nel limite massimo di 35.000 euro per il 2023 e 75.000 euro per ciascuno degli anni successivi, a carico del bilancio interno della Camera (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione affari sociali, onorevole Luciano Ciocchetti.

LUCIANO CIOCCHETTI, Relatore per la XII Commissione. Il mio sarà un brevissimo intervento, anche perché la descrizione dei lavori è stata fatta dal relatore della Commissione lavoro, onorevole Laus. Voglio solo sottolineare il lavoro svolto presso le Commissioni parlamentari, sia la Commissione lavoro che la Commissione affari sociali, che hanno affrontato questa questione con grande condivisione. Trattandosi di una proposta presentata dai colleghi del Partito Democratico e dell'opposizione, credo che tutti i gruppi della maggioranza abbiano voluto sostenere questa iniziativa e portarla ad approvazione nel più breve tempo possibile, in modo da svolgere, anche in questo ramo del Parlamento, un lavoro importante di verifica sulle condizioni di lavoro in questo nostro Paese, con particolare riferimento alle questioni che la proposta di Commissione di inchiesta comprende e con una precisione abbastanza ampia e di confronto su tutti i temi che dovranno essere esaminati nell'ambito del lavoro che la Commissione porterà avanti.

Credo sia importante ribadire - lo ha già fatto il relatore della Commissione lavoro - che anche al Senato è stata istituita una Commissione di inchiesta sul tema, che segue il lavoro svolto nella passata legislatura, quando, al Senato, si è svolta un'attività importante, con una serie di confronti, di iniziative e anche di proposte di miglioramento delle normative esistenti in materia di politiche sul lavoro e su tutte le questioni che riguardano, in particolare, il fenomeno degli incidenti sul lavoro - nel nostro Paese sono sempre troppo numerosi - e quello dello sfruttamento lavorativo. Sono le due questioni principali che dovranno essere esaminate nel corso dei lavori della Commissione di inchiesta.

Poi occorre verificare la normativa esistente. Il decreto legislativo n. 81 del 9 aprile del 2008, pur essendo una normativa molto avanzata, purtroppo, nel nostro Paese ad oggi non ha portato ad un miglioramento considerevole sul tema della sicurezza sul lavoro, come su tutte le altre materie che riguardano le normative sul lavoro, la tutela, lo sfruttamento ed altre grandi questioni concernenti il lavoro a 360 gradi nel nostro Paese.

Credo che queste siano le questioni più importanti, quindi spero davvero che la Camera dei deputati istituisca questa Commissione di inchiesta e che il lavoro congiunto e coordinato con quello che si svolgerà al Senato possa portare risposte e miglioramenti in tale campo.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo non intende intervenire.

È iscritta a parlare la deputata Barzotti. Ne ha facoltà.

VALENTINA BARZOTTI (M5S). Grazie, Presidente. Ringrazio i relatori e la prima firmataria di questa proposta di legge, perché la riteniamo sicuramente fondamentale. Infatti l'istituzione di una Commissione di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro è sicuramente un primo passo, un tassello rispetto alla realtà degli infortuni sul lavoro, ossia un numero esagerato, sempre in crescita. Parliamo, da gennaio a dicembre del 2022, di 697.773 infortuni, quindi un incremento del 25,7 per cento rispetto al 2021, di cui 1.090 con esito mortale, mentre 60.774 sono le patologie di origine professionale denunciate, anch'esse in aumento.

Quindi, noi non possiamo fare altro che appoggiare questa proposta. Però, abbiamo presentato emendamenti in Commissione, alcuni dei quali sono già stati ricordati dal relatore, che puntavano sostanzialmente a collaborare in modo costruttivo e a rendere molto pragmatico ed efficace il lavoro che poi dovrà essere fatto da questa Commissione. In particolare, parliamo della mappatura delle vittime degli incidenti sul lavoro; segnatamente, all'articolo 3, tra i compiti della Commissione, abbiamo inserito quello di verificare e quantificare l'esistenza di eventuali differenze tra le vittime, con specifico riguardo al genere di appartenenza, al territorio e all'ubicazione del luogo di lavoro, all'età, al settore lavorativo, al tipo contrattuale e al tipo aziendale o societario, andando a ricomprendere tutta quella che può essere la dimensione dell'infortunio e cercando di capire maggiormente quali sono effettivamente le differenze tra le vittime, per analizzare il fenomeno in modo molto concreto. Inoltre, abbiamo presentato un altro emendamento, che è stato accolto, con cui abbiamo specificato che le principali cause di infortunio possono essere l'interposizione illecita, la somministrazione irregolare di manodopera e il lavoro sommerso e quindi abbiamo chiesto di attenzionare con particolare riguardo queste tipologie di fenomeni.

Purtroppo, invece, due emendamenti non sono stati accolti e ce ne rammarichiamo perché, secondo noi, avrebbero potuto veramente contribuire in modo determinante ai lavori della Commissione d'inchiesta. Questi riguardavano la vigilanza sul lavoro sommerso nel settore domestico e nelle cooperative. Ma perché abbiamo fatto riferimento specifico a questi due settori? Abbiamo fatto riferimento al lavoro domestico perché l'Osservatorio Domina, che raccoglie i dati Istat, ci dice che il lavoro nero in questo settore ha la media più alta che in tutti gli altri settori, ossia il 57 per cento, contro una media del 12,6 per cento, quindi parliamo di circa 2 milioni di lavoratori, dei quali sono in chiaro soltanto 920.000; è evidente che parliamo di lavoratori che non sono formati e quindi di lavoratori che mettono a rischio la propria salute sul luogo di lavoro e probabilmente la salute anche delle persone con cui si interfacciano e con cui lavorano. E poi perché abbiamo fatto riferimento alle cooperative? Perché i report dell'ispettorato del lavoro ci dicono che, nel 2021, il personale ispettivo ha fatto controlli su 1.320 cooperative e sono state ritrovate irregolarità sul 69 per cento delle aziende, quindi su 835 aziende. Ecco quindi che, secondo noi, un focus su queste dimensioni andava fatto e ribadisco che ci rammarichiamo del rigetto dei nostri emendamenti in merito.

Di fatto, noi pensiamo che questa proposta di legge sia sicuramente importante, sia un tassello all'interno di un quadro normativo e lavorativo complesso, in cui - noi del MoVimento 5 Stelle lo abbiamo detto tantissime volte - la forma e la sostanza spesso costituiscono due dimensioni del tutto separate. Potremmo dire: “Legge n. 81 del 2008 e successive modificazioni” - che, come tutti sappiamo in questa sede, è il testo unico che regolamenta e disciplina la sicurezza sul lavoro - “contro la dura realtà”: la chiamerei così la nostra battaglia contro gli infortuni sul lavoro, perché in quella legge c'è di fatto quasi tutto; ci sono la prevenzione, la violazione, la sanzione, la responsabilità diffusa e le posizioni di garanzia. Ma nell'Italia reale cosa c'è? C'è tanta burocrazia e pochi controlli, tante regole, ma poca cultura della sicurezza. La nostra proposta di legge sulla formazione e sull'insegnamento della cultura della sicurezza sul lavoro nelle scuole secondarie di primo e secondo grado l'abbiamo depositata e abbiamo chiesto di fare le audizioni, eppure sono tre settimane che i lavori su questa proposta di legge, in Commissione cultura, non vengono svolti. Secondo noi, l'insegnamento della cultura della sicurezza è un investimento da fare il prima possibile sulle giovani generazioni, perché è da lì che dobbiamo iniziare a lavorare e non possiamo continuare a ritardare queste misure che vanno veramente a incidere sulla cultura del Paese. Con l'insegnamento della cultura della sicurezza nelle scuole andiamo a rendere consapevoli i ragazzi e le ragazze, li andiamo a rendere di fatto più consapevoli della loro salute, della loro sicurezza e di come prendersene carico, al di là del fatto che ci sia un datore di lavoro che necessariamente e giustamente, per legge, lo debba fare; è chiaro che la collaborazione deve essere reciproca e la consapevolezza della propria tutela deve essere massima. Quindi, ancora, anche in questa sede, chiedo che vengano convocati i lavori su questa proposta di legge, perché nessun ritardo è ammissibile, dato che costituisce anch'esso un altro tassello di una strategia più ampia contro gli infortuni sul lavoro.

La cultura e i controlli costituiscono un binomio fondamentale per garantire la sicurezza sul lavoro, ma ancora oggi mancano misure di promozione adeguate e il numero degli ispettori non è sufficiente a garantire un controllo capillare sulle violazioni. In Italia, infatti, sono operativi circa 5.000 ispettori del lavoro, che eseguono ogni anno 160.000 controlli su altrettante imprese, ma le aziende italiane con dipendenti sono 1.800.000, ossia più di 400 imprese per ogni ispettore.

E poi ancora: cosa manca nell'Italia reale? Ebbene, nell'Italia reale mancano 76,8 miliardi di euro di valore aggiunto legati al lavoro sommerso, una piaga sociale ed economica; nel 2020 erano 3,2 milioni gli occupati irregolari. E poi cosa manca? Manca il salario minimo legale: abbiamo lavoratori pagati 3,96 euro l'ora; questo è stato attestato e ribadito da una sentenza del tribunale di Milano di qualche giorno fa, una sentenza che riconosce di fatto quello che noi del MoVimento 5 Stelle diciamo da sempre, ossia che questo non è lavoro, ma sfruttamento, che non solo impedisce alle persone di avere una vita degna di essere vissuta, ma impedisce la loro salute e la loro sicurezza sui luoghi di lavoro, perché, spesso e volentieri, queste persone sono costrette a lavorare il doppio di quello per cui sono pagate e di quello che è previsto dalla contrattazione collettiva poiché solo con lo straordinario riescono ad arrivare a una soglia di stipendio che sia minimamente decente. Questo impatta direttamente sulla salute e sulla sicurezza di queste persone e sulla loro quotidianità, perché ovviamente si tratta di persone che si stressano, si stancano di più e non mantengono alta l'attenzione.

Ci vogliono politiche che diano equilibrio e benessere sui luoghi di lavoro: tutte queste questioni e tutte queste mancanze del mondo del lavoro non fanno altro che peggiorare la situazione di questi lavoratori. Penso che ci siano tantissime mancanze – qui, oggi, non possiamo metterci a riepilogarle e a riassumerle tutte - però vorrei fare un accenno a quei settori di cui vi ho parlato in precedenza, quali quello cooperativo, dove il fine mutualistico spesso non c'è – vi sono tantissime cooperative spurie, dai dati che vi ho dato in precedenza - e dove mancano politiche e soluzioni imprenditoriali al passo con il nuovo umanesimo che i lavoratori e le lavoratrici cercano e che serve. Penso, ad esempio, a uno smart working strutturato - che non si si traduca in un full remote working, in un lavoro cui si è sempre perennemente connessi da casa, perché non è quello che dobbiamo andare a cercare e perché da quello derivano altri rischi, come il rischio da iperconnessione e i rischi da videoterminale e tutta una serie di altri problemi che si vengono a creare se non si trova l'equilibrio all'interno del luogo di lavoro -, che andrebbe a diminuire gli infortuni in itinere. Su questo punto vi do altri dati: secondo l'INAIL, di quei 1.090 infortuni di cui vi ho parlato in precedenza, 300 sono in itinere e 790 sono in occasione di lavoro, quindi evidentemente ridurre gli spostamenti va a incidere anche sugli infortuni sul lavoro.

Vi dico quindi, Presidente e relatori, cosa mi aspetto da questa Commissione d'inchiesta. Sicuramente mi aspetto un lavoro che - auspico - vada al di là di mere audizioni e raccolte di dati, perché tante cose si sanno già, vi sono gli osservatori e una serie di istituti pubblici che danno appunto una serie di dati.

Perciò, non andrei a impelagarmi in miriadi di audizioni che tirano avanti il brodo, ma che poi, alla fine, non vanno a risolvere i problemi esistenti.

E le dico invece cosa non mi aspetto. Non mi aspetto che quello che farà questa Commissione sarà migliore o più incisivo rispetto a quello che possono fare i pochi ispettori che, da sempre, tutti i giorni, si occupano di questi temi. Per cui appoggiamo questa proposta di legge: è sicuramente un tassello fondamentale, come abbiamo già detto, e voteremo a favore. Ma non nascondiamoci dietro un dito, perché questa PDL non basterà di certo a risolvere tutti i problemi esistenti - sarà veramente molto importante capire il taglio che vorrà dare la Commissione rispetto ai problemi concreti che effettivamente ci sono - e non potrà sopperire a una strategia incisiva contro gli infortuni sul lavoro, che ancora non vediamo. Non possiamo fare altro che ribadire che nella legge di bilancio non c'è un euro stanziato contro gli infortuni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Coppo. Ne ha facoltà.

MARCELLO COPPO (FDI). Grazie, Presidente. Non possiamo che partire, nell'analisi di questo provvedimento, dall'articolo 1 della Costituzione italiana: “L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Ed è proprio il lavoro che dà dignità alla democrazia ed è anche corretto che il lavoro abbia la sua dignità, proprio perché è il perno del nostro sistema democratico. Dare dignità al lavoro dà anche la libertà, perché, se ciascuno di noi nel proprio lavoro ha la giusta retribuzione, il giusto compenso e lo svolge nelle giuste condizioni, è anche libero: libero da condizionamenti e libero dall'esercitarlo in condizioni di non sicurezza, di non salute.

Ed è in questa chiave di lettura che va analizzato questo provvedimento, perché il lavoro è quel soffio che dà vita alla materia, è quello che dà il significato alla democrazia italiana. E questo si deve vedere specialmente nella tradizione e nella cultura italiana, basate sulla piccola e media impresa. Probabilmente è un po' l'esternazione di quello che fu l'umanesimo. Scusate se vado un po' troppo aulico, però effettivamente ci credo. Perché? Perché nella piccola e media impresa c'è sempre un confine sfumato tra il datore di lavoro e il lavoratore: sono persone che lavorano insieme, quasi come se fossero una famiglia, e lì la dignità viene sempre data. Raramente vi sono condizioni di lavoro difficili nelle aziende familiari, nelle piccole e medie aziende. E questo è anche uno schema che serve per capire quello che noi dobbiamo, secondo me, affrontare: ossia, come è visto il lavoro. Il lavoro non è capitale contro lavoro, non è consumatore contro impresa, il lavoro è quello che unisce la società. E affinché questo sia possibile, il lavoro deve essere dignitoso e reso in condizioni di sicurezza e salute.

Questo deriva anche da altre tradizioni, nonché dalla nostra tradizione giudaico-cristiana. Pensate che, addirittura, tra le varie prescrizioni del Catechismo Maggiore, la n. 966 dice addirittura che defraudare la giusta mercede agli operai è peccato che grida vendetta al cospetto di Dio. Pensate un po' come è radicato nella nostra cultura il concetto che il lavoro ha la sua dignità. Ed è per questo che Fratelli d'Italia appoggia questo provvedimento. E non solo perché ha un significato per la dignità del lavoro, ma perché nella passata legislatura ci sono state due proposte di istituzione di Commissione d'inchiesta, abbastanza simili a questa da parte di entrambi gli schieramenti, e nessuna delle due alla Camera (infatti, si faceva riferimento al Senato) è stata discussa.

Il valore che ha il lavoro, il valore della dignità del lavoro, per Fratelli d'Italia, viene estrinsecato anche nel sostegno a questo provvedimento che, tra parentesi, non proviene nemmeno dal nostro partito e che noi abbiamo colto, tant'è che è stato presentato il 26 ottobre, il 13 ottobre è iniziata la legislatura, quindi già 13 giorni dopo. Non sarà, magari, quella Commissione d'inchiesta, istituita sia al Senato che alla Camera nel 1955, che portò addirittura a 25 volumi, 28 tomi, tra il 1958 e il 1965, e che poi ha portato all'ossatura delle leggi in termini di lavoro, ma io spero sia una Commissione d'inchiesta che preveda quello che è il lavoro, uscendo dalla discriminazione tra lavoro dipendente e autonomo e imprenditori. Infatti, il lavoro è lavoro e garantire la sicurezza e la salute non può prescindere anche dal garantire il giusto compenso.

Se ne è discusso prima: l'equo compenso è già uno dei temi importanti per garantire la sicurezza e la salute del lavoro, perché chi approfitta o meglio non trae il giusto profitto, ma ne trae più di quello che si merita non sempre è solo quello che vende, molte volte è anche quello che compra. Nelle varie abitudini che possiamo avere tutti, anche acquistare sotto costo o acquistare prodotti che vengono realizzati in Paesi che non hanno, eufemisticamente, le nostre tutele sociali, probabilmente potrebbe essere identificato come un ingiusto profitto e uno sfruttamento delle condizioni di lavoro di altri che, magari, non sono neanche italiani e saranno anche di altri Paesi, ma l'uomo è sempre l'uomo e il lavoro è quello che dà la dignità e la misura della democrazia. E questo è da prendere in considerazione.

Ed è anche da prendere in considerazione il fatto che sono state oggetto di interrogazioni al Governo situazioni dove determinate cooperative hanno sfruttato i lavoratori che non erano per forza italiani, ma anche migranti. Quindi, anche segnalare questo problema sullo sfruttamento dei lavoratori irregolari presenti in Italia è un tema molto, molto importante sulla dignità umana. E questo lo dico affinché “si dica una cosa alla nuora perché la suocera intenda”, specialmente, Presidente, ad uno dei firmatari di questa proposta, ossia l'onorevole Soumahoro. È probabile che abbia avuto necessità di proporre una Commissione d'inchiesta, perché, magari, a casa, nessuno gli ha detto come andavano le cose nella cooperativa della suocera.

Ma oggi è anche un altro giorno importante in cui vorrei ricordare un grande imprenditore, ma soprattutto un grande uomo: Adriano Olivetti. Lui disse: “Io penso la fabbrica per l'uomo, non l'uomo per la fabbrica”. E un po' mi commuove sentire queste parole, perché conoscevo - perché purtroppo non c'è più - una persona che lavorava all'Olivetti a Ivrea, io sono di Asti, sono piemontese, ed era di lì. Questa persona fece le scuole serali e andò a lavorare nel settore paghe della Olivetti, poi fece il concorso da consulente del lavoro, diventò consulente del lavoro e nel 1996 circa ebbe un infarto e si trovò in Sala Botallo. Mi sembra fosse il 27 settembre, giorno di paga. In Sala Botallo si va solo in due, un quarto d'ora a testa. Quel giorno la moglie andò a trovare il marito e il marito le disse: “Passa in banca, gli assegni per gli impiegati sono pronti, mi raccomando non tardare neanche un giorno”.

Quella persona aveva la dignità del lavoro. Fece l'operaio, sapeva cosa voleva dire la busta paga, sapeva cosa voleva dire lavorare, ha sempre pagato i suoi dipendenti e questo ha insegnato anche ai suoi figli. Volevo ricordarlo oggi: questo era mio padre e questo dà il segno della mia attenzione al mondo del lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Malavasi. Ne ha facoltà.

ILENIA MALAVASI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Ringrazio anche io i colleghi relatori, per averci guidato in questa importante istituzione della Commissione, perché ritengo che il tema della sicurezza sul lavoro sia davvero importante e meriti tutta la nostra attenzione. Infatti, come i relatori hanno ricordato, nonostante nel nostro Paese ci sia un corpus normativo comunque all'avanguardia, approntato sicuramente negli ultimi due decenni, a partire dal decreto legislativo n. 81 del 2008, i numeri continuano a essere importanti. Parliamo di infortuni, di malattie professionali e di morti. Si tratta, quindi, di una delle questioni sociali che da troppo tempo non riusciamo ad affrontare in maniera sufficientemente incisiva. Il Presidente Mattarella ha ricordato questi numeri e li ha dichiarati allarmanti e drammatici. Li voglio anch'io ricordare, perché dietro i numeri ci sono persone, vite spezzate, famiglie distrutte, persone gravemente ferite, uomini e donne che cercano comunque giustizia. Nel 2023 non si può assolutamente pensare di lavorare mettendo a rischio la nostra vita, la propria vita.

Al 31dicembre, come ricordato in precedenza anche dalla collega Barzotti, gli infortuni denunciati nel 2022 sono stati 697.773, un numero davvero enorme, in aumento del 25,7 per cento rispetto al 2021, più o meno lo stesso aumento rispetto al 2020 e dell'8,7 per cento rispetto al 2019. Ovviamente, anche il COVID ha inciso su questi numeri. A livello nazionale, i dati evidenziano in particolare un incremento rispetto al 2021 sia dei casi avvenuti sul lavoro (28 per cento in più) sia dei casi in itinere, occorsi quindi nel tragitto casa-lavoro (11,9 per cento in più); i casi mortali sono stati 1.090. L'effetto COVID emerge anche dall'analisi dei casi mortali denunciati, che nel 2022 sono stati, come evidenziato, 1.090, 131 in meno rispetto al 2021, 180 in meno rispetto al 2020 e uno in più rispetto al 2019 pre-pandemia. Il calo rispetto al 2021 riguarda solo i decessi avvenuti sul lavoro, scesi da 793 a 790 (meno 18,8 per cento) per il notevole minor peso delle morti da contagio, mentre quelli occorsi in itinere sono aumentati del 21 per cento. Con riferimento ai dati relativi ai primi 11 mesi del 2022, si osservano incrementi generalizzati degli infortuni in occasione di lavoro quasi in tutti i settori produttivi. Anche questo è significativo, ma con alcuni dati importanti: più 125 per cento in sanità e assistenza sociale; più 94,7 per cento in trasporto e magazzinaggio; più 63,2 per cento in amministrazione pubblica, che comprende gli organismi preposti alla sanità, le ASL, gli amministratori regionali, provinciali e comunali; più 59,6 per cento nelle attività di alloggio e ristorazione. A livello territoriale, si evidenzia anche un incremento delle denunce di infortuni in tutte le aree del Paese, più consistente al Sud (più 41,8 per cento), seguito dalle isole, dal Nord-Ovest, dal Centro e dal Nord-Est, dove il dato si attesta al 16,1 per cento in più. Tra le regioni con i maggiori aumenti, segnalo, in particolare, la Campania (più 77, 4 per cento), la Liguria (più 55,6) e il Lazio (più 51,6). Sono dati importanti ed è giusto anche rilevarli come buona base di partenza per ogni riflessione politica e per prenderci anche il senso della massima responsabilità nell'affrontare il tema. Sono dati, purtroppo, costanti negli anni e le variazioni sono legate essenzialmente alle differenti fasi cicliche dell'economia, nel suo complesso. Cosa significa e cosa voglio dire? Negli anni recessivi, quando diminuiscono le ore lavorate, diminuiscono anche gli incidenti; quando l'economia riparte, ritornano a crescere anche gli infortuni e le morti. Se tale considerazione risultasse fondata, significherebbe che c'è qualcosa di preoccupante e certamente non accettabile nella nostra organizzazione del lavoro, per cui più si lavora più crescono gli infortuni sul lavoro. Questo dovrebbe richiedere e vedere il massimo impegno di tutti i protagonisti per limitarne le conseguenze.

Per un'analisi più completa, tali valori andranno verificati anche in relazione al numero delle ore effettivamente lavorate rispetto all'anno precedente. L'esperienza degli ultimi anni, infatti, ci ha mostrato una diretta correlazione tra i due fattori - tra ore lavorate e infortuni - che evidenzia una costante preoccupante proprio tra l'andamento del numero degli incidenti e quello delle ore lavorate. Uno dei fattori che si dovrebbe tenere in considerazione riguarda anche la regolarità e la stabilità dei rapporti di lavoro. Alcuni colleghi in precedenza hanno parlato di dignità del lavoro, ma è chiaro che non possiamo parlare di dignità del lavoro se non abbiamo rapporti di lavoro stabili, regolari, che possano permettere anche quel giusto compenso di cui stiamo parlando anche in queste ore. È di tutta evidenza che un lavoratore regolarmente contrattualizzato, con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ha maggiore forza contrattuale per richiedere il pieno rispetto delle norme sulla sicurezza e, al tempo stesso, è anche più motivato a implementare la propria preparazione professionale in materia di sicurezza, operando in un ambiente lavorativo che sente come proprio, per un arco temporale ragionevolmente prolungato. Si tratta di un investimento per il lavoratore, ma anche di una sicurezza crescente per l'imprenditore. Certamente, precarietà e contratti a tempo non hanno aiutato gli investimenti in formazione continua, così necessari. Credo che nessuno oggi possa negare che questo obiettivo sia ancora lontano dall'essere conseguito e, pertanto, - e ben venga la Commissione - ciò richiama tutti noi - istituzioni, forze sociali ed economiche, mondo della scienza e della sicurezza e sistema dell'informazione - a un impegno costante e rigoroso, per individuare ogni soluzione che possa ridimensionare questo grave fenomeno, che colpisce in prima misura i lavoratori, ma che genera anche costi sociali ed economici ingenti per l'intera economia e per il bilancio dello Stato.

Attualmente, come ricordato dal collega Laus, il tema della salute e della sicurezza sul lavoro è regolamentato da un testo unico, il decreto legislativo n. 81 del 2008, che ha sostituito integralmente il decreto legislativo n. 626 del 1994. Si tratta di una disciplina certamente all'avanguardia, che deve essere affiancata da un costante lavoro di vigilanza per il suo rispetto e da uno sforzo straordinario per aumentare la sensibilizzazione di tutti gli attori sociali, a cominciare dai lavoratori e dalle imprese. Ogni euro destinato alla sicurezza deve diventare, anche nella percezione collettiva, un investimento sulla qualità del lavoro, nell'efficientamento della produzione e nella competitività del nostro sistema produttivo, anche dal punto di vista reputazionale. Non possiamo certamente pensare di essere un modello di riferimento, nel nostro Paese e nella distribuzione internazionale delle catene del lavoro, con valori della sicurezza che evidenziano tanti infortuni e tante vittime. Anche da questo punto di vista, rappresentano un fondamentale monito le parole del Presidente Mattarella del 3 febbraio 2022, nel suo messaggio dopo il giuramento, quando ha declinato il concetto di dignità di una moderna e solida democrazia con le seguenti parole: “Dignità è azzerare le morti sul lavoro, che feriscono la società e la coscienza di ognuno di noi, perché la sicurezza del lavoro, di ogni lavoratore, riguarda il valore che attribuiamo alla vita”. Come già ricordato, il fenomeno degli infortuni sul lavoro sembra, infatti, non voler trovare esaurimento, né sembra muovere verso una tale direzione il sempre più massiccio ricorso alle nuove tecnologie o a nuovi metodi di lavoro, che sempre meno comportano l'impegno fisico dell'uomo. Al tempo stesso, appaiono necessarie una riflessione e una verifica specifica dell'impatto delle nuove forme di organizzazione del lavoro e, in particolare, del diffondersi dei cosiddetti contratti atipici e a tempo determinato, nonché della sostanziale e progressiva deregolamentazione del mercato del lavoro sull'andamento del fenomeno degli infortuni e della tutela della salute dei lavoratori, spesso visti come meri fattori di costo.

Sulla base di queste premesse, come Partito democratico siamo stati promotori della istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta, a prima firma della collega Gribaudo, che in tanti abbiamo sottoscritto, me compresa, proprio per provare a fare luce su questo fenomeno degli infortuni sul lavoro e sulle cause che nel tempo lo hanno determinato e alimentato, al fine di individuare e di suggerire nuovi strumenti per combatterlo e limitarne l'incidenza.

Come ricordavo prima, il Presidente Mattarella diceva, riguardo a questi numeri così drammatici e allarmanti: “Raccontano storie di vite spezzate, di famiglie distrutte, di persone gravemente ferite, di uomini e di donne che invocano giustizia. Persone che si appellano alle istituzioni, ai datori di lavoro, alla coscienza di chiunque sia nelle condizioni di rendere i luoghi di lavoro posti sicuri, in cui sia rispettata la dignità della persona”. Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha mutato radicalmente la natura e la stessa dimensione spaziotemporale dei luoghi di lavoro, ma questa fase, purtroppo, non è stata accompagnata da una crescita proporzionata delle iniziative verso la prevenzione. Così, le persone si appellano a noi ed è per questo che è un dovere istituire questa Commissione, per individuare insieme gli strumenti per arrivare ad eliminare questo fenomeno davvero inaccettabile. Non possiamo pensare di lavorare e mettere a rischio la nostra vita.

Della complessità di questo fenomeno e della problematicità del tema è testimonianza anche l'ampio spettro delle questioni su cui la Commissione si propone di indagare e che sono tantissime. Si tratta di otto punti, ricchi - devo dire - di approfondimenti continui. Li cito velocemente, perché danno il senso, secondo me, dell'impegno e della strada che si accinge a intraprendere questa Commissione. Innanzitutto, l'approfondimento della conoscenza della dimensione di questo fenomeno, degli infortuni sul lavoro. Lo ricordava prima anche la collega Barzotti, quando diceva che ci prefiguriamo di verificare e di quantificare l'esistenza delle differenze tra le vittime riguardo al genere di appartenenza, al territorio di ubicazione del luogo di lavoro, all'età, al settore lavorativo, al tipo contrattuale, al tipo aziendale o societario. Ancora, l'individuazione delle principali cause degli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo all'incidenza dei fenomeni di interposizione illecita, somministrazione irregolare di manodopera, sfruttamento, pratica del lavoro sommerso e irregolare, controllo di imprese da parte di organizzazioni criminali. Inoltre, l'accertamento del livello di applicazione delle norme antinfortunistiche e l'efficacia della legislazione vigente, la quantificazione del costo degli infortuni sul lavoro e la relativa incidenza sulla finanza pubblica, la valutazione degli eventuali casi di presenza di minori nei luoghi di lavoro, con particolare riferimento ai minori che provengono dall'estero, nonché, le misure adottate per la protezione degli stessi nei casi di esposizione a rischi di infortunio. Ancora, l'individuazione di eventuali misure di natura legislativa e amministrativa finalizzate ad accrescere l'efficacia della prevenzione e ad attenuare gli effetti degli infortuni, la valutazione della congruità delle provvidenze e degli interventi di assistenza previsti dalla normativa vigente in favore dei lavoratori e dei loro familiari, in caso di incidenti mortali, di malattia, di invalidità e di infortunio. Infine, l'analisi dei casi di sfruttamento e di minor tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nell'ambito dell'intermediazione di manodopera.

Sono tante le linee di indirizzo e gli spunti di riflessione che dovrebbero ispirare l'azione del decisore politico e ne richiamo solamente alcuni che spero possano essere oggetto dei lavori della Commissione. Credo che sia infatti necessario affiancare ad un deciso investimento e potenziamento dei sistemi di controllo e di sanzione meccanismi di incentivazione di comportamenti virtuosi delle imprese in tema di sicurezza dei propri lavoratori, anche attraverso certificazioni pubbliche per le aziende con le migliori performance in materia di sicurezza e salute, quali controlli preventivi su competenze, professionalità, numero di operai, applicazione dei contratti nazionali e assenza di sanzioni amministrative.

Per questo motivo è necessario intervenire per consentire una maggiore autonomia di spesa per l'INAIL che ha 40 miliardi di euro depositati su un conto infruttifero della Tesoreria. In linea con questo obiettivo, si consideri anche quanto previsto dall'articolo 20 del decreto-legge n. 36 del 2022, mi riferisco al PNRR, per il quale la progettazione e l'esecuzione degli interventi previsti costituiscono un'opportunità per sperimentare l'innovazione gestionale e tecnologica nel campo della sicurezza nei luoghi di lavoro. Si dispone, infatti, che l'INAIL si approcci alle imprese non più solo come assicurazione ma come partner per l'innovazione, un partner, oserei dire, strategico. In questo senso, l'INAIL promuove appositi protocolli d'intesa con aziende e grandi gruppi industriali per l'attivazione di programmi straordinari di formazione, di progetti di ricerca, di sperimentazione di soluzioni tecnologiche, di sviluppo di strumenti e modelli organizzativi avanzati, di analisi e gestione dei rischi, di iniziative congiunte di comunicazione e promozione della cultura della salute e della sicurezza. Sarà nostro impegno verificare la reale attuazione di detta disposizione e i risultati conseguiti in termini di buone pratiche da estendere. Spero che la Commissione competente venga tenuta aggiornata su questo, perché questo monitoraggio può essere una chiave di svolta anche per i futuri lavori e i futuri cantieri.

Un'altra cosa importante che ci tengo a sottolineare riguarda proprio la rappresentanza. Un lavoro sicuro - lo abbiamo detto prima - non può essere un lavoro precario, un lavoro regolato con contratti pirata firmati da organizzazioni sindacali non rappresentative, soprattutto in quei settori produttivi dove è più alto il numero degli infortuni. Dal 2012 al 2021 sono raddoppiati i contratti collettivi: 992. Solamente pochi di questi sono firmati dai sindacati più rappresentativi: solamente 25 degli ultimi 441. È evidente che è necessario addivenire alla strutturazione di una legge sulla rappresentanza, così come all'introduzione di una disciplina sul salario minimo legale, una priorità sulla quale siamo intervenuti tante volte anche in questa sede, così come sollecitato anche dagli indirizzi comunitari. Inoltre, la formazione dei datori di lavoro e soprattutto dei lavoratori è essenziale affinché si possano ridurre gli infortuni, soprattutto in epoca di repentini cambiamenti nelle tecnologie e nei sistemi di lavoro. Dunque, un lavoro stabile e non precario, un lavoro ben pagato, una formazione continua che sviluppi prevenzione e sicurezza tanto per il lavoratore quanto per l'imprenditore. La formazione deve diventare un diritto universale ed esigibile da ciascun lavoratore e vanno implementati i controlli sulla reale efficacia e anche partecipazione ai corsi, così come va integrata l'offerta formativa scolastica, a cominciare dai PCTO, con il tema della cultura della sicurezza sul lavoro: la sicurezza sul lavoro deve diventare cultura, una cultura condivisa e collettiva. Ogni euro speso in formazione sulla sicurezza non è una spesa, è un investimento e questa deve diventare una consapevolezza di tutti.

Le opportunità offerte dall'innovazione tecnologica sicuramente daranno una mano sul tema della sicurezza. Attrezzature e macchinari più moderni sono sintomo di maggiore sicurezza e salubrità, minore inquinamento e spreco. L'innovazione tecnologica e digitale consente interconnessione e decentralizzazione. Le tecnologie, lo smart working e i sistemi come la realtà aumentata e la realtà virtuale facilitano l'eliminazione degli spostamenti per ridurre con lo smart working il numero dei morti in itinere. L'automazione e i robot serviranno a ridurre il carico di lavoro e, presumibilmente, ridurranno drasticamente i lavori manuali e ripetitivi a favore di un lavoro, forse concettuale, qualificato. Ma il sistema dei controlli dovrebbe permettere di avvalersi anche di queste innovazioni tecnologiche, rendendo sempre più efficaci e mirate le attività ispettive.

Verificheremo, dunque, la fattibilità di tutti questi indirizzi su cui abbiamo tanto da lavorare, anche alla luce del prezioso lavoro che produrrà la Commissione che ci accingiamo a istituire e alla quale contribuiremo con grande determinazione. Da questo punto di vista, appare utile la previsione, che è presente nella proposta, di far riferire la Commissione almeno con cadenza annuale, con singole relazioni o relazioni generali, ma anche ogni volta che se ne ravvisi la necessità a conclusione dei propri lavori. Ognuno di questi appuntamenti dovrà rappresentare l'occasione per tradurre in provvedimenti concreti le relative indicazioni delle relazioni, così da costituire un significativo miglioramento della condizione di milioni di lavoratori del nostro Paese. Una Commissione, quindi, concreta che sappia individuare criticità e problemi ma che sappia anche proporre delle soluzioni. Serve, probabilmente, un nuovo patto sociale e culturale per riconoscere ai lavoratori la giusta dignità, i giusti trattamenti economici e di welfare ma serve un patto con i cittadini, perché solamente tenendo insieme lavoro, sicurezza e salute è possibile garantire rispetto della vita umana, dignità ai lavoratori ma anche sicurezza e investimenti per gli imprenditori, diritti fondamentali per tutti e per tutte. Solamente in questo modo, probabilmente, saremo in grado di costruire, anche grazie al lavoro di questa Commissione, un futuro di crescita e di benessere equo e sostenibile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Patriarca. Ne ha facoltà.

ANNARITA PATRIARCA (FI-PPE). Presidente, onorevoli colleghi, in attesa della relazione annuale del presidente Bettoni di metà anno, che includerà un'analisi consolidata dell'andamento degli infortuni e delle malattie professionali nel quinquennio 2018-2022, il nuovo numero del periodico Dati Inail approfondisce i dati provvisori dell'ultimo anno.

Alla data dello scorso 31 dicembre, gli infortuni denunciati nel 2022 sono stati 697.773, in aumento del 25,7 per cento rispetto al 2021 e del 25,9 rispetto al 2020. A livello nazionale, i dati evidenziano, in particolare, un incremento rispetto al 2021 sia dei casi avvenuti in occasione di lavoro sia di quelli in itinere, ossia occorsi nel tragitto di andata e ritorno tra l'abitazione e il posto di lavoro. È un quadro preoccupante, che impone una nostra assunzione di responsabilità. Il tema della sicurezza sul lavoro è, pertanto, una delle priorità a cui le istituzioni devono prestare attenzione, avendo ben presenti anche le nuove dinamiche del mercato del lavoro, gli effetti della crisi economica, ormai in corso da anni, l'introduzione delle nuove tecnologie, le trasformazioni apportate dalla globalizzazione, nonché i fenomeni di competitività sleale o questioni relative ad appalti e subappalti caratterizzati da economie di spesa per prezzi al ribasso o, ancora, da mancati pagamenti, dal peso enorme della burocrazia, da un difficile accesso al credito, da un'imposizione fiscale divenuta ormai insostenibile.

Esiste un rapporto di reciprocità e biunivocità tra il tema del lavoro e della sua sicurezza che lega indissolubilmente lavoratori e imprenditori. Comprendere che non è possibile scindere gli uni dagli altri è il primo passo per poter avere una comprensione del fenomeno più completa. Solo intervenendo in maniera incisiva sul fronte aziendale possiamo attuare una trasformazione culturale in tema di sicurezza sul lavoro.

L'istituzione di una Commissione d'inchiesta parlamentare che possa indagare sulle condizioni del lavoro in Italia si struttura oggi in un momento particolarmente delicato per il mercato del lavoro, a fronte anche del numero crescente di infortuni, e si ricollega, allargando gli orizzonti del suo ambito, al lavoro delle precedenti Commissioni, istituite nel corso delle passate legislature.

Il tema della sicurezza del lavoro e della tutela del lavoratore da ogni forma di sfruttamento è un argomento trasversale: non riguarda solo una parte politica, non può essere declinato in chiave ideologica e le difficoltà del mercato non possono essere certamente un'esimente sul fronte della sicurezza, ma nemmeno ridotte a elemento marginale nell'analisi macroeconomica del mercato del lavoro. Un mercato complesso, come si diceva, in continua evoluzione e soggetto ai eventi impetuosi di un cambiamento globale. Pertanto, diventa necessario contrastare con ogni forza le forme di illegalità che si esprimono nel lavoro nero, nel caporalato e nello sfruttamento del lavoro, tenendo presente che un ulteriore deterrente dev'essere rappresentato da una vera trasformazione culturale, attraverso un percorso sistematico di formazione e informazione. A tal proposito, la Commissione parlamentare d'inchiesta istituita nella scorsa legislatura al Senato ha inteso promuovere con determinazione la realizzazione di un'apposita campagna di sensibilizzazione delle giovani generazioni sulle tematiche della sicurezza sui luoghi di lavoro. In particolare, su iniziativa della Commissione e in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione è stato realizzato un video animato rivolto ai ragazzi delle scuole, nell'ambito di un progetto pilota denominato “Prevenire è Geniale”. Quello che risulta necessario, infatti, è un vero e proprio cambio di passo o, meglio, di cultura e di mentalità che porti a concepire come il diritto alla sicurezza sul lavoro, riguardando beni tutelati della nostra Carta fondamentale come il diritto alla vita e all'integrità fisica, insito nel concetto stesso di diritto al lavoro. Penso, ad esempio, a campagne di sensibilizzazione e a programmi di formazione, alla condivisione di best practice tra aziende e lavoratori attraverso incontri e convegni, alla possibilità di riconoscere alle aziende benefici a lungo termine per investimenti nella prevenzione degli incidenti, anche e soprattutto attraverso l'adozione di nuove tecnologie che migliorino la sicurezza sul lavoro e riducano i rischi, come l'utilizzo di robot o dell'intelligenza artificiale.

Di fronte al quadro normativo vigente, occorre promuovere analisi e interventi che tengano conto dell'esperienza degli ultimi anni, dopo il testo unico sulla sicurezza del 2008, e dei lavori svolti dalla Commissione istituita nella scorsa legislatura al Senato, con lo scopo di tutelare il lavoro sul piano materiale e morale, rientrando il diritto alla vita, alla salute e alla dignità del lavoro tra i diritti inviolabili della persona.

Questa Commissione nasce per analizzare e comprendere il fenomeno, per far luce sulle cause del fenomeno stesso, ma anche per cercare gli strumenti per fermare la crescita degli infortuni e dello sfruttamento in ogni sua forma. L'obiettivo finale è la costruzione di un sistema che preveda, oltre all'identificazione dei pericoli, la valutazione dei rischi e le conseguenti misure di prevenzione e protezione.

Poi, voglio citare le massime autorità religiose e politiche. Come recentemente ha ribadito Papa Francesco nel parlare di lavoro dignitoso, dobbiamo promuovere il lavoro dignitoso, cioè libero, creativo, partecipativo, solidale, e studiare i motivi che ne impediscono la piena e completa realizzazione, tanto dalla parte dei lavoratori quanto da quella delle imprese, perché, come ha sostenuto più volte il Presidente Mattarella, lavorare non può significare porre a rischio la propria vita.

Forza Italia è da sempre al fianco dei lavoratori e dei datori di lavoro, nella consapevolezza che è sul lavoro che si basa il rispetto della dignità della persona e pertanto ci adopereremo, anche in questo caso, affinché la Commissione sia operativa e la sua azione costruttiva e incisiva.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - Doc. XXII, n. 6-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori, deputati Laus per la XI Commissione (Lavoro) e Ciocchetti per la XII Commissione (Affari sociali), e il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Molinari ed altri n. 1-00045 concernente iniziative in materia di riconoscimento di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico specializzati nelle patologie ambientali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Molinari ed altri n. 1-00045 concernente iniziative in materia di riconoscimento di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico specializzati nelle patologie ambientali (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Quartini ed altri n. 1-00104, Furfaro ed altri n. 1-00105 e Zanella ed altri n. 1-00109, che, vertendo su materie analoghe a quelle trattate dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Simona Loizzo, che illustrerà anche la mozione Molinari ed altri n. 1-00045, di cui è cofirmataria.

SIMONA LOIZZO (LEGA). Grazie al Presidente e ai gentili colleghi. Voglio aprire questo mio intervento con un assunto e con alcuni dati specifici di natura scientifica. L'assunto è che l'ambiente incide sulla salute. È norma della Commissione europea ormai la one health. Non c'è salute, né alcun tipo di prevenzione, nelle tematiche salutari, se non c'è anche il controllo dell'ecosistema. Sembra banale dirlo, ma non lo è, perché è sufficiente pensare all'inquinamento da particolato e al suo impatto sul sistema respiratorio. Ma non ci sono solo fattori evidenti e noti a tutti. Infatti, l'inquinamento potrebbe favorire la diffusione di agenti patogeni, di altri fattori biologici e non biologici (come, al momento, sono tracciate le sostanze chimiche e fisiche contaminanti). Ciò per dire che più gli ambienti sono insalubri, più i nostri minori sono a rischio, se questi ambienti insalubri non vengono controllati. Ma c'è di più. Noi conosciamo le patologie con eziologia ambientale e più le conosciamo più siamo in grado di prevenirle e curarle, fino a sconfiggerne il maggior numero possibile.

Poi ci sono i numeri, che sono drammatici. Come ricordato nella parte narrativa della mozione che ci apprestiamo a votare nei prossimi giorni, il 24 per cento di tutte le malattie a livello globale è dovuto all'esposizione a fattori ambientali. Pur essendo una percentuale già ragguardevole, questa sale al 33 per cento, se parliamo di patologie che colpiscono i bimbi al di sotto dei 5 anni di età. Dunque, milioni di vite a repentaglio in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi meno sviluppati, dove persino un sorso d'acqua rappresenta una grande minaccia.

Ma i dati relativi al nostro Paese, elaborati dalla Società italiana di medicina ambientale, meritano, comunque, una grande attenzione. Circa 90.000 persone ogni anno muoiono prima di aver raggiunto l'età corrispondente alle aspettative di vita, e questo è tanto più vero in quelle regioni, come quelle meridionali, in cui il controllo degli agenti patogeni di tipo ambientale è meno sotto controllo.

Alla perdita prematura di vite si somma anche l'impatto, in parte evitabile, sul sistema sanitario e sull'aspetto economico che ne deriva, con costi importanti per le cure, l'assistenza medica ospedaliera e per le giornate lavorative perse: miliardi di euro che dovrebbero e potrebbero essere dedicati ad altro.

La mozione ha un solo impegno: il riconoscimento formale di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico specializzati in patologie causate da fattori ambientali, aree di ricerca al momento non contemplate dalle ricerche normative che disciplinano gli IRCCS; discipline che, tuttavia, possono essere integrate su iniziativa del Ministero della Salute.

Restando in ambito normativo, un decreto varato dal Governo Draghi ha previsto la nascita del Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici e, successivamente, di analoghe strutture a livello regionale. Una rete finalizzata al coordinamento, al monitoraggio e all'efficientamento di ogni azione volta a favorire la prevenzione e l'analisi dei rischi legati a fattori ambientali.

Con la mozione si chiede implicitamente al Governo di integrare la lista delle aree di ricerca - perché fossilizzare o mettere paletti alle aree di ricerca significa non favorirle - nonché di provvedere al riconoscimento di quegli IRCCS specializzati in patologie causate da fattori ambientali. Per completezza d'informazione, ad oggi, ci sono alcune strutture sanitarie pubbliche che già fanno, con difficoltà, ricerca su tali fenomeni e che ambirebbero al giusto riconoscimento per poter avere più risorse di natura non solo e non tanto economica, quanto di collegamento con la rete degli IRCCS, in un'ottica di multidisciplinarietà e medicina traslazionale, appunto nell'ottica di one health. Tra queste, per esempio, l'azienda ospedaliera di Alessandria che da tempo chiede il riconoscimento anche in ragione di risultanze epidemiologica impressionanti legate al mesotelioma, ad oggi uno dei “big five” dei tumori polmonari che non sono ancora curabili.

Neanche un anno fa, è stata decisa la nascita del Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici e di analoghe strutture a livello regionale importanti. Questo è l'unico obiettivo che ci prefiggiamo, in sintesi: coordinare e rendere più efficace ogni azione volta a favorire la prevenzione, ma, soprattutto, l'analisi schematica, quotidiana, efficace dei rischi.

Per completare il quadro manca un unico fattore che è potenziare la ricerca scientifica specifica, quella che alcune strutture oggi, in seno all'ambiente, sono capaci di dare (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marianna Ricciardi, che illustrerà anche la mozione Quartini ed altri n. 1-00104, di cui è cofirmataria.

MARIANNA RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente. Un ambiente sano e il benessere ambientale sono la premessa fondamentale per la salute e il benessere dell'essere umano. Sono ormai tantissimi in tutto il mondo gli studi scientifici accreditati che attestano quanto l'inquinamento ambientale sia responsabile di un'ampia gamma di patologie. Il legame tra COVID-19 e danni all'ambiente è stato ampiamente dibattuto e rappresenta l'esperienza empirica plastica, su scala mondiale, che ci ha presentato il conto di scempi che l'opera dell'uomo ha perpetrato all'ambiente per anni.

Oggi, colleghi e colleghe, nell'illustrare questa mozione, colgo l'occasione per citare l'area nord di Napoli, perché, anche senza ricorrere ai dati certi della scienza, ogni cittadino di quei territori saprebbe dire che da noi si muore di più e con determinate patologie maggiormente da quando l'ambiente è stato violentato e alterato.

A dicembre 2019, però, qui, alla Camera, ricordo che fu presentato lo studio Veritas sulla Terra dei fuochi, che fugò ogni dubbio riguardo la correlazione tra elevata incidenza e mortalità tumorale e la presenza di sostanze tossiche. I dati evidenziarono un'alta concentrazione di metalli nel sangue di malati oncologici provenienti da zone come Pianura, Qualiano, Castel Volturno e Giugliano, particolarmente interessate da discariche e sversamenti illegali. Quelle zone, con tanti altri paesi limitrofi, sono le aree di un tristemente noto disastro ambientale conosciuto in tutto il mondo e per il quale la rivista scientifica The Lancet Oncology ha coniato la definizione di “triangolo della morte”.

Ci sono “Terre dei fuochi” in tutta Italia, questo voglio ricordarlo, e in tutta Italia serve che la politica smetta di guardare dall'altra parte e comprenda che quello dell'inquinamento ambientale non può essere trattato come un problema secondario, perché non lo è; ce lo gridano, per esempio, le morti premature dovute a inquinamento atmosferico.

Il rapporto dell'OMS intitolato “Prevenire le malattie grazie a un ambiente migliore: verso una stima del carico di malattia legato all'ambiente” rappresenta finora il contributo più completo e sistematico su quanto i fattori di rischio ambientale possano contribuire ad un'ampia gamma di malattie e incidenti.

Secondo i dati di quel rapporto, circa il 24 per cento di tutte le malattie nel mondo è dovuto all'esposizione a fattori ambientali, più del 33 per cento delle malattie nei bambini al di sotto dei 5 anni è dovuto a fattori ambientali.

Prevenire l'esposizione a questi fattori di rischio salverebbe circa 4 milioni di vite all'anno solo fra i bambini, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, pensate.

Le stime ci dicono che circa 70.000 persone, nel nostro Paese, sono morte prematuramente nel 2020 a causa dell'inquinamento e si tratta di oltre un quarto delle 311.000 che in quell'anno hanno perso la vita, nell'Unione europea, per aria contaminata oltre i livelli stabiliti dall'Organizzazione mondiale della sanità. Siamo sul podio per morti, in numeri assoluti, imputabili a tutte le sostanze contaminanti, secondo il rapporto sulla qualità dell'aria 2022 dell'Agenzia europea dell'ambiente, e la causa principale dei decessi si rinviene nelle polveri PM2,5, il particolato sottile con diametro inferiore alle PM10, emesse da automobili, industrie e riscaldamento.

Le politiche per la qualità dell'aria falliscono da anni per mancanza di volontà politica e gli incentivi all'inquinamento continuano, nonostante la Commissione europea abbia avviato contro l'Italia una procedura di infrazione per superamento dei limiti di PM2,5 e ci siano state due condanne per il biossido di azoto e una per le PM10. Assurdo, visto che l'Italia è tra i Paesi europei che deve compiere i più netti progressi per l'attuazione della Zero pollution strategy europea, che sottende la revisione delle linee guida per la qualità dell'aria presentate dalla Commissione europea lo scorso ottobre, per allinearsi alle più stringenti direttive OMS, utilizzando al meglio i fondi del PNRR per invertire rapidamente la rotta con un'attenta strategia di allocazione delle risorse e verifica in corso dei risultati prodotti da azioni specifiche, in grado di impattare sui temi della salute, dell'ambiente e dei cambiamenti climatici.

La dichiarazione di Ostrava della sesta Conferenza interministeriale su ambiente e salute indica, tra i punti cruciali su cui deve svilupparsi la strategia ambiente e salute per i prossimi anni, la necessità di sviluppare azioni di sistema intersettoriali che mettano al centro la prevenzione, ponendo la massima attenzione ai settori più svantaggiati; l'importanza della condivisione della responsabilità con tutti i livelli di governo, da quelli internazionale e nazionale a quelli locali, coinvolgendo i cittadini e i portatori di interesse con azioni estese sul territorio, dentro e fuori i propri confini, e proiettate su scale temporali lunghe. In quest'ottica si colloca l'approccio one health, un modello sanitario basato sull'integrazione di discipline diverse e sul riconoscimento che la salute umana, quella animale e dell'ecosistema sono legate indissolubilmente. Tale approccio è riconosciuto ufficialmente quale strategia rilevante per raggiungere la salute globale, perché affronta i bisogni delle popolazioni più vulnerabili sulla base dell'intima relazione tra la loro salute, la salute dei loro animali e l'ambiente in cui vivono, considerando l'ampio spettro di determinanti che da questa relazione emerge.

Per un'efficace azione di contrasto alle malattie ambiente correlate occorre potenziare, integrare e rendere pienamente operativi i sistemi di sorveglianza e i registri già indicati nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 marzo 2017, con l'identificazione dei sistemi di sorveglianza e dei registri di mortalità, di tumori e di altre patologie e occorre potenziare la capacità di agire sul territorio con indagini sul campo e di monitorare in tutte le aree del Paese l'attività delle strutture territoriali, con valutazioni di performance e di esito.

Secondo l'ECBA Project, le esternalità ambientali in Italia causano un danno alla salute di oltre 48 miliardi di euro all'anno. La stessa Agenzia europea ambientale stima dati simili per le aree con qualità dell'aria più scarsa. In sostanza, ogni anno, circa un terzo della spesa sanitaria globale, pubblica e privata, in Italia, dipende da fattori ambientali e non è sostenibile proseguire con la richiesta agli operatori sanitari di più ore lavorate e più anni di vita lavorativa.

Nell'ambito delle ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è prevista l'istituzione del Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici, allo scopo di monitorare, migliorare e armonizzare le politiche e le strategie messe in atto dal Servizio sanitario nazionale per la prevenzione, il controllo e la cura delle malattie acute e croniche, trasmissibili e non trasmissibili, associate a rischi ambientali e climatici e delle zoonosi.

La legge 3 agosto 2022, n. 129, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riordino della disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, di cui al decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288.

Con la nostra mozione chiediamo al Governo di impegnarsi nel promuovere il riconoscimento degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici specializzati nelle patologie ambientali, in coerenza con le esigenze di prevenzione e controllo delle patologie correlate all'ambiente, nel quadro di iniziative volte a favorire la massima diffusione di centri pubblici di ricerca per approfondire la conoscenza dei vari determinanti ambientali nelle patologie, anche in rapporto alle specificità territoriali.

Chiediamo anche l'impegno nel promuovere con ogni strumento utile, anche in collaborazione con le università, il potenziamento delle attività di studio e ricerca per l'identificazione, misurazione e prevenzione dell'impatto di fattori ambientali sulla salute, anche incrementando adeguatamente le risorse finanziarie da destinare a tale fine (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Malavasi, che illustrerà la mozione Furfaro ed altri n. 1-00105, di cui è cofirmataria.

ILENIA MALAVASI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Intervengo volentieri su queste mozioni anche per presentare la nostra, perché anche in questo caso parliamo di un tema importante, ossia quanto sia centrale la ricerca sanitaria per un sistema sanitario nazionale che deve essere efficace per garantire un buon diritto alla salute a tutti i cittadini. In questo campo sicuramente gli IRCCS svolgono un ruolo fondamentale: sono importanti istituzioni per il nostro Paese che hanno il compito di unire le capacità assistenziali e di cura di un ospedale con le legittime esigenze di ricerca in ambito biomedico a cui un Paese come l'Italia deve ambire.

La legge n. 129 del 2022 ha delegato il Governo - è scritto anche nelle mozioni, devo dire in tutti i testi che sono stati presentati - ad adottare uno o più decreti per il riordino della disciplina degli IRCCS come primo fondamentale passaggio per l'attuazione della Componente 2, Missione 6, del PNRR, relativa all'innovazione, alla ricerca e alla digitalizzazione del sistema sanitario nazionale.

Nello specifico, la Missione 6 ha impegnato il nostro Paese a revisionare e ad aggiornare il regime giuridico e l'assetto ordinamentale degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico allo scopo di rafforzare la sinergia tra ricerca, assistenza, cura e innovazione.

Gli IRCCS sono, infatti, istituti di eccellenza di rilievo nazionale per la ricerca e la cura, e costituiscono assi portanti sia per la ricerca sia per la cura, strettamente connessi tra di loro, sulla cui collaborazione si fonda l'attività di questi istituti. Promuovono lo sviluppo e l'applicazione delle innovazioni terapeutiche e delle nuove tecnologie in campo biomedico e sanitario, e sono punti irrinunciabili per la tutela della salute dei cittadini, con particolare riferimento alle malattie rare e complesse, ai tumori, alle altre patologie che richiedono prestazioni di altissima specializzazione. È del tutto evidente che si tratta di una riforma importante perché la qualità della ricerca, quando ha effetti concreti misurabili per la vita delle persone e per la collettività, ha un valore inestimabile per il nostro Paese.

La ricerca sanitaria si connota per le sue straordinarie implicazioni, riconducibili non solo all'ambito della salute, ma anche ad un'ampia dimensione sociale ed economica. Con quel provvedimento del 2022 il Parlamento ha dettato principi e criteri direttivi per impegnare il Governo a potenziare il ruolo degli IRCCS, revisionando gli standard di valutazione secondo classificazioni uniformi e internazionalmente riconosciute, valorizzando la partecipazione a reti di ricerca nazionali e internazionali, garantendo il trasferimento tecnologico dei risultati, disciplinando anche le modalità di accesso alle prestazioni di alta specialità erogate dagli IRCCS, assicurando il raccordo tra direzione scientifica e direzione generale, tra attività di ricerca e attività di cura e assistenza, la cui integrazione è imprescindibile per una ricerca sul campo dell'eccellenza.

Una riforma, dunque, necessaria perché il sistema è composto da un gran numero di istituti tra loro molto eterogenei quanto a dimensioni, tematiche, performance e distribuzione sul territorio nazionale, e che, risultando dalla configurazione risalente al 2003, non è più rispondente alle esigenze di oggi.

Il ruolo che gli IRCCS svolgeranno nei prossimi anni sarà determinante per assicurare al nostro Paese un ruolo di primo ordine nel panorama internazionale della ricerca biomedica. L'attività di ricerca da loro condotta presenta infatti la peculiarità di realizzare uno scambio continuo e proficuo di conoscenze tra il laboratorio e la clinica, trovando in ogni ricerca prodotta uno sbocco nelle applicazioni terapeutiche ospedaliere, con una ricaduta diretta sull'assistenza dei pazienti. Una riforma che è intervenuta anche sui criteri di valutazione riferiti proprio alla localizzazione territoriale dell'istituto, all'area tematica oggetto di riconoscimento e al bacino minimo di utenza per ciascuna area tematica.

È chiaro che serve garantire un'equa distribuzione territoriale, disciplinando le modalità di accesso da parte dei pazienti extraregionali alle prestazioni di alta specialità erogate in relazione all'appropriatezza e all'ottimizzazione dell'offerta sanitaria per il sistema sanitario nazionale, prevedendo meccanismi di adeguamento dei volumi di attività nell'ambito dei budget di spesa complessivi e regionali. Infatti, pur essendo cresciuto notevolmente il numero degli IRCCS, la loro dislocazione è molto disomogenea, con una maggiore concentrazione nelle regioni del Nord rispetto al Sud. Ammalarsi di una patologia rara e complessa nel Sud del Paese non è la stessa cosa di ammalarsi al Nord, perché la stragrande maggioranza degli IRCCS (e abbiamo spesso parlato anche in Commissione di mobilità tra regioni) attualmente in Italia è al Centro-Nord. Al Sud ve ne sono solamente 5 pubblici e 5 privati, ma i pubblici in totale sono 23 nel Paese e 30 sono i privati: questo divario non è sopportabile.

Bisogna promuovere la collaborazione tra gli IRCCS e gli enti ospedalieri per trasferire expertise e competenze in modo da andare verso un rafforzamento dei sistemi sanitari regionali più fragili e limitare la mobilità sanitaria. Di questo siamo tutti consapevoli, ma ciò si deve realizzare attraverso uno sforzo delle istituzioni e l'impiego di risorse adeguate.

Quello che non si può fare è raggiungere questi obiettivi a spese dei pazienti più fragili del nostro Paese; non era prospettabile prima del COVID e non lo è soprattutto adesso, dopo una pandemia. Una questione, dunque, che ci deve interrogare e che rientra nel più vasto problema relativo alla disomogeneità del sistema sanitario nazionale.

E il progetto di autonomia differenziata proposto dal Ministro Calderoli ci preoccupa enormemente, perché rischia inevitabilmente di acuire il problema, consentendo nei fatti che non si possa più garantire, nelle forme e nei modi previsti dalla Costituzione, il diritto alla salute.

A seguito dell'approvazione della delega, è stato varato inoltre il decreto legislativo n. 200 del 23 dicembre 2022, recante (lo abbiamo visto nella nostra XII Commissione) il riordino della disciplina degli IRCCS a carattere scientifico, con cui sono stati introdotti criteri e standard internazionali per il riconoscimento e la conferma del carattere scientifico degli IRCCS, con la valutazione dell'impact factor, della complessità assistenziale e dell'indice di citazione per garantire la presenza di sole strutture di eccellenza. Sono state anche definite le modalità per l'individuazione del bacino minimo di riferimento atte a rendere la valutazione per l'attribuzione della qualifica di IRCCS più coerente con le necessità dei diversi territori.

Per il riconoscimento dei nuovi IRCCS il decreto legislativo stabilisce che il Ministero sia chiamato a valutare la compatibilità dell'istanza rispetto al fabbisogno nazionale delle prestazioni di eccellenza e di ricerca sanitaria, tenendo conto delle caratteristiche epidemiologiche dell'area di riferimento. Questa per noi è una procedura necessaria per rendere la valutazione dell'attribuzione della qualifica di IRCCS più oggettiva e coerente con le necessità dei diversi territori, evitando concentrazioni di IRCCS nella stessa regione e favorendo una distribuzione più equilibrata ed equa.

Per gli attuali 53 IRCCS, come dicevo prima - nel 2003, lo ricordo, erano solamente 35 - le risorse sono rimaste invariate. Il Fondo di ricerca è rimasto sostanzialmente costante negli anni, con la conseguenza che il finanziamento è stato ridotto per ogni IRCCS del 50 per cento. Dai 5 milioni di euro del 2000, quale media di finanziamento per ciascun istituto, si è arrivati agli attuali 1.900.000 euro.

È chiaro che qualcosa non funzioni come dovrebbe e che gli investimenti non sono sufficienti a tenere il passo delle riforme. Le riforme, anche le migliori, senza risorse fanno inevitabilmente fatica a dispiegare i loro effetti migliori.

Il riordino avviato costituisce sicuramente una tappa estremamente importante e doverosa per il futuro della ricerca biomedica in Italia, ma non si possono fare grandi cambiamenti e attendersi grandi risultati con le clausole dell'invarianza finanziaria. I dati recentemente pubblicati dall'OCSE indicano che il nostro Paese investe in ricerca una cifra pari all'1,4 per cento del PIL, contro una media europea del 2,1 per cento. A ciò si aggiunga che, dopo la pandemia, i Paesi OCSE hanno intensificato gli investimenti in ricerca e sviluppo, mentre in Italia abbiamo fatto più fatica.

Eppure sappiamo bene quanto i cluster fondamentali di sviluppo per i prossimi anni saranno salute, industria, conoscenza, clima, infrastrutture e sicurezza.

In questo quadro - lo voglio dire chiaramente - non possiamo più permetterci di perdere alcuni dei nostri migliori talenti, che preferiscono fare ricerca all'estero. Dobbiamo procedere con una gestione efficiente della dotazione organica della ricerca e tutelare il know-how migliore al mondo. L'evoluzione storica che gli IRCCS hanno vissuto negli ultimi anni richiede un piano strategico di prospettiva sul loro futuro, in qualità di attori del Sistema sanitario nazionale per la promozione della ricerca e dell'innovazione, elementi cardine per un'assistenza di eccellenza. Ripeto: l'eccellenza e la competitività dell'attività di ricerca non possono prescindere dalle risorse umane impiegate, dal rafforzamento del ruolo dei ricercatori e dalla previsione di un percorso che possa portare ad una loro stabilizzazione in termini di contratto. Su questo punto siamo convinti che serve un maggiore impegno; non possiamo continuare a penalizzare i nostri migliori talenti e farli fuggire all'estero. Occorre intervenire attraverso la definizione di un percorso professionale che dia una concreta stabilizzazione ai ricercatori. Bisogna lavorare per rendere il loro percorso sicuro, in modo da dare loro anche orizzonti certi a uno sbocco professionale.

Tornando al tema specifico degli IRCCS richiamato nella mozione, nonostante il Fondo di ricerca sia rimasto sostanzialmente invariato essi sono riusciti comunque a mantenere alti standard di qualità e di ricerca, dimostrando di saper impattare efficacemente sulla produzione scientifica internazionale. In questo quadro di grande qualità e di grande lavoro dei nostri ragazzi ricercatori è di massima importanza, in materia di nuovi riconoscimenti, la previsione secondo cui, in sede di riparto del fabbisogno del Sistema sanitario nazionale standard, possa essere vincolata una quota per il finanziamento della ricerca degli stessi IRCCS, nel rispetto della programmazione delle attività e dei volumi degli istituti stessi. In tal modo, si prevede che l'ingresso nel sistema dei nuovi IRCCS sia accompagnato da un meccanismo di integrazione del finanziamento della ricerca sanitaria funzionale al miglioramento qualitativo delle prestazioni assistenziali erogate nonché all'ampliamento del panorama degli istituti in modo che non si determini un eccessivo frazionamento delle risorse per la ricerca sanitaria, con possibile pregiudizio dei livelli di eccellenza clinica e di ricerca. Nonostante il quadro di eccellenza, pur nella scarsezza di risorse stanziate, non vi è alcun IRCCS che si occupi di studiare patologie legate agli agenti atmosferici e agli agenti ambientali, nonostante questi siano in continuo aumento ed il rapporto con l'ambiente sia una delle determinanti fondamentali dello stato di salute della popolazione umana. Comprendere quali siano gli elementi da tenere in considerazione da un punto di vista epidemiologico per valutare l'impatto di diversi fattori è un compito importante, che richiede di affidarsi a esperti che sappiano tenere insieme dati ambientali, territoriali, urbanistici, dati relativi alla mortalità ma anche indicatori sanitari, elementi demografici, culturali e sociali. Elaborando e tenendo insieme tutte queste variabili è possibile declinare azioni di politica sanitaria in grado di migliorare la qualità di vita dei cittadini e contenere i danni provocati dalle specifiche componenti ambientali. Il decreto n. 36 del 2022 ha istituito il Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici. Questo significa che sono stati riconosciuti nel nostro Paese, dalla normativa italiana, l'approccio one health e l'evoluzione planetary health, con lo sviluppo dell'istituto Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici. Lo scopo è proprio quello di migliorare le politiche e le strategie messe in atto dal Servizio sanitario nazionale per la prevenzione, il controllo e la cura delle malattie associate ai rischi ambientali e climatici. È urgente definire strategie integrate e olistiche di diagnostica, prevenzione, valutazione e gestione dei rischi ambientali per le patologie umane, a livello nazionale, regionale e locale. Lo dico chiaramente: dobbiamo fare in modo che questo approccio diventi un meccanismo di prevenzione. La pandemia ha trasformato la nostra società e i cambiamenti avvenuti hanno impattato su diversi settori, non da ultimo quello della diagnostica, imponendo nuove dinamiche operative, organizzative e gestionali. La gestione del rischio è diventata fondamentale per la prevenzione, la diagnostica e la promozione della salute pubblica, accentuando l'attenzione sullo studio di nuove malattie infettive emergenti. L'approccio multidisciplinare integrato one health rappresenta dunque una grande opportunità per limitare il rischio di nuove pandemie e l'avvento di nuove malattie infettive. Ma in Italia dobbiamo ancora tanto lavorare. Oltre ai 20 miliardi del PNRR esiste infatti un Fondo complementare, dedicato nello specifico a salute, ambiente, biodiversità e clima. Questo piano prevede lo stanziamento di 500 milioni di euro, con l'obiettivo di implementare programmi di approccio integrato con il modello one health ma, senza l'istituzione di tavoli tecnici regionali, interistituzionali, intersettoriali e interdisciplinari per la definizione e la condivisione di percorsi e procedure integrate, questi fondi potrebbero risultare non efficaci.

Mi accingo alla conclusione. Siamo certi che il Governo si vorrà impegnare, nel caso si valutasse la necessità di istituire nuovi IRCCS per quanto riguarda le patologie correlate all'ambiente in ragione di una maggiore tutela della salute delle persone, a collocarli in quei territori dove maggiore è la carenza di tali istituti, in particolare al Sud; la collega Loizzo difende sempre il suo territorio e ci parla sempre di finanziamenti al Sud. Tale riconoscimento dovrà essere accompagnato da un adeguato finanziamento del Fondo sanitario nazionale, con l'obiettivo di evitare un'ulteriore grave diminuzione del finanziamento medio, attualmente pari a 5,9 milioni di euro; eravamo a 5 milioni, all'inizio. Si tratta di un impegno che dobbiamo prendere con il Paese perché, ad oggi, l'attenzione al paziente e la valorizzazione della ricerca come missione devono essere messe al centro di un approccio integrato e indirizzato anche alle patologie ambientali come risposta ai bisogni territoriali e globali, sviluppando un modello teso a migliorare le cure al paziente, a valorizzare l'attività dei professionisti, a ottimizzare i percorsi integrati, nella consapevolezza che chi ricerca cura. Non siamo certamente contrari a istituire nuovi IRCCS né tantomeno a istituirli in ambito scientifico legato alle patologie ambientali, ma crediamo che non servano né fughe in avanti né nuovi IRCCS un po' ad personam, leggendo fra le righe. In realtà, nemmeno leggendo tra le righe perché la collega Loizzo, prima, ha citato una città come candidata ad accogliere questo IRCCS. Oggi ci sono molte richieste pendenti di nuovi IRCCS, 22 richieste che non abbiamo ancora vagliato. Gli IRCCS andranno riconosciuti solo qualora abbiano caratteristiche e requisiti necessari e dovuti, ma non possono essere certamente attivati senza risolvere alcune criticità strutturali che ho provato a ricordare, quali la stabilizzazione del personale di ricerca a tempo indeterminato, e senza finanziamenti aggiuntivi, che vengono in questo caso altrimenti a depotenziare gli IRCCS esistenti e la ricerca, indici invece di uno Stato avanzato e all'avanguardia come il nostro. Non bisogna quindi demordere, dobbiamo continuare a investire, a destinare più risorse, a cercare di essere coerenti e ad accogliere richieste di nuovi IRCCS laddove ci siano i requisiti necessari e dovuti, cercando di garantire il diritto alla salute in tutto il Paese ai cittadini e alle cittadine (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Imma Vietri. Ne ha facoltà.

IMMA VIETRI (FDI). Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevoli colleghi, le grandi scoperte esistono grazie alla ricerca, ma anche i piccoli passi sono spesso risultati importanti nel percorso verso il miglioramento della qualità di vita per i pazienti e per lo sviluppo di nuove cure. Gli IRCCS sono strutture di eccellenza riconosciute a livello ministeriale, svolgono attività di ricerca nel campo biomedico su una o più aree. Il denominatore comune a tutti gli IRCCS è sicuramente la ricerca, ma quello che li differenzia da istituzioni come l'università, il CNR o altri enti di ricerca è lo stretto legame con la clinica. Attualmente, in Italia, sono 53, di cui 22 pubblici e 31 privati, e afferiscono alle seguenti aree di esperienza: oncologia, cardiologia, dermatologia, diagnostica, riabilitazione, pediatria e materno infantile, trapianti, neurologia, geriatria, malattie infettive, gastroenterologia, neuroscienze, psichiatria, oftalmologia e ritardo mentale. Gli accadimenti degli ultimi anni, sul piano sia sanitario sia climatico, dovrebbero aver richiamato definitivamente l'attenzione sulla necessità di riconoscere che non possiamo più occuparci della salvaguardia della vita sul nostro pianeta per compartimenti stagni, come se esistesse una salute umana, una salute degli animali e una dell'ambiente nel quale viviamo, senza che queste siano indissolubilmente legate le une alle altre. Solo alcuni dati per inquadrare il problema: l'Italia primeggia in Europa per decessi prematuri dovuti direttamente all'inquinamento atmosferico, con in media 77.000 decessi all'anno.

Ma l'ambiente ha ricadute anche sul rischio di cancro, che causa circa 200.000 decessi l'anno in Italia e che, negli ultimi 10 anni, è stato la prima causa di morte per malattia in età pediatrica. Ancora, per l'OMS, dei 35.000 decessi totali per infarto ed eventi coronarici, 9.000 sono correlati all'esposizione a inquinanti; per l'ictus, su 50.000 eventi, 12.000 sono correlati a fattori ambientali. Complessivamente, si stima che circa 6 milioni di italiani siano affetti da malattie ambiente correlate. Il rapporto con l'ambiente, infatti, è una delle determinanti fondamentali dello stato di salute della popolazione umana.

Secondo l'Istituto superiore di sanità, comprendere quali sono gli elementi da tenere in considerazione, da un punto di vista epidemiologico, per valutare l'impatto di diversi fattori sullo stato di salute è un compito molto complesso ed è solo tramite l'incrocio tra dati ambientali, territoriali, urbanistici ed epidemiologici della mortalità, così come di altri indicatori sanitari, demografici, culturali e sociali, che si può tracciare, per una determinata popolazione, una serie di scenari possibili, utili a regolare e a prevedere, quando necessario, azioni di politica sanitaria che migliorino la salute della popolazione e limitino i danni derivanti da specifiche componenti ambientali. L'ambiente può influire indirettamente o direttamente sulla salute, può favorire la circolazione di agenti patogeni e altri fattori biologici, come, ad esempio, i pollini e altri allergeni, che colpiscono, quando presenti, la popolazione suscettibile; oppure può agire per mezzo di fattori non biologici, come la presenza di contaminanti chimici e fisici. In questo caso è più difficile determinare una relazione causa-effetto e gli studi epidemiologici cercano di descrivere e quantificare i danni da esposizione, sia acuta che cronica, a diverse sostanze.

Infine, l'ambiente può essere origine di incidenti e invalidità, quando sul lavoro, come sulla strada, non vengono osservate adeguate misure di sicurezza e protezione delle persone.

In generale, la prevenzione delle malattie di origine ambientale richiede uno sforzo complesso di azione, sia sui comportamenti e gli stili di vita che sulle norme e sulle misure istituzionali che consentono di garantire la sicurezza della popolazione esposta ai rischi ambientali. In tale contesto, il PNRR, con le misure messe in campo, mira a potenziare il ruolo degli IRCCS, quali istituti di ricerca e cura di eccellenza, di rilevanza nazionale e internazionale, e a rendere il loro riconoscimento più rispondente alle necessità dei diversi territori. È, infatti, dallo scorso mese di dicembre il decreto legislativo che ha previsto il riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, in attuazione delle previsioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che dispone espressamente la revisione e l'aggiornamento dell'assetto regolamentare e del regime giuridico di tali istituti e delle politiche di ricerca del Ministero della Salute, con l'obiettivo di rafforzare il rapporto fra ricerca, innovazione e cure sanitarie. In particolare, gli IRCSS rivestono un ruolo determinante nella promozione e nel rafforzamento del settore della ricerca scientifica in campo sanitario, asset strategico del nostro Paese. Ad oggi, numerose sono le iniziative per il riconoscimento degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico per patologie ambientali, anche a seguito dei dati epidemiologici del territorio e, come detto, dell'elevatissima incidenza di tumori collegati a patologie ambientali.

Si tratta, peraltro, di un tema di grande attualità. Partire dai singoli territori interessa i sistemi sanitari di tutto il mondo, alla luce delle evidenze scientifiche rilevate dall'OMS, che indicano che circa il 24 per cento di tutte le malattie a livello globale è dovuto all'esposizione a fattori ambientali. Il percorso di cambiamento che si avvierebbe, si basa sulla presa in carico del paziente in ogni fase della sua malattia, attraverso un approccio di tipo multidisciplinare e integrato, ponendo le proprie basi sulle migliori evidenze e consolidando la missione di ricerca accanto a quella di assistenza, ma sempre con il fine prioritario di migliorare lo stato di salute del cittadino.

Ci tengo, infine, a sottolineare come numerosi studi dimostrano che la ricerca scientifica costituisca un elemento capace di contribuire ad una maggiore ricchezza per l'intero territorio e per la comunità, locale e accademica, attraverso un investimento nel futuro, in quanto la ricerca scientifica richiede tempo e le risorse investite consentono il progresso. La ricerca rappresenta, quindi, un valore per lo sviluppo del territorio, così come il riconoscimento agli IRCCS, che noi supportiamo con forza, nella convinzione che chi ricerca, cura (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Patriarca. Ne ha facoltà.

ANNARITA PATRIARCA (FI-PPE). Presidente, onorevoli colleghi, Governo, la mozione di cui discutiamo oggi si inserisce in un contesto normativo in via di sviluppo, che presenta molteplici obiettivi, tutti finalizzati a migliorare la qualità della ricerca e dell'assistenza sanitaria in Italia. Mi riferisco al riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Gli IRCCS rivestono un ruolo di primo piano nella promozione della salute, della prevenzione delle malattie e dello sviluppo di terapie sempre più efficaci e innovative. La loro attività di ricerca, di assistenza e di formazione continua contribuisce a mantenere elevati standard di qualità nel sistema sanitario nazionale e a garantire un livello di assistenza all'avanguardia per tutti i pazienti. Un modello di eccellenza per il Servizio sanitario nazionale, che ci viene riconosciuto da molti altri Paesi europei. Si tratta, infatti, di una peculiarità che spesso non viene valorizzata a sufficienza e che ha una storia lunga e significativa, avendo origine nel regio decreto del 1938, che ha affidato a questi enti la missione di ricerca traslazionale, ossia una ricerca volta a tradurre i risultati della ricerca di base nei risultati di cui beneficiano direttamente gli esseri umani, attraverso specifiche terapie.

Gli IRCCS rappresentano una risorsa fondamentale per il Servizio sanitario italiano e il loro valore deve essere preservato attraverso politiche di finanziamento e valorizzazione delle loro attività di ricerca e assistenza. Inoltre, gli IRCCS hanno il compito di fornire ai pazienti una cura personalizzata e di alta qualità, supportata dai più avanzati strumenti diagnostici e terapeutici disponibili. Questo significa che i pazienti che si rivolgono a un IRCCS hanno accesso a medici altamente specializzati, a personale infermieristico altamente qualificato e a tecnologie innovative, che possono consentire la diagnosi e il trattamento delle malattie in modo più rapido, preciso ed efficiente. La loro attività ha per oggetto aree di ricerca ben definite, sia che abbiano avuto il riconoscimento per una singola materia (gli IRCCS monotematici) sia che lo abbiano ricevuto per più aree biomediche integrate (gli IRCCS politematici).

I 51 IRCCS presenti sul territorio nazionale, di cui 21 pubblici e 30 privati, afferiscono a ben individuate aree di expertise, dalla cardiologia, alla dermatologia, alla diagnostica per immagini, alla farmacologia, alla gastroenterologia, alla genetica, alla geriatria, alle malattie infettive, alla medicina della complessità, alla neurologia, alla neuroriabilitazione, all'oculistica, all'oncologia, all'ortopedia, alla pediatria, alla psichiatria e alla riabilitazione. A questa lista manca, appunto, l'expertise relativa alle patologie ambientali, ossia quella capacità di ricerca che nasce dall'esigenza di identificare l'effetto delle esposizioni ambientali sull'insorgenza e sulla prognosi delle malattie e di caratterizzare, in un'ottica di sanità pubblica, i territori e le aree geografiche, in modo da identificare possibili fattori di rischio, diffusione delle malattie e loro prognosi. È una consapevolezza acquisita in ambito scientifico, infatti, quella che vede l'ambiente e la presenza di elementi patogeni nell'atmosfera come elementi in grado di arrecare danni alla salute, in vari modi. Ad esempio, l'esposizione a particelle e microbi nell'aria può causare infezioni respiratorie, come bronchiti, polmoniti e asma. L'aria inquinata può causare allergie o peggiorare i sintomi di chi ha già problemi di allergie. L'esposizione a sostanze chimiche nell'aria può causare effetti tossici generici sullo sviluppo, sul sistema nervoso, sul sistema endocrino, sul sistema immunitario e su altri aspetti della salute umana. L'aria inquinata può causare malattie croniche, come malattie cardiache, malattie polmonari croniche, malattie del fegato e altri problemi di salute. Sempre l'aria inquinata può causare tumori associati all'esposizione a sostanze chimiche e a particelle presenti nell'aria stessa. In generale, l'inquinamento atmosferico può incidere sulla salute pubblica in molti modi diversi e può avere un impatto significativo sulla qualità della vita e sulla mortalità delle persone. E questo senza considerare il danno economico, che, nel mondo, è provocato dalle patologie ambientali.

È un danno enorme, in continua crescita. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2020, i costi economici globali legati all'inquinamento ambientale ammontano a circa 4,7 trilioni di dollari l'anno, pari al 6,2 del PIL mondiale. Questa cifra include i costi diretti del trattamento delle malattie causate dall'inquinamento, come l'asma, il cancro e le malattie cardiovascolari, nonché i costi indiretti, come la riduzione della produttività del lavoro, i danni alle proprietà e l'effetto sulle attività economiche.

Il danno economico dovuto alle patologie ambientali è particolarmente grave nei Paesi in via di sviluppo, dove molti settori sono altamente inquinanti e ci sono meno risorse per curare le malattie ambientali. Inoltre, i costi economici dell'inquinamento non sono distribuiti in modo equo: le persone più povere e marginalizzate, ad esempio le comunità indigene, sono spesso quelle che subiscono i maggiori danni. Riconoscere gli IRCCS per patologie ambientali significa potenziare le capacità di ricerca, diagnosi e prevenzione ed offrire al decisore politico, attraverso gli esiti di questi studi, gli strumenti utili ad intervenire a monte di questo processo, riducendo le fonti di inquinamento.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Orrico ed altri n. 1-00079 e Manzi ed altri n. 1-00063 concernenti iniziative in materia di dimensionamento scolastico, nel quadro di interventi per la valorizzazione e il potenziamento del sistema di istruzione.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Orrico ed altri n. 1-00079 e Manzi ed altri n. 1-00063 concernenti iniziative in materia di dimensionamento scolastico, nel quadro di interventi per la valorizzazione e il potenziamento del sistema di istruzione (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Piccolotti ed altri n. 1-00106, Lupi ed altri n. 1-00107 e Amorese ed altri n. 1-00108, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare l'onorevole Caso, che illustrerà anche la mozione Orrico ed altri n. 1-00079, di cui è cofirmatario.

ANTONIO CASO (M5S). Grazie, Presidente. Con questa mozione parliamo di scuola e, quando parliamo di scuola, ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che parliamo di futuro, perché la scuola, così come tutta l'istruzione, è il più importante strumento che abbiamo ora, nel presente, per determinare come sarà la nostra società e il nostro Paese nell'immediato futuro.

PRESIDENTE. Onorevole Caso, mi scusi, posso chiederle una cortesia? Se può cambiare, per favore, microfono, perché quello interferisce con il telefonino e, quindi, fa rumore.

ANTONIO CASO (M5S). Come dicevo, la scuola, in generale l'istruzione è il più importante strumento e, se ben utilizzato nel presente, può determinare l'evoluzione della nostra società e del nostro Paese nell'immediato futuro. Infatti, in base a quanto investiamo economicamente nell'edilizia scolastica, in ambienti di apprendimento innovativi, nella metodologia di insegnamento, in personale e in formazione, in base a quanto e come investiamo nel mondo della scuola e nella formazione, determiniamo a tutti gli effetti quanto sarà competitivo il nostro Paese, ma soprattutto quanto sarà coesa ed equa la nostra società.

Se teniamo momentaneamente da parte tutte le affermazioni del Ministro Valditara, su cui torneremo in seguito, l'unica vera azione, ma proprio l'unica, che questo Governo ad oggi ha messo in campo nell'ambito della scuola, è quella del dimensionamento scolastico contenuto nell'ultima legge di bilancio. Ancora una volta, così come fu per la riforma Gelmini illo tempore, la destra del nostro Paese mette in campo nel mondo dell'istruzione azioni volte esclusivamente ad un'economia di risparmio, incurante delle gravi conseguenze sulla vita di studenti, studentesse, docenti e di tutto il personale. Insomma, si è attuata l'ennesima razionalizzazione miope e di corto respiro che questa maggioranza può anche provare a nascondere dietro tutto il politichese che conosce. Tuttavia, quando parlano di dimensionamento scolastico, vuol dire una sola cosa: eliminazione di centinaia di scuole e incremento, che purtroppo ne consegue, di disparità all'interno del nostro Paese.

Infatti, in base alla relazione tecnica di accompagnamento alla normativa introdotta nella legge di bilancio, che è poi il fulcro, alla base di questa mozione, vi è un taglio stimato, dal 2022 al 2032, di 1.121 scuole autonome. Secondo le prime stime accreditate, già nel 2023 - quindi, anno corrente - saranno accorpate quasi 700 istituzioni scolastiche, gravando ovviamente, come sempre purtroppo sta accadendo, sulle regioni del Sud, che rappresenterebbero circa il 70 per cento del taglio del totale, ovviamente Campania in primis, che, in base alle proiezioni accreditate, dovrebbe risultare la regione più colpita e penalizzata, con più di 140 fusioni tra scuole, con il taglio di 500 unità tra collaboratori ATA vari e la cancellazione di 292 dirigenti. Segue poi la Sicilia con 109 fusioni, la Calabria con 80, la Puglia, la Sardegna e così via. Come ben si capisce, quindi, il Sud prima di tutto, quando si parla di tagli.

Ora, però, fermiamoci un attimo e immaginiamo cosa può accadere se a questi tagli, che già questa maggioranza e questo Governo stanno attuando, aggiungiamo il progetto di autonomia differenziata, spinto dalla Lega e dal Ministro Calderoli. La scuola, come sappiamo tutti, è una delle varie materie di cui le regioni possono chiederne il trasferimento di competenze. Lo scenario che, purtroppo, si pone davanti agli occhi è, quindi, assolutamente devastante. Immaginiamo che le varie regioni abbiano un proprio organico e che quindi l'organico del personale scolastico diventi regionale. Insomma, se sei un docente in Campania, non lo sei in Lombardia, non nel Lazio, non in Calabria e così via. Ci sarebbero bandi di concorso regionali, una regionalizzazione della dirigenza scolastica, contratti regionali e, quindi, la differenziazione di stipendi in base al territorio in cui si lavora, programmi di studio - e questo è gravissimo - che possono variare da una regione all'altra.

Se già oggi il nostro Paese è caratterizzato da un divario enorme anche nell'ambito scolastico, il progetto di autonomia differenziata tracciato dal disegno di legge Calderoli rischia proprio di sparare il colpo di grazia. Infatti, i dati dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, lo Svimez, parlano chiaro: in diverse parti del Meridione manca di tutto, dalle mense agli spazi sportivi e ricreativi, dai nidi alle scuole dell'infanzia e al tempo pieno sia alle elementari che alle medie. Insomma, se una volta la pubblica istruzione univa, ora: dimmi dove sei nato e saprai anche il destino che ti tocca.

Immaginiamo due ragazzini di quinta elementare nati precisamente lo stesso giorno: uno vive in Toscana, l'altro invece a Napoli, nella mia Napoli. Il primo vive dove l'85 per cento delle scuole ha una mensa mentre il 75 per cento ha una palestra, Il ragazzino nato al Sud vive, invece, dove l'80 per cento delle scuole è senza il tempo pieno e l'83 per cento non ha una palestra. Il bambino nel Nord, alla fine del percorso di quinta elementare, avrà avuto 1.226 ore di formazione, quello del Sud 1.000 ore.

Il triste risultato è chiaro: il ragazzino del Meridione ha un intero anno in meno in termini di formazione, dopo scuola, educazione alimentare e allo sport, in pratica, è un anno di crescita che manca. Vogliamo parlare, poi, di dispersione scolastica? In questi giorni se ne è parlato tanto; con quasi il 13 per cento siamo il terzo Paese in Europa con il più alto tasso di abbandono scolastico e anche in questo caso ovviamente l'Italia è spaccata proprio in due: abbiamo il 10 per cento circa di abbandono al Centro-Nord, percentuale che sale quasi al 17 per cento al Sud. Insomma, la direzione che si dovrebbe prendere è abbastanza chiara, ma purtroppo in tante cose sembra proprio l'opposto di quella che sta prendendo questo Governo. Infatti, dovremmo iniziare a mettere in campo tutti gli sforzi possibili per eliminare le disuguaglianze tra le scuole del nostro territorio, creare le stesse opportunità per tutti i bambini e bambine, studenti e studentesse, in ogni latitudine del nostro Paese, e avere la piena consapevolezza che è fondamentale investire nella scuola e nell'istruzione, in edilizia scolastica, in nuove assunzioni di personale, nell'aumento degli stipendi e nel dare una vera, vera dignità ai docenti. Invece, in questi primi sei mesi di Governo, la Presidente Meloni e il Ministro Valditara ci hanno regalato più che altro chiacchiere da bar. Possiamo partire proprio dalla scelta di aggiungere la parola “merito” al Ministero dell'Istruzione, senza poi farci capire il merito cos'è, cosa vuol dire il merito e, soprattutto, come si valuta il merito in un'Italia che va a diverse velocità, perché se in alcune regioni il merito si può intendere come l'essere tra gli studenti con i voti più alti, tra i migliori nell'apprendimento, in altre regioni si è degni di merito solo perché si è riusciti ad andare a scuola. Possiamo ricordare, poi, la soluzione data dal Ministro al bullismo: l'umiliazione pubblica abbinata ai lavori socialmente utili per correggere gli alunni problematici. Insomma, secoli e secoli di filosofia dell'apprendimento, di psicologia e pedagogia gettati al vento. Guardiamo, invece, alla proposta che qualche settimana fa l'Unione degli universitari e la Rete degli studenti medi hanno presentato proprio qui alla Camera per il supporto psicologico rivolto agli studenti, in cui si mira ad offrire momenti di ascolto, orientamento e supporto che servono, lo ripeto, servono. Dai sondaggi che hanno effettuato risulta chiaro: gli studenti lo chiedono apertamente, uno studente su tre chiede e manifesta la necessità di avere supporto. Invece, ci si è dedicati ad attaccare la preside del liceo «Leonardo da Vinci», di Firenze, rea di avere invitato i propri studenti a ragionare sull'importanza di non essere indifferenti, ma di contrastare gli atti di violenza che accadevano fuori dalla propria scuola. Ancora, si è iniziato a parlare di gabbie salariali per i docenti, di uno studiolo per ogni docente - non dimentichiamolo -, fino ad arrivare a qualcuno che proponeva l'insegnamento del tiro a segno nelle scuole. Per non parlare poi del lancio - qualche giorno fa - in pompa magna dell'idea della scuola del made in Italy, che addirittura ha avuto l'attenzione del Presidente del Consiglio, Presidente che però ha dimenticato che esistono già diversi indirizzi che fanno la stessa cosa e alcuni si chiamano proprio già scuole del made in Italy, scuole che fanno registrare percentuali di iscrizioni proprio basse. Quindi, si è pensato di avviare questa crociata contro la “liceizzazione” della scuola italiana, operata dalla sinistra salottiera, che ha distrutto gli istituti tecnici, dimenticando, però, o facendo finta di dimenticare, che fu proprio la Ministra Moratti con il secondo Governo Berlusconi ad aumentare le tipologie di liceo esistenti, che fu la Ministra Gelmini a tagliare le ore di insegnamento di indirizzo, che poi sono quelle che negli istituti tecnici e professionali si occupano della materia specifica e diventano laboratori ed ore di pratica. Direi: basta, ora basta! Iniziamo a fare discorsi seri. È proprio quello che vogliamo intavolare con questa mozione, facendo un passo indietro rispetto al dimensionamento scolastico, contenuto all'interno dell'ultima legge di bilancio. Questa maggioranza ha deciso che per definire una scuola come tale serve un numero minimo di 900 alunni. Il risultato è che si avranno - lo dicevo prima - accorpamenti di istituti e tagli di personale, ovviamente concentrati soprattutto al Sud. Ricordiamo, invece, che nella scorsa legislatura proprio il MoVimento 5 Stelle e Giuseppe Conte si erano battuti per abbassare a 500 il numero di studenti per istituire una scuola, 300 nei comuni montani e nelle piccole isole. Oggi si giustificano questi tagli perché necessari per affrontare la denatalità del nostro Paese, indicandoli poi, falsamente, come obiettivi contenuti nel PNRR. In realtà, in quel Piano si dice abbastanza chiaramente che la denatalità, sì, è vero che c'è, ma magari potremmo utilizzarla per non avere più le cosiddette classi pollaio. Proprio recentemente abbiamo presentato anche una proposta di legge che va in questa direzione, anche per contrastare ulteriori tagli fatti da questa maggioranza alle classi in deroga; si è proposto di ridurre il numero di classi per cui è giustificato avere un numero inferiore di alunni, proprio perché ci troviamo in una situazione di disagio socioeconomico, culturale, a rischio di dispersione scolastica. A parole si dice che si vuole combattere questo fenomeno, ma nei fatti si fa diversamente e i dati recenti lo dicono chiaramente.

Ci chiediamo in che modo questo Governo voglia affrontare il problema della dispersione scolastica e quello del precariato nel mondo della scuola. Come sappiamo, un insegnante su quattro è precario; su una platea di 900.000 docenti circa, 225.000 docenti sono precari. Si tratta di un numero che è aumentato a dismisura - basti ricordare che solo sette anni fa erano meno della metà -, tenuto conto anche dei pensionamenti che ammontano ogni anno a circa 30.000-40.000 unità. È chiaro a tutti, quindi, il danno che ne consegue agli studenti e alla continuità didattica. Ricordiamo che tra gli obiettivi del PNRR c'è proprio l'assunzione di 70.000 docenti entro il 2024, l'anno prossimo. Quindi, viene spontaneo chiedersi cosa si stia facendo. Perché il Ministro in questi sei mesi non ha pensato che fosse un bene, magari, dare il via ai decreti attuativi del Ministro che l'ha preceduto e, quindi, avviare i concorsi? In realtà, da quanto ho letto sui giornali in questi giorni, pare che nell'ultimo Consiglio dei ministri qualcosa si sia mosso. È un mistero al momento sapere che cosa si sia deciso; pare che si vogliano ancora rinviare le assunzioni contenute e indicate dal PNRR per dare il via, invece, all'assunzione semplificata da graduatorie di supplenza; lo vedremo, anche perché dobbiamo tener conto di chi un concorso l'ha vinto ed è in attesa in graduatorie già esistenti, e di chi un concorso ora lo vorrebbe, magari perché ha finito ora la sua carriera universitaria, e si viene a trovare in questo limbo. Ci farebbe piacere anche sapere cosa vogliono fare questa maggioranza e questo Governo relativamente ai 50.000 dell'organico ATA aggiuntivo, che sono stati abbondantemente sedotti in campagna elettorale e che, ora, palesemente, sono stati abbandonati.

Eravamo tutti d'accordo e lo dicevano tutte le forze, comprese quelle di maggioranza, che questo è un organico che serve, al di là della pandemia, per il corretto funzionamento delle scuole. Quindi, quando si passa dalle parole ai fatti? A più riprese è stato detto che è necessario valorizzare il ruolo del docente. Ricordiamo che i docenti italiani sono tra quelli che guadagnano di meno in Europa. I docenti hanno uno stipendio più basso rispetto ai colleghi francesi e spagnoli e hanno uno stipendio che è pari alla metà - alla metà! - dei colleghi tedeschi.

In che modo, quindi, - ci chiediamo - si vuole dare quella dignità al ruolo del docente, che è tanto decantata anche dall'attuale Ministro? E, poi, come si vuole affrontare il problema legato alla difficoltà di utilizzo dei fondi del PNRR nel campo dell'edilizia scolastica? Questo l'ho toccato con mano, perché ho visto che recentemente i comuni hanno serie difficoltà ad accedere a informazioni relative ai bandi per la costruzione di asili nido. È un'occasione che questo Governo vuole perdere? Ha alzato bandiera bianca o si vuole fare qualcosa? Come ha già detto il nostro presidente Conte, se vi serve un aiuto per non sprecare queste preziose risorse noi ci siamo (siamo qui).

Insomma - e mi avvio a conclusione, Presidente -, la domanda delle domande è: quando si passa dalle parole ai fatti? Con questa mozione vi stiamo indicando la via da seguire e i punti sono abbastanza chiari e soprattutto condivisibili. Occorre innanzitutto rivedere da subito la normativa contenuta nell'ultima legge di bilancio relativa al dimensionamento scolastico, anche e soprattutto alla luce dei rischi e delle criticità che potrebbero derivare dall'assurda applicazione dell'autonomia differenziata. In secondo luogo, bisogna intervenire subito sull'eccessivo affollamento delle classi e sulla povertà educativa e ovviamente - i dati li abbiamo visti tutti in questi giorni - contrastare il fenomeno della dispersione scolastica. Bisogna rivedere gli altri tagli compiuti nella legge di bilancio 2023, investendo, una volta per tutte e per davvero, in conoscenza e in formazione, sia in quantità che in qualità dell'insegnamento.

Come ripeto sempre - e lo facciamo anche in questa mozione -, dobbiamo assicurare una maggiore dignità economica a tutto il comparto scuola, senza se e senza ma. Infine, dobbiamo impegnarci tutti - e ribadisco “tutti” - per sfruttare e ottimizzare al massimo le risorse messe a disposizione dal PNRR. Insomma, è necessaria una retromarcia dalla solita politica dei tagli che per troppo tempo ha caratterizzato il mondo della scuola e dell'istruzione. Si tratta di una direzione che già nei Governi Conte era stata avviata. Dopo anni e anni di tagli si era tornati finalmente a investire nella scuola e nell'educazione. Ora, invece, ci chiediamo, con questa mozione: questo Governo cosa farà? La scuola, come dicevo all'inizio, è il nostro futuro. Temo, però, che questa maggioranza e questo Governo non se ne siano ancora accorti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Irena Manzi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00063. Ne ha facoltà.

IRENE MANZI (PD-IDP). La ringrazio, signor Presidente. Saluto la Sottosegretaria. Vorrei un attimo raccogliere e spiegare il senso di questa mozione, partendo proprio da questa dichiarazione del Ministro Valditara: “Chi vive e lavora in una regione d'Italia in cui più alto è il costo della vita potrebbe guadagnare di più”. Devo dire che, come tanti altri colleghi del mio e di altri gruppi parlamentari, sono un po' saltata sulla sedia nel leggere queste dichiarazioni - poi smentite, devo dire, da parte del Ministro nei giorni successivi - che aprivano alla possibilità delle cosiddette gabbie salariali, degli stipendi differenziati tra docenti all'interno del nostro stesso Paese.

Del resto, sono dichiarazioni che fanno il paio con altre affermazioni a cui il Ministro e anche alcuni esponenti del Governo ci hanno abituato nelle settimane e nei mesi passati. Ne voglio fare qui una breve sintesi: “Il PD vuole disoccupati. Non solo cultura: serve imparare un lavoro. Il PD vorrebbe studi culturali per tutti, lasciando a chissà quando la formazione professionalizzante”. O ancora, come è stato ricordato anche dal collega, il valore dell'umiliazione: “Evviva l'umiliazione, che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità”. Poi, le dichiarazioni rese contro la dirigente scolastica del liceo di Firenze, che aveva semplicemente invitato i propri studenti ad avere fiducia nel futuro e a respingere, tra l'altro, qualsiasi forma di violenza. Insomma, dichiarazioni fuori luogo e poi smentite: un po' una prassi a cui, devo dire, ci ha abituato il Governo. Si rende una dichiarazione e poi la si smentisce. Lo abbiamo visto rispetto al decreto Rave, che è stato il primo provvedimento del Governo Meloni; lo abbiamo visto rispetto ad alcune misure della legge di bilancio (vi ricordate il POS “sì” e il POS “no”) poi, appunto, adottate; lo abbiamo visto sulla misura come quella della cessione del credito per le zone colpite dal sisma, una misura che era vigente fino al 16 febbraio di quest'anno e poi fino al 2025 per disposizione presa dal Governo Draghi e dall'allora commissario per il sisma Legnini, eliminata nel decreto e riadottata nel provvedimento divenuto legge pochi giorni fa.

Ma voglio tornare al tema molto importante che è al centro di questa mozione, che ci ha spinto a voler individuare alcune priorità rispetto al settore della scuola, perché rispetto a queste dichiarazioni, alle quali abbiamo assistito nei giorni, nelle settimane e nei mesi passati, è quasi venuta in mente una battuta di Alberto Sordi, che diceva che per scherzare bisogna essere seri. In realtà, bisogna essere davvero seri e penso che sia un appello e un invito alla serietà e alla presa di coscienza dell'importanza di questo settore, che non riguarda solo i banchi dell'opposizione. Penso che ci sia la necessità che tutti coloro che siedono in quest'Aula affrontino e prendano coscienza di alcuni temi centrali che riguardano l'ambito dell'istruzione e della scuola. Abbiamo cercato di citarli e di individuarli all'interno della nostra mozione: misure e strumenti che richiedono soprattutto priorità e concretezza. Mi riferisco, appunto, al tema della retribuzione dei docenti e del personale scolastico, a quello dei divari territoriali, agli investimenti sul tempo pieno e sugli spazi della scuola, al sistema integrato di istruzione ed educazione 0-6, alle risorse, soprattutto, che devono essere investite in questo settore perché sia centrale all'interno delle politiche pubbliche del Paese, proprio perché, mentre assistiamo alle dichiarazioni a cui ho fatto cenno poco fa, ci sono dati che ci allarmano. Penso ai dati dello Svimez, che sono stati citati, ma penso anche ai divari territoriali che lo stesso rapporto sulla dispersione scolastica e sulle disuguaglianze educative di Save the Children ha reso qualche mese fa; perché, a fronte di una dispersione scolastica media del 12,7 per cento, nel nostro Paese ci sono regioni, come la Sicilia e la Puglia, che toccano il 21,1 e il 17,6 per cento, mentre la Lombardia è all'11,3 per cento, vicina all'obiettivo europeo del 9 per cento per il 2030. C'è, quindi, un'emergenza drammatica, un'emergenza legata alla dispersione scolastica e ai divari territoriali; un'emergenza che riguarda il Nord e il Sud del Paese ma che riguarda, ad esempio, i grandi centri urbani e le periferie, nonché le aree interne del nostro Paese.

A questi temi e a questi problemi come si risponde? Si risponde con il dimensionamento e l'autonomia differenziata. Il dimensionamento scolastico, che è stato introdotto dalla legge di bilancio di quest'anno, in realtà prevede sostanzialmente dei tagli, con una riduzione di quello che è il contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali amministrativi, con l'accorpamento di sedi e di personale, con una riduzione che passerà da 6.490 a 3.144 unità tra il 2031 e il 2032. Insomma, un taglio sostanziale che vuol dire meno risorse ma anche un impatto forte, tra l'altro, sulle aree interne e sulle regioni del Mezzogiorno, con una riduzione, con tagli, con una riduzione di costi, con un accorpamento di sedi, moltiplicando, anziché riducendo, i disagi nelle aree del Paese.

È uno dei temi, il primo forse, che l'impegno contenuto nella nostra mozione vuole evidenziare, chiedendo proprio la revisione e un ripensamento di questa misura, perché quest'ultima si lega direttamente all'altro tema, quello della riforma costituzionale e, in particolare, della proposta di autonomia differenziata, che avrà un effetto sostanziale e definitivo, quello di evidenziare ancora di più le spaccature che ci sono all'interno del nostro Paese.

I temi della povertà educativa e dei divari territoriali sono temi centrali e questo ce lo conferma anche quel miliardo e mezzo di risorse di euro che il PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, stanzia per il contrasto di questi fenomeni. Su questo mi si dirà che il Ministero ha adottato il docente tutor per intervenire, un docente, però, i cui contorni non sono ancora pienamente definiti in una prospettiva di carattere generale, al quale è affidato un numero di alunni, tra l'altro, troppo elevato - si va dai 30 ai 50 studenti - e per la cui formazione si prevede una formazione online di 20 ore. Badate, colleghi, non basta creare un docente tutor o un docente orientatore se manca un contesto complessivo al cui interno inserirlo e se, soprattutto, si va ad interferire con altre azioni, ad anno scolastico ormai in corso, a contrasto della dispersione, senza avere una politica di integrazione tra le azioni complessive e, soprattutto, una visione complessiva che parli di luoghi e di spazi adeguati, di tempo pieno e, ovviamente, di risorse che devono essere investite. Contrariamente a quanto sostiene il Ministro Valditara, infatti, la valorizzazione dei soggetti in formazione non deve essere finalizzata solo all'inserimento nel mondo del lavoro ma anche alla piena acquisizione dei diritti di cittadinanza di tutte le persone.

Non si tratta di una dichiarazione, questa, di un esponente del Partito Democratico o di una forza di opposizione, sono le parole contenute nel parere espresso dal Consiglio superiore della pubblica istruzione proprio in merito al decreto ministeriale relativo al docente tutor. Questo, in realtà, dovrebbe essere l'obiettivo a cui dovrebbe tendere la scuola: formare i cittadini, dare a tutti e a tutte uguali opportunità, opportunità non solo di partenza ma di crescita durante tutto il proprio percorso individuale e, durante quel percorso individuale, per la costruzione del proprio futuro. L'istruzione, lo sappiamo bene, è un diritto fondamentale e, proprio per questo, la scuola, nell'essere inclusiva, deve farsi carico di ciascuno e mirare all'apprendimento, alle relazioni, alla socializzazione. Come diritto della persona, diritto fondamentale, il nostro obiettivo deve essere quello di costruire una scuola aperta ed inclusiva che sia in grado di coinvolgere tutte e tutti, nessuno escluso, capace di offrire, soprattutto a coloro che sono più deboli e hanno meno strumenti, ciò che serve perché possano raggiungere un buon livello di istruzione, di competenza, di capacità di ragionare e di operare scelte autonome, anche a quegli studenti che non riescono a concludere il percorso dell'obbligo.

Ecco, vorrei sentire dal Governo alcune parole d'ordine intorno a questo: estendere il tempo pieno e prolungato, intervenire sul numero degli alunni per classe, favorire la creazione di ambienti di apprendimento sostenibili, accessibili, innovativi e sicuri, che siano favorevoli alla socializzazione, in cui i più bravi siano in grado, soprattutto, di aiutare, in una logica non di competizione ma di reale cooperazione, i meno bravi. Quindi, interveniamo, ad esempio, mi viene da dire, sulle comunità educanti all'interno dei territori, non solo con le risorse ma con le norme - ci sono proposte di legge in questo senso depositate anche dal Partito Democratico nelle Commissioni di merito - per rafforzare quell'alleanza fondamentale che ci deve essere tra scuole, famiglie, enti locali, terzo settore, volontariato, in accordo con i servizi psicopedagogici della comunità.

Ho sentito spesso, in questi mesi, parlare di sanzioni, di punizioni. Voglio ribadire in questa sede che sono molto gravi le aggressioni e gli episodi di violenza a danno di alunni e docenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), a carico di ogni rappresentante della comunità scolastica, e vanno condannati e stigmatizzati. Accanto, però, ad una strategia sanzionatoria, penso che sia necessario mettere in campo una strategia atta a prevenire, a far sì che ciò non accada più, ovvero prevedere degli strumenti che intervengano sul disagio. C'è un problema fondamentale ancora più grave, dopo gli anni della pandemia, di disagio, che riguarda gli studenti e le studentesse: crisi di panico, manifestazioni di aggressività, di inadeguatezza, segni evidenti di una fragilità che non riguarda solo certi ceti sociali ma che riguarda i giovani nella loro totalità, che riguarda le famiglie. È notizia di pochi giorni fa il numero sempre crescente di trasferimenti in corso d'anno degli studenti dal liceo ad altri istituti. Non basta cavarsela con la storia che la sinistra privilegerebbe i licei contro gli istituti tecnici, perché è una macchietta e l'istruzione non merita descrizioni da macchietta. Il tema del disagio giovanile non è segno di buonismo, è segno della necessità di costruire una comunità scolastica che sia capace di sviluppare conoscenza condivisa, inclusiva, multiculturale, impegnata a garantire la serenità ed il benessere di tutti i suoi protagonisti, nessuno escluso. Ecco perché è fondamentale - il Partito Democratico in più provvedimenti ha sollecitato questo - prevedere risorse e interventi per il sostegno psicologico a favore degli studenti. È una richiesta che abbiamo fatto spesso e che continueremo a fare, rispetto alla quale, però, non basta dire, come fa il Ministro, che se ne sta discutendo. Bene che se ne discuta, ma alle discussioni devono seguire, ovviamente, i provvedimenti e gli atti.

Provvedimenti e atti che devono riguardare anche un altro tema fondamentale, quello del reclutamento del personale docente. Stiamo attendendo la pubblicazione del decreto, adottato pochi giorni fa dal Consiglio dei ministri, relativo alla Pubblica amministrazione, in cui, stando ai comunicati stampa, si annunciano prossimi eventuali concorsi. Si susseguono dichiarazioni e comunicati, stiamo aspettando, in questo senso, il testo ufficiale e finale. Al momento, si parla di assunzioni per posti di sostegno e, ovviamente, siamo soddisfatti che questo accada. Vorrei ricordare anche che proprio il Governo giallo-rosso, con la legge di bilancio 2021, ha previsto 25.000 posti aggiuntivi all'organico di diritto proprio per il sostegno, nel biennio 2021-2024, a conferma della necessità di adottare misure, in questo senso, concrete e necessarie, che superino, tra l'altro, i livelli allarmanti di precariato. Ma non possiamo fare a meno - lo ricordava anche il collega Caso - di sollecitare anche in questa sede - lo abbiamo fatto anche all'interno della Commissione competente - una risposta da parte dei Ministeri dell'Istruzione e dell'Università su quel provvedimento che riguarda la formazione iniziale dei docenti, su quel provvedimento che era un obiettivo - ed è, in realtà, tuttora - del PNRR che si collega all'altrettanto importante misura delle 70.000 assunzioni di docenti entro il 2024. Anche questo è un obiettivo del PNRR e, anche su questo, stiamo ancora attendendo risposte, stiamo ancora attendendo misure da parte del Governo. Pensiamo che non sia più il momento di attendere, pensiamo che tanti aspettino risposte concrete e definitive, risposte - anche in questo non possiamo non essere preoccupati - che riguardino anche le altre misure: penso alle misure relative agli asili nido, a quell'obiettivo di creare 264.480 nuovi posti pubblici negli asili nido, entro il secondo semestre del 2025.

Penso che ci sia la necessità - il Partito democratico lo ha fatto più volte, non solo in questa occasione - di verificare lo stato di attuazione degli obiettivi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza relativi al settore dell'istruzione, perché, al momento, i fatti rischiano di essere altri. Stiamo parlando di dimensionamento scolastico, di progetti spacca-Paese, di perdita di risorse e, soprattutto, di tagli, a cui abbiamo assistito già nella scorsa legge di bilancio, come i tagli alle risorse del fondo per la Buona scuola, tagli dello 0,6 per cento, risorse che non sono state reintrodotte. Si dirà che il Governo ha concorso alla firma del nuovo contratto e al rinnovo del contratto del personale scolastico e che c'è stato un aumento significativo delle risorse in busta paga nel mese di dicembre. Sì, certamente. Peccato, però, che la legge di bilancio abbia dimenticato di inserire quelle risorse aggiuntive, quei 300 milioni di euro che tutti attendevano e che sono stati assicurati dalle risorse assegnate dal Governo Draghi nella legge di bilancio 2022.

Badate bene, quelle risorse che dovevano essere destinate alla valorizzazione della professionalità dei docenti, alla valorizzazione di quel merito che per questo Governo è così importante da essere inserito anche nella sua denominazione originaria. Vado a concludere, in realtà, con un'amara constatazione circa il fatto che non ci sono investimenti strutturali all'interno delle misure adottate, fin qui, dal Governo. Non ci sono investimenti strutturali per affrontare un tema altrettanto essenziale, quello della giusta retribuzione dei docenti, allineata alla media europea. È un tema importante e centrale, da cui prende il via, tra l'altro, proprio la mozione che discutiamo oggi.

Dobbiamo davvero decidere quale sia l'ansia da cui partiamo. La nostra è quella di non perdere nessuno per strada, di assicurare misure, risorse, strumenti, e soprattutto - e penso che questo sia un tema che chiama davvero alla responsabilità tutte le forze, di maggioranza e opposizione - di far sì che il tema della scuola e dell'istruzione sia centrale all'interno del dibattito pubblico di questo Paese, proprio perché da questo parte il futuro del Paese. Colleghi, abbiamo un lavoro serio e importante da fare, ma da fare tutti insieme, e penso che la discussione, in questa sede, di questa e delle altre mozioni che sono state presentate sia un'occasione imperdibile che abbiamo davanti per individuare priorità e obiettivi che, a breve e lungo termine, in questa legislatura, proprio sul tema della scuola, dobbiamo cercare di adottare e realizzare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bicchielli, che illustrerà la mozione Lupi ed altri n. 1-00107, di cui è cofirmatario.

PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, signor Sottosegretario, intervengo appunto per presentare la mozione di Noi Moderati in materia di dimensionamento scolastico per valorizzare e potenziare il sistema di istruzione nel nostro Paese. La riforma dell'organizzazione del sistema scolastico della Missione 4, Componente 1, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, intende intervenire su due aspetti strategici: il numero degli studenti per classe e il dimensionamento della rete scolastica. Questa riforma è stata adottata attraverso l'approvazione della legge di bilancio 2023, secondo cui il Ministero dell'Istruzione e del merito determinerà, a decorrere dall'anno scolastico 2024/2025, i criteri per la definizione del contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi e la sua distribuzione tra le regioni.

Le regioni, sulla base dei parametri individuati dal decreto, provvedono quindi autonomamente al dimensionamento della rete scolastica entro il 30 novembre di ogni anno, nei limiti del contingente annuale individuato dal medesimo decreto. L'applicazione di questi parametri implica, però, un'importante variazione in negativo dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi, che, se non concertata, potrebbe portare a una limitazione dell'autonomia delle amministrazioni regionali in materia di organizzazione della rete scolastica. Il fenomeno della denatalità poi - come ci è stato confermato dal report sugli indicatori demografici dell'Istat, pubblicato nei giorni scorsi, che ci dice che, per la prima volta dall'Unità d'Italia, i nati nel nostro Paese sono stati meno di 400.000 - porterà a una costante riduzione del numero degli iscritti alle scuole nei prossimi anni, tanto che nei prossimi 15 anni la popolazione scolastica dovrebbe ridursi di circa il 15 per cento.

La riforma dell'organizzazione del sistema scolastico prevede poi, tra le proprie finalità, quella di ridurre il numero medio di studenti per classe, a vantaggio della qualità dell'insegnamento, il che - è chiaro - è possibile esclusivamente mantenendo gli attuali volumi del personale scolastico, a fronte della diminuzione del numero degli studenti. La presenza di personale adeguato permetterebbe di sviluppare idonee specializzazioni del personale scolastico finalizzate anche a formare personale con compiti di tutoraggio, così come è stato previsto dalla Carta di Genova, sottoscritta dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome il 2 dicembre 2021, e poi attuato con il decreto ministeriale di riforma del sistema di orientamento scolastico.

Quindi, le nuove professionalità potrebbero facilitare la promozione e la nascita di percorsi di carriera all'interno delle istituzioni scolastiche e rendere così maggiormente appetibile l'occupazione nell'ambito del sistema di istruzione.

Signor Presidente, con questa nostra mozione, come Noi Moderati, vogliamo impegnare il Governo a valutare le iniziative normative volte a un adeguamento delle disposizioni contenute nella legge di bilancio 2023 affinché sia mantenuto un numero di dirigenti scolastici e direttori dei servizi generali e amministrativi sufficiente a garantire una diminuzione del rapporto di alunni per classe; ad adottare iniziative per definire, a livello normativo, una diminuzione del numero massimo di allievi per classe per le scuole di ogni ordine e grado, ai fini della completa attuazione della riforma dell'organizzazione del sistema scolastico prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza; ed infine a salvaguardare, ovviamente per quanto di competenza, la competenza regionale in materia di organizzazione della rete scolastica, garantendo alle amministrazioni regionali margini sufficienti per poter disporre delle proprie autonomie, anche in continuità con la volontà di realizzare l'autonomia differenziata nel corso dell'attuale legislatura.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mollicone, che illustrerà la mozione Amorese ed altri n. 1-00108, di cui è cofirmatario.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, Sottosegretaria Frassinetti, proprio oggi monsignor Zuppi, Presidente della CEI, ha posto il tema dell'emergenza educativa, tema che per primi ci siamo posti e di cui condividiamo l'appello. Le mozioni che oggi iniziano il proprio iter in Aula sono simbolo del focus che il Governo e la maggioranza, sin dai primi provvedimenti, hanno posto sul tema della scuola con il Ministro Valditara e il Sottosegretario Frassinetti. La mozione di Fratelli d'Italia si colloca, quindi, nel momento successivo alle norme sul dimensionamento adottate in legge di bilancio, che sono precisi obiettivi del PNRR.

Nella sostanza, la modifica conferma, dandovi attuazione, una delle sei riforme previste dal PNRR e definite abilitanti per la scuola, in particolare quella relativa al dimensionamento della rete scolastica. Il PNRR, come sappiamo, prevede, infatti, l'avvio della riorganizzazione del sistema scolastico entro l'anno. Ma sfatiamo un mito, colleghi: il Ministero dell'Istruzione è in piena linea con gli obiettivi del PNRR. Entro il termine del 28 febbraio 2023 le scuole secondarie di primo e di secondo grado hanno presentato ben 3.174 progetti su 3.193 totali sulla dispersione scolastica, che è un tema caldo, per un importo complessivo di circa mezzo miliardo, che sarà autorizzato ed erogato. Le scuole, quindi, hanno risposto positivamente alla sfida del PNRR anche sul Piano Scuola 4.0 e hanno presentato progetti per un importo complessivo di 1,7 miliardi.

Torniamo alla mozione: l'intervento normativo conferisce maggiori margini di autonomia alle regioni, che possono procedere a una pianificazione a livello locale adeguata alle esigenze del territorio, superando la rigidità del tradizionale parametro legato proprio al numero minimo di alunni per istituto, 600, ridotto fino a 400 per le istituzioni situate nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche. La stessa misura poi consente all'amministrazione di programmare un piano di assunzioni sulla base dell'effettivo fabbisogno di organico, tenuto conto del personale attualmente in servizio e della stima delle cessazioni per i prossimi anni.

Resta, quindi, ferma la necessità di salvaguardare le specificità delle istituzioni scolastiche situate nei comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche. Investire in queste aree, colleghi, significa anzitutto ascoltare le esigenze che promanano da questi territori e da queste comunità, ponendo le istituzioni centrali in una posizione di apertura al confronto e al dialogo costante, al fine di garantire il corretto recepimento di istanze e osservazioni, anche di carattere pratico, logistico o di semplice buon senso, e, in ogni caso, idonee a fornire elementi utili ad assicurare alle politiche pubbliche gli elementi informativi e conoscitivi necessari a regolare in modo utile e adeguato tali realtà.

Senz'altro il riordino in questione - come voluto dal legislatore - avrà impatto sulle reggenze, un'autentica grave problematica storica della scuola. È questo, infatti, uno dei temi che attanagliano da anni la gestione delle scuole: l'assegnazione di un dirigente scolastico a più istituti contemporaneamente, non solo comporta problemi all'apparato amministrativo, ma anche a quello della didattica; è un problema fluttuante, che diminuisce in prossimità dei concorsi dirigenziali e aumenta dopo anni dal concorso. Ad oggi questa è la situazione in cui si trovano a livello strutturale tutte le scuole con meno di 500 studenti. I risparmi conseguiti con l'applicazione della nuova disciplina confluiranno, previo accertamento degli stessi, in un fondo costituito nello stato di previsione del Ministero dell'Istruzione e del merito, e possono essere destinati, oltre che al pagamento delle supplenze brevi e saltuarie del personale scolastico, ad incrementare il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, il Fondo unico nazionale dei dirigenti scolastici (FUN) e il Fondo integrativo di istituto, anche con riferimento alle indennità destinate ai direttori dei servizi generali e amministrativi. In questa sede, colleghi, voglio poi rispondere ad un articolo pubblicato oggi su la Repubblica a firma del professore Alessandro De Nicola, che evidenzia le difficoltà del nostro sistema scolastico: merito, investimenti e concorrenza sono le soluzioni che il professore propone per colmare il divario con le scuole europee. Ma questa, colleghi, è proprio la direzione in cui stanno andando il Ministero ed il Governo e anche la VII Commissione della Camera e ovviamente l'omologa del Senato. La VII Commissione, in particolare, ha iniziato un'indagine conoscitiva proprio sull'innovazione nella scuola, nell'istruzione e in tutti gli ambiti di competenza della Commissione. Esistono quindi due pilastri a nostro parere: il primo materiale, il secondo immateriale. Il primo pilastro richiede la disponibilità di infrastrutture, di connettività e di apparecchiature digitali, di piattaforme sicure, di insegnanti e personale competente sulle tecnologie digitali. Il secondo pilastro richiede lo sviluppo di capacità e competenze digitali di base sin dall'infanzia ed è su questo, colleghi, che dobbiamo lavorare insieme: sull'alfabetizzazione digitale, sulla messa in atto di azioni che consentano una buona conoscenza e comprensione delle tecnologie ad alta intensità di dati, sull'acquisizione di competenze digitali avanzate e sull'accesso delle donne alle carriere digitali. Su questo investiremo ingenti risorse. Poi c'è l'infrastrutturazione: il Piano scuole connesse - sempre obiettivo PNRR - ha lo scopo di raggiungere in fibra ottica gli istituti scolastici, che sono più di 10.000, fornendo agli enti interessati connessioni gratuite altamente performanti, andando ad abilitare una serie di servizi digitali che ad oggi sono preclusi. Duecentosessanta milioni: è questo il target originariamente previsto per dicembre 2022; è stato conseguito a febbraio 2023, restando invariati i target per il 2023 e gli anni successivi. Per quanto riguarda la tecnologia scolastica, la diseguaglianza di accesso alla tecnologia è uno specchio del divario reddituale: gli interventi una tantum per PC e tablet devono lasciare spazio ad azioni strutturali per l'acquisto da parte di famiglie a basso reddito, sul modello della Carta cultura giovani appena approvata. Sugli ITS, infine, abbiamo già stanziato mezzo miliardo: 1,5 miliardi di euro del PNRR su tre direttrici: potenziamento e innovazione dei laboratori ITS, ampliamento dell'offerta formativa, accompagnamento allo sviluppo degli ITS Academy. Su questo il Governo Meloni, sin dal primo giorno del suo insediamento, ha perseguito l'obiettivo di garantire al personale del mondo della scuola il giusto riconoscimento per la dignità del lavoro svolto quotidianamente. In poche settimane, infatti, è stato raggiunto un accordo con i sindacati, che ha previsto 100 milioni di nuove risorse aggiunte alle somme disponibili e la destinazione di ulteriori 300 milioni, già previsti nel bilancio per altri scopi finalizzati invece dal Ministero dell'Istruzione e del merito al rinnovo del contratto a condizioni migliorative. Gli incrementi, da parecchio tempo attesi, da oltre 1 milione e 200 mila lavoratori del comparto scuola, ammontano a regime ad una voce media di 124 euro in più a mensilità. La mozione quindi impegna il Governo, in primo luogo, a definire tempestivamente, con decreto del Ministro dell'Istruzione e del merito, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, previo accordo in sede di Conferenza unificata, quelli che saranno i nuovi parametri per la definizione del contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi; secondo, a proseguire la strada intrapresa riguardo la definizione degli organici e la formazione delle classi, mediante l'attuazione di deroghe mirate su casi specifici, riservando particolare attenzione alle disposizioni contenute nell'articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 20 marzo 2009, in merito alle classi con alunni in situazione di disabilità; terzo, ad avviare un processo di revisione riguardo il limite numerico minimo di alunni per la formazione delle classi nelle scuole primarie e secondarie dei comuni montani, delle piccole isole e delle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche, al fine di garantire l'esistenza delle scuole e lo svolgimento delle attività didattiche e formative anche in tali comunità, nella consapevolezza del ruolo centrale rivestito dalle scuole nelle comunità più piccole, sia per la loro vita culturale e socio-educativa, sia per la loro economia locale; quarto obiettivo, a continuare il processo di valorizzazione economica di tutto il personale scolastico.

Colleghi, la scuola va sicuramente valorizzata e su questo, almeno a parole, siamo tutti d'accordo. Mi sembra importante, a tal riguardo, concludere con una frase del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “nella scuola si cresce, ci si incontra, si sviluppano cultura, affetti, solidarietà, conoscenza reciproca, si sperimenta la vita di comunità e il senso civico” (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fabio Roscani. Ne ha facoltà.

FABIO ROSCANI (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Sottosegretario Frassinetti, avere l'opportunità di parlare di scuola e di affrontare le criticità che di certo non mancano nel nostro sistema scolastico è sempre occasione di confronto e di arricchimento. Pertanto, ringrazio i colleghi deputati che hanno posto all'attenzione del Governo problematiche che sono fortemente avvertite in tutto il Paese e che, particolarmente, investono il personale scolastico. Ma proprio in virtù di questa attenzione verso le politiche scolastiche, credo che valga la pena riconoscere tutto quello che, in appena 6 mesi, il Governo Meloni ha messo in campo attraverso l'azione del Ministro Valditara e del Sottosegretario Frassinetti.

Proverò organicamente a definire il quadro degli interventi, partendo dalle misure inerenti la riforma della definizione e riorganizzazione del sistema della rete scolastica, contenute nella legge di bilancio del 2023. Tante se ne sono dette, anche in quest'Aula; critiche e prese di posizione molto spesso infondate, se non addirittura strumentali, che non hanno fatto bene agli operatori del comparto scuola, terrorizzati dal continuo richiamo al taglio degli organici e alla chiusura di centinaia di plessi scolastici. Eppure, la necessità di riorganizzare ed armonizzare il sistema della rete scolastica italiana non ce la siamo inventata noi. Come è ben risaputo, anche se qualcuno ha fatto finta di dimenticarlo, questa è una riforma che è stata inserita all'interno del PNRR, precisamente nella Missione 4, componente C1, dedicata al potenziamento dell'offerta di servizi di istruzione, dagli asili nido alle università. È una riforma, quindi, già pensata e temporalmente scandita dal Governo precedente, che ha contrattato il PNRR e che andava normativamente adottata entro il 31 dicembre 2022, condizione necessaria per ricevere la seconda tranche del Piano. Essere riusciti, quindi, a rispettare i tempi è stato sicuramente un importante risultato per una maggioranza ed un Governo in carica da pochissime settimane.

Siamo, però, chiamati adesso a rendere attuativa la riforma, pena la mancata corrispondenza della terza tranche, che la Commissione europea dovrà valutare e autorizzare. E nell'ottica di un'armonizzazione e di una riorganizzazione che finalmente tengano conto non solo di criteri numerici, ma anche di quelli qualitativi e funzionali, la riforma, così come pensata, mira ad eliminare quel fenomeno tutto italiano delle reggenze e delle figure apicali nelle istituzioni scolastiche (dirigenti scolastici e direttori dei servizi generali e amministrativi), che dai banchi delle opposizioni tante volte è stato criticato negli anni scorsi, garantendo contestualmente un enorme risparmio di risorse economiche ed un notevole miglioramento in termini di innalzamento dei servizi e dell'offerta formativa per l'utenza di riferimento.

Infatti, è proprio questo il senso di garantire e preservare le autonomie scolastiche: consentire ai dirigenti di pensare la propria missione scolastica con un traguardo temporale certo e definito.

Ciò, purtroppo, non è accaduto fino adesso, per l'effetto distorsivo della norma che precedentemente regolava la definizione delle autonomie scolastiche e l'attribuzione dei relativi incarichi.

Se è vero che la legge di bilancio del 2020 aveva temporaneamente rivisitato i termini rigidi del rapporto tra numero di alunni iscritti e definizione delle autonomie scolastiche, è pure vero che l'intervento, essendo temporalmente limitato ad un solo anno, poi prorogato per altri due, non ha consentito ai direttori degli uffici scolastici regionali di assegnare alle istituzioni così dimensionate DS e DSGA titolari, poiché, a un incarico contrattualmente previsto triennale, non poteva corrispondere l'assegnazione di un istituto che non poteva assicurare la garanzia di un'autonomia scolastica almeno triennale. Per cui, paradossalmente, pur in presenza di un numero maggiore di scuole autonome, sono aumentate le reggenze in questi ultimi tre anni, con un aggravio di spesa non solo economico, ma soprattutto di performance delle istituzioni scolastiche.

La riforma della definizione e riorganizzazione del sistema della rete scolastica, inserita nella legge di bilancio 2023, si è quindi posta come obiettivo primario quello di costruire un nuovo modello, che consenta un'assegnazione stabile di DS e DSGA, poiché ha un orizzonte di definizione triennale, che può essere però rivisto annualmente, laddove se ne ravvisi la necessità. Soprattutto, si è inteso superare quel rigido parametro esclusivamente numerico che vincolava l'autonomia di una scuola al numero minimo di alunni iscritti, con risultati che spesso hanno guardato più alla quantità dell'utenza, che alla qualità del servizio offerto.

L'adozione di nuovi parametri meno stringenti e meno vincolanti, non solo non inciderà sulla chiusura fisica di alcun plesso o istituto scolastico, come pur erroneamente è stato detto, non solo non interesserà i criteri di formazione delle classi e non concorrerà all'istituzione di classi pollaio, ma, in realtà, contribuirà a rivoluzionare il perimetro in cui ogni regione avrà la sua piena libertà di muoversi, tenendo finalmente nella giusta considerazione quelle peculiarità territoriali che in molte realtà fanno la differenza, nella necessità di determinare l'autonomia delle singole istituzioni scolastiche e nel potere soddisfare l'effettivo fabbisogno di personale docente e non docente.

Pertanto, non è corretto accusare questo Governo di volere chiudere in tre anni oltre 700 scuole e non è neanche rispettoso del lavoro che è stato avviato e che dovrà vedere a breve nella Conferenza unificata una sua compiuta applicazione. Infatti, in quel contesto, le regioni potranno definire, a loro volta, parametri e criteri che mireranno a salvaguardare le proprie specificità, con particolare attenzione per quelle realtà scolastiche che in alcune città e in alcune province più complesse rappresentano l'unica possibilità per combattere la dispersione e ridurre i divari. Sono quindi solo numeri, 900 o 1.000, se presi avulsi dal contesto, e spaventano, se non sono spiegati correttamente. Ma questo è anche il nostro compito, ovvero spiegare le cose correttamente, non permettendo di manipolare la realtà giocando con le parole, perché c'è grande differenza tra annunciare la chiusura di 700 scuole e plessi e spiegare, invece, che ciò su cui si andrà ad intervenire è lo status giuridico di queste istituzioni scolastiche e non la loro presenza fisica nei contesti di riferimento.

Capisco la preoccupazione di quei dirigenti e di quelle comunità scolastiche che, dati alla mano, non arrivano ad un'utenza scolastica tale da salvare l'autonomia, ma questa concezione rigidamente matematica ci porterebbe a non venire mai fuori da quel circolo vizioso, in cui quantità e qualità non si incontrano mai.

Esiste invece il fattore umano, sociale e culturale. Esiste il criterio perequativo, esiste il rapporto tra il numero di istituzioni scolastiche e la densità di abitanti per chilometro quadrato, che consentirà nell'anno scolastico 2024-2025 di avere lo stesso numero di autonomie scolastiche, così come determinato dall'applicazione dei coefficienti di 600 e 400 unità.

Esiste l'attuazione graduale di una riforma che guarda in prospettiva ai prossimi 7 anni e che ha inteso coniugare l'innegabile acclamato calo demografico con la necessità di garantire il contingente di personale scolastico già occupato e con l'opportunità di ripensare l'organizzazione del sistema scolastico a vantaggio della qualità dell'insegnamento, riducendo gli alunni per classe e mantenendo su livelli eccellenti il nostro sistema di istruzione e formazione.

Non va sottaciuto, in aggiunta a quanto fin qui argomentato, che esiste un considerevole risparmio di spesa conseguente a questa opera di armonizzazione e riorganizzazione che verrà interamente reinvestito per potenziare l'offerta formativa delle scuole e valorizzare il personale scolastico. Le economie così derivate confluiranno nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, in quello della dirigenza scolastica, nel Fondo integrativo di istituto, anche con riferimento alle indennità destinate ai direttori dei servizi generali ed amministrativi, ed ancora in quello per il miglioramento e la valorizzazione dell'istruzione scolastica. Infatti, la valorizzazione del personale scolastico e il miglioramento dell'offerta formativa nelle nostre istituzioni scolastiche sono un impegno che questo Governo ha preso con il popolo italiano e che sta costantemente rispettando. Basti pensare al rinnovo del contratto del personale scolastico, che ha portato sia al riconoscimento degli arretrati sia a un aumento medio in busta paga di 124 euro; basti pensare alle centinaia di milioni di euro che le istituzioni scolastiche hanno ricevuto, stanno ricevendo o riceveranno per poter creare ambienti innovativi di approfondimento, che non si limitano a rivedere le predisposizioni fisiche degli spazi, delle aule e dei laboratori, pur fondamentali, ma che contribuiscono a rafforzare quelle competenze ormai indispensabili che un sistema di istruzione e formazione degno di una Nazione come l'Italia deve poter garantire e fornire ai propri studenti. Basti pensare, anche, all'attenzione rivolta ad un'istruzione che sia realmente universale ed inclusiva e che, anche attraverso tutti gli interventi in materia di edilizia scolastica, si è posta l'obiettivo di offrire alle famiglie degli alunni i servizi minimi essenziali, dal sostegno alle disabilità alle mense, alle palestre, al tempo scuola; tutti investimenti, sia in termini di competenze sia di infrastrutture, mirati a rendere la scuola italiana a misura di famiglia e di alunni, capace di formare cittadini autonomi e consapevoli.

Noi siamo orgogliosi delle scelte di questo Governo, orgogliosi anche di aver inserito il merito all'interno della denominazione del Ministero della scuola, perché crediamo che il merito non sia nemico dell'uguaglianza. Crediamo che il merito sia il miglior alleato di quell'uguaglianza: occorre garantire le stesse condizioni di partenza da Nord a Sud a tutti gli studenti e, poi, sarà il merito a determinare dove si arriva, allontanandoci da quella pericolosa ideologia dell'egualitarismo che ci vorrebbe tutti appiattiti verso il basso.

Fa specie che a criticare la nostra impostazione della scuola siano forze politiche che sostenevano Governi che verranno ricordati, quanto alle politiche scolastiche, solo ed esclusivamente per le centinaia di milioni di euro buttate in banchi a rotelle che ancora sono stipati nelle aule delle nostre scuole, molto spesso inutilizzati.

C'è ancora, sì, tanto da fare; su questo siamo aperti ad ogni tipo di contributo e collaborazione che possa venire anche e soprattutto dai banchi dell'opposizione. Stiamo lavorando per dare finalmente vita a quel sistema integrato di educazione e di istruzione 0-6 anni che metta tutte le bambine e tutti i bambini, dalla nascita ai sei anni, nelle condizioni di avere pari opportunità di sviluppare le proprie potenzialità di relazione, autonomia, creatività e apprendimento, per superare diseguaglianze, barriere territoriali, economiche, etniche e culturali.

Viviamo con consapevolezza la necessità di un adeguamento quantitativo tra il nostro sistema scolastico e la media europea e di una continua valorizzazione non soltanto economica del nostro personale scolastico, a cui dobbiamo gran parte di ciò che siamo.

Queste sono le prossime sfide, i tempi per renderle concrete sono già corti e non ci consentono contrapposizioni strumentali. Su questi temi ci troverete sempre pronti a non fare mai questioni di bandiera o di appartenenza politica e ideologica, perché credo fermamente all'assunto che l'istruzione non debba essere la bandiera di qualcuno.

Con la stessa fermezza, saremo quindi contro ogni tipo di strumentalizzazione e distorsione della realtà che magari qualche volta potrà essere funzionale al gioco delle parti, ma non potrà mai essere funzionale a quell'idea di futuro che dobbiamo ai nostri figli, a questa Nazione e alle generazioni che verranno (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il rappresentante del Governo non intende intervenire. Probabilmente, si riserva di farlo successivamente. A questo punto, il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Mercoledì 12 aprile 2023 - Ore 11:

(ore 11 e ore 16)

1. Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 30 marzo 2023, n. 34, recante misure urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l'acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché in materia di salute e adempimenti fiscali. (C. 1060​)

2. Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 31 marzo 2023, n. 35, recante disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. (C. 1067​)

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

MELONI e MORRONE: Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato). (C. 338-B​)

Relatrici: BISA e VARCHI.

4. Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:

GRIBAUDO ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati. (Doc. XXII, n. 6-A)

Relatori: LAUS, per la XI Commissione; CIOCCHETTI, per la XII Commissione.

5. Seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00045, Quartini ed altri n. 1-00104, Furfaro ed altri n. 1-00105, Zanella ed altri n. 1-00109 e Bonetti ed altri n. 1-00110 concernenti iniziative in materia di riconoscimento di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico specializzati nelle patologie ambientali .

6. Seguito della discussione delle mozioni Orrico ed altri n. 1-00079, Manzi ed altri n. 1-00063, Piccolotti ed altri n. 1-00106, Lupi ed altri n. 1-00107 e Amorese ed altri n. 1-00108 concernenti iniziative in materia di dimensionamento scolastico, nel quadro di interventi per la valorizzazione e il potenziamento del sistema di istruzione .

7. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del senatore Alessandro Morelli (deputato all'epoca dei fatti). (Doc. IV-quater, n. 1)

Relatore: PITTALIS.

(ore 15)

8. Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata .

La seduta termina alle 17,50.