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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 28 di martedì 27 dicembre 2022

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ANNA ASCANI

La seduta comincia alle 10.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO TRAVERSI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 22 dicembre 2022.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 54, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il deputato Andrea Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, a nome del gruppo del Partito Democratico chiediamo che il Ministro della Giustizia, Nordio, venga a riferire in Aula per i fatti avvenuti nel carcere minorile Beccaria di Milano. Chiediamo un'informativa urgente su questo tema così importante.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole. Il Governo è presente e mi farò carico di trasferire la sua richiesta al Presidente e capire la disponibilità del Governo a venire a riferire in Aula.

Discussione del disegno di legge: S. 274 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali (Approvato dal Senato) (A.C. 705​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 705: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 705​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento.

La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Ingrid Bisa.

INGRID BISA, Relatrice. Grazie, Presidente. Farò un riassunto della relazione e poi le chiederò l'autorizzazione al deposito della relazione integrale agli atti dell'Assemblea.

Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali.

Il provvedimento originario, composto da 9 articoli, risulta incrementato, a seguito dell'esame del Senato, a 25 articoli. Faccio presente che, nel corso dell'esame in sede referente presso la Commissione giustizia, è stata svolta un'ampia istruttoria sulle numerose proposte emendative presentate, che si è avvalsa anche degli autorevoli contributi acquisiti nell'ambito dell'attività conoscitiva, nonché dei pareri espressi dalle Commissioni competenti in sede consultiva e dal Comitato per la legislazione, contenenti alcune osservazioni.

Venendo quindi al contenuto del decreto-legge in esame, il provvedimento d'urgenza reca, ai primi articoli, misure in materia di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale dei detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia; si tratta dei reati ostativi di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario.

Si ricorda che il tema è stato oggetto di intervento da parte della Corte costituzionale che, con l'ordinanza n. 97 del 2021, ha indirizzato al legislatore un monito a provvedere, facendo seguito al quale, nella XVIII legislatura, la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura una proposta di legge che, però, non ha concluso l'iter parlamentare.

Gli articoli da 1 a 4 del decreto-legge in esame riprendono in larghissima parte il testo della citata proposta di legge approvata nella scorsa legislatura dalla Camera. In dettaglio, l'articolo 1, comma 1, lettera a), modifica il citato articolo 4-bis in più punti. Al numero 1 modifica il comma 1 del citato articolo 4-bis, che reca l'elenco dei delitti ostativi. La novella estende il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari anche in caso di esecuzione di pene inflitte per delitti diversi da quelli ostativi in presenza di particolari condizioni. Al Senato è stata però introdotta un'ulteriore modifica volta ad escludere i delitti contro la pubblica amministrazione dal catalogo dei reati ostativi. La lettera a), al numero 2, modifica il comma 1-bis del citato articolo 4-bis e introduce una nuova disciplina che trasforma da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti, che vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di stringenti e concomitanti condizioni diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo.

L'istituto della impossibilità e/o inesigibilità-irrilevanza della utile collaborazione con la giustizia è adesso soppresso e sono dettate nuove condizioni di accesso ai benefici penitenziari differenziate per le due sottocategorie in cui sono stati distinti i reati ostativi. La prima sottocategoria disciplinata dal nuovo comma 1-bis comprende, tra gli altri, i condannati per i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza e per i reati di mafia. Quanto ai detenuti e agli internati per tali delitti associativi, i benefici possono essere loro concessi anche in assenza di collaborazione con la giustizia, purché dimostrino l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento nonché alleghino elementi specifici che consentano di escludere l'attualità di collegamento con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, o con il contesto nel quale il reato è stato commesso nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti, tramite terzi.

La seconda sottocategoria disciplinata dal nuovo comma 1-bis.1 ricomprende i condannati per alcune residuali fattispecie non associative. Il Senato ha quindi introdotto una nuova disposizione, il nuovo comma 1-bis.1.1 dell'articolo 4-bis, teso a prevedere la possibilità che il provvedimento di concessione dei benefici sia accompagnato da prescrizioni volte a rendere impossibile il ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata terroristica o eversiva. Il nuovo comma 1-bis.2 specifica, inoltre, che i condannati per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di uno dei delitti elencati nel comma 1-bis.1, reati non associativi, ai fini della concessione dei benefici sono inclusi nella categoria dei condannati di cui al comma 1-bis, reati associativi.

Il numero 3 delle disposizioni in commento novella il comma 2 dell'articolo 4-bis per introdurre una nuova disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per i reati ostativi. Fra gli obblighi gravanti sul giudice di sorveglianza è stato introdotto al Senato anche quello di acquisire informazioni relative al perdurare della operatività del sodalizio criminale. Il giudice di sorveglianza ha inoltre l'obbligo di chiedere il parere del pubblico ministero, nonché, in caso di condanne per gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Con riguardo alla tempistica, la riforma prevede che i pareri, con eventuali istanze istruttorie, e le informazioni e gli esiti degli accertamenti, siano resi entro 60 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della complessità degli accertamenti, e che, decorso tale termine, il giudice debba decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni richieste. La riforma subordina inoltre la concessione dei benefici ai detenuti soggetti al regime carcerario speciale previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario alla previa revoca di tale regime.

Il numero 4 delle disposizioni in commento reca una modifica formale del comma 2-bis dell'articolo 4-bis, mentre al Senato è stato introdotto il nuovo comma 2-bis.1 il quale esclude l'applicazione della disciplina procedurale per la concessione dei benefici per la modifica di un provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno divenuto esecutivo nei tre mesi precedenti e per la concessione di un permesso premio da parte di un condannato già ammesso a fruirne, anche in questo caso se non sono decorsi più di tre mesi. La competenza in materia di concessione del lavoro esterno e dei permessi premio resta adesso sempre in capo al magistrato di sorveglianza.

L'articolo 2 interviene sulla disciplina in materia di liberazione condizionale. Si chiarisce, in sostanza, che i presupposti e la procedura per l'applicazione dell'istituto della liberazione condizionale sono quelli dettati dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. In materia di liberazione condizionale, quanto alle condizioni di accesso all'istituto per i condannati all'ergastolo per i reati ostativi non collaboranti la richiesta della liberazione condizionale potrà essere presentata dopo che abbiano trascorso 30 anni di pena; per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo e per i collaboranti rimane il requisito dei 26 anni.

L'articolo 3 prevede una disciplina transitoria da applicare ai condannati non collaboranti per reati ostativi commessi anteriormente all'entrata in vigore della riforma con riguardo alle specifiche disposizioni che rendono più gravoso il regime di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale.

L'articolo 4 estende la platea dei soggetti nei confronti dei quali la Guardia di finanza ha la facoltà di procedere ad indagini fiscali e patrimoniali, ricomprendendovi tutti i detenuti ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario.

L'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica. Il delitto è stato inserito tra i reati contro il patrimonio.

La norma punisce chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa della inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi. È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato.

L'articolo 6 rinvia dal 1° novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l'entrata in vigore della cosiddetta riforma Cartabia e ne specifica la relativa disciplina transitoria.

L'articolo 7 reca disposizioni in materia di vaccinazione anti SARS-CoV-2. In particolare, il comma 1 anticipa al 2 novembre 2022, in luogo del termine finale del 31 dicembre 2022, la data di cessazione dell'applicazione delle norme transitorie sull'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, sociosanitario e socioassistenziale. Il comma 1-bis stabilisce la sospensione, dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto e fino al 30 giugno 2023, delle attività e dei procedimenti di erogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19, obbligo stabilito per molteplici categorie di soggetti.

Il nuovo comma 1-ter prevede, invece, il differimento dal 31 dicembre 2022 al 30 giugno 2023 dell'applicazione della disciplina transitoria che ha disposto la costituzione di un'unità per il completamento della campagna vaccinale e per l'adozione di altre misure di contrasto della pandemia. L'articolo 8 reca la clausola di invarianza finanziaria e infine l'articolo 9 quella di entrata in vigore (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo: non intende intervenire.

È iscritta a parlare la deputata Forattini. Ne ha facoltà.

ANTONELLA FORATTINI (PD-IDP). Presidente, onorevoli colleghi, in merito al disegno di legge oggi in discussione spiace constatare che in un decreto-legge, peraltro il primo approvato da questa maggioranza, si trattino molte materie, molti argomenti, come a voler mettere alcune bandierine, distogliendo così l'attenzione su temi di importanza ben più rilevante, come, ad esempio, il taglio ai servizi ai cittadini che, grazie alla vostra manovra di bilancio, una manovra miope, taglia risorse ai più fragili, ai comuni, per darle a chi non paga le tasse. Argomenti diversi, che uniscono alle posizioni ideologiche contro il COVID, quelle dei rave, completamente stravolte rispetto alla prima stesura. Non che qui si stia difendendo il diritto di chi organizza rave, ci mancherebbe, anche perché non possiamo, ad esempio, dimenticare quanto accaduto questa estate a Peschiera del Garda. La norma, però, approvata nella prima versione nel primo Consiglio dei ministri targato Meloni, con la scusa di colpire questi raduni, attribuiva un potere arbitrario al Governo, che poteva stabilire quali fossero le manifestazioni che violavano l'ordine pubblico.

Insomma, il tentativo di limitare il sacrosanto diritto a manifestare era evidente e, come tale, doveva essere scongiurato. E, fortunatamente, il testo uscito dal Senato è stato modificato, introducendo il reato di invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute e l'incolumità pubblica. Rimane il problema della sanzione penale, smisurata e sproporzionata, con il rischio di arrivare al paradosso che, così facendo, le carceri italiane peggiorino ulteriormente sul fronte del sovraffollamento. Insomma, si predica bene e si razzola male, se pensiamo alle parole del Ministro della Giustizia Carlo Nordio durante le comunicazioni sulle sue linee programmatiche del suo Dicastero, che dichiara: “Questo non significa affatto che stiamo diventando carcerocentrici”.

Definirei questo decreto-legge un gran pastrocchio. È per questo che chi ama la libertà, quanto il rispetto della legge e della Costituzione, come il gruppo del Partito Democratico, si batterà con tutta la propria determinazione in questa sede per cambiare norme sbagliate. Come riteniamo sia completamente sbagliato l'articolo 7 che, con due mesi di anticipo, cancella l'obbligo vaccinale per il personale sanitario e il reintegro dei medici no-vax sospesi. Un provvedimento ideologico, uno schiaffo ai tanti medici rispettosi della legge e che hanno contribuito a portare il Paese fuori dalla pandemia.

Ma torniamo al tema delle carceri, un tema caldo, che, anche nei giorni di festa, ha visto il carcere di Rebibbia di Roma ed il Beccaria di Milano palcoscenici di atti di violenza. La riforma dell'articolo 4-bis del disegno di legge opera una distinzione tra i reati che progressivamente sono stati inseriti dal legislatore nel catalogo di quelli cosiddetti ostativi. Il decreto, infatti, da un lato, dedica una previsione ai delitti propriamente riconducibili alla criminalità organizzata, dall'altro, dedica un'ulteriore previsione ai restanti delitti, di cui all'articolo 4-bis, comma 1, tra i quali, appunto, i delitti contro la pubblica amministrazione.

Sul punto, la modifica si sostanzia in una riorganizzazione del catalogo dei reati, utile al fine di distinguere, in maniera più netta, in confronto alla precedente formulazione, i reati inquadrati nella criminalità organizzata rispetto ad altri. Appare, tuttavia, censurabile l'operatività estesa ai condannati per fatti illeciti diversi da quelli di criminalità organizzata, ma legati a quest'ultimi da una connessione teleologica accertabile persino dal giudice dell'esecuzione. Tale disposizione amplia il catalogo delle ostatività attraverso parametri suscettibili di ampia interpretazione, contravvenendo, nella sostanza, alla richiesta di intervento normativo sollecitato dalla Corte costituzionale.

Rispetto all'onere di allegazione richiesto al detenuto in sede di istanza per l'accesso ai benefici, lo stesso si sostanzia in una probatio quasi diabolica: i requisiti richiesti sono molteplici e piuttosto sfumati nella loro definizione. Particolarmente improbabile sarà l'onere di allegazione di fatti futuri, richiesta per scongiurare il ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Pur trattandosi di requisito richiesto solo per il comma 1 dell'articolo 4-bis, appare piuttosto difficile fornire elementi utili in tal senso.

Sui pareri alle procure, viene chiesto parere presso i tribunali del capoluogo che ha deciso nel merito, scelta piuttosto discutibile, trattandosi di organi inquirenti che hanno esercitato l'azione penale in un contesto temporale di molto antecedente e del tutto diverso rispetto a quello nel quale il detenuto chiede il beneficio. Peraltro, la domanda di accesso ai benefici viene formulata in un contesto nel quale l'istante è condannato in via definitiva ed ha in parte scontato la pena. È evidente che la condizione personale deve essere valutata alla luce dell'evoluzione della personalità dello stesso; elementi che il pubblico ministero, nel giudizio di cognizione non ha.

Sulla competenza a decidere, se decide il magistrato di sorveglianza, c'è il rischio che sia isolato in una scelta difficile, poi suscettibile di reclamo al tribunale di sorveglianza. Rispetto alla liberazione condizionale e la libertà vigilata, c'è un eccessivo aumento da 26 a 30 anni per la liberazione condizionale e da 5 a 10 anni per la libertà vigilata. Qui ci possono essere problemi di costituzionalità, sia rispetto al divario eccessivo tra condannato collaborante e non collaborante, sia rispetto anche al carattere obbligatorio ed in misura fissa della libertà vigilata.

Per tutte queste e anche per altre motivazioni, il disegno di legge che oggi è in discussione è irricevibile, pertanto auspico che venga bocciato da quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pellicini. Ne ha facoltà.

ANDREA PELLICINI (FDI). Grazie, Presidente. Ritengo doveroso, in primo luogo, porre l'attenzione sulle ragioni principali che hanno portato il Governo appena insediato ad intervenire con la decretazione d'urgenza. È noto a quest'Aula come la Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 97 del 2021, abbia fatto proprie le statuizioni al riguardo della Corte europea dei diritti dell'uomo che, con la sentenza Viola contro Italia del 2019, ha escluso la compatibilità con la Convenzione dei diritti dell'uomo della disciplina nazionale, che subordina alla collaborazione con la giustizia l'accesso alla liberazione condizionale da parte del condannato all'ergastolo per specifici delitti di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. Secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo, la mancanza di collaborazione non può sempre essere ricondotta ad una scelta libera e volontaria o, comunque, al fatto che siano mantenuti legami con il gruppo criminale di appartenenza.

La Corte costituzionale, con l'ordinanza sopra richiamata, ha, dunque, sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica strada possibile a disposizione del condannato all'ergastolo per accedere a liberazione condizionale. Ciò per il contrasto con la funzione rieducativa della pena, ai sensi dell'articolo 27 della Costituzione. Il decreto-legge del 31/10/2022 ha, dunque, evitato l'intervento demolitorio della Corte costituzionale delle norme dalla stessa censurate, circostanza che avrebbe permesso, in assenza di mirate disposizioni, la possibile scarcerazione dei detenuti ancora pericolosi.

L'intervento d'urgenza, che ricalca in larghissima parte il testo approvato dalla Camera il 31/3/2022, è stato messo in atto con adeguatezza e competenza da parte del Governo, che ha saputo trovare il giusto equilibrio tra il diritto del condannato ad accedere alla liberazione condizionale e la tutela dei diritti della collettività a non veder rimessi in libertà soggetti ancor potenzialmente pericolosi.

In primo luogo, il Governo ha aumentato il catalogo dei reati ostativi. Ad essere sottoposti a un nuovo regime differenziato per l'ammissione ai benefici penitenziari, infatti, saranno anche tutti i condannati in espiazione di pene inflitte per delitti diversi da quelli indicati nell'articolo 4-bis in relazione ai quali il giudice della cognizione o dell'esecuzione ha accertato che sono stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati di cui al medesimo articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. Quindi, rispetto al testo approvato dalla Camera il 31 marzo del 2022, la norma fa specifico riferimento anche al giudice dell'esecuzione, ampliando così le possibilità di accertamento del collegamento dei reati non ostativi con quelli ostativi.

Però, la parte più importante della novella legislativa è quella relativa ai presupposti per essere ammessi a tutti i benefici penitenziari esterni, dal permesso premio alla liberazione condizionale, in assenza di collaborazione. Per superare la presunzione di pericolosità correlata alla mancata collaborazione, non più assoluta, i richiedenti di misure alternative dovranno dimostrare di aver adempiuto alle obbligazioni civili.

Dovranno allegare elementi specifici che consentano di escludere l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata; l'onere di allegazione dovrà essere parametrato alle circostanze personali o ambientali, alle ragioni eventualmente addotte a sostegno della mancata collaborazione, alla revisione critica della condotta criminosa e ogni altra informazione disponibile. Gli elementi specifici da allegare, inoltre, dovranno essere diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria. Insomma, viene sì eliminata la presunzione assoluta di pericolosità sociale derivante dalla mancanza di collaborazione, ma vengono introdotti nuovi e molteplici elementi di valutazione di detta pericolosità, tali da assicurare la collettività rispetto alla eventuale concessione di benefici a individui precedentemente sicuramente pericolosi.

Inoltre, sebbene la genesi del provvedimento si ricavi da una decisione della Corte relativa all'ergastolo ostativo e alla liberazione condizionale, l'intervento legislativo, sempre per la suprema esigenza di protezione della collettività, ha previsto una disciplina uniforme per ottenere i benefici, sia per i permessi premio sia per la liberazione condizionale.

Il decreto-legge introduce anche una disciplina articolata del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti, specificando gli adempimenti istruttori del giudice; in particolare, questi dovrà richiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di condanna di primo grado, dovrà acquisire informazioni dal carcere in cui l'istante è detenuto, dovrà disporre accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali del detenuto e dei suoi familiari; laddove emergano indizi di pericolosità, il condannato sarà poi chiamato a fornire, entro un congruo termine, elementi di prova contraria. Il percorso delineato dalla normativa è, quindi, molto rigido, a garanzia della collettività.

Per quanto concerne la liberazione condizionale, il decreto-legge impone agli ergastolani non collaboranti una nuova soglia di pena per accedere alla liberazione condizionale: non più i 26 anni di pena richiesti dall'articolo 176 del codice penale, ma 30 anni; la pena, inoltre, si potrà estinguere solo decorsi 10 anni dal provvedimento di liberazione condizionale e di applicazione della libertà vigilata.

Si tratta, quindi, di norme severe, ben calibrate, in un difficile contemperamento degli interessi contrapposti.

Nell'iter di approvazione al Senato, la Commissione giustizia ha poi approvato un emendamento che ha espunto dai reati ostativi quelli in materia di corruzione; sul punto il dibattito è stato ampio anche in sede di Commissione giustizia in questa Camera, i gruppi parlamentari hanno manifestato al riguardo opinioni molto diverse; se coloro che hanno presentato l'emendamento ritengono, con molte ragioni, che i delitti in cui sono configurati gli atti di corruzione, sebbene odiosi, non possano essere accostati, per gravità, a quelli di terrorismo e di eversione, i parlamentari, ad esempio, del gruppo del MoVimento 5 Stelle, ne invocano a gran voce il mantenimento tra i reati ostativi; a sua volta; il gruppo del Partito Democratico ritiene che questi reati debbano rimanere ostativi, ma soltanto nella loro forma associativa; invece, il gruppo di Italia Viva-Azione è stato d'accordo sul contenuto dell'emendamento presentato.

Il Governo, nel decreto-legge, aveva mantenuto i reati contro la pubblica amministrazione tra i reati ostativi, ma evidentemente la grande maggioranza del Parlamento ritiene una forzatura accostare questi reati, pur gravi, a quelli in materia di terrorismo o di eversione, di mafia, di violenza sessuale di gruppo e di riduzione in schiavitù. Ciò non significa che il condannato per un reato contro la pubblica amministrazione non sarà punito; laddove questi subirà una sentenza di condanna definitiva superiore ai 4 anni, non beneficerà della provvisoria sospensione dell'ordine di esecuzione e andrà direttamente in carcere; per le pene inferiori ai 4 anni sarà il tribunale di sorveglianza a stabilire se il condannato avrà o meno il diritto di accedere alle misure alternative alla detenzione. Del resto, tra pochi giorni entrerà in vigore la cosiddetta riforma Cartabia, anch'essa oggetto di rinvio in questo decreto, riforma Cartabia che, all'articolo 1, introduce le pene sostitutive delle pene brevi, stabilendo che il giudice possa applicare la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare per le pene della reclusione e dell'arresto sino a 4 anni.

In questo nuovo contesto, quindi, cosa significa continuare a irrigidirsi sulla fase esecutiva della pena, quando è il giudice della cognizione, e non più soltanto il giudice dell'esecuzione, che può applicare pene sostitutive al carcere fino a 4 anni? Va, però, ribadita tutta la gravità del fenomeno corruttivo: gli ultimi fatti, del Qatargate, lo hanno reso ancor più attuale e preoccupante. Ci troviamo di fronte ad una deriva culturale, oltre che a una deriva delinquenziale. La corruzione non si combatte, non si ferma soltanto con la previsione di pene severe, ma restituendo alla collettività i valori fondamentali della nostra Repubblica, che non è fondata sul denaro, ma sul senso dello Stato, sulla solidarietà e, soprattutto, sul rispetto della cosa pubblica. In 20 anni di pubblica amministrazione negli enti locali - parlo brevemente di me stesso -, prima come assessore provinciale e poi come sindaco della mia cittadina, non ho mai incontrato alcuno che si sia permesso di propormi un vantaggio personale in cambio di un favore, i corruttori vanno dove possono trovare terreno fertile, non certo dove non hanno alcuna speranza di successo. Quindi, ciò che dovrà caratterizzare il nostro impegno sarà la continua costruzione di una classe politica e amministrativa ancorata a valori saldi, al senso patriottico e al valore nazionale, questo è quello che ci sta insegnando continuamente il nostro Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è questo a cui daremo voce, con il nostro costante impegno (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Devis Dori. Ne ha facoltà.

DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. Approda oggi, qui in Aula, quello che il grande pubblico conosce come il decreto Rave party, un decreto partorito in occasione del primo, vero rave, nel senso di raduno, riunione, del Consiglio dei ministri, peccato che, però, qui di musica non ce ne sia molta, anzi devo dire che il Governo e la maggioranza hanno addirittura dichiarato guerra alla musica, inserendola nel codice penale. Ma andiamo in ordine, concentrerò il mio intervento soltanto su due articoli, l'articolo 1 e l'articolo 5.

Come sappiamo, l'articolo 1, modificato al Senato, interviene sull'ordinamento penitenziario in tema di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale per i detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia, i cosiddetti reati ostativi di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario. A tal fine, l'articolo, tra le altre cose, trasforma da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici in favore dei detenuti non collaboranti, che vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo, e questo è in linea con quanto è stato richiesto dalla Corte costituzionale proprio al legislatore. Dunque, bisogna riconoscere che anche il testo depositato e confluito in questo decreto-legge sostanzialmente ricalca quanto era già stato approvato nella scorsa legislatura, anche con un'ampia maggioranza.

Con riferimento all'articolo 1, mi concentrerò sostanzialmente su un tema che avevamo fatto confluire in un emendamento in Commissione, che è stato respinto e che ripresentiamo poi per l'esame dell'Aula, che recepisce una richiesta pervenuta anche in audizione in Commissione giustizia; in particolare, il dottor Piergiorgio Morosini, appunto in audizione, aveva spiegato come andrebbe resa obbligatoria l'indicazione, da parte del detenuto, dei motivi della mancata collaborazione; una simile soluzione consentirebbe, infatti, al tribunale di sorveglianza di raccogliere un elemento di notevole rilevanza per formulare sia il giudizio di esclusione del pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata sia quello di avvenuto ravvedimento. In altri termini, dalla spiegazione sulle ragioni della mancata collaborazione del tribunale di sorveglianza potrebbe trarre significativi e preziosi argomenti, non solo per la valutazione sul versante della pericolosità sociale, ma anche sul percorso di ravvedimento del detenuto. D'altronde, la previsione di un dovere di spiegare le ragioni della mancata collaborazione parrebbe avere anche una copertura costituzionale; in base, infatti, ad alcuni passaggi argomentativi dell'ordinanza n. 97 del 2021 - citata da tutti - della Corte costituzionale in tema di ergastolo ostativo e liberazione condizionale. Infatti, al punto 9 della motivazione dell'ordinanza n. 97 del 2021 si afferma che la mancata collaborazione, se non può essere condizione ostativa assoluta - e questo è pacifico - è comunque non irragionevole fondamento di una presunzione di pericolosità specifica.

Appartiene perciò alla discrezionalità legislativa, e non già a questa Corte, decidere quali ulteriori scelte risultino opportune per distinguere la condizione di un tale condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani, a integrazione della valutazione sul suo sicuro ravvedimento, ex articolo 176, del codice penale. Scelte fra le quali - è questo il passaggio - potrebbe, ad esempio, annoverarsi l'emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione ovvero l'introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione. Si tratta di scelte di politica criminale - dice la Corte - destinate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità, ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti e che eccedono perciò i poteri di questa Corte. Come detto, esse pertengono alla discrezionalità legislativa e possono accompagnare l'eliminazione della collaborazione quale unico strumento per accedere alla liberazione condizionale.

In altri termini, dalle pronunce della Corte costituzionale, non emerge il riconoscimento di un diritto al silenzio sulle ragioni della mancata collaborazione. Si affida, quindi, al Parlamento l'opzione sulla facoltatività o sull'obbligatorietà dell'esternazione delle ragioni di questa scelta. Secondo alcuni osservatori, l'opzione normativa di rendere facoltativa la scelta di riferire sulle ragioni della mancata collaborazione sarebbe opportuna e frutto di un contemperamento di interessi in cui giocherebbe un ruolo importante il timore del detenuto di subire ritorsioni, propiziate dal fornire certe spiegazioni all'autorità giudiziaria. Tuttavia, questa tesi sembra confondere la condotta di mancata collaborazione con quella di omessa spiegazione delle ragioni di quella scelta, e pare irragionevole, proprio in una logica di bilanciamento degli interessi in gioco, sottrarre alla valutazione del tribunale di sorveglianza elementi di notevole rilievo per formulare, sia il giudizio di esclusione del pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata, sia quello di avvenuto ravvedimento. Semmai occorre chiedersi attraverso quali strumenti e procedure di verifica si debba valutare la sincerità di quelle dichiarazioni, ma, in questo caso, soccorre l'attività istruttoria ai fini della concessione dei benefici, prevista dal comma 2 dell'articolo 4-bis, come rimodellato dal decreto-legge in esame, con la formulazione di specifici quesiti da parte del tribunale di sorveglianza agli organi deputati ad acquisire informazioni e a svolgere accertamenti.

Passiamo all'articolo 5 del testo di questo decreto-legge in conversione. Qui abbiamo la vera e propria ciliegina sulla torta del testo di legge, però di una torta amara. Le altre previsioni contenute nel testo hanno, comunque, una loro ratio; poi possiamo discuterne nel merito oppure alcune disposizioni potevano anche essere migliorate, però, in alcuni casi, come per l'ergastolo ostativo, era addirittura doveroso un intervento. Qui, invece, nel caso dell'introduzione del reato di rave, siamo di fronte a un vero e proprio spot politico. Chiaramente, vi siete resi conto voi stessi che, sostanzialmente, il testo approdato in Consiglio dei ministri era assolutamente giuridicamente insostenibile. Avete, quindi, apportato - e questo va bene e almeno è positivo - notevoli modifiche al Senato e ciò certamente ha causato anche un certo imbarazzo tra i rappresentanti della maggioranza, ma anche tra i membri del Governo, a partire dal Ministro Nordio. Da lì, la necessità anche di apportare notevoli modifiche fino allo spostamento da un titolo all'altro del codice penale. Abbiamo presentato alcuni emendamenti in Commissione, che ripresentiamo anche per l'Aula. Il primo, necessariamente, è per giungere all'abrogazione di questo reato, anzitutto perché la norma penale dovrebbe sanzionare solo quei fatti di particolare gravità e allarme sociale: non mi pare che ci sia una tale diffusione di questi raduni tali da allarmare. Inoltre, non si comprende perché creare una fattispecie ad hoc, quando si poteva intervenire anche su norme già in vigore, magari con opportuni aggiustamenti. Va considerato, tra l'altro, che i grandi rave, tenuti, ad esempio, a Valentano nel 2021 e a Modena nel 2022, non hanno poi comportato problemi di ordine pubblico. Questo è verificabile e documentato. In entrambi i casi, infatti, lo sgombero è avvenuto in forma pacifica, negoziata tra le parti e tra le forze dell'ordine e gli organizzatori, con il coinvolgimento degli stessi partecipanti.

Altro emendamento presentato e bocciato in Commissione - lo trovo di particolare gravità e preoccupazione – riguarda l'utilizzo dell'espressione della parola “musicale” all'interno di questo nuovo reato. Io comprendo chiaramente il motivo per cui è stata inserita l'espressione “musicale” all'interno dell'articolo, ovvero quello di circoscrivere la fattispecie. Tuttavia, trovo davvero inquietante che, all'interno dell'articolo, possa essere associata alla parola musica o “musicale” qualcosa di illecito. La musica è una forma d'arte e, in sé, è anche una forma di intrattenimento, quindi, perché non eliminare la parola “musicale” e lasciare soltanto “altro scopo di intrattenimento”? Infatti, questa formula già include la musica, invece, così il rischio è proprio di creare uno stigma sulla musica. La musica è una forma d'arte, addirittura, sin dai greci, è una forma di educazione che faceva parte proprio della formazione della persona. In questo caso, trovo veramente pericoloso utilizzare questa espressione. Altrimenti, davvero si rischia di fare passi indietro nella storia, laddove si creavano elenchi di libri messi all'indice oppure si distingueva addirittura l'arte che andava bene da quella che doveva essere censurata. Questo, chiaramente, può avvenire soltanto in una dittatura. Certo, non era questa la finalità della maggioranza, non è questo il discorso; il problema è che si poteva evitare di utilizzare l'espressione “musicale”, proprio per evitare di dare un'accezione negativa a una forma d'arte, a prescindere dal fatto che poi possa piacere o non piacere la musica che viene ascoltata all'interno di questi rave party, ma nessuno si può permettere di giudicare una forma d'arte all'interno di una democrazia.

Altro elemento è quello relativo all'entità della pena, che è veramente sproporzionata, con la reclusione da tre a sei anni. Però, riprenderemo questo tema in occasione delle questioni pregiudiziali che discuteremo in giornata.

Per noi doveva essere riformato il trattamento sanzionatorio, altrimenti, in questo modo, si ha una violazione dei principi di uguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza, ex articolo 3 della Costituzione, e del principio di rieducazione della pena, ex articolo 27.

Rinviando all'illustrazione oggi pomeriggio delle questioni pregiudiziali, dove illustreremo i motivi e le evidenze di incostituzionalità di questo testo di legge, concludo sottolineando, invece, la totale insensibilità del Governo rispetto a un tema delicato e di estrema importanza, che avete avuto l'ardire di ignorare, nonostante le sollecitazioni che avreste dovuto recepire al Senato e anche qui alla Camera attraverso gli emendamenti delle opposizioni. Mi riferisco, infatti, al tema della semilibertà, che è stato sollecitato da più parti, in particolare anche dai garanti dei detenuti. Da oltre due anni 700 persone, formalmente ancora detenute, sommano una licenza straordinaria all'ordinaria semilibertà, non facendo rientro in carcere neanche per dormire. Questo è l'effetto delle misure anti-COVID, che hanno consentito di alleggerire le presenze in carcere, di mettere a disposizione camere detentive per la prevenzione della diffusione del virus e di evitare che il rientro notturno in carcere potesse essere fonte di contagio per il resto della comunità penitenziaria. Quelle persone, in questi due anni, hanno svolto un lavoro, un'attività esterna, seguiti dal servizio sociale del Ministero della Giustizia, e si sono trovate un alloggio esterno.

Il 31 dicembre 2022, quindi fra 4 giorni, tuttavia, queste 700 persone potrebbero essere costrette a rientrare a dormire in carcere, essendo scaduta la normativa anti-COVID. Ignorare, quindi, il percorso personale svolto in questi due anni sarebbe in contrasto anche con l'articolo 27 della Costituzione. Si, tratta, infatti di condannati che, per due anni e mezzo, hanno goduto di questa licenza straordinaria, che consentiva loro di dormire a casa o in strutture d'accoglienza, lasciando liberi spazi nelle carceri. Persone che hanno osservato le prescrizioni impartite dal giudice di sorveglianza e hanno mostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, il loro positivo reinserimento nella società. Il loro rientro in carcere dal 1° gennaio costringerà l'Amministrazione penitenziaria a liberare gli spazi da loro precedentemente occupati, ora destinati anche, tra l'altro, ad altre funzioni, a fronte di un irrisolto problema di sovraffollamento.

Se la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e se la rieducazione deve essere anche laicamente intesa nel senso del suo reinserimento in condizioni di autonomia e di legalità nel contesto sociale, non è ammissibile una regressione di fatto nel trattamento penitenziario. Ed effettivamente anche il portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà ha espresso l'auspicio di tutti i Garanti affinché il Governo assuma una propria decisiva iniziativa per impedire il rientro in carcere delle centinaia di persone in regime di semilibertà. Anche l'associazione Antigone ha lanciato un appello al Governo e al Parlamento per chiedere la proroga di questa misura.

Per concludere, quanto ho appena detto è la dimostrazione che continuate a mostrarvi, anche all'interno di questo provvedimento, deboli con i forti e forti con i più fragili. Non toccate gli interessi delle grandi compagnie energetiche, fate un regalo alle società calcistiche, poi, però, ve la prendete con i disoccupati, con chi è più povero, con i detenuti, come ho appena illustrato. Sostanzialmente, questa un po' la nuova ideologia: non tanto il sovranismo delle destre, ma proprio il fatto di una avere una società esclusiva, per pochi. Sostanzialmente, vi illudete che convenga sostenere chi è più ricco, perché questi creino ulteriore ricchezza, però dimenticandosi di chi soffre. Questo può creare ulteriori spaccature sociali.

Per questi e per gli altri motivi che poi esprimeremo anche nei prossimi interventi, come Alleanza Verdi e Sinistra esprimiamo la nostra totale contrarietà a questo provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Calderone. Ne ha facoltà.

TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Presidente, signori deputati, Governo, io credo che, quando il tema è così delicato, cioè riguarda la giustizia, vi sia un obbligo da parte di tutti, ma veramente di tutti, di cercare di essere quanto più obiettivi possibili, non pensare al punto in più o al punto in meno di percentuali, e pensare soprattutto a dire la verità agli italiani.

Questo provvedimento legislativo, oggi in votazione, è un apparato normativo di assoluta importanza, perché tratta temi di delicatezza assoluta. Che cosa avviene? Prima la Grande Chambre, con un provvedimento, credo, del 2018, che riguardava Cipro, e successivamente la Corte di Strasburgo, con il famoso provvedimento Viola contro Italia, hanno posto dei problemi - ed era una norma, un provvedimento sovranazionale - in relazione al cosiddetto ergastolo ostativo.

Sulla scorta di questo orientamento, che discende dalla norma sovranazionale, prima la Corte di cassazione, ritenendo quindi il nostro diritto vivente, non una camera penale piuttosto che un ordine degli avvocati, ma il massimo organo giurisprudenziale del nostro ordinamento, ritenendo che la norma sull'ergastolo ostativo presentasse dubbio o sospetto di legittimità, ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale. Infatti, signor Presidente e signori colleghi, bisogna fare un'analisi attenta, puntuale e - mi sia consentito - onesta dell'iter che ha condotto al provvedimento che oggi è in discussione. Dunque ha rimesso gli atti all'Alta Corte, che, prima con la sentenza n. 97 del 2021, ha, se così posso dire, emesso un provvedimento interlocutorio, che porterà a quello dell'8 novembre 2022, in cui auspica non, si badi, un intervento demolitorio, ma a un intervento da parte del legislatore - viene definito più o meno testualmente - di giusta politica criminale. E in virtù di una collaborazione istituzionale - si esprime così l'Alta Corte - auspica un provvedimento legislativo, che è quello di cui oggi stiamo discutendo. Quindi, non si dica: sono arrivati quelli di destra, del centrodestra, e hanno pensato all'ergastolo ostativo. No, no. Nient'affatto. Ci aveva pensato anche il legislatore della scorsa legislatura, perché obbligato - sia chiaro, obbligato! - da provvedimenti emessi dai massimi organi del nostro Stato, giurisdizionali ovviamente, e anche dalle norme sovranazionali e dai provvedimenti, dico meglio, sovranazionali.

A questo punto - e mi complimento col Governo, che vedo qui ben rappresentato - viene emanata una norma, per le ragioni che da qui a qualche momento verrò a rappresentarvi, che costituisce la rappresentazione plastica della buona norma, perché nessun intervento demolitorio, da un lato, ma neanche liberi tutti, dall'altro, ma neanche non pensare, preoccupandosi del fatto che un ergastolano possa riacquistare la libertà. E viene emanata una norma, che, a mio modesto avviso, da operatore del diritto che tutti i giorni si reca nelle aule di giustizia, è di esemplare portata. Intanto, qual era il problema rappresentato dai massimi organi giurisdizionali? Non più una presunzione assoluta di pericolosità, ma una presunzione relativa. Questo è il punto di partenza. Che cosa significa? Prima, chi aveva commesso determinati reati, se non collaborava con la giustizia, non poteva accedere ad alcun beneficio. Che cosa è, questa? Ricordo a me stesso, memore dei miei studi universitari. È una presunzione assoluta, insuperabile. Che cosa hanno scritto i massimi organi giurisdizionali? Non va bene, è in contrasto con la Costituzione, perché la Costituzione, all'articolo 27, prevede la funzione rieducativa della pena: se un soggetto è rieducato, non può essere consegnato all'ergastolo definitivo. Ma se è rieducato, ed è qui che si crea il problema!

Allora il Governo, con questo provvedimento, aveva l'obbligo, non l'onere, di superare questa presunzione assoluta, non perché lo avesse così pensato per vaghezza, ma perché gli era stato suggerito, diciamo così; aveva la necessità di salvaguardare l'ordine pubblico, la sicurezza dello Stato e di non rimettere in libertà pericolosi criminali.

Quindi, in questa straordinaria operazione di chirurgia giuridica, il Governo scrive una serie di condizioni per accedere alle misure alternative alla detenzione. Poi parleremo della liberazione condizionale.

A questo riguardo, Presidente, va subito detto - per chi non è un operatore del diritto - che stiamo parlando dell'ultimo scorcio di pena, dell'ultimo segmento di pena. Anche in questo caso - e ciò mi dispiace molto - è stato detto e scritto che si rimettono in libertà i criminali. Ma con le pene edittali previste per i reati a connotazione mafiosa - non soltanto per quelli previsti dall'articolo 416-bis ma per tutti i reati aggravati dall'articolo 7 del decreto-legge n. 151 del 1991, che tutti conosciamo - in questo momento storico - perché bisogna prendere esempio dal momento storico - le condanne, anche per chi sceglie il giudizio abbreviato, che come ben sapete prevede l'abbattimento di un terzo della pena, in tutti i tribunali o le corti d'assise d'Italia non sono inferiori, quoad poenam, a 12, 14 o 16 anni di carcere. Quindi, il fatto che si dica, in maniera irresponsabile, che si mettono fuori i mafiosi è una falsità storica, Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE, Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier). Chi lo dice se ne assume le responsabilità, perché non si mette fuori proprio nessuno. Questa disposizione riguarda l'ultimo scorcio di carcerazione che, alle condizioni stringenti che ora esamineremo, consente di ritenere quella pericolosità non assoluta ma relativa e relativa “a condizione che”. Per come è stata strutturata questa norma ritengo - forse perché condizionato dalla professione che orgogliosamente svolgo ed espleto - che sarà quasi impossibile - dovete dire questo agli italiani - accedere a una misura alternativa alla detenzione per chi è stato condannato per reati ostativi, uso questo termine.

Bene, facciamo l'elenco interminabile delle condizioni. È interminabile! Adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato: cioè, il condannato deve dare prova di avere adempiuto alle obbligazioni civili del reato. Pensate che sia una cosa semplice? Per i reati gravissimi c'è un danno grave e una riparazione importante, un risarcimento importante. Pensate sia facile, per chi ha commesso un reato di tal fatta, adempiere alle obbligazioni civili?

Adempimento degli obblighi di riparazione pecuniaria: operazione altrettanto complicata. Allegazione - ed è qui che voglio destare la vostra attenzione e mi complimento ancora una volta col Governo perché ha ripercorso strade legislative opportune - di elementi diversi, si badi, dalla regolare condotta carceraria. Ciò significa: amico mio, se ti sei comportato bene in carcere a me non importa nulla, nulla! Oggi leggevo di un plurilaureato e via dicendo. Il problema è la revisione critica che è cosa diversa, e ci arriveremo. Quindi, il regolare comportamento carcerario allo Stato non interessa. Allegazione di elementi diversi rispetto alla regolare condotta carceraria e alla partecipazione al percorso rieducativo: devi partecipare al percorso rieducativo e devi comportarti bene ma non basta, non è sufficiente, non interessa allo Stato. Perché lo Stato pretende anche che questo percorso rieducativo non si completi con la mera dichiarazione di dissociazione. Allo Stato non interessa nulla se ti sei comportato bene, se hai intrapreso un percorso rieducativo e se ti sei dissociato dalla congrega criminale cui appartenevi: non è sufficiente. Si badi: questi requisiti non sono in alternativa, questi presupposti devono essere cumulati, ci vogliono tutti nell'onere di allegazione di cui qualche collega prima ha parlato. Tutti! Vedremo se, con onestà, qualcuno in quest'Aula può dire che questo Governo, questo centrodestra mette fuori i mafiosi!

Signor Presidente, bisogna prendersi le responsabilità di quello che si dice, non raccontare storielle ma raccontare la verità che rende sempre e comunque liberi. Tutte queste cose, messe insieme, devono consentire di escludere il collegamento attuale con la criminalità organizzata: ecco la sterilizzazione, ecco cosa significa “presunzione relativa”. In presenza di tutti questi requisiti, in presenza di tutti questi elementi, nel coacervo indissolubile di tutti questi elementi si può accedere ai benefici, ma non è finita.

Occorre inoltre l'esclusione del ripristino di tali collegamenti anche indiretti o tramite terze persone: altro che probatio diabolica! Ciò vale per il condannato mafioso che vuole uscire dal carcere, ed è qui la straordinaria operazione che il Governo ha fatto. Questa norma, signor sottosegretario, non si candida assolutamente ad essere dichiarata incostituzionale perché, da un lato, ha previsto la presunzione relativa, ma, dall'altro, i requisiti, come è giusto, sono assolutamente stringenti.

Occorre inserire nell'onere di allegazione - che poi, ci arriveremo, qualcuno controllerà - la prova che, non soltanto non c'è la pericolosità, ma neanche il pericolo che possa essere ripristinata direttamente o tramite terzi, tenuto conto - si scrive - “delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta (…)”. Il giudice che valuta - qui nessuno lo ha detto - deve anche valutare se ci sono state iniziative dell'interessato a favore della vittima. Ecco quello che è stato introdotto al Senato.

Dopo tutte queste valutazioni, signor sottosegretario, signori colleghi, poi vedremo statisticamente chi accederà ai benefici, perché poi la statistica è la bellezza della verità. Al riguardo, desidero soffermarmi qualche minuto: nessuno dice che non è come mettere un soldino nella macchina che dà il caffè, ed esce il caffè. Qui non si accede perché ci sono questi requisiti, perché poi c'è un giudice: ecco, questo non lo dice nessuno. Qui c'è un organo giurisdizionale incaricato, e non un organo amministrativo, che può essere condizionato.

C'è un organo giurisdizionale, id est il tribunale di sorveglianza, che deve verificare in maniera scrupolosissima la sussistenza di tutti questi presupposti, requisiti e condizioni. Cosa si è introdotto al Senato? Che addirittura, una volta concessa la libertà, che è veramente operazione assai ardua da raggiungere, il giudice, con il provvedimento di concessione, può stabilire prescrizioni volte a impedire il ripristino di collegamenti, come disporre che il condannato non soggiorni più in uno o più comuni o soggiorni in un determinato comune. Che cosa significa? Diciamolo agli italiani! Significa che, se un siciliano riacquista la libertà, a quelle condizioni che abbiamo visto, quando la sua pericolosità non esiste più ed è stata - ho usato un termine certamente poco elegante e poco tecnico – “sterilizzata”, il giudice gli può prescrivere di soggiornare in un comune magari a 1.000 chilometri dalla Sicilia. Ma come ha previsto il legislatore una norma così importante? Bisognerebbe solo complimentarsi e non basta. Il giudice può anche, prima di decidere, acquisire dettagliate informazioni in merito al perdurare del sodalizio criminoso, al profilo criminale del condannato o alla sua posizione e può verificare se ci sono nuove imputazioni e nuove misure cautelari. Può verificare se esiste una nuova imputazione: qui veramente forse si va oltre, se posso dirlo, da garantista, perché una nuova imputazione potrebbe esserci per mille motivi, per fatti antecedenti al reato per il quale si sta patendo la pena; ma anche questo è stato previsto. Noi dobbiamo rappresentare i cittadini e il popolo seriamente e concretamente e il refrain di questa legislatura sarà, come abbiamo già sentito: “tutti contro i deboli e i corrotti e i mafiosi in carcere”. Signori, siamo tutti di questa idea ma cerchiamo di essere più originali e più creativi, perché tutti vogliamo i delinquenti in carcere e tutti abbiamo l'idea dello Stato sociale. Questo refrain non ci convince, ma ritorno al dato tecnico perché sarà il collega a dare un taglio più politico all'intervento. Sulla liberazione condizionale cosa ha fatto il Governo? Il Governo ha fatto un'altra straordinaria operazione tecnica, l'aumento da 26 a 30 anni, e non è come giocare al lotto (26 no e 30 sì). Dietro ogni norma, dietro ogni decisione, dietro ogni convincimento legislativo c'è infatti una ratio, la ratio legis che governa la norma a tutela dei consociati; è uno dei principi generali del nostro diritto. La ratio è che, siccome quella presunzione assoluta non esiste più e c'è la presunzione relativa, per tutelare la collettività, io Stato aumento il periodo per accedere alla liberazione condizionale da 26 a 30 anni ed aumento pure il periodo di libertà vigilata successiva, da 5 a 10 anni, perché sono convinto che tu non sia più pericoloso ma ti metto in una situazione di stringente controllo. Quindi, anche per questo mi complimento con il Governo e con chi ha ideato questa norma di modifica della liberazione condizionale. Addirittura è stato previsto - anche qui c'è una ratio - che i reati non ostativi collegati da vincolo teleologico con quelli ostativi godano del regime differenziato per l'accesso ai benefici. C'è un significato, vi dico io il significato e la ratio.

A me tante volte, nell'agire comune e nella prassi di ogni processo, è capitato di vedere un soggetto imputato di associazione mafiosa, di estorsione mafiosa e anche di violazione edilizia, che è un reato contravvenzionale, o di altro reato bagatellare, uso anche questa volta un termine poco elegante. Questo Governo e questa maggioranza hanno stabilito - tanto che comunque poi hanno previsto una norma transitoria, e hanno fatto bene, per non pregiudicare il principio tempus regit actum – che, anche in questi casi, non si possa accedere ai benefici. Quindi, se posso utilizzare questo termine, direi che è una normativa peggiorativa. Altra norma importante è quella volta a dare la possibilità alla Guardia di finanza di fare indagini patrimoniali su chi è sottoposto al regime del 41-bis. Sembra una norma banale che, se non si fa attenzione, non si comprende. Sapete che significa? Faccio una premessa: ci sono molti soggetti che non sono stati ancora condannati neanche con sentenza di primo grado e sono sottoposti al regime del 41-bis; questo esiste nella prassi e nella realtà dei giudizi. Allora, questo Governo si è preoccupato di disporre o di consentire le indagini patrimoniali anche per chi non rientra nell'ipotesi prevista tassativamente, se non vado errato, da una legge del 1982; quindi chapeau anche in questo caso. Ma ovviamente non se ne parla, si deve dire che questo Governo vuole mettere fuori i mafiosi, perché questo fa più ascolto, fa più share, questo è più importante. Però noi abbiamo un grande compito, un grande ruolo, che dovremmo sempre sentire cucito addosso, quello di dire la verità. Io cerco di praticarlo tutti i giorni e mi sono trovato sempre bene. Signor Presidente, prima della norma cosiddetta Spazzacorrotti, mi piacerebbe parlare dell'articolo 633-bis e della nuova fattispecie tipica che è stata introdotta. Si è detto di tutto su questa norma e si sono dette anche inesattezze giuridiche - vorrei chiamarle in maniera diversa, ma non è questa la sede - assolutamente inaccettabili. Si è detto, per esempio, che la norma già c'era ed era l'articolo 633: è la prima inesattezza - uso un termine elegante chiamandola inesattezza - perché il 633 che, come sapete, esiste da tempo nel nostro diritto sostanziale, punisce chiunque arbitrariamente invade un terreno o un edificio altrui. Qui è stata perfezionata la norma. Si è gridato allo scandalo perché la norma è stata perfezionata, ma i nostri studi giuridici ci consentono di affermare che la norma è sempre perfettibile e non è mai perfetta; il diritto si è evoluto nel corso dei millenni, non dei secoli, per adattarsi alle esigenze del consociato, è una regola di principio generale. Quindi, questo scandalo-indignazione per aver modificato la norma, invece di complimentarsi perché è stata perfezionata una norma che non è perfetta, non si comprende.

Se in quest'Aula qualcuno si professa portatore di norme perfette, mi sia consentito di dire che non gli credo, proprio perché la norma per definizione è perfettibile. Quindi, invasione arbitraria. Ma qual è la novità? Il pregiudizio per l'incolumità pubblica è la sanità, è la salute pubblica. Sono questi quelli che si chiamano elementi strutturali o costitutivi del reato - fate voi - che vengono introdotti dal legislatore, il quale, non a caso, fa riferimento…lo voglio leggere testualmente, qualcuno in Commissione ha protestato a causa dell'inosservanza delle norme in materia di stupefacenti. Cosa significa? Si spaccia? No. Ma guardate, relativamente all'inosservanza, non esiste solo l'articolo 73 - lo ricordo a me stesso, ci mancherebbe - del DPR 309 del 1990; esiste anche l'articolo 75, cioè l'uso personale. È sempre un'inosservanza di una norma; non viene sanzionata penalmente, come il 73 e il 74, ma viene sanzionata, come sapete, lo ricordo ancora una volta a me stesso, dal prefetto o può essere sanzionata dal prefetto nei modi e con il procedimento previsto dall'articolo 75. Quindi, questa è una norma, signor Sottosegretario, scritta non bene, benissimo, sotto questo profilo, perché non andava scritto spaccio o narcotraffico, andava fatto un riferimento lato, in senso lato e non stricto sensu, perché proprio, chi, durante un rave consuma sostanze stupefacenti, non merita un premio o un applauso. Siamo garantisti (Commenti del deputato Enrico Costa)… arriviamo pure lì, arriviamo, arriviamo, arriviamo pure lì.

PRESIDENTE. Colleghi, colleghi, non è un dibattito. Quindi, fate concludere il collega e poi interverranno gli altri, grazie. Prego, collega, concluda.

TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Sono già…

PRESIDENTE. Ha un minuto.

TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Allora, cercherò di essere velocissimo, signor Presidente. Quindi, è una norma scritta bene. Accolgo l'osservazione di qualche collega che faceva riferimento alla pena. C'è un articolo 633 che prevede addirittura forse una pena superiore, perché il terzo comma, rispetto ai 5 anni del secondo comma... L'articolo 633 è vigente, nessuno si è mai lamentato. Ma è mai possibile che per un'invasione di terreno o edificio altrui, come occupare una casa popolare, posso dare la stessa pena a chi mette in pericolo l'incolumità pubblica, la salute pubblica con sostanze stupefacenti, con abuso di alcolici e quant'altro? È questa la ragione, credo – poi, ovviamente, il Governo lo dirà meglio di me - per la quale si è prevista questa pena. C'è sempre una lettura logico-sistematica di tutte le norme che deve governare il ragionamento del giurista. Per un reato meno grave, non posso prevedere o, dico meglio, per un reato più grave come quello di…

PRESIDENTE. Onorevole, dovrebbe concludere.

TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Presidente, proprio due minuti.

PRESIDENTE. No, ha parlato trenta minuti e 21 secondi.

TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Volevo parlare della “Spazzacorrotti”, va bene.

PRESIDENTE. Assolutamente, basta che arrivi alla conclusione perché ha esaurito il suo tempo.

Prego, arrivi alla conclusione.

TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Concludo, Presidente, dicendo che la (Commenti del Sottosegretario Delmastro Delle Vedove)

PRESIDENTE. Sottosegretario, qui i lavori li governiamo dalla Presidenza. Prego, deputato, arrivi alla conclusione.

TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). La mistificazione più assurda è quella relativa alla “legge Spazzacorrotti”, perché, da giorni, si sta dicendo che si vogliono mettere in libertà i corrotti. Vedete che, per le pene sotto i 4 anni, c'è un tribunale di sorveglianza e che se un soggetto, sia esso un sindaco, un amministratore o comunque un condannato per reati contro la pubblica amministrazione, è pericoloso, sapete chi lo dice? L'informativa delle Forze dell'ordine e l'UEPE, l'Ufficio per esecuzione penale esterna, che ne attesta il contesto sociale e familiare. Quindi, dire, e concludo veramente, signor Presidente, che si rimettono in libertà i corrotti e che non si puniscono i corrotti è una inesattezza giuridica (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE). Ho finito, Presidente.

PRESIDENTE. Colleghi, se posso chiedervi la cortesia, quando usate l'appellativo e presiedo io, di dire “signora Presidente”. Ve lo chiedo come una cortesia, grazie mille (Applausi). È iscritto a parlare l'onorevole Cafiero De Raho. Ne ha facoltà.

FEDERICO CAFIERO DE RAHO (M5S). Grazie, Presidente. Per la verità devo dirle che, come premessa, non accetto di essere apostrofato come irresponsabile, né tanto meno come non veritiero nelle mie affermazioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Si può dire che si è di idea diversa, di opinione diversa, ma non si può affermare questo, altrimenti anch'io sarei autorizzato a dire le stesse cose. Eppure vedo buona fede in tutti, e, quindi, capisco che, probabilmente, altri non hanno la mia stessa formazione, per cui arrivano determinate decisioni senza comprendere che quella decisione è particolarmente vantaggiosa e favorevole per i mafiosi e per i corrotti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Presidente, la mafia si pone in antitesi con la Costituzione, con i nostri valori fondamentali: essa vuole esercitare il controllo del territorio e il potere criminale; essa vuole infiltrarsi nell'economia, ma anche nella politica.

A volte strumentalizza soggetti che credono, anche in buona fede, di muoversi in una direzione che è vantaggiosa per il detenuto, ma, a volte, l'obiettivo è sicuramente diverso. E mentre lo colgo, mi rendo conto che altri non lo colgono, e di questo mi rammarico. Presidente, quando la seconda guerra di mafia in Sicilia ebbe a svilupparsi, nel suo corso vennero uccisi il capo della squadra mobile Boris Giuliano, il 21 luglio del 1979, e Cesare Terranova, magistrato che aveva fatto domanda per il posto di consigliere istruttore, il 25 settembre 1979, Agli inizi del 1980, il capitano Emanuele Basile, il 3 maggio 1980, e poi il 6 agosto 1980 il procuratore Costa, e quindi il presidente della giunta regionale siciliana Piersanti Mattarella. Via via, tutti questi omicidi finiscono per determinare l'assunzione di una responsabilità importante per la politica, quella di adottare norme che riuscissero a contrastare pienamente la mafia. E come?

Pio La Torre fu un promotore in questo, egli portò avanti un disegno di legge di grandissima importanza, quello che istituiva per la prima volta la fattispecie dell'associazione mafiosa, che non esisteva; quello che pensava alla confisca dei patrimoni mafiosi, che non c'era. Due idee importanti, ma il 30 aprile 1982 venne ucciso dalla mafia, proprio perché stava conseguendo degli obiettivi di grandissima importanza. E poi occorre ancora il 3 settembre del 1982, con l'omicidio del prefetto Dalla Chiesa, per arrivare al Parlamento che adotta quella legge, perché il Parlamento era restato sonnolento, perché, purtroppo, la politica non sempre risponde con la dovuta partecipazione alle esigenze del popolo che soffre e che subisce la pressione mafiosa.

È solo chi conosce quei territori, chi conosce quelle persone, quelle organizzazioni, che riesce a cogliere alcuni aspetti che, probabilmente, altri, in buona fede, non riescono a cogliere. Ma qui non si tratta di parlare di tecnicismo giuridico, qui si tratta di creare strumenti legislativi che non determinino ambiguità, dubbi. Presidente, quando nel settembre 1982 viene emanata questa legge, cominciano ad essere attivate importantissime indagini, perché, finalmente, la fattispecie c'era. Così su questa fattispecie si crea il maxiprocesso. In mancanza di una fattispecie come quella, non sarebbe mai iniziato, nel 1985, il processo contro la mafia a Palermo, così come non sarebbero iniziati tanti altri processi, maxiprocessi. Voglio sottolineare, quindi, come lo strumento legislativo sia fondamentale.

Uno strumento legislativo che non sia completo, che, per quanto risponda ad un'esigenza, quella di rieducare il detenuto e al tempo stesso arrivare a un obiettivo importante, come quello che la nostra Costituzione vuole, deve però essere completo, ed essere completo significa che non deve creare dubbi, cioè bisogna che nessuno pensi che questa legge sia più favorevole di quella che è stata emanata nei confronti dei collaboratori di giustizia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). A noi, invece, è sembrato proprio questo, che la legge attuale abbia questo problema.

Non mi nascondo e non nascondo a nessuno che il disegno di legge che era stato approvato alla Camera nella passata legislatura corrispondeva sostanzialmente, salvo per alcune cose che dirò e che sono di una gravità, per quanto mi riguarda, per la mia formazione, gravissime. Poi, è chiaro, chi ha una formazione diversa può pensare a una cosa normale e anche credere che i reati di corruzione siano da parificare a reati ordinari e non debbano, invece, avere un contrasto specifico come quello nei confronti dei mafiosi e, quindi, dei reati di mafia. Ma per me, per il mio modo di pensare e per quello delle persone che appartengono al gruppo, al MoVimento 5 Stelle, adottare una legislazione che sia completa e che non crei ambiguità è fondamentale.

Quando Giovanni Falcone, dopo essere stato più volte depredato di tutto ciò che gli spettava, perché il Consiglio superiore non gli riconobbe ciò che meritava, venne preso dal Ministro della Giustizia e venne nominato direttore degli Affari penali - che all'epoca era come un capo dipartimento, perché era, in realtà, il soggetto che stava insieme a quel Ministro -, cominciarono ad essere adottate delle norme di grande importanza, come quella sui collaboratori di giustizia.

Il decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, per la prima volta affronta quel problema e, subito dopo, viene adottata un'altra normativa di grandissima importanza, quel decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, che introduce per la prima volta il doppio binario con l'articolo 4-bis, certo conformato in un modo diverso da quel che è diventato successivamente.

Ma, ancora, viene adottata per la prima volta una legislazione che prevede i servizi centrali e interprovinciali della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza per dare maggiore forza a questi organismi e, al tempo stesso, viene istituita la Direzione nazionale antimafia, unitamente alle 26 direzioni distrettuali antimafia. Sono tutti strumenti legislativi importanti, che davano un segnale univoco: la mafia va contrastata, questo è quello che dicevano quegli uomini di quella politica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)!

E, poi, il 23 maggio del 1992, la grande strage, la dichiarazione di guerra che i mafiosi manifestano allo Stato. Quella esplosione non è soltanto l'omicidio di Giovanni Falcone, di sua moglie, degli uomini della scorta, è qualcosa di molto di più: quella esplosione significa che i mafiosi entrano in guerra con lo Stato! E, guardate, la politica di allora, per quanto abbia, poi, commesso tanti errori, tanto che quell'assetto cambiò totalmente, si assunse in pieno la responsabilità. E cosa fece? Nel giugno del 1992, con il decreto-legge n. 306, adotta quell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario che costituisce una base fondamentale per contrastare i mafiosi. Ma, al tempo stesso, i mafiosi devono capire che non comandano più quando entrano nel carcere e il 41-bis, che era stato adottato fino a quel momento soltanto per contrastare determinate esigenze all'interno del carcere, esigenze di ordine pubblico, esigenze di ordine interno alle strutture penitenziarie, cambia la propria applicazione e finisce per costituire una disciplina di trattamento speciale nei confronti dei mafiosi e dei terroristi.

Da quel momento in poi, mafiosi e terroristi sono trattati diversamente e vengono trattati diversamente anche nell'assegnazione al carcere, ma questo non perché si vada contro la rieducazione del detenuto, siamo tutti per la rieducazione del detenuto, il detenuto che vuole essere rieducato, ma chi aderisce al patto mafioso è un soggetto che fa una promessa, un giuramento, è un soggetto che non deve più venir meno alle proprie regole, è un soggetto che deve osservare una struttura, deve osservare il suo legame con gli uomini che fanno parte di quell'organizzazione. Il primo comando, l'omertà, oltre a quello del legame con gli altri uomini dell'organizzazione, costituisce il pilastro del funzionamento dell'organizzazione mafiosa.

Il Ministro della Giustizia e il Ministro dell'Interno di allora, adottando questo decreto-legge, hanno piena consapevolezza che, a quella dichiarazione di guerra, bisogna rispondere con uno strumento legislativo che sia di altissimo contenuto, ma di un profondo significato univoco: la politica è contro la mafia, la politica vuole che la mafia sia combattuta in pieno (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

È questo quello che abbiamo voluto fare noi. Nell'ambito dell'intervento in Senato riguardante il decreto-legge, non vi era una finalità ostruzionistica né, tanto meno, una finalità dilatoria. Noi volevamo essere collaboratori di questa politica che aveva fatto un decreto importante, che andava fatto. È un decreto che certamente andava messo, perché, altrimenti, sarebbero scaduti i termini e, a partire dall'8 novembre, ci saremmo trovati senza una legge. Quindi vi era l'esigenza e tutti lo riconosciamo, ma non è questo il problema. È che nella legge, probabilmente, non so se perché erano presenti soggetti che avevano lavorato sulle mafie e, quindi, conoscevano quali erano le reali esigenze, si sono resi conto che mancava qualcosa. Ma non sono importanti i 26 o i 30 anni di cui ha parlato l'onorevole Calderone, non sono questi interventi di ordine marginale, non è questo il problema. Il primo problema è che questa legge non diventi una legge che consente ai mafiosi di accedere ai benefici penitenziari a condizioni molto più vantaggiose rispetto ai collaboratori di giustizia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Ma quale sarà il risultato? Il risultato sarà che il mafioso che è nel carcere e che, dopo anni, comincia a maturare l'esigenza di dover ricomporre il rapporto con la propria famiglia e che, forse, ha anche iniziato a maturare una sua revisione critica, decide di collaborare. Ma oggi può decidere di collaborare il mafioso che sa che, trascorso un certo numero di anni, comunque accederà ai benefici penitenziari? No, non lo farà. E, quindi, cosa significa questo? Qual è l'immediata conseguenza di tutto questo? L'immediata conseguenza è che, certamente, da una legge come questa deriverà la mancanza di collaborazione, soprattutto perché il sistema di protezione dei collaboratori non è un sistema capace di sostenere coloro che collaborano con la giustizia. Quante sono le doglianze che arrivano a tutti gli uffici? E, anche lì, non c'è un euro nella legge di bilancio su questa esigenza. È un'esigenza importante, è necessario investire sul sistema di protezione, rendendo, quindi, la vita più facile ai collaboratori rispetto a quella che è attualmente. Tanti di voi conoscono quali sono le condizioni di vita di un collaboratore di giustizia, come sia costretto a muoversi da un alloggio ad un altro, come cerchi lavoro e non lo trovi, come abbia esigenza di stare con la famiglia, familiari anche lontani, e non ci riesca. Quante sono le difficoltà di un collaboratore di giustizia? Vi è oramai una conoscenza diffusa, da parte di tutti i detenuti mafiosi, che diventare collaboratore, al di là di quelli che possono essere le conseguenze proprio sui benefici penitenziari, determina una grandissima difficoltà.

Quanti di loro tornerebbero indietro, potendolo fare? Anche questa, probabilmente, è una riflessione che non è stata fatta e quando, in Senato, vennero proposte alcune modifiche, quelle modifiche non erano finalizzate a impedire al Governo di portare a compimento il decreto, ma semplicemente a integrarlo, così come è stato fatto su altri aspetti; direi che, se tali modifiche fossero state accettate allora, probabilmente, oggi saremmo qui ad approvare un decreto-legge sul quale saremmo tutti d'accordo; all'unanimità l'avremmo atteso e avremmo veramente espresso il nostro plauso verso il lavoro della maggioranza, perché avrebbe accettato determinati punti che sono, per noi, essenziali. E quali sono questi punti?

Innanzitutto, teniamo conto che avevamo chiesto che, laddove fossero individuate le condizioni per valutare l'istanza del mafioso che voleva accedere ai benefici penitenziari, si considerasse l'obbligo di rappresentare le ragioni che impedivano la mancanza della collaborazione; ma perché dicevamo questo? Anzitutto perché la stessa Corte costituzionale, nella propria ordinanza, quando evidenziava l'importanza che vi fosse un intervento del Parlamento tale da colmare questa lacuna, considerava importante anche fare alcune scelte, e, testualmente, nell'ordinanza si legge: “scelte fra le quali potrebbe, ad esempio, annoverarsi l'emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione”. E perché lo diceva, la Corte? Non certo per costringere il mafioso a riferire la collaborazione e, quindi, a costringerlo a collaborare, ma soltanto per capire: sei ancora mafioso e, quindi, osservi il principio e il valore dell'omertà e ce l'hai ancora dentro, e, allora, non puoi accedere ai benefici, o non sei più mafioso e allora ci spieghi perché tu ritieni che devi mantenere il silenzio. Ecco, ciò era importante nell'ambito del quadro di riferimento, proprio per capire se il soggetto ancora osservava uno dei comandamenti fondamentali nell'ambito dell'organizzazione mafiosa; invece, questo è stato ritenuto come un modo per rallentare l'iter o per opporsi alla maggioranza, ma non era questo l'intento, era, anzi, una forma corretta di collaborazione. Avremmo potuto tacere e dire: non hanno guardato a questo e non hanno guardato a quest'altro, ecco perché, solo per dare condizioni vantaggiose; noi l'abbiamo fatto, invece, in tempi in cui era possibile intervenire, proprio perché si potesse guardare al problema con obiettività e con l'esigenza che noi avevamo mostrato. Tuttavia, in Senato, diversamente da quel che avevamo chiesto, sono state inserite le prescrizioni peculiari che il giudice può apporre nel momento in cui accoglie l'istanza di ammissione ai benefici penitenziari, e questo è l'altro aspetto, che, unitamente all'emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, la Corte costituzionale considera; ossia la Corte considera due soli aspetti: fra le scelte, ad esempio, indica l'emersione delle ragioni della mancata collaborazione e l'introduzione delle prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione, e questo viene accettato, in modo generalizzato. Quindi, qualcosa il Senato lo ha fatto e la pronuncia della Corte costituzionale non solo l'ha conosciuta bene, ma l'ha applicata. Perché non ha applicato anche l'altra parte? Solo per fare un dispetto alla minoranza? Non credo. Evidentemente, si è ritenuto che questo era un aspetto che non andava comunque accettato. Ed è grave, per noi, questo, perché si consente di mantenere l'omertà; e l'omertà, invece, va contrastata ad ogni costo. È necessario, comunque, che ne siano spiegate le ragioni. Non basta dire solo “le ragioni poi ce le spiegate”, e poi ci dite, voi mafiosi, non possiamo spiegarle, perché temiamo per la nostra famiglia. Era stato anche previsto un correttivo su questo punto, nell'ambito degli emendamenti che avevamo proposto, non ora, in questa Camera, ma in Senato; avevamo proposto di chiedere che la commissione centrale per i collaboratori di giustizia e il servizio centrale, oltre ai servizi di polizia giudiziaria, effettuassero un approfondimento su questo aspetto: veramente, ci sono ragioni di esposizione tale che impediscano una collaborazione, che impediscano di rendere dichiarazioni? Anche questo era previsto, eppure anche questo non è stato accettato.

Il collaboratore di giustizia rende dichiarazioni contro l'organizzazione alla quale egli aderisce e questo, già di per sé, crea una frattura fra colui che collabora e il mondo mafioso e, quindi, già abbiamo una prova più che eloquente, più che categorica, più che certa che egli si sia tirato fuori da quell'ambiente, perché ci si aspetta solo la reazione dell'organizzazione, e, invece, nella legge sui collaboratori di giustizia non è stato sufficiente questo; se andate a controllare l'articolo 16-nonies del decreto-legge n. 8 del 1991, il legislatore – quindi, la politica di allora - ha richiesto al collaboratore che ci fosse anche il ravvedimento; il ravvedimento non è la revisione critica che è stata inserita - anche questo, in Senato, è stato evidenziato; una cosa è il ravvedimento, una cosa è la revisione critica. Noi avevamo chiesto che venisse inserita tra le condizioni quella sul ravvedimento, sull'accertato ravvedimento, così come avviene per il collaboratore di giustizia. Sapete che, quando Giovanni Brusca chiese la detenzione domiciliare, gli mancava soltanto un anno per espiare definitivamente la pena? Egli fece istanza di ammissione per la concessione della detenzione domiciliare; il tribunale di sorveglianza disse: è vero, c'è revisione critica, è vero, hai compiuto il trattamento penitenziario che può dirsi ineccepibile, è vero sei stata la persona che ha reso piena collaborazione e, quindi, certamente non hai più collegamenti, però manca il ravvedimento. E cos'è il ravvedimento? È il pentimento civile? È qualcosa di più, è un fatto morale, etico che dimostra che sei una persona totalmente diversa e che sei capace di inserirsi nella società in modo da esserti allontanato totalmente da quell'organizzazione alla quale prima partecipavi, sei un uomo che ora può tornare in libertà. Ecco, il tribunale di sorveglianza dice: c'è revisione critica, ma non c'è il ravvedimento; per aversi ravvedimento occorre molto di più, occorre il perdono da parte di coloro che tu hai offeso, occorre il perdono delle vittime del reato, occorre che tu ti muova in modo da soddisfare quelle esigenze di giustizia riparativa che sono indispensabili, tutto questo è il ravvedimento. E quando Giovanni Brusca, con il proprio difensore, ricorre alla Corte di cassazione, chiedendo che venisse corretto l'orientamento di quel tribunale, la Corte di cassazione dice che il tribunale di sorveglianza ha perfettamente interpretato la disposizione di legge, il ravvedimento è quello, occorrono tutti quegli elementi e, quindi tu, Brusca, non puoi tornare fuori dal carcere, non puoi andare in detenzione domiciliare. Eppure, Brusca è colui che ha consentito di svelare gli altri correi nelle varie stragi, è colui che ha parlato dei correi nell'omicidio di Don Pino Puglisi, è colui che ha parlato di tantissimi fatti, di una gravità assoluta e per lui non è stato consentito. E noi cosa abbiamo chiesto, in Senato, a questa politica, a questa maggioranza? Cosa abbiamo chiesto? Abbiamo chiesto di inserire il ravvedimento, che è importante, è più importante della revisione critica, cerchiamo di capire se quel soggetto effettivamente può rientrare nella società civile! Si è detto “no”, anzi è restata totalmente inascoltata la nostra richiesta. Quindi, dire che noi siamo irresponsabili non mi sembra assolutamente corretto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)!

Gli irresponsabili qua non siamo noi. Io credo che c'è qualcosa che non va! Evidentemente, da neofita di questa politica, io non capisco perché la politica non accolga le cose giuste. Forse, solo per fare un dispetto alla minoranza, a coloro che si trovano dall'altro lato. Ma le minoranze devono essere in malafede, secondo la maggioranza? No! Sono in buona fede e cercano di far capire dove stanno gli errori e cercano di farlo capire subito, perché si possa intervenire. Signori, non basta, c'è ancora qualche cosa di importante. Noi chiedevamo che il mafioso potesse dire spontaneamente quali fossero i beni di cui disponeva. Ma perché lo avevamo chiesto? Perché, ancora una volta, volevamo almeno equiparare il mafioso che accede ai benefici penitenziari al collaboratore di giustizia. Guardate, fra i vari obblighi - non ve li enuncio, non avrei tempo - ve ne è uno in particolare: “specificare dettagliatamente tutti i beni posseduti o controllati, direttamente o per interposta persona, e le altre utilità delle quali dispongono direttamente o indirettamente, nonché, immediatamente dopo l'ammissione alle speciali misure di protezione, versare il denaro frutto di attività illecite. L'autorità giudiziaria provvede all'immediato sequestro del danaro e dei beni ed utilità predetti”. E questo lo deve fare spontaneamente! Se dice il falso qui, decade dai benefici, decade la stessa sentenza favorevole che ha avuto! Questo noi lo chiedevamo per i mafiosi, non per gravare il mafioso più di ogni altro, ma semplicemente per porlo sullo stesso livello del collaboratore. E, invece, per il collaboratore si è voluto che le condizioni fossero più gravi e per il mafioso più vantaggiose! Ma si può pensare che si vada avanti in questo modo, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Io credo di no. E noi eravamo anche qui in buona fede, perché richiamavamo le leggi, richiamavamo la Corte costituzionale e avevamo dato le sentenze della Corte di cassazione. Molti di loro conoscevano tutto questo e non l'hanno accolto e, se non l'hanno accolto, c'è un motivo? Presidente, purtroppo, devo dire - il tempo scorre così velocemente - che questo decreto, con tutto ciò che ci è stato negato, si colloca in un quadro che è per noi di grande preoccupazione. Perché? Perché voi avete visto, quando ho parlato della riduzione delle spese per le intercettazioni, che gli unici strumenti per contrastare la mafia e la corruzione sono le intercettazioni e i collaboratori di giustizia, e lo sapete bene. Scoraggerete i collaboratori di giustizia grazie a questo vostro disegno di legge, che non ha accolto nulla delle nostre proposte e, quindi, ha reso la condizione degli aspiranti collaboratori di giustizia più grave dei mafiosi. Non collaborerà più nessuno! In secondo luogo, in una situazione nella quale le intercettazioni rappresentano oggi l'unico strumento, riducete la spesa per le intercettazioni. Noi in buona fede vi chiediamo se volete fare altro e se l'utilizzo delle intercettazioni sarà ugualmente efficace, così come in passato. Su questo il Governo esprime parere contrario. Ma contrario a che? Parere contrario a che si continuino a esercitare le indagini e a svolgerle nella giusta esigenza di una società che deve essere garantita e protetta? Ma, se diamo questi esempi, come potremo chiedere ai giovani, agli studenti e alle studentesse, nelle cui aule andiamo a parlare, che dobbiamo avere…

PRESIDENTE. Deve concludere.

FEDERICO CAFIERO DE RAHO (M5S). Sono al 29° minuto, esattamente. Implacabile, Presidente, giustamente implacabile.

PRESIDENTE. Esattamente, suono un minuto prima per tutti (Applausi).

FEDERICO CAFIERO DE RAHO (M5S). Grazie, Presidente. Ebbene, come potremo noi andare a parlare nelle Aule? Non riusciremo a farlo. Io, da politico, come vado? Cosa ho fatto? Ho semplicemente avvantaggiato determinati soggetti?

Poi, vi vorrei parlare delle cripto-attività. Consentiamo ai mafiosi, che hanno utilizzato da sempre le cripto-valute, che le dichiarino senza pagare sostanzialmente niente. Infatti, mentre il riciclaggio comporta una spesa del 40 per cento, rispetto agli introiti avuti, grazie a questa legge, grazie alla regolarizzazione delle cripto-attività, essi potranno con il 3,5 per cento far riemergere tutti i loro beni. Inoltre, per gli istituti di pena e anche per l'Agenzia delle Entrate, si dice: riduciamo voi, dirigenti degli istituti penitenziari, e voi, dirigenti dell'Agenzia delle entrate, che dovete quest'anno risparmiare 25 milioni di euro e 15 milioni di euro; però, dovete migliorare il servizio. Ma come lo migliorano, Presidente? È evidente che si vuole soltanto dire: non svolgerete più il vostro servizio.

Insieme a questo e a tanto altro – l'ultima affermazione - il Senato cosa fa? Elimina i reati contro la pubblica amministrazione, in modo che coloro che commettono reati di corruzione non avranno più il problema di quei benefici penitenziari, non dovranno fare nulla. Come ci dice la maggioranza, come ci è stato poc'anzi ricordato, non avranno più bisogno di nulla: diventano come gli autori di reati ordinari.

PRESIDENTE. Collega, deve concludere.

FEDERICO CAFIERO DE RAHO (M5S). Sì, Presidente. Questa è un'altra declassazione gravissima, perché porre sullo stesso piano la corruzione insieme agli altri reati è qualcosa di molto grave, contro cui noi ci battiamo. Ci battiamo in quest'Aula, rispettando sempre le regole, e non siamo né irresponsabili, né - sia chiaro, Presidente - crediamo di avere mai detto bugie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Matone. Ne ha facoltà.

SIMONETTA MATONE (LEGA). Signora Presidente, visto che lei vuole essere chiamata così, anche se a me risulta molto difficile, avendo combattuto per tutta la vita per il genere maschile-neutro.

PRESIDENTE. La capisco, ognuno fa le battaglie che ritiene. Prego, collega.

SIMONETTA MATONE (LEGA). Grazie, signora Presidente. Vorrei anche che lei ricordasse ai deputati che è un gesto irrispettoso dare le spalle alla Presidenza, quando c'è questo tipo di dibattito, mi scusi.

PRESIDENTE. Ha ragione, collega, lo farò. Adesso, prego, svolga pure il suo intervento.

SIMONETTA MATONE (LEGA). Vorrei fare una premessa, che è questa: i morti di mafia non sono patrimonio di una parte sola del Parlamento, sono patrimonio di tutti (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).Vorrei altresì ricordare, visto che viene citato continuamente, che Giovanni Falcone, distrutto dalle logiche del CSM, accettò di lavorare ed emigrare a Roma e che, come direttore generale degli affari penali, accettò di lavorare con Claudio Martelli, Ministro socialista, in Governi che vengono ora ritenuti il male assoluto. Io ritengo che fu ucciso, non soltanto dalla mafia, ma anche dalle logiche che lo portarono e lo costrinsero ad emigrare, quelle logiche del CSM che oggi vengono difese a oltranza da una parte del Parlamento, che si batte perché nulla cambi. Oramai, come in questo dibattito, ho sentito da parte delle opposizioni venire meno quella che dovrebbe essere la prima qualità di chi è stato eletto e rappresenta il popolo italiano, ovvero l'onestà intellettuale. Mai, come in questo dibattito, ho sentito tanta malafede.

Per avvicinarmi all'argomento ergastolo ostativo, ho fatto un giro su Internet - perché io sono un tipo pratico e voglio partire non dal basso, ma dalla concretezza - ed ho trovato organismi rappresentativi degli avvocati, della classe forense, che insorgevano per l'inasprimento del sistema. Vi leggo questo titolo di Altalex: “Modifica del regime dei delitti ostativi, un complessivo inasprimento”. Così potrei continuare. Io non ho mai sentito, da parte dell'opposizione, però, ricordare che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per violazione dell'articolo 3 della CEDU, che sancisce il divieto di trattamenti inumani e degradanti, divieto che non ammette né deroghe né sospensioni. Secondo i giudici di Strasburgo - lo ricordo a me stessa, come dicevano sempre gli avvocati, ma va ricordato - il regime italiano, prevedendo una presunzione assoluta di pericolosità sociale del condannato in assenza di collaborazione, impedisce di valutare il percorso rieducativo del detenuto ai fini di un suo possibile reinserimento.

Percorso rieducativo che, secondo l'Europa, va riconosciuto a tutti, anche ai peggiori, anche ai soggetti che noi vorremmo eliminare dal contesto sociale. Non ho mai sentito ricordare in quest'Aula o in Commissione l'invito del Comitato dei ministri, che più volte ha richiamato l'Italia invitandola categoricamente a riformare l'ergastolo ostativo, usando l'espressione “senza ulteriori indugi”. Peraltro, sono sorpresa dal fatto che la lotta alla mafia si possa fare soltanto attraverso collaboratori di giustizia e intercettazioni, dimenticando che esistono anche le indagini svolte da magistrati che coordinano la polizia giudiziaria.

Detto questo, vorrei, altresì, ricordare che è stata la Corte costituzionale ad affidare al Parlamento le scelte più opportune, perché appartiene alla discrezionalità legislativa decidere quale scelte vadano fatte rispetto ad ergastolani e non. Le scelte di politica criminale spettano al Parlamento: questo lo dice correttamente la Corte. Sta al legislatore - e, quindi, al Parlamento - trovare il punto di equilibrio, fermo restando che sarà poi la Corte costituzionale, come sempre ex post, a valutare la conformità alla Costituzione delle scelte che noi abbiamo effettuato.

Non nascondo che questo sia un tema delicatissimo, perché trattare il tema dell'ergastolo ostativo, dal punto di vista della rieducazione della pena, che, ribadisco, spetta a tutti - l'articolo 27 della Costituzione - potrebbe portarci a dimenticare lo spessore criminale dei soggetti di cui ci occupiamo. Ma, al tempo stesso, la Corte, anche seppure incidentalmente, ha già affermato che la legge che noi esaminiamo rispetta perfettamente le indicazioni vincolanti già espresse dalla Corte stessa nel 2019 e nel 2021, trasformando la presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici ai non collaboranti, trasformando questa presunzione da assoluta in relativa.

Vorrei ricordare che questo sistema viene, però, esteso anche da questa legge ai condannati per delitti connessi con la criminalità organizzata. Ma, al tempo stesso, per l'ammissione alla liberazione condizionale, abbiamo il fondamentale aumento a 30 anni della parte di pena che deve essere scontata. Addirittura, ci sono state obiezioni tecniche sul fatto che passare da 26 a 30 anni rendesse impossibile l'accesso al beneficio, ma, in base alla durata media della vita che è aumentata e sulla base dei 45 giorni di liberazione anticipata che spettano comunque a tutti ogni semestre, questo pericolo può essere assolutamente accantonato.

Altro ostacolo insormontabile è che il soggetto non abbia ovviamente il mantenimento del 41-bis, perché il mantenimento del 41-bis è assolutamente incompatibile con la valutazione di sicuro ravvedimento. Quindi, basta la potenzialità attuale e concreta di collegamenti con l'ambiente mafioso per evitare ed impedire l'ammissione al beneficio. Il nucleo della modifica è l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria, o l'assoluta impossibilità, ovviamente, di tale adempimento, o la allegazione - su questo vorrei soffermarmi - di elementi ulteriori rispetto alla condotta carceraria. Quindi, si allarga il campo di indagine rimesso alla magistratura di sorveglianza, rendendo pregnanti e fondamentali ulteriori elementi. La presunzione di pericolosità per i reati commessi in ambito mafioso di chi non collabora ed è condannato all'ergastolo rimane, ma questa diventa relativa. E questo non l'abbiamo deciso noi, ma ce lo impone l'Europa.

Ora, per il superamento di tutto questo, occorre una specifica e individualizzante valutazione da parte della magistratura di sorveglianza, che vaglierà le allegazioni del condannato che smentiscono questa presunzione. Qual è, però, la novità che rende più severo il sistema? I condannati non collaboranti dovranno adempiere alle obbligazioni anche per accedere alle altre misure - questo nessuno lo dice -, al lavoro all'esterno e alla semilibertà: tu devi dare prova di avere adempiuto a queste obbligazioni anche per quelle misure, cosa che prima non era.

E poi, altro punto centrale, è l'impossibilità di adempiere alle obbligazioni: questa impossibilità deve essere assoluta, sconfessando un orientamento buonista che ha pervaso i tribunali fino a questo momento. Ora, il ravvedimento sicuro richiesto diventa non una semplice condotta, ma implica anche comportamenti positivi, da cui desumere l'abbandono di scelte criminali, e questo sempre in linea con le indicazioni della Corte costituzionale. Il punto nevralgico e vero sono i motivi della non collaborazione: l'ampiezza del potere dato ai tribunali di sorveglianza per indagare sulla reale situazione del condannato ci mette al sicuro dalle censure europee, ma ci mette anche al sicuro da scelte che potrebbero essere pericolosissime per l'ordine pubblico. Non è stata stabilita un'inversione dell'onere della prova, ma è stato stabilito un onere di allegazione da parte del condannato, il quale, in presenza di elementi indizianti che gli devono essere contestati dal tribunale di sorveglianza, sarà ammesso alla prova contraria. Ora, questo fatto non è un favore fatto alla mafia, è un fatto di civiltà giuridica. Viceversa, su questo punto ho sentito cose aberranti. Viviamo in uno Stato di diritto, noi non siamo in Iran o in altri regimi, noi abbiamo una Costituzione da rispettare e che ci impone questo regime probatorio.

D'altra parte, ribadisco, la mancata collaborazione fa partire chi giudica, e cioè il tribunale, da una presunzione di “assoluta sfavorevolezza” nei confronti di quel soggetto. Peraltro, altro elemento correttivo, ma se volete peggiorativo, perché rende più grave il sistema, è il fatto che l'estinzione della pena dell'ergastolo interverrà solo dopo 10 anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, mentre prima erano 5 anni, quindi, sempre e comunque una valutazione globale e discrezionale, con un'ampia istruttoria da parte del tribunale di sorveglianza. Forse il vulnus di questo sistema è la situazione dei tribunali di sorveglianza, tribunali che sono sovraccarichi, tribunali che scontano da sempre una carenza di personale e che saranno, forse, i primi a pagare il prezzo di questa modifica, che, ripeto, è una modifica afflittiva per la quantità di lavoro che si scaglierà e si riverbererà sul sistema dei tribunali di sorveglianza. E ribadisco, questo sistema, così articolato e così complesso, è esteso anche alla criminalità organizzata.

Ho sentito dire che abbiamo compiuto un'operazione vergognosa in relazione ai reati contro la pubblica amministrazione, ma l'aberrazione era stata agganciarli al pianeta mafia. Questo problema veniva sollevato da tutti i giuristi e da tutti i costituzionalisti, perché questo aggancio provocato dalla Spazzacorrotti alterava il senso di realtà, la misura e la proporzione, che le norme comunque devono avere.

E avere attaccato il vagone dei reati contro la pubblica amministrazione alla locomotiva della mafia è qualcosa che andava corretto, non perché ci piacciono i reati contro la pubblica amministrazione, ma per un senso elementare di adesione alla realtà. Infatti, equiparare l'abuso d'ufficio alla mafia è un qualcosa di assolutamente inaccettabile e, purtroppo, questo è quanto accaduto.

Vorrei poi soffermarmi sul decreto Rave. Il decreto Rave ha subito correzioni, sulle quali non mi pronuncio, perché non trovavo personalmente così erronea ed errata, da un punto di vista tecnico- giuridico, la prima formulazione. Comunque sia, noi abbiamo assistito a un cambio di passo perché il delitto è stato ricollocato, giustamente, tra i reati contro il patrimonio. Le pene sono, a mio e a nostro giudizio, assolutamente adeguate. Il fine è realizzare un raduno musicale o altro raduno a scopo d'intrattenimento, ma questo quando? Quando da questa condotta derivi un pericolo concreto per la salute pubblica, per l'incolumità pubblica o per l'inosservanza delle norme in materia di stupefacenti, di sicurezza o d'igiene degli spettacoli.

Ora, è stata esclusa la punibilità dei partecipanti, che forse era veramente eccessiva, rilevato che comunque chi partecipa può essere sanzionato secondo l'articolo 633 del codice penale per l'invasione di terreni o edifici. Quindi, ci dobbiamo attenere a questo perimetro, che esclude le misure di prevenzione personale per i soggetti indiziati. Riteniamo che non vi sia stato alcun attentato alla libertà di riunirsi, ma semplicemente una tutela ulteriore di fronte al dilagare di un fenomeno che - lo ricordo - è sempre accompagnato dalla commissione di altri reati, come l'invasione di terreni o il danneggiamento.

Abbiamo assistito inermi, per anni, al perpetrarsi di ogni genere di scelleratezza, compreso lo spaccio di droga per lo stupro, e prova ne sono i fatti di cronaca nera che si sono purtroppo verificati. Basti pensare alla privazione del sonno per giorni e giorni da parte dei partecipanti, il che comporta inequivocabilmente una reattività diversa; abbiamo assistito a crisi di astinenza, abbiamo assistito alla violazione delle più elementari norme igieniche per le persone e per il cibo.

Ora, si è gridato all'attentato all'articolo 17 della Costituzione perché sarebbe stato violato il diritto di riunirsi in una pubblica manifestazione, dimenticando però che spettacoli e trattenimenti pubblici - questo sembra che sia un fatto secondario - richiedono autorizzazioni e procedure a tutela della pubblica incolumità che sono di competenza dei comuni, sotto i 5 mila partecipanti, e autorizzati da una specifica commissione, se superano i 5 mila partecipanti, e la competenza è della prefettura. Ebbene, qual è la caratteristica principale dei rave party? La clandestinità, l'effetto sorpresa. Se voi andate su Wikipedia - che non è la Bibbia, ma è anche interessante e divertente - troverete che la definizione di rave party è inesorabilmente connessa all'effetto sorpresa perché è un'attività contra legem. Cioè, noi stiamo parlando di attività assolutamente illegali, scambiando fraudolentemente il diritto costituzionalmente garantito di riunirsi e di manifestare il proprio pensiero con la commissione di una serie di reati. È ovvio che queste polemiche sono solo ed assolutamente strumentali, perché i problemi di sicurezza che i rave party pongono sono del tutto peculiari e nulla hanno in comune con l'articolo 17 della Costituzione. Il discrimen è dato dalla clandestinità e dall'effetto sorpresa. Vorrei anche dire che nulla vieta che nel nostro Paese si celebrino i rave party con la gioia di tutti i partecipanti: basta chiedere l'autorizzazione al comune o al prefetto e, in presenza di determinate caratteristiche, queste autorizzazioni verranno concesse. Grazie per l'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Enrico Costa. Ne ha facoltà.

ENRICO COSTA (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Dopo le dichiarazioni programmatiche della Presidente del Consiglio in quest'Aula e dopo il dibattito nel quale era emerso, sui temi della giustizia, un profilo che tutti quanti condividevamo, cioè quello di evitare di buttare tutto in penale e di pensare che, di fronte a una criticità, l'unica soluzione fosse il diritto penale, evitando che un'iperproduzione normativa penalistica ingolfasse ancora di più i tribunali. Mi sembrava che la maggioranza tutta avesse l'obiettivo diametralmente opposto, ossia quello di depenalizzare, cercando di identificare una serie di comportamenti per i quali si giustifica la sanzione penale e un'altra serie di comportamenti per i quali la sanzione penale oggi è ingiustificata.

Ogni maggioranza in questo Parlamento - sono qui da un po' di anni - ha sempre tale obiettivo e ogni maggioranza tradisce questo obiettivo in tempi più o meno brevi. Difficilmente, però, avevo visto una maggioranza che, al primo Consiglio dei ministri, introducesse una nuova norma penale.

Noi oggi abbiamo un ingolfamento pesante dei tribunali dal punto di vista penale e una delle ragioni è proprio questa: l'iperproduzione normativa. Tutto si accalca nei tribunali e nelle procure: e, allora, parliamo di mettere in discussione l'obbligatorietà dell'azione penale, perché vi è una selezione dei fascicoli da portare avanti (tutti i fascicoli non si possono portare avanti) e vi è un rischio, in molti casi, di prescrizione (di cui parleremo più avanti) perché tutti i fascicoli e tutti i procedimenti non si possono portare avanti. Quindi, è evidente che una scelta, anche dal punto di vista politico, vada assunta.

Mi pare che questa maggioranza fosse partita con questo obiettivo, proprio anche nelle dichiarazioni della Presidente del Consiglio; un obiettivo mi pare tradito alla prima occasione. Infatti, questa iperproduzione normativa la si verifica identificando le fonti. Noi oggi abbiamo norme penali introdotte per decreto-legge, quando la norma penale dovrebbe essere ponderata, valutata, analizzata; occorre individuare l'interesse protetto, individuare la lacuna nell'ordinamento che si intende colmare, valutare quelle che possono essere le ripercussioni dall'introduzione di una nuova fattispecie, analizzarlo con grande attenzione. Il decreto-legge è quanto di più sbagliato in una situazione di questo genere.

Io, addirittura, avrei voluto individuare una proposta affinché le norme penali non possano essere introdotte nell'ordinamento attraverso il decreto-legge, proprio perché è un qualcosa di antitetico rispetto alla riflessione, alla ponderazione.

Avrei voluto anche un'altra proposta. Mi piacerebbe che per l'introduzione di nuovi reati ci fosse una maggioranza qualificata, perché penso che una maggioranza, che arriva dall'oggi al domani, magari risicatissima o con un numero in più, non possa sconquassare il codice penale (non parlo del caso specifico, parliamo di una norma o di un reato).

Mi piacerebbe anche che tutte le modifiche ordinamentali in tema processuale penale e anche sostanziale penale avvenissero a scrutinio segreto, perché se queste norme fossero introdotte a scrutinio segreto, molti imbarazzi anche nella maggioranza e molte difese di ufficio di queste norme, che ho ascoltato, probabilmente non si trasfonderebbero nei voti e ci sarebbero magari delle sorprese.

Da un po' di anni sono in questo Parlamento e vi dico che la cosa più complessa da fare - lo dico anche ai nuovi parlamentari - è trasferire un obiettivo, un'idea o un'esigenza, per la quale si ha sensibilità, in norma giuridica, in emendamento o in proposta di legge perché non basta scrivere il proprio obiettivo e scrivere la propria ricetta in un emendamento, bisogna cercare di andare un po' più in là col pensiero e con la riflessione e verificare quali possono essere le conseguenze, se vi sono già norme presenti nell'ordinamento che ottemperano agli stessi obiettivi e possono stridere con la norma che si è introdotta.

Guardate, questa è una cosa difficilissima - abbiamo visto anche nella legge di bilancio quante difficoltà - e bisogna evitare di essere presuntuosi e cercare di essere attenti; un po' di umiltà ci vuole. Mi pare che arrivare al primo Consiglio dei ministri tirando fuori dal cassetto un foglio, magari accartocciato, di una bozza di proposta di legge presente in qualche Ministero, portarla in Consiglio dei ministri e farla pubblicare la sera stessa in Gazzetta Ufficiale sia un qualcosa di assolutamente sbagliato.

Mi rivolgevo qui ai parlamentari ma, a maggior ragione, mi rivolgo al Governo, che ha questo potere di introdurre nell'ordinamento, con una semplice riunione del Consiglio dei ministri, norme che diventano immediatamente legge e sono immediatamente esecutive.

Pensate al potere che ha il Governo, che può introdurre norme che incidono pesantemente sui diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e sulla libertà personale. Un Consiglio dei Ministri si riunisce e può incidere direttamente sulla libertà personale dei cittadini o sulla riservatezza delle comunicazioni. Allora, proprio per questo, mi chiedo se l'obiettivo di introdurre una norma penale che incide sulla libertà personale sia compatibile con un “provvedimento minestrone” che tocca i benefici penitenziari per i condannati per i reati ostativi, i raduni illegali, l'applicazione del processo penale, la giustizia sportiva, gli obblighi di vaccinazione anti COVID e la materia sanitaria. Ebbene, è un pentolone in cui si sono buttati questi pezzi di carta che vagavano tra i Ministeri. Immagino che in quel Consiglio dei Ministri si siano sollecitati gli uffici legislativi dei Ministeri chiedendo se avessero qualcosa di pronto o di urgente - ed ecco un veicolo, ecco un treno a cui aggiungere una carrozza o un'altra ancora - in modo da pubblicare il decreto in Gazzetta Ufficiale la sera stessa.

E poi cosa succede? Succede che escono dal Consiglio dei ministri dicendo di aver scongiurato di introdurre in questo reato le intercettazioni, affermando contestualmente che per il reato vi è una pena massima di sei anni. Ma come? Per un reato con la pena massima di sei anni sono previste le intercettazioni e Ministri, che avevano appena votato quel provvedimento, hanno dichiarato di aver scongiurato le intercettazioni con il loro intervento determinante? Allora, o non sanno di cosa parlano, o non c'erano, o pensano di prendere tutti in giro. Questo è lo stile - lo ha fatto questo Governo e lo hanno fatto tanti altri Governi in passato - con il quale si maneggiano le norme penali. Noi ne abbiamo una pioggia; guardate i decreti legislativi che ci arrivano magari su provvedimenti europei, che introducono e appesantiscono le norme penali - è un grande problema, un problema di consapevolezza -, poi arrivano in Commissione, la maggioranza fa la maggioranza e difende i provvedimenti, l'opposizione strilla, dice che le cose non vanno bene, ma tutto entra nell'ordinamento. Poi ce la prendiamo quando qualcuno si becca un avviso di garanzia e ci chiediamo se sia possibile ricevere un avviso di garanzia per quel determinato fatto, ma le norme sono scritte dal Parlamento. Questo ovviamente al netto delle interpretazioni che vi possono poi essere.

Ma ora voglio entrare nel merito e cercherò di toccare soprattutto un profilo, di cui non ho parlato, che attiene alla legge Cartabia. Faccio ancora una piccola parentesi sul tema dei rave, della norma che è stata introdotta: siamo passati da una norma che era applicabile a qualunque situazione, per la quale ci poteva essere una pioggia di coinvolgimenti, a una cosa diametralmente opposta, lo dico qui in quest'Aula. Nessuno sarà condannato per la norma che avete prodotto. Se voi volevate proteggere un interesse ci siete riusciti: la norma al Senato è stata modificata in modo tale che nessuno sarà condannato. Si potrebbe allora dire che la norma è innocua, ma la norma non è innocua perché, con la pena a sei anni, è possibile la custodia cautelare e sono possibili le intercettazioni, quindi sarà una norma di indagini preliminari, sarà una norma di procedimenti penali avviati, di custodia cautelare e di intercettazioni, che poi portano ad altre intercettazioni, che si concatenano e vengono pubblicate. Ma, se vi aspettate che venga condannato qualcuno con lo slalom che si deve fare tra il dolo specifico, il pericolo concreto e tutto quello che avete introdotto, vi sbagliate. Questo è esattamente lo schema che il Ministro Nordio ha dichiarato di voler combattere, lo schema dell'abuso d'ufficio: indagini, indagini, indagini e condanne zero. Questo è esattamente lo schema applicabile, lo dico oggi. Ovviamente si tratta di uno zuccherino dato all'anima giustizialista della maggioranza perché l'anima giustizialista si nutre di indagini preliminari; si nutre di pene ridondanti - poi interessa poco se uno viene condannato o viene assolto -, si nutre di norme manifesto. Quindi questo Governo doveva gettare un boccone a quell'anima che soffre le prese di posizioni del Ministro Nordio, che noi condividiamo.

Nordio si sarà voltato dall'altra parte; lo capiamo, vi è un silenzio diplomatico su queste norme. Spero sia la prima e l'ultima volta che si appagano questi istinti con l'introduzione di una norma penale. Magari con un ordine del giorno possiamo capirlo, lo si può fare, ma cerchiamo di evitare di sconquassare il codice per queste cose. Il tema della legge Cartabia mi preoccupa molto e dovrebbe preoccupare, penso, anche quei colleghi che erano insieme a noi nella maggioranza di Governo che sosteneva la Ministra Cartabia e che hanno votato la legge Cartabia. Una legge che, ovviamente, avrebbe potuto essere diversa, tutti quanti avremmo voluto fosse diversa. Però, era una coalizione composita e di passi in avanti ne sono stati fatti molti. Mi ha colpito una cosa: non so se ricordate il giorno in cui il Consiglio dei Ministri approvò lo stop all'entrata in vigore della legge Cartabia, ma la prima dichiarazione sulle agenzie fu del presidente dell'Associazione nazionale magistrati, che applaudì la scelta del Governo. Badate, quest'ultimo annunciò la norma transitoria, che ancora non c'era; una norma transitoria che arrivò in Senato, planò in Senato con un emendamento. Perché l'Associazione nazionale magistrati applaudì la sospensione della legge Cartabia? Perché la legge Cartabia stabiliva obblighi chiarissimi e puntuali che avrebbero dovuto essere seguiti dai magistrati. Ad esempio, un tema molto importante è quello dell'iscrizione della notizia di reato. Sapete che i tempi delle indagini preliminari hanno un perimetro e non si possono superare, salvo proroghe o altro. Allora quale era la tecnica? La tecnica è quella di cominciare ad indagare prima di fare l'iscrizione nel registro degli indagati, per guadagnare tempo. La riforma Cartabia ha introdotto una grande innovazione, che è la cosiddetta retrodatazione. In sostanza, se il giudice scopre che le indagini preliminari avrebbero dovuto prevedere l'iscrizione prima dell'inizio dello svolgimento da parte degli inquirenti della loro attività, si effettua la retrodatazione, dichiarando ovviamente inutilizzabili determinati atti di indagine. Allora mi chiedo: perché questa norma non può essere applicata subito? È una norma processuale, il principio è tempus regit actum. Quindi è una norma per la quale, domani mattina, su un caso pendente, un avvocato sarebbe potuto andare a dire: scusate, perché non avete iscritto il mio cliente tempestivamente e avete fatto indagini senza procedere a un'iscrizione, solo per guadagnare tempo? Avrebbe anche potuto chiedere al giudice di retrodatare l'iscrizione. Questo non si può fare perché avete detto, con una norma transitoria, che questo si potrà applicare solo ed esclusivamente alle nuove iscrizioni.

Quando vengono sforati i termini delle indagini preliminari, oggi non succede assolutamente niente. Con la “riforma Cartabia”, se si superano i tempi dell'indagine preliminare, la procura ha l'obbligo della cosiddetta discovery, di scoprire le carte. È una sanzione pesante, che si unisce ad una serie di sanzioni, anche disciplinari, previste per l'inerzia.

Quanto tempo è che noi predichiamo che le vere perdite di tempo sono durante le indagini preliminari? Da quanto tempo noi evidenziamo che il problema della prescrizione non è dato dalle tecniche dilatorie degli avvocati ma dalle inerzie delle procure? Avevamo il 60-65 per cento di prescrizioni che si verificavano durante le indagini preliminari. Allora, abbiamo avuto un legislatore che è intervenuto su questo e ha detto: i tempi sono questi, una volta che hai esaurito i tuoi tempi scopri le carte e vai avanti. Ciò anche con sanzioni disciplinari. Tutto questo ovviamente è collegato a una riduzione dei tempi processuali, è legato ai finanziamenti europei; cioè, è tutta una catena. Ai magistrati, ovviamente, questo non andava bene, lo immaginate. Quindi la sospensione della “legge Cartabia” e il dire che questa scansione temporale, queste conseguenze non si applicano ai procedimenti pendenti, è stato applaudito dall'Associazione nazionale magistrati. Se fossi in coloro che hanno applaudito alla legge Cartabia proprio per questa ragione nella scorsa legislatura, un po' imbarazzato io lo sarei. Delle due l'una: o non erano convinti quando l'hanno votata o oggi hanno un comportamento di adesione alle tesi del Governo non particolarmente convinto.

Questo è un profilo, secondo me, molto importante, e temo - lo devo dire - che non sarà l'ultima delle norme transitorie. Ci hanno parlato di profili organizzativi. Mi piacerebbe sapere che cosa è cambiato in questi due mesi, quale intervento, quale circolare, quale puntualizzazione sia arrivata in questi due mesi di attività organizzative che non erano state predisposte in passato. Sapete la legge Cartabia che cosa ha introdotto e per due mesi non si è applicato, non si capisce perché? La regola di giudizio per mandare a processo una persona. Oggi, a processo, le persone si mandano con grande disinvoltura, soprattutto nelle citazioni dirette. Si dice: va bene, vediamo le carte, avvocato, vediamo le carte. Si risponde: ma guardi che non c'è niente. Si replica: no, decide il tribunale. Ma il processo è una pena per una persona, non è che decide il tribunale. In tribunale ci stai tre, quattro, cinque anni. Se è una persona ha senso civico, soffre, patisce, ne ha conseguenze lavorative. Ebbene, la Cartabia ha scritto una cosa importante, ha scritto che si manda a giudizio una persona se c'è la ragionevole probabilità di condanna. Mette un peso sulla procura e sul giudice dell'udienza preliminare, perché deve fare una prognosi. Se questa persona un giorno sarà assolta, qualcuno magari lo riavvolgerà il nastro per dire: dov'era quella ragionevole probabilità di condanna? Un conto è se una volta sbagli, se due volte sbagli; ma, se sbagli novanta volte su cento, forse su quelle valutazioni di professionalità, per le quali il 99 per cento dei magistrati ha un esito positivo, qualche asterisco ci potrà essere. Questo ha introdotto la “legge Cartabia” e questo è stato sospeso al primo Consiglio dei Ministri. Questo è un aspetto, penso, importante. Si poteva distinguere che cosa sospendere e che cosa portare avanti: questo non è stato fatto.

C'è un altro tema forse marginale, ma solo per farvi capire il profilo con il quale si è intervenuti. La riforma Cartabia ha stabilito che alcuni reati non fossero più perseguibili d'ufficio ma che ci volesse la querela, la condizione di procedibilità. Senza la querela alcuni reati non vengono perseguiti. Cosa succede a coloro che oggi sono in carcere per i reati per i quali non c'è ancora la querela? Il Governo ha stabilito che entra in vigore la “legge Cartabia”, quindi manca la copertura, manca la condizione di procedibilità.

Dovrebbe essere un automatismo, la persona esce, perché, se non c'è la condizione di procedibilità, da che mondo è mondo, dovrebbe essere così. Il Governo cerca di bilanciare la questione, dicendo “rimangono 20 giorni in carcere senza la querela”. Io prevedo una legge che dice che ci vuole la querela per andare a giudizio, però ti tengo anche senza querela per 20 giorni; e l'autorità giudiziaria effettua ogni utile ricerca della persona offesa, cioè, adesso abbiamo la procura che va a ricercare non più gli imputati, ma la persona offesa per chiedere se vuole fare la querela.

Ma la cosa che più mi colpisce è l'ultimo capoverso: “durante la pendenza del termine indicato al primo periodo di 20 giorni, i termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale sono sospesi”. Sapete cosa sono questi termini? Sono i termini massimi di custodia cautelare. Premetto che parliamo di presunti innocenti, perché, poi, qui la confusione è sovrana. A una persona che è in carcere e presunta innocente - poi sull'ingiusta detenzione apriremo un capitolo - gli si dice che non c'è la querela. Cioè, io sono in carcere per un reato punibile a querela e non c'è la querela; però, rimani 20 giorni là. Ma io sono arrivato all'ultimo giorno del tempo massimo di custodia cautelare: non importa, te lo sospendiamo e stai anche 20 giorni in più, pur non avendo la querela.

È un tema marginale, ma questo è un altro boccone dato a quell'anima famosa di cui parlavo prima di questa maggioranza. Io lo dico, ad esempio, alla collega Matone, che apprezzo molto, apprezzo lei e apprezzo il suo stile: fermatevi, perché questi scassano l'ordinamento, non è questione di un giorno in più o un giorno in meno in custodia cautelare. Non veniteci a dire, poi, che volete riformare la custodia cautelare, non veniteci a dire che volete, giustamente, un GIP collegiale per la custodia cautelare, perché è giusto, perché qui si tratta di decidere con grande ponderazione, se, poi, voi scrivete che sono sospesi i termini di custodia cautelare in modo così leggero. Perché ci sono i termini massimi di custodia cautelare? È perché la custodia cautelare è qualcosa di diverso rispetto alla pena certa di cui qualcuno si sciacqua la bocca spesso, la certezza della pena. Quella non è una pena, quella è qualcosa di diverso e ha delle esigenze e degli obiettivi che sono del tutto diversi.

Lo dico soltanto perché, altrimenti, non è più credibile il Ministro Nordio quando viene a dirci che la custodia cautelare è fatta di tanti abusi. Questo lo sappiamo tutti. Sapete che 50 mila persone, in media, ogni anno, vengono arrestate e il 20 per cento di queste non avrebbe dovuto essere arrestato? Il 20 per cento. Alcuni ottengono l'ingiusta detenzione perché vengono assolti, ma tanti vengono arrestati benché sia chiaro che avranno, poi, la sospensione condizionale della pena e, quindi, non andranno in carcere dopo, però vanno in carcere prima. La legge dice che non lo puoi fare, ma c'è stato qualcuno che è andato a vedere, a sindacare questi atti? No, ormai è una clausola di stile delle ordinanze di custodia cautelare, si prevede che non sarà applicabile la sospensione condizionale della pena. Magari, dopo 5 giorni, quello stesso GIP che ha scritto quello patteggia con la sospensione condizionale della pena, ma nessuno va a dire niente. Come nessuno va a riavvolgere il nastro sulla… ho finito il tempo?

PRESIDENTE. Ha un minuto.

ENRICO COSTA (A-IV-RE). Allora vi do questi numeri sull'ingiusta detenzione, concludiamo perché rimangano impressi. Noi abbiamo mille casi, in media, l'anno, dal 1992 ad oggi, di persone che hanno ottenuto l'indennizzo per ingiusta detenzione. Non abbiamo un caso in cui si sia riavvolto il nastro, dopo anni, per andare a vedere, da parte dei titolari dell'azione disciplinare, perché questo si è verificato.

Io ho fatto approvare, è stato accolto un ordine del giorno da parte del Governo. Io spero che questo ordine del giorno vada nelle mani giuste, perché ho capito che ci sono diverse sfumature nell'ambito di questa maggioranza, che vada nelle mani di coloro che hanno veramente a cuore lo Stato di diritto, la tutela della dignità umana, la tutela della persona e non vada, magari, ad essere analizzato da coloro che dicono va be', gli errori giudiziari, le ingiuste detenzioni - come mi disse una volta un alto magistrato - sono fisiologici, sono errori che ci sono nel percorso. Noi ci batteremo finché questo numero, da mille, non arrivi a zero (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Di Biase. Ne ha facoltà.

MICHELA DI BIASE (PD-IDP). Gentile Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, prima di entrare nel merito della disamina del decreto-legge n. 162, vale la pena soffermarsi su quanto questo provvedimento sia, in realtà, il cavallo di Troia utilizzato da questo Governo per affrontare temi di grande rilevanza, che vanno dall'ergastolo ostativo al reintegro dei medici no-vax. Un contenitore di norme tanto diverse ed eterogenee tra loro, Presidente, che ci porta ad interrogarci sul principio di omogeneità del decreto stesso, rivelatosi, tra l'altro, del tutto privo dei principi di necessità ed urgenza. Eravamo abituati a sentire la Meloni, la Presidente Meloni, la scorsa legislatura, scagliarsi contro il ricorso ai decreti-legge, definiti come un abuso, più volte in quest'Aula definiti come un abuso. Non siamo, tuttavia, stupiti dal fatto che abbia rivisto le sue posizioni, tanto da licenziarne addirittura 9 nei primi 2 mesi del suo Governo; praticamente, uno ogni 10 giorni.

Anche se l'attività emendativa della Commissione giustizia ha corretto le più evidenti e pericolose storture presenti nella norma, oggi siamo chiamati a esaminare un testo che ci lascia profondamente contrari, un decreto Rave, in cui la parola “rave” non viene mai nominata, in cui, attraverso un decreto-legge si istituisce una nuova fattispecie di reato, introducendo nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo reato di invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica, collocato all'interno dei delitti contro il patrimonio e deprivato del pericolo per l'ordine pubblico e del numero minimo dei partecipanti. In sostanza, sono delineati i contorni di una fattispecie che, per come è stata riformulata, difficilmente troverà applicazione; reato che viene punito con pene che vanno dai 3 ai 6 anni di reclusione e con una multa fino a 10 mila euro per chiunque organizzi l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici e privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento. Per dirla con le parole di alcuni illustri costituzionalisti, un provvedimento inutile, irragionevole e dannoso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Pericoloso, perché permangono margini di incertezza che potrebbero far sì che la norma venga applicata non soltanto ai rave, ma anche a semplici feste; irragionevole, perché rispetto a fattispecie analoghe, punisce con pene spropositate.

E', infine, inutile, perché nel nostro ordinamento già esistono norme che intervengono a tutela della proprietà privata in caso di rave party, come si è visto nel caso di Modena. Un provvedimento inutile che dimostra solo una tentazione autoritaria di questo Governo.

Il Ministro Nordio, qualche settimana fa, ha detto che una legge scritta bene è una legge di facile applicazione. Sono molto d'accordo con questa sua affermazione e spero si voglia rivedere l'impianto di questa norma, scritta male e, appunto, di difficile applicazione, perché quanto fatto sinora non è assolutamente sufficiente.

Ma il suo vero volto il Governo lo dimostra sul tema della sanità. All'interno di questo decreto assistiamo al reintegro in servizio del personale sanitario no-vax, al rinvio delle multe ai non vaccinati, allo stop del green pass nelle RSA e negli ospedali e allo stop del tampone per uscire dall'isolamento; viene determinata, fino al 30 giugno 2023, la sospensione delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione nei casi di inadempimento dell'obbligo vaccinale per COVID-19: un vero e proprio condono sanitario per tutti coloro che non avevano rispettato l'obbligo di vaccinarsi, parliamo di quasi 2 milioni di sanzioni rinviate. Approvare, all'articolo 7, l'anticipo dell'obbligo vaccinale al 2 novembre per i medici e per tutto il personale sanitario e socioassistenziale determina la riammissione in servizio di tutti coloro che non rispettarono gli obblighi vaccinali dettati dallo scorso Governo. Il reintegro dei medici no-vax sospesi e la sospensione delle sanzioni pecuniarie al 30 giugno 2023 è uno schiaffo in faccia alla silenziosa strage dei camici bianchi che, nel 2021, chiesero, a gran voce, di non essere chiamati eroi, ma pretendevano fatti concreti per tutelare la loro salute (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), rivendicavano la vaccinazione per tutti i medici. Sono scelte, queste, che strizzano l'occhio alle piazze no-vax. È un provvedimento privo di qualsiasi argomento scientifico e organizzativo. Insomma, il messaggio mi pare abbastanza chiaro: il Governo che dice di pretendere regole severe per i rave party è lo stesso che reintegra e liscia il pelo a quelli che le regole non le hanno rispettate, a scapito dell'intera comunità.

Governare, soprattutto se si hanno i numeri e l'ambizione di essere un Governo di legislatura, significa guidare i cambiamenti, e non inseguirli sull'onda di spinte emotive. Soprattutto l'attività legislativa – e, a maggior ragione, la decretazione d'urgenza - non può essere dettata da ragioni di immagine o di comunicazione, che è esattamente quello che avete fatto voi, approvando una norma talmente confusa da doverla in gran fretta correggere, per dare una risposta affrettata su un rave party che, nel frattempo, veniva gestito e risolto con le norme vigenti.

Abbiamo avuto un assaggio delle tante promesse della campagna elettorale che sono state disattese ed edulcorate nella legge di bilancio, dalla flat tax all'aumento delle pensioni minime, dai tagli alla sanità pubblica e alla scuola, fino alla scelta sciagurata di non sostenere il salario minimo.

Questo è il Governo che abbiamo di fronte, quello che sceglie come priorità di aprire la caccia ai cinghiali in città. Siete partiti con un misto di approssimazione e arroganza, ma vale la pena citare un antico adagio delle contadine molisane: l'arroganza arriva a cavallo e torna a piedi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Daniela Dondi. Ne ha facoltà.

DANIELA DONDI (FDI). Grazie, signora Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, il mio intervento di oggi porrà l'attenzione sull'articolo 5 del decreto cosiddetto Rave. Ricordo che il predetto provvedimento normativo scaturisce da quanto accaduto a Modena negli ultimi giorni del mese di ottobre; il rave si è tenuto nella mia città, dunque io, - come i colleghi modenesi che sono in quest'aula - conosco esattamente le problematiche che la città ha dovuto sopportare a seguito di questo evento: tutta la parte nord della città è stata isolata, per limitare gli accessi al rave, in particolare la tangenziale cittadina; peccato che la zona sia abitata - e non, dunque, come si dice, che avviene sempre in posti isolati - e con la presenza di attività commerciali quali ristoranti; inoltre, in quei giorni e sempre nella medesima zona nord di Modena, si svolgeva la manifestazione fieristica Skipass, una delle più importanti del settore, causando ulteriore motivo di grande disagio. Tutto ciò ha comportato anche danni economici, in quanto era difficile poter accedere alla zona interessata e a quelle circostanti.

L'articolo 5 ha suscitato tanto clamore, ma ricordo a me stessa che il Ministro Lamorgese, Ministro dell'Interno nella scorsa legislatura, ha rilasciato, subito dopo il rave party svoltosi sul lago di Mezzano, a Viterbo - parliamo di agosto 2021 - la seguente dichiarazione al giornale Il Messaggero. Ella diceva: “Sono convinta che serve un intervento normativo per rafforzare il sistema di prevenzione e contrasto. Il Ministro dell'interno sta lavorando a un'ipotesi di fattispecie criminosa che consta di disporre la confisca obbligatoria dei veicoli e degli strumenti necessari per l'organizzazione dell'intrattenimento” e che prevedeva l'obbligo del ripristino dei luoghi. Prosegue la dichiarazione affermando che: “Sul piano preventivo, potremmo introdurre la possibilità di ricorrere ad altri strumenti investigativi come già avviene per diversi reati di particolare gravità”. Questo è ciò che questo Governo ha fatto, però oggi lo si contesta, quando, invece, all'epoca nessuno disse niente (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Il Governo, inoltre, in risposta alle critiche sollevate in ordine alla presunta indeterminatezza della norma, ha riportato la fattispecie di reato nell'alveo della disciplina dell'articolo 633 del codice penale, riscrivendo non solo il testo della disposizione, ma anche cambiando il numero dell'articolo (non più 434-bis, ma 633-bis del codice penale). Con questo emendamento, il reato è stato limitato a “chiunque organizza e promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui pubblici o privati al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento”, punito con la reclusione da tre a sei anni e la multa da 1.000 a 10 mila euro quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti, ovvero dello stato dei luoghi.

Inoltre, sempre l'ex Ministro Lamorgese affermò che l'opinione pubblica era preoccupata per i comportamenti illegali tenuti dai partecipanti connessi all'abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti, questo in contrasto e diversamente da quanto detto questa mattina dall'onorevole Dori nel suo intervento. La situazione illegale che si crea all'interno di questi eventi è condivisa, in quanto è lo specchio di quello che veramente accade. Le leggi in vigore non ci permettevano di contrastare i rave, come avviene in altri Paesi europei, dove le norme sono più severe. Vengono organizzati, appunto, in Italia, in quanto qui è tutto più soft e tutto è ammesso. Eventi illegali di questo genere non possono essere più tollerati e questo Governo non li vuole tollerare. Per questa ragione, il Ministro Piantedosi ha ordinato lo sgombero del rave che si stava svolgendo a Modena e il Governo ha emanato il decreto-legge n. 162.

Il dettato normativo - mi riferisco sempre all'articolo 15 -, proprio come suggerito in precedenza e - lo ripeto - mai contestato, prevede che sia sempre disposta la confisca dei beni che servirono o furono destinati a commettere il reato. Questa norma non solo vuole difendere la sicurezza e l'incolumità delle persone, ma anche l'inviolabilità della proprietà privata. A Modena, come nelle altre località dove sono stati organizzati alcuni rave, abbiamo constatato l'entità dei danni materiali che i proprietari dei terreni e degli immobili occupati hanno dovuto sostenere una volta liberata la loro proprietà. Possiamo dire: oltre il danno, anche la beffa. Per tale ragione, l'entità della sanzione è idonea. Se l'articolo 633 del codice penale prevede una sanzione della reclusione fino a quattro anni, nella nuova fattispecie di delitto, che prevede la violazione di ulteriori norme, in particolare quelle riguardanti le sostanze stupefacenti, la sanzione viene aumentata sino ad un massimo di sei anni per gli organizzatori e i promotori; mentre per i partecipanti, ove è riscontrata la responsabilità, verrà applicata solo la sanzione dell'articolo 633. Tutti sappiamo, avendo anche visto i video del rave di Modena, come lo spaccio e l'uso di sostanze stupefacenti abbia avuto dimensioni importanti. È stato ipotizzato che il consumo di sostanze stupefacenti durante un rave sia così intenso, da poter essere quasi paragonabile al consumo che avviene in un mese in una delle nostre città.

Altro elemento importante che la norma permette è l'utilizzo delle intercettazioni. Sappiamo tutti che i rave vengono organizzati attraverso messaggistica sui social, in gruppi chiusi, però. Se si vuole prevenire questo fenomeno, è indispensabile potere accedere a quelle conversazioni social, soprattutto alla luce del fatto che queste chat di messaggistica - e parliamo soprattutto di Telegram - sono balzate spesso alla cronaca per essere luogo di continui abusi, tra cui foto pedopornografiche, diffusione impropria di contenuti privati, pirateria, istigazione alla violenza, acquisto di armi e addirittura terrorismo.

La norma è fondamentale per garantire sicurezza ai cittadini, garantire la tutela della proprietà privata e allinearci con le norme degli altri Paesi europei, così da evitare questi eventi estremamente spiacevoli e pericolosi, per tutelare non solo i cittadini, ma anche quanti partecipano a questi raduni illegali, evitando morti - e lo sappiamo -, abusi di droghe, alcol e stupri, tristemente ricorrenti e denunciati dagli stessi. In conclusione, per noi è una norma necessaria, non solo a difesa della sicurezza e dell'incolumità delle persone, ma - ripeto - anche dell'inviolabilità della proprietà privata.

Non si vogliono colpire né i raduni musicali, né tantomeno ledere il diritto a manifestare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), come si è tentato di strumentalizzare. Ciò che si vuole impedire, però, sono i rave organizzati illegalmente (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaratti. Ne ha facoltà.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). Grazie, signora Presidente. Colleghe e colleghi, onorevole rappresentante del Governo, ci troviamo di fronte al primo provvedimento del nuovo Governo, un decreto bandiera che la nuova maggioranza ha voluto mostrare al Paese e, forse, per dare gambe a quella infelice e volgare battuta: “è finita la pacchia”.

Come si articola questo manifesto ideologico che il nuovo Governo ha messo in campo? Da dove si è preso spunto? Si è preso spunto dai rave party. Come è noto - il Paese lo sa! -, i rave party sono la principale emergenza del nostro Paese! È evidente, lo sanno tutti, in tutti i bar del nostro Paese si discute come fermare i rave party. Che cosa fare per fermare questo grande scandalo che colpisce il nostro Paese? Ecco, ci stiamo interrogando se, per far finire la pacchia, è necessario, prima di tutto, far finire le feste, cioè i luoghi nei quali i giovani in modo particolare ballano, si incontrano e festeggiano insieme. Ma è mai possibile che questa sia la principale emergenza di questo Paese, tanto da meritare il primo decreto del nuovo Governo? È mai possibile pensare che un evento, che si ripete per due o tre volte nell'anno - due o tre volte nell'anno! -, dove non risultano esserci mai stati particolari problemi di ordine pubblico, diventi improvvisamente l'emergenza delle emergenze?

Le normative esistenti - lo dico sinceramente - erano sufficienti per affrontare il problema, tant'è che il problema che si è creato a Modena è stato risolto ben prima che venisse approvato il decreto. Non è stato necessario il decreto per fare in modo che ci fosse una gestione democratica, chiara e rispettosa dei diritti di tutti, per risolvere il problema che si era creato a Modena. Quindi, vorrei sapere per quale ragione sia stato necessario fare un nuovo decreto, che fosse addirittura definito il decreto Rave.

I giovani si incontrano per ballare, per stare insieme: è questo il reato punibile da tre a sei anni? È questo il reato che giustifica addirittura il ricorso alle intercettazioni? E il Ministro Nordio cosa dice di questo? Si è parlato tanto in questi giorni dell'utilizzo eccessivo delle intercettazioni nel nostro Paese e noi pensiamo di mettere sotto controllo il telefono di decine e centinaia di giovani, perché stanno organizzando rave party? Credo che questa sia addirittura una follia. Sono spaventato da questo decreto, ma sono più spaventato dagli interventi che ho sentito in quest'Aula, perché c'è chi giustifica addirittura il ricorso alle intercettazioni, in una fattispecie di questo genere. Per fortuna, le giuste osservazioni, che sono state fatta da persone, dall'opinione pubblica del nostro Paese, hanno determinato il fatto che le aberrazioni scritte nella prima stesura del testo approvato dal Consiglio dei ministri siano state, in qualche modo, attenuate. Nella prima stesura si rendevano punibili non soltanto gli organizzatori dei rave, ma addirittura i partecipanti e, soprattutto, si apriva la possibilità di vietare ogni tipo di manifestazione. Questo è un chiaro modo - lo voglio dire in quest'Aula - per violare i principi fondamentali non della democrazia italiana, ma di ogni democrazia. Su questioni che attengono alle norme che garantiscono le libertà costituzionali, non ci si può presentare con un testo vago come questo, che potrebbe essere usato per qualunque tipo di raduno o manifestazione, che nulla ha a che fare con i rave party.

La giurista Vitalba Azzollini, che negli ultimi giorni è intervenuta più volte sull'argomento, sostiene che, con il nuovo reato, potrà essere sgomberata qualunque occupazione non autorizzata, pure quella del liceo, se l'autorità reputa ex ante, in modo discrezionale, che potrebbe risultare pericolosa. Il punto è che la norma non prevede alcun criterio per definire questa pericolosità a cui si fa riferimento.

Parlavamo prima delle intercettazioni. Il noto giurista Gaetano Azzariti sostiene che, a dispetto delle rassicurazioni di esponenti del Governo, i PM potranno mettere sotto controllo i telefoni di moltissime persone, pur giovanissime, senza che abbiano commesso alcun reato. Alla faccia di quello che ci racconta Nordio! Ma la mano destra di questo Governo sa che cosa fa la mano sinistra? Si può aprire un dibattito sulla riforma della giustizia - come sta facendo, secondo me, opportunamente, il Ministro Nordio - e poi presentarsi in Aula con un decreto di questo genere? C'è una schizofrenia politica del tutto evidente. Del tutto evidente! Non si può continuare a prendere in giro il Paese in questo modo. Non si può dire nei convegni che bisogna fermare l'utilizzo eccessivo delle intercettazioni, che bisogna garantire i diritti di libertà, anche di fronte a una magistratura che ha palesato una certa fatica negli ultimi anni, e contemporaneamente, poi, fare i manifesti ideologici basati sulla limitazione dei diritti delle persone.

Io voglio rivendicare, qui, per i giovani del nostro Paese, la possibilità di incontrarsi e di ballare tranquillamente, e di fare una festa. Ma perché glielo volete impedire? Siete qui tutti i giorni a parlare dei giovani, del futuro dei nostri giovani, e poi non vi rendete conto che allontanate sempre di più dalle istituzioni e dal Paese, le giovani e i giovani del nostro Paese. Addirittura, io voglio ricordarvi che nel codice penale, all'articolo 633, c'è un reato che punisce chi invade terreni e fabbricati altrui. Quindi è evidente la strumentalità di questo vostro provvedimento. Ancora una volta voi mettete in campo una giustizia a targhe alterne, forte con i deboli e debole con i forti.

Per non parlare, poi, che in questo provvedimento c'è anche altro: la riforma del carcere ostativo. Una riforma che, invece di seguire giustamente le indicazioni della Corte costituzionale, articola un sistema di norme che non risolvono gli appunti formulati dalla Corte. Cioè, il contrasto tra questa normativa e l'articolo 27 della Costituzione rimane ancora totalmente evidente. Io penso che le norme che incidono sulle libertà delle persone vadano affrontate con una grande serietà. E devo dire con grande dispiacere, perché ho una stima per il Ministro Nordio, che noto che non solo non c'è serietà, ma c'è una strumentalità evidente in queste norme che voi sottoponete all'attenzione del Paese e del Parlamento.

Voglio anche, come dire, stigmatizzare l'utilizzo di un decreto-legge per affrontare questioni che affrontano la limitazione delle libertà delle persone. Non è lo strumento giusto. Nel Paese non vi è alcuna emergenza dal punto di vista della gestione dei rave party. Nel Paese non vi è alcuna emergenza che giustifica il ricorso a un decreto-legge, tanto più che, appunto, questioni che riguardano le libertà costituzionali delle cittadine e dei cittadini del nostro Paese devono essere affrontate in Parlamento, con strumenti più idonei e in grado di permettere a tutte le deputate e a tutti i deputati di esprimere liberamente il proprio parere.

State sbagliando. State sbagliando nei confronti del Paese e state sbagliando su questioni fondamentali, cioè quelle dei princìpi. Ora avete cominciato con i rave party, che credo il 95 per cento dei nostri concittadini e concittadine non conosceva nemmeno. Siete riusciti, diciamo così, a fare una forma di pubblicità a questo tipo di raduno, a questo tipo di incontro. Oggi avete iniziato con i rave, io non so e non voglio pensare dove potete finire questa vostra rincorsa. Non oso pensarlo perché il decreto è terribile, ma quello che ho ascoltato in quest'Aula è ancora peggiore di quello che recita il decreto.

E mi viene in mente la poesia di Bertolt Brecht, quella che diceva “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare”. Ecco, noi vogliamo continuare a protestare contro la limitazione delle libertà, contro la limitazione della libertà dei giovani di vivere la loro vita come penso che sia giusto che possano fare. Per questo eserciteremo, come dire, un'opposizione forte a questo decreto e a tutti gli altri provvedimenti - che voi vorrete portare in quest'Aula - che limitano la libertà degli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Bruzzone. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BRUZZONE (LEGA). Presidente, la ringrazio. Viva la democrazia, che mi consente di pensarla in modo esattamente opposto al collega dei Verdi, che mi ha preceduto! Ringrazio il Governo. Faccio un plauso al Governo.

Interverrò soprattutto per la parte inerente ai rave party, una iniziativa che ci voleva. Chi vi parla, purtroppo, ha avuto modo di constatarlo sul campo, nelle aree rurali, i giorni successivi, il giorno dopo a che migliaia di persone, per alcuni giorni, sono entrate in casa tua senza dirti niente, hanno fatto quello che hanno voluto, poi se ne sono andati e quello che rimane è roba tua. Questo è un provvedimento di buonsenso. È un provvedimento di civiltà per combattere l'inciviltà. È un provvedimento anche di rispetto della proprietà privata. Nel mio terreno, nel vostro terreno, nei vostri campi, curati, lavorati, che danno anche un reddito, sui quali ci pagate anche le tasse, arrivano migliaia di persone, non chiedono neanche permesso, non chiedono nulla, entrano e fanno quello che vogliono per due, tre, quattro giorni. E non nascondiamoci dietro il perbenismo, perché in quelle aree, nel corso di quelle iniziative vi sono alcol, droga, inquinamento acustico, senza parlare della parte igienica; perché ognuno di noi è in grado di capire che cosa succede quando 7, 8, 10 mila persone stanno per quattro giorni in mezzo ai campi, anche in aree protette, senza servizi igienici! Quando vanno via, non ci sono soltanto le tonnellate di vetri, di bottiglie, di materiale plastico, che hanno la punturina, perché le ho viste e, purtroppo, ce le ho ancora negli occhi. Che cosa succede, perché siamo tutti uomini, quando 10 mila persone, per quattro giorni, senza servizi igienici, fanno quello che devono fare a casa, in casa mia, dove capita, e poi vanno via e lì cosa trovo? E poi, magari, questo di solito avviene nelle aree campestri in primavera, quando non piove, e per due, tre o quattro mesi - mentre le bottiglie o altro, lavorando e pagando, me le pulisco e me le porto via da casa mia - rimangono gli escrementi umani. Sto parlando di fatti vissuti. Quando per tre, quattro giorni, giorno e notte, spari musica a dei volumi che li senti a 10, 15 chilometri, nella pianura padana.

Durante il periodo della riproduzione - parliamo un attimo di ambiente e di tutela ambientale e anche di animali -, un inquinamento acustico di quel tipo vuol dire massacrare, per un raggio di 10, 15 chilometri anche nelle aree protette, la fauna selvatica. E poi ci preoccupiamo dei botti di mezzanotte, perché spaventano gli animali! E quelle forme di inciviltà, quei danni, chi li paga? Quelli non sono danni ai privati, sono danni generali fatti all'ambiente naturale. Non è bello vedere in aree pregiate la distruzione ai danni di animali durante il periodo della riproduzione, eppure c'è una parte politica – di coloro che si proclamano Verdi, ambientalisti, animalisti o quant'altro - che se ne frega di quello che avviene e, magari, vorrebbe si andasse avanti con quel tipo di andazzo.

Concludo, perché so che il mio tempo è pochissimo, Presidente. La cosa ancora più grave è che quei fatti sono sempre avvenuti e avvengono di fronte ad agenti di Polizia impotenti, senza la possibilità di intervenire.

È arrivato il momento, Governo, di tenere duro su questi temi, perché la democrazia ci sta, ma quando vieni in casa mia chiedi “permesso”, se ti faccio entrare ti comporti bene e, quando devi andare al gabinetto, vai al gabinetto, e non in mezzo al mais alto così, che sta crescendo! Questo è ciò che, purtroppo, è avvenuto!

Grazie al Governo: cerchiamo di capire che la linea e il binario della civiltà vanno a toccare anche questo tema. Noi siamo per la civiltà, per combattere queste forme di inciviltà. È finita, spero del tutto, la pacchia di chi vuole avere atteggiamenti lesivi dell'interesse generale, dell'interesse collettivo e anche della tutela della propria proprietà privata (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuliano. Ne ha facoltà.

CARLA GIULIANO (M5S). Grazie, Presidente. Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, Sottosegretario, giunge, oggi, in quest'Aula il decreto-legge in materia di concessione dei benefici penitenziari ai condannati per particolari delitti rientranti nel meccanismo ostativo, condannati che non collaborano con la giustizia. Un decreto-legge che contiene anche l'istituzione del delitto di rave party, l'anticipazione della scadenza dell'obbligo vaccinale, la proroga della riforma Cartabia e delle relative norme transitorie.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA (ore 13,22)

CARLA GIULIANO (M5S). Una varietà di temi che avrebbe imposto una riflessione diversa e separata e che dimostra l'evidente eterogeneità delle materie oggetto del provvedimento in esame. Un provvedimento che presenta disposizioni di contenuto diverso tra loro e totalmente estraneo, trattando materie che non sono neppure accomunate da una originaria finalità comune.

Siamo, in sostanza, di fronte a un cosiddetto decreto omnibus, del tutto privo dei requisiti di necessità e di urgenza di cui all'articolo 77 della Costituzione, perlomeno in ordine alle disposizioni che riguardano la prevenzione e il contrasto di raduni illegali. E la prova, Presidente, risiede nel fatto che l'assenza di questa disposizione, che ora è prevista nell'articolo 633-bis del codice penale, non ha certo impedito la positiva risoluzione di quegli episodi da cui, di fatto, il decreto-legge ha preso spunto e a cui con esso si intenderebbe rispondere.

Presidente, il grande problema di questo provvedimento, oggi, però, non è solo e non è più di tanto un problema di forma, ma è un ben più grave e allarmante problema di sostanza. Quando parlo di problema di sostanza, mi riferisco, in particolar modo, alla decisione del Governo e della maggioranza che lo sostiene di eliminare dal regime ostativo i più gravi reati contro la pubblica amministrazione, consentendo così ai condannati per gravi reati di corruzione e contro la pubblica amministrazione di accedere ai benefici penitenziari, pur in assenza di collaborazione.

Presidente, qui non stiamo parlando - come ho sentito da alcuni colleghi che mi hanno preceduto in quest'Aula - del reato di abuso di ufficio, che è stato ulteriormente revisionato e riparametrato nel 2020, abuso d'ufficio che non rientra nel regime ostativo ai benefici penitenziari, disciplinato dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. Presidente, qui stiamo parlando dei molto più gravi e pervasivi reati di corruzione, concussione, corruzione in atti giudiziari (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Presidente, non possiamo tacere che quella di escludere dal regime ostativo i gravi reati contro la pubblica amministrazione è per noi una scelta scellerata, una scelta che aggredisce, indebolendola, la legge n. 3 del 2019, la cosiddetta legge Spazzacorrotti. Una legge fortemente voluta dall'ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e da tutto il MoVimento 5 Stelle proprio per combattere e scardinare le reti corruttive che inquinano l'economia legale, che alterano il mercato e la concorrenza, che sottraggono e drenano dall'economia legale risorse e grandi capitali.

Una legge, la Spazzacorrotti, con cui il nostro ordinamento si è adeguato agli obblighi e agli standard internazionali, inclusi la Convenzione di Merida, la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa del 1999 e il rapporto redatto dal Group of States against corruption (GRECO), istituito in seno al Consiglio d'Europa che ha raccomandato proprio agli Stati membri l'adozione di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

È un attacco frontale alla legge Spazzacorrotti che, solo pochi giorni fa, ha, invece, incassato l'ennesimo elogio internazionale. Una legge che, secondo la rilevazione di Transparency International, l'agenzia che monitora la corruzione nei pubblici uffici, ha fatto scalare all'Italia ben dieci posizioni nella graduatoria della trasparenza e contro la corruzione, con il passaggio dal cinquantaduesimo al quarantaduesimo posto.

E, allora, Presidente, di fronte a queste evidenze e a questi dati incontrovertibili, mi chiedo: perché tra i primi atti di questo Governo e della maggioranza c'è la distruzione della legge Spazzacorrotti? Perché questo Governo vuole distruggere una legge finalmente adeguata, incisiva ed efficace nel contrasto alla corruzione? Questo assalto alla legge Spazzacorrotti è così feroce soltanto perché si tratta di una legge targata Movimento 5 Stelle? È solo una questione di avversione ideologica e politica nei confronti di un provvedimento targato MoVimento 5 Stelle?

Purtroppo, Presidente, pur nella incompetenza e nella impreparazione che questo Governo e questa maggioranza hanno dimostrato con la legge di bilancio, credo sia ben chiaro che, smantellando la legge Spazzacorrotti, non si fa un torto al MoVimento 5 Stelle, ma si fa un torto ai cittadini, si fa un torto alle imprese oneste, si fa un torto all'Italia intera (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E si fa quel torto, perché smantellare questa legge vuol dire dare un colpo mortale alla legalità di questo Paese e spalancare le braccia alle organizzazioni criminali, ai corrotti e ai corruttori.

Presidente, questa maggioranza e questo Governo non possono neanche dire che questa minoranza e questa opposizione non si fossero poste in una logica collaborativa e non avessero fatto rilevare - tramite la propria voce e tramite la voce di illustri auditi che abbiamo ascoltato in Commissione giustizia, tanto alla Camera quanto al Senato - quanto grande fosse il pericolo di eliminare dal regime ostativo i grandi e gravi reati contro la corruzione. Perché, Presidente, la corruzione è un cancro e il nostro Paese ha il dovere - o dovrebbe avere il dovere - di estirparla con tutti i mezzi e con tutte le risorse a sua disposizione. È un cancro che aggredisce e che divora la società dalle sue fondamenta, dalla politica alla sanità, dall'economia al lavoro.

Una recente ricerca internazionale stima che la corruzione costa all'economia dei Paesi europei oltre 900 miliardi di euro l'anno e costa all'economia italiana almeno 237 miliardi, pari a circa il 13 per cento del PIL.

Presidente, per capire il peso di questi dati, basta confrontarli con la spesa in un settore pubblico essenziale: nel 2020, il costo complessivo della sanità pubblica e privata ammontava a 124 miliardi, cioè il 7,5 per cento del PIL, a fronte - ripeto - di numeri di corruzione che mangiano il 13 per cento del nostro PIL. Certo si tratta di numeri difficili da verificare, ma l'impatto negativo della corruzione sui sistemi economici è ormai ampiamente comprovato.

Secondo i dati della Banca mondiale - si tratta di indici del 2017 -, il reddito medio nei Paesi con un alto livello di corruzione è di circa un terzo inferiore a quello dei Paesi con un basso livello di corruzione ed una ricerca dell'Istituto per la competitività certifica che il radicamento del fenomeno corruttivo inibisce l'afflusso di capitali stranieri e incide negativamente sull'occupazione, spingendo le imprese a mantenere una dimensione ridotta. Di contro, la riduzione del livello di corruzione favorisce l'avvio di nuove imprese, favorisce il radicamento di capitali e imprese straniere, rende più agevole la gestione delle attività pubbliche ed incide positivamente sull'occupazione giovanile. La corruzione ha effetti negativi economici, finanziari e sociali decisamente importanti su tutte le attività pubbliche e private, producendo meno investimenti in beni e servizi, producendo - come dicevo - una riduzione dell'occupazione, dei redditi, dei consumi e delle entrate fiscali, producendo una lievitazione dei costi burocratici e del contenzioso contro cittadini e imprese. Il fenomeno della corruzione, Presidente, ha anche gravi effetti finanziari, perché, sugli importi percepiti, i corrotti non pagano tasse ed esportano capitali all'estero nei cosiddetti paradisi fiscali. Presidente, le ingenti risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, i 209 miliardi di euro, a cui vanno aggiunte le risorse del Piano complementare, che sono state ottenute dall'Europa grazie al lavoro del nostro Presidente Conte - e questo non dobbiamo mai dimenticarlo -, fanno gola alle mafie, fanno gola ai comitati di affari e fanno gola alle grandi reti corruttive. Ebbene, se noi proiettiamo i dati che ho riportato, quindi i dati sui costi della corruzione in Italia, sul Piano e sui fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ci rendiamo conto che sono a rischio di finire nelle mani della criminalità organizzata e delle grandi reti corruttive fino a 27 miliardi di euro.

Presidente, questo Governo e questa maggioranza, decidendo di sottrarre i gravi reati contro la pubblica amministrazione al meccanismo ostativo, decide di disabilitare uno degli strumenti che si è rivelato più efficace nel contrasto alla criminalità organizzata e alle grandi reti corruttive. Sottrarre al meccanismo ostativo i reati contro la pubblica amministrazione significa ammettere che possano accedere ai benefici penitenziari i componenti di quelle grandi reti corruttive senza che essi abbiano mai collaborato con la giustizia e senza che essi abbiano mai fatto i nomi dei loro complici e i nomi dei loro funzionari pubblici infedeli, senza che essi abbiano mai interrotto i loro rapporti con le organizzazioni criminali di riferimento. Ebbene, Presidente, tutto questo per noi è assolutamente inaccettabile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Presidente, così facendo, questa maggioranza e questo Governo devono essere consapevoli che consegnano le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza nelle mani della mafia e della corruzione perché mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia. Per far capire questo binomio, voglio fare un passo indietro: il termine corruzione, Presidente, deriva dal latino corruptio, che significa alterazione, logoramento e decadimento. Il verbo corrispondente, cioè corrumpere significa rovinare, distruggere, guastare. Allora, c'è un senso di disfacimento, oltre che morale, anche materiale, nel concetto della corruzione, come se il concetto della corruzione sia stato percepito fin dai tempi più antichi come un virus che è in grado di portare alla disgregazione del corpo sociale. Oggi, certo, le forme della corruzione sono divenute molto più complesse e vi è - come dicevo - una stretta correlazione tra mafia e corruzione, nel senso che la mafia è sempre stata molto sensibile al richiamo della corruzione. Del resto, questo connubio, questo binomio era già stato sottolineato con grande lucidità dall'indagine sulla Sicilia di Leopoldo Franchetti e di Sidney Sonnino, un'indagine, Presidente, pubblicata nel 1877, un'indagine che ha rivelato e rilevato che le associazioni mafiose si insinuavano negli affari pubblici e privati e nelle amministrazioni locali, condizionando la scelta degli amministratori e la destinazione delle risorse. È un'indagine da cui emerge che, al centro dello Stato, i Ministri già all'epoca trattavano con la criminalità organizzata in cambio del sostegno alle elezioni, che anche i parlamentari non erano esenti dall'influenza della mafia e che i funzionari amministrativi facevano concessioni alla mafia e tolleravano illegalità, pur di trarre vantaggi personali. Presidente, rispetto ad allora, le associazioni mafiose hanno sviluppato molto di più la loro diffusione territoriale e, dai tradizionali insediamenti meridionali, si sono infiltrate nell'economia legale e non del Nord Italia e del Centro Italia. Sono sorte nuove mafie, non per questo meno pericolose di quelle più storiche. Il tratto però comune che accomuna la mafia tradizionale alla mafia cosiddetta affaristica e imprenditoriale sta sempre nell'impiego del metodo mafioso e sempre e soprattutto nel perseguimento di scopi mafiosi. Oggi, mafia e corruzione, Presidente, sono due poli di uno stesso meccanismo a tenaglia, capace di inquinare profondamente l'apparato e le istituzioni politico-amministrative. Ad una mafia più aggressiva in senso paramilitare e più propensa all'uso della violenza, è subentrata, infatti, una strategia basata su metodi alternativi. Per diminuire i rischi penali e preservare le associazioni da possibili defezioni, le mafie ormai oggi prediligono l'intensificazione delle proprie modalità di arricchimento, per così dire, lecite, prediligono lo sviluppo di reti di relazioni con operatori economici e con esponenti della pubblica amministrazione e, al metodo intimidatorio vero e proprio, affiancano un metodo meno appariscente, ma spesso più conveniente, che è il metodo corruttivo.

Allora, Presidente, se tutto questo è vero - come è vero -, coglie nel segno l'espressione utilizzata dall'ex presidente dell'Anac, Raffaele Cantone, secondo la quale oggi la mafia uccide meno, ma corrompe di più (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Questa mutazione, Presidente, è il riflesso della dimensione internazionale ed economica che ormai hanno assunto le mafie, queste mafie che si sono ormai fatte attrici del sistema economico, che vendono beni e servizi sul mercato, che sviluppano relazioni imprenditoriali e con le pubbliche amministrazioni. E, ancora, l'infiltrazione nel tessuto politico-amministrativo e il procacciamento delle risorse pubbliche sono obiettivi più facilmente raggiungibili, scendendo a patti con i propri interlocutori e offrendogli denaro o altre utilità e ciò assicura anche il consenso dei soggetti che sono coinvolti in queste trame corruttive in vista di future occasioni di profitto. Al riguardo, Presidente, le più recenti inchieste hanno dimostrato che, sempre più spesso, sono proprio gli imprenditori e gli amministratori locali a rivolgersi per primi ai mafiosi, proponendo affari reciprocamente vantaggiosi. La consapevolezza della profonda simbiosi tra le attività delle organizzazioni criminali, che siano semplici o mafiose, e le pratiche corruttive si riverbera - anzi si dovrebbe riverberare - sulle strategie preventive e repressive, ma, evidentemente, per questo Governo e per questa maggioranza, così non è. Abbiamo un utilizzo sistematico della corruzione da parte delle organizzazioni criminali, perché per loro c'è un altro vantaggio e cioè la difficoltà di accertamento di queste reti corruttive, dal momento che la corruzione, ovviamente, genera reciproche relazioni di dare e avere, anche di lungo periodo, nelle quali entrambe le parti perseguono un vantaggio e, quindi, difficilmente una delle due parti avrà interesse a disvelare e a far cadere l'accordo corruttivo.

Questo, Presidente, è un meccanismo che ci è stato spiegato molto bene e con dettagli anche di dati dal sostituto procuratore presso la Repubblica di Foggia, il dottor Infante, che da anni si occupa del contrasto alla corruzione e ai gravi delitti contro la pubblica amministrazione. È chiaro infatti, Presidente, che, senza il timore di ricadere nel regime ostativo, perché mai i protagonisti di un accordo corruttivo dovrebbero collaborare con la giustizia, e, quindi, consentire di smascherare i grandi intrecci corruttivi che hanno alle loro spalle? Con questa operazione, togliendo dal regime ostativo i reati contro la pubblica amministrazione, rendete non più conveniente la collaborazione con la giustizia non soltanto nella fase di esecuzione della pena, ma anche nella fase precedente, nella fase del dibattimento. Togliete un incentivo alla scelta di riti alternativi che potevano far abbassare le pene al di sotto del regime dell'ostatività, e che, quindi, per i corrotti e i corruttori che collaboravano poteva essere certamente una scelta di convenienza.

Tutto ciò viene spazzato via dalla vostra ostinazione di togliere dal regime ostativo i reati contro la pubblica amministrazione. E fate un altro danno, perché rendete inefficace il meccanismo previsto dall'articolo 323-ter del codice penale, che prevede e stabilisce una causa di non punibilità per l'agente che si sia macchiato di uno dei reati contro la pubblica amministrazione che prima erano ostativi, causa di non punibilità che consentiva all'agente di evitare una condanna penale qualora, sintetizzo, avesse collaborato tempestivamente, volontariamente e proficuamente con l'autorità giudiziaria. Bene, tutto questo non succederà più. La ratio di questa causa di non punibilità, tra l'altro, si basava su due logiche differenti e molto importanti. Una prima ragione della sua introduzione era da ricercarsi nel tentativo di rompere il legame solidaristico e di omertà che lega i contraenti del pactum sceleris.

Il secondo obiettivo era quello di favorire l'emersione di fatti corruttivi, incentivando l'autodenuncia delle parti del patto, in modo da evitare che il consolidarsi degli effetti negativi della negoziazione illecita sulle pubbliche amministrazioni potesse portare a conseguenze ulteriori e ancora più gravi. Presidente, con questo meccanismo la maggioranza e il Governo devono essere consapevoli che stanno facendo un danno al Paese. Come dicevo, che mafia e corruzione siano da tempo facce della stessa medaglia è un aspetto che è stato sottolineato da tutti gli illustri auditi in Commissione giustizia alla Camera e al Senato.

Quindi, l'ostinazione di questo Governo e di questa maggioranza nel consentire ai condannati per gravi reati contro la pubblica amministrazione di accedere ai benefici penitenziari anche in assenza di collaborazione con la giustizia significa dire apertamente alle mafie di abbandonare i reati violenti e le estorsioni, che sono tipici di una mafia più rudimentale, più primordiale, reati per i quali sussiste ancora il regime ostativo del 4-bis dell'ordinamento penitenziario, e invece dire alle mafie di indirizzare tutta la loro attività verso ipotesi corruttive, verso appalti truccati, favoritismi di ogni genere, nella consapevolezza che da oggi queste ipotesi delittuose, ben più subdole, sono ormai fuori dal regime ostativo.

Presidente, con questo provvedimento, da un lato, si vuole e si voleva porre un saldo baluardo nel contrasto alle mafie, prevedendo una serie di paletti e regolamentando i presupposti che potessero consentire l'accesso ai benefici penitenziari ai condannati anche in assenza di collaborazione, ma, purtroppo, questa occasione è stata presa dalla maggioranza, dall'altro lato, per eliminare i reati contro la pubblica amministrazione dal regime ostativo. Quindi, è stata colta malevolmente come occasione per indebolire la lotta alla corruzione e alle grandi reti corruttive. Presidente, se di tutto ciò questa maggioranza e questo Governo non si rendono conto, allora la vostra visione politica, in particolare della giustizia, è assolutamente inadeguata. Se, peggio ancora, di tutto ciò questa maggioranza e questo Governo si rende invece conto, allora, Presidente, credo proprio che queste scelte, le vostre scelte politiche siano pericolose, e questo Paese non merita di subire scelte così scellerate (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI (A-IV-RE). Signor Presidente, colleghi, Governo, sono per natura una persona piena di speranza, e non lo dico così, per dire una banalità. Sono anche una persona piena di fiducia e sono tendenzialmente, ancor più in politica, una persona che cerca di sottrarsi al pregiudizio. Mi interessa molto, anche intellettualmente, cercare di farmi passare dentro la mente analisi che possano essere contaminate da ragionamenti che vengono fatti dagli altri. Penso che sia utile, poi, magari, per arrivare a conclusioni che sono assolutamente più certe di quelle che avevo in partenza.

Quindi, signor Presidente, onorevoli colleghi, non voglio attaccarmi al fatto che il primo provvedimento di questo Governo sia chiaramente in netta contraddizione con la politica, in particolare della giustizia, che colui che è stato scelto per portarla avanti dal punto di vista dell'azione di Governo ha sempre rappresentato nella sua storia, e la storia del Ministro Nordio è una storia sicuramente particolarmente importante, ma anche con le dichiarazioni che il Ministro della Giustizia ha fatto durante la campagna elettorale e, vorrei aggiungere, anche con le dichiarazioni che il Ministro della Giustizia ha reso alle Camere, una volta eletto Ministro, sia alla Commissione giustizia della Camera e, ancor di più, con ancora più enfasi e con ancora più chiarezza, a mio avviso, dei confini che voleva tracciare…se disturbo la riunione del gruppo di Fratelli d'Italia, posso anche interrompermi e aspettare che finisca, altrimenti magari la riunione si può fare fuori, fa parte delle libertà.

Dicevo, quindi, le dichiarazioni che il Ministro Nordio ha fatto nelle Commissioni al Senato prima e alla Camera dopo francamente - per questo dico che non voglio avere un pregiudizio - rappresentano tantissimo di quello che non solo penso, ma di quello per il quale ho combattuto da quando ho iniziato a fare politica nel Partito Radicale, e sui temi della giustizia molte di quelle cose sono state le mie battaglie, ovviamente senza nulla togliere al valore del Ministro della Giustizia e della sua storia. In questo, capisco perfettamente il collega De Raho ed è chiaramente anche una visione che per me è totalmente contrapposta alla visione del collega De Raho. Non mi sento di dire che il collega De Raho sbaglia a dire determinate cose; penso che il collega De Raho dica cose molto diverse da quelle che penso io. Poi stabilire quale sia il vero e quale sia il falso, quando si discute di queste cose, è molto complicato. È chiaro che ciascuno di noi, nel fare politica, porta avanti con convinzione una linea che, spesso e volentieri, può essere contrapposta a quella di un altro. Per esempio, non penso che, se noi facciamo la storia del pentitismo di questo Paese, cioè dei famosi collaboratori di giustizia, a partire dal terrorismo per finire con le associazioni criminali e la vita delle attività criminali in questo Paese, la storia del pentitismo sia una storia particolarmente esaltante o, addirittura, una storia che abbia prodotto così straordinari risultati.

Probabilmente, è un giudizio che verrà dato nel tempo, esattamente come questa idea che è la politica che ha abbandonato Falcone è una cosa che si dice; c'è qualcun altro che dice che sono i suoi colleghi che lo hanno abbandonato per strada. Il collega De Raho faceva riferimento al Consiglio superiore della magistratura, che era chiaramente in stragrande maggioranza, come sappiamo, e poi non c'è bisogno soltanto del Consiglio superiore della magistratura, ma sappiamo le dichiarazioni di Ilda Boccassini e tante cose che sono successe. Per cui la storia è una storia che viene letta sempre in un determinato modo.

È del tutto evidente che quello che è stato fatto dal Governo è un decreto che, se dovessimo guardarlo con pregiudizio, è chiaramente e totalmente in contrasto con tutte le dichiarazioni di cui abbiamo sentito parlare.

Dico ciò perché si tratta di un decreto, peraltro il primo che viene fatto, che nasce per dare immediatamente, come purtroppo spesso accade nel nostro Paese, una risposta emotiva a quella che in quel momento non era un'emergenza, era quella che veniva rappresentata come una cosa drammatica, il rave che si stava svolgendo, e via dicendo, e, quindi, che cosa fa il Governo, come è successo in tante altre occasioni? Prepara un nuovo reato.

Piccolo particolare, nel frattempo che preparavano il nuovo reato, quel rave per cui loro stavano immaginando il nuovo reato per tutto quello che sarebbe successo dopo, è stato risolto esattamente con gli strumenti che c'erano nel nostro codice penale, senza minimamente utilizzare quella che si prefigurava essere la soluzione. La soluzione già c'era, ma purtroppo - Presidente, questo riguarda loro, ha riguardato la destra, ha riguardato la sinistra -, finché, almeno dal punto di vista delle norme penali, noi continuiamo a pensare di rispondere a un richiamo emotivo del Paese attraverso la configurazione di reati che facciano vedere che noi effettivamente colpiamo quel fenomeno, purtroppo - lo diceva il collega Costa - facciamo dei danni grandissimi. E, ripeto, siccome non riguarda solo questo Governo, posso fare riferimento - e lo sanno coloro che lo hanno fatto, perché l'ho detto fin dall'inizio - al reato di omicidio stradale e potrei continuare con altri reati che, di volta in volta, sono stati fatti perché bisognava governare quel fenomeno e, poi, abbiamo visto che ci sono e ci sarebbero state tutte le condizioni che il diritto penale, il codice di procedura penale offrivano. È un modo di legiferare che punta a non porsi il problema di come gestire la giustizia in questo Paese, ma quanto a dare risposte che dovrebbe dare la politica e che, invece, si pensa di poter dare attraverso le modifiche al codice di procedura penale.

Abbiamo messo in un decreto…Presidente, le spiego io come funziona. Siccome alle 14,15 si deve chiudere discussione generale, allora si stanno organizzando e stanno venendo in Aula. Solo che, venendo in Aula, non si può chiedere a 150 persone di stare in silenzio. A me basta che abbassino un po' la voce, poi vado avanti lo stesso, tanto, comunque, arrivo tendenzialmente giusto alle 14,15. Poi, posso sempre tornare alle pere sono mature e via dicendo, ma evitiamo.

Dicevo, che cosa fa questo decreto? Era necessario fare un decreto? Come qualcuno ha ricordato - l'ha ricordato anche il collega Costa, ma non solo -, il requisito di un decreto-legge è quello di necessità ed urgenza… adesso sono veramente più tranquillo, perché volevo riferirmi proprio al sottosegretario Delmastro Delle Vedove e adesso che lo vedo qui sono finalmente in grado, attraverso di lei, di dialogare con lui.

Era necessario e urgente intervenire per fare una norma sui rave? Solo il fatto che quell'episodio da cui nasceva l'esigenza di questa norma è stato risolto senza utilizzare questa norma è la certificazione plastica che non ci fosse alcuna necessità ed urgenza. Poteva esserci un interesse politico a rappresentare una maggiore durezza, e via dicendo, ma non era certo una cosa che necessitava di un decreto-legge.

Si è fatto riferimento all'ergastolo ostativo. Io, anche qui, la penso molto diversamente rispetto al collega Cafiero De Raho. Io penso che la CEDU, prima, e la Corte costituzionale, poi, dichiarando incostituzionale l'ostatività della pena, volessero chiaramente intendere, a mio avviso - per questo penso che sia fuori luogo il paragone con i collaboratori di giustizia -, che stiamo parlando dell'applicazione dei benefici del carcere, non stiamo parlando dei collaboratori di giustizia. Io non sono un fine giurista come il dottor Cafiero De Raho, ma, se per coloro che sono al 41-bis o che hanno l'ergastolo ostativo si prevede che per 26 anni - poi diventano 30 - non possano ottenere assolutamente nulla, suggerirei di provare a riflettere su cosa voglia dire, dopo 30 anni di galera, la vita di una persona, come possa essere cambiata e che questi eventuali benefici devono essere dati in funzione non - questo pensiamo noi - del pentimento dell'azione e via dicendo, ma se queste persone, in 30 anni, si sono comportate, in galera - come si prevede per tutti gli altri benefici degli altri detenuti -, rispettando le regole, dimostrando di essersi redenti e tutto quello che sappiamo. Ma la differenza con il collaboratore di giustizia, dottor De Raho, è che il collaboratore di giustizia, una volta che collabora, non è che semplicemente ha dei benefici nel carcere, ha la possibilità di fare molti meno anni di galera. Adesso non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che, dopo 10 anni, il pentito o, come lo chiama lei, il collaboratore di giustizia, possa uscire. È ben diverso da quello che resta 30 anni in galera e che, alla fine, se si è comportato bene, e via dicendo, può ogni tanto uscire di galera per fare qualcosa. È molto diverso mi permetto di dire.

E, comunque, ripeto - questo lo scrivo qui e lo vedrete -, le norme che voi avete inserito - di questo vi va dato atto -, non ve le siete inventate: voi avete preso la legge, la risposta che era stata data nell'altra legislatura alla Camera dei deputati, che era stata trasmessa al Senato, che poi il Senato non ha potuto approvare perché è caduta la legislatura, e l'avete, sostanzialmente, messa in questo decreto-legge; si dice perché, diversamente, non si poteva non dare una risposta alla Corte costituzionale. Segnalo che la Corte costituzionale è intervenuta due volte a sollecitare il Parlamento per dare una risposta, ma, se come penso io, la risposta che date è peggiore della ragione per la quale bisogna dare questa risposta, cioè peggiorate la situazione, io vi dico che sono sicuro - e lo vedremo - che, alla prima occasione - tanto ci ritornerà la Corte costituzionale -, la Corte costituzionale picchierà di nuovo e dichiarerà incostituzionale anche questa che, se è possibile, è peggiore di quella precedente!

Vi è poi il tema dell'entrata in vigore della riforma Cartabia. Signor Presidente, questo è un altro tema, perché noi tutti siamo stati al Governo o, meglio, non tutti, ma molti di noi sono stati nel Governo precedente, nel Governo guidato da Mario Draghi, e sappiamo perfettamente che le varie decisioni prese sul tema della giustizia dalla Ministra Cartabia, inevitabilmente, sono state un punto di mediazione, perché tenevano insieme posizioni che erano obiettivamente agli antipodi. Noi, per esempio, sia sulla cosiddetta Spazzacorrotti, sia sul tema della prescrizione, sia in tante altre occasioni, ci siamo trovati, nel corso della precedente legislatura, in totale contrapposizione con le decisioni prese dal Governo Conte 1, obiettivamente insieme alla Lega. Ma anche dopo, quando era nato il Conte 2, noi addirittura, se non fosse arrivata la pandemia, avevamo politicamente dichiarato che saremmo usciti dal Governo proprio per il tema riguardante la prescrizione.

Quindi sappiamo perfettamente che quelle decisioni prese dalla Ministra Cartabia erano delle decisioni che avevano trovato un delicato punto di equilibrio. Io penso, signor Presidente, che alcune di quelle decisioni fossero dei titoli e che, in alcuni casi, non rispondessero neanche all'esigenza. Pensiamo semplicemente a cosa è stata la riforma del Consiglio superiore della magistratura, doveva risolvere il problema delle correnti: penso che sia sotto gli occhi di tutti che quella riforma, purtroppo, non ha fatto danni che, magari, il suo predecessore ha fatto in altri campi, ma, certamente, non ha risolto quel problema. E questo lo dico, veramente non era una battuta, mi fa piacere che il Governo sia rappresentato nella presenza dei due sottosegretari. Il tema della riforma Cartabia che viene rimandata nella sua entrata in vigore a me sta particolarmente a cuore perché, come qualcuno ricordava - se non sbaglio, lo ricordava il collega Zaratti -, riguarda un tema purtroppo assai attuale in questo momento.

Vorrei dirle, signor sottosegretario, che non è attuale solo e tanto per la fuga di 8 ragazzi dal carcere minorile Beccaria, ma è drammaticamente reale se pensiamo agli oltre 83 suicidi che ci sono stati in carcere e a questi dobbiamo aggiungere - ne parliamo sempre poco - i suicidi che ci sono stati da parte di agenti della polizia penitenziaria e, quando non sono stati suicidi, ci sono stati atti di autolesionismo…

PRESIDENTE. Chiedo scusa, abbassate un po' i toni? Scusi onorevole, per cortesia, non riusciamo a sentire. Chiedo all'Aula per cortesia…

ROBERTO GIACHETTI (A-IV-RE). Però ci siamo quasi, ci siamo quasi, Presidente.

PRESIDENTE. Grazie onorevole, chiedo scusa.

ROBERTO GIACHETTI (A-IV-RE). Non si preoccupi. Dicevo, mi sta particolarmente a cuore perché il tema della drammatica situazione delle carceri, signor Presidente e Governo, purtroppo non è generato dall'episodio che è accaduto a Milano in questi giorni.

Quello può essere stato, più o meno, utilizzato per cercare di volgere in un senso o nell'altro quella che dovrebbe essere una politica in questo campo, ma noi sappiamo che quella delle carceri è una miscela esplosiva che è pronta a esplodere in qualunque momento e rispetto alla quale noi dobbiamo assolutamente mettervi mano.

Cosa rinviamo della riforma Cartabia? Proprio la parte che riguarda tutto quello che investe il carcere: le pene, la possibilità di pene alternative, insomma tutto quello che riguarda la parte che viene successivamente. E su questo punto richiamo - e ciò un po' mi preoccupa -, signor Presidente, le dichiarazioni della Presidente del Consiglio, che pure tutti sanno essere persona alla quale mi lega anche un'amicizia dal punto di vista umano, ma questo non mi sottrae dalla possibilità di sottolineare che, politicamente, quando sento dire certe cose io mi metto le mani nei capelli. Sentire la Presidente del Consiglio, che lei è garantista nella parte processuale e, invece, è giustizialista nella parte dell'esecuzione della pena è qualcosa che obiettivamente preoccupa, perché va benissimo essere garantisti in un senso, ma per quanto riguarda l'esecuzione della pena ci dovremmo ancorare al precetto costituzionale, ossia al fatto che è interesse della società che chiunque sbaglia sia messo in condizione di reinserirsi e che, a questo fine, la politica che deve essere fatta è quella che consenta che questo avvenga; ecco, è esattamente quello che non accade nelle nostre carceri, e questo non è che non accade per colpa di questo Governo, per essere molto chiari: questo non accade per responsabilità della politica, che, da trent'anni a questa parte, non vi riesce. Va dato atto sicuramente che, ad esempio, un lavoro importante è stato svolto dall'ex Ministro della Giustizia, Orlando, quando ha fatto gli stati generali, quando ha creato le condizioni di un percorso davvero partecipato, a tutto campo, mettendo anche - non era semplice - a confronto parti che sono molto distanti rispetto all'esecuzione penale. Poi, purtroppo, però, quel lavoro non è stato realizzato fino in fondo. Io questo l'ho sempre detto e lo ribadisco anche in quest'Aula; non ritengo che sia attribuibile solo al Governo gialloverde il fatto che poi quel lavoro non è stato realizzato fino in fondo con i decreti delegati, perché sappiamo perfettamente che la realpolitik ogni tanto porta a dire, come è successo con il Governo precedente, che, siccome occuparsi di queste cose non porta voti e la situazione dal punto di vista elettorale non era particolarmente felice, era meglio evitare di fare quello che si poteva fare nel Governo precedente, rimandandolo al Governo successivo. Poi non è che noi da Bonafede potevamo aspettarci qualcosa di diverso da quello che ha fatto rispetto ai decreti delegati per l'esecuzione penale, ma il tema del carcere rimane. Il tema del carcere rimane considerando quanto successo a Santa Maria Capua Vetere e non solo; abbiamo visto quello che è successo a Modena e, se posso utilizzare la vicenda del “Beccaria”, signor Presidente, chi, come noi, nelle carceri ci va, sa perfettamente che non di rado è solo grazie alla responsabilità dei detenuti delle carceri che non si ripetono, anche nelle normali carceri, i casi che sono accaduti: rivolte, incendi e via dicendo. Il rapporto tra detenuti e personale della Polizia penitenziaria è assolutamente inadeguato; la vita che fanno i detenuti dentro le carceri aumenta la frustrazione e, quindi, il rischio che determinate cose accadano. Per i detenuti ci dovrebbe essere la possibilità di lavorare per fare in modo che, nel loro reinserimento in società, possano arrivare con un bagaglio già acquisito; dovrebbero avere, poi, molto più aiuto da parte degli assistenti sociali, cosa che non accade perché spesso e volentieri è difficile avere contatto con i giudici di sorveglianza e perché, come abbiamo constatato nel caso del “Beccaria”, spesso e volentieri non si ha neanche un direttore, dal momento che un direttore ne deve seguire quattro o cinque. Io non penso che il rinvio della riforma Cartabia, soprattutto per la parte relativa a questo aspetto, sia stata un'idea intelligente; lo ritengo un grande errore e, se vogliamo evitare di fare ciò cui siamo abituati in questo Paese, ossia occuparci dei problemi dopo che i “casini” si sono verificati, suggerisco al Governo - ancorché so perfettamente che, da un punto di vista politico, i suoi esponenti la pensino diversamente da me - di fare in modo - come pensa di fare, però lo faccia - che la questione carceri sia presa in mano, perché, diversamente, rischiamo di dovercene occupare quando - altro che “Beccaria” - altre cose sono successe.

Ho concluso, signor Presidente. È inutile dire che questo decreto oltre a necessità e urgenza, dovrebbe avere anche un'omogeneità di materia, mentre vi è la norma sui rave, quella sull'ergastolo ostativo, quella che rinvia una parte della riforma Cartabia e poi quella sul reintegro dei medici no-vax, che notoriamente è assolutamente omogenea a tutto questo. Ritengo, quindi, che in questo decreto non ci siano né i requisiti relativi alla necessità e urgenza, né quella omogeneità che sarebbe, invece, indispensabile.

Signor Presidente, concludo sottolineando che c'è un filo che accompagna una determinata impostazione, che mi auguro, per la fiducia e la speranza che ho detto avere all'inizio, possa, anche grazie al lavoro parlamentare, a quello che accade, far mutare un po' la linea seguita; insomma, si ha sempre più la sensazione che sia l'ergastolo ostativo, sia la riforma Cartabia, per la parte che riguarda l'esecuzione penale, sia anche la questione dei rave party, che ci sia un po', da parte dello Stato, la prosecuzione di una tentazione di vendetta, invece della linea di pensiero per cui chi ha commesso determinati reati venga perseguito, possibilmente rapidamente, attraverso la giustizia, e, allo stesso tempo, messo in condizione di reintegrarsi nella società. Appare un po' eccessiva questa voglia di vendetta che c'è da parte dello Stato; penso non sia una cosa utile, né al Paese, né a coloro che subiscono questo tipo di atteggiamento e neanche al Governo stesso (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori la deputata Maria Carolina Varchi. Ne ha facoltà.

MARIA CAROLINA VARCHI (FDI). Grazie, Presidente. Ai sensi del Regolamento vigente, chiedo la chiusura della discussione.

PRESIDENTE. È stato dunque chiesto di procedere alla chiusura della discussione sulle linee generali, ai sensi dell'articolo 44 del Regolamento. Essendone stata fatta richiesta, la votazione avrà luogo con procedimento elettronico con registrazione dei nomi.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 14,07).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 705​)

PRESIDENTE. Sulla richiesta di chiusura della discussione sulle linee generali, darò la parola, a norma dell'articolo 44, comma 1, del Regolamento, ad un oratore contro e uno a favore, per non più di cinque minuti ciascuno.

MATTEO ORFINI (PD-IDP). Chiedo di parlare contro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTEO ORFINI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Noi siamo, credo come larga parte di quest'Aula, un po' colpiti da questa richiesta; ovviamente, ce l'attendevamo e non ci stupisce, però non posso nascondere, a lei e ai colleghi, che viene dopo giorni complicati. Noi ricordiamo ancora come è stata discussa la legge di bilancio, il modo in cui si è forzata la mano nei rapporti con il Parlamento, con la Commissione bilancio e anche con quest'Aula nell'approvazione di quella che dovrebbe essere la legge principale, che è la prima legge di bilancio di questa legislatura. Abbiamo contestato, con forza, le modalità con cui si è discussa quella legge, chiedendo che fosse la prima e l'ultima volta che si usassero quelle modalità e ci ritroviamo, due giorni dopo, dopo la pausa natalizia, che evidentemente non ha reso più buona la maggioranza di quest'Aula, e nemmeno più rispettosa delle prerogative del Parlamento, a un'altra forzatura. Noi già stiamo discutendo un decreto che non ha, non avrebbe le caratteristiche né di omogeneità né di urgenza. Questo è il primo decreto del Governo Meloni; noi siamo in un Paese che vive una fase molto complicata e molto difficile e il primo decreto di solito viene dedicato alle emergenze del Paese. Poteva essere un decreto di sostegno a chi si trova in difficoltà, poteva essere un decreto di sostegno a chi cerca di rilanciare l'economia. Se volevamo rimanere sui temi della sicurezza, sarebbe potuto essere un decreto che affrontava la lotta alla criminalità organizzata e alle mafie, all'evasione fiscale, che invece avete aiutato dentro la legge di bilancio.

E, invece, no! È un decreto sui rave, la grande emergenza che vive questo Paese, cioè la gente che balla, la gente che ascolta musica, la gente che cerca forme alternative di svago. Dentro un decreto del genere, avete inserito misure che con quell'argomento non c'entrano nulla.

Noi siamo venuti qui, come tutti, un po' prima della maggioranza, che è arrivata adesso comodamente, per provare a interloquire con voi, con il Governo, con la maggioranza, cercando di capire come modificare questa norma, come renderla migliore, come utilizzare il lavoro che il Parlamento sempre dovrebbe fare e avrebbe dovuto fare anche in questo caso, e voi cominciate tagliando anche i tempi per la discussione generale.

Voi cominciate già da questa discussione, fuggendo dal confronto, e lo dico guardando i banchi del Governo e ringraziando il sottosegretario che questa mattina era presente, a differenza dei suoi colleghi che arrivano ora e a differenza dei Ministri competenti che hanno scritto una norma assurda.

Quando avete presentato questo decreto, noi chiedemmo di ritirarlo e segnalammo che era pieno di cose assurde. Il Ministro Piantedosi si dichiarò offeso per le nostre critiche, salvo poi, al Senato, lui stesso e il Governo cambiare quel decreto perché le critiche che avevamo fatto erano giuste: quel decreto era scritto male e meritava di essere corretto. Noi, al Senato, abbiamo provato a interloquire con voi, a emendarlo, a discuterlo, ed è stato impossibile.

Abbiamo provato e vorremmo provare a discutere qui e, per la seconda volta, a distanza di pochi giorni, voi forzate la mano per impedire anche solo la discussione. Credo che non sarà l'ultima volta e penso che in questi giorni staremo a lungo insieme in quest'Aula; per noi è sempre un piacere passare del tempo insieme a voi, anche quando il Paese giustamente si prende qualche giorno di riposo e di pausa.

Siccome ho la sensazione che non sarà l'ultima volta che saremo qui ad assistere alle vostre forzature, sappiate che state un po' esagerando, sappiate che noi questo decreto lo vogliamo discutere, che useremo ogni strumento del Regolamento per discuterlo e che vorremmo avere da parte del Governo e da parte del Parlamento e della maggioranza un atteggiamento differente. Su questo chiedo un impegno anche a lei, Presidente, a nome di tutta la Presidenza, affinché le regole della nostra discussione non vengano ulteriormente compresse.

Concludendo, chiedo a quest'Aula di avere un momento di serenità e di recupero delle prerogative del Parlamento e, quindi, di votare contro questa richiesta, di interrompere una discussione che invece noi vogliamo fare, che abbiamo bisogno di fare e che crediamo costruttiva per migliorare un provvedimento che, scritto così, fa solo danni, come abbiamo provato a spiegarvi in questo poco tempo che avete consentito la nostra discussione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Chi parla a favore? Onorevole Foti. Prego.

TOMMASO FOTI (FDI). Molto brevemente, signor Presidente. Spiace che non si ricordino le decisioni e comunque gli accordi che erano stati assunti nella Conferenza dei presidenti di gruppo, perché, se alla conclusione di un discorso manca tutta la premessa, evidentemente è monco.

Durante il calendario dei lavori del mese di dicembre, dovendosi ipotizzare quando andare in Aula con la legge di bilancio, legittimamente e doverosamente le opposizioni hanno chiesto più tempo per l'esame della legge di bilancio in Commissione e la Conferenza dei presidenti di gruppo ha convenuto che questa procedura venisse seguita.

Pur senza una votazione formale, la Conferenza dei capigruppo aveva anche convenuto che l'esame del decreto in discussione, che scade il 30 dicembre, fosse concluso per il giorno 29 dicembre, alle ore 12 o alle ore 15, a seconda del numero degli ordini del giorno o quant'altro.

Devo dare atto che il capogruppo del MoVimento 5 Stelle, nell'ultima conferenza dei capigruppo, ha informato che, per quanto riguardava il suo gruppo, non era in grado di poter assicurare il rispetto di quel calendario. Quindi, senza particolari questioni, la Conferenza dei presidenti di gruppo così si è conclusa.

Adesso leggiamo sulle agenzie dichiarazioni di fuoco e, del resto, le motivazioni testé illustrate dall'onorevole Orfini sono abbastanza indicative, nel senso che ha più volte rimarcato che ci vedremo a lungo. Non abbiamo problemi a rivederci a lungo, onorevole Orfini (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Noi su questi banchi ci siamo stati a lungo, anche dall'opposizione, quando lei non c'era a fare la maggioranza.

A prescindere da questo, penso che sia doveroso esaurire le procedure. Tra l'altro, voglio ricordare, nell'estrema correttezza dei fatti, che le pregiudiziali su questo decreto si sarebbero potute votare ben prima di oggi, ma anche su questo punto si è deciso di arrivare ad oggi. Infatti, come voi sapete, le pregiudiziali potevano essere votate anche una settimana fa. Non c'è problema, noi ne prendiamo atto, però, nel momento in cui si prende atto di 98 iscritti a parlare, ovvero una situazione che evidentemente fa paventare un legittimo - per l'amor di Dio - ostruzionismo, è chiaro che gli strumenti regolamentari, invocati ed evocati quando qualcuno è in maggioranza, vengano applicati anche da questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non essendo ancora decorso il termine di venti minuti previsti dal Regolamento per le votazioni con procedimento elettronico, sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 14,27.

La seduta, sospesa alle 14,15, è ripresa alle 14,27.

PRESIDENTE. La seduta è ripresa.

Passiamo ai voti.

Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico, con registrazione di nomi, la richiesta di chiusura della discussione sulle linee generali del disegno di legge in esame.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera approva (Vedi votazione n. 1).

Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Con riferimento all'intervento del collega Foti, per chiarezza e trasparenza, è vero ed è corretto dire che in sede di programmazione del mese di dicembre si era ipotizzato, per la conversione in legge di questo decreto, la data del 29 a mezzogiorno. Però è giusto anche ricordare che, successivamente, anche in ragione di diverse tempistiche e di problematiche che non erano conosciute al momento in cui si era definito il programma di dicembre, sia il collega Silvestri, sia la collega Serracchiani avevano informato in Ufficio di Presidenza che non vi erano più le condizioni per rispettare quella data.

In seconda battuta, è giusto ricordare che le pregiudiziali si è deciso di votarle oggi semplicemente per dare tempo alla Commissione bilancio, che era finita in quel cul-de-sac, in cui poi è rimasta, devo dire, fino alla mattina del 24 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ricordo che, essendo stata deliberata la chiusura della discussione sulle linee generali, ha facoltà di parlare, a norma dell'articolo 44, comma 2, del Regolamento, per non più di trenta minuti, un deputato fra gli iscritti non ancora intervenuti nella discussione, per ciascuno dei gruppi che ne facciano richiesta. Ha chiesto di parlare il deputato Marco Grimaldi. Ne ha facoltà.

MARCO GRIMALDI (AVS). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, diciamo che questo decreto potrebbe aprire un nuovo capitolo, forse anche un guinness dei primati, non tanto dall'ansia di prestazione, ma di quello che definiremo “instant politica”. Cioè, per intenderci, Presidente, ci sono i prefetti, i sindaci, i questori, i presidenti di regione… Non sento, Presidente…

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole. Abbassiamo tutti quanti un po' la voce, per cortesia. Chi non ha interesse, esca, grazie. Prego, onorevole.

MARCO GRIMALDI (AVS). Dicevo, ci sono già i prefetti, i sindaci, i questori, i presidenti di regione, eppure anche la Presidente del Consiglio e i Ministri sentono il bisogno di occuparsi dei fatti di ordine pubblico e di cronaca riferiti dai media. Ma non bastavano il racconto, i comunicati, il surreale bisogno di mettersi a capo di una world room per sgominare qualche centinaio di ragazzi e ragazze - pacifici, lo ricordiamo - che hanno commesso il grave crimine di riunirsi per ballare per ore e ore. Ecco, la cosa più incredibile, Presidente, secondo me da manuale del perfetto mitomane, è l'idea stessa di poter cambiare il codice penale in corso per bandire chi organizza un raduno di più di 50 persone, con l'effetto di rendere punibile dai 3 ai 6 anni qualsiasi assembramento, senza mai definire davvero quando si configuri un pericolo per l'ordine pubblico.

Diciamolo, Piantedosi si è offeso, ma è una norma scritta malissimo, che avrebbe potuto essere applicata, per esempio, all'occupazione di una scuola, di un'università o all'invasione pacifica di una piazza da parte di attivisti per il clima, quando esisteva, tra l'altro, lo ricordiamo, un articolo del codice proprio in merito ai raduni illegali. Basterebbe applicare la legge e invece si è deciso di scriverne una ad hoc, semplicemente mettendo di fatto davanti a tutti le esigenze simboliche: farsi vedere implacabili, virilmente performanti e un po' muscolari. L'effetto è stato apparire ridicoli e palesemente inadeguati. Se non avessimo, diciamo così, messo in campo una reazione altrettanto dura, gli effetti li avremmo pagati tutti e tutte. L'elemento più grave per noi è che tutto ciò ha portato con sé una “mostrificazione” dei giovani, già cominciata con alcuni servizi TV sui rave di moda, che parlavano di sballo e fame chimica, con un gergo fra il senile e il reazionario. Forse, se capissimo anche le controculture, le culture underground e giovanili, il divertimento e le sue forme, che sono elementi vitali di una società più libera e più ricca, faremmo tutte e tutti un miglior lavoro e una migliore figura.

Oggi quest'Aula si appresta ad approvare un provvedimento che presenta, a nostro avviso, evidenti profili di incostituzionalità. Criticità gravi che ci hanno portato a porre, qua, alcune pregiudiziali di costituzionalità, che non sono state risolte neppure con le modifiche apportate nell'ambito dei lavori effettuati dal Senato. Queste pregiudiziali saranno descritte fra qualche ora dall'onorevole Dori, per Alleanza Verdi e Sinistra. Ma, prima di entrare nel merito dell'articolo 5, voglio portare alla vostra attenzione una considerazione di carattere più generale in merito all'utilizzo arbitrario dello strumento del decreto-legge da parte del Governo, subordinato alla sussistenza di particolari condizioni straordinarie di necessità e urgenza, tali da necessitare un intervento legislativo immediato: profili la cui straordinaria urgenza e necessità a noi non appare per niente. La Corte costituzionale ha richiamato più volte il principio della separazione dei poteri, chiarendo che l'adozione di norme primarie spetti all'organo il cui potere deriva direttamente dal popolo, cioè tutti noi. Ragioneremo in seguito sulle motivazioni che ci hanno portato a depositare, come opposizione, quattro pregiudiziali.

Signor Presidente, queste sono alcune delle ragioni che ci hanno portato a battagliare in Senato per migliorare questo testo, ma non solo. A mio avviso, l'aspetto più grave è un altro. Questo è il primo decreto varato dal Governo; di fatto, si tratta, in un certo senso, di una prima della vostra stagione. Poteva iniziare peggio? Noi crediamo di no. Questa vicenda è peggio di una stecca alla prima di un soprano. Non salviamo niente di questa assurda e goffa performance, nell'ispirazione, negli obiettivi e nei metodi che adotta. Resta un passo molto grave, anche se depurato, come peraltro era inevitabile che fosse, dai suoi passaggi più inaccettabili, come quello che rendeva punibili anche i partecipanti ai rave party e, soprattutto, quello che apriva le porte alla possibilità di vietare ogni manifestazione, violando così in modo inconcepibile i principi basilari di ogni democrazia. L'emendamento che limita l'area di applicazione delle nuove norme agli eventi musicali può renderci in qualche modo soddisfatti? No, lo diciamo onestamente, assolutamente no. Resta davvero incredibile e drammaticamente inquietante che il Consiglio dei ministri, guidato da Giorgia Meloni, abbia dato il via libera al decreto nella sua forma originaria. Davvero nessun Ministro si era reso conto del mostruoso vulnus che stava infliggendo alle regole della democrazia?

Non so se vi hanno aggiornato, ma in Commissione bilancio ho fatto emendare il testo del MEF. È successo non più di un'ora fa. Cosa diceva il MEF? La proposta ha natura precettiva e ordinamentale e sanziona comportamenti diretti a sovvertire l'ordine pubblico e prodromici a cagionare disordini. Se vi sembra una norma sui rave, io non so a che concerti abbiate partecipato nella vita ma credo che vi fosse scappata un po' la mano, così “a naso”. Tant'è vero che la Sottosegretaria presente ha detto: forse meglio se stralciamo quella parte. Oppure è successo anche di peggio, e peggio ci sentiamo: ve ne siete resi conto ma avete considerato la questione di secondaria importanza. Insomma, o il disprezzo per la libertà di manifestare o la pura e mera incompetenza. Reazionari o cialtroni: dagli spalti, più di cinquanta persone direbbero entrambe le cose. In ogni caso, anche se limitato agli eventi musicali, il decreto dal nostro punto di vista resta intollerabile. Noi ce lo chiediamo: ma che cosa vi hanno fatto questi ragazzi? Perché prendere di mira proprio gli eventi musicali con norme così repressive? Davvero non si comprende la ratio. Davvero pensate che siano questi i problemi urgenti del Paese, così impellenti, così minacciosi da richiedere il varo di norme eccezionali e di cambiare in corsa il codice penale? Mentre l'Istat stima il tasso di inflazione stabilmente all'11,8 per cento, il valore più alto dell'Occidente, il Governo Meloni insiste su una strada punitiva nei confronti di chi ha meno, di chi lavora con salari da fame, di chi non trova lavoro e di chi si raduna sotto la cassa “dritta”. È stupefacente. Ci sarebbe da ridere se non fosse tutto vero, se non fosse, appunto, il vostro primo decreto. Cosa vi avrà mai fatto la cassa in quattro? La verità sapete qual è? È che non sapete nemmeno cosa sia la cassa in quattro; la verità è che confondete questa storia con le vostre storie. Rave per voi equivale a musica ad alto volume, droga, sesso e degrado, come se i festini che questa capitale conosce bene fossero migliori. Che ipocrisia, che ipocrisia!

Davvero pensate sia una delle emergenze del Paese, una delle piaghe che affliggono l'Italia e che richiederebbero norme eccezionali? Allora, quali potrebbero essere altre? Ve lo chiedo. Qual è il prossimo decreto? Volete limitare, non lo so, le feste dei Babbo Natale in strada o dei bambini? Davvero non comprendo. La risposta la conosciamo tutti e la conosce perfettamente anche il Governo che, peraltro, la ammette ingenuamente o, forse, con notevole indecenza. Il Vicepremier Tajani, con un'intervista rilasciata il 9 novembre al Quotidiano Nazionale e mai smentita - avete sempre tempo, però, anche se è passato quasi un mese e mezzo - giustifica così la drasticità del Governo: il problema è stato affrontato in Consiglio dei ministri perché c'era un rave in corso. Che cattivi, mamma mia! Il Governo ha pensato di cogliere l'occasione per mostrare, appunto, i muscoli, per dimostrare la propria intransigenza su un terreno particolarmente comodo. Evidentemente è molto più facile prendersela con qualche centinaio di giovani che ascoltano musica, qualche volta esagerando nei decibel, che con i grandi evasori o le lobby, così potenti e agguerrite, che hanno preso parte della cassa già in questa manovra finanziaria. Insomma, si è trattato di una cosa che si chiama propaganda e, in questo caso, anche una propaganda particolarmente di bassa lega. Davvero un pessimo segnale. Abbiamo visto già, negli anni passati, Ministri confondere programmaticamente il loro Ministero con i palchi dei comizi, prendere provvedimenti guardando soltanto al tornaconto di un facile consenso e, per esempio, confondere gli interessi del Paese con gli esiti di un successivo sondaggio. Penso sia fondamentale per tutti, anche per lo stesso Governo, mettere un freno drastico a questa tendenza. Propaganda e atti del Governo devono tornare a essere sfere diverse, separate e non sovrapponibili.

Vi diciamo noi qual è l'emergenza delle emergenze, ci proviamo: è la variante criminale che corrompe e devasta ogni nostra attività. Organizzazione, capillarità, sodalizi strategici e inquinamento dell'economia e della democrazia sono segnali che non possiamo più ignorare. Non fa rumore, ma la mafia è in giro, è ovunque, sotto gli occhi di tutti, nel deserto che la crisi, sociale, pandemica ed energetica, si sta lasciando alle spalle in termini di attività commerciali e imprenditoriali. Sappiamo, da rapporti e ricerche, che la 'ndrangheta non solo si è radicata al Nord ma sta vampirizzando le nostre imprese e strutture di ogni tipo, anche quelle sanitarie comuni. Dove c'è crisi arrivano loro. A questo servono i fiumi di denaro da riciclare. Noi sosteniamo che sia da lì che bisognerebbe ripartire. Dobbiamo lavorare senza sosta per una società che vuole essere libera, democratica e solidale. La repressione dell'illegalità deve anche essere il segno del mutamento radicale della mentalità, che fa crescere il cittadino secondo la cultura del contrasto alle mafie, appunto, e quindi al favoritismo e all'arbitrio dell'omertà. Riteniamo che, in particolar modo, si debba porre attenzione al fenomeno delle ecomafie, anche con riferimento al movimento terra, alla gestione illecita dei rifiuti, all'edilizia abusiva, al lavoro in emergenza e in scadenza. Sono tutti settori in cui la criminalità organizzata impone la sua presenza tramite corruzione e violenza. Contrastare questo tipo di attività potrebbe essere oggetto di un decreto, anche d'urgenza.

Bisognerebbe aggiornare, a livello regionale e nazionale, le normative relative alle cave e al loro monitoraggio e, a livello penale, prevedere un rafforzamento delle misure cautelari del sequestro preventivo e della confisca al fine di assicurare un disincentivo immediato alla commissione dei reati ambientali.

Insomma, ci sarebbero stati tanti motivi per mettere lì, davanti al Paese, alcune emergenze, eppure si è deciso di procedere diversamente.

Concludo, Presidente. Questo decreto è profondamente sbagliato, soprattutto nel merito. Conviene ricordare che l'articolo 17 della Costituzione non prevede eccezioni per gli eventi musicali - già -: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in un luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in un luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

Sottolineiamo, ancora e ancora, il termine “comprovati”, perché invece questo decreto si muove sul terreno scivolosissimo del pericolo presunto, che è già stato oggetto di rilievi e censure della Corte Costituzionale, a meno che non si tratti della tutela di beni fondamentali, come la vita o la salute. In casi come questi, sarebbe davvero più saggio muoversi tenendo in equilibrio un certo grado di tolleranza e anche la giusta attenzione per la protezione della salute di chi partecipa ai rave. Ma protezione e repressione sono concetti profondamente diversi. Ma è possibile che non un Ministro, non un Sottosegretario si sia interrogato invece su quante altre politiche si possano fare proprio guardando quelle immagini, a partire dalla riduzione del danno e da quello che fanno la gran parte dei Paesi europei, anche con il drug checking, per evitare che quelle persone muoiano e muoiano perché stanno assumendo sostanze che non sono controllate? Ecco, non siamo di fronte a pericolosi criminali; non si tratta di nemici che possano o debbano essere trattati come pericoli pubblici, stabilendo peraltro sanzioni esorbitanti come la condanna a un massimo di sei anni. Faccio solo notare, anche relativamente a recenti e drammatici fatti di cronaca, che in Italia il possesso illegale di armi è punito con la reclusione da 3 a 12 mesi e qui si parla di una reclusione da 3 a 6 anni. Come si fa? Vi chiedo come si fa. Parlatene lucidamente e rifletteteci. Io capisco che l'impulso vi abbia portato a fare un errore, ma adesso sono passati davvero tanti giorni e ancora vogliamo inserire una norma profondamente sbagliata che non ha nessun appiglio giuridico nel nostro codice penale? Ecco, in nessun altro Paese europeo sono previste pene così smisurate ed è davvero una magra consolazione sentirsi dire che la pena sproporzionata serve a rendere possibili le intercettazioni. Le stesse intercettazioni sono uno strumento che andrebbe utilizzato con misura e soprattutto nelle fattispecie di reato gravi abbastanza da giustificare un controllo minuzioso, peraltro senza voler aggiungere che, proprio sul tema dell'abuso di questo strumento, il Ministro stesso aveva espresso recentissime esternazioni in audizione, salvo poi cambiare idea sui cosiddetti 007. Gli 007 vanno bene, le intercettazioni per controllare i ragazzini e le chat broadcast vanno bene, tutto il resto no; poi mi spiegherete anche questo. Insomma, ancora una volta, in questo Paese si disegna un'idea di giustizia a targhe alterne - lasciatemela definire così -, forte con i deboli e assolutamente poco garantista su materie e questioni che tutto sono tranne che un pericolo reale e immediato. Poi sarebbe bene anche discutere di garantismo - lo dico per inciso - perché avete inserito nello stesso decreto cose anche molto diverse tra di loro, ma lo dico rapidamente per far capire che considero sbagliata anche parte di quella discussione sul carcere ostativo.

In ogni caso, tornando ai rave, c'è un'altra ragione ancora più di fondo che motiva il nostro dissenso e il nostro voto non semplicemente contrario, ma radicalmente contrario: i rave e la loro storia trentennale sono una prassi dell'aggregazione giovanile - vi piaccia o meno - ed io credo che dovreste farvene una ragione. In alcuni Paesi europei, evidentemente un po' più avanzati del nostro, che cercano di leggere la questione con uno sguardo che non è semplicemente lo sguardo dell'ordine pubblico, sono considerati uno spazio di libertà, di cultura addirittura qualcuno li utilizza per fare mercato - pensate voi - e si cerca per l'appunto di comprendere e non soltanto di reprimere fenomeni come questi. In quei Paesi che invece hanno privilegiato un impianto proibizionista sapete cos'è successo? Che i rave sono aumentati, non sono certo diminuiti, come è del tutto evidente quando si mettono in campo politiche proibizioniste che vengono utilizzate semplicemente come bandiere, non certo per risolvere i problemi. Insomma, propaganda e fake news, costruite appunto ad arte, andrebbero messe da una parte, una volta per tutte, perché non fate una bella figura a cavalcarle in questo modo. I giovani, le ragazze e i ragazzi vanno ascoltati, non criminalizzati. Vi dico qualcosa di più: quasi il 40 per cento di chi entra in carcere ha fatto uso di sostanze stupefacenti; sono numeri che evidenziano il fallimento delle politiche proibizioniste. Le politiche di riduzione del danno e di limitazione dei rischi sono importanti perché si occupano della salute e del benessere sociale delle persone che usano quelle droghe; sostengono, informano e orientano verso modelli di uso meno rischiosi, contrastano e prevengono la marginalizzazione e l'esclusione sociale e hanno ricadute positive importanti sulla convivenza civile, sulla salute di tutti e anche sulla spesa pubblica. Con la loro mancata attuazione, stiamo assistendo a tanti passi indietro a scapito dei giovani e dei giovanissimi. L'esordio del Governo Meloni sulle droghe non lascia dubbio: i rave sono un crimine in cui l'uso di sostanze è parte integrante della minaccia alla sicurezza pubblica; le persone che usano droghe non vanno chiamate, sennò si avalla il consumo. La riduzione del danno è una resa, una rinuncia, l'astinenza è l'unico legittimo obiettivo (e pazienza per la salute di chi li usa). Ecco, nulla di sorprendente questo iperproibizionismo della destra, quello delle leggi Fini-Giovanardi del 2006, della galera, dell'ostracismo ideologico appunto della riduzione del danno; non importano gli esiti nefasti in termini di salute, esclusione, carcere e aumento di mercati illegali. Ma, se non c'è nulla di nuovo nella retorica della destra, molto di nuovo invece è accaduto perché, cari colleghi, non siamo più nel 2006 e il Governo Meloni sulle droghe potrà esercitare il suo potere a colpi di decreti, se crede, ma senza nessuna credibilità. Gli ultimi vent'anni hanno cambiato lo scenario in modo radicale. L'impianto globale ONU, pur restando in parte proibizionista, è stato costretto ad aprire al confronto sulla legalizzazione della cannabis, con un numero crescente di Stati a favore. Lo stesso UNODC ha incluso la riduzione del danno, a lungo strenuamente osteggiata, tra le politiche basilari e le agenzie ONU dei diritti umani, il cui protagonista sulle droghe è un'incisiva novità, l'hanno inclusa come fattore determinante a garanzia del diritto alla salute. Insomma - e concludo -, a fronte di un Governo come questo, dovremmo fare i conti con un mondo che non è più appunto quello di Giovanardi e Mantovano, già alfiere appunto della War on Drugs, che scoprirà che la sua delega alle droghe troverà, non solo l'opposizione di tanti, ma anche la sfida della realtà, a partire da tanti magistrati che hanno iniziato a dire le cose come stanno in questo Paese. Per esempio, dovrà rispondere al CESR, comitato ONU sui diritti sociali economici e culturali che, sulla base di un rapporto di Forum droghe, un'altra associazione, ha riscontrato violazioni in materia di diritto alla salute per la carente diffusione delle politiche di riduzione del danno nel Paese e chiede al Governo di provvedere. La frase della Vice Ministra Bellucci, secondo cui la riduzione del danno è superata, rischia di esporre il Governo al ridicolo.

Allora, davvero provate a fare meno ragionamenti ideologici, ve lo chiediamo noi. Basta accarezzare la pancia di un elettorato a cui, lo capisco, non potete dare di più; evidentemente, non potete concedere le promesse che avete raccontato in campagna elettorale, perché la realtà dei fatti è un po' più difficile della propaganda, e quindi concedete bandierine e contentini da sventolare. Complimenti!

Concludendo, a chi pensa che alla fine un rave è solo un rave e non sono altri i divieti su cui indignarsi voglio ricordare una cosa molto precisa: le norme liberticide sono liberticide sempre, di qualunque argomento si parli, e il rischio che si cominci così per poi passare ad altro è sempre dietro l'angolo. Per ora e per fortuna non ci siete riusciti, perché il vento di indignazione che si è mosso a fianco delle opposizioni nel Paese ve lo ha impedito, e spero davvero che non ci riproverete.

Sappiate, in ogni caso, che troverete sempre la nostra opposizione radicale e il nostro più profondo dissenso. C'è chi non esce per non inciampare, non mangia per non evacuare, chi non balla per non sudare. So cos'è un rave, disse, e l'altro gli rispose: ci sei mai stato? Ah, no. Allora non sai cos'è un rave. Presidente Meloni, ascolti un consiglio, un consiglio non richiesto: se non capite, se non sapete e non volete sapere, state zitti e lasciateli ballare (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato D'Alessio. Ne ha facoltà.

ANTONIO D'ALESSIO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Dunque, la disomogeneità dei temi trattati nel decreto lascia qualche dubbio di costituzionalità, ma anche e soprattutto grandi dubbi sulla opportunità. È da sottolineare, infatti, che, contrariamente a quanto dovrebbe essere, il decreto-legge da convertire non contiene un oggetto omogeneo, ma tre diversi oggetti: il reato ostativo, l'introduzione di una nuova fattispecie di delitto riguardante il cosiddetto rave party, nonché le nuove disposizioni sul personale sanitario, sociosanitario e socioassistenziale che non si sia sottoposto alla prescritta vaccinazione. In definitiva, è stata correttamente definita una singolare quanto creativa associazione, quella di mettere insieme condannati all'ergastolo, frequentatori di rave party e medici no-vax.

Voglio partire dai raduni pericolosi. Intanto, è singolare anche il fatto che sia stato il primo intervento legislativo, che va a corroborare il già ricco palmares, il già ricco elenco di reati penali nel nostro ordinamento.

Era veramente una priorità quella di creare una figura nuova di reato in ordine a questi assembramenti, a questi rave party? Se è vero, come è vero, che quasi tutti i giuristi e i costituzionalisti hanno sentenziato che sostanzialmente è un'esigenza che poteva essere decisamente e proficuamente contrastata con gli strumenti già presenti nel nostro ordinamento, ci si chiede perché sia venuta fuori questa norma, questo reato nuovo. Allora la risposta è che una norma che risponde a un'esigenza di offrire un segnale politico; una norma che, nella sua prima stesura, si è tradotta in una disposizione legislativa che ha posto dubbi di costituzionalità serissimi o, anche qui, quanto meno dubbi di grande opportunità o inopportunità in ordine alla compressione di una fondamentale libertà prevista nella Carta costituzionale, segnatamente all'articolo 17, norma importantissima nel nostro ordinamento, che ne promuove lo sviluppo, la possibilità, una libertà edificante, la definirei, e che può essere sostanzialmente bloccata solo per motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Per quanto modificata e migliorata nei lavori al Senato, resta un contrasto molto grande rispetto al principio di tassatività, di determinatezza e di precisione. Sappiamo bene che queste caratteristiche sono corollari della riserva di legge prevista ex articolo 25 della nostra Costituzione e dall'articolo 1 del codice penale. Peraltro, c'è nella norma un'eccessiva anticipazione della soglia della punibilità. Quando succede questo nel nostro ordinamento, la pena è più bassa, perché si tratta di un reato di pericolo, qui sembra quasi un pericolo di pericolo; quindi, la soglia della punibilità è molto anticipata, e tutto ciò postula la necessità di graduare la pena al ribasso, ma anche qui, evidentemente, c'è una grande confusione.

Ovviamente, la confusione non viene determinata - mi guarderei bene dal dirlo - dalla mancata capacità di chi ha scritto la norma, perché non è assolutamente così, ma, evidentemente, ripeto, è una norma politica, una norma che non vuole andare a creare un nuovo reato per un'esigenza sistematica del nostro codice penale, del nostro ordinamento, ma una norma che vuole dare un segnale politico, che è quello di stringere un po' la cinghia, ma bisogna farlo nella direzione giusta. Evidentemente, questo obiettivo politico andava raggiunto senza porre attenzione al modo, ai tempi, alle conseguenze reali. Ripeto, i lavori al Senato hanno determinato notevoli modifiche, però hanno generato una confusione ulteriore da un punto di vista tecnico, ma, quello che più è grave, è che hanno creato imbarazzi di natura politica alla stessa maggioranza.

Mi è piaciuta molto una riflessione che ha fatto il collega Costa nel suo intervento poche ore fa, nel senso che provocatoriamente, ma fino a un certo punto, diceva che probabilmente ci sarebbe da riflettere su una riforma, cioè ogni nuova iniziativa che introduca modifiche al nostro codice penale probabilmente dovrebbe prevedere uno scrutinio segreto, perché la libertà di coscienza dovrebbe sopraffare le esigenze di partito, di scuderia. Quando andiamo a modificare una norma penale, quella riflessione deve coinvolgere le sfere più intime della nostra coscienza, per cui dovremmo sentirci liberi, anche al chiuso di un voto segreto, di esprimere il “sì” o il “no”.

Invece, probabilmente, oggi la maggioranza - è il gioco delle parti, per carità, nulla di terribile - sarà costretta a seguire gli ordini di scuderia, ma probabilmente molti colleghi della maggioranza non saranno intimamente convinti di questo modus procedendi. Perché il Governo non è intervenuto, allora, su norme già esistenti, su reati già previsti? Ripeto, voleva essere forse un segnale? In realtà, è stato recepito e percepito come una restrizione di una libertà costituzionalmente sancita dall'articolo 17 della Costituzione. Mi rendo conto che c'è stata un'eterogenesi dei fini, cioè non era quello l'obiettivo che si era posto, ma anche da un punto di vista dell'armonia sociale si traduce, almeno esteticamente, in un brutto colpo ai principi democratici, o almeno quello è sembrato, ripeto, esteticamente. E semplicemente, c'è da dire, non ne avevamo affatto bisogno. Sono d'accordo, molti colleghi che sono intervenuti prima, in particolare quelli della maggioranza, hanno sottolineato che il tema delicato impone da parte di tutti uno sforzo di onestà intellettuale.

È pur vero, però, che la delicatezza del tema avrebbe dovuto imporre ben altro atteggiamento da parte del Governo e dei proponenti, cioè un atteggiamento più cauto, più inclusivo, più incline rispetto all'ascolto delle forze politiche di minoranza, che non erano affatto d'accordo con questo tipo di provvedimento legislativo.

Si badi bene, a mio modesto avviso, non c'è un tentativo per la verità - lo dico con onestà intellettuale - di restringere in maniera drastica la libertà da parte della maggioranza. Non ritengo assolutamente si voglia introdurre una norma che consenta di comprimere a piacimento la libertà di riunirsi, ritengo, però, che il Governo voglia esprimere un orientamento, questo sì, legittimo per carità, ma che non ci trova assolutamente d'accordo. Diventano irricevibili le modalità, la tecnica legislativa, i tempi e altri aspetti che fanno veramente esprimere a noi di Azione e Italia Viva, così come a tanti altri colleghi delle opposizioni, delle minoranze, un deciso “no” al provvedimento legislativo sottoposto alla nostra attenzione.

Una norma scritta frettolosamente, poi migliorata, che si presta a interpretazioni varie da un punto di vista applicativo. E, allora, che cosa succede? Succede che la discrezionalità nell'utilizzo della norma nelle indagini diventa arbitrio. Noi sappiamo bene che in diritto c'è la discrezionalità, che alcune volte è ristretta, altre volte si amplia, altre volte si amplia a dismisura, una discrezionalità giustificata da una ratio. Ma la discrezionalità non può diventare arbitrio, non possiamo rimettere nelle mani di chi è l'operatore di diritto preposto a utilizzare la norma un arbitrio totale, perché, poi, conosciamo bene quali possono essere le conseguenze dell'arbitrio. Innanzitutto, un potere giurisdizionale e di polizia investito in modo imbarazzante e improprio di questo potere; anzi, fossi un magistrato, nemmeno l'apprezzerei, per la verità.

E, poi, questa smisurata discrezionalità, che diventa, ripeto, arbitrio, sfocia automaticamente nella disparità di trattamento. È ovvio, un magistrato o chi effettua le indagini interpreta in modo estensivo la norma, un altro magistrato o un altro operatore la interpreta in modo restrittivo e, allora, lo stesso raduno può essere trattato come potenziale reato a Brescia e non a Salerno, può essere trattato come potenziale reato a Brindisi e non a Genova. Questa è una cosa credo gravissima, sulla quale veramente credo sia il caso di fare una riflessione prima del voto. Quando la norma è così ampia e, ripeto, offre una discrezionalità davvero ampia all'operatore, questa discrezionalità diventa pericolosa, perché, poi, diventa un modo diversificato dell'interpretazione che consente all'operatore di avere un approccio soggettivo e non oggettivo e questo, naturalmente, in uno Stato di diritto è estremamente pericoloso.

Non voglio, peraltro, accennare alle polemiche circa la condivisione della ratio della norma, che dovrebbe essere più condivisa. Quando ci sono norme così importanti, come si diceva, norme che vanno a cambiare la struttura, a corroborare, ad aggiungere reati al nostro codice penale, andrebbero discusse, andrebbero valutate, andrebbero rivisitate, andrebbero meditate.

È vero, l'ho sentito dire dai colleghi della maggioranza, che le norme sono fatte per essere cambiate, perché devono essere adeguate all'evolversi della società, all'evolversi dei costumi, ma è pur vero che il cambiamento non può essere fatto così rapidamente, soprattutto quando parliamo di un cambiamento di una norma penale.

E, poi, perché no, si può sviluppare anche un contenzioso in ordine all'abuso di questi strumenti e delle tensioni sociali. Le parole della Costituzione sono chiare, cioè ci vogliono comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica per restringere la libertà di riunirsi. Anche questa andrebbe e andrà, probabilmente, verificata in maniera un po' più puntuale, cioè la costituzionalità relativa all'estensione di questi limiti di compressione dell'articolo della Costituzione.

Mi fermo un attimo, sempre in ordine ai rave party, con riferimento a una questione sociale, perché sono un padre - come molti di noi - di ragazzi che sono in un'età particolare, vanno seguiti, possono avere dei momenti di sbandamento, perché no. Ma, se noi affrontiamo un eventuale disagio interiore o sociale che può sfociare in un rave party, che pure va organizzato in termini di ordine pubblico, se gli assembramenti patologici che si potrebbero creare si combattono con gli strumenti di carattere penale, c'è qualcosa che non va, soprattutto, quando le sanzioni si appalesano più pesanti di quelle che dovrebbero essere, addirittura con l'introduzione di nuove figure di reato, laddove, invece, come avevamo già sottolineato, sarebbero assolutamente sufficienti quelle che già esistono.

Allora da cosa nasce tutto ciò? Cioè ,da quale esigenza, non condivisa nemmeno nella totalità della stessa maggioranza, nasce questo segnale politico che vuol dare questo Governo? Perché perseguire reati già previsti o, meglio, attraverso la figura di un nuovo reato combattere esigenze che possono essere contrastate con le norme già esistenti? Un'autonoma incriminazione non fa altro che creare ulteriore caos, ingolfare gli uffici penali, ingenerare gratuite tensioni sociali, perché è ovvio che si scatenerà un dibattito. È chiaro che non è un bel modo di reagire nemmeno riguardo alle fasce giovanili, ma, probabilmente, le tensioni sociali potrebbero sfociare in quello che è un risultato assolutamente opposto rispetto a quello che la norma voleva andare a raggiungere come obiettivo. E, poi, ripeto, ci sarà sicuramente un contenzioso che potrebbe scaturire da questo tipo di norma. Peraltro, l'abuso del decreto-legge, proprio in questo caso, soprattutto in questo caso, la creazione di una norma penale nuova, non andrebbe assolutamente fatto. Quindi ci sono dubbi, perplessità, incongruenze, errori, che non possono che condurci a contrastare, con ogni modalità ovviamente lecita e legittima, questo percorso legislativo.

Vorrei, poi, fare un accenno al discorso in ordine ai medici ovvero al personale sanitario. Il settore sanitario da anni attende la giusta attenzione e il riconoscimento di giuste risorse nel settore e nella valorizzazione della professione. Abbiamo tanti medici che veramente, con grandissima professionalità, vanno avanti nel proprio lavoro, si attengono alle disposizioni legislative previste dal nostro ordinamento, scrupolosamente. Stiamo parlando di medici che, nel difficilissimo e più critico periodo della pandemia, caratterizzato da un susseguirsi di lockdown, ha continuato a lavorare senza sosta. Non parlo, ovviamente, solo dei medici, ma di tutto il personale sanitario. Ricordiamo tutti le immagini dei medici, di infermieri, di tutto il personale, ricordiamo come lavorava senza sosta, dedicandosi alla propria missione, mettendola davanti a qualsiasi cosa, anche alla propria salute, alla propria vita personale, perché è di questo che stiamo parlando, di una vera e propria missione.

Li abbiamo considerati degli eroi, loro si sono schermiti, però hanno continuato, in maniera diligente e professionale, ad attenersi alle indicazioni che il legislatore, il Governo e gli organi preposti dettavano con una grandissima puntualità. Tutti eravamo chiusi nelle nostre case, impauriti anche per andare a fare una spesa, anche per andare a fare un servizio, anche per andare a portare delle medicine a un parente e abbiamo dovuto riconoscere questo grande merito di chi era in trincea, ovvero il personale sanitario. Tutti ne abbiamo riconosciuto il merito perché c'è la generale consapevolezza della necessità di una competenza, di una dedizione, della conoscenza ed è grazie al personale sanitario che l'Italia ha potuto superare, speriamo definitivamente, nella sua estrema gravità, uno dei periodi più drammatici degli ultimi decenni. Ebbene, rispetto a tutto questo la risposta a chi ha servito indefessamente, nel modo più alto, il nostro Paese qual è? Quella di questo decreto? Lo Stato, alla fine, si limita a una pacca sulla spalla, al pagamento di un premio di risultato, peraltro dovuto, mentre dovrebbe riconoscere che chi ha avuto la professionalità, la dedizione e l'attenzione nel seguire pedissequamente le indicazioni non può oggi addirittura vedersi deriso, irriso da una norma che non sembra riconoscere rispetto a quell'atteggiamento.

A fronte, quindi, della necessità di dare attenzione a chi è al servizio della scienza, si è data soddisfazione a chi nella scienza non crede, rifiutando la vaccinazione, rifiutando di mettersi, come sarebbe stato doveroso, al servizio dei cittadini. La scelta politica è priva veramente di razionalità, di condivisibilità, di meritevolezza ed è priva di qualsiasi di qualsiasi fondamento scientifico. Con il nuovo indirizzo che si assume laddove dovessimo andare a convertire il decreto-legge in legge c'è il rischio di aumentare il contagio delle persone fragili, un rischio per la salute per molte persone, principalmente per gli anziani, i portatori di determinate patologie, i soggetti più fragili, più deboli, anche fisicamente, ma, a quanto pare, questi fondati dubbi non si sono determinati in chi vorrà dare il voto positivo alla conversione.

Ed è peraltro, devo aggiungere, un' impostazione assolutamente diseducativa, perché lo Stato si mostra intransigente, rigoroso, rispetto a determinati principi e rispetto a determinate disposizioni - e va ricordato chi si è assunto la responsabilità di determinate decisioni, che in quel periodo sono state così nette - e poi premia chi, con un vero e proprio atto di mancato rispetto verso lo Stato, non si è adeguato a quelle che erano le disposizioni legislative, penalizzando chi, invece, in linea di rigorosa coerenza con quelli che erano i dettati legislativi, i dettati dei provvedimenti assunti. È dunque una cosa che non si riesce a comprendere tale premio verso chi oggi ha vinto la sua battaglia di disobbedienza, non fosse altro per questo, al di là dei rischi che può creare in ordine a una recrudescenza ipotetica della pandemia (e noi ci auguriamo assolutamente che non vi sia tale recrudescenza). Voglio dunque circostanziare questa riflessione solo su questo su questo punto, ossia sul fatto che non è possibile che chi ha disobbedito allo Stato, oggi, con un colpo di spugna, si veda addirittura vittorioso, veda come vinta una propria battaglia.

Svolgo un'ultima considerazione, perché ho ancora qualche minuto a disposizione, sul reato ostativo. È vero che la materia penale non è esclusa, dal punto di vista costituzionale, dalla decretazione d'urgenza, ma ragioni di prudenza ci devono indurre - come ci ha, giustamente, invitato a fare anche la Corte costituzionale - a essere più rigorosi di quanto si stia facendo con la conversione di questo decreto-legge. Questo rigore implicherebbe che quando si tratta di introdurre nuove fattispecie di reato dovrebbe essere il Parlamento, e non il Governo, a provvedervi. Del resto, e lo sappiamo benissimo, è la stessa Costituzione a richiedere che il decreto-legge debba avere come presupposti la necessità e l'urgenza, quindi fatti imprevedibili e per i quali non si possa attendere oltre. Ebbene, consideriamo la sostanza del caso che ci occupa; quali sono, nel caso di specie, i presupposti di necessità e urgenza? Quanto all'ergastolo ostativo, l'urgenza era dettata dall'approssimarsi della data dell'8 novembre 2022, fissata dalla Corte costituzionale per adottare la decisione, in assenza di un intervento del legislatore. Sul punto effettivamente, per ben due volte, la Corte costituzionale è intervenuta con un'ordinanza per richiamare l'attenzione del Parlamento sulla necessità di rivedere le norme sui cosiddetti reati ostativi, ciò anche alla luce delle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo, ma soprattutto alla luce dell'articolo 27 della Costituzione, che ho già citato, quindi delle finalità non solo punitive ma rieducative della pena. In particolare, vi è l'esigenza che la liberazione condizionale tenga sì conto delle valutazioni di pericolosità di pericolosità sociale, ma anche della collaborazione del detenuto e della possibilità di essere desunta anche da altri elementi che ne dimostrino la dissociazione dall'ambiente criminale. Sotto questo profilo c'è effettivamente la necessità di intervenire, ma questo era assolutamente previsto, non c'era la necessità di dirlo oggi, era un evento assolutamente previsto, nemmeno prevedibile; così come, peraltro, è al di fuori della previsione di necessità ed urgenza il differimento della riforma Cartabia, urgenza camuffata dalla necessità politica di intervenire in difformità dalla impostazione della stessa, quindi non è l'obiettivo quello di consentire una più razionale programmazione degli interventi organizzativi di supporto alla riforma. Per di più, anziché seguire l'indirizzo della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo, in questo decreto si va a stabilire l'esatto contrario, negando il fatto che l'ergastolo ostativo sia un trattamento inumano e degradante; anziché rivedere la fattispecie in direzione più favorevole al reo, qui si stabilisce che per potere accedere ai benefici dell'ordinamento penitenziario si debba passare da 26 a 30 anni di reclusione. È chiaro che qui si vuol rispondere in modo totalmente difforme all'indirizzo dato, tanto che tutti gli emendamenti presentati, in senso coerente con quanto detto dalle massime Corti, sono stati respinti, fatto singolare e tutto avviene in evidente contrasto con gli impegni politici assunti dal Ministero della Giustizia; eppure, abbiamo apprezzato l'approccio garantista al quale il Ministro aveva detto di voler ispirare il suo mandato, ma tutto comincia abbastanza male.

Per tutto quello che ho detto e per quanto avremo modo di ribadire, soprattutto in ordine alla questione dei rave party, e lo ripeto, laddove abbiamo evidenziato già - lo riassumo rapidamente - una contrarietà, una frizione con il principio di libertà di riunione di cui all'articolo 17 della Costituzione, un contrasto evidentissimo con il principio di tassatività e determinatezza, di precisione con il requisito della riserva di legge ex articolo 25 della Costituzione, e con l'articolo 1 del codice penale.

La frizione è evidentissima con il principio di offensività ex articolo 25 della Costituzione e 49 del codice penale.

Con riferimento all'indeterminatezza c'è da dire che essa ha un ambito applicativo abbastanza vasto, che i lavori al Senato hanno ristretto, ma fino a un certo punto, rimettendo agli operatori del diritto e agli operatori delle indagini una discrezionalità così ampia da sfociare nell'arbitrio. Questo naturalmente diventa assolutamente illegittimo, per cui la norma in questo senso è assolutamente da riformulare. La pena è sproporzionata. Il delitto presenta una pena eccessivamente grave. Solitamente i reati di pericolo comportano un'anticipazione della soglia di punibilità, per cui sono controbilanciati con un limite edittale più basso, che non esiste nel caso che ci occupa. Infine - mi sia consentito - vi è anche qualche errore tecnico redazionale. Si parla peraltro di invasione di edifici e terreni pubblici o privati, ma non si è parlato di luoghi aperti al pubblico. Tra l'altro, c'è una pericolosità sociale per la salute o altro, ma se agisco nel mio terreno? Anche questo sarebbe meritevole di riflessione.

PRESIDENTE. Concluda.

ANTONIO D'ALESSIO (A-IV-RE). Presidente, arrivo decisamente alla conclusione. Per le ragioni che ho evidenziato e per quelle che esprimeremo anche in eventuali dichiarazioni di voto o altro, il nostro è un “no” convinto alla conversione di questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Alfonso Colucci. Ne ha facoltà.

ALFONSO COLUCCI (M5S). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi e colleghe onorevoli, inizierei questo mio intervento con un brocardo: pondus et pondus, mensura et mensura. Chi mi seguirà fino al termine di questo mio intervento ne potrà apprezzare l'utilità. Premetto immediatamente che non possiamo esprimere un giudizio positivo sul decreto-legge che viene oggi presentato alla Camera per la sua conversione in legge. È un decreto-legge che fa male al Paese; indebolisce fortemente la capacità dello Stato di contrastare le mafie e la criminalità organizzata e, per noi del MoVimento 5 Stelle, questo è inaccettabile.

Esso riserva ai condannati per reati ostativi che collaborano con la giustizia un trattamento spesso deteriore e in taluni casi eguale a quello riservato ai condannati che non collaborano con la giustizia. In primo luogo, l'articolo 12 del decreto-legge n. 8 del 1991 impone l'obbligo, a carico dei condannati che collaborano con la giustizia, di specificare dettagliatamente tutto il proprio patrimonio occulto che viene immediatamente sequestrato e poi confiscato. In caso di dichiarazione mendace o omissiva è prevista la revoca del programma di protezione, dei benefici penitenziari concessi e l'attivazione di una procedura di revisione per la revoca degli sconti di pena ottenuti in sede di condanna per la collaborazione prestata.

Nel decreto-legge in esame l'obbligo di specificare dettagliatamente il proprio patrimonio occulto non è previsto per i condannati a reati ostativi non collaboranti. Questo trattamento deteriore per i non collaboranti andrà a disincentivare fortemente la motivazione a collaborare con la giustizia, mentre la collaborazione è uno degli strumenti che si è rivelato più efficace nella lotta alle mafie e alle altre forme di criminalità organizzata. Si indebolisce in questo modo - e fortemente - la capacità dello Stato di combattere le mafie. Il procuratore nazionale antimafia, nel corso della sua audizione davanti alla Commissione giustizia del Senato, in data 23 novembre 2022, evidenziava la necessità che analogo obbligo di dichiarare il patrimonio occulto fosse imposto anche ai condannati non collaboranti che facciano richiesta di concessione dei benefici penitenziari e ciò naturalmente al fine di evitare di riservare ai non collaboranti un trattamento più favorevole di quello riservato ai collaboranti. Il MoVimento 5 Stelle ha proposto un emendamento in tal senso, teso a correggere l'indulgenza di Stato nei confronti dei non collaboranti, i quali possono conservare così segreto il proprio patrimonio occulto che è frutto di crimini di mafia e di riciclaggio e che viene quindi sottratto alla confisca, trattamento deteriore rispetto a quelli che collaborano. Chiediamo di correggere e di emendare in tal senso il decreto-legge per scongiurare che nessuno più in futuro voglia collaborare con la giustizia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

In secondo luogo, bisogna subordinare la concessione dei benefici penitenziari a favore dei condannati non collaboranti al loro ravvedimento. La Corte di cassazione, con la sentenza del 7 ottobre 2019, ha confermato la legittimità del diniego della concessione della detenzione domiciliare al collaboratore Giovanni Brusca ritenendo che, pur essendo stata accertata la revisione critica della sua condotta criminosa, fosse mancata la prova del suo ravvedimento. Il ravvedimento - dice la Cassazione - è concetto più pregnante della revisione critica, perché si sostanzia non in un mero ripensamento delle condotte antigiuridiche e colpevoli, delle loro motivazioni e delle loro conseguenze, ma in un vero e proprio mutamento profondo della personalità del mafioso, la proiezione verso il perdono da parte delle vittime dello Stato, un vero e proprio pentimento civile.

L'articolo 16-nonies, comma terzo, del decreto-legge n. 8 del 1991 subordina la concessione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia alla prova da fornire al magistrato di sorveglianza non della semplice revisione critica, ma proprio dell'avvenuto ravvedimento. Nel decreto-legge in esame questo obbligo non è previsto per il mafioso non collaborante. La stessa Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 97 del 2021, pur accertando ma non dichiarando l'illegittimità dell'ergastolo ostativo, con riguardo al profilo della preclusione dell'accesso alla libertà condizionale in assenza di collaborazione volontaria utile e possibile, ha disconosciuto l'esistenza in capo al mafioso di un diritto al silenzio. La Corte ha quindi rimesso alla discrezionalità del legislatore la possibilità di dare rilievo alle specifiche ragioni della mancata collaborazione. Bisogna dare seguito nel decreto-legge in esame a questa indicazione della Consulta. Di ciò, tuttavia, non vi è traccia nel testo di legge. È altresì necessario che tale rilievo non si risolva in una mera allegazione formale, ma abbia un contenuto sostanziale. Deve essere previsto il pregnante sindacato da parte del giudice di sorveglianza nella valutazione della sincerità e veridicità delle circostanze allegate.

Quindi, questo decreto-legge deve essere emendato con la previsione sia di un procedimento specifico, teso a valutare il caso in cui il condannato abbia dichiarato di non collaborare per timore di ritorsioni nei confronti dei propri prossimi congiunti, sia di una disciplina relativa ai detenuti, ai quali la collaborazione sia impossibile per la loro limitata partecipazione al fatto criminoso o per l'integrale accertamento dei fatti. Molto spesso la mancata collaborazione rivela la perdurante adesione del condannato al codice culturale mafioso, codice che fa dell'omertà un valore, che considera un'infamità la collaborazione con la giustizia e, quindi, un infame il collaborante. È evidente che la perdurante adesione del condannato non collaborante al codice della mafiosità esclude del tutto il suo ravvedimento.

All'opposto, in questo decreto-legge, il mafioso non collaborante ha una mera facoltà e non l'obbligo di dichiarare le ragioni della propria mancata collaborazione. Gli si consente di essere omertoso, di essere mafioso anche nei confronti della giustizia, dello Stato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), e questo è del tutto inaccettabile.

La Corte costituzionale, con la citata ordinanza n. 97 del 2021, ha considerato le ragioni della mancata collaborazione come indice di valutazione del ravvedimento da parte del condannato per reati di mafia. Questo decreto-legge si pone, pertanto, in contrasto anche con questo assunto della Consulta. In coerenza, il MoVimento 5 Stelle ha proposto, sia al Senato, sia alla Camera, e già in Commissione, un emendamento in tal senso. Ma tale emendamento non è stato approvato dalla maggioranza. In mancanza di questa modificazione, vi chiedo, chi avrà più interesse a collaborare? Occorre integrare il disposto dell'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, prevedendo che l'assegnazione al lavoro esterno per i condannati per gravi reati possa avvenire solo trascorsi 10 anni dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. In mancanza, si corre il rischio che il condannato non collaborante acceda ai benefici penitenziari ben prima del collaborante. Infatti, il tempo medio di durata del processo penale è di 6-7 anni, è il periodo di custodia cautelare, che, spesso non breve, è computato ai fini dell'espiazione della pena. Inoltre, questo decreto-legge attua una sostanziale equiparazione dei tempi di accesso ai benefici penitenziari dei permessi premio e del lavoro all'esterno da parte dei condannati collaboranti e dei condannati non collaboranti: circa 7 anni dalla custodia cautelare per i primi e circa 8 anni e 6 mesi per i secondi. Vi chiedo quale incentivo a collaborare con la giustizia si viene così ad offrire ai condannati per gravi reati di mafia? Quale convenienza ad esporre se stessi e le proprie famiglie alla collaborazione con lo Stato, se un trattamento uguale o per certi versi migliore viene offerto a chi non collabora? Perché si dovrebbe correre il rischio di subire ulteriori condanne per fatti che emergano nel corso della collaborazione, se risulta più conveniente essere omertosi? Perché il mafioso dovrebbe rivelare il proprio patrimonio occulto, esponendolo alla confisca, se, non collaborando con la giustizia, potrà ottenere i medesimi benefici, magari con qualche anno in più di carcerazione? Ma non vogliamo fare una seria lotta alla mafia? Non vogliamo farla più (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)?

Inoltre, la retroattività del portato normativo rende ancora più grave il danno di questa legge alla lotta alla mafia. Una regressione giuridica e culturale che rivaluta l'omertà mafiosa come fenomeno accettabile e compatibile con lo Stato democratico. Infatti, appena questa norma dovesse entrare in vigore, tutti i condannati per gravi reati potranno richiedere l'accesso ai benefici, pur mai avendo collaborato con la giustizia. È un fuori tutti, tanto più grave quanto più gravi sono i reati cui si riferisce l'ostatività. Si tratta, infatti, dei reati associativi mafiosi o aventi come finalità il terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, di induzione o sfruttamento della prostituzione minorile, di produzione e commercio di materiale pornografico minorile, di tratta di persone, di acquisto e alienazione di schiavi, di violenza sessuale di gruppo, di sequestro di persona a scopo estorsivo, di immigrazione clandestina, di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, oltre, grazie alla cosiddetta legge Spazzacorrotti, dei reati di peculato, di concussione, di corruzione e di altri gravi reati contro la pubblica amministrazione.

Se questo decreto-legge dovesse essere convertito in legge, molto indebolito sarà il contrasto a queste gravi fattispecie di reato e, in particolare, fortemente compromessa sarà l'efficacia della lotta alla mafia. Difficilmente potranno essere spezzati i legami di fedeltà alle cosche mafiose. Pregiudicato sarà il contrasto alla cultura mafiosa dell'omertà e del segreto. Non potremo mai più conoscere la verità sulle stragi mafiose che hanno funestato il nostro Paese. Dal peso di quelle tragedie potremo riscattarci, ove mai un riscatto sia possibile, solo allorquando saranno state messe in piena luce e definitivamente accertate tutte le responsabilità, sia dirette, sia indirette. Solo allora lo Stato e la comunità statuale potranno avere, forse, data la gravità dei fatti, il proprio necessario riscatto.

Con un emendamento all'originario testo del decreto-legge presentato al Senato da Forza Italia e approvato dall'Aula del Senato, si è introdotta la soppressione dell'ostatività per alcuni dei più gravi reati contro la pubblica amministrazione e, finanche, dell'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di tali gravi reati. Si tratta di un grave indebolimento della legge n. 3 del 2019, un chiaro abbassamento del livello del contrasto a reati che, spesso, sono il grimaldello a mezzo del quale la criminalità organizzata si insinua nella pubblica amministrazione e ne condiziona l'attività. Devo ricordare che, nella scorsa legislatura, la Lega votò a favore della legge Spazzacorrotti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e proprio non si comprende come ora la stessa Lega ne possa indebolire così gravemente la struttura. Non sarà più ostativo il reato di corruzione in atti giudiziari, per il quale la pena edittale della reclusione va da 8 a 20 anni, mentre sarà ancora ostativo il reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, per il quale la pena edittale va da 1 a 6 anni. Questa è una stortura inaccettabile. Così i colletti bianchi vengono salvati, mentre gli altri no. Questa è la visione che la maggioranza ha del sistema penale nel nostro Paese, nell'Italia. Si alleggeriscono i reati del Palazzo, dei funzionari pubblici e dei pubblici ufficiali, mentre si conferma il regime aggravato per i reati comuni.

Ricordo che il gruppo di Stati contro la corruzione, in acronimo GRECO, organo del Consiglio d'Europa, nelle raccomandazioni all'Italia del 4 febbraio 2020 valutava in modo positivo, proprio in conseguenza dell'entrata in vigore dell'applicazione della legge n. 3 del 2019, i progressi dell'Italia nella lotta alla corruzione nel settore pubblico e nella trasparenza del settore privato. Infatti, l'Italia, proprio con l'approvazione della legge Spazzacorrotti aveva dato felice seguito all'invito, formulato dall'organismo in data 7 luglio 2017, ad inasprire il contrasto alla corruzione. Bisogna, quindi, reintrodurre i reati contro la pubblica amministrazione nel novero dei reati ostativi di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, al fine di incentivare la collaborazione. L'articolo 323-bis del codice penale serviva proprio a ciò.

Bisogna anche aggiungere all'elenco dei reati ostativi, i reati transnazionali, come definiti dall'articolo 3 della legge 16 marzo 2006, n. 146, al fine del contrasto alla corruzione internazionale. Al Parlamento si offre oggi la preziosa occasione di migliorare anche il testo di legge che era stato approvato in prima lettura nel corso della scorsa legislatura e, grazie al contributo del MoVimento 5 Stelle, di correggere le storture apportate al decreto-legge in esame dalla maggioranza, al Senato. Il MoVimento 5 Stelle intende fissare oggi ancora più in alto l'asticella della lotta alla mafia e ai gravissimi reati che ho sopra enunciato. Diteci di no e ve ne assumerete la responsabilità verso il Paese negli anni a venire (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Col decreto-legge in esame, mentre si introduce un allentamento - come ritengo di aver dimostrato - alla lotta contro le mafie, si inasprisce la disciplina contro i cosiddetti rave party e si prevede per questa nuova fattispecie criminosa dell'organizzazione di raduni musicali non autorizzati una pena da 3 a 6 anni, con l'arresto in flagranza di reato e con l'autorizzazione alle intercettazioni. Prendiamo atto che il Senato di fatto ha accolto il contenuto dell'emendamento presentato dal senatore del MoVimento 5 Stelle, il dottor Scarpinato, che ha consentito di superare l'originaria genericità della fattispecie penale. Ciononostante, noi continuiamo a ritenere che di questo nuovo reato non vi sia affatto bisogno e che l'articolo 5, che lo introduce, vada soppresso. Resta, comunque, certo che la pena edittale prevista per questa nuova fattispecie di reato è abnorme, deve essere ridotta e, inoltre, deve essere introdotta la previsione della riduzione della pena nel caso in cui ci si adoperi per evitare che l'attività delittuosa sia portata a termine o si provveda alla messa in sicurezza e al ripristino dello stato dei luoghi. Deve essere introdotta, altresì, una causa di non punibilità in caso di spontaneo abbandono del terreno e degli edifici altrui. Questa causa di non punibilità appare utile ad alleggerire la tensione che si determina in questi casi, impedendo che la situazione degeneri in più gravi fattispecie delittuose. Dalle ragioni sopra esposte si evince chiaramente che questa nuova disciplina dell'ergastolo non più ostativo, che non richiede il pentimento del mafioso che non collabora, comporta un alleggerimento alla lotta alle mafie, anche quella dei colletti bianchi, a fronte della criminalizzazione degli organizzatori di raduni musicali non autorizzati, i cosiddetti rave party. Non possiamo non mettere tutto ciò in collegamento con il taglio delle intercettazioni previsto dalla legge di bilancio in corso di approvazione al Senato, con la preannunciata depenalizzazione del reato di abuso di ufficio o col suo indebolimento, con l'alleggerimento del reato del traffico di influenze illecite, con l'aumento a 5.000 euro della soglia di utilizzo del contante, con il condono penale per i reati tributari che, grazie a noi, non ha avuto ingresso nella legge di bilancio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Tutto questo avviene alla vigilia dell'utilizzo delle enormi risorse economiche del PNRR, di sicuro interesse da parte delle organizzazioni mafiose, da parte delle mafie dei colletti bianchi, da parte delle mafie delle massonerie deviate. Quanto costerà al Paese, alla parte sana del Paese questo grave indebolimento all'azione di contrasto alla criminalità organizzata? È evidente il substrato culturale alla base di questa visione della giustizia propugnata dalla maggioranza di Governo, una giustizia inflessibile e severa con la gente comune e accomodante e duttile per i mafiosi e per i colletti bianchi.

È così. All'inizio di questo mio intervento, ho citato il brocardo pondus et pondus, mensura et mensura che si legge nelle Sacre scritture. È un precetto antico, questo, è un precetto che oggi traduciamo in “due pesi e due misure”. Colleghi, facciamo tesoro della nostra cultura millenaria: la giustizia non può trattare situazioni identiche in modo diverso. Leggi senza giustizia scateneranno ingiustizia senza legge (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Toni Ricciardi. Ne ha facoltà.

TONI RICCIARDI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Membri del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, quello di cui parliamo oggi - è stato già detto da molti di voi - è una sorta di primo atto di questo Governo, una sorta di biglietto da visita. Mi immedesimavo, ascoltando il dibattito della discussione generale, nella cittadina o nel cittadino che da casa ascoltava e diceva: ma nel primo decreto di che cosa si parla? Si parla di rave, di vaccini e di mafia. Insomma, qualcuno ha usato la metafora del minestrone e potremmo utilizzare quello della macedonia o, se volete, visto che siamo in periodo natalizio, quello della frittura mista. Insomma, si tratta di una discussione generale che ci ha fatto plasticamente capire la confusione che si è fatta. Difficilmente ci si poteva aspettare un esordio peggiore. Interrogandoci sul perché questa maggioranza abbia voluto esordire così, vi invito a fare insieme a me un esercizio di ragionamento. Se adottassimo - seguitemi colleghi - le analisi di Hobsbawm ne Il Secolo breve e ci aggiungessimo il pensiero di Habermas e le categorie interpretative di De Felice, la sintesi sarebbe la seguente: avete bruciato come un cerino acceso la spinta rivoluzionaria e siete piombati, per scelta consapevole, nella fase della gestione politica corporativa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Questo è, se volessimo fare una sintesi.

Questo decreto-legge, emanato esclusivamente per ragioni propagandistiche ed identitarie, dimostra un'assenza completa e totale di un'idea qualsiasi di come governare questo Paese. Sia dal punto di vista costituzionale sia dal punto di vista giuridico è la rappresentazione plastica di un obbrobrio, tant'è che eminenti giuristi e costituzionalisti, auditi nelle Commissioni competenti, hanno espresso grandi preoccupazioni legate all'introduzione di un nuovo reato la cui descrizione, sebbene sia stata poi emendata dal Governo stesso, risulta del tutto indeterminata nel testo dello stesso decreto-legge, violando una serie di criteri e di requisiti che la norma penale richiede. Tra l'altro, la norma è stata oggetto di critiche puntuali anche da parte di alcuni esponenti della stessa maggioranza che, in una sorta di sussulto di dignità rispetto alle istituzioni che rappresentano, hanno anch'essi sollevato legittimi e doverosi dubbi in materia. Il fatto che desta la maggiore preoccupazione è che lo stesso Governo abbia poi deciso di emendare una norma penale che aveva inserito in un decreto-legge, sfidando la prudenza necessaria, come avviene quando si utilizza, appunto, la decretazione d'urgenza in materia penale. In un certo qual modo, ciò è la rappresentazione plastica e, se volete, la prova che la norma fosse scritta, non male, malissimo.

Allora, la domanda è: perché tanti dubbi? Perché il provvedimento è carente sotto il profilo della omogeneità, difatti si passa dall'introduzione di un nuovo reato in materia penale fino a norme in materia di obblighi vaccinali, e perché soprattutto, come è stato ricordato dalle colleghe e dai colleghi che mi hanno preceduto, colpisce in una maniera del tutto sproporzionata il tema. Questo poi ve lo lancio così, lo vedremo alla fine.

Ma arriviamo al primo punto, i rave. Verrebbe da dire all'attento osservatore: “meno male che la norma è cambiata”. Ma resta, in effetti, un fatto molto grave, ossia che il Governo abbia varato una misura che apriva e probabilmente continuerà ad aprire le porte alla possibilità di vietare ogni manifestazione, violando così i princìpi elementari della democrazia. E, nonostante il Governo abbia messo una toppa, che in un certo qual modo supplisce all'imprudenza utilizzata nell'area dell'applicabilità della norma stessa, il vulnus originario resta tutto, perché noi siamo qui a discutere sul fatto che vengano penalizzati eventi che hanno come fattispecie l'aspetto musicale.

Avete letto tutti i commenti di noti costituzionalisti e giuristi in questi giorni. Noi tecnicamente corriamo il rischio che d'estate un qualunque falò, organizzato da ragazze e ragazzi su una spiaggia, nel momento in cui si accende la musica, rischia di essere punibile.

Noi siamo in queste condizioni e francamente non se ne capisce il perché. È stato ampiamente richiamato l'articolo 5 del presente decreto-legge, e anche in questo caso proprio l'articolo 5 pone tutta una serie di problemi di incostituzionalità. La norma è stata mitigata, ma di fatto ci consentirete di sottolineare come l'obbrobrio resti.

Allora, mi domando: a questo Paese servono veramente norme così draconiane per eventi musicali, come poc'anzi vi dicevo, che possono essere gestiti come sono stati gestiti a Modena, proprio mentre voi discettavate sulla nuova emergenza che affligge l'Italia, nella regolarità, senza problemi, dal prefetto e dal questore, senza avere la necessità e avvertire l'esigenza di norme nuove?

La domanda che ripercorre un po' tutto il Paese - perché il Paese si sta interrogando su questo, cari colleghi - è se questa sia veramente una priorità o si utilizzi la questione del rave e della musica per dire, come stamattina anche in discussione generale qualcuno ha sottolineato, che la pacchia è finita.

Il problema è se noi ci vogliamo occupare della pacchia che è finita o se probabilmente vi dovreste occupare di coloro per i quali la pacchia non è mai iniziata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Questa è la domanda che noi ci dovremmo porre. Di fatto vi accanite con misure spot, però è di qualche giorno fa quello che è accaduto nella manovra, nella legge di bilancio, dove queste persone per le quali la pacchia non è mai iniziata sono state chiaramente accantonate, non prese in considerazione, e come al solito le agevolazioni ci sono state per i soliti noti; ci sono state le mancette e, Presidente, mi scusi la licenza poetica, diciamo anche un bel numero cospicuo di marchette, se proprio vogliamo sottolinearlo. Una manovra piena di condoni e di sanatorie, però capiamo che oggi siamo qui a discutere di emergenze e di urgenze del Paese.

Non era un'urgenza per questo Governo combattere la povertà, le diseguaglianze, recuperare le risorse dall'evasione fiscale, accorciare i tempi delle liste d'attesa negli ospedali. In altre parole, da quello che capiscono la cittadina e il cittadino che da casa ci seguono, invece di occuparvi della vera emergenza, che è la miseria di questo Paese, vi siete occupati di rave, e noi ne prendiamo atto.

Ora, è talmente un'emergenza la questione dei rave, Presidente, che lei saprà, come me, quanti se ne sono registrati in tutto il Paese nell'anno 2022: tre! Allora, per tre rave noi ci rendiamo conto che questa effettivamente è un'emergenza che deve impegnare le istituzioni e le Aule di questo Parlamento.

La verità probabilmente è un'altra: questo provvedimento vi fa comodo. Fa comodo soprattutto a un Governo che ha difficoltà a indicare la rotta al vascello che sta guidando. E allora è molto più facile, è molto più comodo, è molto più semplice prendersela con un centinaio di giovani o con qualche disperato in mare. Insomma, in altre parole, è facile, è facilissimo fare i forti con i deboli e i deboli con i forti; però, che siamo dinanzi a un Governo coraggioso ce ne siamo resi conto già nei primi passi che esso ha compiuto.

L'auspicio è uno solo, Presidente: non vorremmo che per l'eterogenesi dei fini sui rave voi otteniate esattamente l'effetto contrario. È dimostrato: nei Paesi che si sono accaniti sulla questione, quindi seguendo il solco del proibizionismo, i rave sono aumentati. D'altronde, è la stessa storia dell'Ottocento e del Novecento che ci dimostra che, ogni qual volta vengano imposte misure proibizionistiche, la reazione è esattamente l'inversa; ma soprattutto pensate al proibizionismo degli anni Venti, ponetevi la domanda e datevi da soli la risposta su chi si sia avvantaggiato da queste decisioni.

Alla fine dei conti la questione ritorna sempre a un concetto chiave, che è quello della percezione. Alimentare percezioni allarmistiche sui migranti, alimentare percezioni allarmistiche sui rave, sottovalutare i problemi concreti, mischiare tutto in una macedonia perché non si può mai discutere nella concretezza, con la pacatezza dei toni e la profondità di cui necessitano alcune questioni.

Bisogna mettere tutto insieme e, in un sistema binario, poter dire al Paese chi è a favore e chi è contro, limitando la discussione e costruendo il più grande sistema che alimenta le cosiddette armi di distrazione di massa.

In questo quadro, come se non bastasse, avete avuto anche la forza e il coraggio di compiere la scelta di rinviare la riforma Cartabia, assumendovi la responsabilità di rallentare i tempi della giustizia. Questo rallentamento, questo impantanamento della riforma non ha solo delle conseguenze di natura economica, ma pone esattamente un problema di Stato di diritto; lede gli elementari diritti in un Paese in cui la questione giustizia ormai da trent'anni ogni tanto riappare come la grande emergenza da affrontare.

Avreste potuto semplicemente emanare delle norme transitorie, senza dover per forza di cose rinviare tutta la riforma.

Però, lo sappiamo: probabilmente, siete allergici alle riforme. Non ci permettiamo di pensare o di dire che non siete in grado di farle, diciamo che siete allergici e, forse, vi manca il coraggio, il coraggio che esercitate con i più deboli, ma che fate fatica ad esercitare con altri. Insomma, un disastro.

Questione del carcere ostativo. Anche qui, l'abbiamo ascoltato nel dibattito generale questa mattina, lo stiamo leggendo in questi giorni e in queste settimane: mi consentirà, Presidente, di esprimere tutta la solidarietà al Ministro Nordio, ma temo che la sua posizione, da quello che si capisce, sia di assoluta solitudine o, quantomeno, non in linea con quanto è stato dichiarato dal Governo. La domanda che ci poniamo è la seguente: perché, invece di seguire il tracciato segnato dalla Corte costituzionale, articolate un insieme di misure che va in contrasto con l'articolo 27 della stessa Costituzione e che, peraltro, significa e produce, in futuro, un aggravamento, già insostenibile, del sovraccarico delle carceri? Poi, se immaginate che il sovraffollamento delle carceri, come leggiamo in queste ore, si risolva rispedendo le persone a casa, vorrei capire come fate a rispedire a casa persone per le quali non esistono nemmeno accordi con i vari Paesi. Insomma, anche da questo punto di vista, siamo ancora nella dimensione della propaganda, nella dimensione del voler incentivare e costruire questa finta percezione dei problemi in questo Paese.

Ma, mi sia consentito, Presidente: credo che il capolavoro massimo l'abbiate raggiunto sul tema vaccini. Sulla questione vaccini vi siete posti in una condizione che, in passato, non era accaduta. Durante le fasi emergenziali della pandemia, per la prima volta da molto tempo, abbiamo visto come, in questo Paese, la politica abbia fatto un passo indietro e abbia ascoltato la scienza. Voi vi siete posti nelle condizioni di voler piegare la scienza agli interessi della politica, lisciando il pelo a una fetta di elettorato alla quale giustamente dovevate dare un tornaconto. È mai possibile? Noi siamo ancora in una fase nella quale la pandemia non è dichiarata superata e, nonostante questo, vi permettete, all'interno di questo decreto, di dire che tutto quello che era stato stabilito durante una fase emergenziale non vale più nulla. Cioè, state dicendo a milioni di italiane e italiani che sono stati fessi ad fidarsi dello Stato, a sottoporsi a vaccino, a fidarsi della scienza, perché semplicemente dovete dare un contentino plastico alle persone che vi hanno votato. Complimenti.

Ancora oggi, abbiamo difficoltà nel superamento efficace e totale di una pandemia, abbiamo ancora un problema grosso quanto una casa nel gestire quale sarà il rapporto nelle RSA, quali saranno le condizioni per future pandemie, perché voi immaginate che il COVID sia come la “spagnola”, sia avvenuto a distanza di un secolo. Care colleghe e cari colleghi, vi segnalo che le pandemie hanno attraversato tutta la storia dell'umanità e non a distanza di secoli, molte volte anche a distanza solo di decenni, però, come al solito, noi andiamo verso una direzione, bisogna smontare tutto quello che è stato fatto in precedenza e, poi, chissà, quando arriverà la prossima emergenza, cercheremo di capire come procedere.

Voi state dando l'idea, sostanzialmente, anche da questo punto di vista, di una giustizia, di una scientificità che vengono utilizzate a targhe alterne: quando sostanzialmente vi fa comodo e sulle questioni che vi fanno comodo.

Io capisco, mi verrebbe da citare Aldo Moro, Presidente, che, in un famoso congresso che si tenne a Benevento nel 1970, disse: “Amministrare è difficile perché difficile è amministrare”. Io credo che, probabilmente, questa domanda non ve la siate mai posta, perché avere l'ardire di intervenire in una maniera tale su una tragedia che ha colpito questo Paese più di altri Paesi in Europa e nel mondo e non avere nemmeno il rispetto per le centinaia di migliaia di vittime che si sono registrate in questo Paese, credo sia… Presidente, trovi lei la parola, faccio fatica a trovarla, per poter giudicare quello che si sta offrendo al dibattito in questa seduta rispetto alla questione dei vaccini.

Anche in questo caso, non sarebbe stato più saggio muoversi rispetto a tutti e tre i temi principali che troviamo in questo decreto, avendo come stella polare l'equilibrio, cioè, avere una sorta di tolleranza rispetto ad alcune questioni, ma, allo stesso tempo, avere la giusta attenzione per la salute, sia di coloro che partecipano ai rave, sia di coloro che vivono in strutture sanitarie e, quindi, rispetto alla questione dei vaccini? No, voi utilizzate due pesi e due misure: punite i falò in spiaggia e aprite le maglie di coloro che, invece, devono gestire persone anziane che sono soggette, ancora oggi, ad ammalarsi. Ricordo a tutte e tutti che, ancora oggi, ci sono persone che in questo Paese, purtroppo, si ammalano e, purtroppo, muoiono di COVID. In tutta questa questione, secondo me, fate finta di non accorgervi del vulnus delle sanzioni esorbitanti, come la condanna a un massimo di 6 anni - è stato già ricordato da chi mi ha preceduto - rispetto ai rave, però, se vieni pescato in casa con un kalashnikov, il massimo che ti fai sono dai 3 ai 12 mesi. Se non vi sembra una sproporzione questa, non saprei come raccontarla a un cittadino che ci sta ascoltando.

La domanda che sorge spontanea, tra le tante alle quali credo che difficilmente troveremo risposta, è la seguente: che tipo di Paese avete in mente? E, soprattutto, mi pongo la domanda se vi stiate rendendo conto che spesso nella vostra maggioranza ci sono le posizioni di un Ministro o, addirittura, le posizioni della capogruppo di un partito di maggioranza in Senato che, pur di mantenere la coerenza, non ha votato quello che doveva votare. Credo che questa che state attraversando sia veramente una fase complicata. Mi rendo conto che si fa fatica a dire “abbiamo sbagliato”. Quello che vi chiediamo è di fermarvi, di ragionare, di non mischiare tutto e il contrario di tutto pur di dimostrare di voler portare a casa qualcosa e, soprattutto, pur di voler impiegare le ore in quest'Aula per dire che stiamo facendo qualcosa. Probabilmente, sarebbe il caso di fermarsi, di evitare di apporre l'ennesima bandierina ideologica nella discussione in questo Paese e ragionare concretamente su come agire e come intervenire per risolvere i problemi.

Che la riforma Cartabia dovesse entrare in vigore lo sapevamo e certamente non era necessario, come ho detto prima, né urgente un decreto-legge.

Per i rave party si prevede di prevenire e contrastare il fenomeno dei raduni dai quali potrebbe ipoteticamente derivare un pericolo per l'ordine pubblico, per la pubblica incolumità, per la salute pubblica; però, anche qui la domanda di fondo, Presidente, è: ma l'urgenza dove sta?

Terzo punto che ancora non si è capito. Volete riabilitare e dire al Paese che avevano ragione coloro che si sono opposti a una legge dello Stato, non rispettandola e non vaccinandosi; volete dire al Paese che quella minoranza aveva ragione, però, allo stesso tempo, venite in quest'Aula a chiedere l'applauso per quelle infermiere e quei medici che si sono sacrificati in oltre due anni di pandemia. Ora, guardate, se l'indirizzo politico che ispira questa maggioranza, come abbiamo constatato dalla legge di bilancio, è quello dei condoni, delle sanatorie, dell'allentamento degli strumenti di contrasto all'evasione fiscale probabilmente, ma molto probabilmente, Presidente, si capisce il perché di tanta insofferenza e leggerezza verso ogni dovere di solidarietà, anche e soprattutto in ambito sanitario. Ora, noi ci saremmo attesi tanta insofferenza e tanta voglia di trattare con emergenzialità la questione dei rave e di ragazzi che si incontrano per ascoltare musica, ma ci saremmo aspettati tale incisività anche ogni qualvolta delle persone si radunavano a Predappio, andando contro e non rispettando gli enunciati dalla nostra Carta costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Ora è più facile, lo capisco, è molto più facile prendersela appunto con un gruppo di ragazzi, ma evidentemente questo è il tracciato, il solco all'interno del quale voi vi muovete.

Però, guardate, per chiudere con una pagina di storia, mi vengono in mente le grida manzoniane, delle quali appunto Manzoni ci parla ne I Promessi Sposi. Manzoni sottolinea come, a un certo punto, il Governo dell'epoca metta in campo disposizioni dai titoli altisonanti per intervenire appunto come fate oggi sul concetto di percezione, lo fa con un linguaggio contorto e articolato, insomma incomprensibile a gente normale, entrando addirittura nel dettaglio delle sanzioni - cosa che voi fate con i rave - però senza dire, eppure avendone la consapevolezza, che tutte quelle misure, tutte quelle norme erano applicabili, con forza e con brutalità, verso balordi e assassini ma, guarda caso - e mi sto riferendo, Presidente, a quell'epoca storica, sia chiaro - ma inapplicabili ai Bravi dell'epoca perché i Bravi facevano parte, ed erano organici, a un sistema che faceva fatica a colpirli.

Quindi, l'invito che vi facciamo è di ripensarci seriamente, ma soprattutto non ripensarci esclusivamente rispetto a questo decreto, nello specifico; di ripensarci in generale rispetto al percorso sul crinale verso sul quale vi volete porre, anche di un eventuale dialogo nell'interesse del Paese e rispetto ai problemi del Paese, perché se continuerete a voler dare il tema in pasto a un titolo di giornale, o con i toni altisonanti, a prendervela con la povera gente, a penalizzare chi già vive in difficoltà e ad agevolare e incentivare i soliti noti, sappiate che, come Partito Democratico, troverete in noi il muro più forte e l'opposizione più intransigente e per nulla dialogante. E questo affinché sappiate che le persone che non hanno voce, le persone che vivono in difficoltà, le persone che sono state danneggiate da una legge di bilancio molto, molto penalizzante, che ha guardato con interesse a pochi, disfavorendo tanti, troveranno nel Partito Democratico una difesa, una voce, un gruppo di persone che sarà a difesa degli interessi della povera gente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Si sono così conclusi gli interventi svolti ai sensi dell'articolo 44, comma 2, del Regolamento.

(Repliche - A.C. 705​)

PRESIDENTE. La relatrice e il Governo hanno rappresentato alla Presidenza l'intendimento di non intervenire in sede di replica.

(Esame di questioni pregiudiziali - A.C. 705​)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame delle questioni pregiudiziali Gianassi ed altri n. 1, Alfonso Colucci ed altri n. 2, Enrico Costa ed altri n. 3 e Dori ed altri n. 4 (Vedi l'allegato A), presentate a noma dell'articolo 96-bis, comma 3, del Regolamento.

A norma del comma 4 dell'articolo 40 del Regolamento, in caso di più questioni pregiudiziali ha luogo un'unica discussione. In tale discussione, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 40, potrà intervenire, oltre ad uno dei proponenti, purché appartenenti a gruppi diversi, per illustrare ciascuno degli strumenti presentati, per non più di dieci minuti, un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti.

Al termine della discussione si procederà ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 3, quarto periodo, del Regolamento, ad un'unica votazione sulle questioni pregiudiziali presentate.

Il deputato Federico Gianassi ha facoltà di illustrare la sua questione pregiudiziale n. 1.

FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, abbiamo depositato una questione pregiudiziale perché sosteniamo che siano oggettivamente e facilmente rinvenibili vizi di costituzionalità nel decreto che è stato approvato nel Consiglio dei ministri ed è stato poi portato all'attenzione, per la conversione, al Senato della Repubblica e oggi qui, all'esame in Aula.

Il 31 ottobre scorso, nella riunione del Consiglio dei ministri, per l'appunto il Governo ha esercitato il potere di decretazione d'urgenza previsto dall'articolo 77 della Costituzione e ha adottato il decreto-legge n. 162 che, nella versione originaria era così rubricato: Misure urgenti in materia di divieto di concessione di benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2022, – ossia la riforma Cartabia del processo penale - di obblighi vaccinali anti COVID e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali.

A seguito degli emendamenti, devo dire radicali, che il Governo ha presentato in relazione al provvedimento che il Governo stesso aveva approvato in Consiglio dei ministri, la rubrica il titolo del decreto è ulteriormente cambiata e l'ambito del provvedimento si è ulteriormente ampliato, perché oggi è: Misure urgenti in materia di divieto di concessione di benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in termini di applicazione delle disposizioni del decreto legislativo n. 150 del 2022 - cioè la riforma Cartabia del processo penale - e di disposizioni relative a controversie della giustizia sportiva, nonché obblighi di vaccinazione anti COVID, di attuazione del Piano nazionale contro la pandemia influenzale e di prevenzione e contrasto di raduni illegali.

Ora, se è vero che il Governo ha il potere di sostituirsi al Parlamento nell'esercizio del potere legislativo, attraverso la decretazione d'urgenza, è l'articolo 77 della Costituzione che stabilisce entro quale perimetro può legittimamente esercitare tale potere; in particolare, occorre che sussistano, com'è noto, i requisiti di straordinaria necessità ed urgenza.

In merito al perimetro entro il quale il Governo può eccezionalmente sostituirsi al Parlamento e, dunque, anche a quest'Aula, è più volte intervenuta la Corte costituzionale nell'arco di decenni.

In relazione al primo punto, l'esigenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza, ha più volte stabilito che è censurabile il ricorso, da parte del Governo, alla decretazione d'urgenza, se c'è un'evidente mancanza di fatto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza o se c'è un'irragionevolezza o manifesta erroneità o arbitrarietà della loro valutazione da parte del Governo e tali presupposti possono essere valutati anche per gli emendamenti approvati al testo. Se certamente è ragionevole l'intervento - si può discutere del merito - sul tema dell'ostatività, perché c'è un richiamo della Corte costituzionale rivolto al legislatore ad intervenire, non si può altrettanto dire sul nuovo reato, cosiddetto rave party, relativo ai raduni musicali, per i quali oggettivamente non vi era alcuna necessità ed urgenza. Ci possono essere argomentazioni politiche o identitarie che inducono il Governo a intervenire, ma non c'è la necessità e l'urgenza che lo autorizzano ad utilizzare il potere della decretazione d'urgenza sostituendosi al Parlamento. Noi abbiamo contestato nel merito il provvedimento che, malgrado la radicale riscrittura da parte del Governo stesso, continua a essere inaccettabile, anche se è certamente migliorato. Avevamo evidenziato tantissime criticità, il Governo le aveva pubblicamente negate, ma poi è corso ai ripari, con una retromarcia significativa sotto molti aspetti, almeno 7-8 punti di significativa retromarcia. Però, resta un nuovo reato, più carcere e più intercettazioni, al punto tale che, più che un decreto anti-rave, sembra un decreto anti-Nordio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), il quale, nelle Commissioni parlamentari, aveva dichiarato che la posizione del Governo era quella di ridurre l'ambito dell'espansione penale, di ridurre l'uso del carcere, favorendo le misure alternative all'esecuzione della pena e, soprattutto, di ridurre le intercettazioni.

Ma, al di là delle questioni di merito, poniamo una questione pregiudiziale, che riguarda la costituzionalità nell'esercizio del potere. Non c'è oggettivamente necessità e urgenza nell'intervenire, anche perché, evidentemente, la norma previgente, che aveva rappresentato la base per l'intervento a Modena della prefettura e delle forze pubbliche, aveva dimostrato di essere idonea a fronteggiare quelle situazioni di difficoltà. Anche per la parte relativa alle norme sul COVID, c'è evidentemente una scelta politica, anche qui identitaria, di mostrare benevolenza verso quei pochi cittadini che, durante la recrudescenza della pandemia, non hanno rispettato le regole stabilite dal nostro ordinamento. Pur tuttavia, anche su questo, contestiamo ovviamente nel merito quella scelta, perché riteniamo che la benevolenza vada mostrata verso quei milioni di italiani che si sono sottoposti con equilibrio e con disciplina al ciclo vaccinale, per aiutare se stessi, ma prima ancora, da veri patrioti - mi verrebbe da dire -, tutti gli italiani fragili, che erano in situazioni di difficoltà e non potevano correre il rischio di subire un contagio. Ma al di là del merito, anche qui non ricorrono oggettive esigenze di necessità e urgenza. Oltre a questo aspetto relativo ai requisiti di necessità e urgenza, la Corte costituzionale - più volte altri colleghi lo hanno detto anche nel dibattito precedentemente - è intervenuta per dire che il potere del Governo può essere esercitato solo quando il decreto tocca materie omogenee. Non è legittimo costituzionalmente l'esercizio del potere di decretazione d'urgenza, se il decreto tocca più e diverse materie, che non sono tra loro inscindibilmente o funzionalmente collegate. Allora, vorrei rileggere con voi il titolo che il Governo ha assegnato a questo provvedimento, per sapere, da almeno un parlamentare, in quest'Aula, se davvero pensa che ci sia omogeneità nella disciplina adottata dal Governo. Il decreto attiene alla previsione di misure urgenti in materia di: 1) divieto di concessione di benefici penitenziari nei confronti dei detenuti, ovvero le norme sull'ostatività dei reati; 2) nonché in termini di applicazione delle disposizioni della riforma Cartabia; 3) disposizioni relative a controversie della giustizia sportiva, introdotte con un emendamento del Governo al Senato; 4) obblighi di vaccinazione anti-COVID; 5) attuazione del Piano nazionale contro la pandemia influenzale; 6) prevenzione e contrasto sui raduni illegali. Credo che nessuno di noi possa in quest'Aula intervenire per sostenere che c'è un'omogeneità tra queste materie, almeno che non si voglia intervenire per coprirsi di ridicolo, perché credo sia davvero impossibile sostenere che ci sia un legame di omogeneità tra materie così diverse, a meno che qualcuno non pensasse che un mafioso che ottiene i benefici penitenziari, organizzi con un no-vax un rave party, nel quale si inizia a giocare una partita di calcio, che sconfina in una conflittualità che è poi rimessa alla giustizia sportiva. (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). È vero che il Parlamento è stato spesso fantasioso, anche se la mia partecipazione ai lavori di quest'Aula è molto recente, ma non dimentico, da attento osservatore esterno, che in qualche occasione il Parlamento ha mostrato una grande capacità di immaginazione, ma non al punto tale da poter dire che questo decreto copra materie omogenee.

È, quindi, del tutto evidente che c'è un'incostituzionalità, derivante dal fatto che questo decreto non solo non ha rispettato uno dei parametri che la Corte costituzionale nel tempo ha stabilito essere il perimetro entro il quale il Governo può muoversi, ma non ha rispettato alcuno dei parametri che la Corte costituzionale, negli anni, ha stabilito essere quelli che consentono al Governo di potersi muovere.

Peraltro, avevamo presentato anche alcuni emendamenti al testo in Commissione e il presidente della Commissione, l'onorevole Maschio, che siede tra i banchi di Fratelli d'Italia e che stimo per la serietà con cui sta conducendo i lavori della Commissione, ha dichiarato alcuni nostri emendamenti, rispetto ai quali ero il primo firmatario, non ammissibili. Mi permetto di leggere le motivazioni: c'è la necessità di rispettare rigorosamente i criteri e si impone tutto ciò a seguito delle sentenze della Corte costituzionale e dei richiami del Presidente della Repubblica; ricordo in particolare - dice il presidente della Commissione - che la Corte costituzionale ha ribadito che l'inserimento di norme eterogenee rispetto all'oggetto e alla finalità del decreto determina la violazione della Costituzione, all'articolo 77. Ecco, per questi motivi, i nostri emendamenti non sono stati accolti: condivido le argomentazioni del presidente Maschio e le ripropongo qui. Peraltro, ho detto scherzosamente - ma non troppo - al presidente Maschio che, se avesse avuto questo ruolo al Senato, probabilmente avrebbe dichiarato inammissibili anche gli emendamenti del Governo, che hanno allargato a dismisura l'oggetto del decreto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Sulle ragioni di merito, molto abbiamo detto e molto continueremo a dire, se ci sarà ancora da discutere e la Camera non vorrà approvare la questione pregiudiziale, ma è del tutto evidente la violazione dei principi che la Corte costituzionale ha individuato, come i principi che devono guidare l'azione del Governo nell'utilizzo di un potere delicato, per l'appunto eccezionale, che è quello di sostituirsi al Parlamento eletto dai cittadini, per adottare atti aventi forza di legge. Per queste ragioni chiediamo all'Aula un sussulto di orgoglio e dignità e di votare a favore della questione pregiudiziale e di non procedere all'esame del provvedimento, finalizzato alla conversione del decreto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. La deputata Valentina D'Orso ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Alfonso Colucci ed altri n. 2, di cui è cofirmataria.

VALENTINA D'ORSO (M5S). Grazie, Presidente. Premetto che, in questa sede, non darò un giudizio politico sul contenuto di questo provvedimento, che ci vede fortemente contrari. Per il giudizio politico, rinvio a tutte le argomentazioni, che sono solide ed esaustive e che sono state offerte stamattina già dai colleghi del MoVimento 5 Stelle che mi hanno preceduta.

In questa sede, mi limiterò ad evidenziare quei profili che, a nostro avviso, rendono questo provvedimento assolutamente incompatibile con le previsioni costituzionali, in tema di decretazione d'urgenza, in primis, ma anche con altre disposizioni della nostra Carta fondamentale, che andremo a richiamare.

In primo luogo, rileviamo che questo decreto-legge in conversione difettava in origine, ma difetta tuttora, del requisito dell'omogeneità dei contenuti, come già anche il collega Gianassi ha fatto presente. Ma c'è di più: nel passaggio in Senato l'eterogeneità del contenuto del provvedimento è stata ulteriormente aggravata; sono stati introdotti ben quindici articoli, facendo diventare questo provvedimento praticamente un provvedimento omnibus. Ciascuno poteva, praticamente, anzi il Governo poteva, perché l'autore è il Governo, saltar su questo carro e infilare dentro quello che più piaceva.

Sono state introdotte numerose norme che vanno a toccare, per esempio, la disciplina transitoria di vari istituti processuali della riforma Cartabia, relativa al sistema penale, ma è stato introdotto anche, figuratevi, un articolo, il 5-quaterdecies, che proroga le disposizioni processuali per i provvedimenti relativi all'ammissione ai campionati professionistici e dilettantistici. Credo che solo questo esempio, in qualche modo, renda palese come il contenuto del provvedimento sia disomogeneo. Ci sono materie che spaziano dall'introduzione di una nuova fattispecie di reato, su cui tra poco mi soffermerò - la cosiddetta norma anti-rave -, alla proroga dell'entrata in vigore di disposizioni normative e transitorie, sia in tema di giustizia, sia in tema di sport – l'ho appena citata -, agli obblighi di vaccinazione, una varietà e una congerie di norme, che avrebbe sicuramente reclamato un approfondimento disgiunto. Non hanno nulla in comune queste norme tra loro, nessuna connessione di fatto, nessuna connessione di diritto e neppure teleologica; le finalità che ispirano ogni singola parte di questo decreto-legge sono diverse tra loro e non rispondono ad una visione d'insieme.

Ora, il principio dell'omogeneità, che è di rango costituzionale, non può intendersi assolto soltanto guardando al titolo del provvedimento. E allora noi come agiamo? Il Governo come ha agito? È andato a cambiare il titolo per giustificare in qualche modo l'introduzione di norme che nulla c'entravano con il decreto-legge emanato. Questo, sicuramente, non è un modo di procedere. Non possiamo assolutamente non censurare questo metodo, questo allargamento con artifizi, oseremmo dire, del contenuto di un provvedimento d'urgenza.

Il problema vero, però, è che le norme che sono all'interno di questo provvedimento, molte di queste norme, difettano proprio dei profili che l'articolo 77 della Costituzione ci impone, quindi straordinarietà, necessità ed urgenza. I presupposti legittimanti, richiamati appunto dall'articolo 77, sono tre: casi straordinari, da individuarsi nel sopravvenire di circostanze eccezionali e imprevedibili, necessità ed urgenza, per l'appunto, da intendersi come impossibilità di provvedere con strumenti legislativi ordinari che producano immediatamente quegli effetti che sono da perseguire. Queste caratteristiche devono essere in tutte le parti del decreto-legge, così come ci ricorda la Corte costituzionale, da ultimo, con le sentenze nn. 171 del 2007 e 128 del 2008, solo per citarne due. Palese è il difetto di questi presupposti con riferimento all'articolo 5, che ha introdotto nel codice penale il delitto di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico o la salute pubblica (articolo 633-bis del codice penale). Occorre rammentare che l'episodio - del tutto isolato, tra l'altro - del rave party del modenese, che lo scorso mese di ottobre avrebbe dato occasione e giustificazione all'intervento del Governo, è stato evitato prima ancora di consumarsi grazie alle norme già vigenti all'epoca, che hanno consentito di dissuadere gli organizzatori e disperdere in modo del tutto pacifico i partecipanti, di modo che, nel momento in cui il Governo emanava il decreto-legge, non vi era alcun rave party in corso, neanche in fase di preparazione.

Come MoVimento 5 Stelle, poi, ravvisiamo ulteriori profili di incompatibilità con alcuni princìpi costituzionali. Mi riferisco alle disposizioni degli articoli da 1 a 4, anzi, ancor meglio, all'impianto normativo che queste disposizioni vanno a realizzare. Noi riteniamo che questo impianto difetti di ragionevolezza perché produce effetti distorsivi rispetto all'impianto dell'ergastolo ostativo sinora vigente. Risultano in contrasto proprio con i princìpi che la stessa Corte costituzionale ci ha indicato nell'ordinanza n. 97 del 2021, con cui ha sollecitato il legislatore a provvedere. Sono stati infatti introdotti meccanismi normativi che sortiscono l'effetto di riservare ai condannati che collaborano con la giustizia un trattamento che, per taluni profili, è peggiore rispetto a quello previsto per i condannati che decidono di non collaborare, facendo così venir meno in modo significativo la motivazione a collaborare. Queste disposizioni noi riteniamo che disincentiveranno fortemente la collaborazione con la giustizia da parte dei condannati per reati ostativi, andando così a minare uno degli strumenti che si è rivelato più efficace nel contrasto alle mafie e alle forme di criminalità organizzata in generale. Ci ha fatto un esempio il procuratore nazionale antimafia nel corso dell'audizione resa il 23 novembre scorso dinanzi alla Commissione giustizia del Senato, quando ha evidenziato la necessità che l'obbligo di dichiarare il patrimonio occulto, detenuto o controllato dal condannato, venisse imposto anche ai condannati che decidono di non collaborare, quando richiedono la concessione dei benefici penitenziari; questo proprio al fine di evitare di riservare ai non collaboranti un trattamento più favorevole rispetto ai collaboratori di giustizia.

Ma ancora, come abbiamo richiamato più volte anche oggi, l'impianto degli articoli prevede adesso che, per la concessione dei benefici penitenziari ai condannati che si rifiutano di collaborare, sia sufficiente la revisione critica della condotta criminosa, quindi uno sguardo solo al passato, e non sia necessario, invece, il requisito dell'avvenuto ravvedimento. Questa è un'altra disparità di trattamento evidente, che si viene a determinare a tutto vantaggio dei condannati non collaboranti, perché ricordo ancora una volta che, invece, ai collaboratori di giustizia è richiesto il pieno ravvedimento.

Infine, l'ordinanza n. 97 dell'aprile 2021 invitava il legislatore anche a prevedere, nella riforma legislativa, l'emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, ad integrazione della valutazione del sicuro ravvedimento; ho citato alcune parti di quell'ordinanza. Queste due indicazioni sono state del tutto disattese nel testo che abbiamo all'esame.

Ci preme, infine, come MoVimento 5 Stelle, sottolineare la gravità della disposizione che va a cancellare i reati contro la pubblica amministrazione dall'elenco di quelli ostativi. Parliamo di reati quali la corruzione propria, semplice o aggravata, la corruzione in atti giudiziari, l'indebita induzione a dare o promettere utilità, la corruzione di incaricato di pubblico servizio, la corruzione attiva, l'istigazione alla corruzione, la corruzione e l'istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi e funzionari dell'Unione europea e degli Stati esteri. Ora, la gravità del disvalore delle condotte che ho appena elencato discende direttamente dall'articolo 54, secondo comma, della Costituzione, che ne costituisce il fondamento giuridico. Ve lo rammento, l'articolo 54, secondo comma, della Costituzione, perché forse abbiamo bisogno un po' di richiamarlo: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.” La disposizione cosa fa? Introduce un principio di etica pubblica, richiede l'onorabilità a coloro ai quali sono affidate funzioni pubbliche. Il legislatore è chiamato, quindi, a darvi corpo e sostanza con precetti normativi conseguenti. Noi pensiamo che la cancellazione dei reati contro la pubblica amministrazione dal regime ostativo violi questo principio costituzionale, così come stride sicuramente con l'articolo 97 della Costituzione, che è posto a presidio del buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa.

Per tutte queste ragioni, per i rischi e le conseguenze che questo provvedimento produrrà, riterremmo più opportuno procedere ad un supplemento di riflessione, ad un ulteriore e separato approfondimento per ciascuna delle materie trattate da questo provvedimento. Ribadiamo, inoltre, che non può essere questo lo strumento normativo ed il metodo per affrontare con serietà istituti tanto delicati. Voteremo, quindi, a favore della nostra pregiudiziale, la n. 2, da noi depositata (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Il deputato Enrico Costa ha facoltà di illustrare la sua questione pregiudiziale n. 3.

ENRICO COSTA (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Io vorrei aprire una parentesi sulla posizione del MoVimento 5 Stelle, che ho appena ascoltato perché, devo dire, sono un po' disorientato. Sul tema dell'ergastolo ostativo il Governo ha ripreso testualmente - papale papale - il testo approvato da questa Camera nella scorsa legislatura. Io non lo votai; quindi, ovviamente, criticavo allora come critico ora. Ho visto che alcuni esponenti del MoVimento 5 Stelle, anche molto autorevoli, hanno in sostanza trasferito l'idea che questo provvedimento fosse un regalo alla mafia. Leggo la dichiarazione di voto dell'esponente del MoVimento 5 Stelle nella scorsa legislatura: non so se questa sia la legge migliore che si possa fare, sono sicuro che abbiamo fatto tutto il possibile perché lo sia, mettendo anima e cuore e tutti noi stessi nella sua creazione, nella sua discussione e nella sua celere trattazione, proprio per rispettare la scadenza che la Corte ci ha imposto. Ringrazio il lavoro di tutti. Se un giorno mi chiedessero se è valsa la pena di essere qui oggi, anche solo per questo lavoro, anche solo per questo voto, nell'arco di 10 anni di esperienza parlamentare, io senz'altro potrei rispondere di sì.

Ora, ovviamente si può cambiare idea, si può cambiare la pattuglia parlamentare, ma mi pare piuttosto strano anche andare a richiedere l'unità delle opposizioni, laddove una parte dell'opposizione non sappiamo dove andarla a prendere. Io trovo che questo provvedimento sull'ergastolo ostativo avesse una pecca all'epoca e abbia una pecca ancora oggi.

La pecca è quella di rischiare di crollare, di naufragare di fronte alla Corte costituzionale. Infatti, la Corte costituzionale ha evidenziato alcune criticità nella nostra normativa e l'ha fatto seguendo un principio di leale collaborazione. Non ha chiesto di far crollare l'impianto normativo, creando, in tal caso, davvero pesanti conseguenze, ma ha chiesto al Parlamento di intervenire e di seguire determinati principi. Non ha detto di dover scrivere questo o quest'altro, poiché c'è l'autonomia da parte del legislatore, ma ha detto che è importante andare incontro ai principi costituzionali. Penso che questo provvedimento non lo abbia fatto. Al Senato, un miglioramento c'è stato perché sono stati espunti dalla legge i reati contro la pubblica amministrazione. Spero che questa abitudine, che è stata applicata pesantemente nella “legge Spazzacorrotti”, di inserire nel binario di mafia e terrorismo anche un'altra serie di reati che niente hanno a che vedere con quel binario, finalmente sia cessata. Abbiamo presentato molti emendamenti in questo senso e alcune risoluzioni parlamentari. Ci sono persone che sono finite in carcere per quel provvedimento e, probabilmente, secondo qualcuno, il provvedimento è stato costruito proprio per raggiungere quell'obiettivo.

Quanto al decreto complessivamente inteso - lo ha evidenziato anche il collega Gianassi - questo è un fritto misto in cui ogni Ministero e ogni ufficio legislativo ha cercato di introdurre ed inserire le urgenze dei propri Ministeri. Abbiamo norme sul CONI, norme sul COVID, norme sull'ergastolo ostativo, sui rave e sulla “Cartabia”. È chiaro che non c'è omogeneità, c'è un impianto di decreto che è semplicemente un treno al quale è stata agganciata una serie di carrozze. La cosa che più stride e che, a mio giudizio, ha veramente un impatto ordinamentale pesante è l'introduzione di una norma penale per decreto. La norma penale è quanto di più alternativo ci possa essere rispetto alla necessità ed urgenza del decreto-legge. La norma penale è un qualcosa che deve essere inserito nell'ordinamento con la delicatezza di un chirurgo, non con l'accetta e con la norma manifesto con cui si è introdotto. Io capisco l'esigenza, capisco anche l'esigenza politica di dare un segnale di fronte a una situazione difficile ma stiamo attenti, di fronte ad ogni emergenza, ad intervenire con la norma penale. Io ricordo, fin dai tempi dei writer, come, di fronte a tutte le emergenze, ci sia chi propone la soluzione penalistica e come, normalmente, chi presenti una proposta di legge nell'immediatezza dell'emergenza rediga una norma che non sta in piedi, in cui trasferisce la propria idea, trasferisce la propria sensibilità. Però, scrivere una norma, intervenire sul codice è qualcosa di assolutamente diverso, bisogna saperlo fare, bisogna conoscere le conseguenze che derivano dall'introdurre nell'ordinamento qualcosa di diverso. Capire qual è l'interesse protetto e percepire se quell'interesse è protetto anche da altre norme è un lavoro molto difficile. Lo dico ai parlamentari di prima legislatura: non fatevi indurre in tentazione né dalla pena né dalla norma. È facile dire: c'è un comportamento che non ci piace, lo sanzioniamo e prevediamo pene altissime. A parte che non ho mai visto nessuno cambiare determinate posizioni sulla base di norme penali, si rischia di andare a creare il sistema opposto rispetto a quello che avete scritto anche nel vostro programma.

Nella nostra pregiudiziale di costituzionalità non abbiamo toccato il tema della legge Cartabia. Noi riteniamo che prevedere lo spostamento in avanti dell'effettività di una norma sia una valutazione politica che non condividiamo ma riteniamo anche che non sia incostituzionale. Però, nella legge Cartabia c'è una norma specifica che, a nostro giudizio, è incostituzionale ed è quella che prevede che per venti giorni si possano tenere in carcere le persone senza che ci sia la condizione di procedibilità. Mi spiego meglio. Determinati reati sono stati derubricati a reati a querela, mentre prima erano procedibili d'ufficio, e ci sono detenuti in carcere perché quel reato era procedibile d'ufficio. Se oggi emerge che non c'è la condizione di procedibilità, la legge dice che devono rimanere in carcere per venti giorni. È una scelta politica. Tuttavia, scrivere che in quei venti giorni si sospendono i termini massimi di custodia cautelare determina che, laddove il legislatore pensi che un reato abbia un più ampio disvalore sociale, e preveda la perseguibilità d'ufficio, il detenuto esce mentre, laddove il reato è procedibile a querela, rimane in carcere per venti giorni. Questa previsione, secondo me, certamente verrà dichiarata incostituzionale, se mai arriverà di fronte alla Corte costituzionale.

Sul tema dei rave la norma è priva completamente dei requisiti di tassatività e anche di proporzionalità della pena, alla luce di come è stata scritta. C'è una confusione normativa enorme. Sulla base del testo originario, tutti rimanevano impigliati nella rete; con il testo che c'è oggi, nessuno rimarrà più impigliato nella rete e nessuno verrà più condannato. Però, attenzione: le indagini si apriranno, le intercettazioni scatteranno perché la pena è fino a sei anni, e la custodia cautelare ci sarà. Ebbene, è esattamente quanto il Ministro Nordio dice di voler scongiurare in relazione all'abuso d'ufficio: tante inchieste, tante indagini, zero condanne. Sono contento e sono convinto che esultino alcuni nella maggioranza, che ci sia una frangia giustizialista in questa maggioranza alla quale è stato lanciato quest'osso perché possa impegnarsi per qualche tempo, sperando che il ministro Nordio si occupi di cose serie e si occupi delle cose che ha dichiarato e che noi condividiamo.

Queste sono le ragioni che ci portano a votare a favore delle pregiudiziali perché secondo noi questo provvedimento è l'insieme di una serie di questioni che non solo non sono condivisibili ma hanno seri problemi di costituzionalità (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe).

PRESIDENTE. Il deputato Devis Dori ha facoltà di illustrare la sua questione pregiudiziale n. 4.

DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. Innanzitutto, Presidente, mi permetta di fare gli auguri alla nostra Costituzione che oggi compie gli anni. Esattamente 75 anni fa è stata promulgata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale (Applausi) - era il 27 dicembre 1947 - per poi entrare in vigore il 1° gennaio 1948. È incredibile che proprio oggi, mentre dovremmo festeggiare la Costituzione, ci troviamo un testo in Aula che presenta oggettivi e palesi motivi di incostituzionalità che impedirebbero la prosecuzione del suo esame. Anzitutto, riteniamo che non sussistano i presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall'articolo 77 della Costituzione. È a tutti noto che ogni Governo interpreta in modo estensivo tali presupposti, usando il decreto-legge, di fatto, come un'iniziativa legislativa rinforzata per i disegni di legge ritenuti prioritari. Tuttavia, la Corte costituzionale ha più volte censurato il ricorso allo strumento del decreto-legge non solo in presenza di un'evidente mancanza di fatto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza ma anche in caso di manifesta irragionevolezza, erroneità o arbitrarietà della loro valutazione da parte del Governo quando decide di ricorrere al decreto-legge, anche qualora venisse poi convertito, considerato che la legge di conversione non vale a sanare il vizio originario del decreto-legge. Sotto questo profilo, la sussistenza di tali presupposti è certamente riscontrabile in materia di concessione dei benefici penitenziari per i cosiddetti reati ostativi, alla luce del termine dell'8 novembre assegnato dalla Corte costituzionale al legislatore per provvedere.

Dubbi, invece, che diventano certezze quando si parla delle disposizioni in materia di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, proprio perché l'assenza di queste disposizioni, ad oggi, non ha mai impedito la positiva risoluzione di quegli episodi da cui il decreto-legge ha preso spunto e a cui, con esso, si intenderebbe rispondere.

Ora spiegateci qual è l'urgenza di intervenire sui rave party, quale allarme sociale particolare destano. Vi serviva uno spot? Questa era l'urgenza politica? Mostrare i muscoli nella prima occasione utile, nel primo vero provvedimento del Governo?

Coincidenza ha voluto che, proprio mentre si teneva il Consiglio dei ministri, si svolgesse a Modena un rave party e, quindi, è stata colta l'occasione della concomitanza di quel rave con il Consiglio dei ministri. Vien da chiedersi a questo punto cosa sarebbe successo se quel Consiglio dei ministri si fosse svolto il 30 ottobre scorso, mentre si stava svolgendo il raduno di Predappio (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra). Avremmo avuto la stessa attenzione del rave party? Non lo possiamo sapere. Forse, allora, l'unico colpevole è il calendario, in base a ciò che succede mentre si riunisce il Consiglio dei ministri, e voi, per coerenza, con lo spirito di Halloween, avete deciso di inserire nel decreto questo reato sui rave party che, giuridicamente parlando, è effettivamente spaventoso. E siete voi i primi ad esservene accorti, considerato che siete corsi ai ripari e avete riscritto quasi totalmente la norma, spostandola anche da una parte all'altra del codice penale, cose da far rizzare i capelli anche alle zucche.

A questo punto vorremmo darvi almeno un consiglio, visto il precedente di Halloween: controllate il calendario, fate in modo di evitare nel prossimo febbraio di fissare un Consiglio dei ministri nei giorni di Carnevale, altrimenti non sappiamo cosa potrebbe uscirne.

Questo primo vizio formale - quello dell'assenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza - si correla ad un altro, forse ancor più manifesto, circa l'evidente eterogeneità delle materie oggetto del decreto-legge, a causa della presenza di disposizioni di contenuto tra loro diverso e totalmente estraneo, nemmeno accomunate da una originaria finalità comune. Profilo di incostituzionalità che non può certo essere considerato risolto dalla rispondenza del contenuto del decreto-legge al suo titolo, il quale, piuttosto, è, al contrario, indice della sua natura omnibus. Manca una ratio comune che potrebbe consentire un domani alla Corte costituzionale di giustificare con riferimenti oggettivi la non incostituzionalità del decreto, mantenendosi nell'ambito di una valutazione giuridica. E' vero che la Corte costituzionale ha ammesso che l'espressione “casi straordinari di necessità e urgenza” si presti inevitabilmente ad un largo margine di elasticità, perché può essere dovuta ad una pluralità di situazioni, eventi naturali, comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di poteri pubblici, in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri valevoli per ogni ipotesi; però è altrettanto vero che la Corte costituzionale ormai considera il requisito dell'omogeneità esplicitazione della ratio implicita del secondo comma dell'articolo 77, trasformando così l'eterogeneità da indice, tra gli altri, della evidente mancanza di presupposti costituzionali di straordinaria necessità e urgenza, in vizio, autonomamente sindacabile in relazione sia al testo originario del decreto-legge sia a quello risultante dall'attività legislativa di conversione.

Tale requisito dell'omogeneità va verificato in modo tanto più esigente quando nel caso in specie si sia in presenza di disposizioni non solo assolutamente diverse ma anche nemmeno accomunate da una loro intrinseca coerenza dal punto di vista, non solo oggettivo e materiale, ma anche funzionale e finalistico, intendendo così il decreto-legge come unità funzionale.

In altri termini i decreti-legge possono avere ab origine un contenuto plurimo ed eterogeneo afferente a materie diverse ma solo quando accomunati da un unico scopo o ispirato da una medesima ratio dominante, come nel caso degli annuali decreti cosiddetti Milleproroghe, o dei numerosi decreti multisettoriali emanati per contrastare l'emergenza pandemica.

Che tali presupposti ricorrano nel decreto-legge in esame c'è da dubitarne, pertanto non è da escludere che esso possa essere oggetto di un nuovo intervento della Corte costituzionale, teso a limitare l'abuso della decretazione d'urgenza.

Altro elemento di incostituzionalità dell'articolo 5 del provvedimento in esame è relativo alla proporzione delle scelte sanzionatorie. Nonostante le modifiche apportate durante la conversione al Senato, l'articolo 5 continua a prevedere per il reato di raduno illegale la reclusione da tre a sei anni. Tale pena risulta sproporzionata al trattamento sanzionatorio di condotte simili o identiche ma, al di là del giudizio di proporzione, fondato sulla comparazione di fatti delittuosi simili, la Corte costituzionale, in particolare, nella sentenza n. 236 del 2016, ha affermato che, laddove la proporzione tra sanzione e offesa difetti manifestamente, perché alla carica offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa il legislatore abbia fatto corrispondere conseguenze punitive di entità spropositata, non ne potrà che discendere una compromissione del processo rieducativo. Quindi, al di là del diverso trattamento sanzionatorio di condotte simili o identiche, quello che rileva per la Corte è l'irragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio alla luce del principio della funzione rieducativa della pena e, in generale, dell'esigenza di proporzionalità del sacrificio dei diritti fondamentali, cagionata dalla pena rispetto all'importanza del fine perseguito attraverso l'incriminazione, alla luce dei principi costituzionali, di cui agli articoli 3 e 27 della Costituzione.

Per concludere, il menu di Capodanno che avete predisposto con questo decreto è particolarmente ricco di motivi di incostituzionalità e, alla luce di quanto esposto come Alleanza Verdi e Sinistra, voteremo a favore delle questioni pregiudiziali al fine di non procedere all'esame del decreto Halloween (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zaratti sull'ordine dei lavori. Ne ha facoltà.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). Grazie, Presidente. E' ormai diffusa l'abitudine che i deputati vadano a parlare con i rappresentanti del Governo durante il dibattito. Questo non è assolutamente accettabile, non è la prima volta, sta diventando un'abitudine, una costante e una prassi di quest'Aula. La prego di intervenire a norma di Regolamento (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zaratti. Ha chiesto di parlare la deputata Valeria Sudano. Ne ha facoltà per cinque minuti.

VALERIA SUDANO (LEGA). Grazie, Presidente. In assenza di diretti conflitti con norme costituzionali la valutazione che dobbiamo fare attiene alla sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza del decreto-legge che stiamo esaminando. Essenzialmente è su questo - e non su altro - che siamo chiamati ad esprimerci.

Mi piace ricordare in questa sede che, nella scorsa legislatura, nei Governi “Conte 1”, “Conte 2”, Governo Draghi, e quindi con diverse maggioranze, rappresentate da quasi tutti i gruppi parlamentari, abbiamo proceduto quasi esclusivamente con i decreti-legge e, pertanto, capisco il legittimo utilizzo da parte delle opposizioni dello strumento della questione pregiudiziale. Ebbene, l'urgenza e la necessità dei primi quattro articoli sulla delicatissima materia dell'ergastolo ostativo sono state indirettamente confermate, ove ce ne fosse stato bisogno, dalla stessa Corte costituzionale con l'ordinanza n. 227 dell'8 novembre scorso. Proprio quella scadenza era stata individuata dalla Consulta perché fosse il legislatore a intervenire sul complesso bilanciamento di interessi tra la funzione rieducativa della pena e le esigenze di tutela della sicurezza collettiva e della prevenzione di gravi reati. Il decreto-legge ha consentito quindi di rispettare un termine, evitando che venisse travolto l'impianto dell'ordinamento penitenziario; una scelta che ha consentito al Parlamento di non disperdere il lavoro svolto sul tema nella precedente legislatura.

Una notazione meritano le argomentazioni contenute nella seconda pregiudiziale, quella a firma del Movimento 5 Stelle, circa una pretesa irragionevolezza delle disposizioni.

Come ho avuto modo poco prima di ricordare, l'intervento contenuto nel decreto-legge risponde ad un puntuale richiamo della Corte costituzionale, successivo ad una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha condannato il nostro Paese circa la portata e l'interesse generale sotteso a misure che, derogando alla disciplina generale, finiscono con il precludere ai condannati la possibilità, anche remota, di recuperare la libertà personale di dimostrare l'avvenuta emenda. Va da sé nel quadro delle previsioni dell'articolo 27 della Costituzione che una tale deroga debba trovare solidissima e concreta giustificazione nell'esigenza di tutelare la società rispetto alla reiterazione di condotte particolarmente dannose, non suscettibili di una prevenzione mediante misure diverse, meno impattanti, sulla condizione personale del reo.

In tal senso, in Senato, hanno ritenuto di emendare il testo e di non assimilare più il trattamento riservato ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione a quello applicato a fatti di terrorismo e di criminalità organizzata.

E non è certo in nome di un'improbabile indulgenza o di una sottovalutazione del fenomeno corruttivo, ma è riconoscendo l'oggettiva diversità delle condotte, l'altissimo pericolo di reiterazione delle stesse, connesso ai legami nell'ambito di organizzazioni terroristiche o di stampo mafioso, la natura violenta dei crimini e del contesto in cui si realizzano che impone di differenziare l'approccio sanzionatorio. E sempre sul tema della generale ragionevolezza, in relazione a quanto dedotto nelle questioni pregiudiziali n. 1, n. 3 e n. 4, un'osservazione si impone sull'articolo 5. È palese, infatti, come le condotte relative ai cosiddetti rave party non si riducano alla mera invasione di terreni o edifici, come nel caso di occupazioni abusive, ma si concretino nell'organizzazione di eventi su larga scala, con evidenti rischi per l'incolumità e la salute pubblica, in molti casi accompagnati dalla commissione di una molteplicità di altri reati.

Sul punto, lo dico ai colleghi dell'opposizione, nel pieno rispetto della diversità di opinioni, una scelta di chiarezza su questo fenomeno era necessaria, considerato che proprio le svariate norme, di cui tutti avete parlato, esistenti nel nostro ordinamento, non sono state sufficienti a fermare tali condotte.

E ancora, sulla riforma Cartabia non potevamo ignorare le molte criticità che ci sono state rappresentate da diversi attori del sistema giustizia. Proprio perché siamo convinti dell'assoluta rilevanza della riforma, non possiamo non porci il tema della sua piena e puntuale implementazione in tempi brevi, ma senza ignorare le concrete esigenze di funzionamento della delicata macchina della giustizia penale. Necessità ed urgenza, dunque, di intervenire per evitare incertezze nell'esecuzione penale, per garantire l'incolumità dei cittadini e prevenire la commissione dei reati, per assicurare una razionale implementazione delle norme che garantiscano un processo penale più rapido ed equo, anche nella considerazione della particolare contingenza di avvio della legislatura in concomitanza con la fine dell'anno e le relative scadenze. È proprio riconoscendo queste ragioni di necessità e urgenza che, come gruppo della Lega-Salvini Premier, voteremo contro tutte le questioni pregiudiziali di costituzionalità al nostro esame (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Vinci. Ne ha facoltà.

GIANLUCA VINCI (FDI). Grazie, Presidente. Sarò molto breve perché ho letto con attenzione tutte e quattro le questioni pregiudiziali che, di fatto, si ripetono in buona parte per quanto riguarda, soprattutto, l'asserito problema di non omogeneità e di eterogeneità del provvedimento. In realtà, ricordo a chi era in quest'Aula nella scorsa legislatura e a chi ci ha seguito, e oggi siede in quest'Aula, che abbiamo votato, da questa parte, contro, ma, dall'altra parte, coloro che oggi presentano le questioni pregiudiziali di costituzionalità hanno votato a favore di provvedimenti riguardanti il COVID che hanno scarcerato, ad esempio, 223 boss (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), mandandoli ai domiciliari nell'anno 2020, con la scusa della pandemia. Ricordo a chi se lo fosse dimenticato che, negli anni 2020 e 2021, sono usciti diversi articoli di stampa. Tutti noi ci ricordiamo di rave party illegali, considerati bombe pandemiche e, pertanto, vi era la richiesta di indagare sui soggetti che li organizzavano, proprio perché, lo ripeto, in pandemia, costituivano una bomba pandemica.

Allora, oggi si dice, a proposito di un provvedimento che riguarda la fine dell'obbligo vaccinale, ma anche il contrasto ai rave party illegali, quindi a quelle che erano bombe pandemiche, che cerca di fare chiarezza anche sulla scarcerazione, fatta dalla vecchia maggioranza, di 223 boss proprio con la scusa del COVID, che non c'è omogeneità, ma, in realtà, questo è l'unico provvedimento realmente omogeneo che cerca di mettere, finalmente, la parola “fine” a tanti piccoli provvedimenti, adottati sempre con la scusa della pandemia o non risolti, come la questione dei rave sempre in periodo pandemico. Quindi, per questo motivo riteniamo le questioni pregiudiziali palesemente infondate (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pittalis. Ne ha facoltà.

PIETRO PITTALIS (FI-PPE). Signor Presidente, colleghe e colleghi, le questioni pregiudiziali poste dalle opposizioni hanno, a mio avviso, un indubbio pregio, quello di avere come d'incanto riscoperto l'esistenza dell'articolo 77 della Costituzione.

I colleghi delle opposizioni hanno riscoperto che, per i decreti-legge, sono previsti i requisiti di necessità e di urgenza. E lo dico, soprattutto, con lo sguardo rivolto a quello che è accaduto nella scorsa legislatura, soprattutto durante i Governi del Presidente Giuseppe Conte, che si sono distinti per un uso sistematico della decretazione d'urgenza.

Anzi, il Presidente Conte andava avanti a suon di DPCM (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE, Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier). Ricorderete che, non avendo forza di legge, non passavano neppure per le Aule parlamentari: dunque il Presidente Conte, con il suo movimento, non si poneva neppure il problema di chiedere la fiducia e il Parlamento apprendeva l'esistenza delle sue decisioni perché venivano solo pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. Questa è la verità (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE, Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier)!

E allora, prima di puntare il dito, è facile vedere la pagliuzza nell'occhio altrui e non vedere la trave nel proprio, colleghi 5 Stelle.

Venendo al merito delle questioni sulla presunta incostituzionalità sollevate, questa mattina, nel corso della discussione generale, il collega Tommaso Calderone, con un intervento davvero di grande pregio, non solo politico, ma di valenza giuridica, ha ben messo in luce l'importanza delle norme contenute nel provvedimento in esame; in particolare, ha giustamente spiegato le conseguenze che si sarebbero potute verificare senza questo decreto-legge. Forse, allora sì che avremmo avuto pericolosi mafiosi che potevano uscire dal carcere.

E che il provvedimento vada nella direzione giusta, badate, non lo dicono solo gli esponenti di Forza Italia; ce lo indica ancora una volta la Corte costituzionale che ben avrebbe potuto decidere, anziché rimettere gli atti alla Corte di cassazione, proprio perché il decreto-legge del Governo è intervenuto esattamente nel senso indicato dal giudice delle leggi.

Onorevole Cafiero De Raho, non è il gruppo di Forza Italia, non è la maggioranza di centrodestra che ha detto “no” alle presunzioni assolute: lo ha detto la Corte costituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE, Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier). Peraltro, il decreto-legge, come qualcuno ha già ricordato, ripropone un testo già approvato alla Camera nella scorsa legislatura con il voto favorevole delle sinistre e del MoVimento 5 Stelle. Anzi, è stata posta una serie di rigorosi, stringenti e concomitanti, come ha ricordato l'onorevole Calderone, condizioni per l'accesso ai benefici da parte del condannato non collaboratore.

E allora finiamola una volta per tutte di creare falsi allarmismi; qui non c'è nessuno che vuole i mafiosi fuori, che vuole che i corrotti non subiscano le giuste condanne. Ecco perché noi possiamo tranquillamente affermare che la disciplina del decreto-legge che discuteremo nel merito è priva di criticità di ordine costituzionale. Ve lo dice un rappresentante di un gruppo, il gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente che, sui temi della giustizia, ha sempre fatto da sentinella, da garante del rispetto dei principi costituzionali e così ancora continueremo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE - Commenti).

PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi sulle questioni pregiudiziali.

Ha chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori il deputato Federico Fornaro. Ne ha facoltà. Prego, onorevole.

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Signor Presidente, colleghe e colleghi, come abbiamo già fatto per le vie brevi alla Presidenza, intervengo per chiedere lo scrutinio segreto in sede di votazione sulle questioni pregiudiziali, e proverò molto brevemente a motivarlo. Ricordo a me stesso e a voi tutti che l'articolo 49 del nostro Regolamento, al primo comma, prevede che le votazioni abbiano luogo a scrutinio palese.

Sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni riguardanti le persone, nonché, quando ne venga fatta richiesta, ai sensi dell'articolo 51 - ed è questa la nostra fattispecie - quelle che incidono sui principi e sui diritti di libertà, di cui agli articoli 6, da 13 a 22 e da 24 e 27 della Costituzione, sui diritti della famiglia, di cui agli articoli 29, 30 e 31, comma secondo, e sui diritti della persona umana, di cui all'articolo 32, comma secondo, della Costituzione. Poi l'articolo prevede altre fattispecie, ma che non riguardano questa pregiudiziale.

A nostro giudizio, il decreto-legge in esame contiene norme che incidono sui principi e sui diritti di libertà, di cui agli articoli 13 e seguenti, della Costituzione, nonché sui diritti della persona, di cui all'articolo 32, ed è talmente prevalente tale giudizio che non può che essere concesso, a nostro giudizio, allo scrutinio segreto per la votazione delle questioni pregiudiziali.

Più nello specifico, gli articoli da 1 a 3 del decreto-legge in esame, intervenendo sul tema dell'accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia - i cosiddetti reati ostativi, di cui all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, legge sull'ordinamento penitenziario -, incidono sui principi e sui diritti di libertà, di cui all'articolo 13 della nostra Costituzione.

Incide, altresì, sui principi e sui diritti di libertà, di cui all'articolo 13 della Costituzione, l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte dell'altra Camera, del Senato, che introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, un nuovo delitto di invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica e l'incolumità pubblica, in base al quale è punito, con la pena della reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10 mila, chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o evento ad altro scopo di intrattenimento.

Sui diritti della persona, di cui all'articolo 32 della Costituzione, incide, a nostro giudizio, l'articolo 7, comma 1, del decreto in esame, che stabilisce le norme transitorie sull'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, sociosanitario o e socioassistenziale, che non trovano più applicazione, secondo questo decreto, dal 2 novembre 2022, in luogo del termine finale previgente del 31 dicembre 2022. Il comma 1-bis, inserito nel corso dell'esame al Senato, stabilisce, inoltre, la sospensione, dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino a tutto il 30 giugno 2023, delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19, obbligo stabilito, con riferimento a vari periodi temporali, per molteplici categorie di soggetti.

Infine, il comma 1-ter dell'articolo 7, inserito anch'esso nel corso dell'esame in Senato, prevede il differimento, dal 31 dicembre 2022 al 30 giugno 2023, dell'applicazione della disciplina transitoria che ha disposto la costituzione di un'Unità per il completamento della campagna vaccinale e per l'adozione di altre misure di contrasto della pandemia da COVID-19. Di conseguenza, si prevede, con decorrenza dal 1° luglio 2023, anziché dal termine vigente del 1° gennaio 2023, del subentro del Ministero della Salute nelle funzioni e nei rapporti attivi e passivi facenti capo alla suddetta Unità. Per queste motivazioni, chiediamo lo scrutinio segreto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Alla luce dell'intervento dell'onorevole Fornaro, segnalo che, a norma dell'articolo 51 del Regolamento, è stata avanzata da parte del gruppo Partito Democratico la richiesta di procedere alla votazione delle questioni pregiudiziali in esame a scrutinio segreto. Tale richiesta non può essere accolta.

Ricordo preliminarmente che il voto sulle questioni pregiudiziali, potendo determinare la reiezione dell'intero provvedimento ed avendo in tal caso natura di deliberazione definitiva sul merito, deve essere effettuato con le stesse modalità adottabili per la votazione finale del progetto di legge.

Sulla base di un giudizio di prevalenza, fondato su un criterio di natura quantitativa, lo scrutinio segreto risulta ammissibile soltanto con riferimento a cinque articoli dei 22 di cui il provvedimento si compone, in quanto questi ultimi incidono sugli articoli 13 e 27 della Carta costituzionale (articoli 1 e 2 del decreto-legge), sull'articolo 25, secondo comma, della Costituzione (articolo 5 del decreto-legge) e sull'articolo 16 della Costituzione (articoli 7-ter e 7-quater), nell'ambito della previsione dell'articolo 49, comma 1, del Regolamento, nel senso chiarito dalla Giunta per il Regolamento nelle sedute del 7 febbraio e del 7 marzo 2002.

Non appaiono, invece, sottoponibili a votazione segreta i restanti 17 articoli, i quali recano norme di natura procedurale, organizzatoria o transitoria, le quali ultime, essendo volte esclusivamente a regolare l'efficacia nel tempo di altre discipline normative, in base alla prassi, non sono suscettibili di scrutinio segreto.

Alla luce di tali elementi, in base ad un giudizio di necessaria prevalenza quantitativa, la richiesta di scrutinio segreto sulla votazione delle questioni pregiudiziali non può essere accolta.

Passiamo, dunque, ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali Gianassi ed altri n. 1, Alfonso Colucci ed altri n. 2, Enrico Costa ed altri n. 3 e Dori ed altri n. 4.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 2).

(Esame dell'articolo unico - A.C. 705​)

PRESIDENTE. Essendo state respinte le questioni pregiudiziali, passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione e delle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge (Vedi l'allegato A).

La Commissione bilancio ha espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A), che è in distribuzione.

(Posizione della questione di fiducia - Articolo unico - A.C. 705​)

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, senatore Luca Ciriani. Ne ha facoltà (Commenti).

LUCA CIRIANI, Ministro per i Rapporti con il Parlamento. Grazie, Presidente. Onorevoli deputati, a nome del Governo, autorizzato dal Consiglio dei ministri, pongo la questione di fiducia (Commenti) sull'approvazione, senza emendamenti, subemendamenti e articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 705: “Conversione in legge del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali”, nel testo approvato dalla Commissione, identico a quello approvato dal Senato.

PRESIDENTE. A seguito della posizione della questione di fiducia, la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata immediatamente presso la Biblioteca del Presidente, al fine di stabilire il prosieguo dell'esame del provvedimento.

La seduta è sospesa e riprenderà al termine della predetta Conferenza dei presidenti di gruppo.

La seduta, sospesa alle 17,25, è ripresa alle 18,25.

Sui lavori dell'Assemblea e articolazione dei lavori dell'Assemblea per il periodo 10-13 gennaio 2023.

PRESIDENTE. Comunico che, secondo quanto stabilito nell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, a seguito della posizione della questione di fiducia sull'articolo unico del disegno di legge n. 705 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali (approvato dal Senato – scadenza: 30 dicembre 2022), nel testo approvato dalla Commissione, identico a quello approvato dal Senato, la votazione sulla questione di fiducia avrà luogo nella seduta di domani, mercoledì 28 dicembre, a partire dalle ore 17,25 previe dichiarazioni di voto a partire dalle ore 15,45.

La Conferenza dei capigruppo tornerà a riunirsi domani alle ore 14,30 per l'articolazione delle ulteriori fasi.

Il termine per la presentazione degli ordini del giorno è fissato alle ore 10,30 di domani, mercoledì 28 dicembre.

Procedo, quindi, all'estrazione del nominativo dal quale avrà inizio la chiama.

(Segue il sorteggio).

La chiama avrà inizio dall'onorevole Fede.

È stata altresì convenuta la seguente articolazione dei lavori per il periodo 10-13 gennaio:

Martedì 10 gennaio (ore 16, con prosecuzione notturna fino alle 24)

Discussione sulle linee generali del disegno di legge n. 730 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, recante misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica (approvato dal Senato – scadenza: 17 gennaio 2023)

Mercoledì 11 (ore 9,30–13,30 e 16–20, con prosecuzione notturna dalle 21 alle 24) e giovedì 12 gennaio (ore 9,30-13,30 e 15-20, con prosecuzione notturna dalle 21 alle 24, ed eventualmente nella giornata di venerdì 13 gennaio)

Seguito dell'esame del disegno di legge n. 730 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, recante misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica (approvato dal Senato – scadenza: 17 gennaio 2023) (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali presentate)

Al termine dell'esame del disegno di legge n. 730, avrà luogo la votazione per l'elezione di nove componenti effettivi e nove componenti supplenti della delegazione presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa

Mercoledì 11 gennaio (ore 15)

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata

Venerdì 13 gennaio (ore 9.30)

Svolgimento di interpellanze urgenti.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta. Ha chiesto di parlare la deputata Ferrari. Ne ha facoltà.

SARA FERRARI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Egregio Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la mia è una commemorazione funebre. A noi che ci siamo impegnati a combattere la violenza sulle donne, approvando, il 24 novembre, in quest'Aula, una risoluzione che ci impegna a fare educazione alle pari opportunità per prevenire l'ignobile piaga sociale, a noi oggi spetta il dovere e l'onore di tributare un omaggio alla pedagogista montessoriana Elena Gianini Belotti, prima studiosa femminista in Italia a porre il tema del sessismo nell'educazione. Diceva, nel 1973: “se si smette di insegnare al maschio a dominare e alla femmina di accettare (…) di essere dominata, possono fiorire inaspettate e insospettate espressioni individuali, molto più ricche, articolate, immaginose dei ristretti e mortificanti stereotipi”.

È stato grazie ai suoi scritti, tradotti in tutto il mondo e venduti in migliaia di copie, che dagli anni Settanta ad oggi si è compresa la necessità di intervenire sugli stereotipi educativi e culturali che ingabbiano maschi e femmine in ruoli socialmente precostituiti, deprimendone i talenti individuali.

Diceva che nessuno può dire quante energie, quanta vitalità, quante qualità vadano distrutte nel processo di immissione forzata dei bambini di ambo i sessi negli schemi maschile-femminile così come sono concepiti dalla nostra cultura.

Purtroppo, ancora oggi, queste pressioni culturali agiscono spesso inconsapevolmente nelle scelte formative di bambini e bambine e rischiano di creare adulti insoddisfatti e infelici, che hanno fatto scelte scolastiche o di vita condizionate dall'essere maschi o femmine, anziché dalle reali potenzialità individuali.

Nel ricordarla oggi, l'impegno che ci assumiamo è combattere stereotipi e pregiudizi nel solco da lei tracciato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Mercoledì 28 dicembre 2022 - Ore 15,45:

1. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 274 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali (Approvato dal Senato). (C. 705​)

Relatrice: BISA.

La seduta termina alle 18,30.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: INGRID BISA (A.C. 705​)

INGRID BISA, Relatrice. (Relazione – A.C. 705​). Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante “misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali)”.

Il provvedimento, originariamente composto da 9 articoli, risulta incrementato, a seguito dell'esame del Senato, a 25 articoli ed è riconducibile, anche sulla base del preambolo, a quattro finalità: apportare modifiche all'articolo 4-bis della legge 354 del 1975 in materia di concessione dei benefici penitenziari ai condannati per cd. “reati ostativi”; adottare misure per la prevenzione e il contrasto del fenomeno dei raduni dai quali possa derivare pericolo per l'incolumità pubblica o la salute pubblica; differire l'entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 (c.d. riforma Cartabia del processo penale); adottare misure connesse alla gestione della pandemia da COVID-19.

Faccio presente che, nel corso dell'esame in sede referente presso la commissione Giustizia, è stata svolta una ampia istruttoria sulle numerose proposte emendative presentate, che si è avvalsa anche degli autorevoli contributi acquisiti nell'ambito dell'attività conoscitiva, nonché dei pareri espressi dalle Commissioni, competenti in sede consultiva, I (Affari costituzionali), VI (Finanze), VII (Cultura) e XII (Affari sociali), e dal Comitato per la Legislazione, contenente due osservazioni.

Nel corso di tale esame, nel reciproco rispetto della diversità delle rispettive opinioni tra maggioranza e opposizioni, si è svolto un ricco e proficuo dibattito tra le forze politiche.

Conclusivamente, si è ritenuto di non modificare il provvedimento rispetto a quello pervenuto dal Senato e di non recepire le osservazioni formulate dal Comitato, sia in ragione della condivisione del testo, anche in ragione delle modifiche migliorative apportate nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento, sia anche tenuto conto dei tempi a disposizione per la conversione in legge del provvedimento d'urgenza.

Venendo, quindi, al contenuto del provvedimento in esame, il provvedimento d'urgenza reca ai primi articoli misure in materia di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte dei detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia, i “reati ostativi”, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975).

Si ricorda che il tema è stato oggetto di intervento da parte della Corte costituzionale che - con l'ordinanza n. 97 del 2021 - ha indirizzato al legislatore un monito a provvedere, facendo seguito al quale, nella XVIII legislatura, la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura una proposta di legge che però non ha concluso l'iter parlamentare.

A seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge in esame, lo scorso 8 novembre 2022, la Corte costituzionale ha quindi esaminato, in camera di consiglio, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di Cassazione, sulla disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo, decidendo di restituire gli atti al giudice a quo, rilevando che spetta “al giudice rimettente valutare la portata applicativa dello ius superveniens nel giudizio a quo, anche all'esito del procedimento di conversione del decreto-legge”.

Gli articoli da 1 a 4 del decreto-legge in esame riprendono in larghissima parte il testo della citata proposta di legge approvata nella scorsa legislatura dalla Camera.

In dettaglio, l'articolo 1, comma 1, lettera a), modifica il citato articolo 4-bis in più punti.

Al numero 1) modifica il comma 1 del citato articolo 4-bis che reca l'elenco dei delitti ostativi, intesi come quelli per i quali l'espiazione di una condanna ad essi relativa non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, e delle misure alternative alla detenzione, nonché alla liberazione condizionale. Tale condizione giuridica è superabile soltanto in presenza di collaborazione con la giustizia. La novella estende il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari anche in caso di esecuzione di pene inflitte per delitti diversi da quelli ostativi in presenza di particolari condizioni: quando il giudice della cognizione o dell'esecuzione accerti che tali delitti sono stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati ostativi ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l'impunità di detti reati. Al Senato è stata però introdotta una ulteriore modifica, volta ad escludere i delitti contro la pubblica amministrazione dal catalogo dei reati ostativi.

La lettera a), al numero 2), modifica il comma 1-bis del citato articolo 4-bis e introduce una nuova disciplina che trasforma da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti, che vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di stringenti e concomitanti condizioni diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo. La novella, in particolare, modifica la disciplina che - per i c.d. reati ostativi - consentiva la concessione di benefici e misure nelle ipotesi in cui fosse accertata l'inesigibilità (a causa della limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso) o l'impossibilità (per l'accertamento integrale dei fatti) della collaborazione: prima dell'entrata in vigore del decreto-legge in esame, in tali casi, non sussistendo margini per un'utile cooperazione con la giustizia, veniva meno la preclusione assoluta stabilita dal comma 1, purché fossero acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

L'istituto della impossibilità e/o inesigibilità-irrilevanza della utile collaborazione con la giustizia è adesso soppresso e sono dettate nuove condizioni di accesso ai benefici penitenziari differenziate per le due sottocategorie in cui sono stati distinti i reati ostativi.

La prima sottocategoria (disciplinata da nuovo comma 1-bis) comprende i condannati, tra gli altri, per i delitti commessi per finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico, mediante il compimento di atti di violenza e per i reati di mafia. Quanto ai detenuti e agli internati per tali delitti associativi, i benefici possono essere loro concessi anche in assenza di collaborazione con la giustizia purché dimostrino l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento, nonché alleghino elementi specifici che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti, tramite terzi.

La seconda sottocategoria (disciplinata da nuovo comma 1-bis.1) ricomprende i condannati per alcune residuali fattispecie non associative. Per tali reati si richiede il rispetto delle medesime condizioni, depurate tuttavia dà indicazioni non coerenti con la natura dei reati che vengono in rilievo. Ad esempio, la richiesta allegazione deve avere ad oggetto elementi idonei ad escludere l'attualità dei collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ma non anche il pericolo di ripristino dei collegamenti con tale contesto. In questo ambito, come detto, al Senato è stato soppresso il richiamo ai delitti contro la pubblica amministrazione

Il Senato ha quindi introdotto una nuova disposizione (il nuovo comma 1-bis.1.1 dell'art. 4-bis) teso a prevedere la possibilità che il provvedimento di concessione dei benefici sia accompagnato da prescrizioni volte a rendere impossibile il ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata terroristica o eversiva, e impedire ai condannati di svolgere attività o di avere rapporti personali che possano portare al compimento di altri reati o al ripristino di rapporti con la criminalità organizzata terroristica o eversiva.

Il nuovo comma 1-bis.2 specifica inoltre che i condannati per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di uno dei delitti elencati nel comma 1-bis.1 (reati non associativi), ai fini della concessione dei benefici sono inclusi nella categoria dei condannati di cui al comma 1-bis (reati associativi).

Il numero 3) della disposizione in commento novella il comma 2 dell'articolo 4-bis, per introdurre una nuova disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per i reati ostativi. Fra gli obblighi gravanti sul giudice di sorveglianza è stato introdotto al Senato anche quello di acquisire informazioni relative al perdurare della operatività del sodalizio criminale, al profilo criminale del detenuto, alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute a suo carico e, ove significative, alle infrazioni disciplinari commesse durante la detenzione.

Il giudice di sorveglianza, ha inoltre l'obbligo di chiedere il parere del pubblico ministero nonché, in caso di condanne per i gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. È altresì richiesto che siano disposte nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alle eventuali misure di prevenzione personali o patrimoniali.

Con riguardo alla tempistica la riforma prevede che i pareri, con eventuali istanze istruttorie, e le informazioni e gli esiti degli accertamenti siano resi entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della complessità degli accertamenti e che decorso tale termine, il giudice debba decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni richiesti.

La riforma prevede inoltre, nel caso in cui dall'istruttoria svolta emergano indizi dell'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica e eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, l'onere per il condannato di fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria. Nel provvedimento con cui decide sull'istanza di concessione dei benefici il giudice dovrà indicare specificamente le ragioni dell'accoglimento o del rigetto dell'istanza medesima, avuto altresì riguardo ai pareri acquisiti.

La riforma subordina inoltre la concessione dei benefici ai detenuti soggetti al regime carcerario speciale previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario alla previa revoca di tale regime.

Il numero 4) della disposizione in commento reca una modifica formale del comma 2-bis dell'articolo 4-bis, mentre al Senato è stato introdotto il nuovo comma 2-bis.1. il quale esclude l'applicazione della disciplina procedurale per la concessione dei benefici per la modifica di un provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno divenuto esecutivo nei tre mesi precedenti e per la concessione di un permesso premio da parte di un condannato già ammesso a fruirne, anche in questo caso se non sono decorsi più di 3 mesi.

Il nuovo comma 2-ter è volto a specificare che il pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto dove è stata pronunciata la sentenza di primo grado può svolgere funzioni di pubblico ministero nell'udienza del tribunale di sorveglianza che abbia a oggetto la concessione dei benefici nei confronti di condannati per i gravi reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis e comma 3-quater. Al Senato è stata introdotta la facoltà per il pubblico ministero di partecipare all'udienza - se ha sede in un distretto diverso - mediante collegamento a distanza.

La lettera a) numero 6) è volta ad abrogare il comma 3-bis dell'articolo 4-bis. e il Senato ha altresì soppresso le lettere b) e c) del testo originario del decreto legge, che incidevano, rispettivamente, sulla disciplina del lavoro all'esterno e dei permessi premio per attribuire alla competenza del tribunale di sorveglianza l'autorizzazione ai predetti benefici per talune tipologie di reato. Pertanto, la competenza in materia di concessione del lavoro esterno e dei permessi premio resta adesso sempre in capo al magistrato di sorveglianza.

L'articolo 2 interviene sulla disciplina in materia di liberazione condizionale recata dall'articolo 2 del decreto-legge n. 152 del 1991 secondo cui la disciplina restrittiva per l'accesso ai benefici penitenziari si estende anche al regime della liberazione condizionale.

La modifica della lettera a) ha carattere di coordinamento: si chiarisce in sostanza che i presupposti e la procedura per l'applicazione dell'istituto della liberazione condizionale sono quelli dettati dall'articolo 4-bis O.P.

Con la lettera b) sono invece apportate diverse modifiche alla disciplina in materia di liberazione condizionale quanto alle condizioni di accesso all'istituto per i condannati all'ergastolo per i reati ostativi, non collaboranti.

In primo luogo, la richiesta della liberazione condizionale potrà essere presentata dopo che abbiano scontato 30 anni di pena (per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti, rimane il requisito dei 26 anni). Inoltre, occorrono 10 anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale per estinguere la pena dell'ergastolo e revocare le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice (per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti, occorrono 5 anni). Infine, la libertà vigilata - sempre disposta per i condannati ammessi alla liberazione condizionale - è accompagnata al divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con i soggetti condannati per i gravi reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., oppure sottoposti a misura di prevenzione del cosiddetto Codice delle leggi antimafia.

L'articolo 3 prevede una disciplina transitoria da applicare ai condannati non collaboranti per reati ostativi commessi anteriormente all'entrata in vigore della riforma, con riguardo alle specifiche disposizioni che rendono più gravoso il regime di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale.

Con riguardo alla disposizione che estende il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari, trattandosi di una modifica di natura peggiorativa, l'applicazione è esclusa quando il delitto “non ostativo” sia stato commesso prima della data di entrata in vigore del decreto stesso.

Con riguardo alla nuova disciplina delle condizioni di accesso ai benefici penitenziari - che risulta più gravosa per i soggetti condannati per reati ostativi che rientrano nelle situazioni di collaborazione impossibile o irrilevante - si dispone che per coloro che, prima della data di entrata in vigore della riforma, abbiano commesso i reati ostativi le misure alternative alla detenzione e liberazione condizionale possono essere concesse, secondo la procedura che agli stessi si applicava prima dell'entrata in vigore del decreto legge, purché siano acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.

Inoltre, ai condannati alla pena dell'ergastolo non si applicano né la disposizione che prevede il termine di 30 anni invece di 26 per l'accesso alla liberazione condizionale, né quella in base alla quale occorrono 10 anni invece di 5 per estinguere la pena dell'ergastolo e revocare le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice; in ogni caso invece si applica la nuova disposizione secondo la quale la libertà vigilata comporta sempre per il condannato il divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con soggetti condannati per i gravi specifici reati o sottoposti a misura di prevenzione.

L'articolo 4 estende la platea dei soggetti nei confronti dei quali la Guardia di finanza ha la facoltà di procedere ad indagini fiscali e patrimoniali, ricomprendendovi tutti i detenuti ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis O.P.

Nello specifico la disposizione interviene sull'articolo 25 della legge n. 646 del 1982, che contiene la disciplina relativa alla possibilità per il nucleo di polizia economico-finanziaria del Corpo della guardia di finanza di procedere alla verifica della posizione fiscale, economica e patrimoniale delle persone nei cui confronti sia stata emanata sentenza di condanna anche non definitiva per taluno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p., oppure per il delitto di trasferimento fraudolento di valori (articolo 512-bis c.p.) o ancora, sia stata disposta, con provvedimento anche non definitivo, una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575.

La novella estende la platea dei soggetti nei cui confronti possono svolgersi le verifiche della Guardia di finanza, ricomprendendovi tutti i detenuti ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis O.P. (lett. a)). Per consentire alla Guardia di finanza di procedere con le verifiche, l'articolo 4 del decreto-legge n. 162 prevede che una copia del decreto del Ministro della Giustizia, che dispone l'applicazione del regime carcerario previsto dall'art. 41-bis O.P., sia trasmessa al nucleo di polizia economico-finanziaria competente per le verifiche (lett. b)).

L'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di “Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica” la cui formulazione originaria ha subito profonde modifiche, a partire dalla stessa collocazione della fattispecie delittuosa.

Infatti, il delitto - che nel testo originario era inserito tra i delitti contro l'incolumità pubblica (articolo 434-bis) - è stato inserito tra i reati contro il patrimonio. Pur confermando l'originario impianto sanzionatorio (reclusione da tre a sei anni e multa da 1.000 a 10.000 euro) adesso la norma punisce chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa della inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi.

Pertanto, rispetto a quanto inizialmente previsto, è esclusa la punibilità dei partecipanti (salvo la possibile sanzione ai sensi dell'art. 633 c.p.) e non si prevede più né l'esplicito riferimento all'ordine pubblico e né un numero predeterminato di partecipanti. La fattispecie viene invece tipizzata con riguardo alle sole occupazioni dirette a realizzare un raduno musicale o con finalità di intrattenimento e richiede la violazione delle norme di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, in ragione dello stato dei luoghi e del numero di partecipanti,

Per quanto riguarda, inoltre, le disposizioni relative alla confisca, il nuovo articolo 633-bis c.p. prevede che è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché di quelle utilizzate per realizzare le finalità dell'occupazione o di quelle che ne sono il prodotto o il profitto.

Infine, si fa presente che nel corso dell'esame presso il Senato, sono stati soppressi i commi 2 e 3 dell'articolo 5 del decreto-legge. È quindi esclusa l'applicazione delle misure di prevenzione personali ai soggetti indiziati del delitto in questione.

Poiché l'articolo 6 rinvia dal 1° novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l'entrata in vigore della cosiddetta “riforma Cartabia” (decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della delega per la riforma del processo penale - l. n. 134 del 2021, al Senato sono stati introdotti nel decreto-legge dodici ulteriori articoli al fine di ovviare ad alcuni dubbi interpretativi di diritto intertemporale sorti con riguardo al citato decreto legislativo e a specificarne la relativa disciplina transitoria.

Più dettagliatamente, l'articolo 5-bis modifica la disciplina transitoria prevista dall'articolo 85 del citato decreto legislativo n. 150 del 2022, che è intervenuto sul regime di procedibilità di alcuni reati, rendendoli perseguibili a querela, in luogo dell'originaria previsione della procedibilità d'ufficio. Con riguardo alle eventuali misure cautelari personali in essere, si prevede che perdano efficacia se, entro venti giorni dall'entrata in vigore della nuova disciplina (e quindi dal 1° gennaio 2023), l'autorità giudiziaria procedente non acquisisca la relativa querela. A tal fine, l'autorità giudiziaria è chiamata ad effettuare ogni utile ricerca della persona offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria.

Inoltre, per il periodo della durata delle ricerche e in ogni caso, non oltre il momento in cui la persona offesa ha proposto querela o rinunciato alla stessa i termini di fase della misura (art. 303 c.p.p.) sono sospesi. Pertanto, in seguito alla modifica descritta nei procedimenti già pendenti, per i quali non vi siano in essere misure cautelari personali, è onere della persona offesa attivarsi autonomamente per proporre eventualmente querela, entro il termine previsto.

L'articolo in esame aggiunge, poi, due ulteriori commi all'articolo 85 del d.lgs. n. 150. In particolare, in base al nuovo comma 2-bis, durante la pendenza del termine concesso alla persona offesa per proporre querela (ovvero, nel caso del comma 2, all'autorità giudiziaria per rintracciarla) nel procedimento possono essere esclusivamente compiute le sole attività di raccolta delle prove a rischio di dispersione (si tratta degli atti urgenti indicati dall'articolo 346 c.p.p.).

Inoltre, il nuovo comma 2-ter chiarisce che per i delitti previsti dagli articoli 609-bis (Violenza sessuale), 612-bis (Atti persecutori) e 612-ter (Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, il c.d. revenge porn) c.p., commessi prima dell'entrata in vigore della riforma, continua a procedersi di ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto in seguito alla riforma perseguibile a querela della persona offesa.

L'articolo 5-ter introduce il nuovo articolo 85-bis, il quale reca disposizioni transitorie in materia di termini per la costituzione di parte civile nei procedimenti penali: si prevede che con riguardo ai procedimenti in cui, al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2022, siano già stati ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti durante la celebrazione dell'udienza preliminare non trovi applicazione la nuova disciplina dettata dal decreto legislativo.

Gli articoli 5-quater e 5-quinquies recano disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico e di semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze. L'articolo 5-quater disciplina le diverse modalità di deposito degli atti processuali, operando una distinzione tra quelli che possono ancora avvenire in forma analogica, presso la cancelleria del giudice, ad opera delle sole parti, e quelli che debbono avvenire obbligatoriamente in modalità telematica, con particolare riferimento al deposito dell'atto di impugnazione per le parti che si trovino all'estero. È inoltre definita la disciplina concernente il deposito telematico degli atti, le casistiche relative agli ulteriori atti per i quali sarà reso possibile tale deposito e le disposizioni regolatorie delle ipotesi di malfunzionamento del sistema di trasmissione.

L'articolo 5-quinquies è invece volto a consentire l'utilizzo della casella di posta elettronica certificata (PEC) per il deposito di alcuni atti del processo penale nelle more della completa attuazione della disciplina del processo penale telematico secondo le specifiche scansioni temporali indicate nel decreto legislativo n. 150.

L'articolo 5-sexies introduce nel citato decreto un nuovo articolo 88-bis, recante la disciplina transitoria in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o per determinati reati collegati a livello investigativo.

In particolare, si prevede il differimento per tali procedimenti dell'applicazione delle nuove disposizioni procedurali introdotte dal decreto in materia di: retrodatazione su richiesta di parte in caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo nell'iscrizione nel registro delle notizie di reato (art. 335-quater); forme e termini per l'avvio dell'azione penale (art. 407-bis); rimedi alla stasi del procedimento dovuta alla mancata tempestività dell'esercizio dell'azione penale (art. 415-ter). Inoltre, a tali procedimenti, continuano ad applicarsi determinate disposizioni procedurali, elencate al comma 2, nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma.

Inoltre, l'articolo 5-septies, risolvendo una questione di diritto intertemporale e introducendo il nuovo articolo 88-ter del decreto legislativo n. 150, prevede che le modifiche apportate dal citato decreto con riguardo all'inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa si applichino alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse successivamente al 30 dicembre 2022.

L'articolo 5-octies reca disposizioni transitorie in tema di operatività della disciplina inerente l'udienza predibattimentale. In particolare, con l'introduzione nel decreto legislativo n. 150, del nuovo art. 89-bis, si prevede che le disposizioni relative all'udienza di comparizione predibattimentale, introdotta dall'articolo 32, comma 1, del medesimo decreto, non si applichino ai procedimenti penali nei quali, alla data di entrata in vigore del decreto, il pubblico ministero abbia già emesso il decreto di citazione a giudizio con le forme previgenti.

L'articolo 5-novies, novellando l'articolo 92 del decreto, dispone il differimento di sei mesi dell'entrata in vigore delle norme che introducono l'istituto della giustizia riparativa nell'ambito del diritto penale e processuale penale (sia con riguardo alle fasi del procedimento penale che dell'esecuzione della pena).

L'articolo 5-decies, introducendo un nuovo articolo 93-bis nel citato decreto legislativo, specifica che le novelle apportate da quest'ultimo riguardanti la facoltà della parte che vi abbia interesse di richiedere - nel caso di mutamento del giudice nel corso del dibattimento - la rinnovazione degli esami già svolti (salvo che essi siano stati integralmente documentati con registrazione audiovisiva), non si applichino quando le dichiarazioni di cui si chiede la rinnovazione siano state rese anteriormente al 1° gennaio 2023.

L'articolo 5-undecies anticipa di sei mesi (rispetto alla data di un anno dall'entrata in vigore del decreto) l'obbligo di registrazione audiovisiva (in aggiunta alla modalità ordinaria di documentazione) per tutti gli atti processuali destinati a raccogliere le dichiarazioni di persone che possono o devono riferire sui fatti.

L'articolo 5-duodecies è volto ad assicurare l'avvicendamento dei regimi applicativi che disciplinano le impugnazioni nell'ambito processo penale. Difatti, tale articolo modifica la disciplina transitoria originariamente prevista - di cui al comma 2 dell'art. 94 del decreto legislativo n. 150 – spostando dal 31 dicembre 2022 al 30 giugno 2023 la data successivamente alla quale si applicheranno tali disposizioni.

Sempre con riguardo al regime transitorio del decreto legislativo n. 150, l'articolo 5-terdecies reca l'inserimento di un nuovo articolo 97-bis nel citato decreto volto a prevedere che ai provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive e ai relativi provvedimenti di conversione continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma del processo penale.

L'articolo 5-quaterdecies prevede che fino al 31 dicembre 2025 le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alla ammissione ai campionati professionistici e dilettantistici adottati dalle federazioni sportive nazionali, riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) e dal Comitato Italiano Paralimpico (CIP) possano essere trattate attraverso la disciplina speciale - che prevedeva un procedimento semplificato e abbreviato - dettata durante il periodo dell'emergenza epidemiologica (di cui all'articolo 218, commi 2,3,4, e 5 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito nella legge n. 77 del 2020).

Come precedentemente detto, l'articolo 6 rinvia dal 1° novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l'entrata in vigore della cosiddetta “riforma Cartabia”.

L'articolo 7 reca disposizioni in materia di vaccinazione anti Sars-Cov-2. In particolare il comma 1 anticipa al 2 novembre 2022, in luogo del termine finale del 31 dicembre 2022) la data di cessazione dell'applicazione delle norme transitorie sull'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, sociosanitario e socioassistenziale. Al Senato a tale articolo sono stati introdotti due ulteriori commi: il nuovo comma 1-bis stabilisce la sospensione (dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto e fino al 30 giugno 2023) delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19, obbligo stabilito per molteplici categorie di soggetti.

Il nuovo comma 1-ter prevede invece il differimento dal 31 dicembre 2022 al 30 giugno 2023 dell'applicazione della disciplina transitoria che ha disposto la costituzione di un'unità per il completamento della campagna vaccinale e per l'adozione di altre misure di contrasto della pandemia (da COVID-19), di conseguenza, si prevede la decorrenza dal 1° luglio 2023 - anziché dal termine vigente del 1° gennaio 2023 - del subentro del Ministero della salute nelle funzioni e nei rapporti attivi e passivi facenti capo alla suddetta unità.

Infine, l'articolo 8 reca la clausola di invarianza finanziaria e l'articolo 9 quella di entrata in vigore.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 2)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nominale CHIUSURA DG DDL 705 287 285 2 143 169 116 25 Appr.
2 Nominale DDL 705 - QUEST. PREG. 1, 2, 3 e 4 297 297 0 149 127 170 24 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui é mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi é premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.