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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 178 di lunedì 16 ottobre 2023

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA

La seduta comincia alle 14,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria facente funzioni a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

GRAZIA DI MAGGIO, Segretaria f.f., legge il processo verbale della seduta del 2 ottobre 2023.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Annunzio di petizioni.

PRESIDENTE. Invito la deputata segretaria di Presidenza facente funzioni a dare lettura delle petizioni pervenute.

GRAZIA DI MAGGIO , Segretaria f.f., legge:

Francesco Di Pasquale, da Cancello ed Arnone (Caserta), chiede:

l'istituzione di una Giornata in ricordo di Ettore Majorana (500) - alla VII Commissione (Cultura);

iniziative per la valorizzazione del pomodoro italiano (501) - alla XIII Commissione (Agricoltura);

iniziative per contrastare lo sfruttamento dei bambini soldato in Congo (502) - alla III Commissione (Affari esteri);

misure per contrastare l'occupazione abusiva di immobili (503) - alla II Commissione (Giustizia);

modifiche alle norme sulla circolazione stradale in materia di autovelox e zone a traffico limitato (504) - alla IX Commissione (Trasporti);

che tutti i comuni si dotino di un piano per il traffico e rinnovino la segnaletica stradale (505) - alla IX Commissione (Trasporti);

interventi a tutela dei cattolici perseguitati in Nicaragua (506) - alla III Commissione (Affari esteri);

Michele Vecchione, da Alatri (Frosinone), chiede che il Servizio sanitario nazionale sottoponga a controlli periodici le persone affette da patologie neuropsichiatriche e che i neuropsichiatri privati abbiano l'obbligo di segnalare i casi più socialmente pericolosi (507) - alla XII Commissione (Affari sociali);

Antonio Zago, da Pieve del Grappa (Treviso), chiede modifiche al codice della strada per consentire la guida di autotreni anche dopo il raggiungimento dei sessantotto anni di età (508) - alla IX Commissione (Trasporti);

Matteo Borrelli, da San Benedetto Val di Sambro (Bologna), chiede che il mese di ottobre sia dichiarato mese nazionale della genealogia e della storia di famiglia (509) - alla VII Commissione (Cultura);

Guido Trentalancia, da Ancona, chiede la soppressione del Ministero delle Imprese e del made in Italy e l'istituzione del Ministero dell'Industria e dell'artigianato e del Ministero dei Servizi e del commercio (510) - alla I Commissione (Affari costituzionali).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 71, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Saluto gli studenti e i docenti della scuola primaria “Alcide De Gasperi” di Piacenza, che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Discussione del disegno di legge: S. 614 - Istituzione del Museo della Shoah in Roma (Approvato dal Senato) (A.C. 1295​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1295: Istituzione del Museo della Shoah in Roma.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1295​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.

La VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della VII Commissione (Cultura), deputato Federico Mollicone.

FEDERICO MOLLICONE , Relatore. Grazie, Presidente. Ministro Sangiuliano, onorevoli colleghi, oggi giunge finalmente in Aula il disegno di legge, d'iniziativa del Governo Meloni, su proposta del Ministro Sangiuliano, già approvato all'unanimità dal Senato, per l'istituzione del Museo della Shoah in Roma.

L'approdo in Aula non ha nulla di formale e di procedurale. È un momento davvero particolare, quello in cui avviene questo incardinamento, segnato da tre sincronie assai significative, che illuminano, anzi, scolpiscono davvero nella pietra il valore e la necessità di questo provvedimento, il percorso di convergenza politica, istituzionale e culturale di cui esso rappresenta il punto di termine qui in Aula.

La prima, legata al presente, è davanti agli occhi di tutti: mi riferisco alla drammatica evoluzione delle vicende in Israele. Al di là della tragedia che ogni conflitto implica, la situazione alla quale stiamo assistendo desta un allarme e uno sgomento eccezionali, poiché, come il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha evidenziato, nella caccia casa per casa ai civili, nel rastrellamento di bambini e anziani, c'è l'odio verso l'intero popolo ebraico, dentro e fuori i confini dello Stato di Israele, dentro e fuori le case dello Stato di Israele.

La seconda coincidenza, anch'essa legata al presente, è che, proprio nel corso di questa settimana, presso la VII Commissione della Camera, verrà incardinata la proposta di legge per la promozione dei viaggi della memoria: ciò a testimonianza della grande attenzione che in questa legislatura si sta ponendo al tema della memoria e del suo valore essenziale. Tutto questo per creare un patrimonio identitario e comune di memoria della Nazione e dell'Europa. Quest'anno, la morte degli 800 ebrei, uccisi al loro arrivo, il 23 ottobre, nella data ebraica del 24 Tishri, è coincisa con quella del 9 ottobre e si è deciso di ricordare insieme questo evento con l'attentato alla Sinagoga del 1982.

La terza sincronia, infine: ricorre oggi, 16 ottobre, l'anniversario del rastrellamento di Roma, quando più di 1.200 cittadini italiani di religione ebraica vennero prelevati dalle loro case dai nazisti per essere deportati per la maggior parte ad Auschwitz. Da quella fabbrica di morte tornarono solo in 16. Era un sabato, Shabbat, il giorno di riposo per gli ebrei, l'occasione perfetta per un centinaio di SS al comando di Kappler, che raggiunsero ad una ad una le abitazioni agli indirizzi forniti, bussarono alle porte, che non esitarono a sfondare in mancanza di una profonda e pronta risposta dall'interno. Impassibili, lessero l'ordine perentorio dattiloscritto: “dovete essere pronti in 20 minuti, portare cibo per 8 giorni, soldi e preziosi; via anche i malati, nel campo dove vi porteranno c'è un'infermeria”.

A rileggerle oggi, queste parole suonano davvero assolutamente disperanti. Tutta Roma era stata divisa in 26 zone d'azione, alle dipendenze di Kappler e Dannecker, già responsabile delle deportazioni antiebraiche in Francia, si muovevano 365 uomini appartenenti alle truppe di occupazione tedesche. Tutte le persone vennero caricate a forza sui camion e portate a via della Lungara, a poca distanza da San Pietro. Qui furono fatte fermare, vennero liberati alcuni cittadini non ebrei e ripartirono, il lunedì 18 ottobre, dalla stazione Tiburtina, su 18 carri bestiame, con destinazione Auschwitz.

L'80 per cento di loro venne ucciso immediatamente con il gas appena arrivati. Si salvarono in 16: una donna, Settimia Spizzichino, e 15 uomini. Nessun bambino è tornato indietro. Ogni anno andiamo a commemorare al cimitero del Verano, davanti al memoriale per i deportati romani eliminati nei campi di concentramento, come omaggio alle vittime della Shoah e delle loro famiglie, senza ricorrenza, senza cerimoniale, in assoluto riserbo. Ma stamattina sono stato in Campidoglio, come presidente della Commissione cultura e come relatore di questo provvedimento, alla presentazione, con il sindaco di Roma e la comunità ebraica, di una mostra significativa dal titolo altrettanto significativo, I sommersi, volta a commemorare quel tragico avvenimento attraverso l'esposizione di documenti, giornali, disegni, fotografie, oggetti di vita quotidiana di persone - donne, uomini e bambini - arrestate quel giorno e mai più tornate.

Ci tengo a sottolineare che queste persone, queste famiglie, questi bambini, questi vecchi, queste donne e questi uomini erano romani, erano italiani, e questo deve far riflettere sull'importanza di una memoria comunitaria. Cito alcuni dei loro nomi, dei testimoni diretti che hanno contribuito a conservare la memoria con i propri oggetti.

La famiglia Citoni, residente nel quartiere Trastevere: restano in ricordo pochi oggetti, per lo più posate rinvenute da nipoti, anni dopo, nella cantina del loro appartamento.

Emma Caviglia e i suoi figli Rosa, Leo e Italia Zarfati: erano tornati a Roma da Velletri solo per qualche giorno per riprendere alcuni oggetti lasciati nella loro casa al Nomentano e per salutare i parenti. Il 16 ottobre la famiglia fu sorpresa a casa e rastrellata. La portiera dello stabile ha raccontato che era riuscita a far passare la piccola Rosa per sua figlia, ma la bambina, vedendo portar via la madre, la chiamò a gran voce e fu unita al gruppo. Nessuno di loro farà mai ritorno.

Enrichetta Anticoli il 15 ottobre litigò con il marito, Leone Di Capua, e in preda alla rabbia lasciò la casa, la sua fede e il suo anello di brillanti, portando con sé le figlie, Rina e Rosina, rifugiandosi nella casa paterna nel quartiere ebraico. Il giorno dopo, insieme al padre, alla sorella e alle due bambine, fu prelevata dalla sua abitazione. Anche loro non faranno mai più ritorno a casa.

E su questo ricordo, su questa memoria comunitaria, è importante non solo osservare, testimoniare e insegnare ai ragazzi - molte scuole visiteranno la mostra - quella che è la memoria visiva dei testimoni, dei documenti, dei nomi. Ma pensate soltanto al silenzio che ci fu subito dopo il rastrellamento. Quelle case vuote, quelle porte aperte, quelle vite spezzate. Ecco, il Museo della Shoah racconterà questa storia, queste storie, questa narrazione.

Come quella di Leone Sabatello: aveva solo 16 anni ed era il figlio più piccolo, abitavano al Portico d'Ottavia, e poi arrivò quel giorno del 16 ottobre 1943, quando in ghetto rastrellarono gli ebrei di Roma e tutti i componenti della famiglia di Leone. Partirono su carri merci della stazione Tiburtina. Su ogni vagone c'erano oltre 40 persone: carri bestiame. Avevano steso una corda e buttato sopra una coperta perché le donne potessero avere dei bagni in riservatezza. Arrivarono a Birkenau e lì furono uccisi.

O anche Sabatino Finzi: Sabatino abitava al ghetto. La mattina del 16 ottobre, quando i tedeschi hanno accerchiato la zona, c'erano il padre di 39 anni, la madre 38, la sorella di 13 anni, i nonni materni e tre zii. Avevano già dato l'oro ai nazisti e in mostra ci sono i documenti dell'oro che era stato preteso dai nazisti qualche giorno prima in virtù di una sorta di salvacondotto della comunità. Sabatino si chiede ancora per quale motivo, insieme a loro, la comunità avesse dato ai nazisti anche tutti gli elenchi delle famiglie e i relativi domicili. Ma poi scoprimmo che anche questo fu oggetto di un rastrellamento nei giorni precedenti nell'archivio della comunità.

La sera prima del rastrellamento erano passati gettando bombe a mano per impaurire la gente e farla rimanere in casa. Quando si presentarono la mattina consegnarono un foglio con le istruzioni, appunto i 20 minuti, una valigetta con cibo, soldi, valori e biancheria. Furono portati al collegio militare, vicino al Santo Spirito. La mattina dopo, alla stazione Tiburtina, erano già pronti i treni con i carri bestiame. Erano tutti convinti di andare a lavorare. Il viaggio durò 8 giorni. Solo in Veneto ricevettero da mangiare, dalle feritoie, cibo portato la popolazione.

Emanuele Di Porto, altra storia: era allora un bambino di 12 anni, che riuscì a sfuggire al rastrellamento del ghetto di Roma grazie alla prontezza e al coraggio di sua madre, che quella mattina, allertata dai rumori in strada, corsa alla stazione Termini ad avvisare il marito di non tornare a casa, ma che cadde catturata a piazza delle Tartarughe, dove, insieme ad altre centinaia di persone, venne caricata sui camion.

Oggi, finalmente, con questo provvedimento, si dà concretezza a questa memoria comunitaria. un progetto firmato dagli architetti Zevi e Tamburini, che concepirono il museo proprio come scatola nera della memoria. Cito le parole di Zevi: “Perché in qualche modo la Shoah è un suicidio culturale e civile dell'Europa”.

Veniamo ora alla parte tecnica del provvedimento in esame. Il comma 1 prevede che, al fine di concorrere a mantenere viva e presente la memoria della tragedia della Shoah e realizzare il Museo della Shoah, con sede a Roma, il Ministero della Cultura partecipa alla Fondazione Museo della Shoah in Roma, ai sensi del codice dei beni culturali. Il comma 2 dispone che, alla gestione del museo, provvede la Fondazione Museo della Shoah.

Il comma 3 stabilisce che la Fondazione Museo della Shoah sia posta sotto la vigilanza del Ministero della Cultura che programma le attività museali anche tenuto conto degli indirizzi della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tale attività è svolta dal Ministero nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. Il comma 4 autorizza - per la realizzazione e il funzionamento del Museo - la spesa di 4 milioni di euro per l'anno 2023, 3 milioni di euro per l'anno 2024, 3 milioni di euro per l'anno 2025 e di 50.000 euro annui a decorrere dall'anno 2026, ivi provvedendosi, quanto ai 4 milioni di euro per l'anno 2023, ai 3 milioni di euro per l'anno 2024 e ai 3 milioni di euro per l'anno 2025, finalizzati alle spese necessarie alla realizzazione del Museo, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale. Il comma 5 prevede poi che il Ministro dell'Economia e delle finanze sia autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio. Stiamo parlando di un progetto che la città attende da molti anni; io ero addirittura presidente della commissione cultura di Roma Capitale quando iniziò e anche per questo si spiega la mia emozione, avendo seguito la genesi di questo processo.

La comunità ebraica di Roma è oggi una fra le più numerose d'Italia e, se gli ebrei italiani iscritti nelle comunità italiane sono circa 30.000, va sottolineato come quasi la metà viva a Roma. Il 27 gennaio 2004 venne realizzata la partita della memoria allo stadio Olimpico, un evento nato da una visione di Riccardo Pacifici a cui rivolgo i saluti. Riuscirono a portare per quell'evento Elie Wiesel; lo scopo era quello di mettere in agenda la realizzazione di un Museo della Shoah a Roma. Sono già iniziati i lavori a Villa Torlonia oggi: lo abbiamo annunciato, lo abbiamo fatto in 11 mesi. Vorrei sottolineare che il percorso parlamentare che ci ha portato qui in Assemblea è stato caratterizzato da un clima particolare di condivisione, convinzione e trasversalità, che ha legato, non solo il Parlamento e il Governo, ma anche tutte le forze politiche. Ringrazio quindi il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il Ministro Sangiuliano e tutti i colleghi di maggioranza e opposizione.

Colleghi, noi abbiamo il dovere di ricordare: è un dovere che resta impresso nelle parole terribili e spietate, giustamente spietate, di Primo Levi: “La Shoah è una pagina del libro dell'Umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria” (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, il Ministro della Cultura Sangiuliano, che si riserva di farlo in sede di replica.

È iscritta a parlare la deputata Grazia Di Maggio. Ne ha facoltà.

GRAZIA DI MAGGIO (FDI). Grazie, Presidente. Signor Ministro, onorevoli colleghi, è innegabile che la discussione che stiamo affrontando assume oggi una valenza simbolica particolare che si lega sia al conflitto tragico in Israele, sia all'anniversario che cade proprio oggi appunto del rastrellamento del ghetto di Roma, avvenuto il 16 ottobre del 1943, 80 anni fa. Quindi, l'ombra del passato, da una parte, e il frastuono del presente, dall'altra, ci ricordano che i valori che ci tengono assieme non possono essere dati per scontati o considerati conquistati una volta per tutte. Servono sempre la memoria di ciò che è stato e l'impegno quotidiano per rendere vivi e proteggere il patrimonio comune che ci definisce come uomini. Il massacro, che in questi giorni si sta compiendo in Israele, l'odio razziale e la violenza cieca contro donne, bambini e anziani ci dimostrano ed esprimono la volontà di annientamento di un popolo con una ferocia, con una sistematicità e con una pervasività che noi credevamo di aver consegnato ormai alle pagine di storia, ma evidentemente ci sbagliavamo. Ecco perché, con questo disegno di legge oggi siamo chiamati a dare un segnale fondamentale all'intera Nazione e, soprattutto, alle generazioni future, aggiungendo un ulteriore tassello importante nella costruzione del mosaico dei principi fondanti, tra cui, al primo posto, la dignità dell'uomo che affermiamo oggi, e sempre fortissimamente, contro ogni pulsione che la voglia ridurre a cosa o ad oggetto, contro alienazione, mercimonio che ne faccia smarrire il valore unico e irripetibile, aprendo così le porte a discriminazioni, a privazioni materiali o addirittura all'eliminazione fisica. La Shoah segna una delle pagine più oscure della storia dell'umanità, un orrore che ha profondamente colpito anche la nostra Nazione.

È un dovere quindi assicurare che la memoria di tali eventi e le loro conseguenze non rimangano un mero esercizio di stile ed è proprio il Governo Meloni infatti a portare a Roma, nella capitale d'Italia, l'istituzione del Museo della Shoah, accanto ad altre città europee sicuramente importanti, dopo anni di Governi non eletti dal popolo.

Questi, signor Presidente, sono fatti e non vane parole, questo è un patrimonio che ci deve unire e non dividere. Questa iniziativa del Governo Meloni ha trovato la sua unanimità al Senato, segno di una volontà comune e auspico che lo stesso avverrà anche qui alla Camera, come segnale delle scelte positive e delle scelte di buonsenso fatte appunto da questo Esecutivo. Ma soffermiamoci anche sull'importanza dei musei nel nostro Paese e nella storia d'Italia.

I musei sono tasselli imprescindibili di una società civile, dove la memoria va custodita, va salvaguardata e va tramandata. Come ha affermato, in occasione dell'inaugurazione del binario 21, il Ministro della Cultura Sangiuliano - a cui va il nostro ringraziamento per gli sforzi fatti in tal senso e che onorano l'Italia intera -, la memoria non deve essere una rievocazione del passato, ma ha senso se è un antidoto per non ricommettere gli errori del passato; deve essere un antidoto contro l'antisemitismo, sentimento inumano.

Per noi, coerenti patrioti, questa era una priorità, nonostante altri abbiano fatto proclami in passato. Come ben chiarisce la relazione stessa originaria depositata dal Governo, il Museo si affiancherà anche ad altri musei dedicati alla Shoah in altre capitali del mondo - pensiamo allo Yad Vashem di Gerusalemme o al Mémorial de la Shoah di Parigi o al Memoriale di Berlino, per citarne alcuni - e si affiancherà anche alla Fondazione del Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah con sede a Ferrara, attesa la mancanza proprio nella capitale italiana di un luogo simile riferibile al Ministero della Cultura e dedicato alla storia dell'Olocausto.

La necessità, quindi, di istituire anche a Roma il Museo della Shoah si spiega facilmente non solo per il grande valore simbolico che, in virtù del collegamento con la capitale e il Ministero, ciò assume nella coscienza del Paese, ma anche in ragione del fatto che Roma, come è stato anticipato dal relatore Mollicone, è sede di una delle comunità ebraiche più antiche d'Europa; risulta infatti che i primi ebrei si insediarono nel II secolo avanti Cristo e, anche in ragione di tali fattori storici, la comunità ebraica di Roma è oggi una fra le più numerose d'Italia.

Se gli ebrei italiani iscritti nelle comunità italiane sono circa 30.000, ebbene, la metà vive a Roma e lo stesso ghetto ebraico di Roma è considerato il più antico del mondo occidentale. Queste sono dunque ragioni che confermano l'opportunità della scelta che noi stiamo compiendo.

Questo museo quindi non sarà solo uno spazio per la cultura, ma anche un luogo di condivisione, di riflessione e di apprendimento. Il custode di una storia è anche un elemento sociale essenziale per la costruzione della comunità, offrendo l'opportunità ovviamente di conoscere anche gli errori del passato. Uno dei tratti distintivi di una comunità forte è la sua capacità di coltivare e condividere la memoria e il Museo della Shoah sosterrà questo obiettivo, fornendo spazi in cui la storia potrà essere esplorata da tutti, senza restrizioni, per promuovere non solo la comprensione e la consapevolezza, ma anche i principi della nostra società.

La proposta che oggi esaminiamo risponde poi anche ad una seconda fondamentale sfida: mi riferisco alla necessità di prevenire quei fenomeni legati all'antisemitismo, utilizzando al meglio gli strumenti che abbiamo nelle nostre mani, quindi l'educazione, la cultura, la conoscenza della storia. A noi spetta non solo raccogliere e analizzare, ma capire come dobbiamo agire, partendo dal presupposto che la storia va conosciuta per il bene dell'Italia, ma ancora di più per la difesa della vita in un perimetro europeo che garantisca a tutti dignità e valori.

È una responsabilità che presuppone coerenza fino in fondo. Anche da parte di chi si attiva va chiarito che non si sceglie un pezzo di storia da ricordare, combattere e difendere, ma è un tutt'uno: se non si comprende la profondità, la gravità e la mutevolezza del fenomeno nel suo insieme non lo si può affrontare. Quindi, la sfida che abbiamo davanti coinvolge ciascuno di noi, coinvolge il Parlamento, la società civile, le scuole e i mezzi di informazione. Tutti insieme dobbiamo costantemente nutrire il nostro impegno verso la memoria, coltivando la consapevolezza nelle nuove generazioni e intensificando gli sforzi per preservarla.

Dobbiamo contribuire a formare una Nazione consapevole e impegnata perché solo in questo modo la comunità si arricchisce. Oggi è una data storica, signor Presidente: con il Governo Meloni si inaugura il tempo della verità, il tempo delle scelte, il tempo del coraggio e forniamo all'Italia e agli italiani il compito di mantenere viva e di mantenere presente la memoria della storia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, relatore, Ministro, rappresentanti del Governo, oggi è il 16 ottobre 2023, lo hanno ricordato il relatore e il primo intervento. Sono trascorsi 80 anni dal giorno del rastrellamento degli ebrei di Roma, quel giorno in cui, dalle primissime ore, la morsa nazifascista si strinse intorno alla comunità ebraica romana, partendo dalla periferia fino al centro, fino al Portico d'Ottavia, al Ghetto. Un'operazione pianificata nel minimo dettaglio per non lasciare scampo, il sabato nero del Ghetto di Roma. Vennero catturate 1.259 persone, tra loro 207 bambini, anche un neonato, destinato a nascere e morire in pochi giorni. Tra loro anche Carolina Milani, che non era ebrea ma che assisteva Enrichetta De Angeli, che era molto malata e che non volle lasciare da sola. La accompagnò ad Auschwitz fino alla morte, con lei nei treni, nei carri bestiame che portarono tutti e tutte loro allo sterminio. Al loro arrivo nel campo di concentramento, 820 prigionieri furono inviati immediatamente alle camere a gas e altri 196 furono invece selezionati come lavoratori schiavi. Di tutte e tutti loro tornarono solo 16 persone, 15 uomini, Michele Amati, Lazzaro Anticoli, Enzo Camerino, Luciano Camerino, Cesare Di Segni, Lello Di Segni, Angelo Efrati, Cesare Efrati, Sabatino Finzi, Ferdinando Nemes, Mario Piperno, Leone Sabatello, Angelo Sermoneta, Isacco Sermoneta e Arminio Wachsberger, e un'unica donna, Settimia Spizzichino, numero di registrazione 66210, nata due volte, il 15 aprile del 1921 e poi il 15 aprile del 1945, quando venne liberata dagli angloamericani nel campo di concentramento di Bergen Belsen. Dopo 18 mesi di inferno aveva 24 anni e pesava appena 30 chili. Sono passati 80 anni oggi e ogni anno che passa in più deve rafforzare il nostro impegno per coltivare la memoria di ciò che è stato. Una memoria che non è fatta solo di date, che non è fatta solo di numeri ma che è fatta anche di nomi e, dietro ciascun nome, c'è una persona, c'è una vita, c'è una famiglia.

Lo abbiamo ricordato anche ieri in una staffetta per la memoria che ha attraversato la città, partendo proprio dal ponte Settimia Spizzichino fino al Portico d'Ottavia, passando di fronte a ogni portone, passando di fronte a ogni luogo che ci richiamava questa storia. È stata una grande emozione vissuta personalmente insieme alle tantissime iniziative che sono promosse in questo momento da una grande collaborazione istituzionale.

Penso che la nostra iniziativa di oggi si leghi idealmente alle tantissime iniziative in corso in tutta questa settimana nella città, che sono frutto di un'iniziativa promossa da Roma Capitale, con il contributo del Ministero dell'Interno, in collaborazione con la comunità ebraica di Roma, la Fondazione Museo della Shoah e l'UCEI. Questa iniziativa è resa possibile da un finanziamento straordinario concesso grazie a un emendamento presentato durante l'ultima manovra finanziaria dal nostro collega Claudio Mancini e grazie al sostegno di tutte le forze politiche.

Vi è stata una grande collaborazione istituzionale che avrà un coronamento nelle prossime ore quando, alle 16,30, dalla piazza del Campidoglio fino al Portico d'Ottavia ci sarà una grande manifestazione e, poi, ci sarà la possibilità di essere uniti in quel luogo tutti e tutte in un momento così importante per la storia di questa città. È un'occasione di memoria, sicuramente. Noi dobbiamo costruire il ricordo di un orrore di cui non abbiamo foto, perché perfino i nazisti vollero nascondere al mondo l'orrore di quella giornata, non documentando, come erano soliti fare, le proprie azioni. Forse lo fecero perché sarebbe stata la prova di una promessa tradita, di quella promessa di 50 chili di oro per evitare quello che poi, invece, decisero di fare. Però, restano sicuramente le memorie dei sopravvissuti, restano le memorie di chi è scampato a quel rastrellamento e lo ha fatto sicuramente grazie alla capacità di donne e uomini che hanno saputo, in pochi minuti, trovare il modo di sottrarsi ma anche grazie all'impegno di romane e romani che non si sono arresi all'orrore e che hanno rischiato la vita propria e della propria famiglia per salvare un amico, un collega, un vicino, nascondendoli, facendo il possibile per sottrarli a questa furia. Non ci sono stati, infatti, solo gli italiani che hanno venduto ai nazifascisti per pochi spiccioli la vita degli ebrei, non ci sono stati solo loro in quel giorno e nei giorni a seguire. Ogni volta che il nostro sguardo incontra una pietra d'inciampo datata oltre il 16 ottobre, dobbiamo pensare al fatto che dietro ciascuna di quelle morti c'è spesso la mano di un cittadino che ha scelto di collaborare con lo sterminio, ma ci sono anche i giusti che meritoriamente vengono ricordati dai Civici Giusti, che raccontano le storie di quelle chiese, di quei palazzi, di quei magazzini e di quei sottoscala della nostra città dove, durante l'occupazione, hanno resistito e hanno aiutato delle persone a salvarsi. Quei luoghi, i luoghi dell'orrore, segnati dalle pietre d'inciampo, e i luoghi della speranza, segnati dai Civici Giusti, sono disseminati per la capitale e ci portano a pensare quanto Roma sia e debba essere un immenso museo a cielo aperto della memoria.

Di questo immenso museo a cielo aperto il Museo della Shoah è un elemento indispensabile. Il disegno di legge in esame riconosce, infatti, l'importanza della costruzione nella nostra capitale di un Museo della Shoah, è un fatto storico. Voglio ringraziare il Governo per la scelta di destinare 10 milioni di euro al coronamento di questo grande progetto. Ripetendo quanto hanno detto tutti prima di me, il Ministero partecipa alla Fondazione Museo della Shoah, costituita nel 2008, e finanzia con 10 milioni di euro l'allestimento e il funzionamento del Museo, a decorrere dal 2026, con 50.000 euro annui, dettando poi disposizioni riguardanti la copertura finanziaria e la sua gestione. Stiamo parlando veramente di un progetto atteso da tanti anni, lo dico anche con una certa emozione come parlamentare e come romano. Intervengo oggi con, al mio fianco, la presidente di gruppo in Commissione cultura Irene Manzi, Michela Di Biase, Paolo Ciani. È veramente una grande emozione per tutto il nostro gruppo essere qui, perché conosciamo l'origine di questo progetto.

Già nel 1998, sotto la guida di Francesco Rutelli, si era dato avvio a una progettazione ed erano state individuate le prime possibili localizzazioni. Poi, la scelta forte, fortissima, di grandissimo valore politico, di Walter Veltroni nel 2005, quando viene collocato definitivamente nell'area intorno a Villa Torlonia. Penso che abbia un grande valore il fatto che, oggi, questo percorso, questa storia, questa storia di impegno vengano coronati da un Governo di destra, guidato da Giorgia Meloni, a testimonianza di come non ci debbano essere su questo tema differenze e distanze ma ci debba essere un lungo percorso di collaborazione.

Ha un valore anche la scelta di questa collocazione, lo ha ricordato il relatore Federico Mollicone nel suo intervento. Come è stato annunciato, sono partiti i lavori, sono partiti i cantieri. Ma dove sono partiti? Sono partiti lì, a pochi passi da quella che era la residenza di Mussolini, per non dimenticare mai neanche le nostre responsabilità, le responsabilità del fascismo e degli italiani, non di tutti, fortunatamente. Lo abbiamo detto, ci sono i giusti, ci sono gli eroi, c'è la resistenza, e dobbiamo sempre di più coltivarne il ricordo positivo.

Ma c'è una responsabilità politica e storica italiana anche nell'orrore dell'Olocausto, che non può essere dimenticata. Lo ha ricordato anche la senatrice Cecilia D'Elia intervenendo al Senato, ricordando le parole del progetto firmato dagli architetti Luca Zevi e Giorgio Tamburini. Da chi lo ha disegnato, non a caso, è stato pensato come una scatola nera, perché la Shoah è un suicidio culturale e civile dell'Europa. Il progetto di sterminio degli ebrei e delle altre minoranze è un suicidio perché attaccare gli ebrei e tutte le minoranze, come i rom, i sinti, i portatori di handicap e i cittadini affetti da malattie mentali, è negare i valori europei.

Questa scatola nera è una scatola nera di cui abbiamo tutti bisogno. È naturalmente un'iniziativa che va a collocarsi insieme a tante altre iniziative, agli altri musei che esistono, dalla Fondazione

Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara al Memoriale della Shoah di Milano. Abbiamo bisogno di più memoria e anche della capacità di dialogare insieme. Sicuramente, si realizza e si corona un percorso oggi, ma resta sullo sfondo una grande domanda. Penso che, se noi dobbiamo dare un senso anche al fatto che tra le tante iniziative che si svolgono fuori da quest'Aula ci sia anche un momento di confronto parlamentare, oggi, qui, è anche per affrontare questa domanda, che non guarda al passato, che guarda al futuro.

Non potranno rispondere solo le istituzioni: sarà il compito della Fondazione, sarà il compito delle istituzioni che la sosterranno, sarà il compito della comunità ebraica, di tutta la comunità cittadina romana, di tutto il mondo culturale del nostro Paese. Adesso che i cantieri sono partiti e il museo aprirà, dobbiamo rispondere alla domanda di cosa fare di un Museo della Shoah nel nuovo mondo in cui stiamo entrando, che stiamo vivendo e che stiamo attraversando, come fare qualcosa di utile per debellare quell'odio antiebraico che esiste e resiste, nonostante tutte le iniziative della memoria che abbiamo fatto in questi anni.

Perché noi ce l'abbiamo messa tutta, da punti di vista diversi, da storie diverse, per cercare di mettere in campo qualcosa che potesse debellare quest'odio, ma se c'è un aspetto che non può essere contestato da nessuno dell'attacco di Hamas - che ce lo ha ricordato nel modo più drammatico e doloroso - è il numero di morti più alto in un solo giorno dall'Olocausto ad oggi, in un solo giorno, nello Stato di Israele, è l'obiettivo che ha portato a questi morti, a questa immane carneficina, al di là dei modi e dei metodi che ricordano pagine scure, nere del nostro passato. C'è quell'obiettivo: la distruzione dello Stato di Israele e del popolo ebraico. Non sconfiggere Israele, ma distruggere Israele. È un qualcosa che esiste e resiste, nonostante tutto, nonostante la democrazia, nonostante la libertà, nonostante le nostre iniziative, nonostante tutto quello che abbiamo fatto, nonostante la memoria, nonostante tutti i musei, nonostante tutti i film, nonostante tutte le canzoni, nonostante tutti i momenti in cui abbiamo cercato di costruire un antidoto a questo male, un antidoto a questo odio.

E noi abbiamo un dovere storico; Piero Terracina - ieri, in questa staffetta per la memoria, in bicicletta siamo passati per Monteverde, dove lui era scampato al rastrellamento, ma poi non alla deportazione, da cui era tornato, unico della sua famiglia - ci ricordava che la memoria è un filo tra presente e futuro. Ecco, noi a questa domanda dobbiamo dare una risposta e il Museo della Shoah nasce per dare una risposta a questa domanda: cosa dobbiamo fare di più di quello che abbiamo fatto fino a oggi per cercare di curare le ragioni di quella malattia, che non abbiamo ancora superato, nonostante la Shoah - e parlo come umanità -, cosa dobbiamo fare per realizzare davvero quelle due parole che ciascuno di noi sente nel cuore ogni volta che vede un'immagine, che gli ricorda quel punto più nero e più basso della storia dell'umanità, quelle due parole, quel “mai più”, che però bussa ancora alle nostre porte.

Noi questo “mai più” lo dobbiamo costruire insieme, senza divisioni politiche tra maggioranza e opposizione, tra destra e sinistra, perché sono i valori della nostra Costituzione. Come ci ha ricordato anche oggi Nicola Zingaretti, raccontando una pagina di vita personale, e nel raccontarci questa sua esperienza di vita ha ricordato l'importanza di sconfiggere la cultura dell'odio, questi valori, sono scolpiti nella nostra Carta costituzionale: l'importanza del nostro articolo 3, l'importanza di quello che noi abbiamo voluto dare come senso di direzione al nostro futuro. Però, quel male c'è ancora, dobbiamo combatterlo e il Museo della Shoah nasce per questo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e del deputato Mollicone).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dalla Chiesa. Ne ha facoltà.

RITA DALLA CHIESA (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il disegno di legge in esame di iniziativa del Governo, già approvato all'unanimità dal Senato, istituisce a Roma il Museo della Shoah, permettendo anche alla capitale di affiancarsi alle grandi città del mondo che già hanno un luogo della memoria, come Gerusalemme, Washington, Berlino e altre.

Nel luglio scorso, dopo l'approvazione al Senato, la proposta è stata accolta con favore alla Camera. I gruppi parlamentari, infatti, hanno rinunciato a qualsiasi istruttoria legislativa o presentazione di emendamenti durante l'esame in Commissione, proprio per permettere un percorso veloce. Sul testo del disegno di legge, Forza Italia ritiene che non ci siano problemi da segnalare, la previsione è che lo Stato sostenga l'istituzione del museo, con la partecipazione del Ministero della Cultura alla Fondazione Museo della Shoah.

La Fondazione, per 15 anni, 15 lunghissimi anni, si è battuta, incoraggiandoci in ogni modo per la creazione del museo a Roma, proprio perché tutti debbano sapere che cosa è stato e cosa ha rappresentato per il popolo ebraico l'Olocausto, con tutti i suoi orrori, e perché nessuno debba mai permettere in alcun modo che la memoria di quell'atrocità venga sbiadita o venga dimenticata.

Devo dire che parlarne in questi giorni sembra un incubo mai finito, sembra di essere tornati indietro, non c'è una memoria da conservare, ma un presente che si è ripresentato puntuale, come allora, per rinnovare un dolore che è identico a quello di tanti anni fa, un presente di una violenza inaccettabile, come lo fu quella di 80 anni fa, esattamente oggi.

L'abbiamo già detto, l'ho sentito ripetuto, ma non fa male ripeterlo: il 16 ottobre del 1943, all'alba, gli occupanti nazisti delle SS rastrellarono 1.259 persone dal ghetto ebraico di Roma; non tornò quasi nessuno da quel rastrellamento. Tornarono soltanto 16 persone e una donna, Settimia Spizzichino. Grazie a lei, alla sua sofferta testimonianza, al dolore dei suoi ricordi, noi siamo riusciti a conoscere quello che era successo in quel devastante campo di morte che è stato Auschwitz. Anche se lo conosciamo, non è male ripetere il fatto che, per esempio, ci fu un ricatto dei nazisti, che chiesero ai rappresentanti della comunità ebraica romana 50 chili d'oro in cambio della loro incolumità, avendo già deciso che anche se avessero ottenuto quello che volevano, che chiedevano, avrebbero comunque eseguito l'ordine di sterminio che era arrivato dalla Germania. Poi, la scelta del sabato, giorno festivo per il popolo ebraico, quindi, avevano la certezza di cogliere più persone possibili dentro le loro case. Ancora, la grande vigliaccheria della polizia italiana fascista e di altri cittadini traditori che fornirono ai tedeschi gli indirizzi degli ebrei romani e tutte le informazioni per il rastrellamento.

Io, personalmente, vado spesso al ghetto ebraico, lo amo profondamente e invito tutti, soprattutto i più giovani, a visitarlo con gli occhi di chi vuole capire, entrando negli androni dei palazzi e cercando per terra i nomi e i numeri delle vittime deportate, che sono incise su mattonelle per terra, fermandosi a leggere quel presidio di memoria che sono le pietre d'inciampo e tentando di immaginare l'orrore di quel 16 ottobre del 1943.

Una ferita insanabile è stata definita dal Presidente Sergio Mattarella, recatosi a commemorare quell'abisso dell'umanità che avremmo dovuto impedire ad ogni costo che si ripetesse. E il Papa, ieri, all'Angelus, a distanza di ottant'anni, si è ritrovato a dire: basta guerre, i conflitti sono sempre sconfitte.

E ho trovato chiarissime anche le parole del nostro Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani, che si è recato in Israele per sottolineare la vicinanza dell'Italia a questo popolo e per accertarsi della sicurezza degli italiani, perché ce ne sono ancora tre, che non si sono trovati, che sono ancora presenti nella regione. Il Ministro ha ribadito che noi ci poniamo come portatori di pace e che siamo contro Hamas, non contro la Palestina, e che Israele ha tutto il sacrosanto diritto di vivere e di difendersi, di esistere.

Io mi e vi chiedo: non è un olocausto anche quello che il popolo ebraico sta vivendo in modo disumano proprio in questi giorni? Ci rendiamo conto di quanto siano simili le atrocità dei nazisti di allora e quelle di Hamas di oggi? È stato detto: “mai più”, e invece la storia continua a ripetersi. A ogni famiglia è stato strappato un componente della famiglia; sono tutte famiglie decapitate e non c'è una sola famiglia israeliana che non abbia avuto un morto all'interno della sua famiglia.

Le nuove generazioni israeliane stanno rivivendo quegli abissi di odio, di persecuzione, di sofferenza e di morte, già vissuti dalla vecchia generazione e l'Occidente non può stare a guardare, dividendosi su chi ha ragione e su chi ha torto. Non servono - o non servono soltanto - le manifestazioni: si deve intervenire e basta.

Abbiamo il dovere morale di proteggere israeliani e palestinesi vittime civili di questo eccidio e di fermare le atrocità con ogni mezzo e ogni costo. Ricordiamocelo sempre, perché sono due popoli, non uno solo. Gli innocenti, le vite perse, sono da entrambe le parti e ricordiamolo ancora, vittime entrambe di un terrorismo cieco, crudele, che vive solo di odio e di sangue, quello di Hamas.

Questo Museo della Shoah sarà testimonianza di quello che non dovrà mai più accadere e dovrà essere per quest'Aula - spero - un segnale di unione e non di divisione.

Signor Presidente, invito i colleghi che non ne avessero avuto occasione di leggere quel bellissimo pezzo di Fania Oz Salzerberg sul Corriere della Sera dell'altro giorno. Vorrei condividerne con l'Aula alcuni passaggi, prima di concludere. Fania è la figlia di Amos Oz, autore, tra l'altro, del romanzo “Una storia di amore e di tenebra”, capolavoro di memoria che riporta anche il resoconto straziante del massacro nazista della comunità ebraica di Rovno. Fania rilegge quelle pagine e riconosce nei racconti del padre la tragedia che si sta abbattendo sul popolo di Israele. Scrive: “Mio padre, per sua fortuna, è scomparso cinque anni or sono. Tanti di noi si consolano, oggi, al pensiero che i propri genitori, la generazione fondatrice di Israele, i suoi combattenti, sognatori e pacifisti, non sono più tra noi per assistere alla tragedia che si è abbattuta un'altra volta sul nostro popolo”. E ancora: “Mio padre non c'è più e non ha visto le atrocità che hanno devastato un'intera regione di Israele a qualche chilometro dalla sua casa di Arad. Ma sento ancora le sue parole: chi non sa distinguere tra i gradi di malvagità - aveva scritto - è destinato a diventare schiavo del male. Mentre Israele barcolla e risponde al fuoco, ci saranno nuovi morti, purtroppo, nuovi innocenti da entrambi i lati, ma noi ci impegniamo nella lotta per la nostra sopravvivenza a non perdere di vista la nostra umanità. Vi prego di guardare dritto negli occhi gli spietati sostenitori di Hamas e di sputargli in faccia. Combattere attivamente il male è l'unico modo per far avanzare il bene”. Queste le parole di Fania. Ricordiamocelo in quest'aula, rimanendo uniti e proteggendo la vita e la dignità dei troppi civili assassinati innocenti in guerra. Grazie Presidente e grazie onorevoli colleghi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cherchi. Ne ha facoltà.

SUSANNA CHERCHI (M5S). Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, dalla VII Commissione è scaturito il voto favorevole e unanime sull'istituzione del Museo della Shoah a Roma per tenere viva la memoria di questa immane tragedia, affinché le future generazioni possano e debbano non dimenticarla mai. C'è stata una piena condivisione, perché tutti crediamo che ciò che è successo durante la dittatura nazifascista non debba più accadere. Tale orrore non dovrà più ripetersi e l'istituzione del Museo servirà soprattutto a questo: a far sì che tutti percepiscano il dolore che può provocare anche una minima distorsione della realtà dei fatti. Come disse il Presidente Mattarella, nonostante si leggano tanti libri o si guardino i video, solo vedere dal vivo quanto è accaduto dalla reale misura di cosa ha significato davvero la Shoah. A tale proposito, vi vorrei raccontare una mia presa prima presa di coscienza di quanto è avvenuto in quegli anni.

Mio padre era un alto dirigente della difesa e un giorno tornò a casa e iniziò a farci vedere un documentario. Quel giorno c'erano anche i miei parenti e ricordo il pianto di mia zia e di mia madre, rimaste esterrefatte di fronte a quello che vedevano. Io ne rimasi talmente sconvolta - ero una bambina - che ogni volta che vedevo film o documentari sull'argomento - alcune immagini e suoni mi sono rimasti talmente impressi nella mente, come la retata dei tedeschi nel ghetto o il rumore degli scarponi chiodati - era tutto talmente surreale che mi sentivo male ogni volta che vedevo quell'orrore davanti ai miei occhi: la dignità umana calpestata, per sempre.

Trovo intollerabile che ci siano persone che, ancora oggi, si comportano come se nulla di tutto ciò fosse mai esistito, diffondendo odio, discriminazione e adottando comportamenti razzisti, accettando disegni di svastiche, anche se portate da amici, con leggerezza durante le feste di carnevale. Mi chiedo cosa possano insegnare queste persone alle generazioni future.

Mi ha colpito, come un pugno nello stomaco, il racconto che ha fatto la senatrice Liliana Segre, verso la quale nutro un rispetto, una stima e una considerazione infinite proprio perché non prova alcun risentimento verso i suoi carnefici. Mi ha colpito, quando, con una signorilità che la contraddistingue, raccontava del sopruso e degli abusi, delle torture fisiche e psicologiche che ha dovuto subire da ragazzina da parte degli ufficiali e dei soldati delle SS, il cui unico piacere era quello di umiliarla e di annientare la sua umanità, la sua dignità di bambina, di donna e di essere umano. Sembra incredibile che da tali persone, fatte di carne e ossa, come noi, potesse sprigionarsi il male assoluto per poi magari tornare a casa, alla sera, dalla famiglia e dei figli, come se nulla fosse accaduto.

Il razzismo è pericolosissimo e può raccogliere adesioni soltanto in un popolo ignorante, per usare un eufemismo. Credere che l'intolleranza, la violenza e la prevaricazione siano un diritto del più forte sul più debole è assurdo e barbaro, perché la tolleranza è la conseguenza necessaria della condizione umana ed è il principio fondamentale di tutti i diritti umani: è la conditio sine qua non, di pace e di benessere di uno Stato.

Purtroppo, il razzismo continua a proliferare nell'alveo dell'opinione pubblica, rischiando di sdoganare e normalizzare comportamenti antisemiti e negazionisti da parte di nostalgici del passato, presenti dappertutto, per i quali nutro un profondo disprezzo. Se il mondo fosse tollerante, non ci sarebbero persecuzioni. Non dimentichiamoci che il presidente Conte, quando era a Palazzo Chigi, ha agito sempre, mettendo al centro i diritti fondamentali di ogni persona, confrontandosi, sempre rispettosamente, con ogni interlocutore e applicando quotidianamente la gentilezza alla politica e alle istituzioni e sempre, il presidente Conte, ha sottolineato in questi giorni la necessità di impegnarsi per estirpare ogni forma di intolleranza. Il presidente Conte, nel gennaio 2020, fece adottare in Consiglio dei ministri la definizione operativa di antisemitismo, formulata dall'Alleanza internazionale per la memoria dell'Olocausto, istituendo, presso la Presidenza del Consiglio, il ruolo del Coordinatore nazionale per la lotta contro l'antisemitismo e nominandovi a capo la professoressa Milena Santerini, in ossequio al disposto della risoluzione del Parlamento europeo del 1° giugno 2017 sulla lotta contro l'antisemitismo. Un gesto dall'alto valore politico e umano che incontrò il vivo favore e il sincero apprezzamento della Presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni.

Quindi, è profondamente corretto istituire anche a Roma, così com'è avvenuto in altre città (Berlino, Milano e Varsavia), un museo che ricordi l'orribile sterminio che ha subito la comunità ebraica, affinché la storia non si ripeta mai più; ed ha un forte valore, non solo simbolico, che quest'aula inizi la discussione di questo disegno di legge proprio oggi, 16 ottobre 2023, a ottant'anni dal terribile - terribile! - rastrellamento del ghetto, quando oltre 1.000 - persone, uomini, donne, bambine - vennero deportate ad Auschwitz e solo 16 di loro fecero ritorno a Roma.

Per cui auspico che il museo venga istituito al più presto e venga veramente visitato dalle scolaresche, dai cittadini e dai turisti di tutto il mondo, affinché la memoria rimanga vivida nel cuore di tutti (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bicchielli. Ne ha facoltà.

PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, signor Ministro, attraversando le strade di Roma mi è capitato, diverse volte, come sicuramente è capitato a ciascuno di voi, di camminare su sampietrini particolari, non di pietra, con il solito colore grigio scuro, bensì di ottone. Impossibile non notarli, sono le famose pietre d'inciampo, chiamate così perché chiunque ci si imbatta possa attivare la mente e ricordare che chi è stato deportato da quella casa non era solo un numero, bensì una persona. Se gli occhi non le scorgono, perché distratti da altro, sono i nostri piedi che le notano, perché la loro superficie è diversa dalle altre. È la dinamica della storia dell'uomo, che molte volte non ha scorto immediatamente le conseguenze dei suoi atti, ma alla fine, per forza di cose, vi ha dovuto fare i conti. Non erano semplici atti, la loro superficie era ben diversa, erano orrori, la storia della Shoah, la storia di occhi e coscienze umane che per troppo tempo sono stati distratti da altro, distratti da un'ideologia, cioè dalla logica di un'idea che, in quel momento, sembrava fosse la panacea di tutti i mali dell'umanità, quando, invece, ne rappresentava il punto più atroce e più triste. È una storia, signor Presidente, nella quale vale la pena inciampare. È una storia nella quale abbiamo il dovere di inciampare. È, oggi, anche una giornata simbolo, perché esattamente 80 anni, fa il 16 ottobre 1943, vi fu quell'atto infame nel ghetto di Roma conosciuto come il rastrellamento di Roma, dove i nazisti sequestrarono 1.259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini, lo ripeto, bambini. Alcuni crimini sembrano non passare mai, pensando a quello che stiamo vivendo in questi giorni. Di quei 1.259 deportati, 1.023 furono deportati direttamente al campo di sterminio di Auschwitz e solo 16 di loro tornarono a casa alla fine della guerra e tra quei 16 non c'era nessuno di quei 207 bambini.

Ecco, noi dobbiamo inciampare per ricordare e per mostrare a noi stessi dove può arrivare l'uomo quando si discosta da se stesso, quando si allontana dalla ragione. A Roma ci sono 300 pietre d'inciampo, disseminate in vari quartieri, eppure mancava l'inciampo per eccellenza, mancava un luogo dove non solo i piedi ma anche e, soprattutto, gli occhi potessero inciampare e vedere l'orrore dell'Olocausto. Mancava un luogo dove poter rivivere esperienze, emozioni, testimonianze, per rinnovare il dolore, per condividere il dolore, per curare il dolore. Mancava un Museo della Shoah, così come presente in molte capitali mondiali: Gerusalemme, Washington, Berlino, Londra, Parigi. Roma, come sappiamo, è nota per essere un museo a cielo aperto, oltre che essere sede di innumerevoli musei di prestigio internazionale. Eppure, se questi raccolgono opere di ogni genere che raccontano la bellezza che l'uomo è riuscito a raggiungere, era necessario un luogo anche per narrare l'orrore di cui l'uomo è stato capace.

Per questo, il provvedimento che discutiamo oggi non è come i tanti che passano all'esame di quest'Aula, è un atto che ha a che fare con la storia e con la memoria, è un atto che ha a che fare con la dignità umana, è un atto che ci permette di ricordare fin dove possiamo arrivare se ci allontaniamo dalla ragione, un atto che, in questi giorni, assume un significato ancora più forte, perché, purtroppo, l'umanità dimostra di avere poca memoria e in troppi casi il fanatismo, l'odio, l'ideologia sporca stanno prendendo il sopravvento sulla ragione, sulla fratellanza e sull'amore.

È anche per questo che mi sento di ringraziare il Governo, nella persona del Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che mi fa piacere vedere oggi in Aula, qui con noi, per essersi attivato e aver raggiunto in poco tempo l'obiettivo di compiere tutti i passaggi necessari per la realizzazione anche a Roma del Museo della Shoah, un progetto che la Fondazione Museo della Shoah porta avanti dal 2008, anno della sua costituzione, con la finalità di dotare la Capitale d'Italia di una struttura di grandissima utilità comune, soprattutto per le numerose attività pubbliche dedicate alla Shoah dirette ai giovani e ai docenti, ai cittadini italiani e ai cittadini stranieri, che lì avranno un luogo di riferimento, con personale altamente specializzato. Il Museo della Shoah che la Fondazione vuole realizzare sarà, dunque, un luogo dove gli allestimenti e la raccolta di documentazione, curati dai maggiori storici contemporanei, permetteranno a visitatori, docenti e studenti di conoscere in profondità cosa è stato l'Olocausto, con particolare attenzione ovviamente alle testimonianze italiane e, quindi, di alimentare la memoria. In particolare, la Fondazione, attraverso il museo, intende contribuire alla promozione e alla diffusione dei valori dell'uguaglianza e della pace tra i popoli, con l'affermazione del principio di fratellanza e di accoglienza di ogni diversità, contro ogni forma di razzismo e di discriminazione tra gli uomini, e a mettere in atto, a tal fine, ogni attività necessaria per promuovere e coltivare la memoria della Shoah, oltre, ovviamente, a supportare le altre iniziative pubbliche e private coerenti con il perseguimento dei valori e delle finalità della Fondazione.

Il Ministero della Cultura con il provvedimento in esame intende partecipare alla Fondazione Museo della Shoah e ne assume anche compiti di vigilanza, così come previsto dalla normativa vigente in materia. È un investimento importante. L'investimento economico è pari a circa 10 milioni di euro, divisi per gli anni 2023, 2024 e 2025, un investimento per la realizzazione di un museo che di certo non pareggia sicuramente quello storico, culturale, sociale e di pensiero. Quando si investono risorse per fare memoria di un avvenimento di portata globale, come fu l'Olocausto, il ritorno sarà sempre di gran lunga superiore alla cifra impegnata. Far sì che ragazzi, ragazze, giovani, adulti, italiani e stranieri, possano effettuare un viaggio nella storia grazie al percorso che verrà allestito all'interno del museo significa dare la possibilità che quanto accaduto possa rimanere scolpito nelle coscienze, perché - lo ripeto - solo studiando la storia, ricordando gli errori e gli orrori possiamo provare a non ripeterli. Ma non solo, signor Presidente, significa continuare a contrastare il virus della discriminazione, dell'odio, della sopraffazione, del razzismo che, come ha avuto modo di ricordare più volte il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non è confinato in un'isolata dimensione storica ma attiene strettamente ai comportamenti dell'uomo, e debellarlo riguarda il destino stesso del genere umano.

Diceva Hannah Arendt, nella sua opera massima, Le origini del totalitarismo, che le soluzioni totalitarie potrebbero sopravvivere alla caduta dei loro regimi, sotto forma di tentazioni destinate a ripresentarsi ogni qualvolta appare impossibile alleviare la miseria politica, sociale ed economica in maniera degna dell'uomo. Quindi, se i regimi totalitari, nelle forme e nelle strutture che li hanno caratterizzati, possono storicamente terminare, lo spirito totalitario può tornare a incarnarsi in mille forme e a rimetterci sarà sempre la dignità dell'uomo. Proprio per questo non è solo un bene fare memoria ma anche costruire memoriali in pietra e mattoni, affinché divengano luogo dove si possano instillare nelle coscienze e nei cuori quegli elementi necessari a riconoscere i germi dei totalitarismi, sin dal loro sorgere. Ogni totalitarismo, per radicarsi, ha bisogno di un'idea logica che, in ultima analisi, ha sempre come fine ultimo quello di negare la natura umana e, in modo particolare, la sua costitutiva fragilità, tant'è che l'obiettivo dei totalitarismi era quello di costruire un uomo nuovo, un uomo perfetto, che non potesse commettere errori, un uomo che, per poter rispondere a questa dimensione, non avrebbe dovuto avere legami, non avrebbe dovuto avere relazioni, un uomo che avrebbe, dunque, perso le sue caratteristiche essenziali, diventando un uomo senza una coscienza, un uomo senza una coscienza propria, senza un'anima.

Era questo uno dei tanti esperimenti che si portavano avanti nei campi di concentramento: togliere all'uomo i suoi affetti, togliere all'uomo la sua capacità intellettiva per ridurlo a una semplice macchina, un uomo che rispondesse a dei comandi senza pensare, un po' poi come successe ai gerarchi nazisti che, nei vari processi in cui furono coinvolti dopo la fine della Seconda guerra mondiale, continuavano a difendersi dicendo che loro, nel condurre alla morte milioni di uomini, avevano semplicemente eseguito un ordine, rispettato una norma, rispettato un precetto. Non a caso, Presidente, il granello che iniziò a inceppare, almeno idealmente, la macchina infernale dei campi di concentramento, fu un atto pienamente umano: ad Auschwitz un uomo, un frate francescano, Massimiliano Kolbe, divenuto poi santo, san Massimiliano Kolbe, dinnanzi alla richiesta di pietà da parte di un uomo destinato all'esecuzione, che piangeva disperato all'idea di non poter più rivedere la moglie e i propri figli, si offrì al posto suo; fu un atto di solidarietà che nei campi di concentramento era proibito ma che in quel caso venne inspiegabilmente accolto e dopo settimane senza mangiare dinanzi al suo carnefice in procinto di effettuare l'iniezione mortale Kolbe disse: «L'odio non serve a niente, solo l'amore crea». Quanto è vero, signor Presidente. Noi queste parole dovremmo ricordarle ogni giorno: «L'odio non serve a niente, solo l'amore crea». Quel gesto scosse buona parte del campo e aprì una piccola fessura tra le anime degli aguzzini che rimanevano pur sempre uomini, tant'è che molti superstiti riferiscono che nei giorni a seguire quel luogo divenne meno infernale.

Presidente, affinché non accada più che, in nome di un'idea considerata logica da qualcuno, si arrivi a considerare un essere umano meno degno di vivere rispetto ad altri, è bene coltivare la memoria. Affinché i nostri giovani imparino a comprendere anche le proprie fragilità e ad accogliere quelle degli altri, è bene coltivare la memoria. Affinché i nostri ragazzi imparino a leggere la storia con la propria testa e a interiorizzarla con la propria coscienza, è bene coltivare la memoria.

Signor Presidente, concludo con gli occhi ancora rivolti alle immagini di sabato scorso, di sabato 7 ottobre, e di quanto sta accadendo in Israele, con i cuori ancora spezzati per una storia in cui si continua a sbagliare, con l'istituzione del Museo della Shoah - e ringrazio ancora il Ministro Sangiuliano - si apre una finestra nelle coscienze umane, anche e soprattutto per ricordare all'uomo che la dignità di cui è rivestito non ha prezzo, perché, signor Presidente, per non sbagliare più è necessario ricordare la storia e onorare le vittime di quegli eccidi, perché solo onorandole possiamo ricordare e tramandare, e solo così possiamo imparare per provare a non ripetere più quegli errori (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Naike Gruppioni. Ne ha facoltà.

NAIKE GRUPPIONI (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Ministro Sangiuliano, è per me una grande gioia poter intervenire in Aula su un provvedimento così importante e così atteso, soprattutto in giorni come questi. Un provvedimento che destina finalmente le risorse per l'istituzione del Museo della Shoah a Roma.

Il provvedimento in esame risponde alla necessità di mantenere viva la memoria, soprattutto tra i più giovani, dell'orrore che ha investito anche il nostro Paese durante il regime fascista con l'approvazione delle leggi razziali e culminato poi con la persecuzione e lo sterminio di decine di migliaia di ebrei italiani. Il nostro impegno principale, come ricordato anche dal Presidente della Repubblica Mattarella durante la sua visita a Birkenau, deve essere proprio quello di evitare che tali orrori, in forme nuove e meno riconoscibili, ma visti gli eventi di questi giorni non poi così dissimili possano ripetersi.

Il virus della discriminazione, dell'odio, della sopraffazione, del razzismo, non è confinato in un'isolata dimensione storica, ma attiene, ahimè, strettamente ai comportamenti dell'uomo e debellarlo riguarda il destino stesso del genere umano.

Proprio per questo abbiamo il dovere del ricordo, il dovere di tramandare il ricordo perché sia un monito indelebile nella mente dei giovani e di tutte le nuove generazioni.

In tante altre città già esiste un Museo della Shoah, a Berlino, a Gerusalemme, la martoriata Gerusalemme, Milano, Varsavia e a New York. Non si poteva attendere oltre, anche Roma, la capitale del nostro Paese, nella quale vi è la comunità ebraica più antica del mondo, che opera dal II secolo a.C. e ha saputo tener vivo il tragico ricordo del rastrellamento del ghetto del 16 ottobre del 1943, doveva dotarsi di un percorso museale dalla forte valenza educativa, non solo per mantenere vivo il ricordo di un fatto storico, ma anche e soprattutto per generare quegli anticorpi che possano contrastare il virus che, come vediamo, è sempre minaccioso, sempre in agguato, del razzismo e dell'intolleranza. Credo che sia questo in definitiva lo spirito con cui l'Assemblea deve approvare e licenziare definitivamente in legge il testo in esame.

Il disegno di legge, proprio per le finalità di cui abbiamo detto, prevede la partecipazione del Ministero della Cultura alla Fondazione Museo della Shoah, costituita nel 2008, proprio dalla volontà di dare impulso alla costruzione del Museo nazionale della Shoah a Roma, ed è finalizzata alla realizzazione del museo e a contribuire a tenere viva la memoria della tragedia della Shoah. Correttamente il museo, gestito dalla Fondazione, sarà sottoposto alla vigilanza del Ministero della Cultura il che di fatto consentirà una collaborazione tra i due enti dato che la norma, come modificata al Senato, non affiderà esclusivamente la programmazione delle attività museali al Ministero.

Il disegno di legge, pur di iniziativa governativa, è stato condiviso dalle forze politiche e migliorato: oltre a riconoscere l'importanza della istituzione nella nostra capitale di un Museo della Shoah, oltre a mettere in campo gli opportuni finanziamenti, oltre a mettere insieme la Fondazione e la comunità ebraica di Roma, il MIC e il comune di Roma capitale, giunge in un momento tragico, difficile non solo per lo Stato di Israele ma per tutto il popolo ebraico nel mondo e anche per tutti i cittadini come noi che riteniamo che quel popolo si oggi vittima di attacchi terroristici indiscriminati, vergognosi, diretti contro civili, donne, anziani e bambini. Oggi più di ieri, ora più di allora, abbiamo il preciso dovere di non dimenticare, abbiamo quel dovere della memoria di cui accennavo poc'anzi, abbiamo il dovere di tramandare, di indignarci, di essere vicini alle vittime e non lo saremo se, dopo tanti anni e dopo tante discussioni, non approvassimo convintamente e tutti insieme questa legge (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciani. Ne ha facoltà.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente, il 16 ottobre 1943 è una delle pagine più buie della storia della nostra città di Roma, del nostro Paese, sicuramente la più buia per la comunità ebraica di Roma. Sono passati esattamente ottant'anni da quel sabato 16 ottobre 1943 quando gli ebrei romani furono rapiti dalle loro case e avviati ai campi della morte. I testimoni ce l'hanno raccontata come una mattina fredda e piovosa, un sabato, lo Shabbat, i cittadini ebrei videro piombare nelle loro case i militari tedeschi mentre i camion erano in strada pronti a portarli via dalle loro case. Sono trascorsi ottant'anni e chi ha vissuto quelle tragiche ore all'alba del 16 ottobre del 1943 non c'è più, l'ultimo sopravvissuto al rastrellamento del ghetto di Roma si chiamava Lello Di Segni, scomparso, all'età di 91 anni, nel 2018, attraversò Auschwitz, le macerie del ghetto di Varsavia, Bergen-Belsen, Dachau, prima di tornare a Roma il 10 giugno del 1945. Dobbiamo ricordare questa memoria: di 1024 persone strappate dalle loro case e deportate ad Auschwitz, ne sono tornate solo 16, una sola donna. Purtroppo, quel 16 ottobre fu un punto di arrivo, frutto amaro di una storia drammatica, la storia di un Paese che aveva perso la libertà e che impose discriminazione e odio verso l'ebreo.

Quel provvedimento sembrò corrispondere per alcuni a quell'odio per l'ebreo che veniva da lontano e che da sempre lo considerava estraneo, nemico, complottante eterno contro la nostra civiltà, da cui difendersi. Molti pensavano che la situazione non fosse così drammatica. La discriminazione fu imposta mentre molti la trovavano assurda, ma non potevano parlare perché non c'era libertà. Per gli ebrei romani fu l'ultima tappa, una tappa inaspettata di un triste itinerario iniziato nel settembre del 1938 con la promulgazione delle leggi razziali. Tra queste due date, infatti, esiste un profondo legame. Per molti ebrei romani, infatti, le leggi razziali rappresentarono l'anticamera dei campi di sterminio nazisti. Il 1938 fu un anno cruciale, la vita cambiò in tutti i suoi aspetti, pubblici e privati. Fuuna svolta che coinvolse tutti gli ebrei, dai bambini agli anziani, da chi nasceva a chi moriva, ai bambini allontanati dalle loro classi, nell'incomprensione loro e dei loro compagni. Ma, dicevamo, anche di chi muore perché, dal 1938, ufficialmente gli ebrei non morirono più in Italia: fu vietata, infatti, anche la pubblicazione dei necrologi sui giornali. Dal 1938 gli ebrei in Italia dovevano diventare invisibili. Tuttavia, come avrebbe dimostrato il 16 ottobre, gli ebrei erano molto visibili, facilmente reperibili, erano registrati in una lista, quindi perfettamente identificabili per separare il loro destino dal resto della popolazione romana.

Dopo l'8 settembre 1943, giorno del proclama dell'armistizio di Badoglio, il destino degli ebrei nel Paese fu ancora più incerto. Ma loro, gli ebrei romani, erano riusciti a soddisfare la richiesta del colonnello delle SS, Kappler, di consegnare 50 chili d'oro, che avrebbero dovuto metterli in salvo. Nonostante questo, le SS avevano già sequestrato gli elenchi della comunità ebraica, saccheggiato i templi e le biblioteche, preannunciando una devastazione vera e propria. Quella devastazione arrivò pochi giorni dopo, alle 5,30 di quel sabato mattina, quando le truppe naziste invasero il Portico d'Ottavia. Spuntavano le liste dei cognomi e gli indirizzi. Le SS hanno proseguito, casa per casa, a cercare i capifamiglia ebrei. Avevano dato 20 minuti di tempo per preparare una valigia con cibo, soldi, biancheria, e per poter abbandonare la propria casa. Uomini, donne, bambini, anziani e malati, tutti dovevano uscire di casa e salire su quei camion. In pochi sono riusciti a fuggire, altri hanno provato e pochissimi sono riusciti a salvare i propri bambini. Ma i 1.024 ebrei, di cui più di 270 bambini, non hanno avuto scampo, rastrellati dalle proprie case e trasferiti al collegio militare. Dei deportati del 16 ottobre 1943 ne sono tornati a Roma soltanto 16. Dei bambini, però, non ne tornò nessuno.

Ricordò successivamente, Settimia Spizzichino, l'unica donna tornata: “Fummo ammassati davanti a Sant'Angelo in Pescheria. I camion grigi arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o col calcio del fucile uomini, donne, bambini e anche vecchi e malati, e ripartivano. Quando toccò a noi mi accorsi che il camion imboccava il Lungotevere in direzione di Regina Coeli. Ma il camion andò avanti fino al Collegio Militare. Ci portarono in una grande aula. Restammo lì per molte ore. Che cosa mi passava per la testa in quei momenti non riesco a ricordarlo con precisione. Che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande, spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portato a lavorare? E dove? Ci avrebbero internato in un campo di concentramento? ‘Campo di concentramento' allora non aveva il significato terribile che ha oggi. Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine della guerra, dove probabilmente avremmo sofferto freddo e fame, ma niente ci preparava a quello che sarebbe stato il lager”. Queste le parole di Settimia Spizzichino, raccolte in un libro bellissimo, il cui titolo è un manifesto: Gli anni rubati. Quanti anni rubati a quegli uomini e a quelle donne? Quanti anni rubati agli ebrei uccisi nei campi di concentramento?

Negli anni successivi, Andrea Riccardi ricorda quella mattina. Quel sabato terribile trovò i romani divisi. C'erano gli ariani e gli ebrei, ma erano anche lontani come credenti. Una storia dolorosa che aveva separato i cristiani e i cattolici dagli ebrei, con un muro di ignoranza che qualche volta si fece disprezzo, fatto di poca frequentazione e amicizia. Fu forse la storia di quei mesi a far scoprire a molti cristiani il volto degli ebrei. Credo che taluni ebrei scoprirono volti umani di cristiani. Infatti, se molti furono i delatori che, per pochi soldi, mandarono a morire i loro vicini di casa o i loro conoscenti ebrei, in quegli anni e in quei giorni furono anche tanti ad aprire la loro porta davanti alla barbarie del nazismo e a ospitare tanti ebrei, a cominciare dai bambini. Istituzioni religiose ma anche singole famiglie, proprio accanto al Portico d'Ottavia, l'ospedale Fatebenefratelli e la chiesa di San Bartolomeo all'Isola Tiberina: in tanti aprirono le porte e mostrarono un volto umano davanti alla barbarie. Per questo, per noi è un obbligo ricordare le vicende del giorno più nero, della ferita più profonda della storia degli ebrei in Italia e della nostra città di Roma. Ho avuto la possibilità, direi la grazia, di prendere parte al recupero di questa memoria. Infatti, dal 1994, la Comunità ebraica di Roma e la Comunità di Sant'Egidio hanno iniziato a promuovere una marcia della memoria partita da Trastevere, cioè dal luogo del collegio militare, a ritroso, come i passi al contrario di quegli uomini e di quelle donne, fino al Portico d'Ottavia.

In questi anni abbiamo ascoltato tante voci, ci siamo stretti intorno a tante persone, a cominciare proprio da Settimia Spizzichino, che ricordo, commossa e appassionata, raccontare e parlare al Portico d'Ottavia ai tanti che si erano radunati, e dal rabbino Toaff, colonna dell'ebraismo romano, intorno a cui si è ricostituita la comunità ebraica romana dopo il dramma e la tragedia della Shoah. In questi anni, è rinata la memoria, è cresciuta la memoria, si è allargata la memoria non solo agli ebrei romani, non solo agli ebrei italiani, ma a tutti i cittadini di Roma, a tutti i cittadini italiani, anche a quei nuovi cittadini che a Roma sono giunti in questi anni, ai quali le storie lontane del 1943 non appartenevano ma che hanno imparato a far memoria con noi e che hanno fatto anche di questa memoria un motivo della loro integrazione nella nostra città di Roma.

Per questo, Presidente, è particolarmente significativo che noi oggi parliamo del Museo della Shoah e del fatto che questo Museo della Shoah nasca qui, nella capitale d'Italia, Roma, che ha visto questa pagina oscura abbattersi tra le sue vie. Infatti, non esiste una lotta all'antisemitismo senza la memoria, così come non esiste la lotta al razzismo senza la cultura e la conoscenza. Come tramandare oggi questa memoria? Come tramandare la sciagura e il dramma della Shoah, intorno a cui è nata anche l'Europa, nella memoria di quegli anni tremendi, nella memoria del dramma della Shoah e della guerra? Siamo in un'epoca difficile. Siamo in un'epoca definita di comunicazione di massa, in cui tanti messaggi hanno anche il rischio della banalizzazione. Mi ha colpito in questi anni vedere giovani farsi i selfie di fronte ai luoghi della memoria, di fronte a immagini che richiamano una storia dolorosa. Così come, in questi anni, anche attraverso nuovi strumenti, si è diffuso in maniera nuova e subdola quest'odio, si è diffuso l'antisemitismo.

Pensiamo a quanto odio esiste online, a quanto antisemitismo - ancora tanto - esiste in rete. Credo che, in questi anni, l'Italia si sia dotata di alcuni strumenti preziosi - sicuramente, il giorno della memoria e i viaggi della memoria - e credo sia importante, anche attraverso questo Museo della Shoah, ricordare che i viaggi della memoria sono anche storia italiana. Abbiamo avuto per le nostre strade - penso al Museo della Shoah di Milano - il binario da cui partivano i treni che portavano gli ebrei ai campi di concentramento, ma la Shoah è passata anche per le nostre strade di Roma. La Shoah è passata anche per le vie italiane. Per questo, credo sia stato prezioso il recupero della memoria anche nei termini di una riapertura di fraternità di queste comunità e di queste persone, che non si erano riconosciute come fratelli e sorelle. In tal senso, forse una tappa fondamentale fu la visita in sinagoga il 13 aprile 1986 da parte di Papa Giovanni Paolo II.

Ecco, credo che tutto questo porti a ricordare come anche l'istituzione del Museo della Shoah a Roma possa costituire una tappa fondamentale di questa memoria, perché credo che, senza memoria, non possa esistere una lotta all'antisemitismo, né la costruzione di una società in cui le persone si riconoscono innanzitutto come tali, come persone, senza distinzioni, senza odio, senza alcun razzismo. Primo Levi diceva: “Chi non ha memoria del passato è condannato a ripeterlo”; anche attraverso questo gesto importante, non vogliamo ripetere questo passato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1295​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, presidente della Commissione cultura, deputato Federico Mollicone.

FEDERICO MOLLICONE, Relatore. Soltanto due parole in chiusura per ringraziare tutti i colleghi della maggioranza e dell'opposizione per gli interventi, per sottolineare l'importanza del percorso trasversale e per celebrare, ancora una volta, questo importante risultato.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Prego.

GENNARO SANGIULIANO, Ministro della Cultura. Signor Presidente e signori deputati, il mio vuole essere innanzitutto un ringraziamento per il dibattito che si è svolto in quest'Aula. Mi sento personalmente di fare mie gran parte delle espressioni - quasi tutte le parole e le espressioni - che sono state qui pronunciate da ciascuno di voi.

Vedete, nell'assumere l'incarico di Ministro della Cultura, fra i miei primi atti c'è stato quello di portare in Consiglio dei ministri, dove ovviamente c'è stato un voto unanime e dove c'è stata una forte condivisione del Presidente del Consiglio, il disegno di legge per l'istituzione del Museo della Shoah a Roma. Lo abbiamo voluto fare con legge proprio per dare un significato ben preciso, un significato pesante alla scelta che si stava per fare. Era una cosa di cui si parlava da tanti anni. Finalmente, posso dire che oggi, grazie anche alla collaborazione del Parlamento, questa vicenda è in via di conclusione.

Ringrazio il Senato per aver votato all'unanimità il provvedimento e ringrazio il presidente Mollicone per le parole che ha esposto in quest'Aula.

Credo che, per un caso strano della storia, oggi ci troviamo ad affrontare una discussione sul tema della Shoah nel giorno in cui rievochiamo tragicamente il rastrellamento del ghetto di Roma, che avvenne il 16 ottobre 1943. Io stesso nei giorni scorsi ho partecipato alla presentazione di un podcast voluto dalla Fondazione Museo della Shoah - e ringrazio il Presidente Venezia per avermi invitato - e parteciperò, nel pomeriggio, alle altre manifestazioni e celebrazioni che sono previste qui a Roma, su invito del sindaco Gualtieri. Tuttavia, ritengo che alcuni concetti vadano espressi. Innanzitutto, quello dell'unicità storica della Shoah è un concetto molto importante.

Nella storia dell'umanità, purtroppo, abbiamo avuto tante tragedie e tante persecuzioni nel solo Novecento: pensiamo alle vicende della Cambogia e dell'Armenia, ma la Shoah, per la determinazione del male -, come ci spiega benissimo Hannah Arendt in quel bellissimo libro, La banalità del male -, è qualcosa di unico nel suo genere e nella sua tragicità.

Una delle cose più belle che porterò nella mia esperienza e nel mio bagaglio di Ministro della Cultura è il ringraziamento che ho ricevuto personalmente dalla senatrice Segre, per aver fatto realizzare, tra l'altro in tempi di record, una segnaletica alla stazione di Milano che rendesse chiaro il percorso per arrivare al famigerato binario 21. Voi, con questo atto, votando questo provvedimento, sanate una lacuna che c'era nella città di Roma, perché, come è stato ricordato da molti degli interventi, in tutte le grandi capitali d'Europa esiste un Museo della Shoah - esiste a Parigi, a Berlino, ad Amsterdam -, quindi, era doveroso istituirlo anche qui e, purtroppo, questa iniziativa si incrocia con la tragicità di quello che accade in Medio Oriente, con il massacro terroristico perpetrato da Hamas. Pensavamo che decenni di memoria, di viaggi, di libri, di testimonianze e di letteratura cinematografica anche importante di grandi registi avesse cancellato definitivamente atteggiamenti e comportamenti di questo tipo, invece la storia ci ripropone dinamiche così tragiche. Quindi, la memoria diventa ancor più un dovere, perché può essere un antidoto forte contro la violenza.

Qualcuno di voi ha ricordato le pietre d'inciampo: anche io, quando nel mio quartiere, dove ce ne sono tante, mi trovo a camminare e me ne capita qualcuna, la prima domanda che mi pongo è: qual è la storia umana? Chi sono le persone che sono dietro a queste pietre? Questo è l'interrogativo che porto innanzitutto nel mio cuore e poi nella mia mente. E c'è una storia che voglio rievocare, oggi, e che mi ha sempre tragicamente sconvolto, la storia di un bambino napoletano - voi sapete che sono napoletano -, si chiamava Sergio De Simone, aveva 5 anni e addirittura, non solo fu deportato nei campi di sterminio, ma fu utilizzato come cavia per esperimenti da parte dei medici nazisti; è atroce ripensare a lui. Già iniziative analoghe erano state prese a Ferrara, plaudo anche a questa iniziativa. Quindi oggi con questo museo diamo un contributo fondamentale alla memoria. Voglio anche ricordare - forse è bene informarne il Parlamento - che, personalmente, ho finanziato con un contributo di 3 milioni di euro alcune opere di restauro della sinagoga di Milano: mi sembrava doveroso, perché è un monumento importante e perché sono convinto che la cultura ebraica sia fondamentale per tutta la cultura italiana e che abbia dato un grande contributo alla stessa. E poi, sollecitato in tal senso dal presidente della regione Veneto, Luca Zaia, ho visitato le 5 - alcuni dicono 7, perché ce ne sono 2 all'interno - sinagoghe di Venezia e non farò mancare le risorse del Ministero della Cultura per completare il restauro di queste bellissime sinagoghe. C'è un personaggio storico che mi è molto caro - ne ho scritto anche tanto -, Benjamin Disraeli, il grande Primo Ministro conservatore britannico, quello che collaborò all'epoca della grandezza della monarchia britannica. Ebbene Disraeli era un ebreo di origine veneziana e rifletteva spesso - perché era anche un saggista e uno scrittore - sulla condizione della sua famiglia, che aveva abbandonato Venezia per andare a Londra, dove, per gli ebrei, c'era probabilmente un clima di maggiore libertà. Quindi, grazie davvero a tutti e grazie per il contributo di parole, di idee e di pensieri, per il contributo intellettuale che avete dato a questo dibattito di cui credo tutti dobbiamo essere orgogliosi, perché è stato civile - come deve essere un dibattito in un'Aula parlamentare -, in cui si è portato un contributo di idee, di pensiero e di valori.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Montaruli ed altri n. 1-00160, Di Biase ed altri n. 1-00198 e Di Lauro ed altri n. 1-00200 concernenti iniziative volte a prevenire e contrastare il cosiddetto fenomeno “Hikikomori” relativo all'isolamento sociale volontario, con particolare riguardo alle fasce più giovani della popolazione.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Montaruli ed altri n. 1-00160, Di Biase ed altri n. 1-00198 (Nuova formulazione) e Di Lauro ed altri n. 1-00200 concernenti iniziative volte a prevenire e contrastare il cosiddetto fenomeno “Hikikomori” relativo all'isolamento sociale volontario, con particolare riguardo alle fasce più giovani della popolazione (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Zanella ed altri n. 1-00202 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Zurzolo, che illustrerà anche la mozione Montaruli ed altri n. 1-00160, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

IMMACOLATA ZURZOLO (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe, un senso di inadeguatezza così forte da spingere alcuni giovani a decidere volontariamente di non uscire più dalla loro stanza: potrebbe essere riassunto così il fenomeno dei cosiddetti “Hikikomori”, un ritiro sociale indagato in modo particolare in Giappone (da qui il nome) che, in realtà, si sta espandendo a macchia d'olio anche in Italia, almeno stando ai dati che emergono dalle ricerche demoscopiche, seppur parziali, che indichiamo in premessa a questa nostra mozione.

Una mozione con la quale intendiamo non solo accendere un riflettore su una rilevante questione sociale, ma anche invitare ad attivare iniziative, che consentano di definirne con maggiore precisione l'entità, e risposte nel sistema della sanità pubblica, anche coinvolgendo energie nel mondo scolastico e in quello sempre decisivo del Terzo settore.

L'associazione “Hikikomori Italia, anche estendendo quanto emerso dalla ricerca dell'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, svolta su impulso del Gruppo Abele ed in collaborazione con l'Università della Strada, indica in 100.000 il numero di giovani che vivono questo radicale disagio esistenziale nella nostra Nazione. Esistenze spezzate e segnate, potenzialità di un futuro inespresso e criticità per le famiglie che affrontano una situazione dai contorni poco noti e precisi, con un forte contraccolpo sulle dinamiche relazionali e sulla qualità di vita.

Le istituzioni non possono ignorare questa piaga che colpisce le giovani generazioni, anche inserendola nella considerazione del quadro complessivamente critico della post-pandemia. Una piaga che può allargarsi in questo tempo di emergenza educativa e di angosce sempre più diffuse rispetto alle possibilità di un protagonismo positivo per chi, adolescente o giovane, si affaccia sulla scena del mondo. I giovani italiani devono essere messi nella condizione di essere generatori di futuro. Perché questo possa avvenire bisogna prestare attenzione a non abbandonare alcuno alla reclusione nelle proprie paure e impedire che esse diventino motore di un'esclusione da tutto e da tutti.

Questo fenomeno, ci dicono gli esperti, viene amplificato dalla non conoscenza da parte di chi, riconoscendolo, potrebbe impedirne la radicalizzazione. Siamo di fronte, allora, in primis, all'esigenza di una reale informazione che diffonda consapevolezza presso tutte le agenzie educative. Cogliere i segnali, financo quelli deboli, è indispensabile per ridurre i numeri.

La mozione che vede prima firmataria la collega Montaruli esprime la preoccupazione del gruppo Fratelli d'Italia, ma ancora di più la volontà di innescare un processo di attenzione e buone prassi. In particolare, si intende impegnare il Governo su 8 punti che indicano e sostanziano quell'approccio sistematico che richiamavamo.

Entrando nello specifico, ecco quali sono le attenzioni e le azioni sulle quali chiediamo a tutti voi colleghi di impegnare il Governo.

Il primo punto è attivare presso i Ministeri competenti specifici progetti volti a prevenire e arginare il fenomeno del ritiro sociale tra le fasce più giovani della popolazione.

Il secondo: attivare presso il Ministero della Salute una commissione di esperti atta a formulare un questionario condiviso in grado di individuare i sintomi dell'isolamento sociale volontario nelle sue fasi più precoci e per l'identificazione dei soggetti coinvolti nel fenomeno comunemente chiamato “Hikikomori”.

Il terzo: promuovere periodicamente uno studio su scala nazionale che coinvolga tutte le fasce di età della popolazione circa l'incidenza di tale fenomeno e le sue ripercussioni.

Il quarto: promuovere campagne informative circa il fenomeno sopracitato, anche coinvolgendo l'associazione “Hikikomori Italia, con particolare attenzione alle scuole e alle università.

Altro punto: attivare ogni utile iniziativa per un'adeguata formazione di insegnanti e operatori del settore per una più corretta e puntuale individuazione di tale comportamento per poter prevenire e arginare l'abbandono scolastico e universitario.

Il sesto: adottare iniziative di competenza volte ad attivare presso le regioni protocolli volti al supporto dei soggetti coinvolti e al loro reinserimento nel percorso scolastico e lavorativo.

Il settimo: promuovere misure di supporto psicologico e specifico sia durante il percorso scolastico e formativo sia durante quello lavorativo, con particolare attenzione alle fasce economicamente più fragili della popolazione.

Ultimo punto: potenziare il servizio psicologico presso strutture pubbliche, introducendo misure di sostegno alle famiglie con persone affette da “Hikikomori”, anche valutando la possibilità di promuovere la formazione di comunità ad esse dedicate. Da quest'Aula deve partire un segnale di chiara attenzione alle giovani generazioni. Un impegno rispetto all'isolamento volontario degli adolescenti sicuramente lo è (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Di Biase, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00198 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

MICHELA DI BIASE (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, questa Assemblea si trova oggi a fronteggiare un tema estremamente delicato, che è quello del disagio giovanile. Tutti noi siamo alla ricerca di strumenti e interventi che possano sviluppare una risposta strutturale e adeguata proprio a questo fenomeno in quelle che sono le sue diverse manifestazioni. Lo abbiamo visto, il periodo pandemico ha lasciato strascichi importanti e forse i ragazzi, le nuove generazioni sono quelle che maggiormente hanno dovuto fare i conti con quel periodo - che tutti noi ricordiamo - di grande reclusione. Un periodo di reclusione dalla socialità, dagli affetti, con una conseguente difficoltà per i nostri ragazzi di vivere una socialità normale, come era dovuto, com'è dovuto quando si ha quell'età.

Questo forzato, ma doveroso momento che abbiamo vissuto dunque ha lasciato strascichi importanti e oggi siamo qui a discutere una mozione che parla degli “Hikikomori”, ragazzi che decidono in modo volontario, a tutela di loro stessi - poi tornerò sui connotati del disagio -, di autoisolarsi rispetto al contesto sociale in cui vivono.

Rispetto a questo abbiamo assistito non soltanto al tema degli “Hikikomori”, ma abbiamo registrato un incremento spaventoso di molte delle malattie legate al disagio neuropsichiatrico dei giovani. Lo ricorderanno le colleghe deputate e i colleghi deputati, lo ricorderà il Governo: qualche settimana fa c'è stato un grido d'allarme lanciato dall'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù che, come sapete, ha sede nel territorio della città di Roma, ma che, rispetto all'utenza, raccoglie molti ragazzi provenienti da tutto il Centro e Sud Italia. Questo studio ci dice che c'è un aumento serissimo nella misura quasi del 40 per cento rispetto ad alcune patologie neuropsichiatriche; mi riferisco, ad esempio, a ragazzi che praticano autolesionismo, così come abbiamo visto e registrato un aumento delle patologie legate ai disturbi alimentari, su cui quest'Aula è stata già impegnata qualche settimana fa, con una discussione specifica su questo tema; per non parlare, poi, dello sconcertante aumento dei suicidi proprio nei ragazzi, già a partire dalla giovanissima età. Anche di questo dobbiamo tenere conto.

Il fenomeno che, oggi, noi proviamo ad approcciare attraverso questa mozione è abbastanza recente nel nostro Paese, purtroppo, invece, già molto conosciuto in Giappone, dove da più di vent'anni si ha consapevolezza di che cosa in realtà siano questi ragazzi; il significato del termine “Hikikomori”, lo ricordiamo per chi ci ascolta, è: stare in disparte.

Se si analizzano i dati, che sono a volte noiosi, ma ci aiutano a comprendere e, poi a fornire, immagino, possibili soluzioni di gestione del fenomeno, su cui poi naturalmente arriverò, i numeri che ci vengono enunciati dal Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, che appunto ha fatto questa indagine su un campione di 12.000 studenti tra i 15 e i 19 anni, ci dicono che sarebbero all'incirca l'1,7 per cento del totale gli studenti italiani che soffrono di questo disturbo, parliamo di 50.000 ragazzi. A questi andrebbe aggiunta un'ulteriore fetta, una consistente fetta, che corrisponde all'incirca a 67.000 giovani, il cui disagio potrebbe poi sfociare in questa patologia. Secondo l'associazione “Hikikomori Italia”, addirittura, i dati sarebbero ancora maggiori e, quindi, secondo loro, i ragazzi presenti sul territorio nazionale oscillano tra i 100.000 e i 200.000 individui, perché chiaramente questo è un fenomeno che parte in età scolare, ma che ha degli strascichi anche fuori e al di là dell'età fissata a 19 anni.

Quali sono le prerogative e quali i sintomi che presentano questi ragazzi? L'ansia pare essere uno dei sintomi maggiori, così come questa assoluta difficoltà, appunto, a interfacciarsi con i propri amici, con i coetanei.

Mi preme ricordare come questo fenomeno sia diverso a seconda che ci occupiamo delle ragazze o dei ragazzi. Infatti, i ragazzi “Hikikomori” sono concentrati e utilizzano il loro tempo maggiormente sui videogiochi, invece, le ragazze riferiscono di passare la maggior parte del loro tempo a dormire. È chiaro che, finora - e forse è qui che tutti noi, questo Governo e questo Parlamento, siamo chiamati a fare uno scatto anche rispetto a un cambio di passo rispetto a questo disturbo - il fenomeno degli “Hikikomori” è stato esclusivamente gestito come correlato ad altre patologie, quindi ad altri disturbi psichiatrici, come ad esempio la schizofrenia, la depressione e l'ansia sociale. Ecco, oggi, sappiamo che questo disturbo andrebbe diagnosticato in modo diverso, perché non è detto che un ragazzo “Hikikomori” soffra di questi disturbi che ho appena citato e forse il primo passo per risolvere e affrontare questo disturbo naturalmente è quello di conoscerlo.

Con questa mozione, il Partito Democratico intende portare alla luce il fenomeno, la complessità del fenomeno degli “Hikikomori” e impegnare il Governo rispetto a una strategia complessiva di riconoscimento, ma anche di contrasto del disturbo.

Lo debbo dire, una delle cause più frequenti, come ho avuto modo di dire prima, è l'ansia. Moltissimi di questi ragazzi soffrono di disturbi d'ansia, legati anche alle performance scolastiche, al rendimento scolastico. Io lo voglio dire in questa sede: reputo che sia stato un errore, che sia un errore, il fatto che questo Governo continui a voler descrivere la scuola come la scuola del merito, perché questo volere sottolineare come i ragazzi debbano necessariamente primeggiare all'interno della scuola dell'obbligo è un qualcosa che non aiuta i nostri ragazzi. Ricordo che le proteste degli studenti dei mesi scorsi chiedevano proprio di imparare e non a gareggiare. Quindi, a mio avviso, anche su questo noi dovremmo fare un'inversione di rotta rispetto a quello che dobbiamo chiedere ai nostri studenti.

Ecco, io penso che davvero sia necessario fare una riflessione più attenta rispetto al metodo educativo che vogliamo sostenere. Vogliamo davvero trasmettere ai nostri giovani l'idea che se si è più forti se si arriva prima si è migliori degli altri? Ecco, questa è una valutazione che io mi sento di fare in quest'Aula. I ragazzi, purtroppo, oggi, hanno assorbito questa cultura, una cultura che, chiaramente, viene da lontano; ma penso che dobbiamo dare una mano a invertire la rotta e dobbiamo farlo con atti concreti.

Accanto alla questione del benessere, come dicevo prima, c'è il tema del riconoscimento del disturbo e noi, come Partito Democratico, chiediamo al Governo di sostenere con forza ed urgenza l'iter legislativo per l'istituzione della figura dello psicologo delle cure primarie.

Lo abbiamo detto tante volte nella scorsa legislatura e io voglio ricordarlo anche questa sede: fu grazie all'intervento dell'allora deputato Filippo Sensi, oggi senatore di questa Repubblica, se noi siamo riusciti a dare, in quel momento storico, una risposta concreta alla necessità di tante donne e di tanti uomini e di tanti ragazzi.

Oggi diverse sono le proposte di legge depositate in questo senso e io penso che il Parlamento debba, necessariamente, fare uno sforzo comune, perché non è più procrastinabile l'istituzione di questa figura, di una figura che riesca, sin dalle prime battute e dai primi segni di disagio, che lavori di concerto con il medico di base o con il pediatra di libera scelta, a individuare i campanelli d'allarme e che riesca, in modo soddisfacente, a sostenere le famiglie, che spesso, davvero, vivono con grande solitudine e con grande spavento questi comportamenti dei figli.

Un ruolo fondamentale, come sempre, lo giocherà la scuola e noi siamo convinti che, anche qui, è necessario creare protocolli d'intesa tra il Ministero dell'Istruzione e del merito - e speriamo, insomma, che su questo ci sia un ravvedimento, come ho detto in precedenza - e l'Università e con il Ministero della Salute, perché le scuole, naturalmente, sono tra le prime che potranno investigare e riconoscere questo problema. E poi, naturalmente, considerato che questa è una mozione e parliamo del disagio dei giovani, penso che sia necessario arrivare in quest'Aula a un voto condiviso, perché reputo che i problemi legati al disagio giovanile non possano essere battaglie di uno o di un altro, e ritengo davvero che questo Parlamento debba fare lo sforzo di trovare una sintesi per sostenere realmente e aiutare questi ragazzi che vivono il dramma della solitudine (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Susanna Cherchi, che illustrerà anche la mozione Di Lauro ed altri n. 1-00200, di cui è cofirmataria.

SUSANNA CHERCHI (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e onorevole colleghe, il 16 marzo 2022 l'Istituto superiore di sanità ha pubblicato un rapporto, Istisan 22/5 “Dipendenze da Internet”, con lo scopo di fornire una panoramica sulle principali problematiche legate all'uso di Internet e come contributo per la creazione di definizioni condivise e studi confrontabili. Una parte del predetto rapporto è dedicata alla presentazione del fenomeno emergente del ritiro sociale “Hikikomori” e delle sue implicazioni con la dipendenza da Internet. Secondo quanto emerge da questo studio, dagli anni Settanta del secolo scorso in poi in Giappone è emersa una peculiare forma di ritiro sociale chiamata “Hikikomori”, che è una parola nipponica che deriva dal verbo “Hiku”, che significa tornare indietro, e “Komoru” che significa ritirarsi. Il disturbo del ritiro sociale colpisce principalmente quegli adolescenti o giovani adulti che vivono a casa dei genitori, ma isolati dal mondo. Questi giovani rimangono chiusi nelle loro camere da letto per giorni, mesi o, addirittura, anni, e rifiutano la comunicazione con l'esterno, addirittura, anche con la loro famiglia, usano Internet in maniera compulsiva e si attivano solo per affrontare i loro bisogni fisici primari. Molti giovani che presentano sintomi di ritiro sociale trascorrono più 12 ore al giorno davanti al computer e sono soggetti a rischio di assuefazione da Internet e, fra essi, circa il 10 per cento risponde ai criteri diagnostici per lo sviluppo di una dipendenza. Per aggirare la confusione semantica che circonda la definizione di “Hikikomori”, è stato recentemente proposto un nuovo criterio diagnostico internazionale secondo il quale “Hikikomori” è una forma di ritiro sociale patologico o distacco sociale, la cui caratteristica essenziale è l'isolamento fisico nella propria casa. La persona con tale patologia deve soddisfare i seguenti criteri: marcato isolamento sociale nella propria abitazione; isolamento sociale continuo per almeno 6 mesi; significativa compromissione funzionale o disagio associato all'isolamento sociale. Gli individui con una durata di ritiro sociale di almeno 3 mesi dovrebbero essere identificati come pre-“Hikikomori”. Inoltre, è possibile classificare l'“Hikikomori” come lieve se l'individuo lascia la stanza 2 o 3 giorni a settimana; moderato se la lascia 1 giorno a settimana o meno grave se i tempi rispecchiano quanto descritto (cioè, 3 mesi, 6 mesi, eccetera eccetera). Gli individui che escono da casa frequentemente, per definizione, non soddisfano questi criteri. L'età di comparsa di questa problematica è posta solitamente tra il corso dell'adolescenza e la prima età adulta. Tuttavia, non è raro che avvenga anche dopo i 30 anni, con diagnosi che si estendono anche a casalinghe e anziani. Il ritiro sociale è un fenomeno multidimensionale ed è causato da molti fattori - quali esperienze traumatiche precoci, personalità un po' introversa, relazioni con i genitori, basso rendimento scolastico - e da contesti socioculturali, tra cui il progresso tecnologico e i cambiamenti del modo di comunicare tra persone dovuti all'avvento di Internet e, da ultimo, anche l'esperienza drammatica della pandemia COVID e il conseguente isolamento forzoso, che può aver aggravato questo fenomeno. L'avvento di Internet, con le conseguenti modifiche al modo in cui le persone interagiscono all'interno della società, possono anche essere fattori importanti che contribuiscono al ritiro sociale, il quale, diventando patologico, può creare dipendenze da Internet, così come l'uso di Internet può causare il ritiro sociale.

Nel rapporto Istisan si evince che tale isolamento sarebbe più frequente nei maschi e si verifica soprattutto durante la pubertà e l'adolescenza. I fattori di rischio più noti sono la presenza di un disturbo psichiatrico, disturbo dello sviluppo, disturbo comportamentale, come l'abuso di Internet e del gioco, oppure legate alla dipendenza da sostanze e contesti psicosociali poveri. L'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale della ricerche di Pisa ha condotto il primo studio nazionale volto a fornire una stima quantitativa dell'isolamento volontario nella popolazione adolescente del nostro Paese. Da questo studio cosa emerge? Che il 2,1 per cento del campione attribuisce a se stesso la definizione di “Hikikomori” e, proiettando il dato sulla popolazione studentesca (dai 15 ai 19 anni), a livello nazionale si può quindi stimare che circa 54.000 studenti italiani di scuola superiore si identificano in una situazione di ritiro sociale. Il 18,7 per cento di intervistati ha affermato di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e, di questi, l'8,2 per cento non è uscito per un tempo da 1 a 6 mesi, e oltre. In quest'area, si collocano sia le situazioni più gravi - oltre 6 mesi di chiusura in casa; anzi, in camera, non in casa, senza uscire proprio dalla camera -, sia quelle a maggiore rischio (“Hikikomori” da 3 a 6 mesi). Le proiezioni parlano di circa l'1,7 per cento degli studenti totali – 44.000 mila ragazzi, a livello nazionale - che si possono definire “Hikikomori”, mentre il 2,6 per cento (67.000) sarebbero a grave rischio di diventarlo.

Secondo il predetto studio, l'età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di ritiro è quella che va dai 15 ai 17 anni. Il 7 giugno 2022 la regione Emilia-Romagna ha presentato le “Linee di indirizzo sul ritiro sociale. Prevenzione, rilevazione precoce ed attivazione di interventi di primo e secondo livello”. Nel documento si analizza il contesto, si definisce il fenomeno e si dà una descrizione delle prime manifestazioni con riferimento all'uso di Internet e dei videogiochi, mettendo l'accento sul fatto che la prevenzione e la rilevazione precoce siano gli unici modi per arginare il fenomeno. Tra le normative, si fa esplicito riferimento al tema del ritiro sociale volontario. Per questo motivo, è importante la creazione in ambito scolastico di uno spazio d'ascolto, con la rilevazione periodica da parte della scuola con verifica del consiglio di classe per quanto riguarda possibili situazioni potenzialmente riconducibili a ritiri, casi di studenti o studentesse che abbiano effettuato periodi consecutivi di assenza scolastica, che abbiano una quantità di assenze - frammentarie e intermittenti -, che abbiano allontanamenti in assenza di giustificati motivi, ovviamente, di tipo sanitario, collegate a gravi malattie (questo è ovvio). Per evidenziare la patologia bisogna coinvolgere attori esterni alla scuola e al nucleo familiare e, quindi, sarebbe necessaria una visita medica iniziale, per verificare se siano presenti malattie psichiatriche, interventi psicologici e psicosociali, servizi di ascolto e di supporto, psicoterapia individuale o di gruppo, anche terapia comportamentale e familiare. Spesso è difficile individuare i ragazzi con questa propensione al fenomeno “Hikikomori”, perché i genitori non ricercano l'aiuto del medico, rendendo quindi difficile anche il censimento delle persone in questa condizione e ritardano quindi l'inizio delle cure.

Questo ritiro sociale deriva spesso da un cortocircuito della comunicazione tra società, famiglia scuola e individuo e le azioni di prevenzione dovrebbero riguardare non solo la persona malata, ma anche i contesti di vita in cui questa persona è inserita. In considerazione dell'espansione del fenomeno, è importante ampliarne la conoscenza sia in ambito clinico, sia di ricerca, al fine di favorire la comunicazione tra professionisti di discipline diverse (psichiatri, psicologi, antropologi e sociologi) e la trasmissione delle corrette informazioni a genitori e insegnanti, aspetto, questo, importantissimo.

Per tutti questi motivi, si chiede al Governo di impegnarsi affinché si approntino gli strumenti opportuni, soprattutto finanziari, per promuovere la ricerca e la conoscenza epidemiologica del fenomeno del ritiro sociale in Italia e per rafforzare le evidenze sanitarie e le conoscenze in ambito clinico, favorendo la comunicazione tra professionisti di discipline diverse - come dicevo in precedenza, psichiatri, psicologi, antropologi, sociologi ed epidemiologi - e la trasmissione delle corrette informazioni con i genitori e con la scuola, altrimenti è inutile fare tutte queste cose se i genitori e la scuola non sanno niente.

Si sollecitino tutti gli istituti scolastici e universitari a creare, almeno una volta al mese, un momento di ascolto e di dibattito sul problema per monitorare il fenomeno: anche qui, se non vi sono momenti di ascolto, non si può capire a che punto sia il fenomeno anche nelle scuole.

Si istituisca la figura professionale dello psicologo scolastico e universitario quale figura di riferimento per il sostegno agli alunni, agli studenti, alle famiglie e al personale scolastico e universitario e si promuova il benessere psicofisico.

Si renda obbligatoria la rilevazione periodica, da parte della scuola, sulle situazioni potenzialmente - potenzialmente - riconducibili a ritiri, casi di studenti e studentesse che abbiano appunto effettuato, come dicevo in precedenza, periodi consecutivi di assenza scolastica, che abbiano una quantità di assenze frammentarie e intermittenti, che abbiano allontanamenti in assenza di giustificati motivi di tipo sanitario collegati a gravi malattie o assenze in presenza di pregresse segnalazioni di difficoltà relazionali.

Si garantiscano le necessarie risorse e i percorsi istitutivi idonei per la realizzazione di progetti individualizzati domiciliari o di piccolo gruppo, volti al reinserimento sociale e scolastico, adottando inoltre misure per l'istituzione di équipe territoriali formate sul tema del ritiro sociale, attivabili al bisogno, aspetto fondamentale anche questo.

Infine, sarebbe utile attivare una campagna informativa - punto importantissimo - efficace sulla patologia del ritiro sociale, affinché la collettività intera sia consapevole del problema - ancora non c'è questa consapevolezza -, coinvolgendo le istituzioni scolastiche, le strutture del Servizio sanitario nazionale e le associazioni impegnate sul fenomeno (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gruppioni. Ne ha facoltà.

NAIKE GRUPPIONI (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, membri del Governo, il fenomeno «Hikikomori», per usare il termine giapponese della fine degli anni Settanta del secolo scorso, è complesso e ancora allo studio, per determinarne con certezza cause, conseguenze e misure efficaci per affrontare il problema. Quello che certamente non possiamo fare è fingere che il fenomeno non esista come problema. È evidente che, soprattutto dalla pandemia di COVID-19 e, più precisamente, dalla sua conclusione, assistiamo a un numero sempre crescente di giovani e adolescenti, soprattutto tra i 12 e i 18 anni, che prendono la decisione di auto-rinchiudersi nella propria abitazione, in isolamento volontario, avendo nei computer l'unica fonte di contatto con il mondo esterno. Si tratta di un fenomeno che può essere passeggero, che può durare pochi mesi, ma a volte anche svariati anni o, addirittura, lustri, senza che intervenga alcun contatto con il mondo esterno o, addirittura, con i propri parenti o con i propri genitori. In Italia abbiamo oltre 100.000 casi conclamati, e la consapevolezza che i numeri reali siano molto più ampi e che vi sia una gran parte di questi che si rifiutano di ammettere di essere oggetto di questa vera e propria patologia è un problema.

In primo luogo, dobbiamo riconoscere che l'evoluzione della nostra società verso una sempre maggiore e non sempre sana competitività possa essere causa, insieme al bullismo, al cyberbullismo, all'ansia da prestazione e alla reale mancanza di capacità di relazionarsi nella società con rapporti stabili e sani, di atteggiamenti che spingono il giovane, l'adolescente, ancora debole e non completamente determinato nella sua coscienza sociale, a isolarsi e rifugiarsi, in modo parallelo, nei suoi giochi, nella rete, in un mondo virtuale che sia meno esigente e che, anche se solo apparentemente, a lui può sembrare più vicino e più rassicurante. Questi atteggiamenti, però, non possiamo considerarli un vezzo; dobbiamo avere il coraggio di affrontarli come una reale patologia, perché, in questo modo, oltre a portare avanti il progetto, irrinunciabile, di non lasciare nessuno indietro, di aiutare chi si ferma, chi non ce la fa da solo ad andare avanti, avremo anche il merito di affrontare, e speriamo correggere, avendone piena consapevolezza, qualcuno dei mali che la nostra società, così evoluta, così velocemente preda del progresso, inevitabilmente manifesta. Allora, sarà intanto importante studiare meglio e approfondire le cause di quello che non possiamo non definire un vero e proprio disagio sociale; abbiamo il compito di attrezzare le istituzioni, a partire da quelle scolastiche e sanitarie affinché siano pronte ad affrontare famiglie che sono colte impreparate a gestire un problema che oggi affligge i propri figli, ma che era sconosciuto ai tempi della loro adolescenza. Il mondo è cambiato, è cambiato e cambia sempre più velocemente; non sempre e non tutti sono in grado di seguirlo e di cavalcarne il cambiamento, il quale, senza voler negare il progresso, non sempre evolve al meglio.

È, quindi, importante che la politica non nasconda la testa sotto la sabbia, non ignori il problema, ma ne promuova lo studio e la ricerca di soluzioni. Bisogna attivare progetti specifici per prevenire il fenomeno, affrontando il disagio crescente tra le fasce più giovani della popolazione. Bisogna promuovere studi nazionali e campagne informative, coinvolgendo associazioni, scuole e università, approntando gli strumenti più opportuni, anche finanziari, per promuovere la ricerca e la conoscenza epidemiologica del fenomeno, per rafforzare le evidenze sanitarie e le conoscenze cliniche. Dobbiamo formare i nostri docenti, gli operatori delle istituzioni scolastiche e le famiglie, rafforzando le azioni di prevenzione, come le promozioni del benessere nella scuola, creando un ambiente positivo, che sostenga e miri allo sviluppo delle abilità sociali. Sarà necessario, forse anche a prescindere dal fenomeno «Hikikomori», rafforzare la comunicazione tra famiglia e scuola, promuovendo la collaborazione e il reciproco riconoscimento, nell'ottica di creare una rinnovata alleanza che educhi i ragazzi a essere socialmente competenti, ossia in possesso di quelle capacità di ragionamento, linguaggio ed emotive necessarie per instaurare relazioni positive con gli altri e con l'ambiente circostante. È indispensabile lavorare per coinvolgere i giovani in competizioni e socialità positive, magari attraverso lo sport, lo scoutismo, perfino l'oratorio, ricreare la positiva interazione tra soggetti diversi che avvicinino questi giovani alla socialità, allo sport, alle esperienze di vita reali e non virtuali, perché, ricordiamolo, come la nostra, la loro vita è all'interno della società: dobbiamo risolvere il loro problema a livello psicologico e sociale, ma nulla vieta che, insieme, si renda migliore e più vivibile, più piena di valori positivi la nostra società e, quindi, anche la nostra vita.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Chiedo se il Governo intenda intervenire. Si riserva di farlo successivamente. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta. Ha chiesto di parlare la deputata Manzi. Ne ha facoltà.

IRENE MANZI (PD-IDP). La ringrazio, signor Presidente. Prendo la parola in quest'Aula per ricordare Concetta Marruocco, l'ultima vittima di un femminicidio nel nostro Paese. Concetta aveva 53 anni, era un'infermiera e viveva a Cerreto d'Esi, nelle Marche, e, purtroppo, è l'ultima, ennesima vittima, uccisa nella notte tra il 13 e il 14 ottobre, dal proprio marito, da cui, tra l'altro, si stava separando, il quale era sotto processo e sottoposto alla misura del braccialetto elettronico, dopo soprusi e violenze ripetuti negli anni nei confronti di Concetta e dei propri figli. Ebbene, a quelle violenze, nei mesi scorsi, Concetta Marruocco si era ribellata e aveva denunciato, soprattutto. Aveva intrapreso un percorso importante, significativo, seguita dai centri antiviolenza locali e riusciva finalmente a cambiare la prospettiva della propria vita.

Purtroppo, questo, non è potuto avvenire fino in fondo e la magistratura dovrà accertare, tra l'altro, perché l'autore di questo reato si sia potuto avvicinare, sia potuto entrare in casa e commettere un atto così violento. Le colleghe del Partito Democratico della Commissione femminicidi hanno richiesto che questo fatto sia approfondito, come ritengo giusto, e sarà la magistratura a seguire le inchieste. Questo è un momento di lutto, di dolore e di vicinanza ai figli della vittima, a cominciare dalla figlia minorenne che era presente in casa al momento del delitto.

Quello che voglio ricordare in quest'Aula, che ritengo molto importante, è che quanto avvenuto non sia derubricato, come spesso si tende a fare, a un raptus, non solo per i precedenti del marito di Concetta Marruocco, ma soprattutto perché quell'atto, le coltellate numerose che le sono state inferte, è la testimonianza di una cultura del possesso nei confronti della propria famiglia, nei confronti della propria figlia, perché il marito era accusato di violenza anche nei confronti della propria figlia.

Le operatrici del centro antiviolenza Artemisia di Fabriano, da cui era seguita, hanno raccontato che, negli ultimi tempi, Concetta voleva impegnarsi all'interno della stessa associazione, in percorsi di aiuto a donne vittime di violenza. Penso che fosse un atto molto importante, un atto che, tuttavia, ci impone di avviare una strategia complessiva, che sia preventiva e repressiva, ma che soprattutto parta da un forte atto di consapevolezza e di educazione contro quella cultura del patriarcato che vede nella libertà delle donne una minaccia costante e continua.

È necessario un impegno educativo e culturale dei rapporti e delle relazioni distorte che ci sono ancora tra uomini e donne, che educhi all'amore e ai sentimenti, all'affettività di cui abbiamo spesso parlato in quest'Aula. E ciò, colleghi, lo dobbiamo sentire forte nei prossimi provvedimenti che arriveranno in quest'Aula, dobbiamo farlo insieme, proprio perché lo dobbiamo a Concetta, lo dobbiamo alle vittime che ci sono state, ma lo dobbiamo soprattutto al futuro delle generazioni più giovani, perché niente di tutto questo si verifichi ancora in futuro.

In questo momento, da questa sede, quello che mi sento di esprimere è la vicinanza nostra ai figli, alla famiglia di Concetta Marruocco, soprattutto un atto forte e significativo di sensibilizzazione e attenzione per quanto è avvenuto e per tutti gli episodi di violenza e di femminicidio che si sono registrati in questo e negli anni passati (Applausi).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 17 ottobre 2023 - Ore 11:

1. Svolgimento di interpellanze e interrogazioni .

(ore 15)

2. Informativa urgente del Governo in ordine all'eccezionale incremento del fenomeno migratorio, con particolare riguardo alla situazione presso l'isola di Lampedusa.

(ore 16,30)

3. Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:

PITTALIS: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro della nave "Moby Prince". (Doc. XXII, n. 9-A)

e delle abbinate proposte di inchiesta parlamentare: RICCARDO RICCIARDI ed altri; SIMIANI. (Doc. XXII, nn. 28-29)

Relatrice: MACCANTI.

4. Seguito della discussione delle mozioni Braga ed altri n. 1-00191, Quartini ed altri n. 1-00193, Bonetti ed altri n. 1-00194 e Zanella ed altri n. 1-00197 concernenti iniziative a salvaguardia del sistema sanitario nazionale .

5. Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 5 ottobre 2023, n. 133, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione e protezione internazionale, nonché per il supporto alle politiche di sicurezza e la funzionalità del Ministero dell'interno. (C. 1458​)

6. Seguito della discussione della proposta di legge:

CONTE ed altri: Disposizioni per l'istituzione del salario minimo. (C. 1275​)

e delle abbinate proposte di legge: FRATOIANNI e MARI; SERRACCHIANI ed altri; LAUS; CONTE ed altri; ORLANDO; RICHETTI ed altri. (C. 141​-210​-216​-306​-432​-1053​)

7. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 614 - Istituzione del Museo della Shoah in Roma (Approvato dal Senato). (C. 1295​)

Relatore: MOLLICONE.

8. Seguito della discussione delle mozioni Montaruli ed altri n. 1-00160, Di Biase ed altri n. 1-00198, Di Lauro ed altri n. 1-00200 e Zanella ed altri n. 1-00202 concernenti iniziative volte a prevenire e contrastare il cosiddetto fenomeno "Hikikomori" relativo all'isolamento sociale volontario, con particolare riguardo alle fasce più giovani della popolazione .

La seduta termina alle 16,25.