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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 88 di lunedì 17 aprile 2023

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ANNA ASCANI

La seduta comincia alle 15.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO GIACHETTI , Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 aprile 2023.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 60, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione delle mozioni Serracchiani ed altri n. 1-00073, Ilaria Fontana ed altri n. 1-00064, Ruffino ed altri n. 1-00081 e Bonelli ed altri n. 1-00117 concernenti iniziative volte a contrastare il fenomeno della siccità.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Serracchiani ed altri n. 1-00073, Ilaria Fontana ed altri n. 1-00064, Ruffino ed altri n. 1-00081 (Nuova formulazione) e Bonelli ed altri n. 1-00117, concernenti iniziative volte a contrastare il fenomeno della siccità (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Almici ed altri n. 1-00121 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

Avverto, altresì, che in data odierna è stata presentata una nuova formulazione della mozione Serracchiani ed altri n. 1-00073. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Antonella Forattini, che illustrerà anche la mozione Serracchiani ed altri n. 1-00073 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria.

ANTONELLA FORATTINI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Dobbiamo prendere coscienza che il clima è cambiato e che servono soluzioni nuove a problemi nuovi e in tempi brevi, anzi brevissimi, perché non è più il tempo di tergiversare o di rincorrere l'emergenza, sperando che poi passi.

La comunità scientifica italiana e internazionale ha già lanciato l'allarme e chiede giustamente che la lotta alla crisi climatica e la transizione ecologica siano in cima all'agenda politica.

La scienza del clima ci mostra da tempo che l'Italia, inserita nel contesto di un hotspot climatico come il Mediterraneo, risenta più di altre zone del mondo dei recenti cambiamenti climatici di origine antropica e dei loro effetti, non solo sul territorio e gli ecosistemi, ma anche sull'uomo, sulla società, relativamente al suo benessere, alla sua sicurezza, alla sua salute e alle sue attività produttive. Sappiamo, quindi, che il cambiamento climatico è un fatto e che il nostro Paese deve imparare a gestirlo attraverso programmi e soluzioni adeguate. Purtroppo, però, vediamo ancora un atteggiamento anacronistico di fronte ai fenomeni climatici. Si interviene sempre in emergenza, senza una programmazione di lungo periodo, forse sperando erroneamente che tutto un giorno passerà e che si ritornerà al passato: cosa, ovviamente, impossibile.

Il fatto che ci stiamo giocando i ghiacciai dovrebbe colpirci come un pugno allo stomaco, ma non succede, non a sufficienza da spingere il sistema verso quelle riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra che l'Intergovernmental Panel on Climate Change indica come necessarie da qui alla fine del decennio per non superare gli 1,5 gradi centigradi di riscaldamento globale.

In questo contesto si inserisce l'emergenza gravissima legata alla siccità. Ciò che stiamo attraversando dal punto di vista climatico è un fenomeno sconosciuto che andrebbe approfondito e analizzato insieme alla comunità scientifica per trovare le risposte adeguate. Il Governo, invece, ha scelto una strada, che è quella di istituire un commissario, anzi un super commissario, i cui risultati ancora non si vedono. Soprattutto non è chiaro quali saranno le risorse destinate all'emergenza siccità: tema fondamentale, senza il quale non c'è discussione.

L'estate non è ancora arrivata, ma sono evidenti i segnali che inducono a pensare che i livelli di siccità, già preoccupanti ora, si evidenzieranno ancora di più in termini di emergenza.

I corsi d'acqua che hanno già raggiunto uno stato di severità idrica media riguardano 3 delle 7 autorità di distretto, secondo gli ultimi bollettini emanati dalle stesse negli ultimi mesi. E stiamo parlando del distretto idrografico del fiume Po, di quello dell'Appennino settentrionale e di quello dell'Appennino centrale.

La neve rappresenta la riserva d'acqua più importante per diverse attività, dalla produzione di energia all'agricoltura, nei mesi primaverili ed estivi. E dalla neve arrivano altri segnali preoccupanti. Ad oggi, fonte Global Drought Observatory del Joint Research Centre, si registra il 40-50 per cento di neve in meno rispetto alla media dei 12 anni precedenti. Il deficit è particolarmente marcato nelle Alpi nord-occidentali. L'aumento della temperatura determinerà nei prossimi mesi la fusione della neve che, in forma di acqua, può essere impegnata per l'irrigazione e altre attività e sarà, di conseguenza, direttamente proporzionale al decremento registrato, con conseguenze gravi per molti settori produttivi.

Ormai da diversi anni, una serie di eventi naturali avversi ha contribuito, nel corso del tempo, ad indebolire il settore agricolo ed in special modo le aziende ortofrutticole. Nel corso dell'estate, oltre ai danni provocati dalla siccità, si sono aggiunti quelli arrecati dal prolungarsi di temperature eccezionali che hanno colpito duramente ed in maniera omogenea tutto il Paese.

In virtù di questa situazione verranno coltivati quest'anno in Italia quasi 8.000 ettari di riso in meno, per un totale di appena 211.000 ettari, ai minimi da 30 anni, sulla base delle previsioni di semina. Stessa situazione per le semine di mais, necessario per garantire l'alimentazione del bestiame per la produzione del latte, dal quale nascono i grandi formaggi, dopo gli sconvolgimenti che ci sono stati sul commercio internazionale a seguito della guerra in Ucraina.

Tutte le produzioni ortofrutticole, in particolare le drupacee e le pomacee, a causa delle alte temperature registrate, hanno subito danni irreversibili, a partire dal rallentamento nella crescita dei frutti, determinando conseguenze sul calibro degli stessi. In molti casi, addirittura, il raccolto non è commerciabile, pertanto le rese produttive sono risultate nettamente più basse e in diversi casi gravemente compromesse.

Per una gestione resiliente di questa crisi idrica straordinaria, già nel 2022 si è scelto che il comparto idroelettrico, indipendentemente dalle concessioni legislative, dia la disponibilità a sostenere il settore primario dell'agricoltura in caso di manifesta necessità produttiva. I grandi laghi confermano la possibilità di scendere sotto i livelli minimi di invaso per contribuire ad alimentare, con continuità e per quanto possibile, i corsi d'acqua di valle, sia per finalità irrigue, che per il mantenimento degli habitat e della biodiversità, nell'ottica della massima trasparenza e per una condivisione unitaria delle scelte strategiche di adattamento al clima e alla situazione idrologica contingente.

Alcune regioni hanno adottato nel 2022 provvedimenti, in particolare Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte, applicando anticipatamente, in talune aree, il cosiddetto deflusso minimo vitale estivo che consentirà di prelevare e accumulare più acqua in caso di precipitazioni.

La siccità, quindi, da come abbiamo visto finora, rappresenta una delle sfide più pressanti del nostro tempo e richiede politiche pubbliche efficaci di prevenzione e adattamento ai cambiamenti climatici. Serve un programma adeguato per la gestione delle perdite di acqua e per gli investimenti nelle infrastrutture idriche. Inoltre, le azioni volte alla riduzione delle emissioni di gas serra e alla promozione della mobilità elettrica e alternativa sono essenziali per la lotta contro la crisi climatica.

Per fare fronte alla siccità sono però necessari nuovi investimenti nelle reti idriche e la realizzazione di nuove infrastrutture. Questi investimenti devono includere la costruzione di nuovi bacini e serbatoi per raccogliere la poca acqua che cade e convogliare le acque per le abitazioni civili e gli edifici pubblici, la riparazione e l'ampliamento delle reti idriche esistenti, la realizzazione di sistemi di irrigazione innovativi e la promozione e il sostegno dell'agricoltura di precisione. Tali investimenti possono garantire una maggiore disponibilità di acqua per le attività agricole, industriali e domestiche.

Le politiche pubbliche dovrebbero incentivare lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio, come l'energia solare ed eolica, e la promozione dell'efficienza energetica. Inoltre, la transizione verso fonti energetiche rinnovabili e la promozione della mobilità elettrica o alternativa possono ridurre le emissioni di gas serra e migliorare la qualità dell'aria nelle città.

Nella Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra vengono indicate, fra le azioni di adattamento: l'incremento della connettività delle infrastrutture idriche; l'aumento della capacità di ritenzione ed accumulo attraverso la realizzazione di laghetti - come abbiamo detto - e di piccoli invasi e vasche, al fine di ridurre la pressione sulle falde sotterranee; il risanamento del sistema fluviale, assicurando la funzionalità idraulica, capace di espletare le necessarie caratteristiche funzioni e quelle ecosistemiche; il miglioramento della capacità previsionale per anticipare la disponibilità naturale della risorsa e ottimizzare il volume immagazzinato; i piani di gestione della siccità; la costruzione del bilancio idrico alla scala del Paese. La situazione va quindi affrontata non soltanto con aiuti immediati per contrastare l'emergenza, ma con misure strutturali per migliorare l'efficacia della gestione, conservazione e distribuzione delle risorse idriche.

Strettamente connesso con gli eventi climatici estremi è il tema del dissesto idrogeologico, a causa del quale complessivamente il 93,9 per cento dei comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera e le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio sono l'Emilia-Romagna, la Toscana, la Campania, il Veneto, la Lombardia e la Liguria.

Nella XVIII legislatura, l'articolo 36-ter del decreto-legge n. 77 del 2021 ha introdotto importanti novità in materia di dissesto idrogeologico. La norma prevede, tra l'altro, l'introduzione della denominazione di commissario di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico per i commissari aventi competenze in materia di contrasto al dissesto idrogeologico, disciplinate da diverse normative, attribuendo ad essi la competenza degli interventi in tale ambito, indipendentemente dalla fonte di finanziamento. Viene inoltre previsto che gli interventi di prevenzione, mitigazione e contrasto al dissesto idrogeologico, ivi compresi quelli finanziabili tra le linee di azione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, siano qualificati come opere di preminente interesse nazionale, aventi carattere prioritario.

Resta, però, ancora indispensabile potenziare e rendere più efficienti gli enti preposti alla prevenzione del rischio idrogeologico, aumentarne la capacità tecnica e progettuale, favorire una capacità di spesa superiore all'attuale media annua. È inoltre urgente e necessario programmare un importante piano di investimenti per ridurre i rischi legati al continuo manifestarsi di fenomeni climatici estremi, in particolare a carattere siccitoso, puntando anche all'efficientamento e alla messa in sicurezza delle reti idriche, alla realizzazione di nuovi invasi, alla produzione di acqua dissalata e al riuso delle acque depurate a fini agricoli e industriali.

La legge di bilancio 2022-2024 ha previsto 440 milioni di euro, dal 2022 al 2027, per la realizzazione del Piano invasi, basato su progetti già disponibili, rafforzando ulteriormente l'impegno senza precedenti, pari a 3 miliardi di euro, per il miglioramento delle infrastrutture idriche previste dal PNRR. In tal senso, infatti, il Piano nazionale di ripresa e resilienza può rappresentare un'importante opportunità per affrontare in maniera strutturale il problema delle emergenze climatiche connesse ai cambiamenti climatici, contribuendo contestualmente al rilancio dell'economia del Paese, grazie all'apertura di numerosi cantieri sull'intero territorio nazionale. In continuità con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza si collocano le risorse del programma europeo REACT-EU nell'ambito del Programma operativo nazionale infrastrutture e reti 2014-2020 per interventi volti a potenziare le infrastrutture idriche, ridurre le perdite e digitalizzare e migliorare il monitoraggio delle reti.

Per la programmazione e la realizzazione degli interventi necessari alla mitigazione dei danni connessi al fenomeno della siccità e per promuovere il potenziamento e l'adeguamento delle infrastrutture idriche, anche al fine di aumentare la resilienza dei sistemi idrici ai cambiamenti climatici e ridurre le dispersioni idriche, è stata prevista, con il decreto-legge n. 121 del 2021, l'adozione, entro il 30 giugno 2022, del Piano nazionale di interventi infrastrutturali per la sicurezza del settore idrico. Lo scorso ottobre 2022 è stato dato il via libera dalla Conferenza unificata allo schema di decreto del Ministro pro tempore delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, che riguarda il potenziamento e il miglioramento della sicurezza nel settore idrico, in attuazione della riforma prevista sempre dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Lo schema di decreto attua una fondamentale riforma prevista dal PNRR che consentirà di valutare gli interventi per gli invasi e per la rete di distribuzione dell'acqua secondo una logica di sistema funzionale ai territori coinvolti, anche per limitare i danni provocati dalla siccità e per ridurre le perdite. La riforma del settore, che prevede, finalmente, una programmazione pluriennale degli investimenti, accompagna gli stanziamenti per le infrastrutture idriche pari a 4,6 miliardi di euro, un importo senza precedenti nella storia del Paese.

Occorre pertanto adottare iniziative urgenti, sia di breve sia di lungo periodo, per far fronte, in collaborazione con le regioni più coinvolte, alla grave siccità che sta colpendo il nostro Paese, con gravi ripercussioni sulla produzione di energia elettrica e sul comparto agricolo e che sta provocando finanche un'emergenza idropotabile in alcune aree. Serve, insomma, come abbiamo visto, un impegno globale e articolato che prenda coscienza della complessità dei cambiamenti climatici e della necessità di operare su più livelli. Servono altri investimenti corposi e chiari, non può essere l'unica risposta l'istituzione di un super commissario con pieni poteri.

Per questo, nella nostra mozione, chiediamo al Governo: di istituire un'apposita cabina di regia, con il coinvolgimento del Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica, del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, del Ministero dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, del Ministero per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, della Protezione civile, delle regioni e delle Autorità di bacino distrettuali, al fine di garantire un efficiente e rapido monitoraggio dei bacini idrografici e coordinare i provvedimenti da adottare; di adottare iniziative di competenza per scongiurare un potenziale conflitto fra la richiesta idrica e il raffreddamento delle centrali termoelettriche; di adottare il Piano nazionale di interventi infrastrutturali per la sicurezza del settore idrico, prevedendo, tra l'altro, di adottare le opportune iniziative in aggiunta alle previsioni incluse nel PNRR; di adottare urgenti iniziative dirette alla realizzazione di nuovi invasi, nonché di piccoli invasi; di predisporre interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato e permettere la riduzione delle perdite di rete e completare gli interventi sulla depurazione; di adottare iniziative volte a evitare gli sprechi, sia dal punto di vista delle dispersioni sia in relazione all'uso della risorsa idrica; di adottare iniziative volte a implementare il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura a fini industriali, attraverso le modifiche normative necessarie, e a prevedere l'eventuale realizzazione di impianti di dissalazione alimentati da energia rinnovabile, con contestuali investimenti mirati su tecnologie per il recupero delle scorie dei processi di desalinizzazione di acque salmastre e di mare.

Inoltre: promuovere e sostenere la ricerca nel settore agricolo; promuovere e sostenere l'adozione di normative efficaci per il contenimento del consumo di suolo e che consentano, appunto, di raggiungere l'obiettivo di consumo di suolo zero al 2050; adottare iniziative idonee anche al contesto del Piano nazionale di ripresa e resilienza per favorire la rinaturazione dei corsi d'acqua; utilizzare i criteri minimi ambientali nel campo dell'edilizia per ridurre gli sprechi; favorire il riutilizzo dell'acqua nei cicli industriali; adottare iniziative volte a introdurre misure di incentivazione e defiscalizzazione in tema idrico; adottare iniziative volte all'eventuale creazione di scorte di acqua potabile da utilizzare in caso, appunto, di possibili razionamenti; adottare le iniziative di competenza per potenziare e rendere più efficienti gli enti preposti alla prevenzione del rischio idrogeologico; adottare iniziative volte a dare pronta e piena attuazione, per quanto di competenza, alle misure di semplificazione e di accelerazione per il contrasto del dissesto idrogeologico; adottare, stanziando le relative risorse, un programma di pulizia dei grandi invasi.

Crediamo che queste azioni siano fondamentali e urgentissime e che la sfida che abbiamo davanti debba vederci uniti in una nuova consapevolezza. La siccità e, più in generale, il cambiamento climatico sono fatti con cui dobbiamo fare i conti e vanno fronteggiati con una nuova politica di ampio respiro e a lungo periodo. È finito il tempo di andare avanti in emergenza e per l'emergenza, sperando che tutto passi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Emma Pavanelli, che illustrerà anche la mozione Ilaria Fontana ed altri n. 1-00064, di cui è cofirmataria.

EMMA PAVANELLI (M5S). Grazie, Presidente e grazie alla Vice Ministra. Onorevoli colleghi e colleghe, vorrei illustrare velocemente la mozione del MoVimento 5 Stelle che riguarda uno dei rischi più grandi che minaccia beni di importanza vitale. Stiamo parlando di acqua, la materia prima per eccellenza, una risorsa strettamente collegata ad una molteplicità di aspetti dal punto di vista ambientale e sociale, più che altro essenziale in termini di sopravvivenza degli esseri viventi, incluso l'uomo. È una risorsa oggi in pericolo a causa della siccità che, secondo il rapporto Drought in Numbers 2022 delle Nazioni Unite, potrebbe colpire oltre il 75 per cento della popolazione mondiale entro il 2050.

Viviamo in un'epoca in cui alla crisi climatica senza precedenti l'uomo sta sommando l'uso inappropriato e lo sfruttamento eccessivo di suolo e di acqua, mettendo a rischio la biodiversità, ma anche l'esistenza futura delle specie viventi sul Pianeta.

Usciamo subito da un equivoco. In Italia la siccità non è soltanto un problema del Sud. Credo che abbiamo visto tutti le immagini del fiume Po ai minimi storici, ma lo stesso sta accadendo in altri bacini idrici del Paese, tutti ben oltre la soglia di allarme. Le piogge delle ultime settimane non migliorano una situazione che, invece, dovrebbe preoccupare tutti noi e soprattutto il nostro Governo.

Il 2022 è stato un anno particolarmente caldo, con un drastico calo di piogge. Le anomalie climatiche sono state confermate anche agli inizi del 2023, secondo il programma satellitare europeo Copernicus. È un'emergenza drammatica e globale che vede quotidianamente 2,3 miliardi di donne e uomini nel mondo affrontare problemi legati alla grave mancanza di acqua. Poi, ci sono circa 700 milioni di persone che corrono il rischio di essere sfollate a causa della siccità e della conseguente desertificazione.

Le istituzioni, a tutti i livelli, devono farsi carico di questo problema e agire con azioni mirate per evitare le conseguenze che rischiano di provocare la carenza di acqua non soltanto in agricoltura, ma anche per quanto riguarda la produzione di energia idroelettrica e, in generale, in tutto il sistema produttivo nazionale.

Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza e il Piano Invasi abbiamo stanziato 1,3 miliardi di euro. Questo perché l'Europa sta vivendo, già dal 2018, una stagione critica per la mancanza di pioggia e di neve. Ora mi stupisce che l'attuale maggioranza abbia ancora dubbi se prendere o no quei fondi, perché mi chiedo - e lo chiedo al Governo tramite lei, Presidente - come intendiate affrontare questa emergenza senza investimenti infrastrutturali, sapendo bene che poi questi 1,3 miliardi non bastano.

Servono azioni coordinate, ulteriori risorse e, soprattutto, una pianificazione che metta i territori in grado di spendere queste risorse. Sembra che nulla di tutto questo interessi a questo Governo, visti i ritardi nell'attuazione del PNRR che rischiano di farci perdere miliardi di euro. Dopo tanti annunci, oggi è stato pubblicato finalmente in Gazzetta Ufficiale il decreto Siccità. Devo essere sincera: non ho trovato nulla di rivoluzionario, nemmeno per tamponare il problema nell'immediato. Le misure sono blande e scontate. Inoltre, manca una serie di azioni concrete che i territori possono mettere in campo immediatamente, oggi o domani, per fronteggiare le criticità. Non c'è nulla per accrescere la resilienza dei sistemi di approvvigionamento, trattamento, stoccaggio e trasporto dell'acqua; nulla sulla creazione di un catasto a livello locale per tracciare tutte le concessioni sulle acque pubbliche e sapere in modo puntuale chi gestisce l'acqua; nulla per ridurre prelievi e captazioni da parte dei concessionari delle acque minerali nelle aree in cui la crisi idrica è critica. Veramente poca è l'attenzione rivolta all'agricoltura, settore indispensabile per il nostro sistema Paese, tra i più colpiti dal fenomeno della siccità.

Poi, ci sono le proposte del MoVimento 5 Stelle che abbiamo inserito nella nostra mozione. Ecco perché torno a ribadire che non possiamo in alcun modo permetterci di restare inerti davanti ai dati terribili della siccità. Ci sono tante iniziative che possiamo e dobbiamo mettere in atto immediatamente per fronteggiare queste criticità prima che sia troppo tardi, altrimenti i costi, in termini economici, saranno devastanti per l'agricoltura, per le imprese, per le famiglie ma anche per l'ambiente e la biodiversità.

Questo ritardo nell'agire mette a rischio il Paese per la stagione estiva, periodo in cui il rischio di incendi devastanti aumenta di giorno in giorno.

Contemporaneamente, dovremmo avviare un serio dibattito su alcuni temi che il MoVimento 5 Stelle porta avanti ormai da anni, come quello del consumo di acqua necessario per la produzione di cibo. Penso, ad esempio: all'incentivazione del sistema di agricoltura di precisione, che fa risparmiare enormi quantità di acqua; ad azioni per la riduzione dello spreco alimentare; a sistemi di recupero dell'acqua piovana, sia per i settori industriali sia per le abitazioni civili. Dobbiamo vigilare sul prelievo delle fonti naturali di acqua, perché non possiamo continuare a regalare le fonti a chi banalmente preleva acqua a discapito delle comunità locali. Dobbiamo puntare su quelle industrie, fiore all'occhiello del nostro Paese in termini di economia circolare, che fanno risparmiare acqua. Per fare un esempio, sulla rigenerazione del tessile ancora oggi siamo in attesa dei decreti End of Waste. Presidente, lei sa quanta acqua occorre per produrre un paio di jeans? Sono necessari dai 7.000 ai 10.000 litri d'acqua, la stessa quantità di acqua che serve per dissetare una persona per 13 anni o, se vogliamo per equivalenza, per fare 125 docce. Questi sono temi importanti. Invece, con la rigenerazione del tessile non si consumano altre risorse, soprattutto quella preziosa dell'acqua.

Ma il tema dell'acqua non riguarda solo il nostro Paese. È un problema globale che va affrontato con coraggio. Anche secondo le Nazioni Unite il problema è globale, ma possiamo e dobbiamo agire con soluzioni concrete.

Mi auguro che la nostra mozione, a prima firma della collega Ilaria Fontana, venga votata da tutti i gruppi presenti in Parlamento, perché, su un tema quale la mancanza di acqua, la politica non può essere divisiva, ma deve muoversi in maniera unitaria per il bene comune, delle nostre imprese e dei nostri cittadini.

Presidente, mi permetta un'ultima osservazione. Mi domando cosa succederà dopo l'entrata in vigore del decreto Calderoli, quello sulla cosiddetta autonomia differenziata, presumibilmente nel 2024. Quando entrerà in vigore, che ne sarà delle infrastrutture e dei corsi d'acqua che servono a più regioni? Presidente, sono molto preoccupata e dovreste esserlo anche voi, perché, quando si parla di acqua, si parla di un diritto universale dell'uomo. Il MoVimento 5 Stelle, come sempre, sarà in prima fila a fare la propria parte per difendere l'accesso all'acqua, che, oltre ad essere un diritto umano, universale, è un bene essenziale che va protetto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Grippo, che illustrerà anche la mozione n. 1-00081 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria.

VALENTINA GRIPPO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Colleghi, Sottosegretaria, l'atto parlamentare di cui parliamo oggi, le iniziative nostre e quelle degli altri gruppi volte a contrastare il fenomeno della siccità, come è stato ben detto dagli interventi che mi hanno preceduto, riguardano un tema centrale per il futuro dei nostri figli, dei nostri nipoti, per il futuro del Pianeta, ma riguardano anche un tema di stretta attualità e con un legame immediato con aspetti vitali del vivere quotidiano della nostra Nazione: l'economia, l'agricoltura, la biodiversità, la valorizzazione del territorio, la produzione di energia elettrica, l'alimentazione.

E' un tema sempre più di attualità, sempre più emergente. Da diversi anni, l'Italia è chiamata ad occuparsene e ad affrontare situazioni di siccità che condizionano pesantemente le risorse idriche del Paese, ed è stato ben enfatizzato come questo riguardi tutto il nostro Paese, non solo il Sud dell'Italia, ma anche il Nord, come è testimoniato in modo emblematico dal fiume Po, dal lago di Garda, entrambi vicini, se non già oltre, al loro livello minimo storico.

L'agricoltura delle grandi regioni del Nord Italia e della Pianura padana, che sono storicamente legate al fiume Po, come conseguenza di questa analisi che ho fatto, legate ai grandi ai laghi alpini, legate alla ricchezza idrica che queste grandi risorse naturali avevano, si è ridotta totalmente. Non solo si è ridotta evidentemente la portata del fiume Po, ma anche la conseguente possibilità di intere aree agricole di approvvigionarsi dal fiume stesso. È talmente drammatica la riduzione, che il suo cuneo salino è ormai risalito di diversi chilometri, con effetti negativi sulle falde e, dunque, sull'intero comparto. Questa situazione, che un tempo era episodica, ormai è strutturale e mette in ginocchio un intero sistema economico. Il bollettino dell'Autorità distrettuale del fiume Po aggiornato al 13 aprile 2023 ha, peraltro, certificato che i dati risultano peggiorati rispetto allo stesso periodo di appena un anno fa. Quindi, non solo è una situazione disastrosa, ma è una situazione in movimento e in costante peggioramento.

Nel 2022, si è registrato un calo di circa il 45 per cento della pioggia e di circa il 70 per cento della neve rispetto alle medie degli anni precedenti e, alla luce del fatto che la carenza di pioggia è stata particolarmente rilevante anche in questi primi due mesi del 2023, è purtroppo ragionevole aspettarci che ci sarà una progressiva riduzione delle precipitazioni anche nei prossimi anni o, quantomeno, una loro concentrazione temporale alternata a bombe d'acqua, episodi piovosi di particolare intensità, che, peraltro, sono anche loro spesso causa di dissesto idrogeologico, perché passiamo da piogge prevedibili di portata moderata a bombe d'acqua che si alternano a lunghe fasi di siccità.

In base ai dati dell'ISPRA, la disponibilità di risorsa idrica media annua in Italia, calcolata nel periodo 1951-2020, ammontava a 469 millimetri, corrispondente a un volume di circa 142 miliardi di metri cubi, cioè il 19 per cento in meno rispetto al valore medio annuo del trentennio 1921-1950, con un trend negativo che vede stimata una perdita di un ulteriore 40 per cento nei prossimi 30 anni. Sono dati importanti da analizzare, perché enfatizzano quanto ho detto in premessa: che non si tratta solo di un dramma per le future generazioni e per il Pianeta, ma di dati che, se continuano a progredire con la stessa crescita esponenziale che hanno avuto negli ultimi decenni, sono destinati a cambiare completamente l'economia di interi comparti e di intere aree del Paese.

Secondo le stime di Confagricoltura e di CIA, le principali rappresentanze degli agricoltori italiani, fatte nella scorsa estate del 2022, i danni sono stimabili in diversi miliardi di euro, con le rese di grano e del latte da mucca che hanno visto un calo di ben oltre il 10 per cento. È chiaro che più la situazione si prolungherà maggiori saranno le quantificazioni dei danni per il tessuto agroalimentare del Paese.

Ma non è solo l'agricoltura ad essere toccata da questo dramma: ad essere intaccata, per esempio, l'ho detto in premessa, è anche la produzione idroelettrica, che ha registrato, nel 2022, un calo di circa il 38 per cento della potenza prodotta e, con l'attuale inverno estremamente mite, la situazione è ancora più grave dell'anno scorso, che era già stato il peggiore dei 7 decenni precedenti. Pur con la crescita di produzione del fotovoltaico e dell'eolico, infatti, nel 2022, il dato dell'idroelettrico ha fatto registrare un calo del 40 per cento, perché la componente idrica di quella produzione ha impattato in modo molto negativo.

Pensiamo anche agli usi prettamente civili delle risorse idriche. Nelle ultime settimane, l'Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue ha dichiarato che per almeno 3,5 milioni di abitanti non si possa più dare per scontata l'acqua del rubinetto, con il 15 per cento della popolazione che, ormai, vive in territori esposti a una siccità severa, quando non estrema! E si potrebbe andare avanti a lungo, citando tutti i casi e tutti i numeri che confortano quanto abbiamo detto in premessa. Si pensi al fatto che l'Organizzazione mondiale della sanità stessa ha identificato l'Italia quale Paese con uno stress idrico medio-alto. Si parla di stress idrico medio-alto quando è più del 30 per cento delle proprie risorse idriche ad essere in crisi.

Alla luce di tutte queste criticità, abbiamo ritenuto di dover presentare una mozione che sottolineasse quanto richiesto anche dalle mozioni precedenti, ovvero la necessità che il Governo si faccia carico, per il Paese in modo specifico, ma in modo anche sistemico con le organizzazioni mondiali ed europee che si occupano del tema, di affrontare, con un piano strategico complessivo, il fenomeno della siccità, ma, al contempo, abbiamo cercato di illustrare alcuni interventi specifici che, a nostro avviso, devono essere presi in considerazione da subito.

Innanzitutto, chiediamo al Governo di adottare iniziative volte a provvedere, in via assolutamente prioritaria, alla realizzazione degli investimenti necessari per l'ammodernamento dell'infrastruttura idrica, per il monitoraggio dei bacini idrografici e per una maggiore resilienza dell'intera rete alle sfide causate dai cambiamenti climatici e dai sempre più frequenti fenomeni di siccità, anche attraverso i fondi messi a disposizione dal PNRR. Quindi, come è stato detto dalla collega che mi ha preceduto, riteniamo importante che non si perda neanche una opportunità insita in questo grande Piano pluriennale.

Inoltre, chiediamo di adottare iniziative per ripristinare un'unità di missione in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri che si occupi di dissesto idrogeologico e di sviluppo e coordinamento della manutenzione delle strutture idriche, anche nell'ottica di ammodernamento ed efficientamento del sistema acquedottistico nazionale, limitando le attuali cospicue perdite idriche lungo il percorso di distribuzione e della realizzazione e messa in esercizio di un sistema di collettori e depuratori di fanghi reflui, anche al fine di accogliere le raccomandazioni che giungono dall'Unione europea e scongiurare ulteriori procedure di infrazione.

Chiediamo di adottare iniziative, volte ad accelerare l'approvazione dei progetti riferiti al CIS Acqua bene comune, presentati nell'ottobre 2022, con l'obiettivo di migliorare la gestione della risorsa idrica e la resilienza dell'intero settore.

Chiediamo di incentivare, attraverso iniziative normative di natura fiscale, ovvero agevolazioni, quali l'iper-ammortamento, gli investimenti in irrigazione di precisione, agricoltura 2.0, impianti di irrigazione di ultima generazione e interventi agronomici e infrastrutturali volti al miglioramento dell'efficienza nell'uso delle risorse idriche in campo agricolo, che tengano conto delle effettive esigenze colturali e delle caratteristiche del suolo, con particolare riferimento a specifiche misure di sostegno per le imprese agricole, dell'acquacoltura e della filiera agroalimentare della trasformazione, da impegnare in investimenti tecnologici e digitali e nella formazione degli operatori.

Chiediamo di predisporre quanto prima, anche attraverso la nascente task force, un piano per la realizzazione di migliaia di nuovi invasi, ivi inclusi i piccoli invasi interaziendali a servizio delle imprese agricole, necessari per una maggiore e più capillare capacità di immagazzinamento dell'acqua piovana, oltre che una semplificazione normativa per la gestione dei detriti nella pulizia degli invasi già esistenti.

Chiediamo di promuovere un piano per il riuso delle acque di depurazione, sia in considerazione del regolamento (UE) 2020/741 in materia di utilizzo dell'acqua – che, ricordo, si applicherà a partire dal 26 giugno 2023 -, sia alla luce delle numerose procedure di infrazione attive nei confronti dell'Italia.

Chiediamo di promuovere, anche in linea con le indicazioni della Commissione europea e la spinta dei diversi Governi europei nei confronti dell'Italia, la ricerca sulla coltivazione idroponica e sulle nuove tecniche genomiche (New Genomics Techniques - NGT), finalizzate ad identificare coltivazioni più resistenti, che necessitano di minori quantità di acqua, in modo da accompagnare il nostro intero settore agroalimentare nell'adattamento ai cambiamenti climatici e al conseguente fenomeno della siccità.

Chiediamo di adottare, se necessario, iniziative, anche attraverso norme primarie e d'intesa con le regioni e gli enti locali (concordo con chi mi ha preceduto sul fatto che ciò sarà complicato dalle trasformazioni istituzionali che stiamo discutendo in questo periodo), al fine di un riassetto complessivo degli enti gestori del servizio idrico integrato, prevedendo una razionalizzazione e riduzione dei soggetti coinvolti, nonché una riduzione degli attuali ostacoli burocratici.

Chiediamo di promuovere campagne di comunicazione e sensibilizzazione - perché è dalla scuola e dalle giovani generazioni che deve partire il cambiamento di mentalità che deve accompagnare l' attenzione e la lotta alla siccità)ù - che incentivino, da un lato, i cittadini ad un uso più attento e responsabile della risorsa idrica e, dall'altro, le aziende e le industrie ad introdurre nei loro processi produttivi e nei loro cicli industriali sistemi di riutilizzo o di irrigazione per il comparto agricolo più efficienti e tecnologici.

Chiediamo di promuovere un piano complessivo ed omogeneo a livello nazionale che consenta la costruzione e la messa in esercizio di dissalatori, al fine di ottenere consistenti quantità d'acqua dolce dalla dissalazione e depurazione delle acque marine.

In ultimo, con riferimento a tutti i suddetti interventi, chiediamo di prevedere l'implementazione di un sistema di coordinamento nazionale che tenga in considerazione le specificità di tutti gli utilizzi dell'acqua di cui abbiamo parlato (agricoli, industriali, civili e turistici), al fine di evitare conflittualità tra questi usi e di ottenere una più oculata gestione delle risorse idriche.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Devis Dori, che illustrerà anche la mozione n. 1-00117, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. Anche i più incalliti “climafreghisti” si saranno accorti che i periodi di siccità, negli ultimi anni, stanno diventando sempre più frequenti, con conseguenze devastanti per la popolazione, per l'ambiente e per l'agricoltura.

Le cause principali della siccità sono legate ai cambiamenti climatici, all'aumento della temperatura globale, che altera i modelli di precipitazioni, ma anche a un uso insostenibile e allo spreco della risorsa idrica.

A tal proposito, Presidente, poco fa, prima di venire qui, alla Camera, sono passato da piazza San Silvestro, a circa 150 metri da Montecitorio, e la mia attenzione è stata attirata da una fontanella - i cosiddetti nasoni - che eroga acqua potabile a flusso continuo. Ho voluto misurare lo spreco di acqua di quella singola fontanella, come può fare chiunque. Sapete quanta acqua eroga, anzi spreca, solo quella fontanella? Sono esattamente 2 litri al minuto: 2 litri tondi, tondi, precisi, di acqua potabile. Sa, Presidente, a quanto corrispondono 2 litri al minuto? A 2.900 litri di acqua al giorno: 2.900 litri sprecati per una sola fontanella. Ora, non so se nella stessa piazza ci siano anche altre fontanelle – sinceramente, non l'ho verificato, non ho avuto tempo -, ma ne basta anche solo una. Qui, a 100 metri di distanza dalla Camera dei deputati, dove passano migliaia di persone ogni giorno. Basterebbe dotare la fontanella di un sistema pressione, per prelevare solo l'acqua che serve all'occorrenza. Certamente, non si risolve il problema idrico globale, chiudendo una sola fontanella, però, da qualche parte bisognerà pur partire e lo spreco, in ogni caso, non è mai accettabile.

Possiamo e dobbiamo dire ai cittadini che non devono sprecare - ed è vero ed è un dovere per tutti -, ma poi, in tempi come questi, la scena di questa fontanella, in un luogo pubblico, è davvero emblematica di quanto ci sia davvero da fare.

Il grido di allarme lanciato dagli scienziati del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, con l'ultimo rapporto pubblicato a fine marzo, indica, chiaramente, che non c'è alcun minuto da perdere. Il surriscaldamento del pianeta, con un aumento della temperatura media globale di 1,1 gradi rispetto all'era preindustriale, sta già avendo impatti diffusi e disastrosi, che colpiscono la vita di milioni di persone in tutto il mondo, con l'aumento di ondate di calore, siccità e inondazioni.

È di pochi giorni fa un appello lanciato al Governo da alcune associazioni e organizzazioni (Cipra Italia, CIRF, Federparchi, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, WWF e altre), per lanciare proposte concrete su siccità, alluvioni, gestione dei corsi d'acqua e per l'adattamento al cambiamento climatico.

L'Italia ha chiuso il 2022 con un pesante deficit idrico, aggravato dalla siccità che ha colpito duramente tutto il Nord e parte del Centro per oltre un anno. A subire le conseguenze maggiori sono stati soprattutto i terreni irrigui, i prati e i pascoli che sono stati colpiti da un intenso deficit di pioggia di lungo periodo, ma la siccità ha influito pesantemente sull'agricoltura e sull'energia idroelettrica prodotta, che ha subito una forte riduzione di circa il 40 per cento.

Appare molto preoccupante la situazione della siccità nel Nord Ovest del Paese, come evidenziato, ad esempio, dall'Ordine dei geologi, che ha riferito come le riserve di acqua in Lombardia sono di circa il 45 per cento in meno rispetto alla media tra il 2006 e il 2020. Questa grave siccità ha causato il ridotto livello dei fiumi e dei laghi della regione Lombardia, rappresentando un problema per l'ecosistema e per le attività umane che ne dipendono. Rispetto al massimo valore di invaso, il Lago di Garda, ad esempio, ha un riempimento del 35 per cento, mentre il Lago di Como ha una percentuale di riempimento pari al 20 per cento e un livello di quasi 6 centimetri in meno (circa 20 centimetri al di sotto dei livelli normali). Il Lago Maggiore ha un riempimento del 38 per cento inferiore alla norma, mentre il Po, a Ponte della Becca (Pavia) si trova più di 3 metri in meno rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come in estate.

L'altra causa della siccità è l'uso insostenibile dell'acqua, di cui, oltretutto, non conosciamo pienamente i consumi annui. Se per gli usi civili, periodicamente rilevati dall'Istat, sappiamo che si erogano ai cittadini circa 4,7 miliardi di metri cubi l'anno, ai quali va aggiunto un terzo dovuto alle perdite delle reti di distribuzione – colabrodo -, le stime sugli usi industriali non sono aggiornate da più di 20 anni, mentre l'incertezza maggiore riguarda proprio gli usi irrigui. Il censimento dell'agricoltura 2010 stima che, per irrigare circa 2 milioni e mezzo di ettari di superficie irrigua nazionale, si impiegano circa 11,1 miliardi di metri cubi l'anno, che, tenuto conto delle elevate perdite di distribuzione delle reti irrigue, implicherebbe un prelievo di circa 25 miliardi di metri cubi.

Al netto delle perdite, l'Italia è il Paese dell'Unione europea con i consumi domestici più elevati, e ciò per la totale mancanza di incentivi per favorire la diffusione di soluzioni che nel resto d'Europa si stanno diffondendo, come la raccolta della pioggia e il riuso delle acque grigie depurate. La fatiscenza degli acquedotti porta ad una perdita di acqua pari al 42 per cento. Nonostante questa emergenza infrastrutturale, il PNRR prevede solo 900 milioni di euro di investimento per affrontare la dispersione dell'acqua dalle condutture.

Secondo l'ultimo dossier di Legambiente - che si chiama Nevediversa 2023. Il turismo invernale nell'era della crisi climatica - l'Italia, stando alle ultime stime disponibili, è tra i Paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale, con il 90 per cento di piste innevate artificialmente, seguita dall'Austria (70 per cento), Svizzera (50 per cento) e Francia (39 per cento). Tale sistema di innevamento artificiale non è una pratica sostenibile e di adattamento, dato che comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo in territori di grande pregio. In particolare, il rapporto di Legambiente stima un consumo annuo di acqua che già ora potrebbe raggiungere i 96 milioni di metri cubi, corrispondente al consumo idrico annuo di circa una città di un milione di abitanti.

C'è poi il problema dell'artificializzazione del reticolo idrico. Nel nostro Paese, attualmente, vi sono 532 grandi dighe, di cui 374 in pieno esercizio, mentre 7 risultano ancora in costruzione, 76 in attesa di collaudo, 41 a invaso limitato e 33 fuori esercizio temporaneo. Da rilevare, poi, che, sulla spinta degli incentivi, gli impianti di produzione di energia idroelettrica e la conseguente frammentazione del reticolo idrico, soprattutto montano, sono aumentati enormemente nell'arco di un decennio, passando da poco più di 2.000 nel 2009 a oltre 4.000 nel 2018. Piccoli impianti, cosiddette anche centraline idroelettriche, con un contributo energetico strategico trascurabile, ma con elevati impatti ambientali.

In Italia, come in altri Paesi mediterranei, le politiche di approvvigionamento idrico hanno puntato ad accrescere la capacità di regolazione dei deflussi superficiali, creando invasi in cui accumulare le acque nel periodo piovoso per utilizzarle durante quello arido. Questa strategia ha tuttavia ben pochi margini per essere ulteriormente attuata, considerando che le sezioni dei corsi d'acqua dove era più facile ed efficace realizzare invasi sono ormai già abbondantemente sfruttate e che il riempimento dei volumi di accumulo esistenti sta diventando sempre più difficile a causa del mutato regime delle precipitazioni, a partire da quelle nevose, visto che con i grandi laghi alpini e gli invasi artificiali semivuoti sembra molto ottimistico pensare che realizzarne di nuovi possa risolvere il deficit idrico.

All'accumulo negli invasi si collegano poi altri problemi significativi, come la perdita di molta acqua per evaporazione, l'aumento elevato di temperature negli invasi più piccoli, con formazione di fioriture algali e sviluppo di cianotossine, fattori che compromettono il successivo utilizzo di queste acque e la necessità di sfangamento degli invasi che spesso comportano interventi costosi e complessi sul piano tecnico, impatti ambientali rilevanti e la difficoltà di reperire siti idonei nel caso in cui i fanghi vadano smaltiti al di fuori del corso d'acqua.

Risulta pertanto evidente come gli invasi lungo i corsi d'acqua non rispettino assolutamente il principio secondo il quale gli interventi previsti dal PNRR non debbano arrecare danno significativo all'ambiente e vanno nella direzione diametralmente opposta rispetto alla Strategia europea sulla biodiversità per il 2030. Anche la realizzazione di impianti di desalinizzazione per aumentare la disponibilità idrica non è sostenibile come soluzione strutturale di approvvigionamento idrico per il Paese.

Secondo le stime dell'Associazione nazionale delle bonifiche e delle irrigazioni, ANBI, in Italia all'agricoltura sono inoltre imputabili 14,5 miliardi di metri cubi di acqua l'anno, pari al 54 per cento dei consumi totali.

In tale contesto appare quanto mai necessario, a fronte non solo delle crisi idriche, ma di quelle sistemiche che rendono sempre più difficile e costoso l'accesso ai fattori su cui si è basata la produttività agricola, promuovere un sistema agroalimentare che richieda un minor uso idrico, anche attraverso una riconversione del sistema dell'industria zootecnica e ridefinire l'organizzazione dei paesaggi agrari e delle pratiche agronomiche, con l'adozione di misure mirate all'incremento della funzionalità ecologica dei territori agrari e della loro capacità di trattenere e far infiltrare le acque meteoriche e prevenire il degrado dei suoli.

L'agricoltura intensiva ha poi determinato un estremo impoverimento dei suoli agricoli. Secondo ISPRA, il 28 per cento del territorio italiano presenta segni di desertificazione, che non è solo un problema di mancanza di acqua. In Italia il contenuto di carbonio organico nei suoli è in media pari all'1 per cento, e questo indica suoli disfunzionali, inclini alla desertificazione, meno capaci di trattenere acqua e nutrienti, dalla minore capacità produttiva.

Si stima che, aumentando di solo l'1 per cento il contenuto di sostanza organica nel suolo, la capacità di trattenere acqua aumenti di quasi 300 metri cubi per ettaro.

La superficie agricola italiana è di circa 17 milioni di ettari; si tratta, quindi, di un accumulo di oltre 5 miliardi di metri cubi, quasi la metà di quella che si può attualmente accumulare negli invasi delle grandi dighe italiane. Il luogo migliore dove stoccare l'acqua rimane la falda e la ricarica controllata della falda determina un ventaglio ampio di benefici, oltre quello dello stoccaggio: falde più alte sono di sostegno a numerosi habitat umidi, si previene la subsidenza indotta dall'abbassamento della falda, falde più elevate rilasciano lentamente acqua nel reticolo idrografico, sostenendo le portate di magra.

L'ostacolo principale all'infiltrazione delle piogge nel suolo è dato dalla forte cementificazione del territorio e dall'impermeabilizzazione dei suoli che ha ridotto progressivamente la capacità di rigenerazione delle falde idriche, determinando il rapido convogliamento delle acque nei sistemi di fognatura urbana. Il consumo di suolo viaggia a una velocità di 2 metri quadrati al secondo, secondo i dati ISPRA, anche a causa della continua diffusione di poli della logistica; pensiamo alla Lombardia in generale, alla Pianura Padana, terra di conquista dei colossi della logistica, anche multinazionali.

Il recupero delle acque piovane in ambito urbano risulta, viceversa, assolutamente strategico, considerando che i dati pluviometrici relativi a 109 città capoluogo di provincia nel 2023, anno in cui le piogge sono state anche inferiori alle medie storiche di riferimento, indicano in circa 13 miliardi di metri cubi l'acqua piovana dispersa. Una quantità corrispondente a circa il 40 per cento dei prelievi medi annui di acqua in Italia. Ci sarebbero tante altre considerazioni da fare, ma, per motivi di tempo, vado direttamente alle conclusioni.

Come Alleanza Verdi e Sinistra abbiamo quindi presentato una mozione, a prima firma Angelo Bonelli, con la quale chiediamo al Governo di prendere, tra gli altri, alcuni impegni. Mi concentro solo su alcuni di essi. Anzitutto, ad istituire un fondo di 8 miliardi di euro da destinare alla sostituzione e manutenzione degli acquedotti fatiscenti attraverso la rimodulazione del Fondo complementare del PNRR; a definire, di concerto con ANCI, l'Associazione nazionale comuni italiani, una strategia per la riduzione dei consumi idrici domestici e il ricorso ad acque non potabili, come, ad esempio, le acque di pioggia accumulate, per gli usi compatibili, in modo da portare il valore medio dei consumi civili di acqua potabile a non oltre i 150 litri abitante al giorno; a definire una strategia di trasformazione del nostro sistema agroalimentare, identificando misure fortemente orientate a favorire la diffusione di colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti, a promuovere la diffusione di misure mirate all'incremento della funzionalità ecologica dei paesaggi e suoli agrari e della loro capacità di ritenzione idrica, a ridurre gli allevamenti intensivi, a contenere i consumi irrigui anche attraverso la digitalizzazione e l'innovazione tecnologica; ad approvare una legge che porti a “consumo di suolo zero” entro il 2030 per fermare anche l'impermeabilizzazione dei terreni; a destinare nell'ambito del DEF, in particolare, almeno 2 miliardi di euro l'anno, per un periodo di 10 anni, per interventi di riqualificazione morfologica ed ecologica dei corpi idrici naturali e del reticolo minore.

Queste e altre proposte sono contenute nella nostra mozione e ne auspichiamo l'accoglimento da parte del Governo: dobbiamo remare tutti dalla stessa parte, perché è in gioco la sopravvivenza dell'umanità. Un tempo, per dire che la situazione era critica, che non c'era tempo da perdere, si utilizzava l'espressione “siamo con l'acqua alla gola”. Ora verrebbe da dire “magari l'acqua arrivasse alla gola”, perché fra un po', se non ci svegliamo, non riusciremo neanche più a bagnare la punta dei piedi (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giandonato La Salandra, che illustrerà anche la mozione n. 1-00121, di cui è cofirmatario.

GIANDONATO LA SALANDRA (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, esponente del Governo, guardando il nostro Paese dall'alto è evidente che questo si caratterizza, per un terzo, per campi coltivati, per un terzo, per boschi, laghi e fiumi e, il rimanente terzo, per insediamenti urbani o industriali. Due terzi di questo Paese rappresentano la bellezza che lo caratterizza ed è proprio di questi due terzi che ci dobbiamo occupare.

I dati dei rilevamenti meteo evidenziano una indubbia sofferenza idrica e basterebbero solo le fotografie scattate da un satellite a certificare la secca dei fiumi e dei laghi in Italia.

Ed è un dato incontrovertibile che, se lo scorso anno si parlava di siccità e di eventi climatici eccezionali che in passato colpivano nell'arco di un decennio, già solo questo primo scorcio del 2023 presenta con largo anticipo un quadro assai preoccupante.

Solo nel corrente mese di aprile la portata del Po risulta molto al di sotto dei 450 metri cubi al secondo, misura da considerarsi come la soglia minima per evitare il cuneo salino, cioè la risalita delle acque dell'Adriatico nel Po e nei suoi affluenti. Questo perché proprio l'ingressione salina sta già condizionando un'altra stagione agricola del delta del Po, i cui bracci sono colmi di acqua marina, inquinando falde e terreni, come ampiamente sottolineato dall'ANBI. In Lombardia la spia d'allarme viene proprio dalle riserve idriche che segnano un meno 58,4 per cento sulla media storica e, rispetto al 2022, siamo già con il 12,55 per cento in meno.

Un dato significativo è fornito proprio dal Programma di osservazione satellitare della Terra EU-Copernicus che, nell'esame delle anomalie climatiche, ha segnalato una concentrazione media planetaria di CO2 atmosferica con un record di più 2,1 ppm rispetto al 2021.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, Emerson sosteneva che il primo uomo fu indubbiamente un agricoltore e lo ricordo perché il 51 per cento dell'acqua è impiegata proprio nel settore agricolo e tanto è evidente dalla preoccupante resa del grano tenero e del grano duro che segnano un calo complessivo di oltre il 10 per cento. Anche nelle risaie è allarme rosso con perdite stimate intorno al 30 per cento del raccolto, tanto è vero che i risicoltori sono stati costretti ad abbandonare oltre 9.000 ettari di riso, proprio a causa dei cambiamenti climatici. L'olio nella campagna del 2022, già risultata compromessa nei mesi scorsi a causa del caldo anomalo, vede una situazione ancora più grave, come ad esempio in Puglia dove, nonostante i danni acclarati dalla Xylella, si coltiva ancora oggi un terzo delle olive italiane, con una produzione stimata in calo di ben oltre il 40 per cento. La siccità condiziona le vigne: senza pioggia gli acini di uva faticano a ingrossarsi, quando addirittura non si asciugano, ed è a rischio anche la sopravvivenza dei nuovi impianti specie nelle aree dove si hanno difficoltà ad irrigare. Anche nelle fattorie il caldo e le sofferenze di acqua hanno determinato un calo del 20 per cento nella produzione del latte, non potendo trascurare poi il settore della verdura e della frutta che, in alcune zone, ha segnato una perdita di oltre il 70 per cento. Secondo Terna la crisi idrica ha ridotto la produzione di energia elettrica del 37,7 per cento nel 2022, con una preoccupante carenza anche per quanto attiene alla neve, con il 53 per cento in meno sull'arco alpino.

È evidente che non è più pensabile l'idea di ricorrere al sistema delle emergenze e anche questo è il senso della mozione presentata da Fratelli d'Italia, che si muove nel solco di quanto già fatto da questo Governo rispetto alle inefficienze, alle mancanze e alle vere e proprie deficienze dei Governi precedenti. Ciò che si rende assolutamente necessario è promuovere politiche della prevenzione attraverso la definizione di una strategia idrica nazionale che abbia un approccio circolare con interventi di breve, medio e lungo periodo.

Qualche mese fa, grazie al mio partito, ho avuto l'onore di partecipare ad un convegno interparlamentare sull'economia circolare, in cui ho avuto modo di ricordare come proprio quest'ultima possa definire modelli di sviluppo in cui produrre e consumare si basino proprio su principi di sostenibilità con vantaggi per le imprese e per l'ambiente.

L'area mediterranea, come ho detto, è essenzialmente caratterizzata da importanti livelli di stress idrico che, insieme ai cambiamenti climatici, producono un impatto negativo proprio sull'agricoltura. Nel contesto dell'economia bio-based e circolare l'agricoltura e la silvicoltura hanno un vasto potenziale in termini di gestione efficiente delle risorse, protezione della biodiversità, gestione sostenibile del suolo e del territorio, con valorizzazione e riutilizzo dei residui e dei rifiuti, nonché in termini di produzione di bioenergia anche attraverso l'uso efficiente delle risorse rinnovabili.

L'idea di uno sviluppo dell'economia circolare è essenziale se si immagina, ad esempio, che nel nostro Paese non esiste - lo ricordo ai colleghi che nelle precedenti legislature hanno governato - un piano nazionale per il riuso delle acque di depurazione, di cui già semplicemente il 30 per cento potrebbe essere impiegato soltanto nel settore agricolo, mentre oggi viene perso nei fiumi, nei laghi o nei mari. In Italia gli investimenti nel settore idrico, sino ad oggi, sono pari a circa 49 euro pro capite, a fronte di 100 euro pro capite impegnati in Europa.

Il dato significativo riguarda l'investimento complessivo dei precedenti Governi. Si dovrebbe ricordare, quantomeno a chi si impegna a raccogliere i sassi nei fiumi, che l'83 per cento dei gestori sono di natura pubblica, mentre il 17 per cento sono soggetti industriali privati che investono nell'acqua quasi più del doppio dei loro competitor pubblici. Investire sulla rete idrica - è questo uno degli obiettivi indicati nella mozione - è un obiettivo primario, se si ha contezza che l'Italia è sostanzialmente ferma alle stesse capacità di invaso di mezzo secolo fa, ma con necessità e consumi aumentati enormemente.

Lo scorso 1° marzo il Governo Meloni ha meritoriamente adottato un decreto-legge per la prevenzione e il contrasto della siccità e per il potenziamento e l'adeguamento delle infrastrutture idriche garantiti da un efficace sistema di governance grazie all'istituzione di una vera e propria cabina di regia per una ricognizione a breve termine delle opere e degli interventi di realizzazione urgente.

A chi percorre i letti dei fiumi alla ricerca delle pietre - e che comunque ha governato in passato - andrebbe ricordato che l'Italia paga regolarmente sanzioni alla UE per effetto delle diverse infrazioni in materia di infrastrutture idriche.

Mi rendo conto che parte di questo Parlamento segue smanie infantiliste o l'attivismo svedese, eppure dovremmo ricordarci che il nostro bacino idrico ha una sua prospettiva storica. Siamo il Paese che ha inventato gli acquedotti e i sistemi irrigui, siamo i grandi realizzatori delle bonifiche e vantiamo imprese nazionali specializzate nel disinterramento di dighe e invasi, che però, ahimè, lavorano con grande stima all'estero.

Il decreto-legge che ha adottato il Governo Meloni prevede proprio questo, sull'evidente necessità ed urgenza del caso, misure che aumenteranno la resilienza dei sistemi idrici rispetto ai cambiamenti climatici e diminuiranno le dispersioni delle risorse idriche; misure adottate per garantire un regime procedurale semplificato per la progettazione e la realizzazione delle infrastrutture idriche proprio sul modello di quelle assunte nel PNRR, con l'aumento dei volumi utili degli invasi e l'introduzione di rilevanti semplificazioni nella realizzazione degli impianti di desalinizzazione. Fortunatamente, le misure descritte adottate dal Governo porteranno benefici già nel breve periodo, ma si ritengono necessari anche ulteriori interventi, come ad esempio la realizzazione di una rete di piccoli invasi con basso impatto paesaggistico, diffusi sul territorio, finanche privilegiando il recupero delle strutture già presenti. E, ancora, una rete di micro e medi impianti per la raccolta delle acque piovane e fluviali, utilizzando senza sprechi e in modo attento e mirato i fondi del PNRR.

Altrettanto importante, però, è un'opera di sensibilizzazione della cittadinanza sul tema del contrasto allo spreco della risorsa idrica. Il problema non sono certamente né i nasoni di Roma né certamente le vedovelle di Milano, posto che siamo i più alti consumatori pro capite di acqua in Europa, con oltre 220.000 litri al giorno per abitante, pagando il prezzo dell'acqua più basso d'Europa; un prezzo che, certamente, non disincentiva la cultura dello spreco.

Per Fratelli d'Italia è importante, altresì, investire sugli Accordi di Basilea, valutando un ripensamento che tenga conto delle particolarità dell'agricoltura, interventi sulle procedure di istruttoria e deroghe apposite per il merito creditizio delle imprese agricole, rafforzando e facilitando il rapporto tra gli istituti di credito e le stesse imprese agricole.

Presidente, onorevoli colleghi, il 25 marzo del 2023 sono trascorsi 17 anni dalla scomparsa di Paolo Colli, pioniere di un ambientalismo e indimenticato sostenitore di un ecologismo identitario. Lo ricordo perché, se è vero che c'era e c'è un ambientalismo che raccoglie le pietre dei fiumi, c'è stato e c'è un modo di concepire l'ambiente come un vero e proprio atto di civiltà, un patrimonio da lasciare intatto ai propri figli e ai propri di nipoti.

C'è stato e c'è un modo di fare ambiente non conformista. Un'idea di ambiente che crede che i fiumi diano all'uomo ben più di quattro sassi per una sceneggiata o per l'acquario di qualche salotto (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Si riserva.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Ruffino ed altri n. 1-00098, Sergio Costa ed altri n. 1-00056, Cattaneo ed altri n. 1-00083, Bonelli ed altri n. 1-00116 e Zucconi ed altri n. 1-00118 concernenti iniziative in materia energetica nel quadro del raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, con particolare riferimento all'energia nucleare (16,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Ruffino ed altri n. 1-00098, Sergio Costa ed altri n. 1-00056, Cattaneo ed altri n. 1-00083 (Nuova formulazione), Bonelli ed altri n. 1-00116 e Zucconi ed altri n. 1-00118, concernenti iniziative in materia energetica nel quadro del raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, con particolare riferimento all'energia nucleare (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Di Sanzo ed altri n. 1-00122, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Emma Pavanelli, che illustrerà la mozione Sergio Costa ed altri n. 1-00056, di cui è cofirmataria.

EMMA PAVANELLI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi, oggi ci troviamo qui ad affrontare l'ennesima discussione riguardante gli obiettivi di neutralità climatica: obiettivi tanto ambiziosi quanto necessari, che, come sapete, il nostro Paese è chiamato a raggiungere nell'ambito del Green New Deal europeo. Un tema sul quale, come MoVimento 5 Stelle, abbiamo speso fiumi di parole, ponendolo al centro di migliaia di emendamenti, centinaia di interrogazioni e decine di proposte di legge. Ciò nonostante, oggi non posso dirmi ancora del tutto certa che la maggioranza di questo emiciclo ne abbia compreso l'importanza. Negli occhi di molti colleghi della maggioranza leggo una preoccupante indifferenza o addirittura un'avversione, quando si affronta il tema il tema delle fonti energetiche rinnovabili. Alcuni di loro forse ritengono l'orizzonte temporale previsto dall'Europa troppo a lungo termine. Altri, probabilmente, non sono convinti della necessità di dover progressivamente abbandonare le fonti fossili. Altri ancora sono troppo lontani dal sentire l'urgenza di agire subito e di farlo in fretta.

Mi chiedo allora in che modo, oggi, alla luce degli effetti devastanti del riscaldamento globale, che sono sempre più evidenti, si possa continuare ad ignorare i segnali che il pianeta ci manda. Perché oggi si continua ad agire con il solo fine di procrastinare, magari ottenendo dall'Europa qualche deroga o spostamento in avanti dei termini di questo necessario processo, invece di lavorare tutti insieme per intraprendere un percorso definitivo, un percorso che è possibile solo investendo sulle fonti energetiche rinnovabili. Sono la soluzione che possiamo attuare oggi, nell'immediato. Duole constatare che in Italia l'unico a portare avanti questa battaglia sia il MoVimento 5 Stelle, e si ritrova solo. Nel 2021 abbiamo inserito la data 2050 all'interno del nostro logo: una scelta che forse avrà fatto sorridere qualcuno, ma che indica la volontà di percorrere un sentiero già tracciato, quello della neutralità climatica.

Allora, per suo tramite, Presidente, desidero già in apertura invitare tutti i colleghi a guardare oltre il proprio naso. Un legislatore responsabile e avveduto non può avere come traguardo solo la fine della legislatura o, peggio, la prossima tornata elettorale. Alcune scelte politiche, che oggi definiremo coraggiose, sono invece indispensabili per costruire il mondo in cui vivranno i nostri figli e i nostri nipoti.

Una volta per tutte chiariamo che quella sulle fonti rinnovabili non è una battaglia ideologica e neanche può essere derubricata a semplice obiettivo dell'Unione europea. Si tratta della più grande sfida globale dei prossimi anni: una sfida che, ovviamente, non possiamo in alcun modo permetterci di perdere!

Un altro grave errore sarebbe quello di considerare le politiche energetiche soltanto una tematica ambientale. Solo chi non vuole vedere, continua a ignorare che stiamo parlando di: economia degli investimenti in fonti rinnovabili, la creazione di migliaia di posti di lavoro, la riduzione del costo degli oneri in bolletta, la crescita di tutti i settori connessi e, persino, lo sviluppo di un'economia realmente circolare. Basti pensare che negli Stati Uniti sono stati creati 100.000 nuovi posti di lavoro negli ultimi 6 mesi solo nel settore delle rinnovabili!

Non sto dicendo di credere alle mie parole, ma di credere ai fatti. Lo abbiamo dimostrato già con il superbonus: una misura che si poneva in linea anche con la direttiva Case Green 2030 e, quindi, con tutti gli obiettivi ambientali europei. Tutti ormai dovremmo avere chiari gli obiettivi del Green Deal e, in particolare, l'azzeramento delle emissioni entro il 2050, e prima ancora il loro taglio del 55 per cento entro il 2030. Quello che ancora non mi è chiaro è come questo Governo intenda perseguirli, visto che la sua naturale scadenza sarà alle soglie di questa data importantissima. L'unica soluzione che questa maggioranza è stata finora in grado di proporre è il cosiddetto nucleare pulito e di quarta generazione: una fonte energetica talmente innovativa, colleghi, pensate un po', che ancora non esiste! Sì, avete capito bene, ancora non esistono reattori nucleari di quarta generazione, eppure nella mozione del collega di Forza Italia, secondo loro saranno operativi già nel 2030! Si tratta di reattori che si trovano ancora allo stadio di prototipo, di sperimentazione, la cui commercializzazione non è prevista prima del 2030, pertanto non saranno commercializzati per quella data. Per avere i rilievi delle sperimentazioni e, quindi, evidenza dell'impatto sulla salute dei cittadini, dovremo aspettare almeno altri 30 anni! Ma vogliamo parlare anche dei costi di realizzazione? Ad oggi la stima va da 1 a 2 miliardi di euro per i reattori più piccoli e da 5 a 10 miliardi per gli impianti più grandi. In sostanza, quindi, tempi e costi sono del tutto insostenibili per porre rimedio all'emergenza energetica, climatica e ambientale, che oggi, colleghi - sì, oggi! -, necessita di una risposta immediata e concreta.

Ma c'è di più. Credo sia giusto informare i cittadini sul fatto che questi futuristici impianti nucleari produrrebbero meno scorie, ma anche meno energia, tanto che, per avere la stessa efficienza di quelli di vecchia generazione, ne servirebbero molti di più. In pratica, ci ritroveremo ad avere un territorio disseminato di piccole centrali nucleari. Diciamolo, questo, ai cittadini, altrimenti la vostra è retorica elettorale. E già che ci siete, dite che non verrebbe in alcun modo risolto il problema delle scorie radioattive, pericolose per la salute umana. Dove pensate di collocare i rifiuti radioattivi, se dal 2011 siamo in attesa di dare attuazione alla direttiva Euratom, che impone l'individuazione di un sito idoneo a ospitare il deposito nazionale di stoccaggio dei rifiuti radioattivi? Ancora oggi le nostre scorie degli impianti nucleari, pensate, definitivamente chiusi nel 1990, sono dislocate in 19 siti temporanei su tutto il territorio nazionale e in parte all'estero, e a breve torneranno sul territorio italiano.

Dal 1990, dopo che, con un referendum abrogativo, gli italiani avevano deciso di bocciare l'energia nucleare, volontà confermata anche nel 2011 con un'altra consultazione referendaria, che, oggi, questo Governo forse intende calpestare.

Ma come si può definire “pulita” una fonte energetica così impattante sull'ambiente circostante? Chi oggi parla di nucleare pulito, semplicemente, non conosce i rischi che ci sono dietro il nucleare. Per spiegarlo al meglio, prendo in prestito le parole del premio Nobel Giorgio Parisi, secondo cui un incidente, come quello di Cernobyl, in Pianura padana avrebbe provocato 3 milioni di sfollati. Si tratta di rischi che aumentano esponenzialmente di fronte a uno scenario geopolitico instabile, come quello che stiamo vivendo oggi. Non a caso, dopo gli attacchi russi all'impianto di Zaporižžja, il gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare ha espresso forte preoccupazione per la sicurezza dei diversi reattori di ricerca e per i siti dove sono impiegate sorgenti radioattive ad alta attività.

Guardando fuori dai nostri confini, la stessa Germania, oggi, ha definitivamente chiuso le sue ultime due centrali nucleari, anzi, due giorni fa. Ma c'è di più, il Cancelliere tedesco Scholz ha dichiarato di volere installare da 4 a 5 turbine eoliche al giorno, nei prossimi anni, con l'obiettivo di…

PRESIDENTE. C'è qualche problema con il microfono…

EMMA PAVANELLI (M5S). Come stavo dicendo, il Cancelliere Scholz ha dichiarato di voler installare da 4 a 5 turbine eoliche al giorno nei prossimi anni, con l'obiettivo di coprire il fabbisogno nazionale di energia. Vogliamo parlare di cosa sta succedendo in Francia? Negli ultimi anni, hanno dovuto fermare alcuni impianti, a causa del riscaldamento globale, quello che dobbiamo, invece, mitigare, infatti, non riescono a garantire il livello delle temperature e, non solo, alcuni impianti sorti vicino al mare sono a rischio, in quanto il livello del mare è cresciuto, sempre a causa del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici, e mette a rischio gli impianti.

Insomma, tutti sembrano avere compreso i rischi e i costi alti del nucleare e la necessità di puntare su fonti energetiche rinnovabili realmente sostenibili. Infatti, una grossa quota del PNRR è destinata all'aumento delle rinnovabili. Oggi, infatti, siamo in attesa dei decreti attuativi per le comunità energetiche, per le aree idonee e per il nuovo PNIEC. Questo in considerazione del fatto che proprio ieri il Ministro Pichetto Fratin ha dichiarato che l'Italia intende investire in tutte le soluzioni climaticamente neutre in grado di ridurre rapidamente le emissioni. Bene! Pertanto, non si comprende come mai il Ministro non stia pubblicando questi tanto attesi decreti attuativi, che sono ormai urgenti.

Presidente, mi consenta un'ulteriore osservazione. Sarebbe importante capire se questo Governo pensa che il tema dell'energia sia considerato un tema di sicurezza nazionale, perché, dopo l'entrata in vigore del decreto Calderoli, in tema di autonomia differenziata, visto che l'energia è uno dei temi che diventeranno di sola competenza regionale, quali garanzie avremo che le regioni possano gestire una possibile futura emergenza in tema di energia? Inoltre, come farà questo Esecutivo a continuare a lavorare su un tema come questo, di fondamentale importanza per l'Italia, se, di fatto, sta portando avanti la secessione del Paese?

Concludo, Presidente. In questa mozione, a prima firma Sergio Costa, abbiamo messo, nero su bianco, una serie di impegni che chiediamo al Governo e sulla quale auspico che davvero ci sia un'ampia convergenza da parte di tutti i colleghi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Valentina Grippo, che illustrerà anche la mozione Ruffino ed altri n. 1-00098 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria.

VALENTINA GRIPPO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Il tema che indirizziamo oggi, con questa mozione, va oltre quello del nucleare, che pure è stato affrontato nell'intervento che mi ha preceduto, e cerca di portare all'attenzione di quest'Aula e del Governo una verità, ovvero che, per l'ampiezza del mandato elettorale ricevuto e per la prospettiva di legislatura che ci immaginiamo, questo Governo ha la possibilità di intervenire profondamente, se lo vuole fare, per riformare il sistema di produzione di energia e conseguire gli obiettivi Net Zero al 2050, garantendo al Paese uno sviluppo sostenibile. E questo non solo perché, come ci capita spesso di dire in quest'Aula, ce lo chiede l'Europa. Come è stato detto e come è noto, l'Unione europea, e, con essa, l'Italia, si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica, quindi, quello che ho chiamato Net Zero, entro il 2050, prevedendo che l'anidride carbonica immessa nell'atmosfera dovrà essere ridotta al minimo e bilanciata da una quantità equivalente, rimossa tramite sistemi di cattura e stoccaggio.

Ebbene, questi temi, che sembrano così distanti dal punto di vista cronologico e così articolati dal punto di vista della soluzione, ci capita spesso di pensare che siano obiettivi irraggiungibili, specie per il nostro Paese, dove la burocrazia e la complessità dei processi intervengono spesso a rallentare e a inibire il raggiungimento di obiettivi piccoli, figurarsi delle trasformazioni radicali. Invece, è vero piuttosto il contrario. In questo momento, ci sono tutti gli elementi sul tavolo perché questo obiettivo così ambizioso possa essere realizzato, lo ripeto, specialmente da un Governo che ha tutti i numeri per poterlo fare e che, in campagna elettorale, ha dichiarato di essere intenzionato a intervenire in modo strutturale e importante, per riformare il sistema di produzione di energia del Paese.

Come è noto, la tassonomia europea include il nucleare fra le fonti energetiche a basso impatto ambientale utili per raggiungere il Net Zero di cui abbiamo parlato e tutti i partiti della maggioranza, sia pure con toni e accenti diversi, nelle varie sedi istituzionali e pubbliche, si sono detti favorevoli al nucleare pulito, al nucleare di nuova generazione, alla ricerca sul nuovo nucleare. Sono affermazioni un po' vaghe, che vanno bene in campagna elettorale, ma che chiediamo al Governo, oggi, di declinare in azioni concrete, che ci portino, da oggi al 2050, a raggiungere gli obiettivi che ci stiamo dando.

Per quel che ci compete, il nostro gruppo parlamentare ha presentato, in campagna elettorale - ahimè, abbiamo l'abitudine di dettagliare i programmi anche in campagna elettorale -, uno specifico percorso che, in tutti gli ambiti dell'approvvigionamento energetico del Paese, delineava una road map che ci avrebbe portato, entro il 2050, all'ambizioso obiettivo della neutralità climatica ed energetica. Questo però, oggi, noi ce lo aspettiamo dal Governo. Non sappiamo se prenderà in considerazione tutte le varie milestone che noi abbiamo illustrato come necessarie o se ne prenderà altre. Quello che è importante è che ci racconti oggi cosa pensa di fare per raggiungere gli obiettivi Net Zero entro il 2050.

Cosa significa mettere in pratica questi obiettivi? La questione non solo è tecnica o di opzione industriale, è anche e soprattutto politica: per realizzare un programma nucleare serio, i capitali e le tecnologie sono necessari, ma non sono sufficienti, per farlo servono innanzitutto fiducia e consapevolezza da parte dei cittadini e un sistema di regole e garanzie adeguate che porti i cittadini allo stesso grado di consapevolezza sull'impatto ambientale, economico ed energetico del nucleare, rispetto a quello a cui sembra sia arrivata la maggior parte delle forze politiche.

Per questo, è necessario che il Governo avvii un'opera di educazione a partire dalla scuola e investa risorse nella formazione accademica e nella ricerca.

Ciò, per dare credibilità e sostanza ad un'iniziativa italiana in campo nucleare e generare la fiducia che noi, pur essendo all'opposizione, sappiamo sia necessaria per il Governo per portare avanti un progetto radicale e significativo su questo tema. Naturalmente, per fare questo il Governo, come prima cosa, deve dimostrare di saper chiudere in modo razionale il vecchio ciclo nucleare e di essere capace di archiviare quella fase, partendo dalla realizzazione del Deposito unico nazionale dei rifiuti radioattivi e dall'accelerazione dello smantellamento dei vecchi impianti. È noto a tutti come il Deposito sia un'infrastruttura strategica, ma non sempre abbiamo evidenziato a sufficienza quanto sia di agevole realizzazione in pochi anni. È vero, però, che l'avvio del Deposito richiede un forte presidio politico-istituzionale che chiediamo al Governo di esercitare, se si è davvero convinti di voler raggiungere questo obiettivo. Non disporre del Deposito unico comporta costi notevoli: per lo stoccaggio delle scorte in Francia e in Inghilterra; per la gestione e la manutenzione dei diversi depositi sul territorio; infine, riduce notevolmente il credito internazionale del Paese in un settore altamente strategico, come dimostra l'iniziativa dell'alleanza dei 12 Paesi europei.

Realizzare una politica energetica che comprenda anche il nucleare in Italia richiede una persistente volontà politica e una forte capacità di coinvolgimento istituzionale a tutti i livelli. Sull'utilità di includere il nucleare nel mix di fonti energetiche, alla luce degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 e sulla sicurezza e sostenibilità sia economica sia ambientale delle tecnologie attualmente disponibili, i dati e gli studi internazionali non lasciano dubbi. È un'opzione assolutamente da perseguire anche in Italia, come del resto fanno tutti gli altri Paesi industrializzati. Ricordo che l'Italia è l'unico Paese del G7 o G8 a non produrre energia nucleare.

Chiediamo al Governo di assumere l'impegno a realizzare, ovvero a dimostrare di essere capace di realizzare quanto promesso agli elettori, seguendo le migliori pratiche e affidandosi alle migliori competenze di cui il Paese dispone. In tema di ricerca e di innovazione sul nucleare abbiamo davvero delle eccellenze che molto spesso sono a disposizione di progetti transfrontalieri o internazionali, perché non siamo in grado, qui in Italia, di dare loro il seguito che meritano.

Sicuramente un passaggio strategico sarà la realizzazione del Deposito, ma poi saranno anche necessarie la ristrutturazione degli enti preposti al settore e la definizione di un nuovo sistema di regole, a partire da quelle per la localizzazione delle infrastrutture, per le autorizzazioni, l'esercizio e la remunerazione degli impianti.

Sottosegretaria, se non si avvia subito un programma serio in questo senso, il Paese rischia di perdere un nuovo ciclo di imponenti investimenti nel settore nucleare, che altri Paesi hanno già avviato, e di fallire largamente gli obiettivi di riduzione delle emissioni che i cittadini e la scienza, in primo luogo, ci chiedono urgentemente di raggiungere.

Sappiamo anche, per dare atto a tutto quello che è successo in questi anni in questo articolato settore, che c'è stato un iter preparatorio durato anni che ha seguito Sogin, con la carta delle aree idonee ad ospitare il Deposito, la cosiddetta CNAI. Sappiamo che è stata ultimata e che è stata trasmessa al Governo e adesso il MASE è chiamato a pubblicarla. C'è stato un passaggio a tal proposito e questo tema è stato anche oggetto di una nostra interrogazione al Senato. In quella sede il Ministro Pichetto Fratin ha indicato la fine dell'anno come obiettivo per la pubblicazione. Noi riteniamo che si possa e si debba accelerare, ma, comunque vada rispetto a questa scadenza, noi riteniamo che sia necessario avviare da prima - da subito! - un'intensa attività di rapporti istituzionali con le regioni e con i comuni, a partire da quelli potenzialmente interessati, con l'obiettivo di stimolare autocandidature ed evitare un effetto not in my back yard e invece incentivare quei territori che sono interessati a candidarsi.

Comunque, riteniamo necessario che si realizzi un processo partecipato di dibattito pubblico per avviare la realizzazione del Deposito e già questo contribuirà a misurare la capacità del Paese a gestire iniziative infrastrutturali rilevanti e a renderlo più pronto a ospitare nuovi impianti. Inoltre, è fondamentale, per liberarsi anche dal fardello percettivo e culturale del passato, mettere fine a questa prima fase con il Deposito. In ogni caso si dovrà realizzare un processo partecipato di dibattito pubblico che veda coinvolti tutti gli enti, dagli enti di prossimità, che saranno interessati ai vari temi che riguardano lo sviluppo del nucleare in Italia, fino, evidentemente, al Governo centrale.

È evidente e chiaro - l'abbiamo detto in premessa - che è necessario uno sforzo istituzionale ampio e condiviso e che il Governo deve assumere la realizzazione del Deposito e di un piano energetico che abbia come obiettivo la neutralità per il 2050, coinvolgendo la ricerca, il settore dell'università e tutti gli attori del settore industriale ed è chiaro che tutto ciò non potrà esaurirsi all'Italia. Il settore energetico, quello nucleare in particolare, ha per propria natura una forte dimensione internazionale ed è per sua natura un settore sensibile e, quando lo si affronta, bisogna calibrare bene il messaggio che si dà all'opinione pubblica e raccontare bene che cosa davvero si va a realizzare.

È chiaro, peraltro, che, anche dal punto di vista fattuale, per realizzare nuovi impianti occorrerà necessariamente acquisire le tecnologie da operatori internazionali e, per farlo, servirà un'intesa intergovernativa con i Paesi con cui si vorrà dialogare. Anche qui vogliamo sapere a quali Nazioni il Governo intende rivolgersi. Sappiamo che le opzioni principali sono sostanzialmente due, cioè la Francia e gli Stati Uniti, ma ci interessa sapere se ci sia su questo punto una riflessione in corso e un'idea su quali partner internazionali si intendano scegliere per questo percorso.

Come detto, il Governo deve dimostrare non solo di avere la volontà di avviare un programma nucleare serio, realizzando come prima cosa il Deposito e riformando il sistema regolatorio, ma anche di avere la capacità di sfruttare questo programma per rafforzare le alleanze internazionali e strategiche del Paese. Ora è il momento di passare dalle vaghe intenzioni e dai discorsi generici ai programmi concreti, coinvolgendo Parlamento, enti locali e cittadinanza.

Per questo motivo, con questa mozione noi consegniamo al Governo una road map fatta di richieste precise che passano per la già menzionata localizzazione e realizzazione del Deposito nazionale, la richiesta di adottare un'iniziativa di carattere legislativo e normativo per favorire la diffusione nel nostro Paese di tutte le tecnologie a bassissime emissioni di CO2, ovviamente quelle così definite e incluse nella tassonomia europea, valorizzando le caratteristiche di ciascuna. Nel mio intervento mi sono molto soffermata sul nucleare, ma è evidente che è solo da un quadro di insieme che potremo raggiungere gli obiettivi che ci stiamo prefiggendo. È evidente che, per quel che riguarda la nostra forza politica, includiamo i reattori a fissione della migliore tecnologia disponibile, ovvero la terza generazione evoluta e successivamente ogni ulteriore sviluppo.

Naturalmente, impegniamo anche il Governo a favorire campagne di informazione pubblica sulle diverse fonti e tecnologie energetiche disponibili, proprio perché la disinformazione e le fake news - e mi dispiace dirlo anche negli interventi in quest'Aula - sull'articolato tema delle energie e del nucleare sono veramente molto diffuse ed è corretto e giusto che la cittadinanza ci chieda rassicurazioni e informazioni e che si faccia un lavoro capillare anche su questo, come è avvenuto nel nostro Paese quando si sono dovute affrontare altre trasformazioni digitali.

Chiediamo anche di adottare iniziative per sostenere la ricerca tecnologica sui reattori a fissione nucleare innovativi, inclusi i cosiddetti small modular reactor, che sono quelli di piccole dimensioni, e quelli a neutroni veloci, che consentono un miglior utilizzo dell'uranio; sulla fusione nucleare, chiediamo di ampliare l'offerta formativa nelle università italiane, incrementandone l'attrattività anche per ricercatori e docenti stranieri; in ultimo, di aderire alla cosiddetta alleanza per il nucleare, già sottoscritta da altri 12 Paesi europei, con l'obiettivo di sostenere, a livello comunitario, sia sotto il punto di vista industriale che sotto quello regolatorio, il ruolo fondamentale del nucleare nella transizione ecologica verso gli obiettivi di neutralità climatica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Luca Squeri, che illustrerà anche la mozione n. 1-00083 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario.

LUCA SQUERI (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi…

PRESIDENTE. Onorevole, scusi, ma il microfono che sta usando dà qualche problema di audio, se può usarne un altro. Vediamo di capire se questo funziona meglio. Prego.

LUCA SQUERI (FI-PPE). Grazie, Presidente. La mozione presentata da Forza Italia risponde all'impegno preso nel programma di Governo del centrodestra predisposto per le elezioni politiche del settembre 2022, in cui si fa riferimento alla creazione di impianti di produzione di energia nucleare di ultima generazione, senza veti e preconcetti.

Nella riunione informale dei Ministri dell'energia dello scorso 27 febbraio, la Francia ha lanciato un'iniziativa per il rilancio del nucleare in Europa, con l'obiettivo di affiancarlo alle rinnovabili nel mix di produzione energetica dei prossimi decenni. Un invito che è stato accolto, in quella sede, da Romania, Bulgaria, Slovenia, Repubblica Ceca, Svezia, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Croazia, Paesi Bassi e Finlandia. Correttamente, il nostro Ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica, nel declinare l'invito, ha demandato al Governo e al Parlamento il compito di fornirgli adeguati indirizzi in merito.

La nostra mozione, ancor più nella sua ultima formulazione, depositata la scorsa settimana, è frutto di un importante lavoro svolto dal dipartimento energia di Forza Italia da me guidato, e colgo l'occasione per ringraziare chi ne fa parte per il prezioso contributo e per l'impegno mostrato nell'approfondire il tema sotto ogni aspetto, in primis, quello della sicurezza. Purtroppo, ancora oggi, restano vive nell'immaginario collettivo, oltre alle atrocità della bomba atomica, le sciagure degli incidenti nucleari di Cernobyl e Fukushima, che, non a caso, hanno determinato l'esito dei due referendum del 1987 e del 2011, che hanno, rispettivamente, sancito e ribadito la fine della produzione nazionale di energia nucleare. Ma ogni esito elettorale va sempre contestualizzato. Oggi il quadro è notevolmente cambiato, non solo sul piano geopolitico ma anche in considerazione degli straordinari progressi raggiunti dalla comunità scientifica. Lo sappiamo, la guerra in corso da oltre un anno tra Russia e Ucraina e il conseguente precario contesto geopolitico internazionale hanno posto con urgenza la necessità di rivedere le scelte di politica energetica nazionale e, soprattutto, hanno messo sotto i riflettori gli errori di una transizione ecologica sbagliata, perché ideologica, disancorata dalla realtà, non sostenibile sul piano socioeconomico nei suoi tempi e nelle sue modalità.

Gli ambiziosi obiettivi dell'Unione europea prevedono, in tempi brevi, un forte abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, che, va detto, non è raggiungibile con il solo utilizzo di energie da fonti rinnovabili. Inoltre, l'aumento della domanda di energia, in particolare di energia elettrica, sia nei consumi registrati negli ultimi decenni sia in quelli previsti per i prossimi, difficilmente potrà essere soddisfatto attraverso le sole rinnovabili, senza contare le complesse ed irrisolte questioni legate alla stabilità della rete e agli stoccaggi.

La nostra transizione si dovrà realizzare attraverso un contributo progressivamente decrescente e, alla fine, residuale del gas. Dovendo realizzare una produzione di energia elettrica e termica con un mix quasi totalmente CO2 free, sarà inevitabile, non potendo contare sul solo apporto delle rinnovabili, sfruttare l'energia nucleare quale fonte in grado di garantire al Paese la piena autonomia energetica. La fondatezza di questa premessa è testimoniata da alcuni recenti atti, non del Governo italiano ma della stessa Unione europea: mi riferisco al regolamento delegato (UE) 2022/1214 in materia di attività ammissibili nei settori energetici, con il quale è stata prevista, a partire dal 1° gennaio 2023, la possibilità di investire in nuove centrali nucleari realizzate con le migliori tecnologie disponibili. Mi riferisco alla proposta di regolamento presentata il 16 marzo scorso, con la quale si istituisce un quadro di misure per favorire la produzione di tecnologie a zero emissioni, il cosiddetto Net Zero Industry Act, dove sono state incluse le tecnologie avanzate per produrre energia da processi nucleari con rifiuti minimi dal ciclo del combustibile. Dunque, se ne è accorta anche l'Europa che, senza nucleare, la decarbonizzazione nei tempi richiesti è semplicemente irrealizzabile. Il commissario UE all'energia, Kadri Simson, lo scorso 9 marzo ha dichiarato che bisogna porre “l'accento su due questioni: la sicurezza di approvvigionamento del combustibile nucleare (…) e la promozione della competitività dei piccoli reattori modulari, con la creazione di un'industria europea per il settore. Il nucleare sta tornando in tutto il mondo e molti Stati membri ci stanno lavorando”.

Noi vogliamo che anche l'Italia inizi a lavorarci. Per fare questo è necessario chiarire diversi aspetti, ma, prima ancora, dobbiamo sradicare la paura dal nostro ragionamento sul tema ed evitare di giungere a conclusioni irrazionali e anti-scientifiche, come, del resto, abbiamo sentito, anche poco fa, in quest'Aula. Oltre alle centinaia di reattori nucleari in esercizio nel mondo, sono molti i progetti innovativi in corso di sviluppo, alcuni in fase avanzata e pronti per la realizzazione. Si tratta di progetti per reattori a fissione di nuova generazione che possono superare i problemi che si sono evidenziati nelle generazioni passate e attuali e, soprattutto, le perplessità e le paure che circolano riguardo alla loro sicurezza o alla gestione dei rifiuti radioattivi. In particolare, sono allo studio più di 60 tipi di reattori di quarta generazione, ovvero quelli modulari. Rientrano tra questi i piccoli reattori modulari, con potenza fra i 100 e i 500 megawatt elettrici e i microreattori modulari, con potenza fino a 45 megawatt termici, corrispondenti a circa 20 megawatt elettrici.

Noi chiediamo al Governo di concentrare l'impegno su alcuni di questi progetti in dirittura d'arrivo. Il processo di licensing modulare dei microreattori sviluppati, ad esempio, dalla Ultra Safe Nuclear di Seattle, peraltro grazie al lavoro di scienziati in gran parte italiani, è già in corso in Canada, negli Stati Uniti, in Finlandia e in Polonia, dove sono stati ordinati microreattori pilota che entreranno in funzione a partire dal 2026. Sono stati sviluppati per la produzione di energia elettrica e termica direttamente negli stabilimenti industriali energivori, sono detti anche “batterie nucleari” in ragione delle loro dimensioni ridotte (circa 50 metri quadri). Potrebbe iniziare il processo di decarbonizzazione dell'industria italiana già dal 2030, procurando energia conveniente a prezzo stabile e garantito per decenni rispetto ai prezzi che abbiamo visto, negli ultimi anni, arrivare fino a 300 euro, per poi assestarsi a 80-100 euro. Si parla di 30 euro a megawattora per la prima carica e di 10 euro a megawattora per le successive dopo i primi 10-20 anni di funzionamento. Per questa tipologia di reattori la temperatura massima raggiungibile è di 1.000-1.100 gradi Celsius; anche in caso di completa interruzione del raffreddamento, sono incapaci di meltdown, il combustibile è sigillato da strati di grafite e carburo di silicio a livello millimetrico ed è, quindi, impossibile disperdere radioattività nell'ambiente, né durante l'operatività né negli anni successivi necessari perché i prodotti di fissione decadano al di sotto della radioattività dell'uranio; non sfruttano l'acqua e, dunque, non possono generare esplosioni da vapori di idrogeno. Ma è una delle possibili tecnologie che non sfrutta acqua. Nel 2022, la Newcleo, società per lo sviluppo di sistemi nucleari innovativi di quarta generazione, ha firmato un'intesa con l'ENEA per realizzare un processo di Advanced Modular Reactors di piccole dimensioni raffreddati a piombo, invece che ad acqua.

L'Italia è all'avanguardia nel mondo, anche tramite l'ENEA, l'Ansaldo Nucleare, le università e molte aziende private, nella tecnologia del piombo liquido che, applicata ai reattori di quarta generazione, permette di accedere a un nucleare capace di utilizzare i rifiuti nucleari di altre centrali, eliminando, quindi, la necessità di depositi geologici nazionali.

Si tratta di reattori che potrebbero iniziare il processo di decarbonizzazione della produzione elettrica italiana già dal 2030, procurando energia conveniente e capace di adattarsi rapidamente alle richieste di picco giornaliere della rete.

Al riguardo, vorrei proporre una riflessione. Pensate se tutti guidassimo oggi un'auto elettrica: considerato che, in Italia, sono attualmente in circolazione circa 40 milioni di auto per uso privato, per una necessità totale di energia pari a circa 110 terawattora all'anno, il picco di domanda per la ricerca avverrebbe quando le auto sono ferme e, quindi, di notte, quando spesso l'eolico è carente e il fotovoltaico è assente.

Ammesso e non concesso di riuscire a produrre un tale quantitativo aggiuntivo da queste due fonti, da destinare solo alla mobilità, l'accumulo di questa energia di giorno, per distribuirla di notte, è una sfida dal punto di vista tecnico-economico e anche ambientale impossibile.

C'è qualcuno che, con onestà intellettuale, ritiene questa sfida irrealizzabile al 2030 e al 2035. Vorrei ricordare che, sulle 8.760 ore di un anno, l'eolico è produttivo per circa 1.800 ore, mentre il fotovoltaico per poco più di 1.400 ore. Anche volendo cumulare questi tempi di produzione – cosa che non si può fare -, come alimenteremmo il sistema in Italia per le restanti 5.500 ore? Quale abnorme capacità di stoccaggio dovrebbe essere realizzata? E quali reti intelligenti da poterci connettere con gli angoli più remoti dell'Europa? Dobbiamo orientare le nostre scelte verso un'energy security supply, che consenta il progressivo affrancamento dalle forniture estere di gas e materie prime di cui non disponiamo a sufficienza. Dobbiamo favorire la realizzazione di tutte le precondizioni necessarie, ai fini di un ritorno in sicurezza della produzione di energia nucleare in Italia.

Il nucleare sicuro di ultima generazione è necessario per garantire al Paese la sicurezza energetica necessaria allo sviluppo civile ed economico, traguardando la decarbonizzazione con serietà e sempre attenti a compiere scelte sostenibili.

Ritengo che questo sia un giorno molto importante per il nostro Paese. Il voto che seguirà nei prossimi giorni per l'approvazione delle mozioni, che la maggioranza, in collaborazione con la minoranza, ha proposto, consentirà finalmente all'Italia di cominciare a concentrarsi su questa tecnologia, sapendo che dobbiamo essere attenti e rigorosamente coerenti con i vincoli posti dall'AIEA, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Con un percorso serio e attento, potremo raggiungere l'ambizioso traguardo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaratti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00116, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). Grazie, signora Presidente. Signora rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, in questi anni l'Italia ha sottoscritto numerosi impegni a livello internazionale per contribuire a raggiungere gli obiettivi climatici dell'ONU, a partire dall'accordo di Kyoto e dalla COP21 di Parigi, nonché nelle istituzioni europee, in linea con gli obiettivi del Green Deal.

In modo particolare, il piano Fit for 55 dell'Unione europea impone un'accelerazione nei processi di modernizzazione industriale a partire dal settore automobilistico, che, secondo un'analisi dell'università Ca' Foscari, di Venezia, porterà ad un aumento dell'occupazione in questo settore del 6 per cento.

Il piano Fit for 55 vincola il sistema energetico del nostro Paese al raggiungimento, entro il 2030, di almeno il 72 per cento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino a raggiungere il 100 per cento nel 2050. Molti paesi europei hanno adeguato i loro piani energetici a questi ambiziosi obiettivi. La Germania prevede che, nel 2030, l'80 per cento del proprio fabbisogno di energia elettrica sarà soddisfatto da fonti rinnovabili, per arrivare al 100 per cento nel 2035, e sta chiudendo le sue ultime tre centrali nucleari.

In questo quadro, hanno destato particolare stupore le dichiarazioni del Ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, il quale ha dichiarato: “Dobbiamo prendere in seria considerazione il nucleare di quarta generazione che dà dei margini di sicurezza maggiore e che può essere il futuro del nostro Paese fino a poi arrivare alla fusione. Nel medio lungo periodo non l'Italia o la Ue, ma il mondo deve trovare forme di energia più avanzate (…). Dobbiamo ripensare al nucleare di quarta generazione, non è il tema del referendum che riguardava prima e seconda generazione”. Ministro Pichetto Fratin, è falso quello che lei sta dicendo! Nei due referendum contro il nucleare che hanno interessato i cittadini italiani il quesito era se i cittadini italiani fossero favorevoli o contrari alla produzione dell'energia nucleare da fissione. Non si parlava né di prima, né di seconda, né di terza, né di quarta generazione. Quindi, quanto lei afferma è falso, è sbagliato.

Dopodiché, bisogna anche ricordare che numerosi scienziati, esperti di energia nucleare, docenti universitari, come il fisico Angelo Tartaglia, il fisico Massimo Scalia, il chimico Vincenzo Balzani, il fisico Francesco Gonella, il chimico ambientale Sergio Ulgiati, il fisico Federico Butera del Politecnico di Milano e altri ancora hanno dichiarato che la principale caratteristica dei reattori di quarta generazione è quella di non esistere. Non c'è alcuna quarta generazione. Il processo che dà vita all'energia nucleare da fissione è sempre lo stesso. Migliorando le tecnologie, può cambiare l'efficienza di questa produzione energetica, ma la fissione nucleare è sempre la stessa, con tutti i rischi che la sua produzione comporta, a cominciare dal fatto che non si è risolto il problema della sicurezza, né quello delle scorie. Questa è la questione fondamentale, che non si può nascondere. Infatti, possiamo raccontare tutto ciò che vogliamo. Possiamo parlare e continuare ad affermare notizie che leggiamo su giornali di terza categoria, ma la verità scientifica rimane questa: si può fare la scelta di puntare a energia nucleare, ma puntando a una forma di energia che non sarà mai sicura, come dicono gli scienziati di tutto il mondo e come dimostrano i numerosi incidenti in Paesi tecnologicamente avanzati. Infatti, quando ci fu l'incidente di Chernobyl, si diceva che quella tecnologia era obsoleta, era dei Paesi dell'Est, ma, rispetto a quanto è accaduto a Fukushima, non si può pensare che le tecnologie dei giapponesi fossero incerte o obsolete. Quindi, dobbiamo sapere che riaprire la stagione nucleare nel nostro Paese significa riaffrontare il problema della sicurezza e il problema delle scorie. Colleghe e colleghi, abbiamo da risolvere ancora un problema fondamentale, quello delle scorie custodite nei siti della nostra precedente avventura nucleare: Trino Vercellese, Latina, Caorso. In quei luoghi, ancora ci sono le scorie nucleari relative a reattori che erano in funzione. Il problema dello smaltimento e della messa in sicurezza di queste scorie non è stato ancora risolto, né è stato risolto il problema del deposito nazionale dei rifiuti nucleari.

Di fronte a questa realtà, penso che vi dovreste confrontare, perché qui non si tratta di scelte ideologiche, non si tratta di fare affermazioni tanto per farle. Si tratta di scegliere una politica industriale ed energetica pericolosa, difficile e costosa! Tra l'altro, con il procedimento, che va in parallelo, dell'autonomia differenziata, che delega alle regioni tutto il potere in campo energetico, immaginiamoci 20 regioni che fanno gli impianti di energia nucleare: quale sarà la sicurezza di questi impianti? Come si può immaginare una cosa simile? Francamente, soltanto coloro che sono dotati di particolare immaginazione e che godono del diritto all'ebbrezza e al rischio possono pensare che ciò possa effettivamente realizzarsi. Per non parlare della tutela della salute, non legata soltanto agli incidenti, che ci possono essere e che nella storia del nucleare civile in tutto il mondo sono stati numerosi, alcuni addirittura devastanti. Non soltanto i danni alla salute, ma voglio ricordare anche gli ingenti danni economici. Infatti, se quantizziamo i danni economici derivanti dall'incidente di Fukushima, ci rendiamo conto di quanto enorme sia stato il danno, anche dal punto di vista economico, di quel Paese, per affrontare tale emergenza.

Ma vorrei ricordare che innumerevoli studi epidemiologici e sperimentali hanno messo in evidenza l'aumento di tumori in varie sedi anche a dosi molto basse, ripetute e prolungate nel tempo, di contatto con le radiazioni delle centrali nucleari. Quindi ci sono molte ragioni per dire “no” a questa scelta, ma vorrei aggiungere anche che una delle questioni fondamentali che dovrebbero essere prese in esame è quella dei costi di realizzazione di questi impianti. La centrale nucleare di Flamanville, che è l'ultima in via di costruzione in Francia, dal 2007 - quindi poi parleremo anche dei tempi - dovrebbe produrre 1,6 gigawatt di energia. Aveva un preventivo di costo di 3,7 miliardi di euro: a tutt'oggi sono stati spesi 19 miliardi di euro e la centrale non è ancora finita. La centrale che viene realizzata in Finlandia da un costo iniziale di 3 miliardi è arrivata a 11 miliardi di euro, senza contare gli oneri finanziari.

Ci troviamo di fronte ad una forma di energia eccessivamente costosa, non sicura e che non risolve il problema fondamentale delle scorie. Allora, siccome qualcuno immagina di realizzare in Italia 10 gigawatt di energia nucleare, significherebbe per lo Stato italiano un investimento di almeno 400 milioni di euro, investimento assolutamente assurdo per realizzare soltanto 40 gigawatt di energia.

Questi sono dati che non vengono elaborati nel sottoscala di qualche ambientalista militante, ma sono gli studi, a disposizione di tutti, fatti dalle maggiori università mondiali ed europee. Tant'è che, anche parlando di costi, ricordo soltanto che l'EDF, il colosso dell'energia francese che gestisce le centrali nucleari, ha raggiunto una perdita nel 2022 di 17,9 miliardi di euro, arrivando fino a 64,5 miliardi di euro di debiti. Tra l'altro, grazie al voto di Fratelli d'Italia, l'energia nucleare è stata inserita nella tassonomia europea e quindi ci faremo carico anche noi dei debiti dei francesi.

Non voglio dilungarmi troppo perché il tempo sta scadendo. Voglio soltanto ricordare che anche il problema va visto nel suo insieme. Anche sulla questione del gas, l'Italia nel 2022 ha consumato 68,5 miliardi di metri cubi di gas, con una diminuzione di 7 miliardi di metri cubi rispetto al 2021, mentre la disponibilità di cassa è stata di 75 miliardi di metri cubi nel 2022. È evidente che siamo diventati un esportatore di gas, quindi, da questo punto di vista, non vogliamo trasformare il nostro Paese in un hub che commercia gas.

Chiudo facendo un riferimento chiaro: siccome pensiamo che le direttive europee vadano rispettate a tutto tondo, comprese quelle che riguardano l'economia circolare, perché queste assumono un obiettivo assolutamente strategico, in quest'ottica anche la realizzazione di nuovi inceneritori per la produzione di energia va totalmente ripensata, poiché dobbiamo puntare in modo significativo sulla diffusione delle energie rinnovabili.

Sono gli accordi internazionali che ce lo impongono, è la saggezza che ce lo impone, perché il nostro Paese non ha petrolio, non ha gas, non ha neanche uranio, non ha carbone, ma è ricco di sole e di vento. È su questo che noi dobbiamo puntare con convinzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fabio Pietrella, che illustrerà anche la mozione n. 1-00118, di cui è cofirmatario.

FABIO PIETRELLA (FDI). Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, certamente il dibattito intorno alla necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, scatenato dal conflitto russo-ucraino e dal conseguente forte rialzo dei prezzi del gas, ha riportato l'attenzione anche sul tema dell'energia nucleare. L'Italia e l'intera Europa sono in tale frangente impegnate nella ricerca di fonti di approvvigionamento energetico che consentano loro di rendersi indipendenti dalle forniture di gas russo, sempre meno affidabili nell'attuale scenario geopolitico, con la finalità di garantire non solo la sicurezza dell'approvvigionamento, ma anche la sostenibilità dei relativi costi.

Gli Stati membri dell'Unione devono, inoltre, contribuire agli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni inquinanti e di tutela dell'ambiente previsti in ambito di Unione europea dal pacchetto Fit for 55, che impone entro il 2030 la riduzione delle emissioni complessive del 55 per cento rispetto ai valori del 1990. Il tema dell'energia nucleare è quindi di recente tornato d'attualità anche in seguito a quanto proposto dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e dal Consiglio, di inserire tale forma di produzione di energia nella tassonomia degli investimenti sostenibili, con politiche di transizione energetica che hanno infatti fatto tornare in auge questa tecnologia, considerando il non rilascio di fumi climalteranti e considerando il costo relativamente molto basso del combustibile. Vantaggi cui si contrappone, tuttavia, come già anticipato, il molto elevato costo di realizzazione degli impianti, a fronte di una potenza a volte contenuta degli stessi.

È stato dunque presentato da parte della Commissione europea un atto delegato complementare “Clima” della tassonomia, che riguarda determinate attività del settore del gas e del nucleare alla luce degli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, affinché l'Unione europea possa raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 mediante ingenti investimenti privati.

Troviamo fondamentale, quindi, presentare tutte le soluzioni possibili per accelerare la transizione e aiutarci a realizzare gli obiettivi climatici, identificando l'elenco delle regole che serviranno a indirizzare i flussi degli investimenti finanziari verso destinazioni dall'impatto ambientale positivo e includendo, tra le fonti energetiche classificate come sostenibili, quindi coerenti con il percorso di transizione ecologica, e dunque meritevoli di ricevere investimenti verdi, anche il gas naturale e il nucleare.

La IEA, International Energy Agency, stima fra 30 anni una produzione energetica globale al 90 per cento da rinnovabili e un 8 per cento dal nucleare, che dovrebbe fare affidamento sull'estensione del ciclo di vita delle centrali nei Paesi avanzati e sullo sviluppo di nuove in quelli emergenti (oltre il 90 per cento della crescita globale). La quota del nucleare sarà in calo rispetto al totale, ma, in realtà, dovrà raddoppiare la propria potenza in termini assoluti, dai 413 gigawatt all'inizio del 2022 a 812 gigawatt nel 2050, per supportare lo scenario Net Zero Emissions ancora con le centrali a fissione.

Nonostante la ristretta fetta del mix energetico, il nucleare svolgerebbe notevoli funzioni per la rete elettrica, specialmente se dominata dalle rinnovabili, garantendone flessibilità, programmabilità e adeguamento, funzioni queste che oggi sono delegate a energia elettrica prodotta da fonti fossili inquinanti, mentre il nucleare, svolgendo questi ruoli, potrebbe far risparmiare importanti quote di emissioni. Oggi evita l'emissione di 1,5 miliardi di tonnellate di CO2 all'anno. Tuttavia, dobbiamo considerare che per queste funzioni andrebbe creato e sostenuto un vero e proprio mercato che ad oggi non è adeguatamente e strutturalmente sviluppato.

L'Italia, come sappiamo, è l'unica Nazione appartenente al G8 che non possiede impianti nucleari per la generazione di energia, nonostante oltre il 10 per cento dell'energia consumata in ambito nazionale derivi proprio da importazioni di energia nucleare, prevalentemente dalla Francia. Lo stop al nucleare in Italia, come è stato già detto, è stato sancito in momenti storici altamente differenti. Nel 1987, l'80 per cento dei votanti ha abrogato le norme sulla realizzazione e gestione delle centrali nucleari, sui contributi a comuni e regioni sedi di istituti nucleari e sulle procedure di localizzazione delle centrali, mentre, nel 2011, con il 94 per cento dei voti favorevoli, è stato cancellato il nuovo programma energetico nucleare elaborato dal Governo.

Nel nostro Paese, inoltre, non è stato completato lo smantellamento dei siti e la fusione nucleare è sempre stata guardata con scetticismo per la lentezza dei suoi progressi; tuttavia, negli ultimi anni, ha di nuovo suscitato interesse, come detto, come strumento per combattere il cambiamento climatico. Nel 2022 EUROfusion, un consorzio cofinanziato dalla Commissione europea cui partecipano quasi 5.000 persone tra esperti, studenti e personale in staff da tutta Europa, nel quale la partecipazione italiana è coordinata dall'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, Enea, ha conseguito una quantità record di energia prodotta da fusione presso l'impianto europeo JET, Joint european torus.

I progressi fatti dall'impianto JET dovrebbero alimentare i futuri esperimenti dell'ITER, International Thermonuclear Experimental Reactor, programma cui partecipano, tra gli altri, Unione europea, Stati Uniti, Giappone, Cina, India, e che prevede la costruzione di un grande impianto sperimentale a Cadarache, in Francia, per un costo di oltre 20 miliardi di dollari.

Tra i partecipanti al programma ITER figura anche l'ENI, società impegnata nello sviluppo della fusione a confinamento magnetico perché “occupa un ruolo centrale nella ricerca tecnologica finalizzata al percorso di decarbonizzazione, in quanto potrà consentire all'umanità di disporre di grandi quantità di energia prodotta in modo sicuro, pulito e virtualmente inesauribile e senza alcuna emissione di gas serra”.

In quest'ottica ENI partecipa anche agli altri principali progetti italiani e internazionali per la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico: il Commonwealth Fusion Systems, spin-out del MIT; il Plasma Science and Fusion Center sempre del MIT; il Divertor Tokamak Test (DTT), progetto di Enea ed ENI che hanno firmato un'intesa per creare un polo scientifico tecnologico sulla fusione DTT, da realizzare al centro ricerche di Frascati; e non dimentichiamoci le grandi, enormi, direi, attività di ricerca del CNR “Ettore Majorana” di Gela.

L'obiettivo a cui tutto il mondo sta lavorando è realizzare la prima centrale a fusione in grado di immettere in rete energia elettrica a zero emissioni di gas climalteranti e si prevede di riuscirci nell'arco di uno o due decenni.

Tra le opzioni da valutare per decarbonizzare il settore energetico vi è anche quella dei mini reattori modulari (small modular reactors), come confermato anche dalla commissaria UE all'Energia, Kadri Simson, nella conferenza stampa del 28 marzo scorso al termine del Consiglio energia, la quale, rispondendo alla domanda sulla definizione di nucleare come rinnovabile pervenuta da diversi Paesi, ha affermato che: “gli Stati membri hanno bisogno di una guida all'autorizzazione per l'installazione di piccoli reattori modulari (…). Quindi, gli standard a livello dell'UE per questi reattori sono qualcosa che gli Stati si aspettano da noi e collaboreremo con il settore per offrire questo”; parole di Kadri Simson.

Per quanto riguarda la partecipazione italiana in centrali nucleari realizzate o da realizzare all'estero, ENEL già dal 2005 detiene una quota di proprietà della società Slovenské Elektrárne, massima produttrice di elettricità in Slovacchia, in parte generata da quattro reattori nucleari e, attraverso la controllata ENEL Produzione, ha recentemente siglato un accordo con la compagnia ceca Energetický a Průmyslový holding per la concessione di un'ulteriore linea di credito per il completamento di due nuovi reattori della centrale nucleare slovacca di Mochovce.

Inoltre, sempre ENEL, attraverso la società di energia Endesa della quale detiene il 70 per cento, possiede al 100 per cento la centrale nucleare spagnola Ascò I, oltre ad avere quote di proprietà nelle centrali spagnole Ascó II (85 per cento), Vandellós II (72 per cento), Almaraz I (36 per cento), Almaraz II (36 per cento) e Trillo (1 per cento).

Ansaldo Nucleare, controllata al 100 per cento da Ansaldo Energia, nel 2007 ha concluso la costruzione, attraverso una joint venture con la società canadese AECL, del secondo reattore della centrale rumena di Cernavodă, oltre ad avere collaborazioni in Armenia, Ucraina, Cina, Francia, e altri Paesi per fabbricare e sperimentare componenti innovativi.

Ansaldo Nucleare, inoltre, che ha collaborato con il gruppo Toshiba-Westinghouse Electric Company nello sviluppo di reattori di terza generazione avanzata a “tecnologia passiva”, è attualmente impegnata nella progettazione del recipiente di contenimento della centrale nucleare cinese di Sanmen e, dal 2011, ha aderito alla joint venture fondata nell'agosto 2010 dalle società britanniche Nuvia e Cammell Laird per partecipare alla progettazione e alla costruzione di componenti pesanti per i reattori AP1000 ed EPR delle prossime centrali nucleari inglesi.

L'intervento dell'Italia come osservatore alla riunione sul nucleare del 28 marzo scorso, svoltasi a Bruxelles su iniziativa della Francia e a cui hanno partecipato in tutto 13 Paesi, manifesta la nostra attenta cautela nella valutazione di quali strumenti utilizzare nell'ambito del nucleare. Il 28 febbraio scorso 12 Stati europei hanno sottoscritto un accordo di cooperazione citato dagli organi di stampa come “Alleanza per il nucleare” per sostenere a livello comunitario, sotto ogni punto di vista, sia industriale che regolatorio, il ruolo del nucleare come uno degli strumenti per raggiungere i nostri obiettivi climatici, per generare elettricità in modo continuo e per garantire la sicurezza energetica coerentemente con la tassonomia europea approvata dalle massime istituzioni continentali.

Pertanto, Presidente, la nostra mozione presentata dal collega Zucconi, impegna il Governo a sostenere la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico lungo il solco già tracciato dai citati progetti, anche tenendo conto della valutazione dell'Unione europea sulla tassonomia del nucleare e sulla sancita possibilità per gli Stati di finanziare i progetti di ricerca in merito e prevedendo incentivi alla ricerca tecnologica su reattori a fissione nucleare innovativi, tra cui reattori modulari di piccole dimensioni e sulla fusione nucleare.

Impegniamo il Governo anche a valutare in quali territori al di fuori dell'Italia la produzione di energia nucleare possa soddisfare le richieste nazionali, anche attraverso una partecipazione diretta alla società di gestione.

Vado alla conclusione, Presidente. Intendiamo, quindi, sfruttare e implementare un mix energetico, sia con l'attuale consistenza nazionale del sistema delle rinnovabili sia con la presenza di grandi imprese a controllo pubblico, quali ENEL, ENI, Ansaldo, Terna e Snam per trainare una transizione energetica basata sul controllo di tutte le fonti e implementare competenze tecnologiche sempre più imprescindibili, come le smart grids e gli accumuli. Una scelta obbligata per l'Italia ancora molto dipendente dalle fonti fossili importate da pochi Paesi, ma già quinta potenza mondiale per l'installazione di fotovoltaico e ricca - molto ricca, onorevoli colleghi - nelle università, nei centri di ricerca e nelle imprese, di capacità tecnologiche e vocazione all'innovazione.

Per questo, con i nostri campioni nazionali - ripeto: ENEL, ENI, Ansaldo, Snam e Terna - ad alto livello di competenza e di internazionalizzazione, con compiti e ambiti di azione ben delineati, diversificati e coordinati, potremo essere protagonisti attivi nel prossimo futuro, mettendo in protezione le nostre famiglie e le nostre imprese, sapendo bene che il presente ereditato dai precedenti Governi è tutt'altro che facile (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Christian Di Sanzo, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00122. Ne ha facoltà.

CHRISTIAN DIEGO DI SANZO (PD-IDP). Grazie, Presidente. A distanza di più di 35 anni dai referendum del 1987 e dall'abbandono da parte dell'Italia di ogni forma di produzione di energia elettrica da fonti nucleari - decisione che è stata poi riconfermata ai referendum del 2011 che ponevano nuovamente la questione, a fronte di una proposta confusa, approssimativa e non strategica sulla costruzione di nuove centrali nucleari in Italia - oggi ci ritroviamo in quest'Aula nuovamente a discutere di energia nucleare. Un argomento che torna rilevante nell'ambito della forte spinta per la transizione ecologica nella quale dobbiamo essere fortemente impegnati, come Paese, per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati nell'ambito degli impegni europei, a partire dal pacchetto Fit for 55 e, da ultimo, con il Piano REPpower EU, con investimenti imponenti di oltre 300 miliardi, e degli impegni mondiali che abbiamo assunto con gli accordi per il clima nelle diverse Climate Change Conference dell'ONU.

È importante che questa discussione, però, si basi su fatti, dati e dipinga il quadro in un contesto non ideologico, ma strettamente collegato alla transizione ecologica in atto, con una visione chiara sulle fonti di energia a zero emissione, sulle loro potenzialità e sui tempi di realizzazione con l'obiettivo di “net zero” per il 2050.

Proprio in tale contesto è necessario ricordare come l'uso dell'energia nucleare abbia lasciato all'Italia una pesante eredità, ancora oggi non risolta, con cui stiamo continuando a fare i conti e con la quale le nuove generazioni dovranno continuare a fare i conti, vista la gestione fino ad oggi completamente inefficiente.

Negli anni successivi alla chiusura delle quattro centrali di Trino, Latina, Caorso e Garigliano, la gestione delle centrali, e successivamente anche degli impianti per il combustibile, è stata affidata alla nuova società Sogin che doveva occuparsi del decommissioning delle centrali e della messa in sicurezza del combustibile esausto. L'Italia poteva cogliere questa occasione per essere pioniere e leader mondiale nelle tecnologie di decommissioning e smantellamento delle centrali, trasformando la chiusura delle centrali in un grande progetto di ricerca scientifica a beneficio del nostro Paese e della nostra realtà industriale, raggiungendo la chiusura del ciclo del combustibile nucleare che avrebbe posizionato l'Italia come leader nel campo e, soprattutto, messo in sicurezza il nostro Paese.

Invece la storia che oggi raccontiamo è diversa. Sogin nasce nel 1999. Doveva mettere in sicurezza tutti i rifiuti e il decommissioning doveva realizzarsi entro il 2019 con 3,7 miliardi. Il piano è, poi, slittato con fine al 2025, poi al 2036, con un costo totale previsto di 7,9 miliardi, più che raddoppiato rispetto al costo originale.

Ad oggi, è stato eseguito circa il 30 per cento delle attività previste, il decommissioning non è ancora del tutto programmato e ci ritroviamo con un carico che pesa sugli italiani dai 100 e 400 milioni di euro annui, che, con la legge di bilancio 2023, saranno una spesa strutturale annua a carico della fiscalità generale. Considerati i grandi rallentamenti e le scarse capacità operative della Sogin, se ne è proceduto al commissariamento, lo scorso anno, ma ancora oggi mancano i risultati sperati. A distanza di 10 mesi dal commissariamento, si registrano ancora una serie di inadempimenti di ritardi sulle attività di decommissioning, sulla gestione dei grandi appalti e sulla realizzazione del deposito nazionale, l'annullamento dei principali appalti finalizzati allo smantellamento del materiale radioattivo, compresa la rescissione, per la seconda volta, del contratto Cemex per la realizzazione di un impianto di cementificazione di rifiuti liquidi presso il sito di Saluggia, sito che pone le più grandi preoccupazioni in termini di sicurezza, proprio per i suoi 270.000 litri di rifiuti liquidi radioattivi che giacciono lì da decenni. È un quadro, estremamente preoccupante, e, ad oggi, non si registrano attività rilevanti in alcun sito. L'organico di Sogin è in costante riduzione, tanto da mettere in criticità la stessa gestione ordinaria e la messa in sicurezza degli impianti. Non sembra essersi, cioè, determinata quella discontinuità necessaria a un nuovo piano industriale. Senza un significativo cambio di direzione, si rischia quindi di mettere in forse il futuro occupazionale e la dignità di centinaia di lavoratrici e lavoratori, ad alta professionalità, di Sogin e del suo indotto, nonché di compromettere la tenuta industriale dell'azienda, compreso il mantenimento in sicurezza degli impianti.

Prima di affrontare la discussione sulla produzione di energia nucleare, la questione del decommissioning richiede, quindi, una seria e urgente attenzione da parte di questo Governo. Non si può pensare che la società possa andare avanti ancora senza un piano chiaro, preciso e ambizioso, che porti al decommissioning in tempi chiari e posizioni l'Italia all'avanguardia in questo campo. Il tempo è finito e il Paese ha bisogno di risposte. Un ulteriore prolungarsi del tempo porterebbe a un ulteriore aumento dei costi, con un ulteriore esborso a carico dei contribuenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

In questo contesto, assume una particolare rilevanza l'individuazione e costruzione del deposito nazionale geologico, con annesso parco tecnologico, compito che la Sogin è chiamata a svolgere. Questi compiti li dobbiamo considerare imprescindibili per garantire la messa in sicurezza dell'eredità del nucleare, e, senza una chiara visione del ciclo del combustibile, è impensabile parlare di sostenibilità delle fonti di energia nucleare. La previsione per la scelta del sito del deposito nazionale e del relativo parco tecnologico è rimasta arenata per diversi anni, senza una vera soluzione. Adesso, con la proposta della Carta nazionale delle aree idonee, si tratta, quindi, di dare attuazione a un meccanismo già previsto, perché il tempo stringe per individuare il deposito nazionale entro fine anno, come aveva detto il Ministro Cingolani. Si deve procedere rapidamente con i prossimi passi, seguendo i migliori meccanismi di partecipazione dei territori, dati dall'esperienza internazionale al riguardo, coinvolgendo le popolazioni locali e facendo riferimento all'esperienza finlandese, per esempio.

Non possiamo più perdere tempo, perché, oltre alla necessità della messa in sicurezza dei territori, vi è anche quella di ottemperare alle direttive europee e di interrompere la procedura di infrazione attualmente in atto, con i relativi costi, aggravati dagli oneri versati ad altri Paesi, che attendono di poter restituire il materiale riprocessato nelle nostre centrali dismesse.

Oltre alla pesante eredità della chiusura del ciclo del combustibile, prima di parlare di investimenti in campo nucleare, è imprescindibile fare riferimento ai costi delle centrali di terza generazione o terza generazione avanzata, che oggi sono quelle disponibili. Le recenti costruzioni dei reattori di Olkiluoto e Flamanville dimostrano come i costi siano esplosi, per la costruzione delle centrali di terza generazione avanzata. Vari studi confermano che, anche guardando a quello che viene costruito in Asia in questo momento, la conclusione nei tempi previsti è l'eccezione piuttosto che la norma. Dei 10 Paesi che hanno completato reattori negli ultimi 10 anni, la media dei tempi di costruzione è stata di 10 anni, ben al di là dei tempi previsti, con relativa esplosione del budget e assenza di competitività finale di questi progetti nel libero mercato dell'energia.

Le ulteriori precauzioni di sicurezza resesi necessarie dopo che l'incidente di Fukushima ha rilevato falle di sicurezza, hanno fatto sì che i costi siano ulteriormente lievitati, per mantenere attive le centrali nucleari. Per il mercato nordamericano, per esempio, i più recenti dati ci dicono che il nucleare ha perso competitività, non solo rispetto alle fonti fossili, ma anche a molte delle opzioni delle fonti rinnovabili, quando si va a considerare il costo livellato dell'energia. In caso di costi così elevati, la value proposition del nucleare viene sostanzialmente azzerata per qualsiasi impiego commerciale. Essendo il rischio politico associato già importante, l'investimento di capitale notevole e senza una chiara indicazione finale del minor costo del kilowattora prodotto, di fatto, il nucleare non diventa più un'opzione allettante nel mercato libero dell'energia, soprattutto in un Paese che dovrebbe ripristinare tutta la filiera industriale come il nostro. È, quindi, chiaro che per l'Italia non avrebbe senso mettersi ora a ricostruire centrali di terza generazione avanzata, cercando di far ripartire un'industria in un Paese che l'ha abbandonata, quando l'industria ha dimostrato di essere in seria difficoltà nella costruzione dei reattori di terza generazione in Paesi come la Francia, che quell'industria non l'ha mai abbandonata. Riteniamo, quindi, che la strada del nucleare di terza generazione sia definitivamente chiusa per l'Italia e sarebbe un grave errore portare l'Italia nuovamente nel dibattito sul nucleare di terza generazione avanzata, oggi l'unica disponibile, per i costi e i lunghi tempi di realizzazione connessi a questa tecnologia.

È, quindi, necessario chiudere rapidamente pagina sul nucleare di terza generazione, focalizzandosi nella chiusura del ciclo del combustibile, tramite l'identificazione del deposito unico nazionale e la piena efficacia e operatività della Sogin. È un settore, quello dello smaltimento delle scorie, in cui, con il parco tecnologico associato al deposito unico nazionale, l'Italia può ancora giocare un ruolo di primo piano nella ricerca scientifica. Infatti, la transizione verso un'economia sostenibile comporta anche la necessità di investimenti in ricerca e sviluppo, per incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili, attraverso l'uso di tecnologie avanzate.

Pur rinunciando al nucleare di terza generazione, l'Italia non può - e non deve - abbandonare la strada della ricerca nucleare, in cui è riuscita, con fatica, a mantenere primati di importanza e rilievo mondiali. Prima di tutto, per quanto riguarda la fusione nucleare, il sogno di una grande energia pulita e nei fatti inesauribile, che, a differenza delle energie rinnovabili, potrà soddisfare la richiesta di un carico di base, colmando proprio oggi ciò che non è possibile realizzare con le sole fonti rinnovabili, è un filone dal quale non possiamo restare esclusi. In questo campo, l'Italia sta giocando un ruolo di primo piano, grazie alla sua partecipazione nel progetto internazionale ITER in Francia, il primo esperimento su scala di reattore a fusione che studierà la fisica dei plasmi. Tanto per citare un dato, Ansaldo Nucleare, azienda a grande maggioranza a partecipazione statale, che impiega più di 400 dipendenti, gioca un ruolo chiave nelle commesse ITER dove da sola, come leader di consorzio, è il secondo fornitore globale di ITER, come spesa. Stiamo parlando di una partecipata statale che è rimasta un'eccellenza italiana nel campo, nonostante non avesse più un mercato interno da servire. Si tratta di un patrimonio che non possiamo disperdere.

Sul lato della fusione, l'Italia, con uno sforzo lungimirante, ha deciso di investire fortemente anche nel progetto DTT, Divertor Tokamak Test facility; questo è un fiore all'occhiello della ricerca nucleare italiana, un investimento imponente, di 500 milioni, che coinvolge la partecipazione di ENEA, CNR, varie università ed ENI. Con questo progetto, che fa da collante tra quelli che saranno i risultati di ITER e il futuro della fusione, con il Demo, il primo reattore dimostrativo, l'Italia si posiziona tra i leader indiscussi nel campo della fusione. Diventa, però, necessario evitare che i tempi si allunghino e assicurarsi che le istituzioni coinvolte in questo progetto abbiano tutto il supporto necessario per continuare su questa strada, con lo sviluppo di DTT.

L'Italia ha, però, anche un ruolo chiave nella quarta generazione, a fissione, soprattutto nelle tecnologie al piombo, dove l'industria nazionale è leader indiscussa a livello europeo per le competenze tecniche acquisite, competenze che dobbiamo evitare di disperdere. La qualità della ricerca italiana in ambito nucleare è provata anche dal fatto che nel 2021 si è registrato il record di successi nella partecipazione di organizzazioni italiane, enti di ricerca, università e industrie ai bandi europei di finanziamento Euratom.

Su 47 progetti selezionati dall'Europa, ben 24 vedono la partecipazione o la leadership italiana. D'altra parte, negli ultimi decenni l'Italia ha assistito a un forte depauperamento dei suoi programmi di formazione sul nucleare nelle università, energia nucleare che, ricordiamo, fu scoperta proprio all'università di Roma, grazie a Enrico Fermi e ai ragazzi di via Panisperna. Questo impoverimento della formazione presso i nostri atenei sta portando alla mancanza di una generazione di scienziati che possa portare avanti le attività di ricerca in cui l'Italia ha dimostrato di poter giocare un ruolo significativo. Si parla spesso di fuga di cervelli, brain drain, espressione che personalmente non amo ma che descrive, in particolare, quello che è avvenuto nel settore nucleare. Con la sempre più scarsa offerta formativa - oggi solo 7 degli oltre 90 atenei presenti in Italia hanno programmi di ingegneria nucleare o con parte di ingegneria nucleare -, gli studenti interessati alla materia si sono sempre più rivolti a percorsi formativi all'estero, soprattutto per gli studi postuniversitari, portando al paradosso che in molti dipartimenti di ingegneria nucleare all'estero si trova una sproporzione di ricercatori e di professori italiani, spesso nelle migliori università del mondo come Berkeley in California e il MIT a Boston. Diventa, quindi, fondamentale cercare di conservare in questo ambito le conoscenze acquisite, formando una nuova generazione di studenti e di ricercatori in questo ambito e sfruttando anche la rete dei nostri ricercatori all'estero. Queste competenze sono necessarie anche a prescindere dal continuo sviluppo della ricerca italiana in ambito nucleare, ma servono per le competenze necessarie per formare nuovo personale per la Sogin e per continuare l'azione dell'Isin, l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, cioè l'autorità di controllo e sicurezza sul nucleare. Questi saranno in ogni caso presenti nel futuro del nostro Paese e garantire il loro funzionamento, con personale giovane e formato, dev'essere un obiettivo prioritario per il nostro Paese.

Chiediamo, quindi, che questo Governo si adoperi a confermare e a sostenere a livello europeo e nazionale ogni sforzo necessario per realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione e progressiva uscita dalla dipendenza da fonti fossili, provvedendo a inviare alla Commissione europea l'aggiornamento del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima entro giugno 2023 e che, nell'ambito di una transizione ecologica che garantisca una forte attenzione alle fonti rinnovabili, ci si adoperi per continuare a investire in programmi di ricerca verso il sogno del nucleare pulito da fusione e il nucleare di quarta generazione, in cui l'Italia può giocare un ruolo fondamentale e diventare un fulcro di attrazione di talenti anche dall'estero, contribuendo all'internazionalizzazione della nostra ricerca, soprattutto grazie al progetto di fusione nucleare DTT. Proprio per questo è necessario chiudere con l'eredità del nucleare, ripristinando rapidamente la piena operatività della Sogin e procedendo all'identificazione di un deposito nazionale attraverso un meccanismo partecipato che coinvolga i territori. La vicenda della chiusura del ciclo nucleare si protrae ormai da troppi decenni, diventando un'esigenza non più rimandabile che dobbiamo affrontare per mettere al sicuro il Paese e lasciare alle nuove generazioni un futuro migliore e sostenibile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Si riserva.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 18 aprile 2023 - Ore 12:

(ore 12, con votazioni non prima delle ore 16)

1. Discussione del disegno di legge:

S. 564 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR (PNC), nonché per l'attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune. Disposizioni concernenti l'esercizio di deleghe legislative (Approvato dal Senato). (C. 1089​)

2. Seguito della discussione delle mozioni Orrico ed altri n. 1-00079, Manzi ed altri n. 1-00063, Piccolotti ed altri n. 1-00106, Boschi ed altri n. 1-00112 e Amorese, Sasso, Dalla Chiesa, Cavo ed altri n. 1-00113 concernenti iniziative in materia di dimensionamento scolastico, nel quadro di interventi per la valorizzazione e il potenziamento del sistema di istruzione .

3. Seguito della discussione delle mozioni Serracchiani ed altri n. 1-00073, Ilaria Fontana ed altri n. 1-00064, Ruffino ed altri n. 1-00081, Bonelli ed altri n. 1-00117, Almici ed altri n. 1-00121 e Manes ed altri n. 1-00123 concernenti iniziative volte a contrastare il fenomeno della siccità .

4. Seguito della discussione delle mozioni Ruffino ed altri n. 1-00098, Sergio Costa ed altri n. 1-00056, Cattaneo ed altri n. 1-00083, Bonelli ed altri n. 1-00116, Zucconi ed altri n. 1-00118 e Di Sanzo ed altri n. 1-00122 concernenti iniziative in materia energetica nel quadro del raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, con particolare riferimento all'energia nucleare .

La seduta termina alle 17,35.