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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 70 di venerdì 17 marzo 2023

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIO MULE'

La seduta comincia alle 9,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO GIACHETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 15 marzo 2023.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 68, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Svolgimento di interpellanze urgenti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Chiarimenti in merito al mancato soccorso di un'imbarcazione carica di migranti naufragata presso le coste di Steccato di Cutro, con particolare riferimento alla gestione della catena di comando della Guardia costiera e della Guardia di finanza - n. 2-00090)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno, Schlein ed altri n. 2-00090 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Stumpo se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

NICOLA STUMPO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Abbiamo presentato questa nostra interpellanza il 2 marzo, 4 giorni dopo i tragici eventi che lei ha appena ricordato, e oggi siamo al 17 marzo: sono passati 19 giorni da quella mattina in cui, sulla spiaggia di Steccato di Cutro, arrivavano i resti dei corpi di migranti, pochi superstiti, e, dopo 19 giorni, nulla è stato chiarito su quello che è successo. In questi 19 giorni non è stato chiarito nulla, ma, al contempo, è stato fatto un decreto, tanto inutile quanto propagandistico - portando l'intero Consiglio dei ministri nel comune di Cutro -, il cui unico tema di rilevanza, nel Paese di Beccaria, sono gli aumenti delle pene per gli scafisti, con qualche centinaio, ormai quasi un migliaio, di anni di ritardo sull'impianto culturale di questo nostro Paese. Poi vi è stata una seconda disgrazia, non sulle acque italiane, nelle acque SAR libiche, ma c'è stata la stessa tremebonda capacità di questo nostro Governo di agire.

Infine, ieri, come un tornare indietro al cinema muto, immagini senza parole di un incontro fatto con grande ritardo, con i familiari e i superstiti di quella tragedia, in cui - dai resoconti dei giornali, perché non è stato possibile ascoltare nulla - abbiamo appreso la seconda ondata, dopo quella di Piantedosi: anche la Presidente del Consiglio non ha trovato di meglio da chiedere a quelle povere persone che se fossero consapevoli dei rischi che correvano attraversando il mare. Noi non sappiamo cosa hanno risposto, non lo sappiamo, non c'è la possibilità per nessuno di ascoltare, neanche per i giornalisti. Immagino che qualcuno avrebbe potuto rispondere che scappando dall'inferno non si ha paura dell'acqua, oppure avrebbe dato la stessa risposta che ha dato una mamma con in braccio una bambina, nel porto di Smirne - l'ho visto in un programma televisivo -, la quale diceva: devo assicurare un futuro a mia figlia. Queste sono le cose che, forse, se avessimo avuto l'audio, oltre che un video di parte, a registrare, avremmo sentito. L'unica cosa che riportano anche i giornali è che siamo passati, rispetto ad alcune vicende, dal Sacro Cuore di Maria del Papeete al cuore di mamma. Ma è troppo poco - troppo poco - per capire, in realtà, quello che è successo.

Torno indietro, a 19 giorni fa, perché questa è la nostra interpellanza e noi, oggi, questo vogliamo chiedere al Governo e alla Sottosegretaria qui presente. Noi sappiamo come è iniziata questa vicenda. C'è un aereo di Frontex che fa il suo mestiere, fotografa quello che sta accadendo; c'è una nave, in un mare comunque agitato, rileva una persona a bordo e calore sotto, rileva anche che non c'è presenza di salvagenti. A quel punto, questa fotografia viene demandata agli organi preposti e, poi, succedono altre cose. Nell'ordine: viene dato mandato, ordine alle navi della Guardia di finanza di fare un'operazione di polizia. Forse bisognava rimandare indietro quella barca? Non lo sappiamo. Le navi della Guardia di finanza tornano indietro, perché il mare è mosso, non trovano questa imbarcazione. A quel punto, scattano alcune domande: ma se il mare è mosso per le navi della Guardia di finanza, che tornano indietro anche per la sicurezza - e io ringrazio il Corpo della Guardia di finanza e quello della Guardia costiera, per il lavoro che svolgono -, perché non viene immediatamente fatta uscire la nave della Guardia costiera, così come ha detto, anche nei giorni successivi, il comandante Aloi? Perché? Questa è la domanda. La domanda è: perché noi non siamo stati in grado di fare l'unica cosa che va fatta, perché a terra si costruiscono le politiche migratorie, ma in mare si salvano le vite umane (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Questa è la domanda che noi continuiamo a porre e a cui, a 19 giorni di distanza, non abbiamo risposte.

Vede, io non ho bisogno di farla lunga perché, in questi 19 giorni, si è discusso tanto, ma quello che noi chiediamo e vogliamo sapere è: quali sono stati i comandi che lo Stato italiano ha dato in questo percorso; perché, a fronte del rientro in porto delle navi della Guardia di finanza, non si è provveduto immediatamente a mandare altre navi più forti, più potenti, che potessero salvare le vite umane e non a contare soltanto i morti a terra. Questa è la domanda, poi c'è tutto il resto. Possiamo discutere delle politiche nuove che servono, da Dublino fino alle modalità di pattugliamento delle acque internazionali, ma quelle servono a salvare le vite. A meno che qualcuno non pensi, come in un grande Risiko, di spostare carrarmatini sull'altra sponda per non far venire gli altri da questa parte. Ma, guardate, che chi scappa dalla fame, dalla miseria non si ferma di fronte a un mare piccolo, come il Mediterraneo, perché è troppo grande la voglia di vivere, di mamme, di figli, soprattutto, quando scappano da Paesi dove esiste la guerra: ad esempio l'Afghanistan, in questo momento - possiamo pensarlo pacificato, io no, ma non lo è – o il Pakistan; da questi Paesi si scappa; in Africa, se continuiamo a dare i soldi per far schiavizzare le persone, le persone scappano. Allora, queste ondate non si fermano millantando qualche pena più severa, qualche giorno dopo aver allentato quelle per gli evasori fiscali - ma quest'ultimo è un tema di cui discuteremo in quest'Aula, nei prossimi giorni -, bisogna avere il coraggio di affrontare il tema e di dare risposte, perché non siamo stati in grado di salvare vite umane che potevano essere salvate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato per l'Interno Wanda Ferro ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, signor Presidente. Onorevoli deputati, ne approfitto per ringraziare gli onorevoli interpellanti e voglio esprimere, prima di tutto, anche in questa sede, il cordoglio, mio personale, per le vittime di questo ennesimo naufragio e la vicinanza alle loro famiglie e ai superstiti. E consentitemi, in una nota personale, da calabrese, un ringraziamento al sindaco di Cutro e agli amministratori tutti, alla sua gente, alla gente di Crotone, ai volontari, ai pescatori, a chi si è gettato in mare per tentare di salvare vite, a chi non è riuscito in quel compito disperato, e che ha vissuto il dramma umano di portare a riva solo un corpo esamine. Una vicenda che ha segnato tutti nel profondo, ma che, insieme al dolore, lascia anche l'ennesima, straordinaria prova di solidarietà di un popolo che, nel momento più drammatico, insieme agli uomini dello Stato, ha saputo mostrare il suo grande cuore.

Ieri, il Presidente del Consiglio ha ricevuto i familiari delle vittime del naufragio, ai quali ha assicurato impegni concreti, come la prosecuzione delle ricerche dei dispersi, l'impegno del Governo nell'agevolare il ricongiungimento familiare e nel creare, con l'Unione europea, corridoi umanitari, legali e sicuri, per chi fugge dalla guerra e dalle persecuzioni. Su questa tragica vicenda il Ministro dell'Interno Piantedosi ha già riferito dettagliatamente nell'informativa urgente del Governo al Parlamento di martedì scorso, non senza precisare che è in corso un'indagine giudiziaria. Riprenderò, pertanto, alcuni aspetti già illustrati in quella sede, avvalendomi degli elementi acquisiti dalle autorità italiane competenti, cui si aggiungono le dichiarazioni di alcuni sopravvissuti raccolte in una relazione Frontex.

In base alle dichiarazioni dei sopravvissuti, la traversata è partita da Cesme, in Turchia, intorno alle 3 del 22 febbraio, per giungere al largo della Calabria intorno alle 18 del 25 febbraio. Qui gli scafisti decidono di fermarsi e di attendere un momento favorevole per sbarcare in un luogo ritenuto più sicuro e di notte. Il piano prevedeva l'arrivo a ridosso della riva sabbiosa, con il successivo sbarco e la fuga sulla terraferma. Un primo punto da fissare - ed è importante - è che la traversata, le rotte, i relativi mutamenti, le soste e le ripartenze sono stati determinati sempre e unicamente dagli scafisti.

Sulla base degli elementi acquisiti dalla Guardia di finanza e dalla Guardia costiera, alle 23,03, del 25 febbraio, il Centro Situazioni, di Varsavia, dell'Agenzia Frontex comunica - all'International coordination centre di Pratica di Mare e, per conoscenza, al Centro di coordinamento italiano dei soccorsi marittimi, nonché al Centro nazionale di coordinamento - l'avvistamento, avvenuto alle 22,26, da parte dell'aereo Frontex Eagle One, impegnato in attività di sorveglianza nello Ionio, di un'imbarcazione in buono stato di galleggiabilità, con una persona visibile sopra coperta, in acque internazionali, a circa 40 miglia nautiche dalle coste calabresi. Frontex segnala anche che l'unità navigava con una rotta 296, a velocità di 6 nodi.

L'assetto aereo, oltre ad aver captato una chiamata satellitare diretta in Turchia ed evidenziato boccaporti aperti in corrispondenza della prua, segnalava una risposta termica dei sensori di bordo e, quindi, la possibile presenza di persone sottocoperta. Fatta la segnalazione, l'aereo Frontex faceva rientro alla base per l'esigenza di rifornirsi di carburante. Un altro dato da sottolineare è che Frontex non constata e, quindi, non segnala criticità riferite all'imbarcazione.

Alle 23,37, la Guardia di finanza di Vibo Valentia contatta l'autorità marittima di Reggio Calabria, rappresentando che una sua unità navale, come da pianificazione operativa, era già in mare e chi vi sarebbe rimasta fino alle 6 per attività di polizia sul caso segnalato.

A mezzanotte circa, l'unità della Guardia di finanza, considerato il tempo stimato in circa 7 ore dall'avvistamento da parte dell'aereo Frontex, necessario al caicco per raggiungere le acque territoriali - presupposto per l'esercizio delle funzioni di polizia - rientra temporaneamente alla base di Crotone, per un rabbocco di carburante. Contemporaneamente, oltre al rifornimento, veniva organizzato un nuovo assetto navale, rafforzato con un maggiore dislocamento, in grado di poter meglio affrontare le condizioni del mare.

Alle 00,30 del 26 febbraio, al fine di approfondire i dati relativi alla telefonata satellitare - a cui in precedenza ho fatto cenno -, la centrale di coordinamento operativo del Comando operativo aeronavale della Guardia di finanza di Pratica di Mare chiede a Frontex di condividere il numero di utenza satellitare, per tracciare il contatto. Frontex, nel comunicare l'utenza, evidenzia che la stessa era riferita a un dispositivo ricevente situato in Turchia e che, quindi, non era suscettibile di localizzazione.

Tornando al racconto dei sopravvissuti, intorno all'1,30 del 26 febbraio, nonostante il peggioramento delle condizioni del mare, gli scafisti decidono di riprendere la navigazione.

Alle 2,20 circa, da quanto risulta dai rapporti acquisiti, due assetti navali della Guardia di finanza - la motovedetta rientrata per il rifornimento insieme ad un'altra unità navale di più ampia dimensione - riprendono la navigazione alla ricerca dell'imbarcazione. Tuttavia, alle 3,30 circa, due unità navali della Guardia di finanza sono costrette a rientrare in porto a causa delle pessime condizioni meteo marine in atto. Alle 3,48 la Guardia di finanza informa l'autorità marittima di Reggio Calabria del suo rientro, confermando il quadro conoscitivo sopra tratteggiato, che non conteneva ulteriori elementi, né riguardo alla posizione, né riguardo ad eventuali criticità relative all'imbarcazione. Alle 3,50 la stessa sala operativa della Guardia di finanza di Vibo Valentia, mediante la postazione della propria rete radar costiera, acquisisce per la prima volta un target, verosimilmente l'imbarcazione riconducibile a quella che era stata segnalata da Frontex.

Alle 3,55 la sala operativa del Comando provinciale della Guardia di finanza di Vibo Valentia contatta le sale operative del Corpo dei comandi provinciali di Catanzaro e di Crotone, nonché quelle della Polizia di Stato e dei Carabinieri di Crotone e Catanzaro, alle quali chiede l'invio di pattuglie nelle zone interessate, specificando altresì che le unità navali della Guardia di finanza non avevano stabilito alcun contatto con il natante e che, a causa delle avverse condizioni del mare, quest'ultimo non poteva essere raggiunto, motivo per cui le loro unità navali erano state costrette a rientrare.

Pochi minuti dopo, sull'utenza di emergenza 112, giunge una richiesta di soccorso telefonico da un numero internazionale, che veniva geolocalizzato dall'operatore della centrale operativa del Comando provinciale dei Carabinieri di Crotone e comunicato, con le coordinate geografiche, alla sala operativa della Capitaneria di porto di Crotone. È questo il momento preciso in cui, per la prima volta, si concretizza l'esigenza di soccorso per le autorità italiane.

Alle 4,19 la centrale operativa del Comando provinciale dei Carabinieri di Crotone invia nella località geolocalizzata (Foce Tacina di Steccato di Cutro) la pattuglia del nucleo radiomobile della compagnia di Crotone. Alle 4,30 circa, tramite il numero di emergenza 1530 della Capitaneria di porto, riceve una segnalazione circa la presenza di una barca di 40 metri sulla foce del fiume Tacina. Pochi minuti dopo, il segnalante richiamava, specificando che l'imbarcazione si trovava a 50 metri dalla riva, che si stava muovendo in direzione della spiaggia e che erano presenti persone a bordo. Veniva pertanto informato il Centro secondario del soccorso marittimo di Reggio Calabria, che disponeva l'invio di una motovedetta con imbarco di un team sanitario e di pattuglie via terra, chiedendo altresì l'intervento dei Vigili del fuoco, del 118 e della questura di Crotone per l'attivazione dei soccorsi a terra.

Nel contempo, in località Steccato di Cutro, convergono i militari dei Carabinieri, il personale della locale questura e di altre Forze di Polizia, nonché sanitari, personale dei Vigili del fuoco e della Capitaneria di porto. Sul posto intervengono per primi i Carabinieri che, nell'immediato, traggono in salvo un uomo e un bambino, quest'ultimo purtroppo deceduto poco dopo, bloccando subito uno degli scafisti.

Tornando ai momenti immediatamente precedenti al naufragio e quindi ai racconti dei sopravvissuti, la navigazione è proseguita fino alle 3,50, allorquando, a circa 200 metri dalla costa, erano stati avvistati dalla barca alcuni lampeggianti provenienti dalla spiaggia. A quel punto gli scafisti, temendo la presenza delle Forze dell'ordine lungo la costa, effettuano una brusca virata nel tentativo di cambiare direzione per allontanarsi da quel tratto di mare. In quel frangente, la barca, trovandosi molto vicino alla costa e in mezzo alle onde alte, urta con ogni probabilità il basso fondale (una secca) e, per effetto della rottura di quella parte inferiore dello scafo, comincia a imbarcare acqua.

Sempre sulla base delle dichiarazioni dei superstiti, a quel punto, due scafisti si buttano in acqua mentre un terzo viene fermato dai migranti, per impedirgli di lasciarli da soli sulla barca incagliata. Molti altri migranti, nel frattempo, salgono sul ponte in cerca di aiuto e lo scafista rimasto a bordo, approfittando del momento di caos, riesce ad abbandonare la barca su un gommone di piccole dimensioni e a far salire poi gli altri due scafisti per dirigersi verso la costa. In quel preciso momento, una forte onda capovolge la barca di legno e tutti i migranti cadono in mare, mentre la barca viene distrutta. È il caso di ricordare che i superstiti hanno chiaramente riferito agli inquirenti che gli scafisti hanno impedito di chiamare i soccorsi, essendo persino dotati di un sistema elettronico che bloccava le linee telefoniche.

Mentre qualcuno cerca persino di contestare la criminalizzazione da parte del Governo degli scafisti, secondo la tesi che aiutare qualcuno ad attraversare una frontiera non può essere reato, quanto invece emerge purtroppo dalla tragedia di Cutro è l'attività di un'organizzazione criminale che utilizza tecnologie e linguaggi criptati per eludere i controlli, che propone anche sui social media viaggi sicuri e costosi ai migranti, ma che poi non esita ad abbandonarli al loro destino, pur di mettere in salvo loro stessi e sfuggire alle Forze dell'ordine.

Ecco perché è importante comprendere quale sia la reale consapevolezza, per chi si mette in mare, del rischio di queste traversate vendute come sicure. Non certo - mi creda, onorevole Stumpo - per colpevolizzare le vittime di chi ha perso tutto per sfuggire alla disperazione o sperando di costruire un nuovo futuro.

Come già evidenziato dal Ministro Piantedosi, gli interventi operativi in mare sono riconducibili a due missioni statali, quella del law enforcement e quella di ricerca e soccorso (cosiddetta SAR). Si tratta di due funzioni statali diverse, ma è tutt'altro che infrequente che un determinato evento, nato come law enforcement, si tramuti in evento SAR, come pure può accadere l'inverso.

Del resto, questo assetto replica un modello ordinamentale che, ai sensi della legislazione vigente, vede le Forze di polizia chiamate a prestare soccorso in qualsiasi contesto operino, anche quali strutture operative del servizio di Protezione civile.

Premesso che l'esigenza di tutela della vita ha sempre e comunque la priorità, quale che sia l'iniziale natura dell'intervento operativo in mare, le attività di law enforcement, che fanno capo al Ministero dell'Interno e quelle di soccorso in mare che competono al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, esigono cooperazione e sinergia, tutte le volte che i contesti operativi concreti lo richiedano e, in primis, quando si tratta di salvaguardare l'incolumità delle persone in mare. Perciò esistono i Centri di coordinamento, che si interfacciano 24 ore al giorno, sette giorni su sette, in composizione prevalentemente interforze e con apparati tecnologici adeguati alle finalità.

A questo proposito, va evidenziato che il Governo non ha modificato il quadro normativo nazionale soggetto a vincoli di natura internazionale, con specifico riguardo alla materia del soccorso in mare. Per questa ragione, come del resto è stato molto efficacemente sottolineato dal Presidente del Consiglio nel question time dell'altro ieri in quest'Aula, a proposito della dinamica di un altro naufragio avvenuto qualche giorno fa in zona SAR libica, la cosa migliore è lasciare la parola al capo della centrale operativa della Guardia costiera, il capitano D'Agostino, il quale testualmente dice: “Tutte le norme sono state applicate. Quelle che c'erano oggi, c'erano anche ieri. Anche perché” - prosegue il capitano - “nessuno mi può costringere a non salvare le vite in mare, neppure un Ministro, perché la responsabilità giuridica sarebbe mia”.

Ritengo che le parole di questo servitore dello Stato chiariscano, al di là di ogni possibile dubbio, che le modalità tecnico-operative dei salvataggi, in nessun modo, possono essere sottoposte ad interventi esterni alla catena di comando o a condizionamenti di natura politica. Questo anche per chi vuol far credere che possa esserci una politica capace di sacrificare, per chissà quale obiettivo poi, la vita di uomini, di donne o di bambini, ostacolandone in qualche modo il soccorso, per chi vuol far credere che, di fronte a un dramma così grande, immane, possa esserci, da un lato, una opposizione sensibile, umana ed empatica e, dall'altro, un Governo cinico, disumano e insensibile all'orrore di decine di vite finite nel mare gelido - che io e lei conosciamo bene, il mar Jonio - alle troppe piccole bare bianche in cui sono stati chiusi per sempre i sogni e le speranze di quei bambini.

Ormai è a tutti ben chiaro quanto è avvenuto a Cutro e, benché sia doveroso riferire a quest'Aula tutti gli elementi a conoscenza dell'Esecutivo, sappiamo già che non ci sarà informativa in grado di soddisfare le aspettative di chi - duole dirlo - continua spesso a utilizzare questa tragedia, non solo per attaccare strumentalmente il Governo, ma anche per tentare di marcare la differenza morale e antropologica tra una parte politica che detiene in via esclusiva il senso dell'umanità e una destra mostruosa e disumana, a cui attribuire le responsabilità di quelle morti.

È un tentativo che non va bene, un tentativo che rischia di commentarsi da solo e che non ci fa indietreggiare in quello che, responsabilmente, riteniamo l'unico modo per evitare il rischio di morti in mare: evitare il più possibile che queste persone mettano le loro vite in mano a criminali senza scrupoli, come quelli che hanno portato la loro imbarcazione a schiantarsi in una secca a pochi metri dalla riva.

Come ben evidenziato dal Ministro dell'Interno in occasione della sua informativa, sostenere che i soccorsi sarebbero stati influenzati o addirittura impediti dal Governo costituisce una grave falsità, che offende anche l'onore e la professionalità dei nostri operatori impegnati quotidianamente in mare, in scenari particolarmente pericolosi e difficili, gli stessi operatori che nei mesi del nostro Governo hanno salvato decine di migliaia di vite, sia in interventi SAR che in interventi di law enforcement.

Rilevo, poi, che non c'è connessione tra il cosiddetto decreto ONG e il naufragio di Cutro, perché, in primo luogo, né nello Ionio né lungo la rotta turca hanno mai operato navi di organizzazioni non governative e, poi, perché le regole introdotte con il citato provvedimento partono dal presupposto che, prima di tutto, devono essere sempre assicurati il soccorso e l'assistenza ai migranti, nonché la tutela della loro incolumità.

Va, in particolare, evidenziato che l'attivazione dell'intero sistema SAR non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza. Infatti, il dispositivo SAR si attiva esclusivamente in presenza di tale segnalazione. Laddove, invece, non venga segnalato un distress, l'evento operativo è gestito come un intervento di polizia, anche in ragione di quanto prima osservato circa la capacità di soccorso delle nostre unità navali.

Come ho osservato precedentemente, nel caso in questione il primo dato certo è che l'assetto aereo Frontex, che per primo ha individuato l'imbarcazione alle ore 22,26 del 25 febbraio, a 40 miglia nautiche dall'Italia, non ha rilevato - e, quindi, non ha segnalato - una situazione di distress a bordo, limitandosi a evidenziare la presenza di una persona sopra coperta e di altre possibili persone sotto coperta e una buona galleggiabilità dell'imbarcazione. Frontex annotava altresì che l'imbarcazione procedeva a velocità regolare (6 nodi l'ora), non appariva sovraccarica e non sbandava. Inoltre, nessuna segnalazione di allarme o richiesta di aiuto proveniva dall'imbarcazione in questione e poiché l'evento, rilevato alle 22,26 del 25 febbraio, non aveva - né lasciava supporre - una condizione di distress, correttamente, l'assetto Frontex lo segnalava alle autorità italiane di law enforcement e, per conoscenza, anche a quelle del soccorso marittimo, nonché al proprio quartier generale, come previsto dalle procedure esistenti, affinché le autorità nazionali competenti gestissero l'evento con strumenti appropriati per tale tipo di operazione, in base al proprio ordinamento. Nel caso in questione, l'aereo Frontex interrompeva il contatto con il target, perché a corto di carburante e, quindi, doveva ritornare alla base.

Nell'avviarmi alle conclusioni, mi preme sottolineare che, proprio per interrompere la tragica sequenza di naufragi di cui Cutro costituisce un ulteriore episodio, questo Governo è fortemente impegnato, a livello nazionale e internazionale, sia sul versante della promozione della migrazione regolare sia al contrasto di quella illegale. Sul primo aspetto, ricordo che il decreto flussi prevedeva circa 83.000 ingressi regolari - sono stati aumentati rispetto alla cifra di 70.000 - per motivi di lavoro e per il maggiore spazio dato ai corridoi umanitari.

Sul piano dell'immigrazione illegale, il Governo intende inasprire la lotta alla criminalità dedita al favoreggiamento dell'immigrazione illegale, a livello sia nazionale che internazionale. Sono stati, infatti, trafficanti senza scrupoli a causare il naufragio di Cutro, una tragedia che ci riempie di angoscia. Per questa ragione, la linea del Governo è nel senso che i flussi migratori non possono essere abbandonati a criminali senza scrupoli e che non si può accettare passivamente una migrazione senza regole, principale causa delle tragedie del mare. Lo ha detto, molto chiaramente, il Presidente del Consiglio, nel question time dell'altro ieri e, da parte mia, non posso che ribadirlo con la stessa forza: “Finché ci saranno partenze su barche in pessime condizioni, e, qualche volta, in pessime condizioni meteo, ci saranno sempre perdite di vite. Quello che dobbiamo fare è prevenire che i trafficanti portino queste persone a bordo di queste barche e investire, invece, sulle rotte legali”. E questo è precisamente quello che ha fatto il Governo, che la scorsa settimana ha approvato un decreto-legge che, da un lato, colpisce con severità i trafficanti di esseri umani, attraverso nuove fattispecie di reato e prevede pene più dure per i delitti legati all'immigrazione clandestina, ma, d'altro canto, razionalizza la cornice giuridica della migrazione legale, mediante nuove modalità di programmazione dei flussi d'ingresso legali dei lavoratori stranieri e la semplificazione del sistema di avvio del rapporto di lavoro in Italia.

In questo senso - e mi avvio veramente alla conclusione - è evidente l'avvicinamento della politica migratoria europea a quella del Governo italiano. Nella riunione straordinaria del Consiglio europeo del 9 febbraio scorso, Bruxelles ha affermato il principio che l'efficace controllo delle frontiere esterne dell'Unione è una questione europea e richiede soluzione europea, come, da tanto tempo, era richiesto dall'Italia.

In attuazione di questo approccio e in vista del prossimo Consiglio europeo, quello del 23 e del 24 marzo, la Commissaria UE agli Affari interni, Johansson, ha diramato, lo scorso 14 marzo, una comunicazione sulla gestione integrata dei flussi migratori per i prossimi 5 anni. È un atto importante, per i contenuti della strategia che si va a delineare, di cui ricordo due punti caratterizzanti, fortemente voluti dal nostro Paese e dal nostro Governo: la necessità di un robusto rilancio della cooperazione con i Paesi di origine e il transito dei flussi per aumentare le capacità tecniche di controllo delle frontiere e la necessità di un miglior coordinamento tra Stati costieri e Stati di bandiera, con la conseguente esigenza di un pieno e tempestivo scambio informativo tra gli attori coinvolti nelle operazioni SAR.

Come si può rilevare, quindi, la strategia europea della gestione delle migrazioni fa propri aspetti abbastanza qualificanti e importanti delle priorità italiane, con riferimento alla lotta ai criminali dediti alla tratta, alla cooperazione con i Paesi di origine e transito dei flussi e al miglioramento del sistema SAR.

Come il Presidente del Consiglio Meloni ha ben messo in evidenza, in occasione - ripeto - del question time del 15 marzo in quest'Aula, siamo di fronte a un cambio di passo dell'Europa, a una nuova narrazione. Ma siccome noi non ci accontentiamo delle dichiarazioni di principio, siamo già al lavoro per fare in modo che alle enunciazioni formali seguano, in tempi brevi, politiche concrete e impegni vincolanti per rispondere alle sfide che l'Europa - e certamente l'Italia non da sola - deve affrontare nella gestione delle migrazioni, anche con una solidarietà che non si fermi, in termini di accoglienza e di integrazione, al momento in cui si arriva alla banchina di un porto, lasciando poi tutto nel dimenticatoio, a partire dal giorno dopo, rispetto alle esigenze dei tanti migranti, e, soprattutto, anche verso quella sicurezza delle frontiere che non deve essere mai dimenticata.

PRESIDENTE. Il deputato Stumpo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

NICOLA STUMPO (PD-IDP). Presidente, non si tratta di essere soddisfatti. Penso che nella risposta di questo Governo, in questo caso della Sottosegretaria Ferro, ci siano le profonde differenze che animano la politica non solo italiana, ma la politica in generale e, se proprio devo dirlo per semplificare, le differenze che esistono tra la destra e la sinistra.

Vede, lei, in questa lunga relazione che le è stata preparata, ha detto cose che - lo dico così, semplicemente - io non condivido, perché ha toccato aspetti che vanno anche al di là della vicenda, di cui dirò qualcosa, ma soprattutto ha disegnato un modello per il quale io ritengo di sentirmi diametralmente dall'altra parte, considerando questa situazione e i relativi drammi.

Lei l'ha detto: io conosco quelle spiagge, perché quelle sono state le spiagge della mia infanzia. Conosco le persone che erano lì e i loro sentimenti. Mi unisco ai suoi ringraziamenti e mi dolgo, però, del fatto che, in quel momento, lì c'erano solo quelle persone, solo quelle persone. Non c'era lo Stato, e questo lo ha detto lei. Lei, a un certo punto, ha detto che da Reggio Calabria doveva partire una nave per andare a Steccato di Cutro. Se, anziché con una nave, ci fosse andata in macchina, attraverso la strada statale n. 106, lei sa bene quanto ci avrebbe messo, e con una nave, con mare forza 4, sa che sarebbe arrivata per il prossimo naufragio. Non va bene. Non si gioca sulle vite umane. È questo ciò che noi stiamo chiedendo: non si gioca sulle vite umane. Non si può fare una ricostruzione di questa vicenda dicendo che doveva partire una nave da Reggio Calabria per Cutro. Infatti, il porto di Reggio Calabria è sul Tirreno, sta dall'altra parte, mentre lo Ionio è dalla parte opposta.

Ci sono tanta strada e tanto mare da percorrere per salvare vite umane. Alle 18 di sera, quando Frontex aveva già visto l'imbarcazione, i trafficanti si sono fermati in attesa del buio; noi cosa aspettavamo? La vostra politica è salvaguardare le frontiere, ma loro cosa dovevano fare? Dovevano arrivare e, se non prendevano la secca, poi entravano? È questa la politica che volete fare? Nascondere anche l'evidenza?

Penso che in questa sua ricostruzione vi siano ancora tante cose da chiarire, perché non basta aver fatto un elenco: alle 18, alle 22, alle 23, quello, quell'altro. Cosa abbiamo fatto per provare a intercettare quella nave? Per fare uscire da una nave persone in pericolo? Abbiamo scambiato telefonate, chiesto se si poteva avere il numero per intercettarla. Non si poteva fare qualcos'altro, in tutto questo? Il Ministro ci dice che c'è un'indagine. Aspetteremo l'indagine, siamo rispettosi, ci mancherebbe, ma, oltre ad aspettare l'indagine?

Lei ci ha detto che noi lo facciamo per propaganda, ma io vado a dormire, la notte, con la mia coscienza a posto. Sono tutti a posto con la coscienza, per aver fatto tutto quello che si poteva fare, indagine giudiziaria a parte? In questa risposta lei ha ben descritto – anzi, non lei, ma chi sta orchestrando questa linea politica - chi sono i cattivi: gli scafisti, lo sappiamo tutti. C'è qualcuno che pensa di poter apprezzare la qualità umana di questi trafficanti di morte? Penso nessuno, nessuno, qui tra noi, tra le persone normali. Ma cosa vogliamo fare perché ciò non accada? Aumentiamo le pene agli scafisti e abbiamo risolto il problema delle partenze da posti che sono incredibilmente peggio di un mare in forza 4 o bastano alcune cose, come dice lei, facendo un po' la vittima - non lei, ma la sua parte politica - che ci viene a raccontare che le cose erano così anche prima e che, per una superiorità morale della sinistra, vi accusiamo di qualcosa? Io non mi sento superiore a nessuno, mi sento diverso; questo sì, diverso, e penso che dovremmo fare ricchezza tutti della nostra diversità, soprattutto quando facciamo cose che non riguardano la battaglia politica, perché le voglio dire, anche qui, oggi, una cosa che non avrebbe senso dire, ma la voglio dire; questa vicenda, per la prima volta, vi sta portando male anche elettoralmente; non affrontatela come avete fatto in tutti questi anni, fomentando la paura dei cittadini: gli scafisti, quelli che vengono a rubarci il lavoro… Affrontiamola come un tema che non avrà la possibilità di essere fermato; va affrontato. La gente scappa per la fame, per la miseria, per la morte; non scappa perché ha voglia di avere un cellulare, come sento dire, non scappa perché vede il luccichio delle cose che gli abbiamo promesso, scappa perché ha fame, scappa perché viene uccisa, scappano perché vengono violentate, le donne. Questo è il tema e questo noi dobbiamo provare ad affrontare.

Non costruite un'altra distrazione di massa con gli scafisti; si combattono facilmente gli scafisti, è il problema che va affrontato. Se si sbaglia l'analisi iniziale, si sbaglia la proposta e voi state continuando a sbagliare l'analisi: pensate di fermare questa ondata enorme, dovuta a mille vicende, dalla fame alle questioni ambientali, dalle guerre alla paura, prendendo un abbaglio, gli scafisti. Può andar bene per qualche trasmissione di prima serata, può andar bene per qualche comizio, non va bene per affrontare il problema.

Sottosegretaria, glielo dico, anche per la stima che, come lei sa, ho nei suoi riguardi, state sbagliando e non è una verità, la mia, è il mio modo di vedere le cose. Può darsi che stia sbagliando io, io non ho certezze, l'unica certezza che ho è che il mare si sta riempiendo di morti e che noi dobbiamo evitare questo e che le politiche fatte fin qui stanno aumentando i morti. Questo noi lo dobbiamo evitare e per questo non ci accontentiamo e non siamo per nulla convinti della sua risposta. Continueremo a chiedere che si faccia chiarezza, che il Ministro Piantedosi e il Ministro Salvini si assumano le loro responsabilità per quello che è successo e per quello che potrà ancora succedere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

(Chiarimenti in merito alla mancata operatività della piattaforma digitale per la raccolta delle firme per i referendum di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione e per i progetti di legge di iniziativa popolare e tempistica di entrata in funzione della piattaforma stessa - n. 2-00094)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Magi e Schullian n. 2-00094 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Magi se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

RICCARDO MAGI (MISTO-+EUROPA). La ringrazio, Presidente. La illustro. La legge n. 178 del 2020, bilancio di previsione dello Stato per il 2021, poi, successivamente modificata, ha previsto, all'articolo 1, comma 341, l'istituzione di un apposito fondo, la cui dotazione è stata determinata in 100.000 euro annui, a decorrere dal 2021, ai sensi del successivo comma, destinato alla realizzazione di una piattaforma per la raccolta digitale delle firme degli elettori necessarie per i referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, nonché per i progetti di legge di iniziativa popolare di cui all'articolo 71 della Costituzione.

La medesima legge ha impegnato la Presidenza del Consiglio, entro il 31 dicembre 2021, ad assicurare l'entrata in funzione di questa piattaforma. Con un proprio decreto, adottato di concerto con il Ministero della Giustizia, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, si sarebbero dovute definire le caratteristiche tecniche, l'architettura generale, i requisiti di sicurezza e le modalità di funzionamento della stessa piattaforma, nonché le modalità con cui i promotori delle proposte mettono a disposizione dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, nella stessa data in cui effettuano il deposito di eventuali firme autografe riferite alla medesima proposta, le firme raccolte elettronicamente.

Ora, effettivamente, in data 9 settembre 2022, anche a seguito di un altro atto di sindacato ispettivo avanzato dal sottoscritto interpellante, il decreto di cui sopra, ossia il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, recante: “Disciplina della piattaforma per la raccolta delle firme necessarie per i referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione” è stato tardivamente emanato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26 novembre 2022. Con riferimento alle modalità di accesso alla piattaforma, nella risposta fornita alla precedente interpellanza urgente, la n. 2-01431, in data 4 marzo 2022, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio delegato a rispondere ha chiarito che l'accesso sarebbe stato consentito tramite l'interfaccia web www.firmereferendum.gov.it per tutti i cittadini dotati di identità digitale e registrati nell'anagrafe pubblica dei residenti e che, pertanto, per sottoscrivere le proposte di referendum o di legge di iniziativa popolare non sarebbe stato necessario il possesso della firma digitale, ma esclusivamente dell'identità digitale. La piattaforma, tuttavia, ad oggi, non risulta ancora operativa e, quindi, abbiamo un ritardo di più di un anno rispetto ai termini prescritti dalla norma.

Dopo aver appreso, nel dicembre 2022, da un'intervista al Sottosegretario con delega all'innovazione tecnologica, senatore Alessio Butti, al quotidiano Il Messaggero, che il Governo valutava di “spegnere” lo SPID, per promuovere la carta d'identità elettronica come unica identità digitale, in data 2 marzo 2023 si è appreso, da fonti di stampa, che il medesimo Sottosegretario Butti, durante un recente incontro con i gestori del servizio d'identità digitale tenutosi presso gli uffici del Dipartimento ha espresso l'intenzione di definire un rinnovo pluriennale delle convenzioni con i gestori del servizio, lavorando, al contempo, a una razionalizzazione dei diversi sistemi di accesso alla pubblica amministrazione, in linea con il quadro europeo di riferimento.

Siamo ad interrogare il Governo per conoscere le ragioni della mancata operatività, in violazione dell'articolo 1, comma 343, della legge n. 178 del 2020, della piattaforma digitale per la raccolta delle firme degli elettori per referendum e leggi di iniziativa popolare, e le tempistiche entro cui il Governo assicuri l'entrata in funzione della piattaforma, a fronte di un grave ritardo di oltre 14 mesi.

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato per l'Interno, Wanda Ferro, ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Onorevoli deputate e deputati, ringrazio gli interpellanti per l'occasione di fornire aggiornamenti sullo stato di un progetto, della cui importanza e centralità abbiamo piena consapevolezza.

Come correttamente ricostruito dall'onorevole interpellante, la legge 30 dicembre 2020, n. 178, come modificata dal decreto-legge 31 maggio 2021 n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), all'articolo 1, comma 341, ha istituito un fondo destinato alla realizzazione di una piattaforma per la raccolta digitale delle firme degli elettori necessarie per la presentazione dei referendum, previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, nonché per i progetti di legge di iniziativa popolare, di cui all'articolo 71, secondo comma, della Costituzione.

In attuazione della citata disposizione, la Presidenza del Consiglio dei ministri, con il supporto del Dipartimento per la trasformazione digitale, nel 2021, ha realizzato, nei termini previsti, una versione della piattaforma, secondo i requisiti stabiliti dall'articolo 1, commi 341 e seguenti, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e ne ha completato le attività di test.

Il 26 novembre 2022, è stato pubblicato, in Gazzetta Ufficiale, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 settembre 2022, recante le caratteristiche e le modalità di funzionamento della piattaforma.

A seguito dell'adozione di tale decreto, è stato necessario effettuare alcuni adeguamenti alla prima versione della piattaforma, in quanto il DPCM 9 settembre 2022 ha affidato al Ministero della Giustizia e, in particolare, alla Corte di cassazione, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, un ruolo operativo nel funzionamento della piattaforma.

Con riferimento alle previsioni sulla piena operatività della piattaforma, si rappresenta che, al fine di completare le attività propedeutiche al rilascio della piattaforma e di procedere alla sua attivazione, la Presidenza del Consiglio dei ministri, da tempo, ha avviato le necessarie interlocuzioni con il Ministero della Giustizia, finalizzate a definire una collaborazione tesa a far sì che sia quest'ultimo a prendere in carico la gestione. Tali attività potranno contare sul supporto tecnico e amministrativo, che la Presidenza del Consiglio dei ministri, per il tramite del Dipartimento per la trasformazione digitale, continuerà a garantire.

Con riferimento ai tempi richiesti per il rilascio, si rappresenta che gli adeguamenti tecnologici necessari richiedono circa 4-5 mesi.

PRESIDENTE. Il deputato Magi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

RICCARDO MAGI (MISTO-+EUROPA). La ringrazio, Presidente. Intanto, nel porgere il mio ringraziamento alla Sottosegretaria Ferro, devo notare, con un certo disappunto, che un po' mi sorprende non vedere il Sottosegretario con delega all'innovazione, il senatore Butti, non per mancare di considerazione e di rispetto alla Sottosegretaria, cui va tutta la mia stima e il mio ringraziamento, ma perché questa interpellanza era già calendarizzata per la settimana scorsa e l'avevo ritirata, proprio su richiesta del Sottosegretario Butti, per consentire a lui di essere qui e rispondere con noi questa mattina, per confrontarci in sede parlamentare.

Da quello che si può capire da questa risposta, il problema - per dircela chiaramente - sta nel Ministero della Giustizia. In tutto l'iter parlamentare, che ne ha portato alla realizzazione, da un punto di vista normativo, quindi, dalla predisposizione della norma ai passaggi successivi, abbiamo sempre riscontrato i massimi ostacoli e freni proprio da parte del Ministero della Giustizia. Spero e credo che la risposta, che, questa mattina, arriva per bocca della Sottosegretaria Ferro, serva anche a garantire che, nella collegialità, all'interno del Governo, ci sia la capacità di superare questo freno a questo ostacolo.

Mi preme ricordare che la norma, che ha portato alla progettazione - non possiamo parlare ancora di realizzazione - di questa piattaforma, in tutti i suoi passaggi, ha avuto un'origine parlamentare. È proprio uno di quei casi, nei quali, in sede di discussione parlamentare di un provvedimento, vengono approvati emendamenti all'unanimità (prima alla legge di bilancio per il 2021 - legge n. 178 del 2020-, successivamente al decreto Semplificazioni di quello stesso anno). Per questo, sento di richiedere al Governo la massima attenzione, perché già siamo di fronte a una norma che, pur avendo ricevuto un impulso e un'approvazione dal Parlamento in due occasioni all'unanimità, da più di un anno, non è realtà.

Perché questa norma ci sta particolarmente a cuore? Perché dà la possibilità ai cittadini di sottoscrivere referendum e proposte nell'ambito dell'istituto referendario e dell'istituto della legge di iniziativa popolare, così come previsti dalla Costituzione, quindi, sugli argomenti su cui è possibile promuovere il referendum, con quelle modalità. Grazie a questa piattaforma, avremmo la possibilità di far rivivere l'istituto referendario, rispetto a una situazione nella quale, da molti anni - mi viene da dire da decenni -, l'istituto referendario è, di fatto, sottratto alla possibilità di essere promosso da parte dei cittadini e di comitati promotori, dietro i quali non ci siano grossi partiti o grosse organizzazioni sindacali, che hanno quelli strumenti, sia in termini di numero di consiglieri comunali - e quindi di autenticatori -, sia in termini di risorse, per garantire una presenza capillare sul territorio e organizzare una raccolta delle firme, che nel giro dei tre mesi, come la legge indica, porti a raggiungere le 500.000 firme necessarie.

Grazie a questa possibilità, attivata, in via transitoria (un altro emendamento previsto nel decreto Semplificazioni del 2021), in quell'estate 2021 abbiamo avuto una straordinaria mobilitazione popolare, che ha portato a raccogliere milioni di firme di cittadini su alcune proposte referendarie.

Voglio sperare - perché nella risposta della Sottosegretaria non c'era traccia di questo – che, da parte del Governo, non vi sia la tentazione di ostacolare, in qualche modo, la mobilitazione dei cittadini attraverso gli strumenti referendari, che, mi auguro, possa tornare a vivere nel nostro Paese. Infatti, Sottosegretaria, quando c'è stata questa innovazione della possibilità di firmare in via digitale i referendum e le legge di iniziativa popolare, si è aperto un dibattito fra i costituzionalisti nel nostro Paese. Alcuni autorevoli costituzionalisti hanno lanciato un allarme, quasi un anatema, nei confronti dell'innovazione digitale messa al servizio della partecipazione dei cittadini, sostenendo che, da questo, avremmo avuto un Parlamento travolto dalla SPID-democracy o click-democracy, così come è stata definita.

Credo che sia un allarmismo del tutto fuori luogo e che, in realtà, proprio l'origine parlamentare di questa norma debba farci riflettere sul fatto che, restituendo valore e potere alla scheda referendaria, ristabiliamo gli equilibri previsti dalla nostra Costituzione.

La crisi del Parlamento non è dovuta a un eccesso di democrazia partecipativa. Non parlo di democrazia diretta non a caso: sto parlando di democrazia partecipativa e degli strumenti di iniziativa popolare, come previsti dalla nostra Costituzione. La crisi del nostro Parlamento è dovuta a tanti fattori: alla crisi dei partiti, a un ruolo preponderante del Governo nelle dinamiche istituzionali - e lei, Sottosegretaria, che ha una lunga esperienza parlamentare sa di cosa parlo -, all'abuso della decretazione d'urgenza, a una serie di prassi che ha, di fatto, svalutato il ruolo del Parlamento. Non è certo dovuta a un eccesso di referendum o all'eccesso di leggi di iniziativa popolare, Anzi, qualora si riattivasse quel canale di partecipazione, potrebbe tornare a vivere meglio anche quel circolo virtuoso tra partecipazione dei cittadini, che avviene attraverso la scheda elettorale e la scheda referendaria, e il potenziale conseguente impulso a una maggiore centralità e a una maggiore vitalità del Parlamento.

Allora non posso ritenermi soddisfatto della risposta nella misura in cui, ovviamente, parliamo di un ritardo di più di un anno, al quale, secondo quello che ci ha detto oggi il Governo si aggiungeranno altri 4 o 5 mesi. Noi faremo un pressing costante, noi non ci dimenticheremo di questa norma, perché siamo convinti che attraverso l'uso dell'innovazione digitale al servizio dell'esercizio dei diritti politici dei cittadini vi sia la possibilità di rivitalizzare la democrazia rappresentativa, anche il Parlamento, di riavvicinare i cittadini alla democrazia, di riavvicinare i cittadini alla partecipazione diretta.

La stagione referendaria del 2021 ha utilizzato in parte anche la raccolta firme digitale e in parte le persone hanno firmato con la vecchia modalità, quella cartacea, quindi evidentemente c'era una spinta effettiva e il digitale serve a semplificare la possibilità per i cittadini di firmare. Concludo, Presidente. I cittadini, molti cittadini, soprattutto chi non vive in grandi metropoli, hanno difficoltà spesso a incontrare un banchetto di un comitato promotore che gli sottopone la possibilità di firmare un referendum. Quindi, questa sarebbe soprattutto un'innovazione che darebbe la possibilità ai cittadini che vivono nelle aree interne, nelle aree meno centrali del Paese, di partecipare, anche loro, alla vita politica attiva.

Quindi non siamo soddisfatti, continueremo a fare pressione sul Governo in ogni occasione e in ogni modo possibile, e soprattutto vogliamo auspicare, anche formalmente, qui, in Parlamento, che dal Ministero della Giustizia, che è l'amministrazione che in ultima istanza deve ricevere le firme, perché l'Ufficio centrale per il referendum è presso la Corte di cassazione, non arrivi un ostacolo a una legge dello Stato.

(Iniziative volte al pieno funzionamento della piattaforma digitale per la raccolta delle firme per i referendum di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione e per i progetti di legge di iniziativa popolare, e intendimenti circa l'istituzione di nuove forme di partecipazione popolare - n. 2-00096)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Auriemma ed altri n. 2-00096 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Auriemma se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie, Presidente. In realtà, questa interpellanza pone le stesse questioni della precedente, quindi, se mi consente, posso soltanto replicare.

PRESIDENTE. Assolutamente, ci mancherebbe. Grazie, onorevole Auriemma.

La Sottosegretaria di Stato per l'Interno, Wanda Ferro, ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Presidente, onorevoli deputati e deputate, la legge 30 dicembre 2020, n. 178, come modificata dal decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure, all'articolo 1, comma 341, ha istituito un Fondo destinato alla realizzazione di una piattaforma che consenta la raccolta digitale delle firme degli elettori richieste per la presentazione dei referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, nonché per i progetti di legge di iniziativa popolare di cui all'articolo 71, secondo comma, della Costituzione.

In attuazione della citata disposizione, la Presidenza del Consiglio dei ministri, con il supporto del Dipartimento per la trasformazione digitale, nel 2021 ha realizzato, nei termini previsti, una versione della piattaforma, secondo i requisiti stabiliti dall'articolo 1, comma 341 e successivi, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, completando le attività di test.

L'onorevole interpellante chiede approfondimenti in merito alla raccolta digitale delle firme per la presentazione delle liste elettorali e, più in generale, all'implementazione di istituti e forme innovative di partecipazione. In merito si rappresenta che la piattaforma sviluppata è tecnologicamente idonea alla raccolta delle sottoscrizioni per la presentazione delle liste elettorali. Pertanto, ove il Parlamento approvasse una disposizione legislativa in tal senso, la piattaforma potrebbe essere agevolmente oggetto di implementazione.

Con riferimento alla verifica delle sottoscrizioni digitali e all'accoppiamento tra firme e certificati elettorali, si rappresenta che la piattaforma ha superato il problema delle sottoscrizioni digitali attraverso l'utilizzo di SPID.

La piattaforma, inoltre, è interoperabile con l'Anagrafe nazionale della popolazione residente, per cui la verifica della qualifica di elettore avviene direttamente tramite l'ANPR, grazie al progetto di integrazione delle liste elettorali in ANPR attualmente in corso.

Il ritardo nel rilascio della piattaforma è da attribuirsi alla necessità di adeguamento al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 settembre 2022, recante le caratteristiche e le modalità di funzionamento della piattaforma, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 novembre 2022. Il citato DPCM ha, infatti, imposto alcuni adeguamenti tecnologici tesi a garantire il coinvolgimento della Corte di cassazione, cui il citato decreto ha affidato un ruolo operativo nel funzionamento della piattaforma.

La Presidenza del Consiglio dei ministri è da tempo impegnata con il Ministero della Giustizia nella definizione di un accordo che prevedrà la presa in carico della gestione della piattaforma da parte dello stesso Ministero, con il supporto tecnico ed amministrativo che la Presidenza del Consiglio dei ministri, per il tramite del Dipartimento per la trasformazione digitale, continuerà a garantire. Il rilascio definitivo, come già detto nella precedente interpellanza, a valle dei citati adeguamenti tecnologici, è previsto entro 4 o 5 mesi.

PRESIDENTE. La deputata Auriemma ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie Presidente, grazie Sottosegretaria Ferro. Mi soffermo un attimo sulla tempistica che lei ha rappresentato. Ci parla di 4 o 5 mesi, e purtroppo su questo non possiamo essere soddisfatti. Come si sa, è alle porte una campagna referendaria, perché la normativa prevede che entro il 30 settembre debbano essere depositate tutte le istanze referendarie dell'anno. Quindi è evidente che, se la piattaforma non si attiva entro il mese di maggio, rischiamo che per tutte le proposte referendarie del 2023, non possa essere utilizzata. Per questo sollecitiamo qualsiasi sforzo di questo Governo ad accelerare i tempi, anche perché parliamo di un ritardo di oltre un anno e di oltre 7 o 8 mesi dal decreto attuativo.

Lo Stato non può porre ostacoli alla partecipazione democratica e, soprattutto, non ci possono essere dei dubbi sul fatto che ormai la rete raccoglie ogni attività umana, e quindi non può non raccogliere la partecipazione anche diretta dei cittadini. Ed è importante che questa piattaforma possa realizzarsi nel più breve tempo possibile perché resta irrealizzata una parte dei diritti fondamentali della nostra Costituzione. Infatti, ormai è chiaro, è sancito chiaramente che l'Italia nella procedura referendaria ha posto degli ostacoli che devono essere superati.

Il referendum, che dovrebbe essere uno strumento di democrazia diretta, in realtà rischia di essere soltanto uno strumento discriminatorio politicamente ed economicamente, perché si rischia che vadano avanti soltanto quei referendum che possono giovarsi di associazioni che hanno una distribuzione capillare sul territorio e hanno risorse economiche per raccogliere le numerose firme necessarie per il deposito.

Quindi, in tutta sincerità, riteniamo che la tempistica prospettata dal Governo non possa assolutamente soddisfarci, anche perché questo significa chiaramente che per tutte le proposte referendarie del 2023 la piattaforma, che diventa uno strumento di democrazia, non possa essere utilizzata.

Positiva, invece, è l'apertura del Governo relativamente alle sottoscrizioni delle liste elettorali, sia nazionali che locali e regionali. È importante perché la stessa associazione Luca Coscioni, che ha portato avanti questa battaglia, ha rilevato che, laddove la piattaforma non dovesse estendersi anche a questo tipo di sottoscrizioni, è una piattaforma un po' monca.

Faccio presente che l'avvio della piattaforma è necessario anche per un altro aspetto fondamentale, cioè permette ai nostri connazionali all'estero di partecipare alle attività e alle decisioni politiche del nostro Paese. Pertanto, anche sotto questo aspetto, è fondamentale che ci sia un avvio, e quindi noi monitoreremo l'attività del Governo da questo punto di vista.

(Iniziative di competenza per il mantenimento degli standard qualitativi delle prestazioni sanitarie e dei livelli occupazionali dell'ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo - n. 2-00100)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Patriarca ed altri n. 2-00100 (Vedi l''allegato A).

Chiedo alla deputata Patriarca se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ANNARITA PATRIARCA (FI-PPE). La Casa Sollievo della Sofferenza è l'ospedale di San Giovanni Rotondo, nato per volontà di Padre Pio. Inaugurato nel 1956, nacque, dapprima, come struttura privata, ma, col trascorrere degli anni, la Casa Sollievo della Sofferenza è diventata una vera e propria cittadella sanitaria, che ha visto crescere il numero dei posti letto dai 250 del 1956 ai 1.200 circa attuali. Parliamo di una struttura moderna, organizzata secondo i più recenti criteri di gestione sanitaria e dotata delle più evolute tecnologie, che opera all'interno del Servizio sanitario nazionale italiano dal 1971 come ospedale religioso classificato ad elevata specializzazione, riconosciuto anche come istituto di ricovero e cura a carattere scientifico nel settore delle malattie genetiche ed eredo-familiari, con decreto dei Ministeri della Sanità e dell'Università e della ricerca scientifica nel luglio 1991.

Dal 5 dicembre 2012, la qualifica è stata ampliata al settore delle malattie genetiche, terapie innovative e medicina rigenerativa.

L'ospedale è organizzato con un polo ospedaliero principale, il poliambulatorio Giovanni Paolo II, e il centro di ricerca ISBReMIT, che ospita un nuovo laboratorio di produzione di cellule staminali per uso clinico ed è una delle pochissime strutture di questo tipo presenti in Italia. Fanno parte della struttura, per quanto non direttamente annessi al polo sanitario di San Giovanni Rotondo, i centri dialisi di Manfredonia, Rodi Garganico e Vieste, e l'istituto Casa Sollievo della Sofferenza-Mendel di Roma.

Una struttura di eccellenza, quindi, non a caso posizionatasi al primo posto tra gli ospedali del Sud d'Italia nella classifica The world's best hospitals 2023 del Newsweek. È tra i più grandi ospedali dell'Italia meridionale, in grado di accogliere pazienti provenienti da tutto il Paese.

Nel 2022, gli accessi ambulatoriali di pazienti fuori regione sono stati pari al 7,5 per cento, ossia 21.000 su 277.000 accessi, e i ricoveri sono stati pari al 15 per cento, ossia 4.800 su 32.500. I numeri, cristallizzati al 2022, sono i seguenti: 57.000 pazienti annui; 200.000 giornate di degenza; utilizzo dell'80 per cento degli 867 posti letto; 1 milione di prestazioni ambulatoriali; 2.500 dipendenti; 150 medici, biologici e tecnici.

Aggiungo, al fine di inquadrare, in maniera ancora più specifica, il tema che stiamo qui a rappresentare oggi, che, intorno all'attività dell'ospedale, si muove un indotto che vede occupato circa il 30 per cento del settore terziario della città. Non sfuggono, quindi, il ruolo e la rilevanza dell'attività di questa istituzione sanitaria non solo per la regione Puglia, ma per tutto il Meridione d'Italia e, in generale, per la qualità delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale in aree, dove il diritto alla salute e all'assistenza sanitaria rappresenta spesso un elemento di criticità quotidiana.

Malgrado queste note di merito, l'ospedale sta affrontando una grave crisi economico-finanziaria, per mancata assegnazione di adeguati finanziamenti. Questa crisi rischia di mettere in serio rischio la funzionalità operativa e l'organizzazione, così come oggi le conosciamo, e anche quantità e qualità delle prestazioni offerte al territorio. Una crisi che ha imposto l'adozione di interventi correttivi, finalizzati a raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2024 e un primo utile nell'anno successivo, che, però, porterebbero ad una notevole riduzione di posti letto, al mancato finanziamento della cardiochirurgia, al mancato rinnovo dei contratti a tempo determinato, oltre alla mancata applicazione del nuovo contratto della sanità pubblica per il personale in servizio.

Aggiungiamo che, a fronte di tali interventi, probabilmente assisteremo a una riduzione del personale a causa dei pensionamenti previsti nei prossimi anni, nel numero di circa 500 unità, che non verranno compensati da nuove assunzioni, a una riduzione della durata media delle degenze e al decremento del numero dei posti letto attualmente utilizzati. Una contrazione dei servizi che il territorio di Foggia e la Puglia intera non possono assolutamente permettersi, e non solo dal punto di vista sanitario. I 2.700 dipendenti della struttura sono giustamente preoccupati per il loro futuro, così come i pazienti che, a tale struttura, fanno riferimento.

La situazione appare particolarmente confusa, anche perché mancherebbe una comunicazione aziendale chiara, in grado di offrire precise indicazioni riguardo all'impatto sulle prestazioni che saranno erogate e sul livello occupazionale delle decisioni della direzione dell'ospedale.

Di queste manovre sarebbe stata informata pure la regione Puglia, che avrebbe già iniziato una serie di interlocuzioni con i vertici della Casa Sollievo, di cui però, ad oggi, disconosciamo esiti e contenuti.

Riteniamo di fondamentale importanza intervenire, per rilanciare ulteriormente l'attività di questa importantissima struttura sanitaria, ribadendo che si tratta di un centro di eccellenza a livello regionale e nazionale, che, peraltro, nell'attirare pazienti da tutta Italia e dall'estero, genera ricchezza per la regione, che non può non tenerne conto nell'erogazione delle risorse verso la struttura.

Pertanto, chiediamo al signor Ministro, per quanto di competenza, quali iniziative intenda assumere, al fine di assicurare il pieno e ottimale funzionamento dell'ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni, data la sua rilevanza nel sistema sanitario locale e nazionale, per garantire ai cittadini pugliesi del Sud e di tutto il Paese, la qualità dei servizi offerti dall'ospedale, nonché, di conseguenza, effetti positivi sull'occupazione e sull'intera economia della provincia di Foggia, del Gargano e dell'intera Puglia.

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato, Wanda Ferro, ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Ringrazio l'onorevole interpellante. In merito alle questioni sollevate dall'interpellanza in esame, relativa alla “grave crisi economico-finanziaria” che sta vivendo la Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza, opera di S. Pio da Pietrelcina, con sede legale in San Giovanni Rotondo, viale Cappuccini, da addebitarsi ad una mancata assegnazione di adeguati finanziamenti da parte della regione Puglia, preme preliminarmente informare gli onorevoli interpellanti che, ai sensi della normativa vigente e del dettato costituzionale sul riparto di competenze tra Stato e Regioni, la tematica esposta rientra nell'alveo delle competenze esclusive della regione Puglia, e non del Dicastero interpellato.

Premesso quanto sopra, di seguito si formulano le valutazioni pervenute dalla regione Puglia. La stessa regione ha comunicato di aver sempre garantito lo stesso livello di finanziamento alla struttura sanitaria privata accreditata, attesa la rilevanza che la stessa riveste per il Servizio sanitario regionale.

La regione ha precisato, inoltre, che il volume delle assegnazioni finanziarie è stato mantenuto, anche quando il livello di produttività è risultato inferiore rispetto al tetto assegnato, nel pieno rispetto della normativa vigente in materia.

Inoltre, la regione precisa che, pur essendo tenuta, sul piano operativo, al rispetto del decreto legislativo n. 95 del 2012 in materia di tetti di spesa, ha sempre dimostrato grande attenzione alle esigenze dell'ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, e non ha modificato nulla rispetto all'entità del finanziamento degli anni precedenti.

A parere della regione, va anche messo in luce che la struttura agisce nella piena autonomia organizzativa e gestionale, attesa la natura di struttura privata accreditata e segnala che negli ultimi 18 anni - come rappresentato dall'amministratore delegato negli incontri intercorsi con stessa - è emerso che la Fondazione ha raggiunto un equilibrio di bilancio solo in quattro occasioni. Quindi, a giudizio della regione, probabilmente, occorre un'analisi approfondita da parte dell'ente circa la corrispondenza tra i requisiti strutturali ed organizzativi, oltre ad una comparazione dei costi standard del personale, rispetto al valore della produzione. In particolare, per l'IRCCS, i costi del personale risultano essere più alti di quelli sostenuti dalle strutture pubbliche, che pur applicano i contratti collettivi nazionali.

Inoltre, per il biennio 2023-2024, sono state stanziate ulteriori risorse economiche per l'abbattimento delle liste di attesa, che non sono da intendersi a fondo perduto, ma corrisposte alla reale produttività della Fondazione, con riferimento ad un panel di prestazioni rispetto alle quali la regione presenta tempi più lunghi nella erogazione.

La regione conclude la sua disamina, precisando che, rispetto alla autonoma decisione assunta dalla struttura di non rinnovare i contratti in scadenza, la stessa regione non può, in alcun modo, interferire sulle scelte aziendali (ente privato), nella piena consapevolezza che il rapporto contrattuale con la regione Puglia negli ultimi anni non è cambiato.

Concludo, rassicurando gli onorevoli interpellanti che, evidenziando nuovamente che la materia di cui trattasi è di stretta competenza della regione Puglia, è ferma intenzione del Ministero seguire e dedicare tutta l'attenzione, nel rispetto dei profili di competenza istituzionale, alle vicende legate alla struttura in esame, attesa la rilevanza che la stessa garantisce in termini di assistenza sanitaria non solo a beneficio del territorio, ma di tutta la regione Puglia.

PRESIDENTE. La deputata Patriarca ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

ANNARITA PATRIARCA (FI-PPE). Ringrazio il Governo per la risposta. Siamo convinti che in questa direzione si potrà seguire - con la dovuta attenzione e cura che il tema merita - l'evoluzione della questione riguardante la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. Analoga attenzione e cura porremo noi nel monitorare i percorsi che si svilupperanno nel prossimo periodo, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, attorno ad elementi che, purtroppo, preoccupano non solo per le indubbie ricadute assistenziali, ma anche, come sottolineato, per quelle occupazionali e di sviluppo del territorio, pronti a prendere tutte le iniziative necessarie e confidando nell'attenzione e nell'attività del Governo.

(Iniziative di competenza volte ad assicurare l'uniforme attuazione dei livelli essenziali di assistenza, anche alla luce di recenti decisioni della Giunta regionale pugliese in merito all'assistenza sociosanitaria a persone non autosufficienti - n. 2-00101)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente De Palma ed altri n. 2-00101 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato De Palma se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

VITO DE PALMA (FI-PPE). Grazie, Presidente. Ringrazio l'onorevole Sottosegretario. La questione di cui ci occupiamo quest'oggi, in questa interpellanza, ha a che fare con le RSA e le RSSA, in altri termini un contesto di assistenza sociosanitaria. Mi preme premettere, rispetto all'interpellanza, che ci troviamo in un contesto di assoluta inefficienza burocratica che, onorevole Sottosegretario, in combinato disposto con pari inefficienza dal punto di vista politico, ha prodotto negli ultimi tempi anche una serie di proteste notevoli, come ha riportato la stampa.

Io ho raccolto soltanto alcuni articoli di stampa degli ultimi giorni: “Associazioni di categoria sul piede di guerra”. “Sit-in di protesta di gestori di RSA e centri diurni”. “A rischio tracollo RSA e centri diurni”. “Si eviti l'inesorabile indebolimento, che pare già tracciato”. “Sull'orlo di una crisi irreversibile”. Questi i titoli dei giornali. La Gazzetta del Mezzogiorno di mercoledì 8 marzo: “RSA e le regole dimenticate: dove finiscono i 265 milioni. Ignorate da 4 anni le disposizioni della regione. Poche verifiche”. “Settore nel caos, emanati dopo la legge regionale del 2017 rischiano di essere lettera morta (…)”, “un nucleo di intoccabili condiziona il settore”. Risponde l'assessore: “Ora semplificata la procedura: chi rispetta i requisiti potrà autocertificarli”. E, ancora: “Nuovi standard inapplicati da una raffica di deroghe: chi è fermo al modello di 15 anni fa potrà continuare ad operare” e “ai 13.000 posti esistenti aggiunti altri 1.000 per arrotondamento”. Addirittura l'ex assessore Lopalco, assessore alla sanità della Puglia, parla e dice testuale, virgolettato, in questo articolo del quotidiano: “Un capolavoro di inefficienza burocratica”.

Quindi, onorevole Sottosegretario, di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di una questione che trova origini, intanto, nella legge regionale n. 53 del 2017, la legge che distingueva le strutture residenziali sociosanitarie non ospedaliere per l'assistenza degli anziani non autosufficienti. Da un lato, vi era la residenza sanitaria assistenziale - cosiddetta RSA -, chiamata ad erogare prestazioni in regime residenziale non ospedaliero a ciclo continuativo, a carattere prevalente, sebbene non esclusivamente sanitario. Nelle RSA erano garantite le prestazioni di medicina generale, quelle specialistiche, quelle farmaceutiche, quelle infermieristiche, quelle di sostegno psicologico agli ospiti e concorso nella verifica dell'attuazione del progetto terapeutico individuale, il trasporto, l'accompagnamento e l'eventuale assistenza per la fruizione di prestazioni sanitarie all'esterno della RSA stessa ed altre prestazioni. I requisiti minimi e quelli ulteriori per l'accreditamento di tali strutture erano disciplinati dagli articoli 3 e 4 del regolamento regionale n. 8 del 2002, poi successivamente trasfusi nel regolamento regionale n. 3 del 2005.

Accanto alla RSA, era prevista la residenza protetta o residenza sanitaria assistita a bassa e media intensità assistenziale, cioè una struttura residenziale a prevalente accoglienza alberghiera, a integrazione sociosanitaria, destinata ad ospitare temporaneamente o permanentemente anziani non autosufficienti, con limitazioni fisiche o psichiche, non in grado di condurre una vita autonoma, ma che non necessitano di prestazioni sanitarie complesse.

Nel regolamento regionale di attuazione della legge regionale n. 19 del 2006, queste residenze erano ulteriormente distinte in RSSA, residenze sociosanitarie per anziani, destinate, quindi, ad erogare prevalentemente servizi socioassistenziali a persone anziane in età superiore ai 64 anni, con gravi deficit psicofisici, nonché a persone affette da demenza senile, che non necessitano di prestazioni sanitarie complesse, ma che richiedono un alto grado di assistenza alla persona con interventi di tipo assistenziale e socioriabilitativo.

Tali strutture erano chiamate ad erogare assistenza tutelare diurna e notturna, attività riabilitative ed educative, prestazioni infermieristiche, prestazioni e servizi alberghieri inclusivi nella somministrazione dei pasti. Le RSSA erano destinate ad erogare prevalentemente servizi socioassistenziali a persone anziane in età superiore ai 64 anni con gravi deficit psicofisici, che non necessitano di prestazioni sanitarie complesse.

Pertanto, le RSA erano soggette alla programmazione sanitaria e, dunque, all'autorizzazione alla realizzazione (quella rilasciata dal comune su verifica di compatibilità regionale) e all'autorizzazione all'esercizio (sono stato sindaco di un comune nella provincia di Taranto, di Ginosa, e spesso abbiamo seguito questo tipo di autorizzazione alla realizzazione) e, quindi, all'accreditamento di tipo regionale, mentre la RSSA erano sottratte dalla programmazione sanitaria e soggette esclusivamente ad autorizzazione al funzionamento e, quindi, non ad accreditamento. Poi vi erano i requisiti organizzativi.

L'intensità e la complessità delle prestazioni sanitarie richieste alle RSA comportavano una maggiore incidenza del personale infermieristico e medico. Nella RSA erano necessari il coordinatore sanitario, che doveva essere un medico specialista, l'assistenza medica specializzata per almeno 4 ore alla settimana, ogni 30 posti letto, un'unità equivalente di infermieri professionali, con copertura delle 24 ore per ogni 30 posti letto, rispetto, invece, alla RSSA, dove vi era la presenza di un coordinatore sanitario, solo preferibilmente medico specialista, nessuna assistenza medica specialistica, con un infermiere per 36 ore settimanali, ogni 15 ospiti, con mera reperibilità notturna. Da questa configurazione emergeva nettamente una più spiccata vocazione sanitaria della RSA rispetto alla RSSA.

A partire dal 2017, con la legge regionale n. 53 del 2017, la regione Puglia ha riformato radicalmente il settore sia sul piano dei titoli necessari per l'esercizio dell'attività sia sul piano della programmazione del livello delle prestazioni. In sostanza, con tale riforma, la regione unificava in un'unica tipologia di struttura non ospedaliera, denominata Residenza sanitaria assistenziale per soggetti non autosufficienti, tutte le strutture residenziali extraospedaliere nelle quali i pazienti fruivano di prestazioni sociosanitarie, assistenziali, socioriabilitative e tutelari. C'è stato anche un ricorso del Governo alla Corte costituzionale, nel passato, contro l'impostazione dei livelli di assistenza. La regione, quindi, modificava la legge regionale e si perveniva a due livelli di assistenza: la cosiddetta RSA estensiva e la cosiddetta RSA di mantenimento.

In sostanza, la cosiddetta RSA estensiva corrisponde alla RSA ex regolamento regionale n. 8 del 2002 e regolamento regionale n. 3 del 2005, mentre la RSA di mantenimento corrisponde alla ex RSSA, tanto che l'articolo 7 della legge regionale n. 53 del 2017, nel demandare ad un regolamento la disciplina di dettaglio, ivi conclusa la determinazione del fabbisogno teorico dei posti letto di RSA estensiva e di mantenimento e dei requisiti strutturali ed organizzativi delle RSA estensive e di mantenimento, stabiliva, fra i criteri di delega, il riconoscimento degli standard strutturali, organizzativi e funzionali, nonché i requisiti di esercizio, le dotazioni organiche necessarie e ogni altra indicazione opportuna al corretto esercizio delle strutture, di cui alla presente legge, e, quindi, alla formazione continua del personale addetto, in coordinamento con la normativa vigente, previsti dalle precedenti normative in materia di RSA e di RSSA, e, quindi, la rispondenza fra gli stessi.

Pertanto, arriviamo al procedimento di conversione delle strutture già in esercizio e contrattualizzate con il servizio sanitario regionale.

Il riordino delle denominazioni, dei setting assistenziali e delle modalità di programmazione e di autorizzazione delle strutture sociosanitarie imponeva anche di convertire le strutture esistenti. Le pre-intese si sono concluse a gennaio 2020, circa un anno dopo l'entrata in vigore del nuovo regolamento. Le strutture hanno presentato istanza di conferma dell'autorizzazione all'esercizio e all'accreditamento entro il 31 gennaio 2020. Quindi, nelle more della celebrazione dei procedimenti di conferma, di autorizzazione e di accreditamento - cosa che, per la verità, è avvenuta solo in rarissime ipotesi -, che sono ancora in corso, nonostante siano decorsi ormai 3 anni dalla presentazione delle istanze, la regione Puglia precisava che, sino al completamento delle procedure di accreditamento, di cui al regolamento regionale 21 febbraio 2019 n. 4, alle RSA e alle RSSA già contrattualizzate, e alle RSA ed RSSA non contrattualizzate continuano ad applicarsi esclusivamente gli standard di personale previsti dai regolamenti n. 3 del 2005 e n. 4 del 2007.

In sostanza, la posizione della regione è chiara: fino a che non vengano autorizzate e accreditate come RSA estensive o di mantenimento, ex legge regionale n. 4 del 2019, le strutture già contrattualizzate continuano ad operare in base al precedente titolo autorizzativo, con i precedenti requisiti e sulla base dei precedenti contratti.

La nostra interpellanza è tesa soprattutto a conoscere la situazione. In questo contesto, al regime tariffario di compartecipazione da parte del Sistema sanitario nazionale sono state assoggettate anche le RSA disciplinate dal regolamento regionale della Puglia n. 3 del 2005, già contrattualizzate con la ASL, che però erogano prestazioni estensive e non di mantenimento. A ciò consegue, per un verso, che le strutture che erogano prestazioni estensive percepiscono una tariffa più bassa rispetto a quella che percepivano in precedenza per i ricoveri successivi al 1° ottobre 2022 e questo è, per certi versi, paradossale. Quindi, abbiamo inteso intraprendere l'iniziativa di una interpellanza al Ministro, per quanto di sua competenza. Sappiamo qual è il contesto: si tratta chiaramente del contesto dei LEA, prescritti, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017, per assicurare uniformità nell'attuazione dei livelli essenziali di assistenza, evitando situazioni di grave disparità di trattamento, che, purtroppo, nell'attualità ci sono, tra le RSA e le RSSA.

Dunque, a parere degli interpellanti, si intende chiedere al signor Ministro un'attenzione su questa questione, soprattutto un'attenzione ai LEA rispetto appunto al DPR del 2017.

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato per l'Interno, Wanda Ferro, ha facoltà di rispondere.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente e onorevoli deputati. In merito alle questioni sollevate nell'interpellanza in esame, preme preliminarmente informare gli onorevoli interpellanti che, ai sensi della normativa vigente e del dettato costituzionale sul riparto di competenze tra Stato e regioni, la tematica esposta - come ovviamente è stato sottolineato da chi mi ha preceduto - rientra nell'alveo delle competenze esclusive della regione Puglia e non del Dicastero interpellato.

Premesso quanto sopra, in merito alla questione sollevata nell'interpellanza in esame, di seguito si formulano le valutazioni pervenute dalla stessa regione Puglia.

La regione ha comunicato di aver riformato l'intero settore dell'assistenza sociosanitaria in favore dei soggetti non autosufficienti, approvando il regolamento regionale n. 4 del 2019, relativo alle RSA non autosufficienti, prevedendo, quali nuovi setting assistenziali presenti all'interno delle RSA, il setting estensivo e di mantenimento, in linea con il dettato dell'articolo 30 del DPCM LEA. Infatti, l'articolo 30 del DPCM LEA prevede che, nell'ambito dell'assistenza residenziale, il Servizio sanitario nazionale garantisca alle persone non autosufficienti, previa valutazione multidimensionale e presa in carico: a) trattamenti estensivi di cure e recupero funzionale a persone non autosufficienti con patologie che, pur non presentando particolari criticità e sintomi complessi, richiedono elevata tutela sanitaria, con continuità assistenziale e presenza infermieristica sulle 24 ore. La durata del trattamento estensivo è, di norma, non superiore ai 60 giorni. I trattamenti estensivi sono a carico del Servizio sanitario nazionale; b) trattamenti di lungoassistenza, recupero e mantenimento funzionale, ivi compresi interventi di sollievo per chi assicura le cure a persone non autosufficienti.

I trattamenti sono costituiti da prestazioni professionali di tipo medico, infermieristico, riabilitativo e di riorientamento in ambiente protesico, a tutelare accertamenti diagnostici, assistenza farmaceutica e fornitura dei preparati per nutrizione artificiale dei dispositivi medici, di cui agli articoli 11 e 17, educazione terapeutica al paziente e al caregiver, con garanzia di continuità assistenziale, e da attività di socializzazione e animazione. I trattamenti di lungoassistenza sono a carico del Servizio sanitario nazionale per una quota pari al 50 per cento della tariffa giornaliera.

La regione ha precisato che, ante riforma del settore per l'assistenza sociosanitaria in favore dei soggetti non autosufficienti, in regione Puglia erano presenti due tipologie di strutture: le RSA, ex regolamento regionale n. 3 del 2005, e le RSSA, ex regolamento regionale n. 4 del 2007, entrambe strutture di lungoassistenza, recupero e mantenimento funzionale, ma con una diversa quota di compartecipazione, conseguente a diversi aspetti organizzativi.

Inoltre, la regione ha osservato che, in relazione all'assegnazione dei nuovi posti letto di estensiva, il citato regolamento ha previsto di assegnare il 50 per cento dei posti di accreditamento alle RSA, ex regolamento regionale n. 3 del 2005, ed il restante 50 per cento dei posti alle RSSA, ex regolamento regionale n. 4 del 2007, prevedendo che la differenza dei posti, rispetto a quelli precedentemente autorizzati, fosse convertita in posti di mantenimento. Pertanto, stante quanto riferito dalla regione Puglia, è erronea l'informazione secondo la quale le RSA esistenti, ex regolamento n. 3 del 2005, fossero di tipo estensivo essendo e trattandosi di strutture di lungoassistenza e mantenimento, come espressamente previsto dal regolamento regionale n. 3 del 2005 e dal presupposto regolamento regionale n. 8 del 2002, a cui si fa espresso rinvio.

Nel rispetto del decreto legislativo n. 502 del 1992, l'avvio dei nuovi setting assistenziali è subordinato al rilascio delle autorizzazioni all'esercizio e agli accreditamenti propedeutici alla sottoscrizione degli accordi contrattuali con le aziende sanitarie locali e l'applicazione dei nuovi regimi tariffari.

Allo stato attuale, le procedure di verifica dei requisiti effettuate da parte del Dipartimento di prevenzione delle ASL, propedeutiche ed obbligatorie per legge ai fini del rilascio dei provvedimenti di autorizzazione e accreditamento, si stanno concludendo.

Laddove queste verifiche siano state effettuate con rilascio di pareri favorevoli dagli organi ispettivi, la regione ha già provveduto a rilasciare il provvedimento di autorizzazione e accreditamento.

Attualmente, le RSA, ex regolamento regionale n. 3 del 2005, presenti sul territorio pugliese sono la maggior parte a titolarità delle aziende sanitarie locali. La regione ha precisato, ulteriormente, che le RSA, ex regolamento regionale n. 3 del 2005, non erogano prestazioni di tipo estensivo, ma di tipo lungoassistenza-mantenimento, tant'è che, da sempre, è prevista una quota di compartecipazione tipica di tale setting assistenziale (70 per cento Servizio sanitario regionale e 30 per cento utente/comune).

Con riguardo all'applicazione delle nuove tariffe e alla disparità di trattamento per le strutture e gli utenti, segnalata dagli onorevoli interpellanti, si evidenzia quanto riferito dalla regione Puglia, unico ente che detiene la competenza sulla materia.

Con decreto della giunta regionale n. 151 del 2020, sono state determinate le nuove tariffe per le RSA non autosufficienti, di cui al regolamento regionale n. 4 del 2019, diversificate per setting assistenziale estensivo e di lungoassistenza.

Con decreto della giunta regionale n. 1293 del 2022, il Governo regionale, dietro espressa richiesta di tutte le strutture sociosanitarie, ha inteso anticipare l'applicazione delle nuove tariffe.

A nessuna struttura sociosanitaria, che confluisce nel nuovo regolamento regionale n. 4 del 2019 è stata applicata la tariffa del setting estensivo, se non a quelle che, contestualmente: in primo luogo, sono assegnatarie di posti letto di estensiva; in secondo luogo, hanno ottenuto il provvedimento di autorizzazione e accreditamento ai sensi della nuova normativa. Il nuovo regime tariffario per il setting di mantenimento non può che trovare applicazione per tutte le strutture sociosanitarie, proprio in ragione di garantire uniformità di trattamento in tutta la regione Puglia.

Per le RSA, ex regolamento regionale n. 3 del 2005, si è previsto che, ferma restando l'applicazione della nuova tariffa di mantenimento, non sono strutture estensive: possono continuare ad applicare ai pazienti già ricoverati la precedente quota di compartecipazione - il 70 per cento e il 30 per cento, anziché 50 per cento e 50 per cento - proprio per evitare che in corso di ricovero si trovassero a dover riconoscere somme aggiuntive alle stesse strutture; ai nuovi ricoveri si applicano le nuove quote di compartecipazione.

A conclusione, si chiarisce che nelle RSA pugliesi da sempre gli assistiti hanno riconosciuta una quota di compartecipazione. Attualmente, fino a che le strutture non ottengono in quota parte l'accreditamento per i posti letto di estensiva, per espressa previsione normativa nazionale e regionale, non possono vedersi riconoscere il relativo regime tariffario proprio in ragione della novità del setting assistenziale. Pertanto, secondo quanto riferito dalla regione Puglia, esclusivamente competente sulla materia, gli assistiti già ricoverati nelle strutture non hanno ricevuto alcun nocumento o alcuna disparità di trattamento.

Svolte le considerazioni di competenza della regione, si rappresenta che il livello tariffario per l'assistenza territoriale è di sola competenza regionale, in quanto non esistono tariffe nazionali e, pertanto, non si ravvisano profili di competenza del Ministero della Salute. Tuttavia, in tale ottica, preme rilevare la fondamentale necessità che il provvedimento regionale sia coerente, per quanto attiene le compartecipazioni, con il DPCM LEA 2017. In tal senso, si comunica che, in relazione alle prospettive di riforma della disciplina in materia di accreditamento istituzionale all'interno dell'ordinamento della regione Puglia, la stessa direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute ha già avuto modo di evidenziare alla regione Puglia l'opportunità di ricondurre il regime regionale di recente introduzione, con particolare riferimento alle previsioni di cui alla legge regionale della Puglia n. 30 del 2022, a una migliore aderenza ai relativi princìpi generali, di cui al titolo II del decreto legislativo n. 502 del 1992.

Nel merito, appare, inoltre, rilevante l'opportunità di dare adeguata considerazione alla recente giurisprudenza costituzionale, di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 72 del 2020, che ha dichiarato non conforme alla Costituzione la previsione di cui all'articolo 1 della legge regionale della Puglia n. 6 del 2019 rispetto al disposto del DPCM 12 gennaio 2017 sui LEA, in relazione alle residenze territoriali per persone non autosufficienti, per illegittima limitazione degli utenti (solo anziani e persone affette da demenza, mentre la norma nazionale non pone limiti di età) e per quote di compartecipazione alla spesa diverse da quelle definite dall'articolo 30 del DPCM del 12 gennaio 2017.

PRESIDENTE. Saluto gli allievi e i docenti dell'Istituto comprensivo Perugia 15, scuola primaria di Piccione, frazione di Perugia, che oggi è in visita alla Camera dei deputati, in una giornata che è dedicata alle interpellanze urgenti (Applausi). Per questo motivo non c'è una grande densità di deputati, solo perché i deputati rivolgono le domande al Governo e, quindi, chi è interessato singolarmente viene in Aula. Benvenuti e buon lavoro, soprattutto!

L'onorevole De Palma ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

VITO DE PALMA (FI-PPE). Grazie, Presidente. Io sono soddisfatto per quanto concerne l'intervento del Governo e del Ministero. In particolar modo, prendo atto anche, nella risposta, dell'ultimo passaggio sulla richiesta alla regione Puglia di una maggiore attenzione.

Non lo sono per quanto riguarda proprio la specificità del riscontro da parte della stessa regione Puglia, che evidenzia, in maniera molto chiara e manifesta, che per centinaia di strutture, per le quali è in corso l'accreditamento, duole rilevare - ma lo dice lo stesso assessore alla salute - che fino a qualche mese fa, ahimè, vi erano soltanto due unità di personale assegnate per la verifica dei requisiti, e ciò dimostra quanta poca attenzione, purtroppo, vi sia rispetto alla questione.

Il paradosso si evidenzia, in tutta la sua natura, quando verifichiamo - e lo dice la stessa regione - che strutture che non dovrebbero avere un'applicazione di tipo estensiva di fatto sono obbligate, di converso rispetto al regolamento regionale precedente, a mantenere gli standard organizzativi. Quindi, il paradosso è che devono mantenere quegli standard organizzativi: sono RSA ma, di fatto, sono RSA di tipo estensivo e vengono retribuite con tariffe per RSA di mantenimento. Se la regione Puglia non completa la fase dell'istruttoria, è chiaro che questa cosa andrà per le lunghe.

Io penso che su tale questione, anche grazie all'intervento del Governo nazionale, probabilmente la stessa regione Puglia accelererà la possibilità di completare l'istruttoria.

(Chiarimenti ed iniziative circa la posizione previdenziale ed economica dei magistrati onorari stabilizzati, anche al fine di pervenire ad una riforma della magistratura onoraria in linea con la normativa nazionale ed europea - n. 2-00097)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Lupi ed altri n. 2-00097 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Bicchielli se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, Presidente. Intendo illustrarla. Signor Vice Ministro, io vorrei fare una premessa, per contestualizzare questa nostra interpellanza. In questa interpellanza ci riferiamo ai magistrati onorari, a quasi 5.000 servitori dello Stato che, con il loro quotidiano lavoro, danno un contributo determinante a tenere in piedi la giustizia nel nostro Paese. Su di loro grava il 50 per cento delle sentenze italiane, il 90 per cento delle udienze penali monocratiche e la quasi totalità delle tutele delle interdizioni e delle inabilitazioni. Sono loro che ci permettono di superare le procedure di infrazione che ci arrivano dall'Europa.

Fatta questa premessa, nello specifico, sapendo quanto questo Esecutivo abbia a cuore la giustizia come servizio ai cittadini, ci siamo rivolti e ci rivolgiamo al Governo, come gruppo Noi Moderati, in ordine alla situazione attuale dei magistrati onorari stabilizzati, secondo le disposizioni dell'articolo 1 della legge n. 234 del 2021, e in ordine alle iniziative che, a fronte della procedura di infrazione giunta alle soglie del parere finale, riguarda il complessivo trattamento di questi circa 4.600 lavoratori, che per noi sono, come detto, servitori dello Stato.

Partendo dal primo punto, si rappresenta che, con il superamento della prova orale per la stabilizzazione nelle funzioni, questi lavoratori sono stati chiamati a una scelta fra esclusività o meno dell'esercizio dell'attività magistratuale, senza conoscere - e ne sono prova i numerosi quesiti provenienti dagli uffici giudiziari - l'applicazione delle complessive condizioni d'impiego, in primis, signor Presidente, gli aspetti previdenziali, tema molto importante per professionisti, per nostri concittadini professionisti, la cui età media è superiore a 50 anni. In parte, costoro si sono cancellati - essendo diventati di fatto lavoratori subordinati - dalla cassa professionale, chiamati a un atto di fede verso un'interpretazione della legge Cartabia che sia secundum legem. Dalla relazione accompagnatoria, infatti, emerge chiaramente, come ha anche affermato il Ministro Nordio, in una risposta a una precedente interrogazione del 27 gennaio di quest'anno, che i magistrati stabilizzati hanno acquisito lo status di lavoratori subordinati.

Questa circostanza implicherebbe le relative tutele, tra cui l'assistenza e la previdenza per tale inquadramento, così come è stato richiesto dall'Unione europea nell'ambito della già citata procedura di infrazione summenzionata, e proprio in ragione della quale sono stati confermati dalla legge del dicembre 2021 sino ai 70 anni di età.

Inoltre, la cancellazione di molti magistrati stabilizzati dagli albi professionali, come è dovuto per coloro che sceglieranno il regime di esclusività, non consentirebbe alcun tipo di inquadramento onde garantire la continuità dei versamenti previdenziali, al netto dell'onerosità di soluzioni che credo - e lo credo fortemente - dovremmo sforzarci di ricondurre allo spirito della norma, attraverso un inquadramento previdenziale che sia idoneo anche a rispondere alla messa in mora pervenuta a carico del nostro Stato.

Quest'interpellanza vuole dunque, signor Presidente, rivolgersi al Ministero e al Ministro - qui abbiamo il Sottosegretario Sisto che conosce bene la materia - con spirito collaborativo e nella consapevolezza di impegni morali assunti nel tempo, soprattutto dalla nostra parte politica, dal centrodestra, verso questi servitori dello Stato, per assicurare l'attuazione di questi princìpi in una fase nella quale essi hanno già subito dei ritardi nella definizione delle pratiche per l'apertura delle partite stipendiali. Ciò considerando che i magistrati già stabilizzati sono 1.600 e che è fondamentale garantire loro tempestivamente il complessivo ristoro, inclusa la maturazione dei relativi diritti ancora sospesi, per le prestazioni senza soluzione di continuità fornite allo Stato anche dopo il decreto ministeriale di conferma.

Poi, c'è il futuro e, guardando al regime futuro, per uscire dall'inflazione andrà posta attenzione ai diversi punti di cui alla messa in mora del 15 luglio del 2022 ereditata dunque da questo Governo nei termini indicati dalla Commissione europea.

Essa specifica che le modalità di applicazione delle norme eurounitarie che disciplinano la tutela dei lavoratori in ogni specifico ambito (perché lo vorrei sempre ricordare: stiamo parlando di lavoratori) spettino all'ordinamento giuridico interno, ma tali modalità non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna, che l'Unione europea ha individuato nel magistrato professionale di tribunale, né rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione europea.

Diritti inviolabili quali ferie, malattia, maternità, trattamento fiscale e previdenziale, secondo l'Unione europea, non possono e non devono subire differenziazioni, men che meno discriminazioni rispetto a soggetti lavorativamente omologhi ab origine ai soggetti a tempo indeterminato. Onde il richiamo della Commissione europea al lavoro a tempo determinato in ordine all'omologo per funzioni è un punto sul quale lo Stato ha posto rimedio con la conferma, sino a 70 anni, e la sanatoria per gli abusi pregressi, ma prefigurando - e sul punto ci permettiamo, signor Presidente di sollecitare una riflessione per il rischio che si permanga in una situazione soggetta a contestazioni - una parametrazione censurata dalla Commissione europea, perché non omogenea e foriera di ulteriori discrepanze.

Se può dirsi, infatti, risarcimento in forma specifica, la normata stabilizzazione potrebbe non valere altrettanto per lo status individuato, soprattutto con riferimento ai compensi e agli annessi diritti lavoristici. Non bisogna, infatti, dimenticare il carico di lavoro ampiamente dimostrato che per qualità e quantità grava sulla categoria oggi alla nostra attenzione e anche le relative osservazioni dell'Unione europea. La figura di riferimento a meri fini retributivi e dalle primarie tutele lavoristiche non abbraccia in alcun modo, nelle nostre intenzioni, nelle intenzioni di chi interpella, il complessivo status e le guarentigie proprie del magistrato professionale, sue prerogative esclusive. Vi sono, però, da considerare, ai fini del riconoscimento del lavoro, prestazioni esclusive anche formalmente e non solo di fatto, come sino ad oggi, in favore dello Stato.

Vorrei ricordare che, nella relazione del 26 gennaio 2023, il primo presidente della Suprema Corte di cassazione, sull'apporto dei magistrati di lungo corso, ha affermato testualmente, cito le parole del presidente: “Dagli uffici si ricava l'importanza del contributo offerto dalla magistratura onoraria nella definizione delle pendenze, in ispecie più risalenti e complesse (…), nonché con la destinazione dei magistrati onorari per sopperire alle stesse vacanze della magistratura ordinaria, talvolta anche per la composizione dei collegi. Emerge, anzi, un quadro complessivo in cui il ruolo della magistratura onoraria ha perso le connotazioni di occasionalità e mera sussidiarietà, ma assume rilievo come ordinaria risorsa di amministrazione della giustizia”.

Signor Presidente, intendiamo dunque porre l'attenzione e offrire piena collaborazione per superare una volta per tutte il pericolo di trattamento difforme sulle tutele lavoristiche previste dalla normativa sovranazionale per i magistrati europei e i lavoratori dell'Unione.

Chiediamo, quindi, con spirito costruttivo, con spirito collaborativo, come si intenda rispondere alle censure rivolte al nostro Paese, anche eventualmente utilizzando vettori normativi di urgenza che si prefigurano a breve. Ciò non solo per evitare un'ennesima stagione di proteste della categoria che, per la sensibilità più volte enunciata, anche in campagna elettorale, da questa maggioranza, ha maturato l'aspettativa di vedere recepite le proprie istanze, ma anche per scongiurare il rischio del trascinarsi della procedura in essere, con potenziali ricadute sulle casse dello Stato, ricadute pesantissime, e per sgomberare il campo da un pendente fattore di contenzioso europeo in vista della prossima tranche di fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro della Giustizia, l'onorevole avvocato Francesco Paolo Sisto, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO PAOLO SISTO, Vice Ministro della Giustizia. Signor Presidente, è questo un tema caro al Ministero e su cui ovviamente vi è una attività, come dirò di qui a poco, finalizzata alla soluzione del problema.

Con l'atto di sindacato ispettivo innanzi indicato, gli interpellanti, dopo avere premesso che la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza 7 aprile 2022 (causa C-236/20), e la Commissione europea, nell'ambito della procedura di infrazione pendente, hanno ribadito che ai magistrati onorari italiani spettano diritti economici commisurati a quelli del lavoratore comparabile, ossia il magistrato professionale di tribunale di pari anzianità; che la Commissione europea ha censurato pesantemente, in ultimo nel mese di luglio 2022, con la lettera di messa in mora complementare, anche gli aggiustamenti apportati alla riforma Orlando nel 2017 con la legge di bilancio n. 234 del 2021, ritenuti ancora non soddisfacenti; che particolare stigma hanno ricevuto il trattamento finale, equiparato a una figura eterogenea ed economicamente inadeguata, e la rinuncia imposta ex lege a un giusto risarcimento per le violazioni pregresse; che già 1.500 magistrati onorari pienamente stabilizzati con le procedure concorsuali in essere sono chiamati a operare in un contesto normativo nebuloso; che i magistrati stabilizzati devono infatti esercitare l'opzione per l'impegno esclusivo o parziale senza avere, allo stato, direttive chiare sui tempi di apertura delle nuove posizioni previdenziali e sugli istituti di raccordo con le pregresse, né sulle modalità di assegnazione degli incarichi giurisdizionali, domandano al Ministero della Giustizia se sia vero che la situazione con riguardo alla posizione previdenziale ed economica dei magistrati onorari stabilizzati presenti i profili di criticità evidenziati e quali iniziative, e con quali tempistiche, intenda adottare per sanare la situazione relativa ai soggetti confermati, in modo da garantire una riforma della magistratura onoraria in servizio in linea con la normativa unionale e nazionale, garantendo certezza e diritti agli interessati.

Al riguardo deve essere immediatamente rilevato che l'atto di sindacato ispettivo verte sulla procedura di stabilizzazione introdotta dalla legge n. 234 del 2021, che ha modificato l'articolo 29 del decreto legislativo n. 116 del 2017. Appare, quindi, necessario soffermarsi sulla ratio della novella legislativa, chiaramente finalizzata a rispondere alle sollecitazioni provenienti dalla Commissione europea con la lettera di messa in mora del 15 luglio 2021.

La Commissione europea aveva affrontato due questioni in merito alla situazione dei magistrati onorari: la tutela di coloro che avevano assunto le funzioni prima del 16 agosto 2017 dal ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato; l'assenza di sanzioni per gli abusi pregressi.

Invero, nella relazione illustrativa alla legge n. 234 del 2021 viene rappresentato che con tali disposizioni si è inteso riconoscere ai magistrati onorari in servizio al momento dell'entrata in vigore della riforma Orlando, di cui al decreto legislativo n. 116 del 2017, tutte le garanzie proprie di un lavoratore subordinato, prevedendo la possibilità di una permanenza in servizio fino al settantesimo anno di età, all'esito del superamento di una procedura di valutazione. L'obiettivo è stato perseguito attraverso una procedura cosiddetta di stabilizzazione, di cui nella relazione illustrativa viene sostenuta la piena legittimità, attraverso il richiamo delle pronunce della Corte costituzionale che hanno riconosciuto la possibilità di ricorrervi anche derogando al principio del concorso pubblico, previsto dall'articolo 97 della Costituzione, quando ciò sia funzionale al buon andamento della pubblica amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarla (sentenze nn. 40 del 2018, 110 del 2017, n. 7 del 2015 e 134 del 2014) e comunque sempre che siano previsti adeguati accorgimenti finalizzati ad assicurare che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell'incarico (sentenza n. 225 del 2010).

In particolare, nella relazione illustrativa, viene richiamato il precedente relativo alla situazione del personale precario della scuola, laddove la Corte costituzionale, rilevato che lo Stato italiano si era reso responsabile della violazione del diritto unionale per la reiterazione dei contratti a termine, ha ritenuto il conseguente illecito eliminato attraverso la previsione di un adeguato ristoro al personale interessato (docente e amministrativo, tecnico e ausiliario - ATA) costituito, per il personale docente, dal piano straordinario di assunzioni cui è stato autorizzato il Ministero dell'Istruzione, che ha attribuito serie e indiscutibili possibilità di immissioni in ruolo in base ai principi enunciati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, per il personale ATA, dall'applicazione della misura ordinaria del risarcimento del danno.

Il legislatore, quindi, nel rispondere alle sollecitazioni della Commissione europea, è partito dal presupposto che il contenzioso relativo alla magistratura onoraria presentasse numerose analogie con le problematiche del personale precario della scuola, in quanto, anche in questa seconda ipotesi, sono intervenute reiterate conferme del rapporto - anche ultraventennali -, con conseguente creazione di aspettative di consolidamento dello stesso.

La lettera di messa in mora della Commissione europea, in primo luogo, aveva sollevato la questione del contrasto con la clausola 5 della direttiva 1999/70/CE del decreto legislativo n. 116 del 2017, nella parte in cui prevedeva, per i magistrati onorari in servizio, alla data del 16 agosto 2017, la possibilità di 3 rinnovi consecutivi del rapporto di lavoro, per un numero di anni complessivo pari a 16. Invero, la clausola 5, punto 1), dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato mira a limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, al fine di evitare proprio la precarizzazione dei lavoratori.

Pertanto, tale clausola impone agli Stati membri l'adozione di almeno 1 delle 3 misure della stessa stabilite - qualora nel diritto interno non siano previste norme similari -, strumentali all'applicazione dell'accordo quadro, ossia: la previsione del rinnovo del contratto solo in caso di ragioni oggettive che lo giustificano; la previsione di una durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi; la previsione di un numero massimo dei rinnovi. Alle autorità nazionali è lasciata, quindi, la competenza in merito all'adozione di misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme unionali.

La lettera di messa in mora della Commissione europea concludeva nel senso che i magistrati onorari, che avevano assunto le funzioni prima del 16 agosto 2017, non avessero un'adeguata tutela in relazione al ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, in quanto “(…) 3 rinnovi, ciascuno dei quali di 4 anni, con conseguente durata totale del rapporto di lavoro con i magistrati onorari di 16 anni consecutivi, rimettono in discussione l'obiettivo e l'effetto utile dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (…)”.

Di contro, non aveva censurato la disciplina prevista per i magistrati onorari immessi nelle funzioni dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 116 del 2017, per i quali l'articolo 18 prevede che “(…) l'incarico di magistrato onorario ha la durata di 4 anni; alla scadenza, l'incarico può essere confermato, a domanda, per un secondo quadriennio; l'incarico di magistrato onorario, comunque, non può essere svolto per più di 8 anni complessivi (…)”.

In altri termini, è stato ritenuto che la reiterazione, per una sola volta, del rapporto di lavoro, per un totale complessivo che non superi gli 8 anni, non costituisca una violazione della normativa unionale, a differenza invece della reiterazione per 16 anni, che, al contrario, veniva ritenuta in contrasto con le finalità della direttiva 1999/70/CE.

Per quanto concerne l'assenza di sanzioni per gli abusi precedenti, la Commissione europea aveva rilevato come la stessa costituisse violazione della clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e aveva chiesto al Governo italiano di chiarire se esistessero misure per risarcimento del danno subito dai magistrati onorari, a cagione della reiterazione abusiva di contratti a tempo determinato per 16 anni, e quale fosse la portata di tali misure.

Su questo punto, nella relazione illustrativa della novella legge n. 234 del 2021, viene chiarito che l'obiettivo della riforma è quello di attribuire ai magistrati onorari, in servizio al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 116 del 2017, tutte le garanzie proprie di un lavoratore subordinato, prevedendo, a tal fine, la possibilità di una permanenza in servizio fino al 70° anno di età, previo superamento di una procedura di valutazione.

Quanto al rimedio adottato per l'adeguamento alle richieste della Commissione europea, la relazione illustrativa richiama i principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale n. 187 del 2016, resa in tema di stabilizzazione dei precari della scuola che, rifacendosi ai principi dettati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, ha ritenuto sufficiente una disciplina che garantisca serie possibilità di stabilizzazione del rapporto di lavoro, sia attraverso meri automatismi (graduatorie), sia per il tramite di selezioni blande (concorsi riservati).

Questa ultima scelta, secondo la Corte costituzionale, “(…) è la più lungimirante rispetto a quella del risarcimento (…)” anche perché “(…) comporta una attuazione invero peculiare di un principio basilare del pubblico impiego, (l'accesso con concorso pubblico), volto a garantire non solo l'imparzialità, ma anche l'efficienza della pubblica amministrazione (articolo 97 della Costituzione) (…)”.

La soluzione adottata nella legge n. 234 del 2021 era proprio in tale seconda direzione, quella cioè di una selezione blanda, ponendosi, quindi, in linea con la giurisprudenza costituzionale. Ne discende che la procedura di valutazione dei magistrati onorari, prevista dal legislatore nella novella, non è affatto paragonabile a quella che caratterizza la selezione dei magistrati ordinari e non presenta i connotati tipici di un concorso, dovendosi, invece, qualificare come mera “(…) procedura selettiva (…)”. Ciò in quanto questa procedura non è preordinata a realizzare una comparazione tra i partecipanti, né a formare una graduatoria, né appare idonea a selezionare la professionalità dei magistrati onorari da confermare a tempo indeterminato, ma ha il solo fine di confermarne genericamente l'idoneità.

A siffatta conclusione, induce il dato della tempistica di soli 30 minuti, prevista dalla norma, e il fatto che la prova del contenuto sia limitata, come previsto dal novellato articolo 21, quarto comma, all'accertamento delle competenze nel solo “(…) settore in cui i candidati hanno esercitato, in via esclusiva o prevalente, le funzioni giurisdizionali onorarie (…)”, e non in tutti i settori nei quali potranno in futuro intervenire.

Orbene, venendo, nello specifico, alla questione della rinuncia alle pretese relative al rapporto di lavoro onorario pregresso, l'articolo 29, comma 5, si inserisce logicamente nella procedura di stabilizzazione, con finalità risarcitoria, ivi prevista, e viene espressamente definita di stabilizzazione, per riparare alla violazione del diritto unionale a cagione della reiterazione dei contratti a termine.

Quindi, se il sistema è disegnato allo scopo di riparare alla abusiva reiterazione dei contratti a termine, è legittimo prevedere, ex lege, l'esclusione di altri rimedi risarcitori, introducendosi, altrimenti, una illegittima duplicazione del risarcimento. La procedura introdotta dalla legge n. 234 del 2021, pertanto, si appalesa quale adeguata risposta alle richieste provenienti dalla Commissione europea, così come formulate nella lettera di messa in mora del 15 luglio 2021, che ha affermato la piena legittimità della procedura di stabilizzazione, chiedendo al Governo italiano di chiarire “se esistano misure per il risarcimento del danno subito dai magistrati onorari per la reiterazione abusiva dei contratti a tempo determinato per 16 anni e quale sia la portata di tali misure (…)”.

La disciplina introdotta dall'articolo 29 è, in tal senso, pienamente conforme al diritto unionale, posto che la Commissione europea, con la lettera di messa in mora del 15 luglio 2021, ha riconosciuto alle Autorità nazionali la competenza in merito all'adozione di misure, purché aventi un carattere proporzionato, energico e dissuasivo, rispetto all'abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato, lasciando, altresì, alle stesse di individuare, in piena autonomia, le misure per il risarcimento del danno subito dai magistrati onorari per gli abusivi pregressi rinnovi.

Come ricordato nell'atto di sindacato ispettivo, di recente, la Commissione europea, in una lettera 15 luglio 2022, di integrazione di quella di messa in mora già menzionata, si è pronunciata sull'impianto normativo della legge n. 234 del 2021, di modifica dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 116 del 2017. In particolare, la Commissione europea ha ribadito che la normativa nazionale non sembra prevedere sanzioni per gli abusi pregressi subiti dai magistrati onorari che superano la procedura di stabilizzazione, ritenendo così la soluzione adottata non conforme alla clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

Con riferimento, invece, ai magistrati onorari assunti prima del 15 agosto 2017, che non superano la procedura di stabilizzazione o che non vi partecipano, la Commissione europea si limita ad affermare il loro diritto a un'indennità, salvo poi specificare che l'indennità forfettaria prevista dal sistema nazionale non è conforme alla giurisprudenza costante della Corte di Giustizia dell'Unione europea, secondo la quale il danno subito per la violazione di una disposizione del diritto unionale deve essere risarcito integralmente.

La posizione assunta dalla Commissione europea nella lettera di integrazione del 15 luglio 2022 fa sorgere molti spunti di riflessione.

Innanzitutto, non appare adeguatamente apprezzata la ratio sottesa alla procedura di stabilizzazione disciplinata dal nuovo articolo 29. Tramite questa procedura il magistrato onorario - in deroga alle disposizioni dell'articolo 97 e in conformità alla giurisprudenza costituzionale elaborata in tema di personale precario della scuola - acquisisce uno status corrispondente a quello di un funzionario pubblico fino al pensionamento, atteggiandosi la stabilizzazione quale rimedio onnicomprensivo, tanto per la reiterazione degli incarichi onorari, quanto per il pregresso rapporto onorario. Inoltre, non risulta considerato il fatto che, in assenza della previsione della procedura di stabilizzazione, disciplinata dal nuovo articolo 29, i magistrati onorari avrebbero potuto agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno, asseritamente conseguente alla reiterazione degli incarichi onorari, ma avrebbero dovuto fornire specifica e puntuale prova dello stesso, affrontando l'alea immanente a qualsiasi contenzioso. Peraltro, nel determinare quanto spettante ai magistrati onorari a titolo risarcitorio per l'abusiva reiterazione degli incarichi, il giudice avrebbe dovuto comunque tenere conto del fatto che gli stessi hanno ricevuto l'indennità previste dalla legge e, a differenza dei magistrati ordinari, hanno potuto continuare a svolgere, in costanza di esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie, la professione forense. Aspetto, questo, che potrebbe essere ulteriormente valorizzato in sede europea, in quanto dirimente, al fine di inquadrare completamente lo status di magistrato onorario, cui è consentito svolgere la libera professione, e la sua sostanziale differenza con quello di magistrato togato.

Ed invero, mentre al magistrato togato è vietato svolgere qualunque attività professionale ulteriore e, più genericamente, al dipendente pubblico non è permesso esercitare attività di carattere commerciale o industriale o professionale, né assumere impieghi presso datori di lavoro privati o cariche in società aventi scopo di lucro, al magistrato onorario l'unico limite posto è quello della sede del tribunale dove opera, per ovvie ragioni di opportunità.

Non si appalesa, pertanto, alcuna violazione del diritto unionale prodotta dalla normativa nazionale, con riferimento alla condizione di magistrati onorari, e, anzi, la procedura di stabilizzazione individuata dal nuovo articolo 29 rappresenta, per i magistrati onorari che abbiano subito la reiterazione degli incarichi, una soluzione di gran lunga più vantaggiosa della mera indennità, cui fa riferimento la lettera di integrazione del 15 luglio 2022. La rinuncia alle pregresse pretese, collegata all'intervenuta stabilizzazione, è una conseguenza prevista ex lege da considerarsi inevitabile, per evitare duplicazioni risarcitorie.

In ragione dei precedenti della Corte di Giustizia dell'Unione europea (sentenza 8 maggio 2019 nella causa C 494/17 - Rossato) e della giurisprudenza di legittimità, può affermarsi che la procedura di stabilizzazione costituisca misura idonea a sanzionare l'abusiva reiterazione dei contratti a termine e a precludere il ricorso ad altri rimedi risarcitori, quando la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato sia certa. Solo in questo caso essa è compatibile con il diritto unionale e, in particolare, con l'articolo 5, già citato, della clausola d'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

Per altro verso, non può fondatamente affermarsi che la Commissione europea e la Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenze del 16 luglio 2020 e del 7 aprile 2022) avrebbero equiparato sotto il profilo economico i magistrati onorari a quelli togati di uguale anzianità. L'asserita disparità di trattamento retributivo rispetto ai magistrati togati, infatti, non appare contrastante con i principi del diritto nazionale in quanto non è possibile affermare l'assimilabilità della posizione dei magistrati onorari a quella dei magistrati professionali.

Sul punto preme specificare che i principali elementi che consentono la diversità di trattamento economico vanno individuati nella differente modalità di accesso alle funzioni giurisdizionali, nonché nella diversa natura della prestazione erogata. La tesi opposta, infatti, dimentica del tutto che la regola, sempre di rango costituzionale, secondo cui l'ingresso stabile nella magistratura professionale presuppone il superamento del concorso per esami e titoli (articolo 106 della Costituzione) costituirebbe un controlimite rispetto a un asserito obbligo comunitario che imponesse, sul piano interno, l'assimilazione ai magistrati togati di quelli onorari.

Peraltro, la temporaneità dell'incarico, l'esercizio non esclusivo delle funzioni giurisdizionali, la diversa natura e il minor grado di complessità delle attività svolte dai magistrati onorari integrano un connotato di diversità tra le due funzioni così pregnante da risultare ostativo a una loro parificazione, non solo sul piano ordinamentale ma anche limitatamente alle condizioni di lavoro.

Questa impostazione trova pieno conforto nell'ambito dell'elaborazione giurisprudenziale interna, in cui si registra un'unanimità di vedute in ordine al fatto che i magistrati onorari non possono essere equiparati a quelli professionali e che gli elementi di diversità fra le due figure rendono ragionevole il diverso regime cui essi sono soggetti (Consiglio di Stato n. 1062 del 2021, ordinanze della Cassazione, sezione lavoro, n. 10774 del 2020 e n. 13973 del 2022, sentenze della Corte costituzionale n. 267 del 2020 e n. 41 del 2021).

In particolare, il Consiglio di Stato, nella sentenza sopra richiamata, prende atto del recente arresto della Corte di giustizia dell'Unione europea che, nella sentenza del 16 luglio 2020, nella causa C-658/18, ha ritenuto che, per il diritto unionale, unica è la nozione di lavoratore, a prescindere dalla modalità di costituzione del rapporto con la PA e senza distinzioni dovute al tempo, determinato o indeterminato, di svolgimento; inoltre, che non è consentito un differente trattamento con altro pubblico dipendente a parità di funzioni, salvo differenziazioni derivanti da ragioni oggettive attinenti all'impiego che deve essere ricoperto. Tuttavia, ha osservato che siffatte disparità sono state comunque superate dagli articoli 24, 25 e 26 del decreto legislativo n. 116 del 2017, i quali, rispettivamente, in materia di ferie, di gravidanza, malattia e infortunio e di trattamento previdenziale configurano analoghi istituti per i magistrati onorari, seppur con le dovute specificazioni.

In definitiva, per il Consiglio di Stato, a differenza del magistrato professionale, il magistrato onorario è tale solo in quanto e nei termini in cui viene chiamato a svolgere funzioni giurisdizionali, il che avviene, comunque, per una durata limitata e in maniera non esclusiva ma compatibile con altre attività lavorative e professionali. Tali caratteristiche, osserva il Consiglio di Stato, qualificano in maniera distinta lo status del magistrato onorario rispetto a quello del magistrato professionale. La posizione della giurisprudenza amministrativa trova conferma in quella assunta dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 479 dell'8 novembre 2000, ha stabilito: “(…) la posizione dei magistrati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giurisdizionali e quella dei magistrati onorari non sono fra loro raffrontabili ai fini della valutazione della lesione del principio di eguaglianza, in quanto per i secondi il compenso è previsto per un'attività che essi (come riconosce lo stesso tribunale rimettente) non esercitano professionalmente ma, di regola, in aggiunta ad altre attività, per cui non deve agli stessi essere riconosciuto il medesimo trattamento economico, sia pure per la sola indennità giudiziaria, di cui beneficiano i primi; che ugualmente nessun raffronto, ai fini del prospettato giudizio di eguaglianza, può essere fatto tra le posizioni delle varie categorie di magistrati onorari che svolgono a diverso titolo e in diversi uffici funzioni giurisdizionali, trattandosi di una pluralità di situazioni, differenti tra loro, per le quali il legislatore nella sua discrezionalità ben può stabilire trattamenti economici differenziati (…)”.

Ancora più di recente, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 41 del 2021, ha rimarcato la netta differenza che sussiste tra la magistratura professionale e quella onoraria, indicando, quali elementi distintivi di quest'ultima, la precarietà e l'occasionalità dell'assegnazione alle funzioni giurisdizionali e, quali tratti caratterizzanti la prima, la stabilità dell'incarico. Ad analoghe conclusioni è giunta anche la Suprema Corte di cassazione, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme che disciplinano la posizione del giudice di pace, in relazione agli articoli 3, 36 e 97 della Costituzione. La Corte di cassazione ha, inoltre, affermato che il giudice di pace non è equiparabile a un pubblico dipendente, né a un lavoratore parasubordinato, in quanto la categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte, presuppone un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi caratterizzanti l'impiego pubblico, come l'accesso alla carica mediante concorso, l'inserimento nell'apparato della PA, lo svolgimento del rapporto secondo lo statuto apposito per tale impiego, il carattere retributivo del compenso e la durata potenzialmente indeterminata del rapporto (Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 10774 del 5 giugno 2020).

In relazione al profilo retributivo, in detta pronuncia è stato poi rimarcato che “(…) la specialità del trattamento economico previsto per i giudici di pace, la sua cumulabilità con i trattamenti pensionistici nonché la possibilità garantita ai giudici di pace di esercitare la professione forense inducono a ritenere che non siano estensibili ai suddetti giudici indennità previste per i giudici togati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giurisdizionali e il cui trattamento economico è articolato su parametri completamente diversi, sicché non possono portare a una diversa conclusione l'appartenenza dei giudici di pace all'ordine giudiziario e l'attribuzione alle relative funzioni, sotto altri profili anche di rilevanza costituzionale, di tutela e dignità pari alle funzioni dei giudici di carriera, né, tra funzioni e compenso, può predicarsi un reale nesso sinallagmatico (…)”.

Nello stesso senso, di recente, si è nuovamente pronunciata la sezione lavoro della Cassazione, con ordinanza n. 13973 del 2022, la quale ha ribadito che le figure “(…) del giudice togato e del giudice onorario sono ontologicamente e funzionalmente molto diverse; ciascuna riveste uno specifico ruolo e una determinata funzione per l'ordinamento giudiziario (che devono ritenersi distinti) e, di conseguenza, il trattamento retributivo non può definirsi né analogo né comparabile; tali differenze rendono del tutto legittimo il differente trattamento economico previsto dal legislatore nazionale (…)”.

Anche in sede comunitaria, sia la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 16 luglio 2020 sia quella più recente del 7 aprile 2022 costituiscono una chiara smentita alla ritenuta equiparazione dei magistrati onorari a quelli ordinari. I principi affermati dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea nella sentenza del 16 luglio 2020, resa nella causa C-658/18, confermano la praticabilità di una differente disciplina dello status di magistrato onorario rispetto a quello del magistrato ordinario. La Corte di giustizia dell'Unione europea si è soffermata su tre aspetti: la riconducibilità del giudice di pace alla nozione di lavoratore subordinato sul piano amministrativo, ai sensi della direttiva 2003/88, ai fini del godimento delle ferie retribuite; la nozione di lavoratore a tempo determinato, ai sensi dell'accordo quadro; l'equiparazione, ai fini dell'applicazione del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell'accordo quadro, del giudice di pace al magistrato ordinario, il quale beneficia di ferie annuali retribuite per un totale di 30 giorni.

In ordine a dette questioni, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito che il giudice di pace italiano rientra nella nozione di “(…) giurisdizione di uno degli Stati membri (…)”, in quanto organismo di origine legale, a carattere permanente, deputato all'applicazione di norme giuridiche in condizioni di indipendenza.

Considerate le modalità di organizzazione del lavoro dei giudici di pace, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha poi affermato che essi “(…) svolgono le loro funzioni nell'ambito di un rapporto giuridico di subordinazione sul piano amministrativo, che non incide però sulla loro indipendenza nella funzione giudicante (…)”. Quindi, interpretando gli articoli 1, paragrafo 3, e 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, nonché le clausole 2 e 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato legato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, la Corte di giustizia dell'Unione europea, riportata la figura del giudice di pace alla nozione di “(…) lavoratore a tempo determinato (…)”, ha stabilito, con riferimento al tema specifico delle ferie annuali retribuite, che differenze di trattamento rispetto al magistrato professionale non possono essere giustificate dalla sola temporaneità dell'incarico ma unicamente “(…) dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità (…)”.

Più specificamente, con riferimento al principio di non discriminazione di cui all'accordo quadro, la Corte di giustizia dell'Unione europea, in risposta al quesito del giudice del rinvio, il quale chiedeva se la clausola 4, punto 1, dovesse essere interpretata in senso ostativo a una normativa nazionale non prevedente il diritto per un giudice di pace di beneficiare, come i magistrati professionali, di ferie annuali retribuite di 30 giorni, nell'ipotesi in cui tale giudice di pace rientrasse nella nozione di lavoratore a tempo determinato, ai sensi della clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro, ha innanzitutto premesso che tale disposizione mira a dare applicazione al principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di lavoro di questa natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare i lavoratori di diritti che sono riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato … Grazie, ci voleva.

PRESIDENTE. Anche un po' di ossigeno fra un po' le facciamo avere, Vice Ministro.

FRANCESCO PAOLO SISTO, Vice Ministro della Giustizia. Grazie, Presidente. La pausa è stata opportuna.

PRESIDENTE. Anche tecnica fra un po', prego.

FRANCESCO PAOLO SISTO, Vice Ministro della Giustizia. Quindi, ha precisato: che alla “(…) luce degli obiettivi perseguiti dall'accordo quadro, la clausola 4 di quest'ultimo deve essere intesa nel senso che esprime un principio di diritto sociale dell'Unione che non può essere interpretato in modo restrittivo (…)”; che secondo una giurisprudenza costante il principio di non discriminazione, di cui alla clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro, richiede che situazioni comparabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato; ha precisato che, pertanto, “(…) il principio di non discriminazione è stato attuato e concretizzato dall'accordo quadro soltanto per quanto attiene alle differenze di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile (…)”; che “(…) secondo una giurisprudenza costante, al fine di valutare se le persone interessate esercitino un lavoro identico o simile nel senso dell'accordo quadro, occorre stabilire, in conformità alle clausole 3, punto 2, e 4, punto 1, di quest'ultimo, se, tenuto conto di un insieme di fattori, come la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, si possa ritenere che tali persone si trovino in una situazione comparabile (…)”.

Per ciò che concerne il giudice di pace, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha, inoltre, posto in evidenza che “(…) dal fascicolo risulta che, al pari di un magistrato ordinario, il giudice di pace è, in primo luogo, un giudice che appartiene all'ordine giudiziario italiano e che esercita la giurisdizione in materia civile e penale, nonché una funzione conciliativa in materia civile. In secondo luogo, ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1, della legge n. 374 del 1991, il giudice di pace è tenuto all'osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari. In terzo luogo, il giudice di pace, al pari di un magistrato ordinario, è tenuto a rispettare tabelle indicanti la composizione dell'ufficio di appartenenza, le quali disciplinano dettagliatamente e in modo vincolante l'organizzazione del suo lavoro, compresi l'assegnazione dei fascicoli, le date e gli orari di udienza. In quarto luogo, sia il magistrato ordinario che il giudice di pace sono tenuti ad osservare gli ordini di servizio del capo dell'ufficio, nonché i provvedimenti organizzativi speciali e generali del Consiglio superiore della magistratura. In quinto luogo, il giudice di pace è tenuto, al pari di un magistrato ordinario, a essere costantemente reperibile. In sesto luogo, in caso di inosservanza dei suoi doveri deontologici e di ufficio, il giudice di pace è sottoposto, al pari di un magistrato ordinario, al potere disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. In settimo luogo, il giudice di pace è sottoposto agli stessi rigorosi criteri applicabili per le valutazioni di professionalità del magistrato ordinario. In ottavo luogo, al giudice di pace vengono applicate le stesse norme in materia di responsabilità civile ed erariale previste dalla legge per il magistrato ordinario (…)”.

Nondimeno, la stessa fonte ha rimarcato che: “(…), dagli elementi del fascicolo, risulta che le controversie riservate alla magistratura onoraria, e in particolare ai giudici di pace, non hanno gli aspetti di complessità che caratterizzano le controversie devolute ai magistrati ordinari. I giudici di pace tratterebbero principalmente cause di minore importanza, mentre i magistrati ordinari, che svolgono la loro attività in organi giurisdizionali di grado superiore, tratterebbero cause di maggiore importanza e complessità. Inoltre, ai sensi dell'articolo 106, secondo comma, della Costituzione italiana, i giudici di pace possono svolgere soltanto le funzioni attribuite a giudici singoli e non possono quindi fare parte di organi collegiali (…)”.

La Corte di giustizia dell'Unione europea, indicando poi al giudice del rinvio l'iter logico da seguire per verificare se la ricorrente in quel giudizio avesse una posizione parificabile al giudice ordinario, ha affermato: “(…) ove sia accertato che un giudice di pace, come la ricorrente nel procedimento principale, e i magistrati ordinari sono comparabili, si deve poi ancora verificare se esista una ragione oggettiva che giustifichi una differenza di trattamento come quella di cui trattasi nel procedimento principale (…) La disparità di trattamento constatata (…)” è “(…) giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui si inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (…)”.

Per contro, “(…) il richiamo alla mera natura temporanea dell'impiego non è conforme a tali requisiti e non può, dunque, configurare una ragione oggettiva ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell'accordo quadro (…)”.

La Corte di giustizia dell'Unione europea ha poi dato atto che: “(…) per giustificare la differenza di trattamento dedotta nel procedimento penale, il Governo italiano sostiene che costituisca una ragione oggettiva l'esistenza di un concorso iniziale, specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell'accesso alla magistratura, che invece non vale per la nomina dei giudici di pace. Tale Governo ritiene, infatti, che la competenza dei giudici di pace sia diversa da quella dei magistrati ordinari assunti mediante concorso. Contrariamente a questi ultimi, per quanto riguarda la particolare natura delle mansioni e le caratteristiche ad esse inerenti, ai giudici di pace verrebbero affidate controversie il cui livello di complessità e il cui volume non corrispondono a quelli delle cause dei magistrati ordinari (…)”.

A quest'ultimo proposito, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha osservato che: “(…) tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri per quanto riguarda l'organizzazione delle loro amministrazioni pubbliche, essi possono, in linea di principio, senza violare la direttiva 1999/70 o l'accordo quadro, stabilire le condizioni di accesso alla magistratura, nonché condizioni di impiego applicabili sia ai magistrati ordinari che ai giudici di pace (…). Tuttavia, nonostante tale margine di discrezionalità, l'applicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve potere essere controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento sfavorevole dei lavoratori a tempo determinato sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale (…)”. Più nello specifico, “(…) talune disparità di trattamento tra lavoratori a tempo indeterminato assunti al termine di un concorso e lavoratori a tempo determinato assunti all'esito di una procedura diversa da quella prevista per i lavoratori a tempo indeterminato possono, in linea di principio, essere giustificate dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui devono assumere la responsabilità (…)”.

La Corte di giustizia dell'Unione europea, pertanto, ha considerato che “(…) gli obiettivi invocati dal Governo italiano, consistenti nel mettere in luce le differenze nell'attività lavorativa tra un giudice di pace e un magistrato ordinario possono essere considerati come configuranti una ragione oggettiva, ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell'accordo quadro, nei limiti in cui essi rispondano a una reale necessità, siano idonei a conseguire l'obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine (…)”.

Tuttavia, “(…) in tali circostanze” - prosegue la Corte - “sebbene le differenze tra le procedure di assunzione dei giudici di pace e dei magistrati ordinari non impongano necessariamente di privare i giudici di pace di ferie annuali retribuite, corrispondenti a quelle previste per i magistrati ordinari, resta comunque il fatto che tali differenze e, segnatamente, la particolare importanza attribuita dall'ordinamento giuridico nazionale e, più specificamente, dall'articolo 106, paragrafo 1, della Costituzione italiana, ai concorsi appositamente concepiti per l'assunzione dei magistrati ordinari, sembrano indicare una particolare natura delle mansioni di cui questi ultimi devono assumere la responsabilità e un diverso livello delle qualifiche richieste ai fini dell'assolvimento di tali mansioni (…)”.

La Corte di giustizia dell'Unione europea, quindi, ha concluso affermando che: “(…) alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza parte della seconda questione, dichiarando che la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di lavoratore a tempo determinato, ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità (…)”.

Siffatta impostazione è stata di recente confermata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza del 7 aprile 2022. La sentenza, infatti, parte proprio dalla constatazione che “(…) il rapporto di lavoro dei giudici di pace si distingue da quello dei magistrati ordinari sotto diversi profili essenziali, vale a dire l'assunzione, la posizione nel sistema organizzativo della pubblica amministrazione, il regime delle incompatibilità e di esclusività della prestazione, la retribuzione, la durata del rapporto, nonché il carattere pieno ed esclusivo delle funzioni (…)”.

Afferma, poi, che “(…) spetta al giudice del rinvio accertare se, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, l'attività giurisdizionale, nell'esercizio delle funzioni di giudice di pace (…)” sia “(…) comparabile a quella di un magistrato ordinario (…)”.

La sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea chiarisce, infine, che “(…) tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (…)”, come già affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la nota pronuncia del 16 luglio 2020.

La Corte di giustizia dell'Unione europea, poi, fornisce una importante indicazione sulla possibilità che le diverse modalità di assunzione previste per i magistrati onorari - mediante una selezione per titoli - rispetto a quelle previste per i magistrati professionali - mediante una procedura concorsuale, ai sensi dell'articolo 106 della Costituzione - possano integrare quelle ragioni oggettive che legittimano un trattamento differenziato. In particolare, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha affermato che “(…) qualora un simile trattamento differenziato derivi dalla necessità di tenere conto di esigenze oggettive attinenti all'impiego che deve essere ricoperto mediante la procedura di assunzione e che sono estranee alla durata determinata del rapporto di lavoro che intercorre tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, detto trattamento può essere giustificato, ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. A tale riguardo, occorre considerare che talune differenze di trattamento tra lavoratori a tempo indeterminato assunti al termine di un concorso e lavoratori a tempo determinato assunti all'esito di una procedura diversa da quella prevista per i lavoratori a tempo indeterminato possono, in linea di principio, essere giustificate dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui devono assumere la responsabilità (…). Gli obiettivi invocati dal Governo italiano, consistenti nel mettere in luce le differenze nell'attività lavorativa tra un giudice di pace e un magistrato ordinario, possono essere considerati come configuranti una ragione oggettiva, ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, nei limiti in cui essi rispondano a una reale necessità, siano idonei a conseguire l'obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine (…)”.

Le differenze tra le procedure di assunzione dei giudici di pace e dei magistrati ordinari -continua sempre la Corte di giustizia dell'Unione europea, e, segnatamente, “(…) la particolare importanza attribuita dall'ordinamento giuridico nazionale, e più specificamente dall'articolo 106, paragrafo 1, della Costituzione italiana, ai concorsi appositamente concepiti per l'assunzione dei magistrati ordinari, sembrano indicare una particolare natura delle mansioni di cui questi ultimi devono assumere la responsabilità e un diverso livello delle qualifiche richieste ai fini dell'assolvimento di tali mansioni (…)”.

Discende, quindi, dalla costante giurisprudenza eurounitaria l'affermazione “(…) che l'esistenza di un concorso iniziale, specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell'accesso alla magistratura, che invece non vale per la nomina dei giudici di pace, consente di escludere che questi ultimi beneficino integralmente dei diritti dei magistrati ordinari (…)”.

La sentenza, solo sulla specifica questione della spettanza ai magistrati onorari del diritto alle ferie e alla tutela assistenziale e previdenziale, senza alcuna generale equiparazione dei magistrati onorari a quelli togati, rinvia all'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, in base al quale “(…) gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane (…)”.

Dal tenore della normativa unionale deriva che la mera qualificazione dei magistrati onorari come lavoratori (peraltro incontestabile anche nella prospettiva interna) comporta che il diritto alle ferie e alla tutela assistenziale e previdenziale non possa essere condizionato dalla normativa nazionale.

Dalla illustrazione sopra svolta emerge come sia la giurisprudenza interna sia quella sovranazionale, ben lungi dall'avere equiparato lo stato giuridico del magistrato professionale a quello del magistrato onorario, hanno sostenuto la possibilità di valorizzare, ai fini di una giustificata diversa disciplina, l'eterogeneità delle due figure, in ragione delle differenti modalità di nomina, radicate nella previsione dell'articolo 106, secondo comma, della Costituzione, del carattere non esclusivo dell'attività giurisdizionale svolta dal giudice onorario e del diverso livello di complessità degli affari; tali elementi, quindi, possono essere ritenuti idonei a giustificare la qualifica onoraria del rapporto di servizio, affermata dal legislatore fin dall'istituzione della figura e ribadita in occasione della riforma di cui al decreto legislativo n. 116 del 2017.

Quanto allo specifico regime dei compensi dovuti ai magistrati onorari stabilizzati, a seconda dell'opzione per l'esclusività (o meno) delle funzioni, può osservarsi quanto segue: in ogni caso (a prescindere dall'esercizio dell'opzione di cui all'articolo 29, comma 6), il compenso è parametrato ex lege allo stipendio e alla tredicesima mensilità spettanti, alla data del 31 dicembre 2021, al personale amministrativo giudiziario di area III, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto funzioni centrali, con esclusione degli incrementi previsti, per tali voci, dai contratti collettivi nazionali di lavoro successivi al triennio 2019-2021; spetta, inoltre, agli esclusivisti, un'indennità giudiziaria in misura pari al doppio dell'indennità di amministrazione dovuta al personale amministrativo giudiziario di cui sopra e, ai non esclusivisti, un'indennità giudiziaria in misura eguale alla indennità di amministrazione del personale amministrativo giudiziario, ferma la non debenza, in entrambi i casi, delle voci retributive accessorie connesse al lavoro straordinario e quelle alimentate dalle risorse che confluiscono nel fondo risorse decentrate; ai fini del quantum retributivo può considerarsi lo stipendio tabellare del personale in area III-F3 (inclusa la tredicesima mensilità) con la sola differenziazione - in ragione dell'opzione o meno per l'esclusività delle funzioni -della misura dell'indennità di amministrazione, spettante in misura doppia per i confermati cosiddetti esclusivisti e in misura semplice per i cosiddetti non esclusivisti.

Del tutto evidente, alla luce dell'inequivoco tenore della norma, è il congelamento delle suddette voci alla data del 31 dicembre 2021, essendo espressamente esclusi dall'articolo 29 (nei commi sia 6 che 7) gli incrementi economici eventualmente riconosciuti al personale amministrativo giudiziario successivamente al triennio 2019-2021.

Le articolazioni ministeriali interessate sono al lavoro al fine di inquadrare le complesse questioni di natura fiscale, contributiva e previdenziale che riguardano i magistrati onorari confermati, in modo da assicurare con celerità la corresponsione di quanto dovuto.

In via conclusiva, va sottolineato che questo Dicastero, valutato il fondamentale contributo quotidianamente fornito dalla magistratura onoraria al funzionamento del servizio giustizia, ha aperto un tavolo di confronto con le rappresentanze della magistratura onoraria volto ad affrontare e risolvere tutte le residue tematiche concernenti lo stato giuridico ed economico di tale magistratura.

PRESIDENTE. Grazie, Vice Ministro Sisto. La sua risposta è di 35 minuti. Lo dico soltanto perché il tema sarà stato molto complesso - anzi, lo è certamente – ma, anche per l'organizzazione dei lavori, se per ogni interpellanza avessimo dovuto avere un tempo del genere, avremmo dovuto programmare diversamente i lavori. Quindi, lo dico soltanto per praticità. Adesso sentiremo se il deputato Bicchielli è soddisfatto o no, a monosillabi, immagino. Ovviamente si scherza.

Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto comprensivo di Castelnuovo di Garfagnana, in provincia di Lucca, che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). L'Aula non è particolarmente affollata perché oggi è una seduta dedicata alle interpellanze, in cui i singoli deputati si rivolgono al Governo, che dà le risposte su un singolo fatto. Per questo, oggi, l'Aula non è ad alta densità di deputati.

Il deputato Bicchielli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza. È soddisfatto per la non so se esauriente ed esaustiva, ma certamente approfondita, risposta del Vice Ministro?

PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Presidente, a monosillabi, perché chiaramente…

PRESIDENTE. Si scherza ogni tanto…

PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Si scherza, però il tema è molto serio. Onestamente, l'interpellanza chiedeva altro. Noi non parliamo dello status dei magistrati onorari, riteniamo che le funzioni siano funzioni, i magistrati professionisti fanno un concorso, vengono selezionati in una modalità diversa. Qui stiamo parlando di trattamento economico, di trattamento previdenziale, quello che, praticamente, la Commissione europea ha chiesto al Governo italiano.

Mi dispiace anche aver sentito che il magistrato stabilizzato, a differenza degli altri dipendenti pubblici, può fare altre attività. Lo dice la legge Cartabia, lo sappiamo tutti: un magistrato stabilizzato diventa un dipendente pubblico e, come tutti i dipendenti pubblici, soggiace a quell'ordinamento.

Una cosa, forse, mi è sfuggita nella lunga ed articolata risposta del Vice Ministro Sisto, che ringrazio, ovviamente, per l'attenzione a questo tema. Io ancora non ho capito, alla fine, a quale gestione previdenziale vengono iscritti i magistrati che sono stati stabilizzati. Noi riteniamo che debbano essere iscritti a quella dei dipendenti pubblici, dell'INPS, come tutti i dipendenti pubblici, e non alla gestione separata dove vanno i lavoratori autonomi.

Lo spirito che ci ha spinto a presentare questa interpellanza è di dare una risposta a una componente imprescindibile del nostro sistema Paese, quella della giustizia, soprattutto per fare luce sulle istanze di questi lavoratori.

Noi siamo convinti, però - e lo voglio dire con termini propositivi - che il Governo lavorerà, perché non può essere diversamente, per quello che abbiamo detto negli anni passati e per cui ci saranno i nostri impegni. Non possiamo non lavorare per portare a termine e giungere a una soluzione per la situazione di queste donne e di questi uomini che hanno servito lo Stato.

Mi ritengo parzialmente soddisfatto, ovviamente, perché ho voluto leggere nella risposta del Vice Ministro Sisto la volontà di mantenere gli impegni, di far rispettare le indicazioni dell'Unione europea, ma noi saremo vigili, saremo di pungolo, saremo attenti e continueremo quotidianamente, da forza di maggioranza e forza di Governo, a seguire queste vicende.

Però, vorrei ricordare al Governo che c'è un'urgenza da risolvere, quella per cui il parere motivato della Commissione europea è prossimo, nell'ambito di una procedura di infrazione pendente. Questo mette a rischio, come sappiamo tutti, i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, proprio perché l'erogazione della prossima tranche è legata anche ai provvedimenti che saranno adottati in materia di giustizia.

Abbiamo sentito molte enunciazioni nella risposta, molte parti di sentenze, molte parti di pareri dell'Avvocatura dello Stato. Io voglio citarne una, a questo punto, quella dell'Avvocatura dello Stato che, in relazione alla riforma Cartabia del 2021, scrive: “L'intento della novella è proprio quello di accordare ai magistrati onorari in servizio tutte le garanzie proprie di un lavoratore subordinato, prevedendo la possibilità di una permanenza nell'incarico fino al settantesimo anno di età, previo superamento di una procedura valutativa volta ad accertare la persistenza dei requisiti per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali. Ciò in conformità con i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 187 del 2016 in tema di stabilizzazione dei precari della scuola”.

Signor Presidente, noi abbiamo ereditato una situazione complessa, nebulosa, confusa, sicuramente non frutto di questo Governo, ma siamo fiduciosi che il Governo se ne farà carico. Come ho detto prima, noi saremo vigili, saremo attenti, daremo una mano per trovare insieme le soluzioni, anche per dare risposte, perché è un dovere nostro, alla Commissione europea.

Per il futuro, riteniamo che non si debbano temere sovrapposizioni fra il ruolo ad esaurimento di cui si parla, di cui fa parte il magistrato onorario di lungo corso, professionalizzato, e la magistratura professionale, il cui richiamo è operato dalle istituzioni sovranazionali. Sono risposte in ordine ai diritti lavoristici, non alle funzioni, quindi limitatamente ai principi informatori del diritto di lavoro e non a quello degli assetti di carriera. Dobbiamo essere pronti a dare finalmente - chiudo, signor Presidente - dignità a questo pilastro del sistema Paese, a questi servitori dello Stato, garantendo, contemporaneamente, maggiore efficienza complessiva in termini di risorse umane e il rispetto, soprattutto, degli impegni nazionali e sovranazionali in tema di giustizia.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti del liceo scientifico Leonardo da Vinci di Trento, che questa mattina assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). I nostri lavori volgono al termine con l'ultima interpellanza. L'Aula è sostanzialmente vuota per questo motivo: i deputati rivolgono interpellanze al Governo e, quindi, è una - tra virgolette - “faccenda” tra deputato e Governo.

(Iniziative volte a rafforzare i controlli presso gli istituti penitenziari di massima sicurezza, anche alla luce della recente evasione di un boss mafioso dal carcere di Badu ‘e Carros di Nuoro - n. 2-00102)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Giuliano ed altri n. 2-00102 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Giuliano se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

CARLA GIULIANO (M5S). Grazie, Presidente. Presidente, oggi interpelliamo il Governo, come MoVimento 5 Stelle, perché, il 24 febbraio scorso, il boss Marco Raduano, che è un boss della mafia garganica, è evaso dal carcere di Badu ‘e Carros di Nuoro.

Questo carcere è una struttura penitenziaria di massima sicurezza, dove sono ristretti numerosi condannati per reati di terrorismo e di associazione a delinquere di stampo mafioso ed è un carcere da cui mai nessuno - lo sottolineo - è riuscito ad evadere. In questo carcere sono stati detenuti, in regime di massima sicurezza, mafiosi e personaggi dal gravissimo calibro criminale, per esempio, Renato Vallanzasca, Luciano Liggio e Francis Turatello. Ebbene, in tanti anni, da questo supercarcere - nato, lo voglio ricordare, dalla volontà e per la volontà del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ai tempi della lotta alla mafia e al terrorismo italiano -, prima del 24 febbraio, nessuno era mai riuscito a evadere. Come emerge anche da notizie di stampa, il boss Marco Raduano, che, tra l'altro, il 3 febbraio del 2023 è stato definitivamente condannato a 19 anni di reclusione più 3 anni di libertà vigilata, era detenuto per scontare appunto questa condanna, passata in giudicato. È un boss di pericolosità assoluta e di comprovato spessore criminale: parliamo di un boss condannato e indagato in diversi procedimenti penali per traffico, anche internazionale, di sostanze stupefacenti, con l'aggravante del metodo mafioso, quindi rientrante nell'ipotesi dell'articolo 416-bis: omicidio, altri reati contro la persona, reati contro il patrimonio, reati di estorsione e impiego di armi, anche da guerra. Ebbene, fermo restando che su questa evasione - sicuramente ci sarà stato anche un aiuto esterno, come riportano varie testate giornalistiche - ovviamente sono in corso le indagini della DDA di Bari, che opera in coordinamento con la Direzione distrettuale antimafia sarda, voglio sottolineare vari aspetti veramente inquietanti della vicenda. Questo detenuto, benché fosse soggetto a un regime di alta sicurezza, lavorava in biblioteca e aveva libertà di accesso e di movimento in quasi tutti gli ambienti carcerari, almeno questo è quello che riportano le ricostruzioni giornalistiche. Non mi soffermo sulle modalità dell'evasione, perché il video, che è diventato, purtroppo, virale sui social e anche sulle testate giornalistiche online, basta, da solo. Inoltre, nel comunicato del 24 febbraio 2023, l'Unione della Polizia penitenziaria, UILPA, ha denunciato le condizioni di inadeguatezza dei livelli di sicurezza dell'istituto nuorese e, in generale, degli istituti penitenziari di massima sicurezza. Ha denunciato carenze strutturali, carenze nella Polizia penitenziaria e carenze a livello di digitalizzazione e sicurezza, anche digitale appunto, dei nostri istituti penitenziari.

Altro aspetto, che però voglio precisare - e poi vado verso la conclusione e pongo una domanda in merito al Governo, qui oggi rappresentato dal Vice Ministro Sisto - è che, con la legge di bilancio, approvata, non con il nostro voto, a dicembre 2022, quindi con la prima legge di bilancio del nuovo Governo, addirittura il Governo stesso ha pensato bene di definanziare, di togliere soldi proprio all'amministrazione penitenziari, al programma amministrazione penitenziaria, a cui vengono imposti risparmi di spesa non inferiori a 36 milioni di euro per il triennio 2023-2025.

Presidente, noi, proprio con riferimento a questo e a tanti altri punti della legge di bilancio, che non prevedeva un'assunzione - dico una - ulteriore rispetto a quelle già programmate nella vecchia legge di bilancio, che non prevedeva l'assunzione di funzionari giuridico-pedagogici per la rieducazione dei detenuti e che non prevedeva un'assunzione nuova di Forze dell'ordine, abbiamo fatto una grande battaglia e abbiamo detto già in quella sede - e qui lo ribadisco - che era un grave errore tagliare soldi al comparto sicurezza, anche perché - Presidente, lei me lo consentirà - in campagna elettorale, il centrodestra sbandierava il motto: “sicurezza e legalità” e poi però, quando è arrivato al Governo e, quindi, si è trovato a governare, ha fatto tutto il contrario. Capisco che ci sia ovviamente la necessità di risparmiare su alcune spese, ma credo che quelli della legalità e della sicurezza, come altri ambiti - penso a quello sanitario e della scuola - non siano i settori giusti in cui ridurre i fondi a disposizione.

Quindi, a fronte di queste considerazioni, faccio presente che, proprio ieri, c'è stata una maxi-operazione antimafia nel mio territorio, denominata “Operazione cocktail”- nel foggiano ci sono stati 24 arresti disposti dalla DDA di Bari, per narcotraffico, estorsioni e armi -, che ha interessato prevalentemente la cosiddetta mafia cerignolana, che ha contatti con la mafia garganica - io sono della provincia di Foggia, quindi conosco piuttosto bene le realtà del territorio -, che ha fatto capire la pericolosità della società foggiana, che sarebbe la mafia foggiana, che si articola in diverse mafie riconosciute da sentenze definitive: la mafia cerignolana, la mafia garganica, di cui era boss Marco Raduano, il detenuto evaso, e la mafia sanseverese.

Ora, a fronte di tutto questo, qualche tempo fa, a settembre 2021, io stessa interpellai il Governo - venne a rispondere sempre il Vice Ministro Sisto - sulla necessità di istituire a Foggia, quanto prima, una sezione distaccata della Direzione distrettuale antimafia e, siccome in quel momento, anche per ragioni di spesa, non era possibile istituire una sezione distaccata, chiesi se si potevano almeno trasferire i magistrati che già all'interno della DDA di Bari si occupano di mafia garganica a Foggia, perché - Presidente, parliamoci chiaro - per esempio, da Bari, che è la DDA competente, al Gargano ci vogliono circa 3 ore e mezza in auto, se tutto va bene, quindi è come se un reato di mafia che accade a Foggia venisse seguito da Roma - più o meno quelle sono le distanze -, quindi lei capisce che il controllo del territorio così diventa pari a zero. Ebbene, in quell'occasione - per fortuna poi c'è stato un cambio di passo, grazie a un intervento successivo e il Vice Ministro Sisto se lo ricorderà - il Governo mi rispose che non era possibile neanche fare lo spostamento fisico. Fortunatamente, anche grazie a un grande lavoro di interlocuzione che ho portato avanti con il Ministero, anche grazie all'intervento della Sottosegretaria, appartenente al MoVimento, dell'epoca, Anna Macina, la Ministra Cartabia aprì la disponibilità a trasferire i magistrati che si occupano di mafia foggiana da Bari a Foggia, pur rimanendo gli stessi funzionalmente dipendenti da Bari. È stata stipulata, a giugno del 2022, una convenzione e spero che, con il nuovo Ministro Nordio, venga applicata.

Perché ho fatto queste digressioni (e ora vado veramente a concludere)? Perché credo che tutti questi avvenimenti ci facciano capire quanto è feroce la società foggiana, nelle articolazioni mafiose che ho ricordato. Quindi, forse bisognerebbe chiedere al Ministero un ripensamento degli strumenti per contrastare le mafie. Capisco che questo argomento riguardi principalmente il Ministero dell'Interno ma, per quanto riguarda il Ministero della Giustizia, chiedo che ripensi ai presidi di legalità nel territorio della provincia di Foggia.

Tornando alla domanda dell'interpellanza, il Ministero evidentemente dovrebbe riconsiderare gli investimenti nel settore Giustizia e nella sicurezza degli istituti penitenziari; invece che togliere soldi, dovrebbe investirne di più.

Quindi, chiedo al Ministero della Giustizia – e, in questo caso, al Vice Ministro Sisto - cosa il Ministero abbia intenzione di fare, prendendo spunto da questa evasione, per rafforzare il livello di sicurezza degli istituti penitenziari, in particolare di quelli di massima sicurezza.

È chiaro, infatti, che anche qui va garantita, in linea con i principi costituzionali, la rieducazione dei detenuti, ma, siccome si tratta di detenuti estremamente pericolosi e dal calibro criminale estremamente alto, bisogna risolvere le carenze di organico di questi istituti, le carenze strutturali e le carenze di sicurezza e strumentazione, anche informatica. Certamente, bisogna calibrare le attività rieducative, che pure devono essere garantite a questi detenuti, in base, però, al loro calibro criminale e al regime detentivo che hanno, perché un boss di questo calibro, che è nel massimo livello di sicurezza, con pene al di sotto del 41-bis, deve essere attenzionato con particolare precisione.

Quindi, concludo e attendo la risposta del Vice Ministro, augurandomi di avere risposta adeguata alle mie istanze.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO PAOLO SISTO, Vice Ministro della Giustizia. Grazie, Presidente. Non so se la risposta sarà ritenuta adeguata. È, comunque, una risposta che si modella sull'interpellanza presentata ed esposta puntualmente dalla collega Giuliano.

La notizia di evasione dai penitenziari suscita sempre sgomento, evidenziando plasticamente l'esistenza di criticità nello svolgimento della complessa e impegnativa attività di custodia e vigilanza, cui il carcere è preposto. Qualche cosa, certamente, non ha funzionato, ma occorre, ovviamente, interrogarsi sulle cause, onde individuare i rimedi. Va - e con celerità - compreso se si tratta di disfunzioni di sistema dovute a carenze di organizzazione, ovvero errori o negligenza dei singoli operatori o, ancora, se ci si trovi di fronte a vere e proprie complicità criminali.

Occorre, allora, attendere gli esiti delle inchieste portate avanti dalla preposta autorità giudiziaria, come naturalmente sta già avvenendo.

Doverosamente, in ordine alla grave vicenda che si è verificata, in disparte le attività dell'autorità giudiziaria, l'amministrazione penitenziaria, autorizzata, ha subito provveduto all'attivazione delle necessarie procedure ispettive interne, volte a comprendere quanto sopra indicato, così da potersi adeguatamente determinare.

Ciò premesso e precisato, quanto ai fatti occorsi il 24 febbraio scorso, la direzione della casa circondariale di Nuoro dava comunicazione alle articolazioni centrali del DAP della consumata evasione posta in essere, alle ore 17,15, dal detenuto Marco Raduano, appartenente al sottocircuito AS3 e ristretto presso la quinta sezione del nuovo padiglione a custodia ordinaria, i cui lavori sono stati ultimati il 6 maggio 2017, con certificato di collaudo in data 30 novembre 2017. Si precisa che il nuovo padiglione è dotato di sistemi di videosorveglianza e allarme funzionanti.

La preposta direzione generale ha incaricato…

PRESIDENTE. Scusi, Vice Ministro. A causa di problemi di intellegibilità, può scandire un po' meglio le parole?

FRANCESCO PAOLO SISTO, Vice Ministro della Giustizia. Sì. Si precisa che il nuovo padiglione è dotato di sistemi di videosorveglianza e allarme funzionanti. Va bene così?

La preposta direzione generale ha incaricato tempestivamente il locale provveditorato regionale di espletare gli opportuni accertamenti o di appurare, con la massima urgenza, cause, circostanze e modalità dell'accaduto, tanto che già il successivo 27 febbraio 2023 è pervenuta una prima relazione. Gli accertamenti sono tuttora in corso e si è in attesa degli esiti della visita ispettiva.

In data 26 febbraio 2023, il locale provveditore si è recato in visita presso la casa circondariale di Nuoro, al fine di fare chiarezza sulla dinamica dell'evento. Previo nulla osta dell'autorità giudiziaria, in quella data sono state visionate parti essenziali dei filmati registrati dalle telecamere dell'istituto, nonché acquisiti i documenti e ispezionati i locali interessati dall'evento critico. Sono state ascoltate, altresì, alcune persone presenti il giorno dell'evento.

Dai primi accertamenti esperiti, è possibile ricondurre quanto accaduto alla carenza dell'organizzazione dei servizi e nell'applicazione delle disposizioni che regolano la vigilanza dei detenuti del circuito alta sicurezza.

Ciò detto, si riferisce che, presso la casa circondariale di Nuoro, prestano servizio 129 unità di Polizia penitenziaria, cui vanno aggiunte 16 unità in servizio al nucleo traduzioni e piantonamenti.

Il servizio notturno si svolge su 4 quadranti orari e le relative unità operative constano di 78 unità. Nel giorno dell'evasione, risultavano presenti, oltre al personale già comandato di sorveglianza generale, 2 unità con le medesime mansioni, sia per il reparto che per il nucleo traduzioni e piantonamenti, rispettivamente con orario 8-14 e 9-17.

Anche presso la quinta sezione - primo e secondo piano - erano impiegate 2 unità del ruolo agenti/assistenti e, presso la sala regia della quinta sezione, era prevista la copertura sino alle ore 15,15. Non era presente, invece, la sentinella.

Considerata l'estrema gravità di quanto accaduto, il DAP ha ritenuto opportuno affidare temporaneamente (il provvedimento ha decorrenza 6 marzo 2023, per la durata di mesi 3) ad altro dirigente (già comandante di reparto della casa circondariale di Milano Opera) di Polizia penitenziaria, di comprovata esperienza e capacità, il comando del reparto dell'istituto penitenziario in esame, al fine di garantire il ripristino di adeguate condizioni di sicurezza ed efficienza operativa.

Quanto al detenuto evaso, Raduano Marco faceva ingresso presso la casa circondariale di Nuoro il 4 settembre 2018. Dagli atti risulta che, in data 1° marzo 2022, egli avesse richiesto di essere trasferito, per motivi familiari, presso altra sede penitenziaria tra quelle di Larino, Lanciano, Teramo e, in subordine, Benevento, istanza, tuttavia, rigettata in ragione del fatto che le sedi richieste sono ricadenti nei luoghi di radicamento del sodalizio criminale di appartenenza, con ciò evidenziando massima attenzione alla specificità del contesto criminale di provenienza del detenuto.

Il ristretto ha partecipato a diverse udienze in videoconferenza, in virtù di procedimenti pendenti.

Per completezza, si evidenzia, inoltre, che Raduano è in attesa di primo giudizio, a seguito di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice del tribunale di Bari, per violazione dell'articolo 416-bis, commi dal primo al settimo, del codice penale; ha, altresì, posizione di definitivo, in espiazione di un ordine di esecuzione pena della procura generale presso la corte di appello di Bari del 31 gennaio 2023 per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, concorso in produzione e traffico di sostanze stupefacenti, con pena che termina il 3 luglio 2046.

Raduano è in espiazione, altresì, di un provvedimento di cumulo della procura generale presso la corte di appello di Bari per concorso in produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope aggravato, concorso in estorsione e concorso in ricettazione, con fine pena al 19 maggio 2027.

Non risultano sanzioni disciplinari nel corso dell'attuale detenzione.

Passando, invece, agli interventi dell'autorità giudiziaria interessata alla vicenda, la procura della Repubblica di Nuoro ha comunicato di aver trasmesso il fascicolo per competenza alla direzione distrettuale antimafia di Cagliari, che, a sua volta, ha riferito, semplicemente, che si sta procedendo in relazione alle ipotesi criminose di evasione (articolo 386 del codice penale), aggravata ex articolo 416-bis, punto 1, del codice penale, e che “a causa del segreto investigativo, non è possibile ad oggi fornire ulteriori informazioni, salvo evidenziare (il signor procuratore generale) (…) che sono in corso complesse ed accurate indagini, anche in collegamento investigativo fra diverse procure (…) e che (…) le indagini in corso stanno attenzionando diversi aspetti dell'evasione, da quelli relativi all'organizzazione dei servizi di vigilanza all'interno e all'esterno dell'istituto penitenziario, a quelli relativi ai collegamenti fra l'evaso e soggetti appartenenti alla criminalità organizzata”.

Precisato quanto sopra e trattando delle precipue caratteristiche del carcere nuorese, alla data del 15 marzo 2023, a fronte di una capienza regolamentare pari a 375 posti (di cui 102 non disponibili a vario titolo), risultano, effettivamente, presenti 224 detenuti, così rilevandosi un indice percentuale medio di affollamento pari all'85,35 per cento e, dunque, non denotandosi una situazione di sovraffollamento.

I detenuti AS3, alla medesima data, sono 146, di cui 3 sottoposti al regime detentivo speciale del 41-bis e 84 i detenuti di media sicurezza.

Naturalmente, sia per i detenuti AS3, sia per quelli in regime speciale, è consentito l'accesso agli spazi delle attività trattamentali previste, tra cui l'istruzione universitaria. Al riguardo, merita segnalare che la casa circondariale di Nuoro aderisce alle progettualità proposte nel protocollo di intesa tra il provveditorato regionale della Sardegna e l'ateneo di Sassari. Si sono iscritti, nel 2022, 6 detenuti appartenenti al sottocircuito ad alta sicurezza 3 (cinque dei quali immatricolati nel corrente anno accademico) e 2 detenuti sottoposti al regime detentivo speciale, di cui al 41-bis. È, inoltre, presente, all'interno del reparto detentivo destinato ai detenuti di alta sicurezza 3, un'aula informatica universitaria cablata, dotata di 6 postazioni PC collegate al sistema Citrix, esclusivamente per lo studio e il sostenimento degli esami universitari.

Con riferimento alla carenza degli organici del Corpo, come ribadito in altre occasioni, va evidenziato che il Ministero, a mezzo del preposto DAP, pone forte attenzione alle esigenze di garantire un efficace turnover del personale, risultando indubbie le criticità evidenziate e derivanti da organici ridotti o comunque fortemente limitati.

Come è noto, la riduzione complessiva degli organici, operata dalla cosiddetta legge Madia e rivista, altresì, dai successivi interventi normativi, ha rimodulato al ribasso la dotazione complessiva del Corpo della Polizia penitenziaria, su cui andrà evidentemente reimpostata una politica di implementazione.

Sul punto, giova evidenziare il recente incremento della dotazione organica di 1.000 unità nel ruolo di agenti/assistenti, effettuato proprio con la legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), funzionale ad una prima inversione del trend, per cui allo stato, a fronte di un organico di 42.150 unità, il personale del Corpo di Polizia penitenziaria amministrato ammonta a 36.126 unità.

Ancora, a fini di razionalizzazione ed efficienza, nonché adeguamento agli interventi legislativi medio tempore intervenuti, è in via di predisposizione il nuovo decreto ministeriale, che andrà a sostituire il DM 2 ottobre 2017, per la redistribuzione della dotazione organica del Corpo.

Nell'elaborazione del nuovo decreto ministeriale, si è tenuto conto delle sopravvenute esigenze prospettate dalle varie articolazioni del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile e di comunità.

Ciò premesso, la precipua dotazione organica della casa circondariale di Nuoro vede la presenza di una forza pari a 145 unità, a fronte delle 206 unità previste, e inferiore, dunque, di 60 unità; dati comprensivi delle 20 unità distaccate in uscita e delle 4 in entrata.

Le carenze maggiori si rilevano nel ruolo dei funzionari (-1 unità), degli ispettori (-21 unità), dei sovrintendenti (-19 unità) e degli agenti/assistenti (-6 unità).

Quanto alla carenza di funzionari, ben consapevoli della fondamentale e imprescindibile funzione di guida svolta dagli appartenenti al ruolo apicale del Corpo, va evidenziato il già bandito il concorso per 120 posti di allievo commissario, al cui esito si provvederà alla distribuzione delle risorse sul territorio nazionale, in ragione delle vacanze organiche previste.

Relativamente alla carenza del ruolo degli ispettori, si comunica che il 16 novembre 2022 si è concluso il VII Corso per allievo vice-ispettore, relativo al concorso interno per titoli a complessivi 691 posti. A conclusione del citato corso, l'organico della Casa circondariale di Nuoro è stato incrementato di 2 unità femminili. È, inoltre, in essere un ulteriore concorso per 411 posti per l'accesso alla qualifica iniziale del ruolo degli ispettori del Corpo, al cui esito l'amministrazione terrà nella massima considerazione la situazione di relativa carenza di personale che connota il penitenziario di Badu ‘e Carros, attraverso l'assegnazione di un adeguato numero di unità del ruolo.

Ancora, per quanto riguarda il ruolo di sovrintendente, è in essere il concorso interno per titoli a complessivi 583 posti. Al riguardo, si comunica che l'amministrazione ha previsto l'assegnazione presso la Casa circondariale di Nuoro di 8 unità maschili e di 1 unità femminile, che saranno gradualmente assegnate entro la fine del corrente anno, a conclusione della procedura concorsuale e del previsto corso di formazione articolato in tre edizioni.

Da ultimo, per quanto riguarda il ruolo di agenti/assistenti, si rappresenta che l'organico è stato incrementato per l'anno 2022 di 7 unità maschili, in occasione della mobilità ordinaria collegata alle assegnazioni degli agenti del 179° e del 180° corso. Inoltre, è in fase di espletamento il 181° corso per la formazione di 1.471 allievi agenti e, al termine dello stesso, saranno nuovamente considerate, al pari di altre sedi, le fattive esigenze della Casa circondariale di Nuoro, mediante l'assegnazione di un adeguato numero di unità del ruolo.

Passando alle tematiche inerenti la sicurezza e le carenze strutturali dell'istituto nuorese, quanto alla lamentata inadeguatezza dei livelli di sicurezza, si riferisce che è in corso il procedimento per il risanamento del muro di cinta e l'adeguamento degli impianti tecnologici di sicurezza. Il progetto esecutivo, redatto da un progettista esterno, è stato trasmesso all'amministrazione penitenziaria il 15 dicembre 2022. Poiché sono stati richiesti alcune modifiche e miglioramenti per meglio rispondere alle esigenze dell'amministrazione, con particolare riferimento alle soluzioni e previsioni progettuali inerenti agli impianti elettrici e ai sistemi tecnologici e di sicurezza, apparsi non sufficienti e rispondenti alle esigenze operative dell'istituto, non appena recepite tali esigenze e apportate le necessarie revisioni di progetto, nonché ultimato il piano di sicurezza e coordinamento dei lavori, secondo i canoni del decreto legislativo n. 81 del 2008, predisposto a cura dell'amministrazione, il progetto sarà trasmesso al verificatore già individuato. Si auspica di poter mandare in gara il lavoro entro il primo semestre del 2023.

In ogni caso, al fine di assicurare una prima risposta ad alcune criticità inerenti agli impianti di sorveglianza esterna e antiscavalcamento, unitamente a quelle relative agli impianti di sicurezza e videosorveglianza interni, sono stati espletati negli anni scorsi, e comunque prima dell'evento critico in argomento, i seguenti interventi: 1) Sostituzione TVCC videoconferenza: sostituzione n. 1 telecamere; 2) Sistema TVCC “Piccola rotonda”: intervento di sostituzione NVR e parte delle telecamere con ripristino complessivo del sistema di 15 telecamere; 3) Sistema TVCC “V Sezione”: sostituzione del vecchio server con NVR 128 canali e 11 telecamere, revisione postazioni di controllo, con ripristino della totale funzionalità del sistema dotato di 104 telecamere; 4) Sistema TVCC “II Sezione”: sostituzione di swich POE con ripristino piena funzionalità del sistema dotato di 67 telecamere; 5) Sistema TVCC “VI sezione”: sostituzione di sistema di videoregistrazione del sistema TVCC che gestisce 27 telecamere; 6) TVCC del muro di cinta: lavori di manutenzione e installazione degli apparati.

Inoltre, nell'ambito dei lavori di ampliamento del settore videoconferenza, è previsto il rifacimento totale del sistema TVCC con nuovo sistema di 36 telecamere IP.

Per quanto attiene, poi, alle condizioni della struttura, effettivamente alcuni settori dell'istituto sono interessarsi da problemi di infiltrazioni di acqua piovana e necessitano di manutenzione degli edifici. Risulta, altresì, la presenza di diffuse infiltrazioni soprattutto presso i vani adiacenti alle murature esterne dell'istituto (costituite da blocchi di granito alternati a ricorsi in mattoni), presso i solai in corrispondenza dell'unione dei vari corpi di fabbrica, nonché sulle coperture (prevalentemente a falde) dei diversi edifici dell'istituto.

Dovendosi programmare gli interventi da realizzarsi, è stata data priorità, con progettazione a cura dell'ufficio tecnico del DAP, agli interventi di risoluzione della predetta problematica legata alle infiltrazioni del reparto del 41-bis (ex femminile), caserma agenti e presso i punti di attacco dei padiglioni relativi alla III Sezione (cucina) e III Sezione (biblioteca) con la cosiddetta rotondina.

Entro l'anno, si auspicano l'affidamento e il completamento di tali lavori.

Peraltro, l'istituto presenta alcune problematiche relative a fenomeni di sfondellamento dei solai (sia di copertura che intermedi), maggiormente presenti in alcune zone dell'istituto: palestra detenuti, locale bar/spaccio, portineria, locali sanitari, reparto 41-bis, eccetera.

A tal fine, il provveditorato sta avviando un procedimento per effettuare sondaggi diffusi su tutti i solai al fine di conoscere lo stato generale di diffusione del fenomeno. Le indagini in questione (affidate a società specializzate, previa indagine specifica su mercato elettronico) prevedono un'analisi termografica completa, un'analisi costruttiva dei solai tramite micro demolizioni, al fine di determinare l'attuale stato di consistenza, nonché la battitura manuale degli stessi solai, e di redigere il libretto sanitario sullo sfondellamento dei solai.

Con l'occasione sarà avviato anche un nuovo procedimento per conoscere e valutare lo stato di vulnerabilità sismica dell'istituto.

Nell'immediato la direzione dell'istituto ha affidato a ditta specializzata un intervento per il ripristino dei solai del settore infermeria.

Per completezza di informazione si rappresenta che il DAP, nell'ultimo triennio, ha comunque assicurato, sulla base di specifiche richieste: nel 2020, il rifacimento dell'impianto di illuminazione del viale di ingresso; nel 2021, la messa in sicurezza delle strutture carcerarie con sostituzione proiettori interni ed esterni al muro di cinta; nel 2022, lavori di manutenzione e installazione degli apparati TVCC del muro di cinta.

Saranno altresì inseriti, nella prossima programmazione, interventi di manutenzione straordinaria, realizzazione di un nuovo impianto idrico antincendio, con interconnessione degli impianti idrici esistenti interni alle sezioni con miglioramento e adeguamento alla normativa antincendio di tutte le attività a rischio specifico; interventi di efficientamento energetico e predisposizione di locali da destinare al reparto sanitario.

Inoltre, si evidenzia che presso l'istituto in esame è stato di recente attivato un nuovo padiglione detentivo da 97 posti, i cui lavori sono stati ultimati nel 2017, con certificato di collaudo 30 novembre 2017, dotato di sistemi di videosorveglianza e allarme funzionanti.

Da ultimo si riferisce che presso l'Istituto di Nuoro risulta essere chiusa la I sezione (99 posti), poiché in attesa di ristrutturazione con adeguamento al DPR del 2000, n. 230. Il relativo procedimento, di competenza della Direzione generale per la gestione dei beni, dei servizi e degli interventi in materia edilizia penitenziaria del DAP, registra allo stato la conclusione della progettazione definitiva.

Il progetto è dunque attualmente oggetto di revisione, in seguito alle osservazioni formulate dal soggetto preposto alla verifica (importo totale dei lavori: 4.029,456 euro, oltre IVA). Il completamento dei lavori è previsto per marzo 2024. Dopo l'esecuzione dei predetti lavori, la capienza del reparto sarà ridotta a 76 detenuti.

Infine, quanto alla riferita inadeguatezza delle strumentazioni tecnologiche in dotazione all'istituto, si evidenzia che, all'interno della Casa circondariale di Nuoro, invero, si trovano presenti dotazioni finalizzate proprio al contrasto dell'illecita introduzione e dell'indebito possesso di oggetti e/o apparati elettronici non consentiti all'interno dell'istituto. In particolare si tratta di: n. 1 metal detector a portale rileva metalli; n. 5 metal detector a portale rileva metalli e cellulari; n. 6 metal detector a paletta rileva metalli e cellulari; n. 12 metal detector a paletta rileva metalli; n. 3 rilevatori di metallo e cellulari ad asta (CEIA); n. 2 rilevatori radio manuali (minitasso); n. 2 rilevatori di trasmissione radio (polinet) e n. 3 rilevatori pacchi macchina raggi.

PRESIDENTE. Non avevo compreso: invece, ha finito.

Saluto la terza classe dell'Istituto comprensivo Castelnuovo di Garfagnana, in provincia di Lucca. Complimenti e benvenuti. La deputata Giuliano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

CARLA GIULIANO (M5S). Grazie, Presidente. Ringrazio il Vice Ministro Sisto, ma non posso essere soddisfatta di questa risposta e ne spiego il motivo. Innanzitutto lo ringrazio per quei pochi dati che sono riuscita a carpire, vista la velocità della risposta. Purtroppo, sarò sorda, però non si riusciva. Basandomi su quello che lei ha detto, non sono soddisfatta in primo luogo perché il Ministero non ha risposto a una delle domande che noi, come MoVimento 5 Stelle, ponevamo: come mai questo detenuto è evaso, quando - ripeto - era stato destinatario il 3 febbraio 2023 di una condanna definitiva? Quindi, non era più un imputato non colpevole, fino a sentenza definitiva, ma era condannato. Come mai è stato addetto e ha poi continuato ad essere addetto alla biblioteca, il che vuol dire avere contatti quotidiani con tutti i detenuti? Questo certamente - immagino anche leggendo le ricostruzioni giornalistiche - ha facilitato la sua fuga e evidentemente ha rinsaldato dei rapporti o ha consentito la costituzione di rapporti criminali all'interno della struttura. Quindi, una delle nostre domande, partendo da questo caso, era la seguente: il Ministero della Giustizia, anche tramite il DAP, ritiene di dover valutare le attività rieducative, a cui adibire tutti i detenuti, anche quelli condannati, facendo però pesare il calibro criminale di questi detenuti? Per esempio, un boss di questo tipo, condannato, lo ripeto, poteva essere addetto magari non alla biblioteca, girando liberamente per gli ambienti carcerari, ma poteva essere addetto ad un altro servizio con contatti più limitati.

Quindi, in linea generale, una delle domande era se il Ministero stia evidentemente valutando un ripensamento delle attività rieducative negli istituti penitenziari di massima sicurezza, visto i detenuti particolari che sono ristretti. Purtroppo, il Ministero a questa domanda non ha dato risposta.

Per quanto riguarda, invece, i dati che il Vice Ministro ha riportato, dando risposta alle carenze strutturali di organico e di strumentazione digitale e informatica, rilevo, purtroppo, che il Vice Ministro - se non ho inteso male - ha parlato di un contingente di 8 uomini e di un'agente donna di Polizia penitenziaria che verranno inviati nel carcere di Nuoro. Noi ne siamo felici, perché è sempre meglio di nulla, però il Vice Ministro ha parlato di una carenza di organico di 60 unità. Se negli istituti penitenziari di massima sicurezza, non per discriminare gli altri, abbiamo delle carenze di organico così forti, ripeto, forse è il caso di non togliere soldi all'amministrazione penitenziaria ma di rimetterci qualcosa sopra. Poi, ripeto, in via emergenziale siamo felici che mandino almeno 9 persone, però ne mancano sempre altre 51. Si tratta, ripeto, di un carcere di massima sicurezza. Inoltre, il Vice Ministro ha parlato di concorsi a livello nazionale, da cui escono questi 9 agenti che verranno mandati a Nuoro, riferendosi a procedure concorsuali bandite nel 2020, 2021 e 2022. Come dicevo anche nell'illustrazione, purtroppo noi avevamo proposto, con un emendamento del MoVimento 5 Stelle, una massiccia assunzione di poliziotti penitenziari. Il nostro emendamento è stato respinto, o meglio, è stato ridimensionato grazie ad un emendamento parlamentare proposto dalla collega Varchi della Commissione giustizia, che ha molto in parte accolto la nostra richiesta, prevedendo un contingente di nuove assunzioni molto scarno; ma sempre meglio di nulla.

C'è un altro aspetto. Leggevo - questa, quindi, è una ricostruzione giornalistica che vi riporto per correttezza e completezza di informazione - il giornale online – almeno, l'articolo è online - L'Unione Sarda.it che, il 26 febbraio 2023, oltre a rilevare quelle stranezze dell'evasione - che sarà competenza della DDA accertare e su cui noi ovviamente ci atterremo alle indagini che farà la magistratura - riporta un inciso abbastanza inquietante, dicendo: “Un'evasione decisamente strana. Mentre le Forze dell'ordine battono palmo a palmo la Barbagia, si fa strada l'ipotesi che il criminale abbia già lasciato l'isola”. Alcuni dicono che sia tornato nel territorio di mia provenienza, quindi nella provincia di Foggia, dove magistratura, Forze dell'ordine, DDA di Bari e il prefetto di Foggia, che ringrazio, si sono subito attivati, perché in quel territorio ci sono imprenditori e anche famiglie che hanno denunciato questo boss e che ora vivono in uno stato di angoscia. Leggo: “Mentre le Forze dell'ordine battono palmo a palmo la Barbagia, si pensa che il criminale abbia già lasciato l'isola”. L'Unione Sarda dice, inoltre, che il segnale di massima allerta - dell'evasione, più o meno, se ne sono accorti dopo 2 ore - sarebbe infatti arrivato nei porti e negli aeroporti sardi - quindi all'esterno, come dire - soltanto la mattina successiva. Probabilmente, Raduano ha avuto quindi tutto il tempo di imbarcarsi e far perdere le sue tracce. Si sono accorti dopo 2 ore che questo soggetto era evaso. Bene, anzi male. Sempre secondo quello che riporta L'Unione Sarda, invece l'allerta ai porti e agli aeroporti è stata data il sabato mattina. Allora, Presidente, non voglio trasformare questa interpellanza in un'arena politica, perché quello che mi interessa è dare risposte anche al mio territorio e ai cittadini, che sono preoccupati. Però, mi deve consentire una riflessione e spero che il Vice Ministro Sisto non se la prenda, perché non è un attacco personale a lui ma faccio una riflessione rivolta al Governo. Mi dispiace leggere questo inciso, vero o falso che sia, più o meno attendibile che sia, perché, anche dalla risposta che il Vice Ministro Sisto mi ha dato, a nome di tutto il Governo, ho capito che, purtroppo, questo Governo parla un linguaggio - e non è una battuta, visto che alcuni punti della risposta del Vice Ministro non li ho proprio compresi a livello sonoro - molto distante da quello dei cittadini. La conferma noi l'abbiamo avuta con la mozione che mercoledì avete approvato in Aula, una mozione che - per carità, legittimamente - tutela gli indagati, gli imputati e i condannati fino a sentenza definitiva, perché questo dice la nostra Costituzione all'articolo 27; è sacrosanto. Ma in quella mozione vi siete dimenticati una cosa fondamentale: non c'è - e questo l'ha detto anche la mia collega - una parola, che sia una, per le persone offese.

Cosa c'entra questo discorso? Di persone offese da questa evasione - che io non imputo al Governo, cioè non è colpa del Governo - ce ne sono tante, persone offese soprattutto a livello morale; sono tutti quei cittadini, quegli imprenditori che, sul mio territorio, si sono esposti - ed è difficilissimo - denunciando questo boss. Capisco che c'è una distanza siderale, perché l'allerta ai porti e agli aeroporti è stata data il giorno dopo. Il Ministro Salvini non me ne voglia ma, invece di pensare a cantare alcune canzoni nei pub o nei ristoranti e invece di pensare a nascondersi sulla tragedia di Cutro, forse dovrebbe attivarsi per chiudere gli aeroporti e i porti o per controllarli, quando c'è un'evasione di questo tipo. Questo mi dimostra, purtroppo, che proprio il Governo è lontano dalla realtà dei cittadini. Evidentemente, Salvini, anche se ha una sua roccaforte politica nel mio territorio, non ha capito la gravità della situazione del mio territorio.

Quindi, io ringrazio il Vice Ministro Sisto ma, ovviamente, non sono assolutamente soddisfatta, perché parliamo, per fortuna, linguaggi proprio sideralmente opposti rispetto al Governo.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Organizzazione dei tempi di esame di progetti di legge.

PRESIDENTE. Avverto che nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna sarà pubblicata l'organizzazione dei tempi: per l'esame del disegno di legge n. 977, concernente deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane; per la discussione generale della proposta di legge n. 665-A ed abbinate, concernente l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori; per la discussione generale del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare - Doc. XXII nn. 11-14-16-19-20-21-22-A, concernente l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie (Vedi l'allegato A).

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto che, per un mero errore materiale, nel calendario dei lavori dell'Assemblea per il mese di marzo non è previsto, nella giornata di mercoledì 22 marzo, lo svolgimento di interrogazioni a riposta immediata.

Ovviamente, come di consueto, lo stesso avrà regolarmente luogo nella giornata del mercoledì, alle ore 15.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 20 marzo 2023 - Ore 11:

1. Discussione sulle linee generali del disegno di legge:

S. 506 - Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane (Approvato dal Senato). (C. 977​)

Relatore: CIOCCHETTI.

2. Discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge:

MACCANTI ed altri; MOLLICONE: Disposizioni per la prevenzione e la repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d'autore mediante le reti di comunicazione elettronica. (C. 217​-648-A​)

Relatori: DI MAGGIO, per la VII Commissione; DARA, per la IX Commissione.

3. Discussione sulle linee generali della proposta di inchiesta parlamentare:

RIZZETTO ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di David Rossi. (Doc. XXII, n. 7-A)

Relatrici: VARCHI, per la II Commissione; CAVANDOLI, per la VI Commissione.

4. Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

FRANCESCO SILVESTRI e ASCARI: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori. (C. 665-A​)

e delle abbinate proposte di legge: ZARATTI; MORASSUT ed altri. (C. 879​-880​)

Relatrice: KELANY.

5. Discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare:

BATTILOCCHIO ed altri; ZARATTI; DE MARIA e MORASSUT; ALFONSO COLUCCI ed altri; LUPI e ALESSANDRO COLUCCI; DE CORATO ed altri; RAMPELLI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie. (Doc. XXII, nn. 11-14-16-19-20-21-22-A)

Relatore: NAZARIO PAGANO.

La seduta termina alle 12,50.