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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 41 di lunedì 23 gennaio 2023

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ANNA ASCANI

La seduta comincia alle 10.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

CHIARA BRAGA , Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 20 gennaio 2023.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 68, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: S. 389 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 dicembre 2022, n. 185, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell'Ucraina (Approvato dal Senato) (A.C. 761​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 761: Conversione in legge del decreto-legge 2 dicembre 2022, n. 185, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell'Ucraina.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 761​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

Le Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione affari esteri, deputato Giangiacomo Calovini.

GIANGIACOMO CALOVINI , Relatore per la III Commissione. Grazie, Presidente e onorevoli colleghi. Come si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge in esame, già approvato in prima lettura dal Senato, il provvedimento d'urgenza è connesso alla necessità per l'Italia di ottemperare agli impegni assunti nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica per affrontare più efficacemente la crisi internazionale in atto in Ucraina, che incide sugli equilibri geopolitici e mina la sicurezza e la stabilità internazionali.

L'aggressione militare della Federazione russa nei confronti dell'Ucraina del 24 febbraio scorso, infatti, ha interrotto un periodo di stabilità che durava da oltre 70 anni in Europa, con ripercussioni di carattere militare, geopolitico, finanziario e umanitario di enorme rilevanza e prevedibilmente di lungo periodo.

A quasi un anno dal suo inizio, le prospettive del conflitto russo-ucraino appaiono tuttora incerte. Lo scontro si è trasformato in una guerra di logoramento, in cui vengono divorate, da ambo le parti, grandi quantità di materiale bellico; molto elevate appaiono anche le perdite umane. Secondo le stime del generale statunitense Mark Milley, a inizio novembre, ci sarebbero già stati circa 100 mila morti o feriti, sia tra i militari russi, che tra quelli ucraini. Le Nazioni Unite, a loro volta, hanno registrato 7,8 milioni di persone come rifugiati dall'Ucraina in tutta Europa, tuttavia la cifra non include coloro che sono stati costretti a fuggire dalle proprie case, ma che rimangono in Ucraina.

Il Governo di Kiev ha, più volte, reiterato la richiesta di approvvigionamenti di materiale bellico sempre più sofisticato, necessario per resistere alle offensive russe su Soledar e Bakhmut e preparare il contrattacco, che si ipotizza possa avere luogo nei prossimi mesi.

L'Italia e tutta la comunità euro-atlantica si sono dimostrate compatte nel sostegno all'Ucraina, alla sua popolazione e alla sua resistenza verso l'aggressore russo. Per quanto concerne il sostegno militare, già tre giorni dopo l'inizio delle operazioni militari, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, insieme all'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Borrell, avevano dichiarato che, per la prima volta, l'Unione europea finanzierà l'acquisto e la consegna di armi e altre attrezzature a uno Stato che è sotto attacco. A una prima misura di assistenza per la fornitura alle Forze armate dell'Ucraina di materiale e piattaforme militari, adottata dal Consiglio dell'Unione europea il 28 febbraio scorso, hanno fatto seguito significativi finanziamenti per le forniture di armamenti. Da ultimo, lo scorso 12 dicembre, gli Stati membri dell'Unione europea hanno accettato di integrare con 2 miliardi di euro lo Strumento europeo per la pace, European Peace Facility, il Fondo predisposto dall'Unione europea per stimolare un maggiore coordinamento tra le industrie della difesa nazionali e promuovere progetti di sviluppo congiunti tra i diversi attori europei, ora ulteriormente consolidato per sostenere le spese in armamenti derivanti dall'invio di armi in Ucraina. Circa 3,1 miliardi di euro sono già stati erogati per rimborsare gli Stati membri per gli armamenti e le munizioni prelevati dalle loro scorte e forniti alle Forze armate ucraine.

Secondo quanto riferito dall'Alto rappresentante Borrell, tenendo conto degli aiuti militari concessi dagli Stati tramite i loro bilanci nazionali, il sostegno militare dei Paesi membri dell'Unione europea all'Ucraina ammonta a circa 9 miliardi di euro.

Il 16 dicembre 2022, inoltre, il Consiglio ha adottato un nono pacchetto di sanzioni, finalizzate a indebolire la base economica della Russia, privandola di tecnologie e mercati fondamentali e limitando, in modo significativo, la sua capacità bellica; a sua volta. la NATO ha rafforzato la propria presenza in Europa orientale, dispiegando migliaia di truppe supplementari e istituendo altri quattro nuovi gruppi tattici multinazionali in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia. Attualmente, gli otto gruppi tattici della NATO si estendono lungo tutto il fianco orientale, dal Mar Baltico a Nord, al Mar Nero a Sud. Oltre 40.000 unità, insieme a significativi mezzi aerei navali, sono attualmente sotto il diretto comando della NATO; inoltre, al vertice di Madrid del giugno 2022, gli alleati hanno concordato un cambiamento fondamentale nella politica di deterrenza della NATO; ciò include il rafforzamento delle difese avanzate, il potenziamento dei gruppi tattici nella parte orientale dell'Alleanza, fino al livello di brigata, la trasformazione della forza disposta dalla NATO e l'aumento del numero di forze ad alta prontezza a ben oltre 300.000 unità.

Pochi giorni fa, il 10 gennaio, la NATO e l'Unione europea hanno firmato un nuovo accordo di cooperazione, il terzo in sei anni, con l'obiettivo di rafforzare il legame transatlantico in un contesto molto incerto e assicurare un supporto militare e diplomatico più forte all'Ucraina.

Per quanto riguarda il nostro Paese, dal 24 febbraio scorso a oggi, sono stati emanati cinque decreti ministeriali concernenti le cessioni di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative dell'Ucraina. In meno di un anno, inoltre, è aumentato di cinque volte il numero dei militari italiani schierati in Europa orientale, alle frontiere con l'Ucraina, la Russia e la Bielorussia. Sui 7.000 effettivi impiegati attualmente in missioni internazionali, quasi 1.500 operano in ambito NATO, nel contenimento delle Forze armate russe. Militari italiani sono presenti in Lettonia, Ungheria, Bulgaria e Romania. Ogni giorno, le truppe sono in stato d'allerta e si addestrano in condizioni estreme a ogni possibile scenario di conflitto.

Vorrei, inoltre, ricordare lo straordinario contributo offerto dalla cooperazione italiana, che si accompagna al sostegno militare: oltre ad accogliere 173.231 persone fuggite dall'Ucraina, quasi tutte beneficiarie di protezione temporanea, il nostro Paese, in collaborazione con le principali istituzioni umanitarie mondiali, ha, altresì, organizzato donazioni e trasporti di beni umanitari e ha trasferito, fino ad oggi, 110 milioni di euro in favore del Governo dell'Ucraina, quale sostegno al bilancio generale dello Stato. Complessivamente, sono stati allocati oltre 41 milioni di euro in iniziative umanitarie, di cui 26,5 milioni di euro in risposta agli appelli umanitari. Il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale ha annunciato, a margine della conferenza a sostegno dell'Ucraina, che si è svolta a Parigi il 13 dicembre, che l'Italia stanzierà altri 10 milioni di euro da destinare a un'organizzazione ucraina che sarà indicata dal Governo di Kiev.

In conclusione, l'approvazione del decreto-legge in esame appare necessaria affinché l'Italia continui a partecipare a tutte quelle iniziative che, in ambito europeo e da membro dell'Alleanza atlantica, sostengono l'Ucraina e il suo popolo nel proprio diritto di legittima difesa, in linea con la Carta delle Nazioni Unite.

Il meccanismo individuato sin dal marzo 2022, che valorizza l'indirizzo politico espresso alle Camere e, insieme, garantisce la necessaria rapidità operativa, si è dimostrato pienamente efficace. Come sottolineato sia dal concetto strategico della NATO, sia dalla bussola strategica dell'Unione europea, questo è un momento che dimostra, più che mai, l'importanza del legame trasversale euro-atlantico e che richiede una più stretta cooperazione tra l'Unione e l'Alleanza atlantica. La NATO rimane, infatti, il fondamento della difesa collettiva per i suoi alleati ed è essenziale per la sicurezza euro-atlantica. A sua volta, una difesa europea più forte non può che contribuire positivamente alla sicurezza globale e transatlantica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la Commissione difesa, deputata Monica Ciaburro.

MONICA CIABURRO, Relatrice per la IV Commissione. Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario, nella XVIII legislatura, il giorno successivo all'invasione dell'Ucraina da parte delle Forze armate della Federazione russa, il Governo Draghi approvò il decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, al fine di rispondere tempestivamente alla situazione di crisi in atto. Nel provvedimento, il cui contenuto riguardava soprattutto la partecipazione di personale militare al potenziamento dei dispositivi della NATO sul fianco est dell'Alleanza, confluirono, sotto forma di emendamenti del Governo, anche le disposizioni del successivo decreto-legge 28 febbraio 2022, n. 16, e, in particolare, la possibilità di cessione, da parte del Ministero della Difesa, in deroga alla legislazione vigente e previo atto di indirizzo delle Camere, di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina fino al 31 dicembre 2022 (articolo aggiuntivo 2.0100 del Governo, diventato poi l'articolo 2-bis del decreto-legge n. 14 del 2022).

A distanza di dieci mesi dallo scoppio del conflitto, in considerazione del protrarsi delle operazioni belliche, l'attuale Governo, proseguendo nel solco delle direttrici che da tempo orientano la politica estera italiana, ha ritenuto di dover prorogare di un ulteriore anno, ed esattamente fino al 31 dicembre 2023, tale possibilità, approvando, lo scorso 2 dicembre 2022, il decreto-legge n. 185 del 2022. Il provvedimento giunge al nostro esame dopo essere stato già approvato in prima lettura, senza modificazioni, dall'Assemblea del Senato, e si compone di un solo articolo, più l'entrata in vigore. L'articolo unico del testo del Governo precisa, altresì, che l'autorizzazione è concessa previo atto di indirizzo delle Camere e nei termini e con le modalità stabilite dalla normativa dettata dal richiamato articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28.

A seguito di quanto disposto dall'articolo 2-bis del decreto-legge n. 14 del 2022, con decreti del Ministro della Difesa, adottati di concerto con i Ministri degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'Economia e delle finanze, sono stati poi definiti l'elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari oggetto della cessione, nonché le modalità di realizzazione della stessa. Nel dettaglio, sono stati finora emanati cinque decreti ministeriali, rispettivamente i decreti ministeriali del 2 marzo 2022, del 22 aprile 2022, del 10 maggio 2022, del 26 luglio 2022 e, l'ultimo, del 7 ottobre 2022.

Il supporto fornito attraverso i predetti decreti, unitamente agli sforzi compiuti dai nostri partner, hanno consentito all'Ucraina di resistere e di guadagnare terreno, a fronte di un'aggressione avvenuta in spregio alle norme del diritto internazionale e che sta drammaticamente devastando una Nazione sovrana, arrecando notevoli sofferenze alla sua popolazione.

Ricordo, inoltre, che il comma 3 del richiamato articolo 2-bis prevede che il Ministro della Difesa e il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con cadenza almeno trimestrale, riferiscano alle Camere sull'evoluzione della situazione in atto, anche alla luce di quanto disposto dai precedenti commi 1 e 2, che disciplinano appunto la cessione di armi. Peraltro, ritengo opportuno segnalare che la proroga consente alla Nazione di continuare, sulla base di quanto concordato con i nostri alleati in sede NATO e Unione europea, a sostenere le Forze armate di un Paese aggredito, attraverso procedure semplificate e con la tempestività che una crisi internazionale, come quella in corso alle porte dell'Europa, richiede.

Ciò premesso, ricordo che il Parlamento si è espresso in diverse occasioni sul tema oggetto del decreto. In data 1° marzo 2022, il Senato e la Camera dei deputati, a conclusione delle comunicazioni sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina rese dal Presidente del Consiglio, hanno approvato rispettivamente le risoluzioni nn. 6-00208 e 6-00207, che hanno impegnato, tra l'altro, il Governo ad attivare, con le modalità più rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie per assicurare assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché - tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati - la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione. Tale orientamento è confermato nelle successive risoluzioni nn. 6-00226 e 6-00224, approvate rispettivamente dal Senato e dalla Camera nelle sedute del 21 e del 22 giugno, in occasione delle comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno 2022. Le citate risoluzioni hanno impegnato il Governo, tra l'altro, a continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari.

Tornando al provvedimento in esame, lo scorso 13 dicembre, dopo le comunicazioni del Ministro della Difesa, Guido Crosetto, il Parlamento ha concesso l'autorizzazione, con l'approvazione - alla Camera - delle risoluzioni Serracchiani ed altri n. 6-00012, Richetti ed altri n. 6-00014 e Foti, Molinari, Cattaneo e Lupi n. 6-00016 e - al Senato - delle risoluzioni Paita n. 6-00002 e Malan n. 6-00005, nei testi riformulati, e Malpezzi n. 6-00003, perfezionando in questo modo l'atto di indirizzo previsto dalla norma e propedeutico a eventuali cessioni.

Dopo l'approvazione al Senato, anche le Commissioni riunite affari esteri e difesa della Camera hanno approvato, senza modificazioni, il testo del decreto-legge, procedendo speditamente nell'iter di un provvedimento necessario, quanto doveroso.

Avviandomi alla conclusione, dunque, segnalo che dall'attuazione del provvedimento non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che i materiali e i mezzi oggetto di cessione sono già nelle disponibilità del Ministero della Difesa. Inoltre, le cessioni, al pari di quelle realizzate degli altri Stati membri, sono parzialmente rimborsate dall'Unione europea attraverso i fondi dello strumento europeo per la pace, da ultimo rifinanziato per l'Ucraina fino a 3 miliardi di euro per materiali di armamento e di equipaggiamento.

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo ha comunicato per le vie brevi che si riserva di intervenire in fase di replica.

È iscritto a parlare il deputato Fabio Porta. Ne ha facoltà.

FABIO PORTA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Signor rappresentante del Governo, colleghi, mentre oggi ci troviamo a discutere sulla proroga dell'autorizzazione alla cessione dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari all'Ucraina, i rumori nefasti delle artiglierie risuonano nell'aria fredda che avvolge quella terra. Le forze armate ucraine e russe sono impegnate su tutto il fronte, mentre i Paesi della NATO si incontrano per coordinare gli aiuti, con l'invio da parte degli Stati Uniti, per esempio, di oltre 2 miliardi e mezzo di dollari in armamenti. Si tratta di aiuti necessari per contrastare la superiorità numerica dei russi nelle varie aree di battaglia.

Non possiamo tacere di fronte alla sofferenza e alla devastazione provocata dalla guerra, comprese le violenze sulla popolazione civile. Per questa ragione siamo qui oggi, impegnandoci di fronte al popolo italiano sui valori da preservare e sulla democrazia da difendere, discutendo apertamente su cosa fare, su come lavorare e, prima di tutto, voglio sottolinearlo, per aiutare ad avere una pace che possa durare nel tempo. Lo facciamo con lo strumento legislativo, impegnandoci ad aiutare chi è aggredito a difendersi anche in deroga alla legge n. 185 del 1990, e lo dico da pacifista, da persona che ha sempre lavorato per la pace nel mondo, a cominciare dal mio impegno nella cooperazione internazionale. Ma oggi si tratta di evitare che un popolo sia travolto, che un Paese sia cancellato dalla storia e dalle cartine geografiche, che una cultura sia annullata.

Questi obiettivi riflettono i valori condivisi e sono coerenti con gli obblighi che l'Italia ha assunto con la partecipazione alle Nazioni Unite, all'Unione europea e all'Alleanza atlantica. L'attuale crisi internazionale, che vede coinvolta l'Ucraina insieme ad altri Paesi geograficamente limitrofi e Stati occidentali accomunati dai medesimi valori di pace e democrazia, incide sugli equilibri geopolitici e mina profondamente la sicurezza e la stabilità internazionale. Sappiamo tutti che l'ONU è debole nell'affrontare le nuove crisi; anche questo è un problema che andrebbe analizzato e risolto, mettendo da parte ruoli egemonici che, nell'attuale contesto, risultano in gran parte superati.

Eventi recenti, a partire da quello che è successo in Afghanistan, hanno dimostrato quanto sia decisiva l'azione delle organizzazioni regionali, che rivestono un ruolo suppletivo sempre più consistente, quasi a voler parcellizzare il mondo e dividerlo in quadranti, lasciando a ciascuna area regionale il compito di gestire i conflitti.

Nell'attuale mondo globalizzato, siamo tutti interconnessi e non soltanto tramite la rete Internet e le crisi di vario genere che hanno investito le nostre società, penso a quella climatica, ma anche a quella pandemica e, infine, alla stessa crisi umanitaria che si sta consumando proprio in Ucraina. Tutte queste crisi dimostrano come siamo interdipendenti e che non troveremo soluzioni accettabili per tutti, se non per mezzo della collaborazione e del dialogo tra i popoli e le Nazioni, all'insegna della fraternità e della consapevolezza di un comune destino.

La cooperazione e il dialogo, però, richiedono la presa di coscienza delle comuni responsabilità, ma anche delle responsabilità differenziate; sì, perché le crisi non scoppiano per caso e non c'è mai la responsabilità di uno soltanto e non tutti sono responsabili allo stesso modo. I costi della guerra e per la pace, poi, vanno ripartiti e, spesso, a pagare un prezzo troppo alto sono le persone più povere e vulnerabili, gli innocenti.

In altro modo, citando il messaggio di Papa Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2002, direi che non c'è pace senza giustizia e non c'è giustizia senza perdono. Quel messaggio fu pronunciato pochi mesi dopo gli eventi drammatici dell'11 settembre, che, in un certo modo, hanno cambiato le sorti del mondo. Siamo corresponsabili del futuro che vogliamo per i nostri figli e del modello di crescita che intendiamo adottare e promuovere; siamo responsabili nei confronti dei nostri cittadini, soprattutto dei più deboli e di quelli che si aspettano da noi un aiuto o un sostegno. E, qui, il discorso sulle risorse e sulla cooperazione allo sviluppo ci porterebbe lontano.

Ma torniamo al tema di oggi. Riprendo quanto ha detto il Presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno, con la speranza che il 2023 potesse portare un'inversione di tendenza di questa inutile violenza che ha turbato il mondo. I fatti, purtroppo, stanno andando diversamente e a noi corre un obbligo morale - e non solo morale - di aiutare chi è in difficoltà, anche nella prospettiva di ristabilire il diritto e la pace tra i popoli, secondo un ordine internazionale basato sulla democrazia e non sulla forza.

Oggi, vogliamo ribadire l'importanza della legittima difesa di uno Stato, anche con una reazione armata e con l'ausilio di Stati terzi, per mantenere la sua integrità territoriale, la sua indipendenza, un diritto naturale richiamato anche dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, per cui non va pregiudicato il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva nel caso in cui abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite stesse.

Quindi, con il nostro consenso a questo provvedimento, vogliamo ribadire il diritto dell'Ucraina a difendersi e a preservare la sua identità.

Altra questione è quella delle origini profonde del conflitto, che richiederebbe un'accurata analisi delle relazioni internazionali e delle motivazioni culturali, non solo economiche, nonché dei rapporti di forza in Paesi che si trovano alle porte dell'Europa comunitaria. Con ciò non vogliamo entrare nel dibattito, mai risolto, sul concetto di guerra “giusta”. Il desiderio di potenza mascherato da esigenze securitarie, troppe volte ha finito per mettere a repentaglio la pace e la giustizia tra le Nazioni, che sono i fini posti all'origine della decisione di creare l'Organizzazione delle Nazioni Unite. La comunità internazionale, del resto, con i suoi valori e i suoi principi, è sempre un edificio in costruzione, in cui ogni membro tende all'ideale proclamato universalmente nella pratica attraverso la condivisione delle responsabilità.

Oggi, siamo in linea con i nostri valori, con i nostri principi, che sono quelli della Costituzione, che fanno parte dell'identità costitutiva del nostro Paese e dell'Unione europea. Un Paese – lo ripeto - che lavora anche per la pace, aiutando i popoli aggrediti; un Paese che cerca, però, insieme, la strada del dialogo, un lavoro in continuità - non dimentichiamolo - con quello iniziato dal Presidente Draghi nello scorso Governo, contribuendo a costruire le condizioni, affinché il dialogo possa realizzarsi con l'inizio dei negoziati. Si tratta di un fatto che difficilmente potrebbe verificarsi, se vi fosse troppo squilibrio di forze in campo. Non sfugge a nessuno, nemmeno in quest'Aula, che, oggi, la Russia vanta mezzi e uomini più numerosi dell'Ucraina, che, per esistere, ha bisogno del nostro aiuto.

Signor Presidente, qualche giorno fa, abbiamo celebrato la forza mite e il coraggio di David Sassoli; con quella stessa forza, con quella stessa mitezza, oggi, vogliamo stare al fianco dei più deboli e dire che non possiamo tacere sulle ingiustizie e sulle sopraffazioni, sia quelle interne, sia quelle internazionali. È per questo che siamo qui, pronti a votare questo provvedimento di fornitura di strumenti per difendersi.

Dunque, non siamo indifferenti, possiamo aiutare il più debole a difendersi di fronte al mondo che ci guarda e, se oggi tocca all'Ucraina, domani potrebbe toccare a un altro, secondo una nuova dinamica che andrebbe a definire un nuovo ordine mondiale basato sulla forza.

Noi, alla forza della sopraffazione, opponiamo la forza del diritto e non a caso siamo gli eredi di quella civiltà che ha avuto un'influenza enorme sullo sviluppo del diritto in Occidente. Lo facciamo consapevoli dell'importanza di un'azione comune con l'Unione europea, perché, come ha detto il Presidente Charles Michel, non può esistere un'Europa indipendente e sicura senza un'Ucraina indipendente e sicura e l'Unione europea sta contribuendo, in molti modi, alla soluzione del conflitto, non soltanto con mezzi politici e diplomatici, nell'ambito della politica di sicurezza comune, ma anche mediante il sostegno finanziario agli Stati membri.

Vale la pena ricordare, nella conversione di questo decreto, che la cessione di armamenti all'Ucraina viene rimborsata parzialmente dall'Unione europea agli Stati membri, avvalendosi dello strumento europeo per la pace, che è un fondo fuori bilancio dell'Unione europea di circa 5,7 miliardi per il periodo 2021-2027.

Vogliamo agire in politica, qui e ora, per governare i processi storici, non per subirli, per costruire la pace e non per vederla imposta. Si vis pacem para pacem, direi parafrasando la nota locuzione latina, e noi la pace la vogliamo veramente e perciò la prepariamo, aiutando chi è aggredito a rialzarsi e a guardare con fiducia a un futuro insieme, per un'Europa libera e indipendente.

Come Partito Democratico, fin dai primi giorni della guerra di aggressione scatenata dal regime di Putin, abbiamo detto parole chiare e contribuito, in modo determinante, a far sì che l'Italia si ponesse all'altezza della drammaticità di quello che stava e sta accadendo. Sapevamo bene, peraltro, chi era e chi è Putin e quali sono le caratteristiche del suo regime. Non abbiamo mai avuto, a differenza di altri, ambiguità nel giudizio politico sugli attacchi alle libertà democratiche all'interno e sulle azioni di aggressione verso l'esterno.

È per questi motivi che, oggi, non è in gioco soltanto il nostro rapporto con la Russia, ma sono in gioco il nostro rapporto e la stabilità globale in tanti altri scenari, in tanti altri teatri. Altri Paesi, quelli con pulsioni aggressive e regimi autoritari e quelli con dispute territoriali aperte in regioni lontane dalle nostre, osservano attentamente quello che accade ora con la Russia e, in base a come noi reagiamo, in base ai costi che la Russia dovrà sostenere, capiranno se e quanto a loro convenga azzardare qualcosa di simile. La nostra reazione di oggi, quindi, quella che permette all'aggredito di difendersi e all'aggressore di dover pagare un prezzo enorme, è il miglior modo per evitare nuove guerre domani.

Vado alla conclusione. Colleghi, la fermezza sulla vicenda ucraina non solo determinerà la nostra credibilità in futuro, ma definirà la sostenibilità delle premesse del nuovo ordine mondiale che uscirà da questa guerra, perché non vi è chi non veda e chi non colga un parallelismo, anche sinistro, tra quello che accade oggi in Ucraina e quello che potrebbe accadere domani, per esempio a Taiwan, se il mondo oggi scegliesse l'ignavia: in Ucraina, cioè, si sta testando la tenuta dei principi del diritto internazionale.

Siamo d'accordo su questo, oppure pensiamo che se Mosca prevalesse ciò non avrebbe conseguenze su tutti noi? Guardate, è il solo modo per rendere politicamente concreta la prospettiva di pace, perché è a questo che oggi siamo chiamati e non possiamo limitarci alle declamazioni. La politica è sì testimonianza, ma dalla testimonianza si deve passare alla concretezza, altrimenti è un'altra cosa. È per questo che la fermezza sui princìpi del diritto internazionale è una precondizione necessaria e indispensabile, anche per impedire che la logica della guerra sia pagante. Se oggi ci voltassimo da un'altra parte, passerebbe l'idea che chi fa la guerra ha ragione.

Signor Presidente, voglio concludere - e me lo permetta - tornando a citare David Sassoli, che, di fronte alle sanzioni che il Governo di Mosca emise, disse nell'Aula del Parlamento europeo: “Non ci faremo intimidire”. Noi, molto più modestamente, ma con la fermezza e la convinzione che i princìpi di fondo vanno difesi contro la prepotenza e la brutalità nella convinzione di servire le ragioni e i valori in cui crediamo, continueremo a farlo anche con scelte come queste. Per questo il gruppo del Partito Democratico voterà senza esitare a favore su questo provvedimento e a favore della libertà e della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Saluto le studentesse, gli studenti e gli insegnanti dell'Istituto comprensivo “Marco Polo” di Roma, che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Ha chiesto di parlare il deputato Pino Bicchielli. Ne ha facoltà.

PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, l'esame di questo provvedimento cade in un momento particolare del conflitto russo-ucraino e anche del dibattito in sede internazionale sull'entità e sulla tipologia delle forniture militari da assicurare a Kiev per continuare a difendersi dall'aggressore, perché, signor Presidente, in questa guerra c'è un aggressore e c'è un popolo aggredito e non dobbiamo mai dimenticarlo nei nostri ragionamenti e nelle nostre scelte.

Il decreto che oggi discutiamo, che rappresenta il sigillo parlamentare alla possibilità di continuare a inviare all'Ucraina aiuti e mezzi, testimonia due cose: in primo luogo, che il nostro Paese è un attore serio e affidabile, deciso a fare fino in fondo la propria parte dalla stessa parte; in secondo luogo, soprattutto, testimonia che questa parte è la parte giusta.

Una politica capace di assumersi le proprie responsabilità ha saputo tenere la barra dritta su posizioni che l'emergenza energetica e le sue ripercussioni economiche hanno reso a tratti impopolari. Oggi, che le dinamiche di quell'emergenza appaiono più nitide e che l'orrore del campo di battaglia fa strame di una propaganda tanto abile quanto fuorviante, le difficili scelte compiute trovano ragione non solo nei fatti, ma anche nelle opinioni di un numero sempre maggiore di persone.

Presidente, colleghi, questo decreto è perfettamente in linea con le posizioni con le quali il gruppo di Noi Moderati ha sempre inteso qualificare il proprio contributo all'attività della maggioranza di Governo: una chiara collocazione euro-atlantica; la lealtà alle alleanze storiche e strategiche del nostro Paese; la partecipazione attiva e il rafforzamento del ruolo italiano nello scenario internazionale; il sostegno alla costruzione di una difesa europea più strutturata; la difesa della libertà dei popoli e dell'integrità degli Stati sovrani.

A noi sembra che i fatti diano ragione all'Italia, eppure, ancora oggi, nei nostri confini, c'è chi alimenta strumentali ritrosie, evocando addirittura la prescrizione costituzionale del ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Si parla di pace con la stessa profondità con la quale si potrebbe evocare la pace nel mondo in un concorso televisivo a premi e si dimentica, per questo, che è vero che la nostra Costituzione ripudia la guerra ma è una Carta ordinamentale e non un libro dei sogni.

Il divieto di effettuare le movimentazioni di prodotti per la difesa vige, dunque, quando queste contrastino con gli impegni internazionali dell'Italia, con gli accordi di non proliferazione e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi. Vige quando non vi sono adeguate garanzie sulla destinazione degli strumenti di difesa o quando vi sia il dubbio che essi possano essere utilizzati a loro volta a fini di aggressione. Prescrizioni, dunque, che non solo oggi non vengono violate, ma il cui rispetto può essere garantito solo facendo la nostra parte, senza voltarci dall'altra parte di fronte a un'aggressione dalla quale non si accenna a recedere e che ogni giorno di più mostra la propria brutalità.

Sono, dunque, questo Governo e questa maggioranza - e non le anime belle fautrici di una resa mascherata da pacifismo - a ripudiare davvero la guerra, la guerra scelta dalla Russia come strumento di risoluzione di una questione annosa e spesso evocata nella sua complessità, senza considerare che l'invasione di uno Stato sovrano ha spostato su un altro e definitivo piano qualsiasi possibile valutazione sui contrasti territoriali pregressi. La Russia ha riportato la guerra nel cuore dell'Europa e non è consentito rimanere inerte a una Nazione che è membro dell'Unione europea e che ripudia la guerra.

Ci era stato detto che sarebbe stata la posizione dell'Occidente a ostacolare le prospettive di pace. Ebbene, signor Presidente, ciò che sta accadendo sul fronte credo che sia sotto gli occhi di tutti ed è sotto gli occhi di tutti che una prospettiva di pace giusta debba passare dalla difesa dell'integrità dell'Ucraina e dal sostegno alla lotta di libertà del suo popolo.

Ci era stato detto che sanzioni e invio di armi sarebbero stati sufficienti a gettare l'Italia in una crisi energetica senza scampo; invece, l'azione incisiva del Governo italiano in sede internazionale ha dimostrato come la partita del prezzo del gas sia assai più complessa e come possa essere affrontata con determinazione, senza per questo piegare la testa di fronte ai soprusi e alle violazioni del diritto degli Stati e dei popoli.

Poi, ci era stato detto che il fronte occidentale si sarebbe sgretolato sotto il peso delle differenze interne, che la potenza russa si sarebbe imposta, che la lotta degli ucraini avrebbe ceduto il passo alla resa. Invece, nulla, nulla e nulla di tutto ciò sta accadendo.

Era stato detto agli italiani, infine, che un Governo finalmente politico, espressione della sovranità popolare, sostenuto da una maggioranza chiara, sarebbe stato debole in Europa e nel mondo, privo della legittimazione che evidentemente, secondo alcuni, può derivare solo dalla militanza a sinistra. Anche in questo caso poche settimane sono state sufficienti a smentire i profeti di sventura.

Presidente, non molto tempo fa quest'Aula ha approvato una risoluzione, che personalmente ho cofirmato a nome del mio gruppo, che ribadiva gli impegni internazionali dell'Italia, confermava la posizione del nostro Paese nel conflitto russo-ucraino e invitava a un sempre maggiore protagonismo per affermare, in Europa e nel mondo, una visione improntata ai nostri valori di libertà e a una governance in grado di renderli concreti. Questo provvedimento dà un seguito ideale a quell'atto parlamentare di indirizzo e lo fa, ancora una volta, coinvolgendo le Camere a pieno titolo nel processo decisionale, mentre il Governo era stato accusato dai soliti noti di non voler fare. Il nostro sostegno, quello di Noi Moderati, è convinto e totale.

Questa guerra ci colpisce per diversi aspetti, non da ultimo per l'impatto economico, ma prima di tutto per l'aspetto di una solidarietà umana che colpisce con particolare intensità, perché, anche se non è certo la latitudine a determinare la gravità degli accadimenti, vedere giungere dalle porte del nostro continente immagini come quelle che i mezzi di comunicazione quotidianamente ci trasmettono e che eravamo abituati a collocare così lontano dal nostro immaginario di occidentali, figli di decenni di pace, colpisce con particolare durezza. Il coinvolgimento diretto della popolazione civile imprigionata nei territori degli scontri, il cui perimetro si allarga sempre più rispetto alla linea del conflitto, la fuga, i chilometri di auto e di persone incolonnate a piedi con i loro cari e i pochi averi, costrette a lasciare le proprie case senza la certezza del ritorno, il coraggio di chi ha deciso di imbracciare un'arma per difendere la propria terra, tutto questo, signor Presidente, non può lasciarci indifferenti. Non può lasciarci indifferenti il crudo anacronismo di una guerra sul campo che sembra traslata dal secolo scorso. Non possono lasciarci indifferenti le parole cupe che sono tornate a echeggiare, che pensavamo di avere lasciato in un'altra epoca e alle quali dobbiamo impedire di far parte del nostro futuro.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA (AVS). Grazie, Presidente. Il decreto-legge 2 dicembre 2022, n. 185 - tralascio la coincidenza dei numeri delle leggi -, di cui il disegno odierno di legge alla nostra attenzione chiede la conversione in legge, è molto scarno, consta di due articoli: il primo, la proroga di termini in materia di cessioni di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari, il secondo, l'entrata in vigore. Tra poco sarà passato un anno dall'inizio di una guerra che è costata moltissimo, innanzitutto in termini di vite umane, in una distruzione e in una devastazione che non hanno precedenti in Europa dal 1945. Se questo è stato l'anno della guerra, dobbiamo concentrare gli sforzi affinché il 2023 sia l'anno della fine delle ostilità, del silenzio delle armi, del fermarsi di questa disumana scia di sangue, di morti, di sofferenze. Queste le parole che ci consegna il Presidente Mattarella in occasione del messaggio di fine anno. Quello che abbiamo auspicato, e sento anche qui, oggi, risuonare in quest'Aula, e che anche appunto il Presidente della Repubblica ha auspicato nel suo messaggio, era che appunto nel 2023 il silenzio delle armi facesse rumore e che finissero le sofferenze per milioni di civili e anche di militari, e che vi fosse la fine di questa inutile, disumana strage. Ieri, il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, nonché Vicepremier, Tajani, in un'intervista al Corriere della Sera, precisa che l'Italia ha già fornito all'Ucraina cinque pacchetti di aiuti per circa un miliardo di euro e che è in preparazione un sesto pacchetto che include i noti sistemi di difesa aerea, i famosi SAMP/T, in collaborazione con la Francia. Afferma anche che le necessità logistiche e di forniture militari saranno determinanti per l'evoluzione del conflitto.

Ovviamente, sappiamo tutti che, quando si mandano le armi, non è che lo si fa come fossero sacchi di grano per fare il pane. Si mandano le armi e poi bisogna provvedere anche al mantenimento di questi strumenti di morte, da una parte, e, dall'altra, anche alla loro sostituzione, credo, nell'ambito delle risorse della Difesa italiana. Quindi, laddove si dice che non c'è spesa, che non ci sarà spesa, avrei qualche dubbio. È vero che il Consiglio dell'Unione ha disposto 3 miliardi di euro - 3 miliardi di euro! - di cui 180 milioni per forniture “non letali”, disposizione che forse andrebbe precisata meglio, però è del tutto evidente che noi ci apprestiamo a una politica della difesa nazionale ed europea che prevede, così come è accaduto, d'altronde, in tutti, o quasi tutti, i Paesi dell'Unione europea, un aumento che forse andrà oltre il 2 per cento che la NATO ci richiede. Su questo chiedo, e credo sia indispensabile, un confronto all'interno di quest'Aula, all'interno del Parlamento.

Mi ha molto colpito il fatto che da parte di questo Governo, e segnatamente mi riferisco all'intervista del Ministro Tajani, non si senta una parola che esprima un'idea di quale possa essere la strategia per dare corso a quanto accoratamente dichiarato dal Presidente della Repubblica e a quanto disperatamente invocato da Papa Francesco e da chi, come me, ha veramente a cuore la pace con la “P” maiuscola, da chi crede sia possibile promuoverla, agire, anche se in questo momento non sembra aprirsi alcuno spiraglio. D'altronde, quando i conflitti sono così terribili e così nel pieno della loro forza di morte e della loro logica dei rapporti di dominio e di forza, è molto difficile intravedere spiragli. Mi rendo conto che sia molto difficile, però bisogna tenerla viva questa volontà di exit strategy rispetto a una tragedia che non possiamo dare per ineluttabile, per naturale.

Credo che, a quasi un anno dall'invasione russa dell'Ucraina, sempre di più aumentino gli italiani e gli europei, le italiane e le europee che temono non solo per la crisi economica, non solo per la crisi energetica, ma per quanto accadrà a fronte di questa forte incertezza, che noi cogliamo fino in fondo, circa l'esito di questo conflitto. Questo non lo dico io, lo dicono anche gli analisti più esperti e i giornalisti più attenti, che anche lavorano e agiscono, e li ringrazio per questa loro preziosissima opera nei luoghi dei conflitti. Mi sembra, tra l'altro, anzi, non mi sembra, ma so, sappiamo che si sta sempre di più assottigliando all'interno dell'Unione europea il numero di cittadine e cittadini che sostengono un invio di armi sempre più consistente, e che pare quasi dovere essere illimitato, all'Ucraina.

La sensazione sempre più diffusa è che questo conflitto non verta più esclusivamente sul diritto di un singolo Paese a difendere il suo popolo, ma che si stiano sommando interessi politici ed economici che varcano i confini dei due Paesi belligeranti, coinvolgendo Governi e stakeholder di diversi continenti, questo è sotto gli occhi di tutti. Purtroppo l'azione di questo Governo, sulla scia di quello precedente, si sta limitando solo alle forniture militari.

Non c'è traccia - ripeto - di alcuna vera azione diplomatica, di un lavoro per il cessate il fuoco, di un impegno concreto nel trovare una soluzione diversa dalla logica, terribile, di “vincitori e vinti”. In questi mesi l'Italia ha varato diversi decreti-legge per inviare armi all'Ucraina; questo è il quinto e se n'è aggiunto un sesto, come ho già sottolineato, ma il Paese è disorientato, Presidente, Ministro e rappresentante del Governo. È disorientata l'Europa, è disorientato il mondo. Il Governo ha il dovere di fare chiarezza, di dar conto, in Parlamento e fuori dal Parlamento, di quale strada intenda intraprendere. Per questo, un emendamento del collega Fratoianni, presentato nelle Commissioni riunite III e IV in sede referente, prevede che, per ogni singola autorizzazione, ci sia la votazione di uno specifico atto di indirizzo, in modo da dare trasparenza alla politica e alle scelte del Governo e la possibilità che venga conosciuta in tutti i suoi aspetti, presenti e futuri. Noi abbiamo condannato, con estrema durezza e nettezza, la guerra di aggressione di Putin contro l'Ucraina e abbiamo espresso solidarietà indiscussa a questo Stato sovrano e vicinanza incondizionata e dolente al popolo, alle donne, alle bambine e ai bambini, agli uomini, giovani e anziani, che hanno subito e continuano a subire attacchi criminali, massacri, atrocità, violenze di ogni genere, anche sessuali, stupri e crimini di guerra, che dovranno essere scrupolosamente indagati e giudicati dalle Corti di giustizia competenti anche internazionali.

Un attacco è stato inferto nel cuore dell'Europa, compromettendone l'equilibrio e l'ordine geopolitico. Non è a rischio solo la tenuta sociale ed economica dell'Unione europea, e non solo, direi, a causa della dipendenza dall'energia fossile di origine russa, ma è compromessa la stessa speranza che si possa davvero realizzare una civiltà umana in cui i conflitti non si risolvano con le armi, come recita l'articolo 11 della Costituzione, e in cui gli investimenti nei settori che producono morte siano progressivamente dismessi, in favore di quelli da destinare alla vita e alla sua cura. Qui leggo una profonda, atavica, differenza tra una cultura di origine patriarcale e una cultura, invece, che si radica nel pensiero e nell'elaborazione di origine femminile. Proprio perché, successivamente a questa discussione, discuteremo l'istituzione di una Commissione sul femminicidio, mi sono chiesta: quale produzione culturale e storica, quale pensiero, che ha potuto produrre la realtà della guerra, si è costituito, rafforzato e rinnovato, nei secoli, contro le donne? Contro le donne che producono la vita e che curano la vita e che anche in Ucraina continuano a garantirla. Ho potuto leggere in questi giorni messaggi di pacifiste ucraine che, pur rivendicando la loro estraneità e totale contrarietà al conflitto, stanno lì. Così come Simone Weil pensava alla costituzione di un corpo di infermiere di donne, da mandare sulle linee del conflitto, non ad uccidere, ma a prestare la loro cura, queste donne ucraine, nella disperazione, offrono la loro opera, la loro assistenza e perfino il loro sangue, per i feriti della guerra e per i militari. Vorrei, quindi, che pensassimo alla guerra come a un evento umano che dobbiamo riuscire - dentro di noi, interiormente, culturalmente, politicamente, istituzionalmente - a corrompere e a decomporre e che vedessimo di più e oltre. Invece, mi pare che tutto vada altrove e in diverso modo. Credo che, di fronte agli 8 milioni di abitanti dell'Ucraina, costretti ad abbandonare la propria casa, il Paese e le città, di fronte ai 6.600.000 che sono espatriati e profughi, ci sia da fare una grande riflessione, perché i danni già prodotti da questa guerra sono davvero immensi. Serve un'iniziativa per una grande conferenza internazionale che disinneschi le ragioni esplicite e implicite della guerra, un'iniziativa da prendere velocemente, fintanto che l'Occidente ha ancora l'autorevolezza per guidarla. Nessuno sa se questa iniziativa potrà avere successo, ma sarebbe doveroso provarci. Non credo che possiamo pensare che l'unica strada sia quella delle armi e della guerra. Non è così e non è mai stato così: bisogna pensare prima a come uscirne! È necessario prendere atto che, dopo mesi di guerra, la diplomazia ancora non ha trovato cittadinanza. La politica risulta completamente assente e le scelte fatte finora dalle cancellerie internazionali vanno nella direzione di una guerra senza fine. Negoziare non vuol dire trovare la pace da un giorno all'altro; vuol dire fermarsi, probabilmente presidiare con forze di sicurezza internazionale le aree dove ancora si combatte, vuol dire salvare vite umane ucraine dopo mesi di guerra, vuol dire non usare più quelle vite umane come un regolamento di conti tra Stati internazionali per la sistemazione del mondo, vuol dire salvaguardare le vite e la resistenza nazionale ucraina intorno ad un tavolo diplomatico. So che c'è addirittura chi, come Federico Rampini sul Corriere della Sera del 18 o 19 gennaio, ritiene che gli aiuti militari procedano addirittura con il contagocce e che la vicenda Leopard, i tank che gli ucraini da tempo chiedono ai tedeschi, sia una beffa crudele.

Io so che c'è chi, tra noi, anche tra noi Verdi e nella famiglia dei Verdi europei, pensa che l'autodifesa sia legittima e che l'aiuto all'Ucraina, Stato sovrano aggredito e invaso militarmente dalla Russia putiniana, sia inevitabile e doveroso, un aiuto non soltanto umanitario, ma anche militare. Una guerra scatenata unilateralmente - va ribadito - e che inizia nel 2014 con l'annessione della Crimea.

So che c'è chi dubita che le democrazie siano in grado di sostenere moralmente, oltre che finanziariamente, gli impegni che questo conflitto sembra richiedere. C'è chi, come Caracciolo, oggi, su La Stampa, a fronte della presunta superiorità numerica e di risorse della Russia, ritiene che solo un intervento NATO possa invertire i rapporti di forza. Mi chiedo cosa il Governo risponda rispetto a tali questioni.

Per concludere questo intervento, ritengo che, sì, abbiamo il dovere di ascoltare le voci delle donne e degli uomini che chiedono aiuto per potersi difendere dall'invasione violenta di Putin, ma dobbiamo anche interrogarci sulla dinamica della guerra e su come l'invio di armi possa alimentarla. È certo che noi e il Governo non possiamo tirarci fuori e non possiamo esimerci dal contribuire con proposte anche concrete per intraprendere - come dicevo e chiedevo all'inizio - una exit strategy. I modi per arrivarci ci sono. Cito, tra le tante proposte, anche quella che si evince dalla lettera appello degli ambasciatori italiani dell'ottobre 2022, ma queste sono voci ancora troppo flebili.

Il rischio è che il cosiddetto pacifismo, a cominciare anche da quello espresso dal Santo Padre, sia confinato nella mente di chi ci governa e anche di chi è presente in Parlamento e venga relegato a un'ideologia perdente e passata, mentre ritengo che, solo radicando la nostra iniziativa politica e la nostra politica estera e della difesa segnatamente in quelle radici, possiamo davvero avere la possibilità di pensare l'impensabile, ciò che ancora non si vede. Infatti, è lì che ci sarà la risposta alle grandi domande che la realtà ci chiede; tale realtà ci impone che se ne faccia carico non soltanto il Governo, ma tutto il Parlamento, tutto il Paese e chi ha a cuore davvero la realizzazione di una civiltà, non dico pacifica, ma in cui i conflitti non siano mortiferi, in cui non prevalgano i rapporti di forza di chi è più potente e comanda sugli altri; una civiltà più a misura femminile rispetto a quella maschile, così come si è espressa nei millenni, va detto non molti, di suo dominio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il provvedimento che quest'Assemblea si accinge a esaminare è stato approvato in prima lettura, senza modificazioni, dall'Assemblea del Senato, nella seduta dello scorso 11 gennaio, e reca l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina. Un provvedimento che si pone in continuità con le decisioni assunte nella XVIII legislatura dal precedente Governo e che il Parlamento aveva avallato quasi all'unanimità.

Era, infatti, il 25 febbraio 2022 quando, il giorno successivo all'invasione russa, veniva promulgato il decreto-legge n. 14 che autorizzava, fino allo scorso 31 dicembre e previo atto di indirizzo delle Camere (che venne approvato il 1° marzo 2022), la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative di Kiev. Il provvedimento, come dicevo, fu sostenuto da tutte le forze che, all'epoca, sostenevano il Governo Draghi, compreso il MoVimento 5 Stelle.

Con la nuova legislatura, la maggioranza di centrodestra ha confermato la posizione dell'Italia di totale sostegno all'Ucraina, come ribadito dalla Presidente Meloni nel suo discorso programmatico di fronte a quest'Assemblea. Lo scorso 30 novembre, questa Camera ha approvato la mozione di maggioranza che impegnava il Governo a sostenere le iniziative normative necessarie a prorogare, fino al 31 dicembre 2023, l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari, e, il successivo 13 dicembre, prima, il Senato e, poi, anche la Camera hanno approvato le risoluzioni di maggioranza presentate dopo le comunicazioni del Ministro della Difesa Crosetto sull'invio delle armi in Ucraina.

Oggi, approvare questo decreto significa ottemperare agli impegni assunti dal nostro Paese nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e della NATO, per affrontare la crisi internazionale in atto in Ucraina e le relative conseguenze sugli equilibri geopolitici, la sicurezza e la stabilità internazionale.

Forza Italia, ovviamente, anche in quest'occasione, sarà del tutto coerente nella sua linea politica che è stata riconfermata in tutte le diverse discussioni e votazioni che, in questi mesi, si sono succedute in materia di conflitto russo-ucraino: ferma condanna dell'ingiustificata aggressione russa, pieno sostegno allo Stato aggredito, anche con la fornitura di armi a scopo difensivo, piena collocazione del nostro Paese all'interno del blocco occidentale, della NATO e dell'Unione europea. Su questo, non solo noi, ma tutti i partiti che compongono l'attuale Governo di centrodestra, non abbiamo mai avuto esitazioni.

Non dobbiamo, però, scordare l'importante aiuto che il nostro Paese ha fornito all'Ucraina sotto il profilo degli aiuti umanitari. L'Italia, anche attraverso la Protezione civile, la Croce rossa e altre encomiabili realtà, si è recata in loco soprattutto nelle aree di confine. Io stesso, nel corso di una recente visita, ho avuto il privilegio di poter ringraziare i nostri uomini, le nostre donne, i volontari presenti sul campo per la loro opera eccezionale.

L'Italia certamente è stata fra i Paesi più generosi. Abbiamo accolto oltre 170.000 profughi fuggiti dalle bombe e dalle devastazioni, abbiamo stanziato - e continueremo a farlo - ingenti somme in favore del Governo di Kiev, stiamo aiutando le autorità a ripristinare la distribuzione di energia elettrica e acqua a seguito dei bombardamenti alle infrastrutture di queste settimane. Saremo pronti a collaborare alla ricostruzione.

Oltre all'aiuto dato dalle nostre istituzioni, non dobbiamo poi dimenticare anche l'insostituibile contributo offerto dalla cooperazione italiana che ha organizzato donazioni e trasporti di beni umanitari per circa 75 tonnellate in collaborazione con le principali istituzioni umanitarie mondiali: un apporto prezioso, un grande impegno.

Noi di Forza Italia, assieme agli alleati di centrodestra, lavoriamo affinché il nostro Governo si faccia promotore e sostenitore, insieme ai partner della NATO e dell'Unione europea, di una pace giusta e sostenibile. Siamo determinati a sostenere l'Ucraina e la sua indipendenza; senza questa, non si può raggiungere una pace giusta, perché si tratterebbe della resa di Kiev.

Ma il Governo sta anche mettendo in campo tutti gli sforzi possibili, affinché ci si possa sedere attorno a un tavolo per un negoziato di pace. Tutti noi vogliamo la pace e vogliamo che questo conflitto, con ripercussioni drammatiche sui cittadini dell'Ucraina, come sui cittadini di tutto il mondo, per l'instabilità che sta portando, cessi il prima possibile, ma nel rispetto del diritto internazionale e dell'articolo 51 della Carta dell'ONU, che sancisce il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva nel caso in cui un Paese sia aggredito. Non solo speriamo che le Nazioni Unite ritrovino un loro ruolo centrale, ma auspichiamo anche un maggior coinvolgimento di Cina, USA e Vaticano per porre fine a questo conflitto, come l'impegno, di chiunque abbia ancora canali, per provare a far ragionare il Presidente Putin.

Bene, quindi, ha fatto la scorsa settimana il nostro Ministro degli Esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani, in visita in Turchia, a ribadire l'apprezzamento del nostro Paese per tutti gli sforzi di mediazione che il Governo turco ha condotto - e continua a condurre - per trovare una soluzione pacifica del conflitto. Fino a quando non si presenteranno le condizioni propizie e fino a quando la forza del negoziato e della ricerca della pace non si sarà imposta, l'Italia dovrà continuare a garantire il pieno appoggio all'Ucraina, consentendole di difendersi dall'aggressore russo - che ha minato l'integrità territoriale di uno Stato sovrano e il suo diritto all'autodeterminazione -, che, nel frattempo, ha varato un piano di riforme per tutto il sistema militare della Federazione, il cui punto essenziale è l'aumento del numero dei militari, che passerà, entro il 2026, a 1,5 milioni di effettivi di leva, a cui si aggiunge la proposta di portare il numero di soldati professionisti a 695.000 unità. Contestualmente, vengono rinnovati i distretti militari di Mosca e Leningrado e costituito un corpo d'armata ai confini della Finlandia; nuovo impulso sarà dato anche al sistema militare industriale russo. Un intervento significativo, dunque, che rappresenta la tappa finale di un percorso che indica la volontà del Presidente Putin di ampliare il numero dei soldati, anche in funzione del proseguimento della guerra; uno scenario inquietante, che non dobbiamo sottovalutare.

A quasi 11 mesi dall'inizio della guerra, non possiamo che ribadire la nostra ferma condanna dell'aggressione della Federazione russa all'Ucraina, con una violazione gravissima del diritto internazionale e un inaccettabile attentato all'ordine mondiale, basato su regole di convivenza pacifica e di dialogo.

Presidente e colleghi, indubbiamente ci troviamo in un tempo molto difficile e turbolento, che mai avremmo pensato di vivere. Un anno fa, l'Occidente ha dimostrato una determinazione ed una coesione che molti, a cominciare dai vertici della Federazione russa, pensavano non riuscissimo ad avere. Ora, quella determinazione e quell'unità vanno confermate: è il momento di non cedere e di non esitare, confermando, sia l'aiuto umanitario, sia quello militare.

L'Italia, tra i protagonisti dell'Alleanza atlantica, proseguirà convintamente nel sostegno all'Ucraina e al suo popolo. Continueremo a fare la nostra parte, perché - come undici mesi fa - negare il sostegno a Kiev significherebbe solo esporre quel Paese alla capitolazione, alla sua sottomissione alle manie imperialiste dell'aggressore e all'inquietante materializzazione, nel cuore dell'Europa, di uno scenario terribile.

Noi questo non lo consentiremo, ma, contestualmente, lavoreremo per creare le condizioni per il dialogo fra le parti e, nel momento in cui si potesse aprire un qualsiasi piccolo spiraglio, l'Italia ci sarà a dare il proprio contributo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lomuti. Ne ha facoltà.

ARNALDO LOMUTI (M5S). Grazie, Presidente. Oggi stiamo discutendo su un decreto che proroga, in modalità quasi di fotocopia, una decisione adottata quasi un anno fa, all'inizio di questa sciagurata guerra, un decreto che, all'indomani della criminale invasione russa, aveva un senso che oggi però non ha, perché la situazione sul campo - è sotto gli occhi di tutti - è innegabilmente cambiata. All'inizio, c'era una potenza militare che ha aggredito una Nazione più debole, che, senza l'aiuto occidentale - dobbiamo dirlo -, sarebbe stata schiacciata e noi, come MoVimento 5 Stelle, quando è iniziata quest'invasione, abbiamo deciso di dire “sì”, in maniera sofferta, ma consapevole, all'invio delle armi.

Oggi, a seguito della controffensiva ucraina e dei riposizionamenti delle Forze armate russe, abbiamo una situazione completamente diversa, una situazione di stallo, che però deve essere colta come un'occasione, una grandissima occasione, per dare finalmente adito alle forze della diplomazia e alle forze della negoziazione. Non siamo soltanto noi, del MoVimento 5 Stelle, che oggi vi consegniamo questa riflessione, ma quanto detto lo sostengono strateghi e generali, a partire dal capo di stato maggiore delle Forze americane, Mark Milley, che cito testualmente: “L'Ucraina ha ottenuto sul campo dei risultati militari oltre i quali difficilmente potrà andare e che l'hanno posta in una posizione di forza per negoziare con la Russia. Questo è il momento giusto per far capire a Putin che la sua strategia è fallita e per convincere Kiev ad evitare sofferenze inutili. Quando c'è un'opportunità per negoziare, quando la pace può essere ottenuta, va colto l'attimo, altrimenti rischiamo una situazione tipo quella del 1915, quando l'Europa si divise dietro le trincee, prolungando per tre anni la Prima guerra mondiale”.

Presidente, non sarà sfuggito a voi e alla maggior parte dei presenti in Aula la citazione della locuzione che fa Mark Milley del sommo poeta latino, Quinto Orazio Flacco, che troviamo nelle Odi, che è quella di cogliere l'attimo, carpe diem, per i più, afferra il giorno. Benissimo, oggi va colto quell'attimo, l'attimo dello stallo, dell'impasse che si è creata, per trovare finalmente una via d'uscita negoziale. Infatti, se oggi non cogliamo l'attimo, è probabile che una delle due forze, per uscire dall'impasse, dia seguito a un'offensiva massiccia e, a questo punto, sarà inevitabile l'apertura di una nuova stagione di escalation militare.

Per questo, è urgente che la comunità internazionale inizi a fare ciò che finora non ha fatto, cioè dare concretezza, con maggiore forza e maggiore convinzione, alla via d'uscita diplomatica per trovare la pace. È il momento che la comunità internazionale inizi a fare quello che non ha fatto, uscire fuori da questa situazione che è imbarazzante. Sono imbarazzanti le parole che sentiamo, ad esempio, dal Segretario generale dell'ONU, Guterres, quando afferma che non è tempo per i negoziati e che la guerra continuerà ed è imbarazzante anche la posizione dell'Unione europea in questo conflitto. Ormai von der Leyen e Borrell utilizzano lo stesso linguaggio che utilizza Stoltenberg, ma la politica estera, la geopolitica, ha bisogno di menti, forse di riflessioni più raffinate.

Lo stesso esimio, autorevole esperto di geopolitica, Lucio Caracciolo, afferma che l'Unione europea in questo conflitto è perfettamente sovrapponibile al ruolo che sta giocando la NATO. Benissimo, per non dire male, non basta certo qualche telefonata, qualche passerella televisiva o qualche visita a Kiev, per dire che noi siamo quelli che cerchiamo la pace. Per cercare la pace occorre un lavoro molto più serio, molto più duro. Serve convinzione per intraprendere questa via, perché non è una via sicuramente facile. La via più facile è quella di continuare a inviare armi, ma non è certo la soluzione giusta. Costruire la pace è difficile, ma certo non è impossibile. Il primo passo verso la pace, che tutti diciamo di volere, è credere noi per primi che sia possibile ottenerla e quindi agire di conseguenza, coerentemente, lavorando per il dialogo, non per alimentare lo scontro. Purtroppo, invece, da quanto emerge dalle notizie di stampa, dal vertice di Ramstein, ma anche da quanto stiamo ascoltando dagli interventi del partito trasversale della guerra, che abbiamo ascoltato poc'anzi, si sceglie la via della guerra, la via del rifornire armi su armi, perché la soluzione deve essere quella della sconfitta della Russia sul piano militare. Ma è molto pericoloso, attenzione, signori, perché, come dicevo prima, la politica estera ha bisogno di riflessioni ben più raffinate. Non possiamo risolvere il problema come se stessimo affrontando una rissa da bar, perché, se noi diciamo che bisogna attuare un whatever it takes, sconfiggere ad ogni costo la Russia sul piano militare, questa è follia. È follia, signori, perché poi penso che ritorniamo a quel film, Il dottor Stranamore, dove non si tiene conto della delicatezza e della complessità della situazione geopolitica del conflitto russo, delle cause e delle possibili soluzioni. Infatti, se noi diciamo che dobbiamo sconfiggere assolutamente la Russia sul piano militare, comprendendo anche l'acquisizione della Crimea, allora stiamo scommettendo che la Russia sta bluffando e che risponderà con una risposta nucleare. Se noi scommettiamo su questo, non facciamo altro che puntare una roulette russa alla testa dell'Europa, e non soltanto dell'Europa, ma del mondo intero. Infatti, innanzitutto cadiamo anche in una contraddizione di principio: usare la forza contro chi usa la forza. Non possiamo risolvere con la forza un conflitto che, tra l'altro, non è nemmeno una “guerricciola”. Questo è un conflitto che può avere degli esiti molto più pericolosi di una semplice “guerricciola”, proprio perché c'è una forte, chiara e concreta minaccia dell'evolversi in una guerra nucleare, quindi utilizzando armi nucleari. Se si vuole sconfiggere la Russia per arrivare allo scopo che Putin abdichi al potere, non è che Mosca abbia nel cassetto nomi da premio Nobel per la pace, si parla già del comandante delle forze mercenarie Wagner, Prigozhin. Non è una soluzione sulla quale noi abbiamo la certezza degli effetti, perché, bene che ci va, si continua una guerra infinita, fatta di trincee e non superiamo il perimetro pericoloso della guerra nucleare, m comunque dopo Putin non ci aspettiamo di certo Mahatma Gandhi, Presidente.

Detto questo, torniamo al ruolo della comunità internazionale. Bisogna assolutamente escludere la via dell'invio ad oltranza di armi, ma avvantaggiare una soluzione negoziale, che non è impossibile, ma possibile, bisogna solamente iniziare a perseguirla in maniera seria.

Cito le parole, a questo proposito, dell'appello lanciato lo scorso dicembre dal Segretario per i Rapporti con gli Stati del Vaticano, l'arcivescovo Paul Gallagher, al 29° Consiglio ministeriale dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), intervento a Lodz, in Polonia: “Più la comunità internazionale tarda a rispondere alle sue responsabilità complessive, più perde credibilità. Non possiamo essere d'accordo e accettare che prevalga la legge del più forte. Anche se il dialogo sembra meno glorioso del combattimento sul campo di battaglia, i suoi risultati sono molto più vantaggiosi per ogni singola parte perché si basano sul consenso”.

E se oggi la trattativa sembra impossibile per l'intransigenza delle due parti in conflitto, è proprio la diplomazia che deve smentire tale convinzione, perché il lavoro della diplomazia è proprio quello di rendere possibile ciò che sembra impossibile. E la storia della diplomazia italiana ed europea lo testimonia, perché attraverso la diplomazia abbiamo evitato conflitti ben peggiori in Asia, in Medio Oriente, in Africa. La pace, signori, non si fa da sola, ha bisogno di mediatori credibili. Ovviamente, solo ucraini e russi dovranno decidere i termini finali della pace, ma sta alla diplomazia internazionale riallacciare il dialogo da cui partire per trovare soluzioni basate sul rispetto del diritto internazionale, che siano sostenibili e accettabili da entrambe le parti. Pensiamo davvero di poter perseguire e arrivare allo scopo comune, perché lo scopo comune lo vogliamo tutti, ed è la pace.

Ritengo, però, di grande importanza l'appello al negoziato - questo, diciamo, ad ulteriore corollario di pensatori un po' più fini rispetto a noi che sediamo in Parlamento, ma chi vuole fare politica non può essere un tuttologo, deve affidarsi a chi è più esperto di noi - lanciato lo scorso ottobre dai più esimi veterani della diplomazia italiana. Il loro autorevole parere è che i capisaldi di un accordo di pace devono essere essenzialmente tre: uno, l'inaccettabilità dell'uso della forza per l'acquisizione di territori; due, l'autodeterminazione dei popoli; e tre, la protezione delle minoranze linguistiche europee. Da questi tre capisaldi conseguono altrettante ragionevoli proposte negoziali: il simmetrico e contemporaneo ritiro delle truppe e delle sanzioni; la neutralità dell'Ucraina sotto la tutela dell'ONU; lo svolgimento di referendum gestiti dalle autorità internazionali nei territori contesi. Se si vuole iniziare a costruire la pace da qualche parte dovremo anche iniziare.

Per questi motivi abbiamo presentato e depositato, tra le altre cose, un emendamento che ci è stato bocciato in Commissione, che chiedeva semplicemente la trasparenza su ciò che stiamo inviando, perché i cittadini è giusto che sappiano che cosa sta facendo l'Italia e cosa sta inviando all'Ucraina. E abbiamo depositato, come dicevo, un ordine del giorno che impegna il Governo a farsi urgentemente promotore, di concerto con gli altri Paesi europei e in stretto coordinamento con la diplomazia della Santa Sede, di un'attività di confidence building, tesa a costruire quella fiducia reciproca tra le parti, necessaria alla ripresa del dialogo, attraverso l'organizzazione di missioni di mediazione a Kiev e a Mosca, volte a preparare il terreno a una ripresa dei contatti tra le parti e a creare le condizioni per l'avvio della fase negoziale vera e propria e per la convocazione di una conferenza di pace internazionale.

Nessuno nega che sia difficile questo compito, è arduo, ma dobbiamo iniziarlo. Comporterà sicuramente mesi di duro lavoro, ma dobbiamo iniziarlo. Anche perché, se continuiamo a inviare armi, miniamo la stessa credibilità della diplomazia italiana, la cui storia ci narra altra cosa. Oltretutto, dobbiamo valutare di iniziare a intraprendere questo percorso insieme allo Stato del Vaticano, che, nel contesto internazionale, mi sembra l'unico Stato veramente super partes sulla scena internazionale.

Presidente, dobbiamo anche chiarire una cosa, perché, come diceva l'esimio Lucio Caracciolo, noi non siamo la NATO, l'Europa non è la NATO e non può essere la NATO, perché l'Europa non è un'alleanza militare. L'Europa è una comunità politica nata per scongiurare le guerre, non per alimentarle. L'Europa ha fatto finora quello che doveva e che poteva fare, ha fatto la sua parte dal punto di vista militare a sostegno dell'Ucraina, ma più di così non può fare. Abbiamo ormai quasi svuotato del tutto i nostri arsenali, come ha riconosciuto anche l'ex Capo di Stato maggiore della nostra Difesa, il generale Vincenzo Camporini, quando afferma che all'Ucraina non abbiamo più molto da inviare.

Inviare ancora armi sul fronte ucraino significa mettere a rischio le nostre stesse capacità di difesa e mettere in conto enormi investimenti per comprare nuove armi con cui rimpiazzare quelle cedute a Kiev. Una folle corsa, Presidente, una folle corsa al riarmo che la NATO continua a chiedere, ma che avrebbe costi enormi, sottraendo risorse utili a far fronte a esigenze ben più urgenti per i nostri cittadini. Tutto questo, diciamocelo senza ipocrisie, ottenendo un effetto a dir poco marginale sulle sorti del conflitto; sì, perché al di là del valore simbolico, le forniture belliche europee non sono decisive per l'esito della guerra, per una questione sia di quantità - quelle europee sono un decimo di quelle americane - sia di qualità, perché le armi americane non sono vecchie armi di magazzino, ma nuove armi sofisticate e, soprattutto, accompagnate dal supporto di intelligence fornito h24 grazie a centinaia di satelliti militari e commerciali americani che forniscono in tempo reale immagini e coordinate alle pattuglie ucraine al fronte. Il mestiere delle armi, Presidente, lasciamo a chi lo sa fare meglio. Noi, per storia e per tradizione, sappiamo fare un'altra cosa come mestiere, quella della diplomazia. L'Italia e auspicabilmente tutta l'Europa dovrebbero fare questa scelta, una scelta di pace, senza nessun timore o senso di colpa; questo non significherebbe nella maniera più assoluta voltare le spalle all'Ucraina ma, semmai, aiutarla a uscire al più presto da questa tragedia. Occorre un serio lavoro diplomatico che finora non è stato fatto, inviando non miliardi di euro in armi, ma miliardi di euro in aiuti umanitari e sanitari per la popolazione civile: generatori elettrici, viveri, medicinali e strumenti per lo sminamento.

Il MoVimento 5 Stelle voterà “no” a questo decreto di guerra, rappresentando, come è dovere di noi parlamentari, la posizione della maggioranza dei cittadini italiani, che è contraria all'invio di altre armi, ma anche quella di molti esperti, anche militari, certamente più titolati di noi tutti, qui presenti, a parlare di certe cose. Porto ad esempio ulteriore le parole del generale Marco Bertolini, che non sembrerebbe proprio l'ultimo degli arrivati, veterano di guerra - Somalia, Libano, Bosnia, Kosovo e Afghanistan, dove è stato comandante non solo del contingente italiano, ma di tutta la missione ISAF -, ex comandante degli incursori Col Moschin e dei paracadutisti della Folgore, poi a capo del Comando delle Forze Speciali e successivamente del Comando operativo di vertice interforze. Sentiamo le sue parole: Se io sedessi in Parlamento, voterei di non inviare più armi; facendolo, infatti, alimenteremmo una guerra che sta diventando un Afghanistan europeo e che causerà povertà al nostro continente e in particolare all'Italia. Bisogna, invece, che l'Europa - e il nostro Paese, in particolare - esercitino tutto il loro soft power per portare i contendenti al negoziato. L'Italia aveva in passato capacità di fascinazione in tutto il mondo, grazie a una classe politica colta e attenta, animata per lo più dai valori del cattolicesimo, che le consentiva di farsi sentire ovunque, nonostante non fosse una grande potenza militare. Ora, il nostro Paese - continua - sembra aver rinunciato a questo ruolo storico. Siamo diventati una delle tante voci nello stesso coro bellicista.

Presidente, il MoVimento 5 Stelle continuerà ad essere una voce fuori dal coro, ne siamo coscienti, ma auspichiamo che gli altri partiti o almeno quei partiti che siedono in quest'Aula che si definiscono patrioti inizino a voltare pagina, a intraprendere un percorso diverso, quel percorso che cura e persegue in senso patriottico gli interessi dell'Italia, ma anche quelli dell'Europa e che non sono di certo la guerra, ma la pace; una pace che viene chiesta da tutto il mondo del cattolicesimo, dallo Stato Pontificio, ma, soprattutto, come dicevo prima, dalla maggior parte dei cittadini italiani. Pace e subito (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pozzolo. Ne ha facoltà.

EMANUELE POZZOLO (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rinuncio ad ogni preambolo di carattere morale o retorico per provare a ragionare a voce alta in quest'Aula in riferimento al conflitto tra Russia e Ucraina, provando anche ad andare un po' al di là delle giuste e condivisibili considerazioni tecniche di molti dei colleghi che mi hanno preceduto.

Pur dichiarandomi estraneo personalmente all'applicazione della dicotomia tra torto e ragione, a dinamiche storiche o geopolitiche, pare a tutti evidente che il tema che stiamo trattando vede un interlocutore che ha surriscaldato una tematica già a suo tempo calda, portandola a un punto di incandescenza tale da non rendere discutibile la dinamica dei fatti.

Putin ha invaso l'Ucraina, alimentando una fiammata di guerra in Europa come mai avremmo potuto immaginare potesse capitare in questi mesi. La guerra - qualunque guerra - è sempre la sconfitta della politica: al riguardo, penso che questo Parlamento sia unanimemente concorde. Quindi, in quanto tale, la guerra deve essere attenzionata da chi fa politica come il nemico principale. Da quando in questa sede ha parlato il Ministro Crosetto, che qualcuno ha definito il Ministro guerrafondaio - una scemenza di carattere sesquipedale, se avessero ascoltato attentamente le parole del Ministro - da quando ha parlato il Presidente Meloni, da quando sono intervenuti tutti i gruppi che sostengono il Governo, tutti quanti abbiamo a cuore una sola cosa: il ritorno forte della politica, il ritorno quindi della diplomazia e lo stop alla guerra, a qualunque guerra. Noi qui dobbiamo discutere come possiamo arrivarci, come possiamo facilitare questo percorso. E l'Italia sicuramente in questo senso ha la forza, perché è una grande potenza internazionale, di condurre e accompagnare anche gli altri partner occidentali ed europei verso una destinazione. Noi qui discutiamo qual è questa destinazione, qual è questa strategia.

In alcuni interventi che ho ascoltato, pur condividendo lo spirito di appello alla pace, ho faticato a scorgere il metodo, lo strumento per arrivare a questa soluzione. Il tema delle armi e della guerra ci riporta e mi riporta a una frase. Ho sentito prima qualcuno che ha giustamente invocato una raffinatezza di pensiero nel trattare dinamiche geopolitiche: fa piacere sentirlo dai 5 Stelle, questo appello alla raffinatezza del pensiero. In questo senso, condividendo questo incentivo al pensiero profondo, mi è venuta in mente una frase del filosofo americano Francis Fukuyama che, all'indomani della caduta del Muro di Berlino, aveva forse frettolosamente paventato la fine della storia. Ecco, per chi è nato negli anni Ottanta, come chi sta parlando, sicuramente quella fine della storia ha dimostrato qualche lacuna. Infatti, c'è stato l'11 settembre, un potente ritorno della storia; c'è stata la crisi del 2008, ci sono stati anni in cui, anche in Italia, abbiamo visto dinamiche poco limpide e non molto democratiche nell'avvicendamento di alcuni governi, c'è stata una gestione del COVID che definire discutibile è essere molto gentili. Insomma, c'è stato un prepotente ritorno della storia e la guerra in Ucraina lo sta dimostrando in modo ampio ed evidente. Direi che c'è stata la scritta “the end” alla fine della storia, cioè la storia è ripartita.

Come bene ha detto Giulio Tremonti qualche mese fa, spesso noi occidentali, noi europei in primis, negli ultimi decenni ci siamo comportati come dei turisti della storia, cioè abbiamo pensato che tutto sarebbe sempre andato bene perché abbiamo dinamiche più razionali, più razionalistiche di altri popoli. Però, qualcuno si è incaricato più volte negli ultimi anni di dimostrarci che le dinamiche storiche si possono affrontare non soltanto con la ragione, ma c'è anche un forte elemento irrazionale. Ecco, Putin e il mondo russo ci hanno riportato a questo punto. C'è un elemento irrazionale in quello che ha fatto Putin, non ci sono soltanto dinamiche o spiegazioni di carattere razionale. Ed è per questo che, come Assemblea parlamentare, come Paese nel sostenere compattamente la linea del Governo italiano, dobbiamo comprendere che con Putin, con parte del mondo russo è difficile trattare, avendo presente soltanto le dinamiche della ragione.

Il sistema russo ha reagito a quella che pensa essere stata, a ragione, la sconfitta, una parziale, una grande sconfitta della storia, come quando è caduto il muro di Berlino; questo è l'ultimo colpo di coda di un sistema che si sente sconfitto.

Capire questo è assolutamente essenziale. Infatti, dobbiamo comprendere che non possiamo stare a guardare la storia che ci passa di fianco, senza intervenire: l'Italia non può permetterselo, noi non possiamo permettercelo, perché siamo un grande Paese, lo ribadisco, che non può delegare sempre agli altri l'intervento nella storia.

Quindi, come si lega tutto questo al tema delle armi? Si lega al tema delle armi per una ragione molto semplice: per portare Putin, per portare la Russia, ma, direi, per portare qualunque potenziale interlocutore, che abbia agito in senso violento, a un tavolo, bisogna avere presente, chiara e stampata nella mente una parola: equilibrio. Non vogliamo e non dobbiamo dare le armi per creare un'ulteriore incandescenza nella regione, assolutamente. Infatti, non si sta trattando di questo, ci sono limiti ben specifici, ci sono strumenti che sono concessi e altri che non sono concessi. Dobbiamo ambire a portare una situazione il più possibile equilibrata, riequilibrare la situazione delle forze in campo, per far sì che la politica e la diplomazia possano convincere l'interlocutore che sta usando la violenza (mentre stavamo parlando ho letto un'agenzia che avrebbe riportato una dichiarazione del portavoce del Cremlino che si sarebbe reso ulteriormente indisponibile, in questo momento, a qualunque trattativa); dobbiamo insistere su questa via, che è la via della pace, sembra paradossale, ma non lo è. Dobbiamo portare equilibrio per arrivare il più possibile vicino ad una pace.

Mi accingo ad andare verso la conclusione. Nel provare ad inseguire questa situazione di equilibrio, dobbiamo provare ad avere molto bene in mente cosa l'Occidente sia nel mondo. Dobbiamo riappropriarci di quella peculiarità che ha reso grande l'Occidente, profonda ed eterna la nostra cultura, che è quella di riuscire a non transigere su alcuni valori. Non possiamo consentire che nel mondo accadano cose, situazioni nella nostra eventuale non sensibilità, in questo senso. Quindi, l'intervento deve essere calibrato, efficace, puntuale e volto alla ricerca di quell'equilibrio che ci deve assolutamente appassionare. Non aspettiamo, sperando che smettano di combattere. Non è questo l'Occidente che possiamo avere in mente, non è questa l'Italia che possiamo avere in mente.

Quindi, come Fratelli d'Italia, in questa visione, è naturale che sosterremo il Governo in questo senso, proprio con l'obiettivo di riequilibrare la situazione delle forze in campo, per far addivenire la Russia a più miti consigli.

In conclusione, ricordo alcune parole importanti di Giovanni Paolo II, già citato oggi in quest'Aula, quando descriveva il sogno di un'Europa che partisse dall'Atlantico fino agli Urali. Penso che, seppur distante probabilmente quanto mai oggi la Russia da quelle parole di Giovanni Paolo II, dobbiamo mettere in campo con tutta la forza possibile diplomatica, politica, in alcuni casi, utilizzando strumenti di forza, inseguire quel sogno e ricordarci le parole di Giovanni Paolo II, perché non è finita.

L'Europa è dall'Atlantico agli Urali; dobbiamo convincere anche chi vorrebbe far tornare indietro la storia, magari facendo abbracciare la Russia dalla parte cinese, che così non è. L'Italia non può permettere questo. La nostra cultura occidentale si fonda su quell'Europa che parte dall'Atlantico e arriva agli Urali e dobbiamo lavorare politicamente in questo senso (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gruppioni. Ne ha facoltà.

NAIKE GRUPPIONI (A-IV-RE). Grazie Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, il sostegno militare al popolo ucraino per noi del Terzo polo travalica il mero adempimento degli obblighi internazionali assunti.

Per questa forza politica, gli automatismi che si concretano nel rispetto degli impegni assunti in sede internazionale non saranno mai motivo di allontanamento dal senso profondo posto alla base del nostro intervento e del supporto offerto al popolo ucraino. Infatti, Presidente, onorevoli colleghi, il primario fondamento su cui si poggia il nostro sostegno all'Ucraina è un dovere morale, il dovere morale di supportare chiunque sia deprivato della libertà e della possibilità di esercitare i propri diritti e di farlo liberamente. Questo dovere resta e dovrà restare la ragione e la sola propulsione del supporto della nostra Nazione e di tutta la comunità euro-atlantica al popolo ucraino.

È trascorso ormai un anno dal 24 febbraio 2022, giorno in cui assistevamo inermi dinanzi alle prime immagini giunte dall'Ucraina, un'escalation di morte e distruzione inarrestabile, che dava un nuovo volto ad un conflitto iniziato nel 2014 e, originariamente, definito a bassa intensità. Tutti, anzi, nessuno in quest'Aula ha ritenuto possibile anche solo immaginare l'incredibile pervicacia e forza di volontà espressa dal popolo ucraino, un popolo che, ogni giorno, dopo inimmaginabili perdite e sofferenze, continua a difendere il suolo della propria Nazione e a lottare strenuamente per la riconquista di quanto illegittimamente gli è stato sottratto.

Se fino ad oggi l'Ucraina è riuscita a non capitolare di fronte all'invasore straniero è anche per via del supporto militare assicurato dall'Occidente. La risposta alla crisi internazionale in Ucraina è stata, infatti, immediata e coerente. Significativa per la sua singolarità ed unicità è la scelta dell'Unione europea di finanziare l'acquisto e la consegna di armi ad un Paese sotto attacco.

Gli Stati membri hanno accettato di incrementare il budget dell'European peace facility e hanno dimostrato senso di comunità di valori posto alla base dell'Unione entro la quale viviamo. L'incremento del massimale finanziario globale del fondo, difatti, ha permesso di sostenere ulteriormente le spese per gli acquisti di equipaggiamenti militari indirizzati all'Ucraina. Altrettanto considerevole l'azione della NATO, che ha ordinato il dispiegamento di truppe straordinarie in Europa orientale, creando così una cortina militare difensiva lungo tutta la linea che va da Nord a Sud del continente, con la previsione di un ulteriore potenziamento delle unità di stanza.

In assenza di un sostegno da parte dell'Occidente, l'Ucraina, con grande probabilità, avrebbe dichiarato la propria resa già da tempo. Ed allora, tutti sappiamo che questo conflitto travalica di gran lunga i conflitti ucraini. Tutti sappiamo di essere direttamente o indirettamente coinvolti in questo scontro. Ma posizionati al centro, tra un Occidente preoccupato e in una Russia assetata di assurde e anacronistiche rivendicazioni, ci sono loro, soltanto loro. Le richieste del popolo ucraino dall'inizio del conflitto non sono mai cambiate, ovverosia assicurarsi un concreto sostegno militare, per difendersi dagli incessanti, ripetuti e violentissimi attacchi russi.

L'unica richiesta d'aiuto che possono rivolgerci è questa, perché sanno che in nessun altro modo potremmo aiutarli.

Di fronte a tutta questa violenza, siamo davvero qui oggi a domandarsi se sia opportuno o meno prorogare l'autorizzazione all'invio di armi al popolo ucraino? Lo è senza ombra di dubbio alcuno. Non possiamo e non dobbiamo lasciare l'Ucraina sola in questa lotta, non possiamo e non dobbiamo abbandonare un Paese che combatte per la propria autodeterminazione e per la propria libertà. L'Italia agisce al fianco dei propri alleati, in virtù di quel diritto naturale alla legittima difesa, sancito dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Lo Stato Ucraino deve poter esercitare questo diritto.

Dobbiamo essere coesi e muoverci nella direzione dell'approvazione del sesto pacchetto di aiuti. L'invio della batteria Samp-T garantirà un sistema di difesa aerea indispensabile per neutralizzare le minacce missilistiche. Sarebbe un gravissimo errore per il nostro Paese dare segnali di tentennamento e di divisione sul tema.

Dichiararsi a favore dell'invio delle armi non vuol dire, come sostiene che ci muove queste accuse, dichiararsi a favore della guerra. Siamo tutti sostenitori della pace e auspichiamo certamente una risoluzione del conflitto attraverso le vie diplomatiche. Siamo pienamente consapevoli del fatto che la guerra non sia la soluzione. La diplomazia è la soluzione. Il dialogo tra le parti è la soluzione; il dialogo, tuttavia, prevede un'intenzione ed una predisposizione al confronto condivise. Al momento appare inverosimile pensare che ci siano le condizioni favorevoli ad una soluzione diplomatica della guerra. Quindi, vi chiedo: quale altra scelta si prospetta per noi all'orizzonte se non proseguire sulla strada del sostegno militare dell'Ucraina? Non è sicuramente un'azione che intraprendiamo a cuor leggero. Desideriamo ardentemente che il rumore delle armi ceda il passo al rumore delle voci dei negoziatori impegnati nelle trattative di pace. Favorire la soluzione del conflitto attraverso un percorso diplomatico resterà un nostro convinto impegno da portare avanti fermamente nelle sedi internazionali. Tuttavia, dobbiamo fare i conti con la realtà e riconoscere che la Russia continua ad assumere un atteggiamento di violenta prevaricazione, refrattaria ad ogni forma di pacifico confronto. A queste condizioni la scelta appare vincolata. Sospendere il sostegno militare all'Ucraina ci renderebbe corresponsabili del tramonto dello Stato ucraino. Cessare l'invio di armi implicherebbe la resa dell'Ucraina. La resa certamente favorirebbe la fine del conflitto e il ritrovamento di una condizione di pace. Ma sarebbe una pace giusta? Vogliamo davvero consegnare l'Ucraina nelle mani del suo invasore? Se armare l'Ucraina è l'unica via che ci resta per difendere la libertà e sostenere i diritti di un popolo o di uno Stato oppressi, allora proseguiremo su questa strada, senza esitazione. Non rendiamo vana la coraggiosa resistenza del popolo ucraino (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Chiesa. Ne ha facoltà, prego onorevole.

PAOLA MARIA CHIESA (FDI). Grazie Presidente, onorevoli colleghi, Sottosegretario per la difesa, il 24 febbraio scorso la guerra è arrivata alle porte dell'Europa; dallo scorso 24 febbraio la libertà in Europa non è più scontata, la pace in Europa non è più scontata. L'aggressione della Russia ha violato un principio sacrosanto per l'Occidente: il principio della sovranità nazionale. I feroci combattimenti delle ultime settimane e degli ultimi giorni ci dimostrano che le Forze armate dell'Ucraina stanno combattendo con coraggio a testa alta per difendere la propria patria, ma ci fanno capire anche come il nostro sostegno non è solo fondamentale, ma è vitale. Che cosa ci chiede l'Ucraina? L'Ucraina ci chiede la possibilità di difendersi e l'Ucraina ha il diritto di difendersi perché la patria non è un'opinione, una patria non è solamente una bandiera. L'Italia ha inviato aiuti in Ucraina con cinque decreti; il contenuto di questi cinque decreti è secretato per volontà del Governo che ha realizzato questi decreti, il Governo Draghi. Che cosa sta facendo il Governo Meloni in carica da pochi mesi? Il Governo Meloni sta implementando le decisioni del Governo Draghi perché, che piaccia o no, questa è la verità. Governo Draghi sostenuto a gran voce anche dall'onorevole Conte, che nei giorni scorsi ha definito il nostro Ministro della Difesa, Guido Crosetto, guerrafondaio. No, il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, non è guerrafondaio, come non lo è nessuno di Fratelli d'Italia; tutti noi vogliamo che la guerra finisca, io per prima, che un teatro operativo l'ho visto con i miei occhi, ma la pace deve essere una pace giusta, non deve essere una resa incondizionata.

Il Governo Meloni è impegnato ai tavoli internazionali a fianco degli Alleati per arrivare il prima possibile a un negoziato di pace, ma di pace con la «P» maiuscola, perché la resa dell'Ucraina equivale alla resa dell'intera Europa. La posizione di Fratelli d'Italia dallo scorso 24 febbraio è sempre stata chiara, è sempre stata nitida. Nel condannare l'aggressione della Russia abbiamo sempre portato e manifestato la nostra solidarietà all'Ucraina; ma la solidarietà a parole, lo sappiamo tutti, Presidente, non basta. L'Italia invierà nuovi aiuti quando sarà approvato il sesto decreto. È necessario approvare il sesto decreto, è necessario continuare ad inviare aiuti militari, mezzi ed equipaggiamenti militari al popolo ucraino che sta combattendo per difendere la propria patria, la propria libertà, la propria democrazia, la propria terra. E mentre ci avviamo ad approvare questo decreto, la propaganda russa diventa sempre più feroce, ed è doveroso in questa sede smentire la propaganda russa nei confronti dell'intero Occidente e soprattutto della nostra Nazione.

«La consegna di armi offensive al regime di Kiev porterà a una catastrofe globale», ha dichiarato ieri il Presidente della Duma, Volodin, aggiungendo, poi, che «ci saranno ritorsioni con armi più potenti». E ancora, «L'espansione delle Forze armate militari di Mosca è una necessità a causa della guerra per procura dell'Occidente contro la Russia», ha dichiarato Peskov, portavoce del Cremlino. Sempre Peskov ha poi aggiunto: «L'Occidente si illude che Kiev possa vincere». No, l'Occidente non si illude che Kiev possa vincere, l'Occidente vuole arrivare presto ad una pace, lo ripeto, ad una pace e non ad una resa incondizionata. Ma la notizia più grave che riguarda, a mio avviso, il nostro Paese, è quella che ha fatto circolare la Federazione russa in Italia la settimana scorsa e che riguarda le mine antiuomo. L'Italia non produce mine antiuomo da oltre 28 anni, non solo non le produce ma nemmeno le fornisce. L'Italia è tra i primi firmatari del Trattato di Ottawa che vieta l'utilizzo e la diffusione delle mine antiuomo.

Noi, Presidente, non lasceremo l'Ucraina da sola di fronte a una vile aggressione. Noi continueremo a fare la nostra parte all'interno dell'Alleanza atlantica, all'interno dell'Unione europea. Per questa ragione la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali, ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina è doverosa ed è necessaria. È doverosa e necessaria perché - per usare le parole del nostro Ministro, Crosetto - tutti vogliamo che la guerra finisca. Chi ha mandato armi, lo ha fatto e lo farà per forzare chi ha iniziato la guerra a sedersi a un tavolo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 761​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione affari esteri, deputato Giangiacomo Calovini, che rinunzia. Ha facoltà di replicare la relatrice per la Commissione difesa, deputata Monica Ciaburro, che rinunzia. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, prego Sottosegretario.

MATTEO PEREGO DI CREMNAGO, Sottosegretario di Stato per la Difesa. Grazie Presidente, la pace è un obiettivo condiviso da tutti, dalle istituzioni, dal popolo italiano, ed è un fondamento della nostra Costituzione, si pensi, in particolare, all'articolo 11.

La pace oggi che cos'è? Che cosa significa oggi pace per l'Ucraina? Quali sono le condizioni? Verrebbe da pensare che in questo momento più che pace sarebbe la resa l'Ucraina, se noi, la comunità occidentale, non sostenesse lo sforzo di difesa di questo Paese aggredito. E lo facciamo, onorevoli deputati, nella cornice dell'articolo 51, come è stato più volte citato dai presenti. Quell'articolo 51 della Carta dell'ONU che definisce che l'autodifesa è un diritto naturale e, aggiunge, passaggio che voglio condividere, che lo è fintanto che non interviene il Consiglio di sicurezza con azioni volte a mantenere la pace. Peccato che il Consiglio di sicurezza dell'ONU sia limitato dal potere di veto della Federazione Russa.

Noi non sappiamo come finirà questo conflitto che ha già fatto centinaia di migliaia di morti - almeno così sono le stime che in questi giorni vengono diffuse - sappiamo sicuramente quale sia il valore del nostro intervento. Ho ascoltato parole che non condivido, ossia che il nostro supporto non faccia la differenza, fa la differenza, invece rispetto ai 100 missili che ogni giorno, ogni settimana le Forze armate russe lanciano sul territorio ucraino, distruggendo infrastrutture civili, distruggendo centrali elettriche, bombardando le case; ecco, sappiamo che intercettare quei missili fa la differenza fra salvare vite e lasciare, invece, che innocenti ogni giorno muoiano. Credo che la responsabilità di un Governo di un Paese del G7, di un grande Paese come l'Italia sia fare scelte difficili. Sì, perché è una scelta difficile quella fatta dal Governo Draghi, con un'ampissima maggioranza ed era altrettanto una scelta difficile quella fatta dal Governo Meloni, con un'ampissima maggioranza, anzi credo che sarebbe stato auspicabile avere l'unanimità degli intenti, e ancora faccio fatica a capire cosa sia cambiato da qualche mese fa a oggi, quale sia questa valutazione sulla situazione di stallo, perché a me non sembra proprio uno stallo. A me sembra che ci siano, ogni giorno, anche mentre parliamo, continui attacchi dell'artiglieria e dell'aviazione della Federazione russa. Dicevo che un Governo fa scelte responsabili, si assume la responsabilità di scelte difficili e lo fa in continuità, così come deve fare un Paese dell'Occidente. Allora, forse viene da chiedersi cosa sia l'Occidente, cosa rappresentiamo, cosa rappresentano quei quaranta Paesi i cui rappresentanti si sono incontrati a Ramstein, qualche giorno, fa in Germania per continuare a dare supporto militare - e non soltanto militare - all'Ucraina. Credo che rappresenti una comunità soprattutto incentrata sui valori di democrazia, su valori di libertà, sul diritto internazionale, in una fase storica e geopolitica in cui le democrazie occidentali sono minacciate dalla forza dei regimi autoritari. Allora, viene da chiedersi se non sia impegno di tutti noi, che abbiamo costruito, con il sacrificio di tanti italiani, questo edificio, questa casa, questo tempio della democrazia, se non sia un nostro ruolo nel mondo oggi difendere ancora quei valori che sono minacciati.

Cosa potrebbe fare la Federazione russa per avviare i negoziati di pace? Credo, infatti, che sia nelle corde di un Paese che aggredisce un altro Paese poter invertire il corso della storia, riavvicinare il grande popolo russo alla storia dell'Occidente. Ebbene, basterebbe cessare il conflitto, ritirare le truppe; niente di così astratto, ma di molto concreto, affinché questa guerra possa trovare una soluzione negoziale, che è evidentemente l'obiettivo di tutti; nessuno qui si alza la mattina, nessun membro del Governo, nessun cittadino italiano dicendo: noi vogliamo la guerra, vogliamo continuare la guerra. È un sacrificio enorme quello di dare sistemi di difesa a un altro Paese, di assumersi l'onere di continuare a difendere, legittimamente, il popolo ucraino. Ebbene, queste sono le sfide con cui ci misuriamo oggi. Questo è l'esempio che credo l'Occidente debba dare nel voler mantenere l'equilibrio e la stabilità mondiale, con quel principio, che qualcuno ha citato, che è alla base dell'Alleanza atlantica: la deterrenza, la stessa che ha portato il nostro Paese a schierare 1.500 militari sul fianco orientale della stessa Alleanza atlantica, la stessa che impegna, senza i riflettori della stampa, nel silenzio e con sacrificio, ogni giorno - e a loro voglio rivolgere un pensiero - i nostri militari, quei 7 mila militari nel mondo che lavorano per mantenere la pace in quei teatri complessi in cui siamo chiamati a operare come un grande Paese. E questo è il sentimento, questo è lo spirito della Difesa, del Governo del nostro Paese, non certo quello di incrementare un conflitto, ma, anzi, quello di arrivare a una posizione - come ho sentito dire - di equilibrio, perché quando c'è l'equilibrio delle forze in campo c'è una ragione in più per far cessare le armi, ed è questo anche il senso delle sanzioni che sono state imposte alla Federazione russa affinché cessi il conflitto; non è tanto un tema di giusto o sbagliato, di torto o ragione, questo è un tema oggettivo; un Paese, senza che ci fosse una norma di diritto che lo conceda, invade un altro Paese, aggredisce la popolazione civile. Non possiamo rimanere inermi davanti alle immagini e penso, in particolare, a quella della vigilia di Natale, in cui i cittadini di Kiev, la capitale, che alcuni di voi hanno avuto occasione di visitare durante questo conflitto, si rifugiavano nei sotterranei della metropolitana per sfuggire ai bombardamenti. Quel popolo è un popolo che fonda le radici storiche, fonda la rivoluzione del 2014, di Piazza Maidan proprio con l'obiettivo di diventare un Paese pienamente democratico, pienamente aderente a quella comunione di valori che è l'Europa.

Allora, fa paura quando, in questo Parlamento, si assumono posizioni diverse, a così poca distanza di tempo; viene da interrogarsi su quali siano le ragioni di ciò, se sia responsabile sottoscrivere un impegno con cinque decreti e poi, invece, sottrarsi alla responsabilità del sesto decreto che eventualmente il Governo presenterà.

Allora, Presidente, chiudo con la consapevolezza che le sfide che abbiamo di fronte sono epocali e che se noi, oggi, dovessimo girarci dall'altra parte, nulla impedirebbe allo stesso sistema autoritario di poter guardare con mira all'Europa dell'Est, nulla impedirebbe, dall'altra parte, nell'Oceano Pacifico invadere l'isola di Taiwan. Quali sono le logiche per cui, oggi, si mantiene la pace? Sono il diritto internazionale a fondamento di tutto e la difesa dei nostri valori, per cui tanti italiani hanno perso la vita. Allora, ancora una volta, questo Governo si assume la responsabilità di fare questa scelta, in nome della pace, per la pace e per la difesa dell'Ucraina, che non dovrà essere abbandonata, né ora né mai (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier e Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 93-338-353 - D'iniziativa dei senatori Valente ed altri; Balboni ed altri; Paita ed altri: “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (A.C. 640-A​); e delle abbinate proposte di legge: Serracchiani ed altri; Ascari ed altri (AC. 602​-772​) (ore 12,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata in un testo unificato dal Senato, n. 640-A: “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” e delle abbinate proposte di legge nn. 602-702.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 20 gennaio 2023 (Vedi l'allegato A della seduta del 20 gennaio 2023).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 640-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

Le Commissioni II (Giustizia) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice per la Commissione giustizia, deputata Anna Rita Patriarca.

ANNARITA PATRIARCA, Relatrice per la II Commissione. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge recante l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere a seguito dell'esame in sede referente presso le Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali.

La violenza maschile contro le donne rappresenta, purtroppo, un fenomeno sociale diffuso, con radici culturali - ahinoi - profonde. Si tratta di un tema che, negli ultimi anni, ha assunto una portata sempre più centrale nel dibattito politico e sociale, alimentato quotidianamente da notizie di cronaca nera che registrano donne assassinate dai propri compagni o, comunque, vittime di violenza domestica; si pensi che i dati dell'Istat, riportati dallo stesso Ministero della Salute, mostrano che, in Italia, il 31,5 per cento delle donne ha subìto, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale, esercitata nelle forme più gravi da partner, ex partner, parenti o amici; addirittura, gli stupri sono stati commessi, nel 62,7 per cento dei casi dal partner. Secondo i dati del Viminale, da gennaio a ottobre dell'anno scorso, si sono verificati 82 omicidi di donne, in Italia, 72 dei quali in ambito familiare ed affettivo; l'anno prima, nel 2021, nei primi dieci mesi, ci sono stati ben 90 omicidi di donne, 77 in ambito familiare. Ogni volta ci si interroga su cosa non abbia funzionato e perché, malgrado l'attenzione che ruota intorno a questo argomento, non riusciamo a invertire questa tendenza; si tratta di numeri inquietanti, che non possono essere ignorati e che testimoniano l'esistenza di un fenomeno pervasivo e di gravità assoluta, per affrontare il quale è necessario il massimo sforzo possibile in termini di soggetti coinvolti, strategie adottate, energie e risorse profuse.

Risulta necessario agire contemporaneamente sui diversi piani della prevenzione - coinvolgendo le scuole, anche con riferimento alla formazione degli operatori, sensibilizzando attraverso i mass media e via seguitando - appunto della protezione e dell'assistenza delle donne, che siano già state vittima o che siano anche solo potenzialmente tali, nonché sotto il profilo dei minori coinvolti e dell'efficacia e dell'effettiva sanzione penale dei colpevoli. Tuttavia, sarebbe un errore ridurre tutto, in un'ottica panpenalistica, a un semplice problema di sicurezza. Siamo di fronte ad una distorsione culturale trasversale, capace di colpire a ogni latitudine e in ogni estrazione sociale, che arriva a mirare alla cancellazione fisica e psicologica del genere femminile, devianza che deriva dalla manifestazione diretta della volontà di dominio e di subordinazione di un sesso nei confronti dell'altro, percepito come diverso e pericoloso. Essa peraltro non è frutto, nella maggior parte dei casi, di una patologia o di una normalità, ma legata, al contrario, alla quotidianità e alla normalità dei rapporti tra uomini e donne nella nostra società. La violenza fisica e sessuale in un rapporto di coppia, sempre accompagnata da quella psicologica, introduce un elemento specifico, nonché una dinamica relazionale propria; generalmente, gli episodi di violenza si verificano in maniera ciclica, senza motivo apparente, ad intervalli di tempo sempre più brevi e si susseguono, in un crescendo di gravità che può mettere in serio pericolo la vita stessa della donna o la sua salute psichica. Un circolo infernale in cui si possono addirittura distinguere tre fasi: la costruzione della tensione, l'esplosione della violenza, seguita poi dal pentimento-perdono, con un ritorno momentaneo della coppia all'affettività. Per la donna diventa un susseguirsi di shock che aumentano la svalorizzazione di sé, la sfiducia che la situazione possa cambiare e, soprattutto, la sensazione che sia impossibile sottrarsi al potere dell'altro.

Il comportamento dell'uomo maltrattante è stato paragonato a quello usato dai torturatori per annientare le loro vittime, con identici effetti destabilizzanti sulla persona che lo subisce. In Italia, nei casi di abusi e maltrattamenti, addirittura in certi casi, manca una corretta valutazione del rischio, tanto che la CEDU, la Corte europea dei diritti dell'uomo, ha condannato cinque volte l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo, che vieta trattamenti inumani e degradanti, per non aver protetto le donne vittime di violenza e i loro figli. Quindi, il lavoro da fare ce n'è e oggi possiamo dire di partire non da zero, considerato che, proprio su tali tematiche, è stata istituita al Senato, nella scorsa legislatura, una Commissione d'inchiesta monocamerale che ha analizzato trasversalmente tutti i diversi piani che interessano il fenomeno della violenza di genere, con il contributo proficuo delle tante associazioni attive in materia, dei consulenti dei tribunali e degli uffici giudiziari.

Nel corso di tale approfondita attività sono state approvate, oltre al documento conclusivo, ben 13 relazioni settoriali che hanno fatto emergere efficacemente la profondità e la trasversalità sociale della problematica. Anche per dare continuità a questo lavoro svolto, le forze politiche di diverso orientamento hanno inteso proporre in questa legislatura l'istituzione di una Commissione d'inchiesta bicamerale quale segno di attenzione del Parlamento rispetto alla problematica analizzata.

Stante l'esigenza di avviare con tempestività i lavori della Commissione d'inchiesta presso le Commissioni riunite, giustizia e affari sociali, tutti i gruppi parlamentari si sono adoperati al fine di assicurare un iter rapido in sede referente. E' stata quindi adottata come testo base la proposta di legge n. 640, già approvata al Senato. Le modifiche apportate al testo trasmesso dal Senato derivano da emendamenti, approvati con il consenso unanime di tutti i gruppi parlamentari, sul merito dei quali ci si soffermerà nel prosieguo della relazione, avendo avuto comunque rassicurazioni sul fatto che l'esame in seconda lettura da parte del Senato sarà particolarmente celere, in modo da consentire l'avvio, in tempi rapidissimi, della Commissione.

Entrando nel merito del contenuto della proposta di legge, all'articolo 1 essa istituisce la Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, incaricandola di presentare, al termine dei propri lavori, una relazione conclusiva.

L'articolo 2 definisce i compiti della Commissione d'inchiesta, la quale, avvalendosi del lavoro istruttorio della relazione finale della Commissione monocamerale, istituita in analoga materia dal Senato nella diciottesima legislatura, si occuperà nel dettaglio di svolgere indagini sulle reali dimensioni, caratteristiche e cause del fenomeno del femminicidio e, più in generale, di ogni forma di violenza maschile contro le donne; di monitorare la concreta attuazione della cosiddetta Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica ed ogni altro accordo sovranazionale e internazionale in materia nonché della legislazione nazionale, ispirata agli stessi principi; di accertare le possibili incongruità e carenze della normativa vigente rispetto al fine di tutelare le vittime e di verificare altresì la possibilità di una rivisitazione sotto il profilo penale della fattispecie riferita alle molestie sessuali, con particolare riferimento a quelle perpetrate in luoghi di lavoro; di accertare le capacità di intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza; di verificare l'effettiva realizzazione da parte delle istituzioni di progetti nelle scuole di ogni ordine e grado, finalizzati all'educazione, al rispetto reciproco nelle relazioni tra uomini e donne; di analizzare gli episodi di femminicidio, verificatesi a partire dal 2016, per accertare se siano riscontrabili condizioni o comportamenti statisticamente ricorrenti allo scopo di orientare l'azione di prevenzione; di monitorare l'applicazione da parte delle regioni del Piano antiviolenza e delle linee guida nazionali per le aziende sanitarie e ospedaliere in tema di soccorso e assistenza sociosanitaria alle vittime; di monitorare l'effettiva destinazione, alle strutture che si occupano della violenza maschile contro le donne, risorse che, negli ultimi anni, sono state stanziate in loro favore tramite diversi strumenti normativi; di monitorare l'attività svolta dai centri antiviolenza, che costituiscono il fondamentale presidio territoriale di contrasto al fenomeno della violenza maschile sulle donne, ma anche dai centri di riabilitazione per uomini maltrattanti; di proporre interventi normativi e finanziari strutturali che tutelino la tenuta nel tempo della rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio e che rendano quindi possibile l'organizzazione di percorsi strutturati per far riemergere le donne dalla spirale delle violenze anche psicologiche; inoltre, di proporre soluzioni di carattere legislativo e amministrativo, finalizzate a realizzare la più adeguata prevenzione e il più efficace contrasto dei fenomeni in parola nonché di tutelare le vittime delle violenze e gli eventuali minori coinvolti. Per ultimo, si propone di adottare iniziative per la redazione di testi unici in materia.

Continuerà la relatrice della Commissione affari sociali.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice per la Commissione affari sociali, la deputata Luana Zanella.

LUANA ZANELLA, Relatrice per la XII Commissione. Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, l'articolo 3 del provvedimento, che ci apprestiamo a discutere, disciplina i poteri della Commissione. Come di consueto, in relazione alla legge istitutiva di una Commissione d'inchiesta si prevede che la stessa proceda alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e i limiti dell'autorità giudiziaria. Si esclude che possa adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, relative alle indagini stesse nonché alla libertà personale, salvo il caso di accompagnamento coattivo, di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.

Per le testimonianze rese davanti alla Commissione, si applicano le disposizioni degli articoli 366 e 372 del codice penale, ovvero delitti contro l'attività giudiziaria, che vanno dal rifiuto di atti legalmente dovuti (articolo 366), alla simulazione di reato (articolo 367), dalla calunnia e autocalunnia (articoli 368 e 369), alla falsa testimonianza (articolo 372), a tutela della veridicità delle testimonianze rese.

E' prevista la possibilità per la Commissione di acquisire copie di documenti in possesso alle pubbliche amministrazioni nonché copie di atti e documenti relativi a procedimenti giudiziari in corso e copie di documenti relativi a inchieste parlamentari.

La Commissione è tenuta a mantenere il segreto sul contenuto di quanto ricevuto perché gli atti ricevuti siano sottoposti a segreto da parte degli organi che li hanno trasmessi.

Per il segreto d'ufficio, professionale e bancario valgono le norme vigenti in materia, pur essendo sempre, nell'ambito del mandato, opponibile il segreto tra difensore e parte processuale. Per il segreto di Stato, si applica quanto previsto dalla legge di riforma dei servizi di informazione n. 124 del 2017.

La Commissione, inoltre, può predisporre gruppi di lavoro per una migliore organizzazione della propria attività e termina i propri lavori con la presentazione di una relazione conclusiva di sintesi. Possono, comunque, essere presentate anche relazioni di minoranza.

L'articolo 4 attiene alla composizione della Commissione e alla modalità di nomina dei componenti. In particolare, si fa presente che, nel corso dell'esame in sede referente, le Commissioni riunite, modificando la previsione originaria, hanno previsto che ne facciano parte 18 senatori e senatrici e 18 deputati e deputate, nominati dai rispettivi Presidenti, in proporzione al numero dei membri dei gruppi parlamentari e che, tra di essi, vi sia almeno un deputato per ciascun gruppo esistente alla Camera dei Deputati e almeno un senatore per ciascun gruppo esistente al Senato della Repubblica, scelti favorendo l'equilibrata rappresentanza di senatrici e senatori e deputati e deputate. Tale modifica è stata ritenuta opportuna in considerazione del fatto che il combinato disposto della riduzione del numero dei parlamentari e della necessità che le Commissioni bicamerali siano composte pariteticamente da deputati e da senatori fa sì che – per i gruppi di minore consistenza presenti in entrambi i rami del Parlamento - la possibilità di essere rappresentati concerne quasi esclusivamente i componenti del gruppo in tutte le Commissioni bicamerali.

La prima convocazione per la costituzione dell'ufficio di presidenza è disposta dai Presidenti di Camera e Senato entro dieci giorni dalla nomina dei commissari e commissarie. Inoltre, è disciplinata la modalità di elezione dei membri dell'ufficio di presidenza.

L'articolo 5 di entrambe le proposte di legge disciplina il mantenimento dell'obbligo del segreto, prevedendo le relative sanzioni in caso di violazione, mediante rinvio all'articolo 326 del codice penale.

L'articolo 6 prevede che l'attività e il funzionamento della Commissione siano disciplinati da un regolamento interno approvato dalla stessa Commissione prima dell'avvio delle attività di inchiesta. La Commissione si riunisce normalmente in seduta pubblica, ma si può riunire in seduta segreta, se ritenuto opportuno. La norma in esame disciplina anche la dotazione organica e materiale a disposizione della Commissione. Per lo svolgimento delle proprie funzioni, la Commissione può, altresì, avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e di soggetti interni ed esterni all'amministrazione dello Stato, secondo quanto stabilito in materia dal regolamento interno della Commissione in cui è fissato il tetto massimo delle collaborazioni.

Quanto alle risorse necessarie al suo funzionamento, nel corso dell'esame in sede referente, le Commissioni riunite hanno eliminato il riferimento - ormai superato - allo stanziamento di 50 mila euro a carico dei bilanci delle Camere, previsto nel testo approvato dal Senato per l'anno 2022, lasciando, quindi, il solo limite di spesa pari a 100 mila euro a decorrere dal 2023, a carico, in egual misura, dei bilanci interni del Senato e della Camera, aumentabile in misura non superiore al 30 per cento con determinazione dei Presidenti di Camera e Senato, adottata previa richiesta del presidente o della presidente della Commissione.

La Commissione procede all'acquisizione dei documenti prodotti dalle analoghe Commissioni d'inchiesta, istituite nelle legislature precedenti.

Inoltre, le Commissioni riunite nel corso dell'esame in sede referente, introducendo un articolo aggiuntivo al testo in esame - l'articolo 7 - hanno modificato l'articolo 1 della legge 14 aprile 1975, n. 103, riguardante la composizione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Difatti, in analogia con il principio adottato per la composizione della Commissione sul femminicidio, si è inteso ampliare leggermente e, quindi, modificare la composizione della Commissione di vigilanza RAI, stabilendo che essa sia composta da 21 senatori e da 21 deputati, nominati dai rispettivi Presidenti delle due Camere, in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, comunque, assicurando la presenza di almeno un deputato o una deputata per ciascun gruppo esistente alla Camera o di almeno un senatore o una senatrice per ciascun gruppo esistente al Senato.

L'articolo 8 reca disposizioni in merito all'entrata in vigore della legge.

A conclusione di questa relazione, vorrei ringraziare la collega relatrice, gli uffici, tutte le colleghe e colleghi e il rappresentante del Governo, perché l'istituzione di questa Commissione parlamentare di inchiesta è fondamentale per affrontare i problemi – ahinoi – insoluti, causati dalla continua violenza degli uomini sulle donne, che non solo rappresenta, come detto anche dalla collega, un fenomeno sociale diffuso, con radici culturali profonde, ma a nostro giudizio, a mio giudizio, si tratta di una questione che possiamo definire come la questione urgente della contemporaneità, cioè la questione maschile, perché il problema è soprattutto degli uomini.

Da un lato, siamo di fronte a una mancata vera assunzione di responsabilità dei singoli e del genere maschile, se non saltuariamente, attraverso dichiarazioni formali, di presa di distanza dai femminicidi, dall'altro, si nota, da parte femminile, la costrizione all'omertà circa le violenze o le molestie subite sul luogo di lavoro. Ricordo, da questo punto di vista, che anche la precedente presidente della Commissione monocamerale, senatrice Valente, affermava, in una delle sue dichiarazioni pubbliche, che il fenomeno ha radici culturali talmente profonde - lo diceva anche la correlatrice or ora -, per cui è necessaria una vera rivoluzione civile, come nella lotta alla mafia degli anni novanta. Pensate che, ancora oggi, il 65 per cento delle donne non riesce a parlare delle violenze subite e uno su sette soltanto ha il coraggio di denunciare, di porre denuncia.

Quindi, da una parte, abbiamo questa sorta di costrizione all'omertà e, dall'altra, una specie di ossessione che riguarda la necessità di doversi difendere dagli attacchi maschili, mentre ciò che va assolutamente tenuto in considerazione - aspetto importante da rilevare - si chiama misoginia coscia e inconscia. La misoginia accompagna la storia della relazione tra i due sessi fin dagli albori del cammino della civiltà europea e si può definire brevemente come avversione nei confronti delle donne, peggio, come disprezzo, soprattutto, della capacità di pensiero femminile. In tempi politicamente corretti, in cui la morale pubblica impone la facciata dell'inclusività, della parità, del vogliamoci tutti bene, la misoginia si mostra marginalmente nella volgarità delle molestie verbali e fisiche ma, soprattutto - e diffusamente - nell'inconscia delegittimazione della presenza pensante di ogni singola donna.

Quando, oltre alla misoginia, in un maschio si aggiungono problemi di fragilità personale o anche di delirio di possesso del corpo femminile reso oggetto, ecco farsi strada il desiderio di uccidere la donna, di realizzare il femminicidio, l'uccisione della donna in quanto donna.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di farlo in fase di replica. Avviso che, come preannunciato per le vie brevi ai singoli gruppi, intorno alle 13 interromperemo la seduta per una mezz'ora.

È iscritta a parlare a parlare la deputata Di Biase. Ne ha facoltà.

MICHELA DI BIASE (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe, rappresentanti del Governo, con la proposta di legge in discussione, concernente l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere, si intende chiedere l'istituzione di una commissione bicamerale quale segno di attenzione del Parlamento rispetto ad un fenomeno, la cui portata continua a destare un particolare allarme sociale e che, quindi, merita una centralità e un lavoro organico da parte di tutte le forze parlamentari.

Il 24 novembre, alla presenza della Presidente del Consiglio, onorevole Giorgia Meloni, si è tenuta la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, istituita nella passata legislatura al Senato. Ha particolare importanza oggi ricordare il lavoro prodotto dalla Commissione proprio perché, come è stato evidenziato dall'onorevole Patriarca, la Commissione, di cui oggi ci accingiamo a votare l'istituzione, si avvarrà del lavoro svolto dalla precedente Commissione del Senato e, naturalmente, del lavoro corposo che in parte è stato già ricordato. Sono stati quattro anni di lavoro intensi, condizionati, vale la pena sottolinearlo, anche dall'emergenza pandemica che, per molti aspetti, ha aggravato la piaga del femminicidio, della violenza di genere contro le donne. La Commissione ha svolto un'importante attività conoscitiva e di indagine attraverso le sue 117 sedute plenarie e l'audizione di oltre 200 soggetti, nonché attraverso i sopralluoghi, molto diffusi su tutto il territorio nazionale, condotti dall'Ufficio di Presidenza.

All'esito di tali attività, sono state prodotte 12 relazioni tematiche, poi confluite e sistematizzate nella cornice della relazione finale. Mi interessa in questa sede sottolineare come queste relazioni siano state approvate all'unanimità, segno della necessità che, su questi temi, vi sia un lavoro condiviso e finalizzato al massimo risultato. Le tematiche di tali relazioni vanno dalle misure per rispondere alle problematiche delle donne vittime di violenza, anche con riferimento ai centri antiviolenza, alle case rifugio, agli sportelli antiviolenza e antitratta, alla vittimizzazione secondaria su cui poi tornerò perché mi pare sia un elemento niente affatto trascurabile. Si fa riferimento alle donne, che subiscono violenza, e ai loro figli, anche sotto il profilo dei procedimenti che disciplinano l'affidamento e la responsabilità genitoriale fino al riordino della normativa in materia di prevenzione e contrasto alla violenza di genere.

Come evidenziano i documenti di sintesi, prodotti a conclusione di questi lavori, a seguito delle singole inchieste tematiche, in particolare alla luce delle indagini statistiche effettuate, la Commissione ha condiviso nelle conclusioni delle relazioni specifiche strategie d'intervento da mantenere come impegni strutturali per combattere un fenomeno endemico, come quello della violenza di genere; un tema trasversale che riguarda specificatamente la corretta lettura della violenza di genere e la sua natura anche culturale. Prima su questo è stato detto ed io vorrei tornarci. A tale riguardo, infatti, la formazione degli operatori costituisce un elemento essenziale nel riconoscere la violenza, nell'assistere le donne, che sono le vittime, nella prevenzione poi di forme di vittimizzazione secondaria; un fenomeno questo troppo spesso sottovalutato, il cui effetto principale è quello di scoraggiare le donne nella presentazione della denuncia.

E' necessario dunque rafforzare e implementare lo stanziamento di appositi fondi, volti alla formazione specifica rispetto ai temi della violenza di genere; penso ai corsi di formazione rivolti alle Forze dell'ordine, penso ai magistrati, agli avvocati, al personale sanitario, anche mediante il coinvolgimento diretto degli ordini professionali e della Scuola superiore della magistratura. Insomma, tutte quelle istituzioni che concorrono a vigilare sul fenomeno ma che naturalmente hanno bisogno di veder implementato l'impegno del Governo.

Abbiamo assistito, purtroppo, negli anni passati ad una recrudescenza del fenomeno; tra l'altro, da poco, proprio in questa città è stata uccisa una donna che di professione faceva l'avvocato specializzato in diritto di famiglia, quindi crediamo conoscesse bene le dinamiche di violenza che possono verificarsi all'interno delle mura domestiche. Quindi, proprio in merito a questa preoccupante recrudescenza di violenza e dei femminicidi, appare indispensabile un forte impegno delle istituzioni per realizzare specifiche campagne di informazione e di sensibilizzazione dirette a promuovere strumenti di assistenza alle donne ma anche un cambiamento del paradigma culturale nella percezione del fenomeno da parte della società. E qui veniamo all'altro aspetto fondamentale, che è quello che riguarda l'impegno che dobbiamo mettere rispetto al cambio proprio di paradigma culturale. Su questo la precedente Commissione ha molto lavorato, verificando in modo specifico l'attuazione nelle scuole delle linee guida concernenti il piano nazionale per l'educazione al rispetto. Ha ritenuto, dunque, la formazione scolastica dei bambini e dei ragazzi elemento imprescindibile nel superamento degli stereotipi sessisti e dei paradigmi culturali discriminatori verso le donne. L'abbiamo detto tante volte in quest'Aula, anche fuori da quest'Aula, è necessario partire dai nostri ragazzi, dai nostri bambini e dalle nostre bambine, se vogliamo realmente combattere uno stereotipo culturale gravissimo che genera morte e dolore in tante tante famiglie. Queste, a mio avviso, dovrebbero essere delle raccomandazioni attraverso, per esempio, gli interventi per l'educazione al rispetto, all'educazione emozionale e per l'educazione all'uso appropriato dei social media e piattaforme che spesso comportano l'effetto, specie in una fase adolescenziale, di una quasi distorsione dell'affettività. Questo è un aspetto fondamentale, che poi avremo la possibilità di approfondire.

Tornando alle risultanze del lavoro della Commissione, abbiamo detto che c'è stata un'escalation preoccupante di femminicidi negli anni 2021 e 2022. Risulta, pertanto, doveroso garantire la certezza della pena per gli autori di reati di genere e occorre potenziare le misure penali di protezione delle donne vittime di violenza, anche al fine di tutelare la vittima da ulteriori azioni lesive da parte del maltrattante che non di rado sfociano nello stesso femminicidio. Per una piena tutela delle donne vittime di violenza appare dunque necessario, a mio avviso, un rafforzamento del ricorso allo strumento dei braccialetti elettronici, sia nella fase cautelare sia durante l'esecuzione della pena.

Come accennato all'inizio del mio intervento, in relazione al tema della tutela delle donne vittime di violenza e dei minori, è stato lungamente indagato il fenomeno di vittimizzazione secondaria, con particolare riferimento ai procedimenti di separazione con affidamento dei figli.

La mancanza di specializzazione e formazione degli operatori a volte rischia di compromettere - anche attraverso l'utilizzo di teorie non riconosciute dalla comunità scientifica, in particolare la sindrome di alienazione parentale - la salute della madre e del minore. La Commissione ha considerato di particolare importanza l'introduzione di dispositivi che disciplinino l'esecuzione dei provvedimenti di affidamento e collocamento dei minori, con espresso divieto di disporre il prelievo forzoso di minori al di fuori dell'ipotesi di rischio di attuale e grave pericolo per l'incolumità fisica. Come purtroppo abbiamo potuto vedere durante l'emergenza pandemica – periodo in cui si è registrata una recrudescenza della violenza e delle difficoltà per le donne di denunciare i propri maltrattanti - riteniamo essenziale l'individuazione di luoghi in cui le donne vittime di violenza possano essere accolte e assistite. Per questo è necessario proseguire nel sostegno ai centri antiviolenza che rappresentano davvero - e non sarà mai troppo ripeterlo - un presidio a difesa delle donne, con un'esperienza ormai trentennale.

Con specifico riguardo poi all'assistenza sanitaria e ospedaliera, c'è la necessità di un'articolata indagine al fine di svolgere una verifica. Su ciò anche questa nuova Commissione si impegna; in particolare, s'impegna per verificare l'attuazione delle linee guida nazionali per le aziende sanitarie ed ospedaliere in tema di soccorso e assistenza sociosanitaria alle donne che subiscono violenza. Le strutture sanitarie sono, infatti, quelle che possono intercettare, anche precocemente, i segni della violenza di genere e domestica, a partire dalle strutture di pronto soccorso. Appare, dunque, necessario assicurare un perimetro minimo per garantire interventi adeguati e integrati nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche che la violenza maschile produce alla salute della donna e degli eventuali minori, vittime di violenza.

Per il completamento del percorso di assistenza e uscita dalla violenza è necessario assicurare alle donne, che ne sono vittime, strumenti di emancipazione economica per il loro reinserimento sociale. In quest'Aula durante la giornata internazionale del 25 novembre abbiamo votato un atto, lo abbiamo votato all'unanimità, impegnandoci anche su questo aspetto, su quanto sia fondamentale per le donne avere strumenti per emergere da situazioni che fanno seguito al momento in cui hanno avuto il coraggio di denunciare il maltrattante; dopo che hanno attraversato quel calvario, spesso con i loro figli, è necessario sostenerle e aumentare gli strumenti legislativi che il nostro Governo ha già messo a disposizione. Ogni intervento per essere efficace non può prescindere da un'attenta valutazione della dimensione del fenomeno.

In questo provvedimento si dà anche spazio proprio a una valutazione statistica.

Alla luce del fondamentale lavoro che è stato svolto nella passata legislatura, questo lavoro di studio e di ricerca, di approfondimento, di elaborazione, risulta doveroso e io ne sono fiera. Proprio nel solco del lavoro già condotto, è necessario rendere comune gli sforzi. L'istituzione della Commissione bicamerale è davvero, in tal senso, un segnale fondamentale.

L'impegno di tutto il Parlamento su questo tema sarà porterà - sono sicura - il massimo impegno rispetto ai punti che poi brevemente voglio analizzare con voi. Lo abbiamo detto in precedenza, abbiamo parlato di statistica, della necessità di valutazione puntuale del fenomeno della violenza di genere e, allora, è necessario ragionare, magari in modo puntuale, su quelle che sono le reali dimensioni del fenomeno, su quelle che sono le condizioni e le cause del femminicidio. È necessario, naturalmente, com'è stato già detto, monitorare la concreta attuazione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio del 2011, nonché su tutta quella che è la legislazione nazionale ispirata agli stessi principi; è necessario accertare - e questo già l'ho detto - il livello di formazione e di attenzione e, dunque, verificare la capacità di intervento e la reattività, anche grazie alla formazione delle autorità e delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche che sono deputate e competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza; è necessario verificare, così come ci ha raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità, l'effettiva realizzazione, da parte delle istituzioni, di progetti nelle scuole di ogni ordine e grado, finalizzati proprio all'educazione del rispetto reciproco nelle relazioni tra uomini e donne e al riconoscimento di quelle che sono tutte le diversità.

Alla lettera f)dell'articolo 2, e su questo già mi sono lungamente espressa, c'è il punto relativo alla necessità di analizzare gli episodi di femminicidio verificatisi a partire dal 2016, per accertare se esistano condizioni o comportamenti ricorrenti, valutabili sul piano statistico, allo scopo di orientare l'azione di prevenzione, perché abbiamo detto che è fondamentale una valutazione precisa per dare risposte puntuali e altrettanto precise sul fenomeno; inoltre, vi è la necessità, reale concreta, di monitorare l'effettiva applicazione, da parte delle regioni, del Piano antiviolenza e delle linee guida nazionali per le aziende sanitarie ospedaliere in tema di soccorso alle vittime di violenze e ai loro parenti, pensando anche alle vittime di violenza assistita; vi è, ancora, la necessità di monitorare l'effettiva destinazione alle strutture che si occupano della violenza maschile contro le donne e, naturalmente, l'attività svolta dai centri antiviolenza che operano sul nostro territorio nazionale, quali interlocutori necessari delle istituzioni e nella costruzione di politiche di contrasto al fenomeno della violenza maschile sulle donne, attingendo alla loro esperienza e alla loro attività trentennale. Poi, naturalmente, occorre proporre interventi normativi e finanziamenti strutturali, proprio per far sì che tutte le reti dei centri antiviolenza e delle case rifugio presenti sul territorio nazionale abbiano la massima diffusione; noi ci siamo resi conto di quanto sia fondamentale la presenza - anche numerica - di questi centri; nella regione Lazio da poco l'Università la Sapienza ha aperto uno sportello antiviolenza; lo dico perché spesso abbiamo parlato di come la violenza sia trasversale e uno sportello di tale tipo può aiutare anche le ragazze che magari vivono un momento di difficoltà o atti gravi nei loro confronti anche in luoghi che di solito sono deputati ad altro. Poi, naturalmente, la legge si propone di trovare soluzioni di carattere legislativo e amministrativo al fine di realizzare la più adeguata prevenzione e il più efficace contrasto al femminicidio e, come abbiamo lungamente detto, a ogni forma di violenza maschile contro le donne, nonché quella di tutelare da violenza gli eventuali minori coinvolti.

Io sono certa che l'istituzione di una Commissione bicamerale su questo tema sortirà effetti positivi; sono altresì certa che questi argomenti vadano trattati in modo trasversale, con il massimo coinvolgimento di tutte le forze politiche che siedono in Parlamento applausi.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marrocco. Ne ha facoltà.

PATRIZIA MARROCCO (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, oggi si avvia l'esame della proposta di legge atto Camera 640 e abbinate, recante una Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio. Purtroppo, la violenza contro le donne continua a rappresentare, nel nostro Paese, un fenomeno di pesantissima gravità; è sempre in continua crescita. Non bisogna mai abbassare la guardia; milioni, nel mondo, sono le donne picchiate, aggredite, stuprate, mutilate, assassinate, private del diritto dell'esistenza stessa. È una violenza di diritti umani, una forma di discriminazione, una delle forme più diffuse al mondo, una vera e propria emergenza sicurezza, che ha bisogno di necessarie misure, sistematiche e coordinate.

La violenza maschile sulle donne è una questione politica, in quanto fenomeno di pericolosità sociale. Fermare queste atrocità è un impegno che riguarda tutti, in particolare chi si ritrova a ricoprire ruoli istituzionali, assumendo impegni precisi di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione, con politiche attive, coerenti e coordinate, che coinvolgano diversi altre istituzioni - e non -, a tutti i livelli, ponendo il problema della violenza sulle donne come una priorità assoluta dell'agenda politica.

Bastano alcuni dati dell'Istat a farci rabbrividire, con il 31,5 per cento di donne che hanno subito violenza nel corso della loro vita, molto spesso vicino agli occhi dei propri figli e, quindi, dei minori - lasciando poi traumi psicologici devastanti -, di cui il 62,7 per cento di stupri da parte del partner. Si tratta di numeri inquietanti. Ecco perché, oggi, in questo Parlamento, si avvia l'esame di una sacrosanta proposta di legge. In relazione alle tematiche citate, è stata istituita in Senato, nella scorsa legislatura, una Commissione d'inchiesta monocamerale; sono state approvate, oltre al documento conclusivo, ben 13 relazioni settoriali, che hanno fatto emergere la profondità della problematica. Anche per dare continuità a questo lavoro, oggi si propone, in questa legislatura, di istituire una Commissione d'inchiesta bicamerale.

Sul contenuto della proposta di legge atto Camera 640, che è stata approvata al Senato, con il consenso unanime di tutti i gruppi parlamentari, l'articolo 1 istituisce la Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di genere.

L'articolo 2 definisce i compiti della Commissione d'inchiesta, che, quindi, si occuperà appunto nel dettaglio di svolgere un'indagine sulle reali dimensioni caratteristiche e cause del fenomeno, di monitorare la concreta attuazione della cosiddetta Convenzione di Istanbul; di accertare le possibili incongruità e carenze delle normative vigenti; di accertare la capacità di intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni a svolgere attività di prevenzione assistita; di analizzare gli episodi di femminicidio verificatisi per accertare riscontrabili condizioni e comportamenti statisticamente ricorrenti, allo scopo dell'azione di prevenzione; di monitorare l'applicazione, da parte delle regioni, del Piano antiviolenza e delle linee guida nazionali per le aziende sanitarie e ospedaliere; di monitorare l'effettiva destinazione alle strutture delle risorse che negli ultimi anni sono state stanziate in loro favore; di monitorare l'attività, svolta da una parte dei centri antiviolenza, di riabilitazione anche per uomini maltrattati; di proporre interventi normativi e finanziari strutturali che tutelino la rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio; di proporre soluzioni di adeguata prevenzione, nonché di tutelare tutte le vittime di violenza e gli eventuali minori coinvolti; di adottare iniziative per la redazione dei testi unici in materia.

L'articolo 3 disciplina i poteri della Commissione. Si prevede che la stessa proceda alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e limiti dell'autorità giudiziaria. Per le testimonianze rese davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli 366 e 372 del codice penale. È prevista la possibilità per la Commissione di acquisire copia dei documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni, nonché copie di atti e documenti relativi a procedimenti giudiziari in corso. La Commissione è tenuta ovviamente a mantenere il segreto sul contenuto di quanto ricevuto. La Commissione può inoltre predisporre gruppi di lavoro per una migliore attività.

L'articolo 4 attiene alla composizione della Commissione.

L'articolo 5 disciplina il mantenimento dell'obbligo del segreto, prevedendo le relative sanzioni in caso di violazione.

L'articolo 6 prevede che l'attività e il funzionamento della Commissione siano disciplinati da un regolamento interno approvato dalla stessa. La Commissione si riunisce normalmente in seduta pubblica, ma si potrebbe anche riunire in seduta segreta, se ritenuto opportuno. La norma in esame disciplina la dotazione organica di materiale ed è stabilito anche un limite di spesa.

L'articolo 6 prevede che l'attività e il funzionamento della Commissione siano disciplinati dal regolamento interno.

L'articolo 7, invece, modifica l'articolo 1 della legge 14 aprile 1975, n. 103, riguardante la composizione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

L'articolo 8 reca disposizioni in merito all'entrata in vigore della legge.

Il contrasto della violenza sulle donne è una battaglia che va combattuta ogni giorno, senza sosta. È una battaglia a difesa dei diritti umani. La lotta al femminicidio non è una battaglia di donne contro uomini e viceversa, ma deve essere una coalizione compatta di uomini e donne uniti per costruire insieme un futuro migliore. La battaglia è un fatto di civiltà, una lotta che servirà a trasformare la società, a modernizzarla e a renderla un posto migliore (Applausi).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e le studentesse dell'Istituto Comprensivo “Giusti Giuseppe” di Campo nell'Elba (Livorno), che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Come già anticipato, sospendiamo a questo punto la discussione generale del provvedimento in esame, che riprenderà alle ore 13,30. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 13,30.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 73, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 640-A​ e abbinate)

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali della proposta di legge, già approvata in un testo unificato dal Senato, n. 640-A e delle abbinate proposte di legge, nn. 602 e 772.

È iscritto a parlare il deputato D'Alessio. Ne ha facoltà.

ANTONIO D'ALESSIO (A-IV-RE). Grazie, signora Presidente. È un tema questo sul quale per fortuna c'è un'enorme, grande, grandissima condivisione. Diciamo che i provvedimenti legislativi devono guidare il Paese in linea con le scelte effettuate da chi è deputato a farle, però devono anche recepire ovviamente le esigenze della comunità. E l'esigenza di questa comunità, del nostro Paese, in questo momento, con riferimento a questo tema, è la necessità di monitorare e di tutelare in maniera molto puntuale e attenta questo bruttissimo fenomeno del femminicidio e, più in generale, la violenza di genere. È questa la realtà dalla quale dobbiamo partire, e c'è anche un'urgenza; quindi non è possibile traccheggiare, perdere tempo intorno a elementi di dettaglio rispetto a una Commissione che, invece, a mio avviso, deve essere immediatamente operativa.

Quindi non mi voglio soffermare sulla necessità, perché la cronaca e le statistiche purtroppo sono impietose. Voglio, invece, sottolineare qualche positivo accorgimento che, nel leggere il testo che andiamo ad approvare, è da evidenziarsi.

Innanzitutto, lo svolgimento di indagini sulle reali dimensioni e le cause del femminicidio, perché a volte ci perdiamo intorno a questioni di principio, senza andare invece a verificare le dimensioni reali del problema. Quindi, un monitoraggio circa la concreta attuazione della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti di donne e la violenza domestica. Poi la necessità di accertare le incongruità e le carenze della normativa vigente, perché esistono chiaramente delle norme, ma sono a volte carenti, ci sono lacune che vanno colmate, ivi compresa una rivisitazione anche sotto il profilo penale della tutela nei confronti di questa terribile realtà che viviamo nel nostro Paese.

Altro elemento che mi sembra degno di rilievo, che è interessante e anche nuovo sotto certi aspetti, è che questa Commissione andrà ad accertare il livello di formazione, attenzione e la capacità di intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni competenti in materia.

A volte abbiamo delle scatole vuote o delle amministrazioni che, anche per carenza di organico, non sono messe in condizioni di operare con una certa efficienza ed efficacia.

Ancora, il monitoraggio sull'attività svolta dai centri antiviolenza. I centri antiviolenza sono molto importanti in Italia, però esistono anche delle criticità, delle inerzie; e quindi questa Commissione potrà monitorare l'attività svolta, altro elemento meritorio. Potrà proporre interventi normativi e finanziari strutturali, in modo da assicurare finanziamenti, che a volte sono assolutamente insufficienti per fronteggiare un fenomeno di queste dimensioni. Naturalmente proporre, poi, soluzioni di carattere legislativo e amministrativo.

L'articolo 82 della nostro Costituzione prevede che ciascuna Camera possa disporre inchieste su materie di interesse pubblico. L'istituzione della Commissione d'inchiesta può essere deliberata anche da una sola Camera con atto non legislativo, però sappiamo bene che nella storia parlamentare si è andata affermando una prassi virtuosa, che è quella di deliberare le inchieste con legge, eventualmente affidandole a Commissioni composte da deputati e senatori, ed è il nostro caso. La nomina verrà ovviamente organizzata per proporzioni dei gruppi, come è giusto che sia.

Altro elemento che volevo sottolineare, e che mi sembra degno di rilievo, è che i poteri coercitivi, che la Commissione d'inchiesta può esercitare, sono quelli propri della fase istruttoria delle indagini giudiziarie. Quindi, è chiaro che la Commissione è priva di poteri giudicanti, non può accertare reati, non può irrogare sanzioni - quello fa parte del potere giudiziario - però può disporre ispezioni, perquisizioni personali e domiciliari, sequestri, intercettazioni telefoniche, perizie, ricognizioni, esperimento di prove testimoniali e, addirittura, anche accompagnamento coattivo dei testi renitenti. Questo significa che gli strumenti in mano alla Commissione sono tanti, sono ampi, sono importanti e dobbiamo solo mettere nelle condizioni la Commissione di lavorare su questo tema - ripeto - molto, molto delicato.

Un ultimo elemento, che mi sembra di novità, è che questa Commissione potrà valutare la necessità di redigere - io mi auguro lo faccia - testi unici, al fine di implementare la coerenza e la completezza della regolamentazione in materia di violenza sulle donne. A volte temi importanti e delicati non hanno una legislazione organica, cosa che può essere affidata a un testo unico. Ritengo e mi auguro che questa Commissione, che ci accingiamo velocemente a votare tutti in maniera unanime, possa produrre anche un lavoro su questi testi unici.

È ovvio che non basta questa Commissione per neutralizzare il fenomeno da combattere. Occorre tanto altro, a tutto campo, con altri interventi anche territoriali, di monitoraggio, di controllo, di sostegno sociale, di sostegno economico e di incentivazione alla denuncia, però questo provvedimento è un bel passo nella direzione giusta.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. La violenza contro le donne, purtroppo, è un'emergenza ancora drammaticamente diffusa in Italia e nel mondo ed è un fenomeno che ritroviamo, purtroppo, sotto tantissime forme diverse. Proprio parlando di violenza sulle donne, non me ne vorrà, Presidente, se il mio pensiero in questo momento, insieme a tutte le altre donne vittime di violenza, vola innanzitutto alle donne che stanno combattendo in Iran, delle quali si parla, a mio avviso, ancora troppo poco e per le quali dobbiamo sforzarci, perché quella battaglia rappresenta, in parallelo, quella che, con la costituzione di questa Commissione d'inchiesta, porteremo avanti anche in Italia. Dobbiamo innanzitutto dirci chiaramente che abbiamo già fatto molto e che il lavoro portato all'attenzione di quest'Aula, sino a questo momento, è stato un lavoro importantissimo e sicuramente pregevole. Allora, dobbiamo chiederci perché, ancora una volta, ancora oggi, ci ritroviamo a parlare della Commissione d'inchiesta sul femminicidio. Ebbene, Presidente, la violenza si esplica in tante forme e le violenze continuano ad essere consumate, nonostante ci sia oggi un quadro normativo sicuramente migliorabile. Penso, per esempio, a quello che accade ai bimbi, figli di mamme vittime di violenza, che purtroppo ancora oggi, molto spesso, vengono allontanati dall'amore più grande, che è la loro la loro mamma, e a quanto accade alle mamme che vengono a subire una doppia violenza, che è quella fisica e verbale e, contemporaneamente, quella del distacco dal proprio amore più grande, il proprio figlio. Quindi, sicuramente siamo di fronte a un quadro normativo che va migliorato, che questo Governo sicuramente migliorerà, ma che comunque oggi appare estremamente avanzato rispetto al punto di partenza di qualche anno fa. La risposta giudiziaria però - non possiamo nascondercelo - non è sufficiente.

Abbiamo necessità di una risposta culturale; la nostra società, purtroppo, è ancora troppo pervasa di stereotipi e pregiudizi, che devono essere superati, nonostante siano profondamente radicati in noi stessi, in ognuno di noi. Alle volte, stentiamo anche a riconoscerli e, quindi, a leggerli in maniera corretta. Il 2022 è stato segnato dai femminicidi: 120 le donne uccise, l'ultima, in ordine temporale, il 24 dicembre, una scia di sangue che, purtroppo, non accenna a fermarsi. Secondo i dati del Viminale, tra il 1° gennaio e il 18 dicembre, in Italia sono stati registrati 300 omicidi, con 120 vittime donne; 97 di loro - e questo è un dato davvero preoccupante - sono state uccise in ambito familiare o affettivo, 57 hanno trovato la morte per mano del partner o dell'ex partner e siamo di fronte a una tragedia che non accenna a diminuire e, in realtà, continua a crescere: più 4 per cento. È un fenomeno sicuramente e inevitabilmente complesso, una piaga sociale, una grave violazione dei diritti umani. Sbagliano tutti coloro i quali credono che sia una questione che riguardi solo le donne: è una questione che riguarda tutti ed è una questione sulla quale bisogna continuare a lavorare in maniera seria e, soprattutto, dedicando attenzione a ogni più piccolo particolare e a ogni più piccola piega delle maglie di quello che riguarda e di quello che c'è attorno alla violenza sulle donne. È un fenomeno soprattutto privato e questo, ovviamente, rende molto più difficile la possibilità, da parte delle autorità, delle istituzioni e di tutti coloro i quali lavorano per aiutare queste donne, di scovare l'ambito della violenza. Bisogna, dunque, costruire una rete, che, però, non può essere soltanto una rete formale, ma deve essere una rete sostanziale. È proprio questo che la Commissione può aiutare a fare, non soltanto con l'individuazione del mancato rispetto dei diritti umani, ma soprattutto con il monitoraggio costante e la presenza costante delle istituzioni, attraverso il loro lavoro, su temi così importanti e delicati.

Con l'istituzione della Commissione parlamentare si fa un grandissimo passo in avanti e la decisione di passare da una Commissione monocamerale a una Commissione bicamerale dimostra, ancora una volta, la volontà concorde di concorrere ad affrontare, se non risolvere, il fenomeno della violenza sulle donne. Quando sono in gioco valori fondamentali della persona umana, è davvero bello vedere come le forze politiche, pur nella diversa concezione e nei diversi punti di riferimento politici e culturali, riescano a trovare un'intesa. Non c'è nulla di più odioso dell'uccisione di una donna in quanto donna, perché rifiuta il ruolo che il suo carnefice le vuole imporre. È un fenomeno che dobbiamo combattere nel modo più deciso possibile e dobbiamo, contemporaneamente, preoccuparci anche dei bambini. Non mi stancherò mai di dire che, nella violenza su una donna, purtroppo, vengono coinvolti minori inermi, che hanno bisogno del sostegno delle istituzioni, ma hanno, soprattutto, bisogno di essere accompagnati in un percorso che inevitabilmente è estremamente difficile e delicato, perché parte da un momento estremamente difficile e delicato.

Presidente - e mi avvio alla conclusione - l'istituzione di questa Commissione d'inchiesta non è soltanto un atto formale da parte di quest'Aula; è, invece, un atto sostanziale, nel quale ritroviamo la volontà di tutte le forze politiche di farsi carico di una questione che davvero non possiamo dimenticare, non possiamo tralasciare e non possiamo mai mettere nel dimenticatoio. Quindi, è bene ed è fondamentale che ci sia - e questo ovviamente ci sarà - la condivisione più ampia possibile di questa Commissione d'inchiesta ed è proprio per questo che credo sia fondamentale la partecipazione di tutti i gruppi politici, perché, fin quando ci sarà una sola donna minacciata in quanto donna, noi non avremo mai pace (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ricciardi. Ne ha facoltà.

MARIANNA RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente. Giulia Donato, Martina Scialdone, Oriana Brunelli, Teresa Di Tondo sono le quattro vittime di femminicidio da inizio 2023, quattro donne in 23 giorni, nomi che si aggiungono ad altri nomi e che diventano numeri, in una tremenda spersonalizzazione della morte. Immaginate se questa fosse la frequenza di omicidi commessi da mafia o terrorismo nel nostro Paese: la chiamerebbero tutti strage e sarebbe una strage rumorosa, se ne parlerebbe tutti i giorni, a tutte le ore, ovunque, su tutti i media, in tutti i bar, in tutte le strade, le case, le piazze, sui giornali e anche qui, in Aula.

Voglio, quindi, iniziare da questo: ne parliamo abbastanza? La risposta è “no”: ogni volta che una donna viene uccisa, ne parlano per qualche giorno i media nei talk show, bulimici di morbosi dettagli. E così la storia di una nuova vita spezzata diventa una storia in più da raccontare, nella carrellata del true crime, definendo, con il pubblico, quello che sembra quasi essere diventato un genere: donne che muoiono per mano degli uomini.

Ho letto diverse dichiarazioni riguardo al fatto che la celerità con cui si è costituita questa Commissione bicamerale sia indice di impegno concreto e di maggiori capacità nell'affrontare quello che possiamo definire un perverso male sociale, di matrice culturale. Sicuramente è un bene la celerità, ma voglio precisare che a questo, che possiamo definire iperattivismo politico di prima mano, dobbiamo assolutamente associare la concretezza delle azioni. Allora, nella concretezza, dobbiamo partire da quanto vi dicevo in precedenza: parliamo abbastanza dei femminicidi e della violenza di genere? E, soprattutto, come ne parliamo? Il primo punto dunque che vorrei si affrontasse nei lavori di Commissione è questo - perché i tempi sono cambiati e tutto oggi esiste perché viene comunicato -: la maniera in cui si comunica contribuisce, in larga parte, a costituire pensieri, opinioni e mentalità e auspico che si capisca, attraverso l'osservazione e l'indagine, che certamente è necessario parlare delle vittime, ma è altrettanto necessario, o, forse, maggiormente necessario, che si parli dei carnefici cioè degli uomini maltrattanti, di quegli uomini che, per la maggior parte, sono ex partner, persone che dovevano essere rifugio e, invece, sono state sofferenza, umiliazione, botte, morte, quegli uomini a cui non dobbiamo arrivare quando ormai l'irreparabile è accaduto, ma prima, molto prima. Ricordo diverse grandi personalità aver affermato, davanti ai numeri dei femminicidi del 2022:

“Dobbiamo capire dove abbiamo sbagliato”. Sì, cari colleghi e colleghe, dobbiamo capirlo, abbiamo tutti il dovere di farlo e di rendere il nostro impegno concreto e, soprattutto, utile; dobbiamo farlo perché è in atto una strage senza fine e abbiamo il dovere di considerarla tale. Nel 2022, sono state 118 le donne uccise, un elenco impressionante di storie annientate, nonostante le leggi, che sembrano purtroppo non bastare, una lista di vittime che significa altrettanti uomini maltrattanti, uomini che diventano mostri, quasi sempre per la fine di una storia d'amore malata, quando le donne provano a voltare pagina. Eppure, quello è solo l'atto finale di una lunga scia di violenze perpetrate, di altri lunghi elenchi di violenza tra le mura domestiche spesso anche denunciate e, prima ancora, di una mentalità patriarcale e maschilista, di cui, sulla carta, ci siamo liberati, con l'abolizione dello ius corrigendi del 1956, con la riforma del diritto di famiglia del 1975, con l'eliminazione del cosiddetto delitto d'onore, che però nella pratica resta forte e continua a permeare cultura e società.

Su come debellare questa mentalità dobbiamo lavorare, a mio parere, soprattutto sull'individuazione dei risultati dei percorsi per uomini maltrattanti, su come renderli davvero efficaci, perché, se gli uomini non cambiano, continueremo ad avere elenchi di nomi di vittime, di amabili resti, famiglie smembrate con figli segnati per sempre, che spesso assistono a tutte le fasi delle violenze psicologiche e fisiche e che, talvolta, diventano essi stessi vittime.

Colleghi e colleghe, parliamoci chiaro: se non debelliamo lo strisciante maschilismo che permea tutta la nostra società e se non affrontiamo il problema del maschile, anche in relazione alle disparità che sono evidenti in ogni contesto e tradiscono quella mentalità patriarcale e sottomissiva di cui dicevo poc'anzi, non saremo mai concreti, non avremo mai un vero cambiamento.

Proprio qualche giorno fa, ho parlato con la presidente di un'associazione antiviolenza che mi ha detto: “Marianna, una Commissione sul femminicidio per lavorare bene e portare risultati dovrebbe ascoltare chi queste cose le vive da vicino e le vede tutti i giorni”. Ebbene, sono d'accordo con lei: siamo qui per fare di più e andare oltre, oltre le scarpe rosse, le proiezioni, le panchine, oltre le reazioni immediate, verso atti concreti. Vorrei che fosse chiaro a tutti noi che, per fare meglio quello che già facciamo, dobbiamo comprendere che il rumore della foresta che cresce deve sostituire quello dell'albero che cade.

Questa Commissione dovrà ascoltare chi tocca con mano ogni giorno la violenza e la combatte sul campo, ma anche chi l'ha subita. Il risultato concreto, a cui dobbiamo guardare come traguardo, deve essere la capacità di rafforzare i servizi esistenti, ma anche di crearne di nuovi, affinché - e questo è importantissimo - gli operatori impegnati in prima linea vengano formati per saper riconoscere precocemente e valutare correttamente il rischio di aggressione, per saper comprendere le parole di disperazione, ma ancor prima i silenzi.

Va fatta un'analisi lucida e chirurgica su cosa sono in grado di offrire i centri antiviolenza, quella rete di protezione che oggi è il porto cui si rivolgono migliaia di donne in tutta Italia e, a questa analisi, devono seguire proposte per adeguati finanziamenti, ma soprattutto disposizioni di monitoraggio su come vengono spese le risorse, perché - non mi stancherò mai di dirlo - è il come che fa la differenza.

Ci sono alcune domande che dobbiamo farci assolutamente per rendere il nostro impegno fattivo e proficuo. Abbiamo indicatori di come stanno funzionando i pronto soccorso o gli altri servizi coinvolti, dopo il DPCM 24 novembre 2017 e la legge “codice rosso”? Quanto stanno funzionando le misure di dissuasione giudiziaria dei comportamenti violenti? Vogliamo considerare la necessità che il Protocollo Zeus debba essere obbligatoriamente attivato ovunque, da Nord a Sud? Per scardinare quella mentalità mortale, infatti, dobbiamo rafforzare la coscienza civica e gridare forte che nessuno di noi deve voltarsi dall'altra parte. I sistemi di protezione che si attivano in caso di violenza domestica sono in grado di lavorare in maniera integrata ed efficace?

Il lavoro di questa Commissione deve concentrarsi sul prima, prima che l'albero cada, prima dell'ineluttabile, prima della morte, prima dell'ennesimo nome aggiunto all'elenco, prima che un uomo si trasformi in belva, in carnefice o in aguzzino. E poi, cari colleghi e colleghe, penso sia arrivato il momento di smetterla con le ipocrisie: dobbiamo dire alle donne che possono denunciare e uscire dalle violenze e che possono farlo in sicurezza. Ma quando capiremo che, se non sconfiggiamo la dipendenza economica delle donne e se a queste donne, che hanno bisogno di aiuto, non siamo in grado di dare poi un futuro di indipendenza - che non solo le sostenga economicamente, ma che scardini dentro la loro anima la convinzione di essere nullità e di non valere niente, così come ripetono loro quegli uomini che le aggrediscono -, sarà difficile che esse trovino il coraggio di voltare pagina?

Il reddito di libertà può essere riconosciuto una sola volta per un importo di 400 euro su base mensile, per un massimo di dodici mesi. Ce lo vogliamo dire che non basta e non può bastare? Vogliamo pensare di ottimizzare percorsi di formazione per queste donne, creando una rete con le imprese, affinché le vittime possano dismettere questo sostantivo e trovare un posto sicuro nel mondo, lontano dai loro aguzzini, con la consapevolezza di poter essere autonome?

Ecco, queste sono le domande che dobbiamo farci per intervenire sul prima e non sul dopo. Piangere una donna ammazzata il giorno dopo non può bastare, commuoversi per i suoi amabili resti nemmeno: servono risposte chiare e concrete. Dobbiamo individuare mezzi e strumenti per dare queste risposte; al Governo, poi, l'onere di tradurle in fatti.

Sono convinta che questa battaglia debba unirci tutti, uomini e donne, senza esitazioni, al di là di qualsiasi appartenenza ideologica, e auspico che questa Commissione bicamerale sappia onorare le vittime con il proprio operato e che non si fermi alla reazione davanti all'albero che cade, ma diventi fruscio dirompente di foresta che cresce (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato La Salandra. Ne ha facoltà.

GIANDONATO LA SALANDRA (FDI). Grazie, Presidente. Colleghi, Tolstoj, in un romanzo non molto conosciuto, sosteneva: “L'abisso di errori” - e, aggiungerei, di orrori – “in cui viviamo nei riguardi delle donne e dei rapporti con loro” è tale che” “non mi riesce di parlar con calma di queste cose”. Probabilmente, questa citazione dovrebbe costituire la chiave di volta con cui leggere il perché solo oggi siamo arrivati ad una Commissione d'inchiesta. Infatti, se arriviamo ad una Commissione d'inchiesta, ai sensi dell'articolo 82, siamo arrivati alla ineluttabile consapevolezza che è il momento di fare qualcosa e di operare, perché, come bene si è detto, stiamo discutendo di valori fondamentali dell'individuo.

Credo sia consapevolezza comune di ognuno di noi che il femminicidio costituisca una violenza tra le più cattive e, probabilmente, tra le più sottili, perché matura nell'ambiente domestico, matura all'interno di contesti affettivi e, paradossalmente, affonda le proprie radici nel silenzio, e così finisce che le urla e le sofferenze arrivino sempre troppo tardi.

Si è detto correttamente: siamo invasi da dati statistici, da numeri, che ci consentono di affermare che è questo il momento di individuare percorsi chiari, affinché si possano ottenere norme che anticipino determinati fenomeni.

Credo che sia giusto ringraziare i colleghi senatori, la cui iniziativa ha dato vita a questa proposta di legge e, in particolar modo, un sincero grazie ai colleghi del Senato della Repubblica, che, senza distinzione partitica e all'unanimità, hanno già approvato questa proposta. Dobbiamo muoverci su questa consapevolezza, che questo è il Parlamento che deve intervenire, che le misure e gli interventi normativi sin qui adottati non sono stati sufficienti, se soltanto nel 2022 i numeri sono quelli che abbiamo enunciato sino adesso e, dall'inizio del 2023, già abbiamo quattro vittime di femminicidio.

Agire contro la violenza è un qualcosa di assolutamente importante, e comprendere che bisogna sviluppare il tema della sensibilità, è un qualcosa di primigenio nell'azione di ognuno di noi.

La Commissione parlamentare potrà lavorare su vari aspetti e uno di questi è proprio quello di avviare percorsi di emancipazione e reinserimento nel mondo del lavoro, perché è giusto ed è corretto, per chi vive la realtà anche degli uffici giudiziari e delle semplici separazioni, comprendere come le donne che subiscono violenza e che hanno anche la forza di denunciare vanno tutelate, non solo nel percorso di protezione, ma anche e soprattutto supportate nel raggiungimento di un'autonomia economica, di una vera e propria indipendenza, che permetta loro di riconquistare la libertà e la dignità. Non possiamo, infatti, dimenticare che è la nostra stessa Costituzione che riconosce come il lavoro sia elemento individualizzante e strumento per il raggiungimento della dignità dell'individuo.

Ma non possiamo assolutamente dimenticare come, se discutiamo di diritti fondamentali dell'individuo, allo stesso tempo sia importante che si operi nel senso della cultura del rispetto. E mi auguro che la Commissione operi anche attraverso gli istituti scolastici, attraverso veri e propri percorsi di istituzionalizzazione del tema.

Alda Merini, parlando delle donne, diceva: “siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise, solo perché donne”. Personalmente ritengo che la violenza sia una vera e propria malattia, e una malattia si estirpa grazie ad un'attenzione concreta di quella, ma anche stimolando una profonda rivoluzione culturale.

Bisogna procedere a un vero e proprio potenziamento delle case di rifugio e dei centri antiviolenza, che possano accogliere sempre meglio le tante donne, evitando - perché questo poi è il paradosso - che dopo la denuncia queste possano tornare a casa dal loro carnefice. Ed è proprio per questo che, se la Commissione avrà questi poteri istruttori così pregnanti e così incisivi, è sicuramente importante arrivare alla possibile individuazione di protocolli diretti all'individuazione di vere e proprie best practice, perché è spesso lì che si innesta, all'interno del circuito domestico, il corto circuito tra la fase della denuncia e una sorta di omicidio annunciato.

Ha fatto bene la collega a ricordare Giulia Donato, Martina Scialdone, Oriana Brunelli, Teresa Di Tondo e, da ultimo, anche Yana Maliko. Queste sono le sole vittime di femminicidio di questo 2023. Però, dietro il femminicidio, dietro una violenza di genere, ci sono delle altre vittime. Dietro questo numero, ci sono delle altre vite, che spesso sono dei nomi sconosciuti: sono i figli, sono le famiglie distrutte. Dietro queste vittime c'è il dolore, che non ingiallisce con il tempo. E allora, probabilmente, la Commissione deve intervenire per prevedere una specialità di quello che è il Fondo vittime di femminicidio, un carattere di specialità che diventa innegabile, se consideriamo come questo ormai sia un fenomeno sociale da combattere, al pari di tanti altri.

Siamo nel 2023, signor Presidente, gentilissimi colleghi, ed era il 2003 quando, nella mia città, nella città di Foggia, veniva uccisa, nella canonica della chiesa che frequentava quotidianamente, Giovanna Traiano. Era una semplice commessa, una ragazza di 25 anni che aveva deciso semplicemente di separarsi. Nella canonica della chiesa le ha sparato alla nuca il marito. Giovanna è venuta a mancare 20 anni fa, aveva un figlio di 4 anni, che verosimilmente non ricorda nulla della madre. Questo ragazzo oggi porta il cognome della madre. Ecco, è importante che si considerino tutte le vittime che si generano all'interno del femminicidio e della violenza di genere, che si considerino anche quelli che sono i veri e propri orfani del femminicidio. È un qualcosa di assolutamente importante.

La Commissione d'inchiesta deve essere letta come un vero e proprio strumento utile a una collettività, diretta ad una vera e propria presa di coscienza del fenomeno, perché il compito delle istituzioni è quello di offrire norme che rispondano anche al criterio di anticipazione del fenomeno stesso e che tutelino concretamente le vittime. Con onestà intellettuale, forse, dobbiamo dire che gli interventi normativi che si sono resi, probabilmente non sono stati sufficienti, se i numeri sono quelli citati dall'Eurostat o anche dallo stesso Istat, soltanto relativamente all'anno 2022. Serve un impegno economico complessivo da parte di tutte quante le istituzioni, perché le Forze dell'ordine operino col criterio di specialità, ma anche gli uffici giudiziari possano essere messi nelle condizioni di dare quelle risposte di giustizia che le stesse vittime chiedono.

La Commissione svolgerà indagini sulle reali dimensioni del fenomeno, sulle condizioni in cui esso matura, sulla qualità e sulle cause del femminicidio e, più in generale, di ogni forma di violenza maschile contro le donne, come è stato detto, anche monitorando la concreta attuazione…

PRESIDENTE. Concluda.

GIANDONATO LA SALANDRA (FDI). Mi avvio alla conclusione. L'istituzione di una Commissione d'inchiesta testimonia la grande attenzione che questo Parlamento intende prestare ed ecco perché io mi auguro davvero che, così come nell'altra Camera, anche questa possa all'unanimità condividere quanto è negli atti della Commissione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Varchi. Ne ha facoltà.

MARIA CAROLINA VARCHI (FDI). Grazie, Presidente. Mi unisco agli interventi, all'analisi, agli esami e anche all'enunciazione degli obiettivi che questa Commissione d'inchiesta, giustamente, si propone di raggiungere. Quando il femminicidio è piombato come concetto, prima, di natura sociale, poi, di natura giuridica nel nostro dibattito, erano già tante, troppe, le donne vittima di violenza di genere, questo perché probabilmente il femminicidio richiede un contrasto ad ampio spettro, perché è uno di quei casi in cui la repressione, alla quale per codice, per previsione normativa si dovrebbe accompagnare anche la riparazione del danno subito, non è in grado di consentire la riparazione di alcunché; sono danni irreparabili, sono danni verso i quali non vi è alcuna somma, alcuna cifra, alcun comportamento che possa risarcire chi resta in vita, quindi, i parenti delle vittime, gli orfani di femminicidio, come correttamente prima ricordava il collega La Salandra, questi bambini strappati a una crescita secondo i canoni della normalità, cioè con una mamma che si possa prendere cura di loro.

Allora, come dicevo, l'opera che questa Commissione dovrà fare è certamente di inchiesta, ma a mio avviso deve anche gettare le basi per una lotta ad ampio spettro a questi fenomeni, che deve partire fin dall'educazione, quindi, dal dato culturale, dall'educazione, fin dall'età scolare, perché i bambini di oggi, i ragazzi di oggi sono gli uomini di domani e, spesso, non c'è una adeguata diffusione di quei criteri che noi probabilmente consideriamo assodati, ma che evidentemente assodati non sono, come il rispetto dell'altro, come l'accettazione dell'altrui opinione, come l'accettazione dei pensieri altrui.

Presidente, quando sento parlare di femminicidio, la mia mente corre inevitabilmente a uno dei tanti femminicidi commessi in Italia che, personalmente, mi tocca da vicino; si tratta di un episodio che si verificò nella mia città, Palermo, il 19 ottobre 2012, più di dieci anni fa. Una ragazza che frequentava lo stesso liceo che avevo frequentato io stava rientrando a casa con la sorella e trovò ad attenderle l'ex fidanzato della sorella, che evidentemente non aveva ancora metabolizzato di essere l'ex fidanzato e voleva soddisfare con la violenza la sua pretesa di tornare con l'allora fidanzatina; la sorella si frappose tra i due per difenderla e restò vittima di questa follia femminicida. Quella ragazza si chiamava Carmela Petrucci; probabilmente, tra qualche anno il suo nome dirà poco o nulla, se non a chi l'ha conosciuta, agli amici, ai parenti.

A lei, e con lei a tutte le vittime di femminicidio, io desidero rivolgere il mio pensiero in questo momento e a chi è loro sopravvissuto il mio sentimento di vicinanza, che si coniuga - e credo di interpretare il parere unanime di quest'Assemblea - con l'impegno istituzionale di fare finalmente piena luce sull'origine, anche sociale, anche culturale, di questi fenomeni, perché il femminicidio talvolta matura in ambienti domestici, talvolta è generato da raptus momentanei, spesso ha alla base la mancanza di indipendenza economica di una donna.

Ecco, io vorrei che questo impegno corale e unanime da parte di tutte le forze politiche possa significare che tutti insieme ci stiamo impegnando, affinché si possa porre fine a questi fenomeni. Questo, però, significa per lo Stato una grande responsabilità, la responsabilità di dire a tutte le donne vittime di violenza: denunciate; lo ripeto: denunciate; non siete sole, lo Stato c'è.

Io credo che questo sforzo noi lo dobbiamo compiere non solo nell'attività di inchiesta, ma anche nelle attività che, come istituzioni, ogni giorno mettiamo in campo, perché ogni donna che si trovi in pericolo sappia che al suo fianco ci sono le istituzioni.

Questo è l'impegno che mi piacerebbe derivasse dall'approvazione unanime di questa proposta di legge per l'istituzione della Commissione d'inchiesta sul fenomeno del femminicidio. Io dedico questo momento di attenzione al fenomeno da parte del Parlamento a Carmela Petrucci e a tutte le donne che, come lei, non ce l'hanno fatta (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 640-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice per la Commissione giustizia, deputata Annarita Patriarca.

ANNARITA PATRIARCA, Relatrice per la II Commissione. Presidente, gli interventi sono tutti nella linea delineata e condivisa, prima, nel dibattito in Commissione e, adesso, nel dibattito in Aula. È un'esigenza sentita da tutti, ne avvertiamo tutti la drammaticità, non solo attraverso i numeri, ma proprio per la consapevolezza di tutto quello che succede e di quanto, a volte, anche l'attenzione che negli ultimi anni si è avuta attraverso la Commissione di cui abbiamo parlato prima, ma anche attraverso una serie di interventi normativi in questa direzione, purtroppo, non è riuscita ad arrestare il fenomeno. Qualcuno ha detto che la soglia dell'attenzione deve rimanere sempre più alta e che la prevenzione deve funzionare di più; è una direzione che dobbiamo assumere sotto il doppio profilo della tutela penale, ma anche della realizzazione di una sorta di rivoluzione culturale. Per questo l'impegno di tutte le forze politiche - questo è un segnale importante, ma per un tema così drammatico non poteva essere altrimenti - è nell'istituire questa Commissione, nel farla lavorare, così come ha lavorato nella precedente legislatura, e di portare ulteriori risultati nella direzione comune.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice per la Commissione affari sociali, deputata Luana Zanella.

LUANA ZANELLA, Relatrice per la XII Commissione. Grazie, Presidente. Nel confermare la soddisfazione per essere giunte e giunti a questo momento del procedimento di discussione e approvazione di questo importante provvedimento, rinnovo i ringraziamenti alle colleghe e ai colleghi, sia all'interno delle Commissioni, sia in Aula, per i loro contributi, non soltanto molto puntuali e approfonditi, ma anche per l'espressione empatica che contengono, che contenevano e che dice che, al di là dei singoli schieramenti politici, questo è un problema, una questione molto sentita e che tocca nel profondo la nostra coscienza, oltre che la nostra responsabilità. Mi auguro che, quanto prima, la Commissione possa iniziare il proprio lavoro in questa dimensione bicamerale e che possa essere utile, sicuramente lo sarà, al Paese che, per quanto riguarda questo problema, ne ha estrema necessità.

PRESIDENTE. Il Governo non intende replicare.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Meloni e Morrone: “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” (A.C. 338​); e delle abbinate proposte di legge: Enrico Costa; Mule' ed altri; Gribaudo (A.C. 73​-528​-637​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 338: “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” e delle abbinate proposte di legge nn. 73-528-637.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 20 gennaio 2023 (Vedi l'allegato A della seduta del 20 gennaio 2023).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 338​ e abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Maria Carolina Varchi.

MARIA CAROLINA VARCHI, Relatrice. Grazie, Presidente. Siamo così giunti all'ennesima puntata della saga sull'equo compenso. Questo provvedimento, fortemente voluto da tutte le forze politiche, era in procinto di giungere alla sua definitiva approvazione lo scorso mese di settembre nell'Assemblea del Senato della Repubblica, ma la fine anticipata della XVIII legislatura ha di fatto impedito che ciò accadesse.

Lo abbiamo fatto di concerto con i gruppi parlamentari che nella scorsa legislatura avevano condiviso questo provvedimento. Ricordo che allora il provvedimento recava le firme dell'onorevole Meloni, dell'onorevole Morrone e dell'onorevole Mandelli, a testimonianza di un unanime impegno da parte del centrodestra. Tuttavia, nel corso dell'esame abbiamo con piacere registrato la convergenza di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, al punto da giungere a ripetuti voti all'unanimità, fino all'ultimo, qualche giorno fa in Commissione giustizia, per il mandato alle relatrici.

Ciò significa che si tratta di una proposta di legge a lungo attesa e che è una proposta di legge in grado di dare un primo perimetro di intervento per risolvere un fenomeno al quale abbiamo assistito impotenti, ancora di più negli ultimi anni a causa della pandemia, che è la proletarizzazione delle professioni, che, lo ricordo, nel corso della pandemia soffrirono più di altri questa situazione assolutamente straordinaria, giacché specifiche misure in loro favore furono previste in tempi probabilmente non adeguati alle esigenze a cui si cercava di dare risposta.

Quindi, questo provvedimento arriva oggi in quest'Aula con uno sforzo corale e per questo io, prima di approfondire la relazione vera e propria, desidero ringraziare sin d'ora tutti i gruppi parlamentari presenti e rappresentati nella Commissione giustizia, perché, accedendo alla decisione cristallizzata dalla Conferenza dei presidenti di gruppo di giungere in Aula oggi, 23 gennaio, hanno consentito che anche in Commissione giustizia gli emendamenti fossero esaminati in tempi assolutamente rapidi, senza mutare la decisione di arrivare in Aula oggi.

Questo è molto importante, secondo me, perché denota la bontà di fondo di questa proposta di legge. Naturalmente, come tutto ciò che è frutto dell'essere umano, non è un provvedimento perfetto. Sappiamo che è perfettibile, ma sappiamo anche che questo provvedimento si scontra con un perimetro che viene imposto dall'Unione europea, per esempio in materia di tariffe professionali, e si scontra con una situazione di oggettiva emergenza economica nella quale versa il nostro Paese, che oggi impedisce il reperimento, in maniera pronta, di quelle risorse necessarie all'ampliamento della platea e alla modifica di alcune parti di questo provvedimento, come pure è stato richiesto in maniera assolutamente condivisibile.

Quindi, la posizione che oggi ritengo di dover esprimere, alla luce del dibattito che - ripeto - si protrae dalla XVIII legislatura e che, quindi, è stato solo apparentemente breve nella XIX, perché abbiamo portato con noi il bagaglio di esperienze maturato nella scorsa legislatura, nonché credendo di interpretare anche l'opinione e il pensiero della collega Bisa, è importante che tale provvedimento venga varato in questo momento per avere un perimetro all'interno del quale cominciare a muoversi, per dare a tutti quei professionisti, che temono che la loro prestazione d'opera intellettuale, per cui hanno faticato loro, hanno faticato le loro famiglie per farli studiare e hanno faticato nell'affermazione di una capacità professionale, sia svenduta e sia sottopagata.

Il messaggio, a mio avviso, che va dato qui e oggi è che, in Italia, le prestazioni d'opera intellettuale, le professioni, non vengono sottopagate, non vengono svendute e i professionisti hanno strumenti a loro tutela. Per questo i 13 articoli di questa proposta di legge costituiscono un difficilissimo bilanciamento di tutti i presupposti dei quali io ho brevemente qui parlato.

È stata fatta un'opera certosina già nella XVIII legislatura. L'allora testo base fu integrato, a esempio, con proposte del Partito Democratico e del MoVimento 5 Stelle. Quindi, c'è già stata un'attività di sintesi, che ha portato a questo provvedimento e il motivo per il quale abbiamo ritenuto di dover partire proprio da questo provvedimento non è solo e semplicemente la volontà di aderire alla previsione, dell'articolo 107 del Regolamento di questa Camera, che consente una procedura d'urgenza per testi che siano uguali a quelli presentati e approvati almeno in un ramo del Parlamento nella precedente legislatura, ma lo abbiamo fatto con la consapevolezza che già quel testo rappresentava un'ottima sintesi, in grado di fronteggiare questa emergenza che noi riteniamo non possa più essere rimandata, in termini di risoluzione.

Quindi, non c'è la volontà di fare di questa proposta di legge una bandiera, ma, al contrario, il ringraziamento, che ho in precedenza rivolto a tutte le forze parlamentari rappresentate in quest'Aula, per il lavoro svolto nella scorsa legislatura, che ci consente di approdare oggi a un esame molto rapido e a un'approvazione molto rapida di questo provvedimento.

Per quanto riguarda l'aspetto più legato ai singoli articoli di questa proposta, io fin d'ora mi rimetto alla relazione, che è già stampata e allegata al fascicolo, ma, per sommi capi, io desidero evidenziare come questo provvedimento colma alcuni vuoti che ci sono nel nostro ordinamento. Intanto, definisce il criterio secondo il quale va individuato il cosiddetto equo compenso, che non sarà più un concetto generale e astratto, ma sarà un parametro di riferimento per capire e per stabilire che tutti, anche i committenti che ritengono di avere una posizione di maggior forza rispetto ai professionisti, soprattutto rispetto ai giovani professionisti, devono pagare la loro professionalità per qualità e per quantità rispetto al lavoro svolto.

Con l'articolo 2 si stabilisce, poi, il perimetro di attuazione e con l'articolo 3, comma 3, un importantissimo aspetto, ossia che non sono nulle le clausole che riproducono disposizioni di legge o che attuano i principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell'Unione europea o l'Unione stessa, disposizione che si sposa inevitabilmente con il comma 4, che prevede che la nullità quando inficia le singole clausole contrattuali comunque non colpisce l'intero contratto, ma opera solo a vantaggio del professionista ed è rilevabile d'ufficio.

Quindi, in estrema sintesi io ritengo che questo provvedimento contenga in nuce tutti gli strumenti che il nostro ordinamento richiede - e che i professionisti italiani attendono da troppo tempo - per porre fine a quel fenomeno che ho prima definito come proletarizzazione delle professioni.

Quindi, per questo io, da relatrice - rimettendomi, poi, alle conclusioni che formulerà la collega Bisa - chiedo che questa Assemblea svolga l'esame certamente nel modo più approfondito, ma anche nel modo più celere possibile. Quanto al resto, Presidente, io mi rimetto alla relazione già depositata.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice deputata Ingrid Bisa.

INGRID BISA, Relatrice. Presidente, onorevoli colleghi, Sottosegretario Ostellari, nel ringraziare, come ha già fatto la relatrice Varchi, ovviamente tutte le forze politiche che compongono quest'Aula e che hanno lavorato in Commissione giustizia, a maggior ragione nell'orgoglio di vedermi anche in questa legislatura relatrice di questo provvedimento, come lo ero anche nella XVIII legislatura, ho visto le forze politiche convergere in un provvedimento su cui si è riscontrato non esservi colore politico; veramente, tutti i componenti questa Assemblea hanno la volontà che il mondo delle professioni venga meglio tutelato, perché questo è emerso in Commissione, e ringrazio nuovamente i colleghi, per avere dato la possibilità di riuscire a far arrivare in Aula oggi, 23 gennaio, il provvedimento, come convenuto in Conferenza dei presidenti di gruppo. Questo ha dimostrato veramente un'attenzione particolare a questo mondo delle professioni, che forse, per un periodo, era stato un attimo abbandonato, perché ritengo che in materia di professioni la necessità che chi svolge attività intellettuale debba essere equamente retribuito emerga in maniera lampante da questa proposta di legge, che arriva oggi in Aula, e siamo qui a discutere.

Un ringraziamento particolare va anche al collega Morrone, che durante la XVIII legislatura ha avuto l'attenzione, quando era Sottosegretario al Ministero della Giustizia, di aprire tavoli tecnici proprio per porre attenzione al mondo delle professioni ordinistiche, e non ordinistiche.

Questo ha fatto sì che, di concerto con tutte le forze politiche, si potesse arrivare a questa proposta di legge. Quindi, il ringraziamento è per la sua attenzione, che ha dato la possibilità di discutere del provvedimento, a fronte di quell'attività di concerto svolta nella XVIII legislatura, rispetto alla quale non vi sono state modifiche nel corso dell'iter - seppur breve - in Commissione giustizia, nel corso di questa XIX legislatura.

Detto ciò, brevemente, si tratta di una proposta di legge composta da 13 articoli. In maniera particolare, dall'articolo 7 all'articolo 13 vengono disciplinate le modalità con le quali un soggetto potrà chiedere la congruità o meno dell'importo richiesto dal professionista. Infatti, l'articolo 7 prevede la possibilità che questo parere di congruità venga emesso dall'ordine o dal collegio, in alternativa alle procedure di ingiunzione di pagamento. Quindi, anche su questo punto abbiamo lasciato, sostanzialmente, un doppio binario.

L'articolo 8 interviene sulla disciplina della decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di responsabilità professionale, perché anche su questo vi era una lacuna e abbiamo individuato in maniera specifica, in modo tale che poi non ci sia interpretazione, quello che è il dies a quo nel giorno del compimento della prestazione.

L'articolo 9 consente la tutela di tutti quei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l'azione di classe, e quindi anche questa sostanzialmente è una novità, oltre all'articolo 10, che istituisce, presso il Ministero della Giustizia, un Osservatorio nazionale sull'equo compenso, in modo tale che ci sia comunque un controllo da parte di questo Osservatorio con riferimento a questa proposta di legge, che diventerà legge quanto prima.

L'articolo 11 contiene una disposizione transitoria perché anche qui vi sono state delle difficoltà nella XVIII legislatura, e quindi, a fronte del concerto di tutte le forze politiche, si è arrivati al punto di ritenere che una disposizione transitoria debba essere riferita a quelle norme di nuova introduzione dove non vengono applicate le convenzioni stipulate prima dell'entrata in vigore della presente legge la cui applicazione sia ancora in corso. L'articolo 12 dispone le necessarie abrogazioni, e quindi le norme sostanzialmente di coordinamento con la normativa vigente, e, infine, l'articolo 13, che reca una clausola di invarianza finanziaria.

Questa è la proposta di legge che la II Commissione rimette all'Aula, auspicando che quanto prima questa proposta di legge venga approvata in questo ramo del Parlamento, auspicando che anche al Senato ciò avvenga in maniera veloce, in modo tale da dare risposta a quelle professioni che tanto ci hanno chiesto e hanno chiesto a questo Parlamento. Avere fatto parte di questa legislatura, auspicando che questo provvedimento diventi legge dello Stato, è veramente un onore ed un privilegio.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica. È iscritto a parlare il deputato Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Signora Presidente, Sottosegretario Ostellari, colleghe relatrici, colleghe e colleghi presenti, la collega Varchi nella sua relazione ha giustamente ricordato l'iter complesso di questo provvedimento; ha ricordato l'approvazione all'unanimità in questo ramo del Parlamento di un testo, che è stato sostanzialmente ribaltato in questa legislatura, e anche il fatto che al Senato questo testo si era sostanzialmente arenato, non per volontà politica, ma per oggettiva mancanza di tempo. Ho apprezzato un passaggio della relazione della collega Varchi, che vorrei riprendere, quando ha sottolineato che questo debba e possa costituire un primo perimetro di intervento.

Questo, ovviamente, sottintende che ci sono ancora questioni che non sono state compiutamente definite in questo provvedimento, che, lo ricordo, riprende e amplia quello che era già inserito nel nostro ordinamento, nella XVII legislatura, per iniziativa dell'allora Ministro della Giustizia, Orlando. Ci troviamo su un terreno delicato. Esprimo subito le nostre preoccupazioni, fermo restando il parere favorevole che abbiamo dato in Commissione giustizia. In quella sede però - credo che le relatrici possano darcene atto - abbiamo posto in forma di emendamenti alcune questioni. Ecco perché - e mi rivolgo al Governo, in particolare - nella logica del primo intervento tenere aperte alcune questioni crediamo sia giusto, e, visto che siamo in discussione generale, auspichiamo anche che alcune di queste possano trovare spazio nel passaggio in Aula.

Noi ripresenteremo alcuni di questi emendamenti. È vero che c'è la necessità di avere tempi rapidi, lo è stato ricordato anche dalla collega Bisa, però ricordo anche che siamo in prima lettura.

Non c'è una necessità di conversione in legge con una scadenza; se alcune delle questioni - che alla fine credo possano essere condivise da tutti - potessero trovare già una risposta in questa prima lettura, sarebbe una cosa utile. Quali sono queste questioni? C'è una questione di fondo che noi sappiamo e conosciamo, cioè il mondo delle professioni non può e non è nella realtà ristretto o restringibile soltanto agli ordini professionali. Da questo punto di vista, c'è una questione che, a seconda delle fonti, riguarda da due a tre milioni di partite IVA, che, a nostro giudizio, potrebbero trovare una maggiore tutela all'interno di un provvedimento come questo, nella logica, che ha ricordato anche la collega Varchi, di ridurre, comprimere questo fenomeno, che lei ha definito di proletarizzazione delle professioni.

Un'altra questione riguarda le sanzioni ai professionisti, in particolare l'illecito disciplinare a carico del professionista che accettasse condizioni non rispondenti all'equo compenso. Non vorremmo che alla fine, come spesso capita nel nostro Paese, a pagare fosse il soggetto più debole, magari costretto ad accettare quel contratto o quelle clausole, fuori dalla logica dell'equo compenso.

Un'altra questione che, a nostro giudizio, aiuterebbe, riguarda l'ampliamento della platea delle imprese, perché la riduzione del livello del fatturato o del numero dei dipendenti potrebbe vedere ampliare il numero delle imprese e, quindi, a sua volta, il numero di prestazioni professionali rientranti in questa normativa.

Infatti, se è vero che con il provvedimento in esame si va ad incidere nei rapporti in cui maggiore è la disparità tra l'impresa, che chiede la prestazione, e il prestatore, al tempo stesso è evidente la necessità di una maggiore apertura. Un segnale in questa direzione costerebbe poco: un emendamento che portasse, per esempio, da 50 a 40 i dipendenti o una riduzione in termini di fatturato.

Vado alla sintesi del nostro ragionamento. Noi consideriamo il provvedimento in esame un passo in avanti;, abbiamo espresso nella scorsa legislatura come gruppo - all'epoca “Partito Democratico” - un parere favorevole e lo abbiamo ripetuto ora in Commissione. Non lo consideriamo - lo dico con grande franchezza - un punto di arrivo; ma stando alle misure e ascoltando le riflessioni delle relatrici, in particolare della collega Varchi, credo che la valutazione possa essere condivisa.

L'invito che rivolgo è a ragionare, da parte del Governo. Nel lavoro svolto in maniera costruttiva in Commissione giustizia, ad alcune delle nostre osservazioni è stato risposto che non c'era tempo, che l'arrivo in Aula era stato fissato dalla Capigruppo. Se ha un senso fare le discussioni generali e, poi, il lavoro emendativo, l'invito è ad affrontare questa fase emendativa, da parte del Governo, senza la tagliola dei tempi e, visto che siamo in prima lettura, con la possibilità di emendare in modo da provare a dare queste risposte.

C'è molta attesa, è vero, ed ho anche apprezzato che non si sia fatta una ricerca di bandierine da mettere su questo provvedimento; un provvedimento che riguarda una quota molto elevata di professionisti e di partite IVA, aventi, in molti casi, la necessità di essere tutelati. Il rischio di avere un'eccessiva disparità di potere contrattuale tra il soggetto che chiede l'erogazione del servizio e di chi invece lo eroga è assolutamente fondamentale.

La questione è molto simile e richiama il tema - che è stato oggetto di dibattito, sebbene qui abbiamo visto posizioni diverse - del salario minimo. L'equo compenso va, però, nella direzione giusta di un intervento dello Stato, di uno Stato regolatore, che interviene per limitare gli eccessi da parte dei soggetti più forti. Con questo auspicio e con questo spirito, ci attendiamo da parte del Governo e da parte delle relatrici un'attenzione nei confronti dei pochi emendamenti che noi sottoporremo all'Aula, perché l'obiettivo è esattamente quello che noi abbiamo definito di costruire insieme un provvedimento, con un processo e un'approvazione condivisa.

Un provvedimento che riesca a garantire, fino in fondo, milioni di lavoratori e di lavoratrici, quali essi siano, anche se non hanno una forma di lavoro dipendente ma indipendente, è in questo momento di estrema necessità.

È stata ricordata la lunga vicenda della pandemia che è durata molti mesi ed ha arrecato problematiche alle professioni. Il provvedimento va nella direzione giusta ed è un passo in avanti. Crediamo si possa fare un ulteriore passo nella direzione giusta anche nella fase emendativa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Patriarca. Ne ha facoltà.

ANNARITA PATRIARCA (FI-PPE). Presidente, colleghi e colleghe, l'iter di questa proposta di legge è senz'altro il positivo risultato dell'intenso e scrupoloso lavoro, come già delineato e spiegato, svolto già nella precedente legislatura, nella Commissione giustizia, e sollecitamente proseguito nell'attuale legislatura.

Si tratta di un tema, quello sull'equo compenso per le prestazioni professionali, che non ha trovato Forza Italia impreparata, anche perché Forza Italia al proprio interno ha un dipartimento dedicato specificamente alle professioni, che ha rappresentato, grazie all'intuizione del presidente Berlusconi, un punto di riferimento rispetto al quale tutte le rappresentanze del variegato mondo delle professioni hanno potuto portare esperienze, situazioni e criticità.

Il provvedimento è stato un luogo di incontro e di confronto, e già dal 2018 un emendamento allora proposto da Forza Italia aveva portato il riconoscimento del principio dell'equo compenso nella legge di bilancio. Dopo oltre 15 anni di attesa, dopo la legge di conversione del decreto Bersani e quasi 10 anni dalla conversione del decreto Cresci Italia di Monti, finalmente, grazie al fattivo contributo di tutte le forze politiche presenti in questo Parlamento, riportiamo al centro del dibattito un tema così importante, quale è quello dell'equo compenso.

Tutelare contrattualmente il professionista rappresenta oggi un dovere del legislatore, per non lasciare spazio a patti leonini, destinati a danneggiare i professionisti stessi, perché senza un'equa e giusta retribuzione non c'è dignità per chi lavora. Nelle nuove politiche del lavoro non possiamo più accettare né una eclissi dell'articolo 35 della Costituzione, ma neanche una lettura che escluda il lavoro autonomo dal suo ambito di applicazione. L'inclusione effettiva del lavoro autonomo nell'ambito applicativo dell'articolo 35 della Costituzione determina l'estensione anche dei diritti costituzionali in tema di lavoro ad ogni forma di lavoro senza aggettivi.

Partendo da questo, il principio stabilito nell'articolo 36 della Costituzione, sull'equa e giusta retribuzione, non può essere limitato solo all'ambito della subordinazione, ma va esteso per la tutela dei principi di libertà, dignità e uguaglianza anche al lavoro autonomo. Il principio dell'equità del compenso professionale, nella sua duplice dimensione di diritto soggettivo del professionista a un trattamento equo e dell'interesse della collettività alla qualità della prestazione professionale e alla dignità della professione, costituisce la solida attuazione di questo dettato costituzionale.

Stiamo finalmente invertendo la rotta rispetto al passato, un passato dove l'opzione del legislatore si è radicata sul sostanziale fraintendimento fra liberalizzazione e deregolamentazione, che in una sorta di eterogenesi dei fini ha prodotto un concetto di concorrenza, che in questo caso possiamo definire distorto.

Alla luce dei fatti, il modus operandi dei precedenti legislatori, che intendeva creare l'auspicato mercato libero tramite la pura e semplice deregolamentazione, ha creato un sistema esattamente contrario: non un mercato del lavoro atto a garantire opposte istanze, quali equità, lealtà e diritti di partecipazione alla competizione economica, con un mercato concorrenziale di servizi professionali, bensì un mercato sregolato, nel quale la legge del più forte ha finito con il prevaricare i diritti dei più deboli, arrivando a delineare quasi un preoccupante effetto giungla.

Oggi sappiamo con certezza che nessuno di quegli obiettivi è stato mai conseguito; anzi, abbiamo avuto soltanto effetti contrari. D'altronde, la stessa Corte di giustizia dell'Unione europea, che si è pronunciata per il riconoscimento dell'obbligatorietà delle tariffe degli Stati membri, ha sottolineato questo aspetto e questo profilo. Il punto più basso e svilente di quell'orientamento è stato raggiunto con i noti casi dei bandi per prestazioni professionali da rendere a titolo gratuito, provenienti persino da amministrazioni apicali dello Stato.

È fondamentale comprendere che riconoscere, ad esempio, agli avvocati un compenso adeguato e dignitoso significa, da un lato, garantirsi una prestazione professionale di qualità, ma anche un avvocato autonomo e indipendente, ottenendo così una tutela effettiva della propria domanda di giustizia.

Dunque, quella sull'equo compenso non è una battaglia di cartello e soprattutto non è una battaglia sindacale: è una battaglia, per quanto riguarda noi di Forza Italia, per la tutela effettiva dei diritti e delle prestazioni professionali. Questo principio, grazie proprio ad un emendamento di Forza Italia della scorsa legislatura confluito nell'attuale testo, è stato esteso a una più vasta platea di professionisti, che saranno tutelati nell'espletamento della loro prestazione d'opera intellettuale, includendo anche le cosiddette professioni non regolamentate.

Il provvedimento alla nostra attenzione è sicuramente perfettibile, ma è un provvedimento attento e completo, fatto di tredici articoli, che disciplinano l'equo compenso delle prestazioni professionali rese nei confronti di particolari categorie di imprese, con la finalità di rafforzare la tutela del professionista e porre rimedio a situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti cosiddetti forti, partendo da una definizione di equo compenso, indicando l'ambito applicativo della norma e la nullità delle clausole che non prevedono un equo compenso.

È un provvedimento sicuramente perfettibile, ma riteniamo che sia un passo importante nella giusta direzione da intraprendere. È stato fatto un lavoro complesso, accurato e completo, recependo integralmente e celermente in questa legislatura un lavoro che ha le sue radici nella legislatura precedente. Riteniamo che opererà da presidio di costituzionalità sostanziale per il futuro dei nostri cittadini liberi professionisti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Alessio. Ne ha facoltà.

ANTONIO D'ALESSIO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo, questo provvedimento legislativo deve avere un rapido percorso e centrare subito l'obiettivo. Finalmente gli avvocati - non solo gli avvocati, ma anche tutti i professionisti - potranno avere un rafforzamento della tutela relativamente ai rapporti contrattuali con i cosiddetti clienti forti. Stiamo parlando delle imprese bancarie, assicurative e di altre imprese diverse dalle PMI.

Nella negoziazione con questo tipo di clienti è sacrosanto il diritto a un equo compenso, cioè un compenso proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro svolto.

Siamo in ritardo nella tabella di marcia perché si tratta un provvedimento che - come è stato già segnalato dai colleghi in precedenza - era già maturo nel procedimento legislativo, ma ovviamente non ci sono stati i tempi per approvarlo. Gli eventi politici hanno, tra virgolette, “drammaticamente travolto” una serie di provvedimenti preziosi e virtuosi, che appunto sono stati fermati e bloccati dagli eventi politici; per fortuna, però, ne stiamo recuperando più di qualcuno.

Senza polemiche politiche, andiamo avanti e approviamo provvedimenti legislativi confacenti alle esigenze della comunità del nostro Paese. Ha lavorato molto a questo schema anche il nostro collega di gruppo, Enrico Costa, con cui abbiamo lungamente parlato.

È un provvedimento di tredici articoli, secondo me, molto organico. Ho ascoltato anche i rilievi, per la verità molto saggi, che ha posto il collega Fornaro, però mi preoccuperei poco di alcuni profili. Innanzitutto, con riferimento alle altre categorie di professionisti, in realtà ci sono già dei parametri che sono quelli del decreto del Ministro dello Sviluppo, che va ampliato sicuramente e va riorganizzato, così come mi sembra anche saggio il suggerimento di ampliare la platea dei destinatari, magari abbassando il numero dei 50 lavoratori o anche l'importo dei 10 milioni di euro.

Qualche nota positiva ulteriore, che si rileva con grande favore, attiene al fatto che la norma si possa applicare a qualsiasi tipo di accordo, sia preparatorio che definitivo, e che preveda anche la nullità delle pattuizioni non in linea, che opera solo a vantaggio del professionista e che può essere rilevata anche d'ufficio: anche questo è un rilievo importante.

Mi sembra - ripeto - che la norma sia piuttosto completa. Prova del rigore, della serietà e della severità con la quale il legislatore intende procedere è anche la previsione di un indennizzo, a favore del professionista, pari a una somma fino al doppio della differenza tra il compenso reale e quello originariamente pattuito: ciò comporterà anche il timore, da parte probabilmente dei cosiddetti clienti forti, di provare a imporre al professionista una pattuizione non in linea con la ratio della legge. Vi sono poi le norme sulla prescrizione triennale e sull'aggiornamento con cadenza biennale, su proposta dei consigli nazionali delle professioni, quindi una serie di previsioni assolutamente in linea con la ratio che vuole tutelare il mondo professionale, che, soprattutto per i giovani professionisti, è veramente penalizzante.

Un altro rilievo si ricollega a quanto detto dal collega Fornaro, che ha fatto un intervento, a mio avviso, molto significativo e per nulla banale. C'è la previsione di un provvedimento disciplinare per il professionista, ma si segnala che spesso questi si piega a una pattuizione al di sotto dell'equo compenso per una questione probabilmente di bisogno, più che di scorrettezza, ossia per andare a intercettare un livello più basso e “rubacchiare" il mercato agli altri professionisti; probabilmente immagino che il collega giovane sia costretto magari a subire qualche vessazione in questo senso. La norma che prevede una sanzione, in realtà, sembra essere una norma a svantaggio del professionista, ma capovolge il termine della questione e la realtà fattuale, perché diventa a sua tutela. Prevedere una sanzione crea una verosimile severità della legge, la prospettiva di una severità della legge a tutti i livelli, anche per gli ordini professionali, proprio perché ci fa capire che si tratta di una norma che non può essere disattesa. Io, peraltro, ho avuto il piacere e l'onore di far parte, per più di qualche mandato, del consiglio dell'ordine professionale degli avvocati e vi dico che, anche se all'epoca era possibile derogare ai minimi tariffari, previo consenso del consiglio dell'ordine, noi abbiamo sempre negato queste deroghe, perché ci rendevamo conto che i giovani o i colleghi, che venivano a chiedere la deroga per avere la possibilità di fare convenzioni con i clienti forti al di sotto dei minimi tariffari, erano colleghi in difficoltà che stavano subendo una sorta di “ricatto”. Quindi, i consigli dell'ordine sanno bene qual è il tessuto economico di difficoltà, specialmente per i giovani professionisti, e sapranno bene che non sarà il caso di applicare delle sanzioni forti, laddove naturalmente non vi sia un atteggiamento scorretto del professionista che, per andare a recuperare segmenti di mercato, stipula convenzioni al di sotto dell'equo compenso.

Anche da un punto di vista tecnico, mi sembra molto preciso e corretto il dettato normativo che viene proposto, che prevede l'efficacia di titolo esecutivo per il professionista del parere di congruità, emesso dell'ordine o dal collegio, se rilasciato nel rispetto delle procedure e se il debitore non ha proposto opposizione, ai sensi dell'articolo 702-bis, naturalmente con la previsione che il giudice competente per il giudizio di opposizione è quello competente per materia o per valore del circondario in cui ha sede l'ordine o il collegio professionale. Ripeto, ciò mi sembra lodevole, benché naturalmente possa essere poi frutto di ulteriori dibattiti, di miglioramenti e di ulteriori valutazioni, così come ottima mi sembra anche l'istituzione, presso il Ministero della Giustizia, di un Osservatorio nazionale sull'equo compenso. Gli osservatori si dividono in due categorie: o sono scatole vuote, con le quali si finisce per creare organismi quasi inutili, dove c'è qualche medaglietta da appuntare o, nel peggiore dei casi, anche qualche indennità da corrispondere, oppure, laddove lavorano, diventano strumenti importantissimi per seguire l'evoluzione e anche la ricaduta fattuale degli effetti di una legge che viene approvata.

Quindi, in via definitiva - e mi avvio verso la conclusione -, mi sembra un provvedimento, ripeto, molto, molto positivo. Peraltro, è stato richiamato in questa discussione generale e, quindi, con piacere faccio anche io un passaggio in questo senso, che fu eliminato il minimo tariffario, all'epoca, a svantaggio dei professionisti, perché si disse: sono sul mercato, sono liberi professionisti, se sono bravi sarà la clientela ad andare da loro, se non sono bravi la clientela non andrà. La contraddittorietà di quel momento politico fu che, contestualmente, si imposero ai professionisti l'aggiornamento e la formazione professionale. Allora, delle due, l'una: o il professionista è una persona che è libera sul mercato, che non deve avere tutele, ma non deve avere nemmeno obblighi; laddove, invece, lo si reputi una persona, un lavoratore che sta sul mercato e non necessita di tutele dello Stato, non si devono imporre a quel professionista gli aggiornamenti professionali, come si fa, ad esempio, con i magistrati, con i professori, e con altre categorie. Questo non perché non ci fosse bisogno, anche per gli avvocati o per gli altri professionisti di un aggiornamento, però l'imposizione ha comportato un lievitare dei costi, un appesantimento economico per chi doveva iscriversi ai corsi di formazione, lasciato, però, poi sul libero mercato con riferimento alla tutela delle tariffe.

Con questo provvedimento, invece, si opera una svolta, sotto certi profili. Vi è una tutela, ripeto, che va a inserirsi nei rapporti e nelle negoziazioni con i grandi clienti, con i clienti forti, quindi in linea con un discorso perequativo e solidaristico da parte dello Stato, del nostro Paese. È un provvedimento - sono d'accordo anch'io - che può essere frutto di riflessioni o di modifiche eventualmente successive, ma per ora è lodevole e incontrerà naturalmente il voto favorevole del nostro gruppo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Io credo che sia chiaro a tutti come quello di cui discutiamo oggi sia un provvedimento che proviene da un lungo dibattito all'interno del Parlamento già nella scorsa legislatura e questo rappresenta, inevitabilmente, una presa di coscienza della necessità di tutelare un numero rilevante di soggetti storicamente ritenuti forti, ma che, alla prova dei fatti, si sono rivelati il punto debole di una catena sulla quale si sono riversate finora le inefficienze del sistema, un sistema che, vorrei ricordare, per quattordici lunghi anni ha subito due modifiche nefaste. Ricordo il decreto Bersani e ricordo il Cresci Italia del Governo Monti, che aboliva completamente le tariffe professionali. Sicuramente, tutti coloro i quali hanno avuto a che fare, nella scorsa legislatura, con il dibattito, ma in maniera più diffusa con le categorie alle quali si rivolge la normativa sull'equo compenso, ricordano sicuramente che, veniva raccontato come alla base dei motivi per i quali ci fu il decreto Bersani e poi il Cresci Italia del Governo Monti, vi fossero esigenze europee, di rispetto della normativa europea, e la possibilità, attraverso l'eliminazione dei tariffari, di aiutare i giovani professionisti ad acquisire fette di mercato. La prova dei fatti ci ha dimostrato che questi elementi, portati a supporto delle modifiche dell'epoca, in realtà hanno creato un sistema distorto, che sicuramente ha penalizzato i giovani professionisti, ma soprattutto ha penalizzato la classe media italiana, che è fatta di professionisti e che, ovviamente, ha la necessità di vedere riconosciuto il proprio lavoro in modo legittimo, ma, soprattutto, dignitoso.

Questo provvedimento riporta proprio a questo principio fondamentale, che è la dignità della professione, della propria opera professionale. Da questo punto di vista, il pregiudizio con il quale il legislatore di allora aveva approcciato il tema delle tariffe e dei minimi tariffari non è più giustificabile, anche guardando proprio le decisioni della Corte di giustizia europea che, ricordo a me stessa, non vieta in alcun modo agli Stati membri di introdurre limiti minimi tariffari con la propria legislazione interna. È chiaro, quindi, che, a questo punto, la normativa - che speriamo abbia il consenso più ampio possibile all'interno di questo Parlamento - diventa essenziale, perché riconoscere un compenso adeguato e dignitoso significa garantire una prestazione professionale di qualità e, soprattutto, rendere i professionisti autonomi e indipendenti, quindi finalmente riportare la tutela effettiva alla propria domanda di giustizia nei confronti di chiunque.

Quindi, quella che affronta l'equo compenso non è una battaglia sindacale, ma una battaglia per la tutela effettiva dei diritti e delle prestazioni professionali, perché sostenibilità della professione e qualità della prestazione sono due facce della stessa medaglia. La proposta n. 338 Meloni interviene sulla disciplina codicistica, disponendo la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato per lo svolgimento di attività professionali, ossia che prevedono un compenso inferiore ai parametri o alle tariffe per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali. Ed è importantissima anche la parte nella quale si prevede la possibilità, per gli ordini e collegi professionali, di adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell'obbligo di convenire o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale. È importante anche ricordare che, proprio nei confronti dei professionisti, è stata proprio la pubblica amministrazione a tracciare un segno al ribasso, che è assolutamente inconcepibile. Ricordo che, nel 2019, sul sito del MEF si vedevano bandi con i quali si chiedeva la collaborazione dei professionisti, ma specificando ‘a zero compensi'. Ecco, questo per noi è inaccettabile, perché non risponde alla dignità di lavoratori che devono necessariamente vedere retribuita la propria prestazione professionale.

Il divieto di incarichi gratuiti è un principio sacrosanto e fondamentale che, purtroppo, non ritroviamo nelle aule dei tribunali, perché, ricordo, sempre nell'arco di tempo 2018-2019, il TAR Campania, che dichiarava l'illegittimità dei bandi su prestazioni professionali rese a titolo gratuito e il TAR Lazio, che, invece, concludeva in senso assolutamente contrario, sostenendo che la gratuità rientra nella libera scelta del professionista. Ecco, sul piano squisitamente giuridico dobbiamo capire che, per equità, deve intendersi la giustizia del caso concreto, ma dobbiamo anche fare i conti con la realtà e questo vuol dire, inevitabilmente, riconoscere dignità ad una prestazione professionale che diventa un gancio importantissimo fra il singolo cittadino e l'autorità stessa, non solo quella giurisdizionale, ma anche con l'istituzione. E allora siamo assolutamente certi che questa norma abbia individuato nei parametri ministeriali il contenuto minimo a presidio della dignità dei lavoratori autonomi. Anche da questo punto di vista, siamo sereni nel sostenere che il riferimento ai parametri è divenuto un segnale minimo di una corretta ed equa individuazione del compenso. Quella dell'equo compenso è una battaglia che Fratelli d'Italia porta storicamente avanti da tempo e sulla quale auspichiamo si possa trovare la più ampia convergenza possibile in quest'Aula, perché finalmente si apra una nuova stagione per i lavoratori autonomi che sia fatta di riconoscimento, di dignità e di serietà da parte delle istituzioni.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuliano. Ne ha facoltà.

CARLA GIULIANO (M5S). Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, sottosegretario, onorevoli relatrici, oggi in quest'Aula intervengo con grande piacere nella discussione generale su un provvedimento che si inserisce nell'alveo di una serie di provvedimenti che, come MoVimento 5 Stelle, stiamo portando avanti a tutela dei professionisti e della dignità delle prestazioni professionali dei professionisti. Intervengo con piacere, perché questo provvedimento proviene da un grande lavoro di sintesi che ha visto sedersi al tavolo maggioranza e opposizione già nella scorsa legislatura, in cui anche il MoVimento 5 Stelle aveva depositato una propria proposta di legge, la n. 3058, che poi in questa legislatura non abbiamo ripresentato, proprio perché i colleghi hanno depositato il testo che oggi discutiamo e che è frutto di quel lavoro di sintesi che, purtroppo, si arenò al Senato.

Riprendiamo, quindi, le fila di questo provvedimento, uno dei più attesi da tutto il mondo dei professionisti, non solo quelli iscritti agli ordini professionali - Presidente, come tanti colleghi in quest'Aula, io sono un avvocato -, ma anche quelli non iscritti agli ordini professionali. Anzi, proprio nella scorsa legislatura - e di questo ringrazio le onorevoli, in particolare l'onorevole Bisa che era relatrice di questo provvedimento già nella scorsa legislatura -, l'ampliamento della portata applicativa di questo provvedimento anche alle professioni non ordinistiche fu oggetto proprio di un emendamento, tra gli altri, voluto dal MoVimento 5 Stelle e accolto dalle relatrici e dal resto della maggioranza e dell'opposizione.

Quella dell'equo compenso, Presidente, non è una disciplina semplice, nonostante le previsioni costituzionali a tutela dello stesso, ma non solo. Mi riferisco, in particolare, all'articolo 36 della Costituzione e, per quanto riguarda la disciplina dell'equo compenso, ma in generale la normativa a tutela delle prestazioni professionali, all'articolo 2233 del codice civile. Certo, sono norme che, nel corso dei decenni, hanno trovato un'applicazione pratica distorta rispetto all'intento del legislatore, tanto costituzionale quanto ordinario, e c'è ancora bisogno di intervenire con alcuni correttivi. Ebbene, oggi in quest'Aula facciamo un primo passo avanti e poniamo un piccolo tassello fondamentale per ricostruire quella dignità professionale, quella dignità del lavoro dei professionisti che ormai purtroppo manca da tanti anni.

A questo proposito, mi scuso se andrò un po' lunga, però ci tengo, è veramente un provvedimento a cui tengo molto; quindi, anche per dare merito a un lavoro parlamentare che è stato veramente collaborativo e per informare chi ci ascolta da fuori, spesso noi ce lo dimentichiamo, ma questo provvedimento - lo ripeto - riscuote un grande interesse da parte di tutto il mondo dei professionisti, voglio ricordare compiutamente i tanti tasselli, i tanti passi in positivo o in negativo che sono stati fatti dalla nostra legislazione anche - tra virgolette - “contrastando” un'impostazione che ci proveniva dalla normativa europea e che poi l'Italia ha dovuto rispettare, certamente, come si deve, ma ha dovuto arginare, facendo richiamo a quello che è l'interesse pubblico dei professionisti e della normativa che li tutela.

Ricordo, infatti, che un primo intervento importante in materia di equo compenso fu fatto già nel 2017, perché comunque la nostra quotidianità è piena di professionisti il cui lavoro, purtroppo, non è equamente ricompensato. Ci fu un caso, che passò purtroppo agli onori delle cronache, in cui un collega avvocato venne contattato da una pubblica amministrazione comunale per fornire a questa pubblica amministrazione una prestazione, anche di una certa complessità, che si inseriva in un pacchetto di prestazioni, invece, seriali di carattere più semplice. Ebbene, il collega, per questa prima prestazione, che poi preludeva una convenzione seriale, lo ripeto, ebbe un compenso simbolico di un euro. Forse, qualcuno di voi si ricorderà questo caso, è di un po' di anni fa.

Ora, certamente, il collega - si tratta di un collega molto conosciuto - avrà avuto, anche, forse, la soddisfazione morale di lavorare per un ente prestigioso, però è chiaro che anche nel caso di cui stiamo parlando, di un collega che non ha certo bisogno di un equo compenso da quella pubblica amministrazione, il messaggio che passa è proprio quello di uno svilimento dell'attività professionale. Pensiamo invece ai giovani avvocati; mi dispiace dirlo ma, purtroppo, oggi la parola “giovani” non è più quella di un tempo, prima si era giovani fino ai 25 anni all'incirca, poi, si diventava adulti; ora, quando si parla di giovani avvocati, ce lo confermano le iscrizioni all'AIGA, l'Associazione italiana giovani avvocati, me compresa, si tratta di avvocati che oscillano nella fascia tra i 26 e i 45 anni, avvocati certamente formati, ma questo vale per tutte le professioni, che si tratti di ingegneri, commercialisti. Io ovviamente mi concentro sull'avvocatura non perché ritenga non impattante questo provvedimento sulle altre professioni, ma perché, essendo la mia professione di provenienza, è un mondo che conosco meglio.

Come dicevo, questa fascia di professionisti che un tempo sarebbe stata la fascia dei professionisti affermati, cioè di coloro che dovevano aiutare i giovani avvocati a farsi spazio nel mondo, rappresenta purtroppo quella fascia di professionisti che ancora oggi deve farsi spazio nel mondo della professione e, spesso, purtroppo, pur avendo delle competenze elevatissime e anche riconosciute, ha subito un grandissimo fenomeno di proletarizzazione. E questo non soltanto è legato alla crisi economica - che poi si è accentuata ovviamente durante il periodo COVID, per cui, ovviamente, anche il cittadino, anche una famiglia, anche un lavoratore che si rivolge a un avvocato per avere una tutela cerca ovviamente di far presente al professionista che lo assiste la necessità di ottenere uno sconto sul compenso professionale - ma dipende anche dal mercato della concorrenza e va benissimo, perché vince il merito nel mercato della concorrenza, ma negli ultimi anni il mercato della concorrenza è stato troppo incentrato sul prezzo della prestazione, cioè, pur di accaparrarsi un cliente, un giovane avvocato, un giovane commercialista, un giovane architetto, un giovane ingegnere, magari con grandi studi, che deve competere con grandi ingegneri che hanno strutturato già ampiamente la loro professione, è costretto - o comunque è costretto, perché egli stesso spesso propone o su costrizione o per libera scelta - a ricevere dei compensi che sono molto al di sotto dei parametri professionali e questo, ovviamente, implica una proletarizzazione e soprattutto uno svilimento della professione.

C'è, poi, un altro aspetto che voglio sottolineare e che ritengo estremamente importante. Richiamo questo aspetto come giovane avvocata, che non ha una famiglia propria alle spalle. Però, io vedo tante colleghe, davvero molte soprattutto al Sud, che purtroppo sono costrette, anche dalle contingenze economiche attuali, a lasciare il mondo della professione a favore del cosiddetto posto fisso e questo credo che sia uno svilimento e un sogno infranto. Infatti, credo che la maggior parte dei colleghi, soprattutto in questi periodi, che con grande sacrificio, cioè con studio e con abnegazione, decidono di intraprendere la professione lo fanno perché ritengono che la professione sia il loro sogno. Allora, vedere tante colleghe, ma anche tanti colleghi, più o meno giovani, che per una questione di stabilità economica, per avere una certezza di compenso, lasciano la professione per avvicinarsi giustamente ad altri mondi è deludente, soprattutto se si tratta di colleghi che lo fanno - ripeto - per una mera questione economica. Così facendo questi colleghi certamente andranno a dare una mano pregevole all'interno delle pubbliche amministrazioni, però porteranno via dal mondo professionale un pezzo della loro professionalità e anche un loro pezzo di vita.

Questo provvedimento ha il senso di far ripartire e di ridare fiducia ai professionisti. Ripeto: è solo un piccolo tassello, un tassello a cui noi speriamo se ne aggiungano tanti altri. Per esempio, un altro che è rimasto purtroppo incompiuto nella scorsa legislatura e rispetto al quale c'era stato un grande lavoro di sintesi, fatto dalla collega relatrice, la mia collega Valentina D'Orso, riguarda l'accesso alla professione forense. Altro tema fondamentale, su cui speriamo si possa riaprire il dibattito, è il tema della monocommittenza. Anche qui, come MoVimento 5 Stelle, abbiamo presentato, già nella scorsa legislatura e anche in questa legislatura, un provvedimento che prende le mosse dall'ascolto proprio del mondo forense e dalle risultanze dell'ultimo congresso che si è tenuto.

Io spero che questo provvedimento, certamente perfettibile, sia quantomeno in linea con il tempo che viviamo, un tempo in cui è difficile, davvero difficile, essere liberi professionisti, perché viviamo nell'incertezza di potere o meno garantire un futuro dignitoso alle nostre famiglie, alle nostre attività e anche - perché no! - ai nostri collaboratori. Però, questo per noi è il tempo - sia come MoVimento, ma parlo anche come Parlamento - di dare una prima risposta a queste difficoltà. Per questo sono particolarmente onorata di intervenire oggi in quest'Aula.

Poi, voglio ricordare anche alcuni aspetti di cui abbiamo parlato anche con le relatrici, tanto nella scorsa legislatura quanto in questa legislatura. Come MoVimento abbiamo presentato, a seguito di un brevissimo ciclo di contributi scritti che abbiamo richiesto in questa legislatura, pochi emendamenti veramente certosini e veramente centrati, che non vanno a stravolgere il senso del testo, che - ripeto - condividiamo pienamente.

Però, pur consapevole della celerità del provvedimento, che dev'essere garantita assolutamente, io, proprio per la grande disponibilità delle relatrici, Bisa e Varchi, su questo provvedimento, e approfittando della presenza in Aula del Sottosegretario, voglio compulsare voi a un ulteriore sforzo, consapevole che questo testo - ripeto - è il frutto di uno spirito collaborativo che ha investito tutte le forze politiche.

Parlo, in primo luogo, della parte del provvedimento che dispone le sanzioni disciplinari nei confronti dei colleghi che accettano una convenzione che prevede compensi al di sotto dei parametri ministeriali. Prima ascoltavo attentamente - e ne ho anche compreso, in linea generale, la finalità - l'intervento del collega di Forza Italia, che ovviamente parlava della previsione di sanzioni disciplinari a carico del professionista che denuncia una convenzione difforme - e, quindi, che si autodenuncia - come uno strumento per evitare abusi anche da parte dei grandi professionisti.

Però, vorrei sollecitare comunque, tanto al Parlamento quanto al Governo, questa riflessione: tutto l'impianto normativo del provvedimento si regge su un'idea di fondo, cioè quella di tutelare il professionista debole, colui che in questo contesto specifico è considerato debole, dal contraente committente forte, perché sottolineo che questa normativa ha paletti molto stringenti, cioè si applica soltanto quando il committente è una grande impresa con più di 50 dipendenti e ha un fatturato che supera i 10 milioni di euro. A fronte di grandi imprese, il professionista, anche quello più strutturato, più avvezzo alla professione e anche agli squilibri di potere, è comunque un contraente debole. Quindi, prevedere una sanzione disciplinare a suo carico, nel caso in cui il professionista denunci e faccia valere i propri diritti in sede giudiziale per far valere la nullità parziale o totale della convenzione che ha sottoscritto, è un grande controsenso e soprattutto lo è nei confronti di quegli avvocati giovani che vogliono farsi strada con tutte le loro forze nel mondo della professione e che, non solo perché sono schiacciati dal committente forte, ma anche per acquisire ulteriori competenze, accettano delle convenzioni inique. Quindi, si arrivi a punirli perché hanno autodenunciato una situazione irregolare. Certamente anche la società committente forte ha dei risvolti negativi, ma per quella società committente forte quei risvolti negativi, pur essendo di una certa importanza, sono risibili. Allora, soprattutto un giovane avvocato, che, appunto, si vede colpito o eventualmente colpito da una sanzione disciplinare, qualunque essa sia, è fortemente in difficoltà e difficilmente, proprio per la dignità che ha e che lo ha portato a scegliere questa professione, si autodenuncerà. Preferirà subire e continuare fino al termine a onorare le prestazioni professionali previste in quella convenzione iniqua piuttosto che autodenunciarsi. Questo lo dico perché ho avuto la sfortuna di accompagnare una giovanissima collega - ovviamente, il caso era molto diverso - dinanzi alla commissione presso la quale ci si rivolge, presentando anche delle memorie in caso di procedimento disciplinare. Io ricordo gli occhi di quella collega. Ovviamente, non so come sia andato il procedimento disciplinare e neanche entro nel merito, però ricordo gli occhi di quella collega, che credo si era abilitata da tre o quattro anni, e la vergogna che aveva a livello morale a doversi presentare dinanzi al consiglio dell'ordine. Quindi per questo, lo dico senza nessuna polemica, vi invito a fare un'ulteriore riflessione, fosse anche, ripeto, per una questione di celerità, in un prossimo provvedimento. E, qualora ci fosse un'apertura del Governo o delle relatrici in questo senso, credo che non sarebbe una sconfitta politica, ovvero approviamo oggi qualcosa per cambiarlo domani, ma credo che sarebbe invece un'assunzione di responsabilità e una dimostrazione di forza, di forza intellettuale, nel senso di dire: in questo momento noi dobbiamo sottostare alla celerità di un provvedimento che le stesse professioni ci chiedono, ma abbiamo la capacità di recepire anche alcune sollecitazioni che ci vengono da altre forze politiche, che pure hanno partecipato convintamente a questo percorso costruttivo, magari in un prossimo provvedimento, magari nel provvedimento, che spero venga presto calendarizzato, con cui noi abbiamo chiesto di rivedere e di aumentare le tariffe professionali, le tariffe degli ausiliari del giudice.

Parlo, ovviamente, dei consulenti tecnici d'ufficio, parlo degli interpreti e dei traduttori. Magari quella potrebbe essere la sede opportuna, magari capiterà tra un anno, magari tra due, magari prima. Credo che questa proposta possa trovare veramente accoglimento. E poi un'ultima sollecitazione la voglio dedicare agli agenti della riscossione e alle società di riscossione crediti perché questo è un aspetto che noi stessi nella scorsa legislatura, come maggioranza, avevamo trattato. Purtroppo qui c'è un problema di coperture, che già esisteva nella scorsa legislatura. Se non ricordo male - vado a memoria, potrei sbagliarmi - la copertura per consentire di inserire in questa normativa anche gli agenti della riscossione e le società di cartolarizzazione dei crediti ammonta a circa 150 milioni di euro, ma potrei sbagliarmi.

Sono tanti soldi, però anche qui sappiamo benissimo che tanto le società di cartolarizzazione dei crediti quanto gli agenti della riscossione sono in una posizione contrattuale per cui ovviamente non sono da demonizzare, ma rispetto a un professionista, a qualunque tipo di professionista, sono certamente in una posizione contrattuale forte; e sono, ovviamente, anche coloro che stipulano delle convenzioni indeterminate, o meglio, a tempo indeterminato, di lungo periodo, proprio perché hanno molto contenzioso da portare avanti. E allora anche su questo la mia sollecitazione, ribadisco, consapevole che all'epoca, come oggi, credo, ci sia un problema di copertura finanziaria, è di cercare, anche, ripeto, in un prossimo provvedimento, di reperire queste risorse. Sarebbe davvero un buon segnale, visto che comunque questo Governo ha in legge di bilancio, purtroppo, tolto molte risorse nel settore giustizia.

Le ha destinate, sempre nel settore giustizia, anche al mondo delle professioni. Quindi avete tolto tanti soldi dall'amministrazione della Polizia penitenziaria e li avete messi sulla compensazione dei crediti degli avvocati; magari in un prossimo provvedimento potreste fare uno sforzo ulteriore e inserire anche le società di cartolarizzazione e di riscossione dei crediti. Un'ultima sollecitazione la devo fare per quanto riguarda l'entrata in vigore del provvedimento perché, anche qui, questa disciplina è a tutela del professionista, ma, se ci pensiamo, anche a tutela del cittadino e del consumatore. Lo dico con cognizione di causa perché nella scorsa legislatura, come componente della Commissione d'inchiesta sulla tutela di utenti e consumatori, uno degli aspetti che alcuni auditi - ovviamente un aspetto marginale, nel senso che la Commissione d'inchiesta non era incentrata su questo - ci hanno sottolineato è la sempre più carente informazione del consumatore.

Sembra un paradosso, perché viviamo nell'era di Internet, ma è un'informazione sempre più banalizzata, poco professionale; dall'altro lato, c'è la sempre una maggiore necessità di affidarsi a professionisti specializzati, altamente formati e altamente qualificati.

Ebbene, se vogliamo consentire tutto questo, dobbiamo mettere il professionista nelle condizioni di chiedere un compenso adeguato alla sua prestazione. Dico questo, perché prevedere la sua applicabilità dalla entrata in vigore della legge (spero il prima possibile), vuole dire tagliare fuori dall'ambito applicativo tutte quelle convenzioni già sottoscritte, di cui parlavo prima, di lungo periodo, alcune a tempo indeterminato e, quindi vuol dire tagliare fuori quasi tutti i professionisti.

Certo, questo sarà un incentivo per i giovani avvocati che vogliono approcciarsi alle grandi aziende, e auguro a ciascun giovane avvocato o giovane professionista di incontrare presto sul suo cammino una grande azienda quando entrerà in vigore questo provvedimento, ma vuol dire penalizzare tutti coloro, tutti i nostri colleghi che, fortunatamente, ma, a questo punto, proprio per l'entrata in vigore della norma, che non ha una fase di diritto intertemporale, dico sfortunatamente, hanno già una convenzione in essere.

Mi avvio davvero alla conclusione e mi scuso per il carattere forse disorganico del mio intervento. L'ho fatto a braccio proprio perché veramente ci tengo.

Mi avvio alla conclusione ricordando e ribadendo su questo provvedimento un'ampia e assoluta disponibilità del MoVimento 5 Stelle ad apportare alcuni contributi migliorativi, come già abbiamo fatto con il deposito degli emendamenti, anche in un'ottica futura, nell'ambito del “pacchetto professioni”. Spero che in sede di esame degli ordini del giorno ci sia un'apertura da parte del Governo su alcune tematiche, che, in caso di esito negativo dei nostri emendamenti, trasformeremo in ordini del giorno.

Credo che con questo provvedimento possiamo aprire la strada ad una nuova stagione, ci credo veramente. Possiamo forse immaginare un futuro diverso, dignitoso, dal punto di vista sia del professionista che del cittadino che usufruisce dei servizi dei professionisti, per ridare la giusta dignità al mondo delle professioni, che poi è quel mondo che costituisce il motore della nostra economia.

Spero che sia così. Se così non dovesse essere, e credo però di no, è chiaro che questo è sicuramente il tempo in cui il Parlamento deve rispondere a queste necessità con un obiettivo chiaro, e cioè declinare tutti i principi costituzionali o meno, ma soprattutto i principi costituzionali - parlavo prima dell'articolo 36 - in modo da assicurare dignità e tutela ai professionisti, ma ai lavoratori in generale. E lo dobbiamo fare soprattutto in questo momento, che è un momento difficile; lo dobbiamo fare per tutto il Paese, per tutte le categorie di lavoratori e per tutti i professionisti. Lo dobbiamo fare in qualsiasi ambito si esplichi la loro attività professionale, perché dove c'è dignità del lavoro, che sia autonomo o subordinato, c'è dignità della persona e c'è la dignità di un Paese intero (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Matone. Ne ha facoltà.

SIMONETTA MATONE (LEGA). Cercherò di essere più sintetica possibile, considerata l'ora e considerato che è stato già detto quasi tutto su questo testo. Il testo ha avuto un iter lungo e complesso, licenziato il 6 ottobre del 2021 dalla Commissione giustizia della Camera, approvato il 13 ottobre del 2021.

La Commissione giustizia del Senato, all'unanimità, diede mandato al relatore, ma arrivò lo scioglimento delle Camere. Lo ricordo, perché è un testo che, stranamente, seppur con i compromessi propri di questi testi, è stato accompagnato da un'unanimità di fondo.

Vi era l'obiettivo di porre rimedio a situazioni di squilibrio nei rapporti professionali, tra professionisti e clienti forti. Infatti va sottolineato e evidenziato che siamo andati a toccare e a ledere interessi consolidati, interessi di clienti forti, individuati nelle imprese bancarie, nelle imprese assicurative, nelle imprese diverse piccole e medie imprese (PMI).

Se da una parte, il testo serve a rafforzare la tutela del professionista, non è stato messo in giusto rilievo come esso tuteli anche i cittadini, affinché essi ottengano una prestazione di qualità, degna di questo nome, impossibile da garantire quando si scende al di sotto dei livelli minimi di compenso previsti dai parametri ministeriali. Questo è un elemento non evidenziato ed è una specie di piaga, che purtroppo affligge, per esempio, la professione forense: il mondo forense è attraversato da questa tematica.

Abbiamo la definizione di equo compenso, che deve essere proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto e al contenuto della prestazione e deve essere conforme ai parametri già determinati per gli avvocati e, per gli altri professionisti iscritti a ordini e collegi, dai regolamenti di determinazione dei parametri stabiliti con decreto del Ministero che vigila sulla professione. Qui, secondo me, vi è stata un'inesattezza, perché, in realtà, per quei professionisti che non hanno un ordine professionale, dovrà essere emanato un apposito decreto dal MiSE, entro sessanta giorni, per andare a coprire tutto quell'universo delle professioni non ordinistiche (mi sbaglio sempre nel pronunciare questa parola).

C'è stato un grosso dibattito su quali sono i cosiddetti clienti - così si chiamano - e il punto di equilibrio è stato trovato nelle imprese che occupano più di 50 lavoratori e che hanno presentato ricavi superiori ai 10 milioni. Questo è stato un punto di equilibrio numerico, che forse potrà essere ritoccato in seguito, ma di poco, con una variazione verso il basso. La cosa importante è che questa disciplina venga ad essere applicata anche nei confronti delle prestazioni rese dalla pubblica amministrazione e dalle società a partecipazione pubblica, andando a coprire un vulnus che, purtroppo, è proprio della pubblica amministrazione, che, spesso - l'ho sperimentato nei miei incarichi dirigenziali -, tende a risparmiare e tende al ribasso nella contrattualistica con i singoli soggetti che contraggono con essa.

Il regime delle nullità è assolutamente dettagliato e l'elenco delle pattuizioni nulle è interessantissimo, perché rende nulle le pattuizioni che vietano di pretendere acconti - cosa che, viceversa, è fondamentale per un professionista -, nulle le pattuizioni che impongono l'anticipazione delle spese da parte dei prestatori della prestazione professionale. Sono nulle tutte le prestazioni che riconoscano vantaggi sproporzionati al committente, nulle le modifiche unilaterali, nulle le pretese aggiuntive e le pretese di prestazioni aggiuntive gratis, nulle le anticipazioni delle spese, nulla la rinuncia al loro rimborso, nullo il pagamento oltre sessanta giorni. Questo cosa vuol dire? Che c'è stata, purtroppo, una galassia di aberrazioni giuridiche, dovute al fatto che c'era qualcuno che aveva, come si dice brutalmente, il coltello dalla parte del manico e che imponeva al professionista clausole assolutamente vessatorie, così come l'uso di strumenti di assistenza tecnica, il cui rimborso, però, era subordinato alla sottoscrizione del contratto, quindi, una sorta di roulette russa per il professionista che si sottoponeva a questo, nella speranza del contrario.

Ovviamente, non sono nulle le clausole che riportino Convenzioni internazionali, delle quali siano parti contraenti gli Stati membri o la stessa Unione europea. Peraltro, molto saggiamente, la nullità non travolge l'intero contratto, ma soltanto la parte viziata dello stesso. Molto importante è anche che il locus dove incardinare il procedimento davanti all'autorità giudiziaria sia il luogo di residenza del professionista, perché, nel settore civilistico il fatto che il tribunale di competenza sia posto in una città assolutamente scomoda oppure addirittura all'estero spesso distoglie il professionista dalla volontà di intraprendere un percorso giudiziario. Per le professioni coperte da un ordine, il tribunale può chiedere un parere di congruità all'ordine, ferma restando la possibilità di chiedere la consulenza tecnica, laddove ovviamente la questione sia più complessa.

Veniamo al tema della condanna del committente, un punto che ha allarmato moltissimo le imprese, che hanno anche cercato di ottenere degli emendamenti volti a diminuire l'entità della punizione, tra virgolette. Viceversa, secondo me, questa entità ha un'importantissima valenza monitoria e dissuasiva, vale a dire che io non intraprendo questa strada, considerato che potrò essere poi sanzionato con una pena che può apparire eccessiva, ma viceversa non lo è. La prescrizione ovviamente decorre dal momento della cessazione del rapporto e dall'ultima prestazione. I compensi devono essere aggiornati ogni due anni e questo va di pari passo, secondo me, con un ragionamento sull'inflazione.

Bene l'introduzione della norma sulla class action. Sul punto della sanzione ai professionisti, credo che ci sia stato un equivoco. Leggendo attentamente l'articolo, la collega del MoVimento 5 Stelle si è soffermata sul punto, ma in realtà la sanzione disciplinare interviene nei soli rapporti in cui il contratto o qualsiasi accordo con il cliente siano stati predisposti esclusivamente dal professionista. Questa è una norma saggia, perché la sanzione disciplinare interviene quando è stato lo stesso professionista in primis a violare il tessuto normativo e, quindi, è bene che intervenga una sanzione disciplinare, perché molto scorrettamente questo soggetto, pur di vincere, tra virgolette, la concorrenza, ha predisposto in primis una clausola di questo genere. Quindi, non c'è, a mio giudizio, nessuna punizione di un povero soggetto, che si trova invischiato in questa vicenda. Non è così, non c'entra niente con i normali procedimenti disciplinari, in cui sono coinvolti gli avvocati.

Abbiamo già detto della class action, riconosciuta dal Consiglio nazionale e dalle associazioni professionali ed è bene averla codificata. Bene, l'istituzione dell'Osservatorio nazionale, perché lo stesso non si limiterà soltanto a osservare, ma potrà formulare pareri, proposte e osservazioni.

Altro punto molto dibattuto, sul quale c'è stato molto movimento da parte di tutta una serie, per così dire, di poteri forti, è il tema delle convenzioni già stipulate e ancora in corso alla data di entrata in vigore della riforma. In realtà, qui non si tratta di agire retroattivamente, ma di intervenire su contratti in atto viziati - perdonatemi la ripetizione - da questo vizio di fondo.

C'è anche da dire - e va affermato molto francamente - che tutto quello che di questa legge poteva essere migliorato è frutto, in primo luogo, di un compromesso tra le forze politiche e, in secondo luogo, di osservazioni pervenute dal MEF, come la storia degli agenti di riscossione delle società che si occupano di cartolarizzazione. Noi dobbiamo essere anche molto realisti, fare i conti con la realtà - perdonatemi la ripetizione - ed ottenere il miglior risultato possibile. Io credo che questa legge rientri in questo alveo, abbia percorso questo sentiero e finalmente siamo qui a discuterne più o meno tutti quanti d'accordo. Vi ringrazio per l'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Schifone. Ne ha facoltà.

MARTA SCHIFONE (FDI). Grazie, Presidente. Sottosegretario, colleghi, oggi la Camera discute la proposta di legge, a prima firma Giorgia Meloni, in materia di equo compenso per le prestazioni professionali. L'atto Camera n. 338 ripropone il testo della proposta di legge che origina dalla scorsa legislatura: era stata approvata in prima lettura alla Camera e poi, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, l'iter si era interrotto.

La proposta di legge che discutiamo oggi alla Camera è stata tra le prime presentate dal nostro gruppo parlamentare, così come avevamo promesso dai banchi dell'opposizione e così come avevamo scritto e raccontato nel nostro programma del centrodestra, segnatamente di Fratelli d'Italia, e durante la nostra campagna elettorale, confermando la nostra attitudine alla coerenza. Il 23 novembre, quindi, è iniziato il suo iter in Commissione e oggi arriva in Aula.

È un testo composto di 13 articoli, che interviene sulla disciplina in materia di equo compenso delle prestazioni professionali rese nei confronti di particolari categorie, con la finalità di rafforzare, dunque, la tutela del professionista. È per noi una legge di civiltà, è per noi un atto di giustizia, è per noi un atto di dignità. È la battaglia di tutti i liberi professionisti contro chi vuole calpestare un diritto costituzionalmente sancito, garantito dall'articolo 36 della Costituzione, contro chi vuole mantenere uno status quo, contro chi vuole mantenere rendite di posizione e regolamentare in modo inappropriato l'attività economica dei professionisti.

Lo scopo della disciplina, insomma, è quello della tutela a tutto tondo dei professionisti. È l'applicazione di un diritto essenziale, quello a ricevere un compenso equo nei rapporti contrattuali. Si cerca di far passare un unico principio: il principio della giusta remunerazione, della remunerazione dignitosa della prestazione, della remunerazione adeguata, della remunerazione congrua.

Con questo provvedimento diciamo: mai più professionisti sottopagati. Troppo spesso, infatti, si è assistito inermi alla contrattazione al ribasso, troppo spesso in questi anni si sono verificate situazioni paradossali in cui i professionisti, pur di lavorare, accettavano dei lavori con compensi minimi, quasi simbolici, a volte a titolo gratuito. Troppo spesso - l'abbiamo detto in questa discussione - soprattutto nel rapporto con le grosse società, anche di capitali, con le banche e le assicurazioni, e con la pubblica amministrazione, si è scatenata una squallida guerra al ribasso. Come possiamo dimenticare il clamoroso caso del professionista calabrese che si è visto proporre un compenso di 1 euro per la redazione - in quel caso - del nuovo regolamento urbanistico del comune di Catanzaro? E con lui, purtroppo, una lista molto lunga, tristemente lunga. Con questo provvedimento si metterà la parola fine alla pubblicazione dei bandi della pubblica amministrazione dove si è chiesta più volte la prestazione a titolo gratuito.

Abbiamo piantato e pianteremo un paletto legislativo, che può essere naturalmente esteso, che può essere ampliato, che può essere sicuramente perfettibile, ma è un paletto legislativo nel campo del mondo produttivo pubblico e privato per regolamentare i rapporti con gli operatori economici, convinti, come siamo da tempo, che la concorrenza, quando è sregolata, quando è sleale nel lavoro intellettuale, non può che evolvere in una inevitabile mancata qualità della prestazione.

La proposta prevede, tra le altre cose, è importante evidenziarlo, la conformità del compenso ai parametri definiti dai decreti ministeriali, specie nei confronti dei committenti forti, applicando così la forte tutela contrattuale del professionista, che è il contraente debole, laddove troppo spesso hanno prevalso logiche di mercatismo spinto, che hanno rasentato la slealtà, che hanno indugiato troppo spesso su meccanismi economico-finanziari che ci fanno letteralmente orrore. Presidente. Il cannibalismo del mercato del lavoro da parte dei contraenti forti, con questo provvedimento, non esisterà più.

Insomma, questa proposta di legge - che reca la prima firma del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e non si può prescindere dal sottolinearlo - ha una portata simbolica enorme, è un sigillo per raccontare cosa rappresentano davvero per noi i professionisti. Un modello a cui la destra italiana, e Fratelli d'Italia in modo particolare, da sempre si ispira e aspira, che poggia le sue fondamenta sulla meritocrazia, sullo studio e sulle competenze, sulla proprietà intellettuale e sull'etica, sulla deontologia in campo. Questo consente ai professionisti di rappresentare quello che viene detto tertium genus, cioè una terza parte sociale che si distingue nel mercato del lavoro e che spicca tra il lavoro datoriale e quello dipendente, e si contraddistingue per la libertà e per l'indipendenza. I professionisti rappresentano una forza sociale, autonoma, indipendente, la forza più libera ed intransigente nella difesa dei cittadini, nella salvaguardia dei valori costituzionali che rappresentano: la giustizia, la salute, l'ambiente, il territorio, il risparmio, l'economia e moltissimo altro. I professionisti difendono il diritto alla salute, difendono gli italiani nelle aule di tribunali, difendono le loro aziende, difendono il loro lavoro, difendono i loro risparmi, difendono l'ambiente in cui vivono, difendono gli italiani e le loro famiglie, costruendo e manutenendo le case, le città, i patrimoni di cui godono, le infrastrutture che attraversano. Ogni giorno, i professionisti italiani difendono gli italiani, chiamandoli clienti, pazienti, assistiti e mai consumatori, perché questa parte non è mai risultata asservibile alle logiche di un mainstream, ad un mercato selvaggio senza regole, ad una globalizzazione ad ogni costo, e, nemmeno a quelle di bieco e becero assistenzialismo, ma ha sempre puntato ai valori fondanti, che sono il merito e la competenza.

Sappiamo anche che i professionisti e, più generalmente, gli autonomi sono quelli principalmente colpiti da questa crisi sociale ed economica, partita dal COVID che ancora morde. Abbiamo un conflitto nel cuore dell'Europa, a cui naturalmente sono conseguiti la crisi energetica e il caro delle materie prime, e quindi sappiamo che ci sono divari che vanno aumentando, come il gap gender, il gap generazionale o territoriale. Però, chi conosce bene questi mondi sa anche che la crisi di sistema, che sicuramente è stata acuita da questi momenti e da queste contingenze, viene da molto lontano ed è figlia di una politica miope, portata avanti dai Governi delle sinistre che si sono succeduti negli ultimi lustri, dalle lenzuolate di Bersani, dall'abolizione delle tariffe professionali, da tutti i provvedimenti del Governo Monti, da un approccio ideologico che puntava alla disintermediazione dei corpi intermedi. Una politica ideologizzata, polarizzata, tesa ad emarginare e, in alcuni casi, quasi a criminalizzare i professionisti, un intero comparto, considerandoli come privilegiati, elusori, evasori, nemici da abbattere e mai come risorse da valorizzare, e dimenticando troppo spesso anche i numeri. Parliamo, infatti, di un segmento del mercato del lavoro - mi piace ricordarlo - che conta, per gli ordinisti, circa 1.430.000. Presidente, per suo tramite, ho sentito che nella discussione si parlava anche di professioni non regolamentate: ricordo che, nell'articolo 1, ricadono tutti i professionisti che fanno riferimento alla legge n. 4 del 2013; è stata un'estensione che abbiamo fortemente voluto e, quindi, sono assolutamente rappresentati e tutelati da questo nostro provvedimento.

Come dicevo, quindi, l'aggregato dei liberi professionisti costituisce il 6,3 per cento degli occupati, costituisce il 27 per cento del lavoro autonomo e 52 liberi professionisti ogni 1.000 occupati in Italia. Ricordo che i professionisti in Italia rappresentano il maggior numero di professionisti in Europa e, quindi, lo diciamo per convincimento: non si può prescindere dai professionisti, non lo possono fare gli italiani, non lo può fare la politica, non lo può e non lo deve fare il legislatore.

Tutto ciò per raccontarvi che non è casuale il nostro interesse, come non è casuale questo provvedimento che viene da un lungo lavoro che il partito, Giorgia Meloni, la classe dirigente e il gruppo parlamentare hanno portato avanti ormai da molto tempo; un lavoro fatto di interlocuzione, di ascolto, di eventi, di iniziative e di audizioni. Ed è il caso di ricordare, oggi, e di rivendicare che questo gruppo parlamentare ha guidato dall'opposizione, nella scorsa legislatura, un'operazione per un nuovo patto per questo pezzo di mondo produttivo e, oggi, siamo appunto qui a celebrare una vittoria che è per i professionisti italiani, perché si riscrive un pezzo di storia, perché si restituisce un pezzo di storia, perché si restituisce un pezzo di dignità; quindi, grazie al nostro Presidente, che ci ha sempre creduto e ha voluto mettere la propria firma su questa proposta, grazie a Francesco Lollobrigida, che è oggi Ministro della Repubblica, ma che era nella scorsa legislatura il presidente dei deputati di Fratelli d'Italia e che è stato il promotore e il regista anche di questo provvedimento; grazie a Carolina Varchi che è la relatrice per Fratelli d'Italia e a tutto il gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia, oggi guidato da Tommaso Foti.

È una vittoria di tutti, come dicevo, una vittoria nostra, dei professionisti, ma soprattutto una vittoria degli italiani, perché non dobbiamo dimenticare che la tutela del comparto libero professionale è di interesse pubblico e dobbiamo sempre tenere presente questa equazione: un professionista più sostenuto, più tutelato, più aiutato darà sempre un italiano più garantito (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 338​ e abbinate)

PRESIDENTE. La relatrice Maria Carolina Varchi, la relatrice Ingrid Bisa e il rappresentante del Governo non intendono replicare.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Formentini ed altri: Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione contro il doping, fatto a Varsavia il 12 settembre 2002 (A.C. 585​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 585: Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione contro il doping, fatto a Varsavia il 12 settembre 2002.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 585​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Paolo Formentini.

PAOLO FORMENTINI , Relatore. Grazie Presidente, segnalo preliminarmente che la proposta di legge è stata esaminata dalla Commissione affari esteri e comunitari nella scorsa legislatura e, poi, riproposta all'inizio della legislatura corrente, ricorrendo alla procedura speciale di cui all'articolo 107, comma 3, del Regolamento, il quale prevede che, entro sei mesi dall'inizio della legislatura, ciascuna Commissione, previo sommario esame preliminare, possa deliberare di riferire all'Assemblea su progetti di legge approvati dalla Commissione stessa in sede referente nel corso della precedente legislatura e di adottare la relazione allora presentata.

Vengo al merito del provvedimento e ricordo che la Convenzione del Consiglio d'Europa contro il doping, ratificata dal nostro Paese ai sensi della legge n. 522 del 1995, costituisce il coronamento di una serie di risoluzioni e raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, dirette a combattere la pratica del doping nello sport.

Tale importante strumento internazionale impegna le parti contraenti ad adottare tutte le misure idonee a controllare la detenzione, la circolazione, l'importazione e la vendita di agenti e metodi di doping e, in particolare, di steroidi e anabolizzanti, anche in ossequio ai principi etici e ai valori educativi sanciti da documenti internazionali, quali la Carta olimpica e la Carta internazionale per l'educazione fisica, l'attività fisica e lo sport dell'UNESCO.

La Convenzione prevede che in ciascun Paese siano istituiti uno o più laboratori antidoping, riconosciuti dagli organismi internazionali e approvati dall'apposito gruppo di vigilanza istituito dalla Convenzione, che dovranno essere incoraggiati a promuovere la formazione di personale qualificato e a intraprendere appropriati progetti di ricerca e di sviluppo. Si impegnano altresì le parti a elaborare e attuare programmi educativi e campagne di informazione che pongano in rilievo i rischi per la salute inerenti al doping, nonché il pregiudizio che ne deriva per i valori etici dello sport. Le parti dovranno, inoltre, incoraggiare le organizzazioni sportive ad adottare regolamenti che rechino elenchi di agenti e metodi di doping vietati, sistemi di controllo e di analisi, procedimenti disciplinari efficaci, ispirati a criteri garantisti, nonché sanzioni effettive a carico dei responsabili; istituire seri controlli antidoping, da eseguirsi durante le gare e anche al di fuori di esse senza preavviso; cooperare con le organizzazioni sportive internazionali di altri Paesi per conseguire gli obiettivi stabiliti dalla Convenzione.

Gli Stati contraenti sono, inoltre, invitati a concedere sovvenzioni e aiuti alle organizzazioni sportive nazionali per agevolare la pratica dei controlli antidoping e, comunque, a condizionare l'erogazione di tali aiuti alla rigorosa applicazione delle norme vigenti nel settore. Ricordo che, in base alla legislazione italiana, costituiscono doping la somministrazione e l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare la prestazione agonistica degli atleti.

A livello internazionale è stata adottata una pluralità di fonti normative e di atti di soft law, tra i quali mi limito a menzionare la Dichiarazione di Losanna, adottata durante la Prima conferenza mondiale sul doping nello sport, tenutasi nel 1999, che ha dato vita al Codice antidoping e all'Agenzia mondiale antidoping, fondazione internazionale indipendente, la Convenzione internazionale contro il doping nello sport, adottata nell'ambito dell'UNESCO e ratificata dall'Italia, ai sensi della legge n. 230 del 2007, e, infine, il Libro Bianco sullo Sport dell'Unione europea, pubblicato nel 2007.

Il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione oggi all'esame dell'Aula, entrato in vigore a livello internazionale il 1° aprile 2004, a tutt'oggi è stato ratificato da 27 Stati membri del Consiglio d'Europa e ha lo scopo di assicurare il reciproco riconoscimento dei controlli antidoping e, più in generale, di rafforzare l'applicazione della Convenzione. A tal fine, il Protocollo prevede il riconoscimento reciproco tra gli Stati parte dei controlli antidoping eseguiti da ciascuno di essi nel proprio territorio a carico di sportivi provenienti da altri Stati che fanno parte della Convenzione. Il Protocollo è il primo strumento di diritto internazionale che riconosce la competenza dell'Agenzia mondiale antidoping a effettuare controlli al di fuori delle competizioni. Per quanto concerne il profilo del rafforzamento e dell'applicazione della Convenzione, il Protocollo prevede un meccanismo di monitoraggio vincolante. Il monitoraggio sarà eseguito a cura di un nucleo di valutazione e si effettuerà tramite visite agli Stati investiti, seguite da un rapporto valutativo.

In conclusione, sottolineo che a seguito dell'entrata in vigore del Protocollo, anche la Convenzione del Consiglio d'Europa contro il doping entra nel ristretto novero delle convenzioni internazionali dotate di un meccanismo di controllo effettivamente vincolante.

PRESIDENTE. La rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

È iscritto a parlare il deputato Emanuele Pozzolo. Ne ha facoltà.

EMANUELE POZZOLO (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, grazie anche per la puntuale relazione appena pronunciata dall'onorevole Formentini. Sarò quanto mai sintetico, ma ci tengo a sottolineare quanto questo tema legato al doping sia quanto mai attuale. Soltanto qualche giorno fa, sono usciti articoli di giornali che riportavano la preoccupazione da parte di molti atleti, anche molto noti in Italia, relativamente all'utilizzo possibile di alcune tipologie di sostanze che potrebbero aver creato dei potenziali problemi di salute nei medesimi atleti.

Ecco che, quindi, non sfugge a nessuno la stretta attualità della tematica in questione, l'opportunità di andare nella direzione indicata dal relatore anche in un'ottica di capacità complessiva, cioè di rendere la politica di lotta al doping omogenea il più possibile a livello comunitario.

Per quanto riguarda i dati, sono andato a leggere la parte della relazione presentata al Parlamento dalla Sezione per la vigilanza e il controllo sul doping del Ministero della Salute. Indicano, per l'anno 2021, 1.322 atleti che sono stati controllati, con 38 casi di positività, quindi il 2,2 per cento circa, che apparentemente sembrerebbe un dato non certamente positivo, ma che, comunque, denota, tutto sommato, un controllo della situazione. Molti osservatori, però, segnalano che questa potrebbe essere, purtroppo, soltanto la punta di un iceberg, nel senso che i controlli vengono fatti prevalentemente - anzi, in questo caso esclusivamente - nel pre-gara e nel post-gara nei confronti di atleti che sono parte di iscritti a federazioni. Il tema importante è quello di andare a capire e ad approfondire se, come pare, ahinoi, il fenomeno del doping attenga anche a chi svolge lo sport a livello amatoriale. Quindi, sarebbe sicuramente molto più complesso e difficile chiaramente andare a monitorare, controllare ed eventualmente trovare delle strategie d'intervento, perché il controllo - ciò non sfuggirà a nessuno - sarebbe sicuramente molto più complesso.

Quindi, per chiudere direi che sicuramente è una tematica - ripeto - che merita il massimo approfondimento e la massima attenzione da parte di questo Parlamento. Sosterremo sicuramente questa ratifica e ringrazio l'onorevole Formentini per l'impegno che ha profuso in questo senso (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 585​)

PRESIDENTE. Il relatore, deputato Paolo Formentini, e la rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta.

Ha chiesto di parlare il deputato Caramiello. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CARAMIELLO (M5S). Grazie, signora Presidente. Membri del Governo, onorevoli colleghi, una delle opere più belle di Francisco Goya si intitolava “Il sonno della ragione genera mostri”, illustrazione che richiama un'altra tela intitolata “Il sonno della regione genera mostri”, dipinta da un governatore incapace politicamente di dare risposte ai cittadini, al mondo delle professioni e al tessuto imprenditoriale.

Vi porto l'esempio ultimo, non per importanza, del comparto bufalino campano. Onorevoli colleghi, dovete sapere che negli ultimi anni oltre 140 mila bufale campane sono state abbattute per sospetta brucellosi, salvo poi risultare sane per quasi il 99 per cento da analisi post mortem. Questo perché se fino al 2014 vigeva un piano basato prevalentemente sulla vaccinazione dei capi, che portò l'incidenza della brucellosi casertana dal 20 per cento all'1 per cento, dal 2014 in poi si è adottata un'altra strategia volta all'abbattimento di tutti gli animali positivi o presunti tali. Così se in un allevamento si superava una certa percentuale di positivi, veniva abbattuta tutta la stalla. Insomma, una follia che non ha risolto la problematica, anzi.

Per difendere le ragioni degli allevatori sono stato a Bruxelles, dove ho registrato la totale assenza della regione Campania ai tavoli della Commissione europea. Lì, a stretto contatto con gli allevatori che chiedevano risposte concrete ai nostri rappresentanti europei, mi sono fatto carico delle loro battaglie. Così, da forza di opposizione, sono riuscito a far approvare in legge di bilancio un emendamento da 2 milioni di euro per ristorare gli allevatori colpiti da questa mattanza. Si tratta di una prima boccata d'ossigeno, a cui deve dare seguito l'impegno del Governo che non deve lasciare indietro un indotto che dà lavoro a migliaia di cittadini.

Come se non bastasse, nelle ultime ore una forte alluvione, verificatasi nel Volturno, ha invaso le stalle, mettendo a dura prova le bufale, che rischiano di morire. A tal proposito, ricordo che, come riferito a più riprese dalla task force regionale contro la brucellosi, il maggior veicolo di trasmissione è l'acqua.

PRESIDENTE. Deputato, deve concludere. Ha esaurito il suo tempo.

ALESSANDRO CARAMIELLO (M5S). Se mi dà giusto dieci secondi…

PRESIDENTE. Prego.

ALESSANDRO CARAMIELLO (M5S). In tutto questo ci sono i consorzi di bonifica, gli altri enti strumentali della regione Campania e la manutenzione, tutti in capo alla regione Campania.

Ma noi non possiamo restare a guardare. Onorevoli colleghi, se prima ho nominato - e concludo - un grande artista europeo, ora citerò una celebre pagina de Il Mattino che ispirò il pennello di Andy Warhol: fate presto, anzi tutti insieme facciamo presto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, intervengo oggi per richiamare l'attenzione del Parlamento e, per suo tramite, del Governo su una notizia triste: la scorsa settimana a Roma un ragazzo di trent'anni si è tolto la vita, impiccandosi in cella nel carcere di Regina Coeli. È il primo nella capitale, il secondo nel 2023 dopo il primo a Piacenza. Lo scorso anno - non dimentichiamolo - ci sono stati 83 suicidi, di cui due a Regina Coeli. Regina Coeli è un carcere storico della mia città, il carcere più affollato della regione Lazio: ospita quasi 500 detenuti condannati in via definitiva. È un istituto del tutto inidoneo a percorsi di trattamento per il reinserimento sociale.

Pochi giorni fa in quest'Aula, in occasione della relazione sull'amministrazione della giustizia, il primo punto della risoluzione che come gruppo del Partito Democratico abbiamo presentato impegnava il Governo a ripristinare e a incrementare le risorse finanziarie relative al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, tagliate con la manovra di bilancio, nonché ad effettuare investimenti sul sistema penitenziario stanziando risorse maggiori e adeguate. Stefano Anastasia, Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, ha commentato questa triste notizia dicendo che, purtroppo, sempre più spesso la detenzione appare come un buco nero senza speranza.

Ancora una volta, senza colpevolizzare nessuno, bisognerebbe capire cosa può essere fatto per prevenire altri suicidi. Ripetiamo in quest'Aula ancora una volta questa domanda per chiedere ancora una volta al Governo di considerare questo tema un'assoluta priorità. Non dobbiamo mai dimenticare che il livello di civiltà di un Paese va valutato dalle condizioni delle sue carceri. Per questo ogni morte in carcere, ogni suicidio in carcere riguarda sempre tutti e tutte noi e non può essere mai ignorato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Giuliano. Ne ha facoltà.

CARLA GIULIANO (M5S). Grazie, Presidente. Voglio portare all'attenzione di quest'Aula una tragedia che si è consumata questa notte nel “Pista”, il ghetto, ovviamente irregolare, di Borgo Mezzanone, nel Foggiano, dove hanno perso la vita, a causa delle esalazioni di monossido di carbonio che hanno respirato da un braciere posto ai piedi del letto, due giovani migranti, un uomo gambiano e una donna nigeriana di cui ancora non si conoscono le generalità.

Purtroppo, quanto accaduto questa notte nel “Pista” - si chiama Pista perché sorge illegittimamente su un vecchio aeroporto di Borgo Mezzanone - è solo l'ultimo episodio di una serie di episodi di questo tipo. Ricordiamo nel novembre del 2019 la morte di due giovani nigeriani a causa delle esalazioni, sempre di monossido di carbonio, sprigionate da una stufetta utilizzata per fronteggiare il gelo (si tratta di una serie di case, se così si possono chiamare, e di baracche di lamiera).

Presidente, secondo i dati ministeriali, purtroppo, nel “Pista” di Borgo Mezzanone su circa 450 interventi dei Vigili del fuoco - e lì c'è un presidio fisso - ben 150 interventi solo nel 2022 - preciso - hanno riguardato lo spegnimento di incendi e di roghi. Per la bonifica dei ghetti irregolari della provincia di Foggia, in particolare quelli di Foggia e di San Severo (il Gran Ghetto di San Severo), sono state stanziate delle risorse importanti nel PNRR, rispettivamente 53 e 28 milioni. Oltre al dolore per famiglie che non conosciamo, perché questi ragazzi, per ora, non hanno volto e non hanno nome, vi è il dolore di un'intera comunità che, da anni, si trova a vivere queste situazioni di sofferenza. Il mio appello, visto che il Ministro Piantedosi sarà a Foggia il 6 febbraio prossimo, è che trovi il tempo anche per recarsi nei ghetti presenti sul nostro territorio, per prendere cognizione pratica di questa situazione inaccettabile e delle condizioni disumane in cui sono costrette a vivere queste persone (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 24 gennaio 2023 - Ore 9,30:

1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni .

(ore 14)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 389 - Conversione in legge del decreto-legge 2 dicembre 2022, n. 185, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell'Ucraina (Approvato dal Senato). (C. 761​)

Relatori: CALOVINI, per la III Commissione; CIABURRO, per la IV Commissione.

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 93-338-353 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI VALENTE ed altri; BALBONI ed altri; PAITA ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 640-A​)

e delle abbinate proposte di legge: SERRACCHIANI ed altri; ASCARI ed altri. (C. 602​-772​)

Relatrici: PATRIARCA, per la II Commissione; ZANELLA, per la XII Commissione.

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

MELONI e MORRONE: Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali. (C. 338​)

e delle abbinate proposte di legge: ENRICO COSTA; MULE' ed altri; GRIBAUDO. (C. 73​-528​-637​)

Relatrici: BISA e VARCHI.

5. Seguito della discussione della proposta di legge:

FORMENTINI ed altri: Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione contro il doping, fatto a Varsavia il 12 settembre 2002. (C. 585​)

Relatore: FORMENTINI.

La seduta termina alle 16,20.