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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 13 di mercoledì 23 novembre 2022

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIO MULE'

La seduta comincia alle 10.

PRESIDENTE. La seduta è aperta. Buongiorno colleghi, buongiorno a chi consente il nostro ordinato svolgimento dei lavori.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

RICCARDO ZUCCONI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 53, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Colleghi, come già preannunciato in Assemblea lo scorso 10 novembre e nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo dello scorso 16 novembre, a partire dalla seduta odierna a ciascun deputato sarà assegnato uno specifico posto nell'emiciclo, sulla base delle indicazioni del presidente del gruppo parlamentare di appartenenza.

Ad ogni posto corrisponde una postazione di voto che, al fine di garantire un ordinato svolgimento dei lavori, potrà essere attivata unicamente dal deputato cui sarà assegnato il posto, tramite il proprio tesserino di votazione.

Colleghi, dovremmo ora passare alla discussione generale sulle mozioni recanti iniziative per l'eliminazione della violenza contro le donne. Il rappresentante del Governo è già in sede, c'è un piccolissimo contrattempo, quindi, sospendiamo la seduta per cinque minuti, che riprenderà alle 10,10.

La seduta, sospesa alle 10,05, è ripresa alle 10,10.

Discussione delle mozioni Ascari ed altri n. 1-00004, Polidori, Varchi, Bisa, Lupi ed altri n. 1-00005, Richetti ed altri n. 1-00015, Zanella ed altri n. 1-00017 e Serracchiani ed altri n. 1-00018 concernenti iniziative per l'eliminazione della violenza contro le donne.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Ascari ed altri n. 1-00004, Polidori, Varchi, Bisa, Lupi ed altri n. 1-00005 (Nuova formulazione), Richetti ed altri n. 1-00015, Zanella ed altri n. 1-00017 e Serracchiani ed altri n. 1-00018, concernenti iniziative per l'eliminazione della violenza contro le donne (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 16 novembre 2022 (Vedi l'allegato A della seduta del 16 novembre 2022).

Avverto che è stata, altresì, presentata la mozione Gebhard e Schullian n. 1-00019, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Cafiero De Raho, che illustrerà anche la mozione Ascari ed altri n. 1-00004, di cui è cofirmatario.

FEDERICO CAFIERO DE RAHO (M5S). Grazie, Presidente. Illustri colleghi, la mozione che, nei successivi interventi, verrà ulteriormente illustrata dalle colleghe merita l'evidenziazione di alcuni dati provenienti da quel monitoraggio sulla violenza di genere sviluppato dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale, pubblicato dal Ministero dell'Interno. Ricordiamo che, su 286 omicidi del 2020, 117 sono state le vittime di sesso femminile, di cui 101 in ambito familiare o affettivo; su 305 omicidi del 2021, 119 sono state le vittime di sesso femminile, di cui 103 in ambito familiare o affettivo; circa 80 sono stati gli omicidi di donne nei primi nove mesi del 2022 ed è di due giorni fa il rinvenimento del cadavere carbonizzato di Alice Neri, la trentaduenne rinvenuta nel bagagliaio di un'auto.

Reiterate sono le violenze perpetrate dai partner o ex partner: violenze fisiche, stupri, tentativi di soffocamento, ustioni, fino ad arrivare agli omicidi, ma anche violenze psicologiche o economiche, violenze domestiche o molestie sessuali e ricatti sessuali nel mondo del lavoro, come in contesti scolastici o sociali. Occorre un impegno straordinario, multilivello e pluridisciplinare, innanzitutto degli uomini, per la realizzazione effettiva di una totale parità di genere. Il raggiungimento della parità di genere passa per la sconfitta della sottocultura della violenza degli uomini contro le donne, ma anche per l'eliminazione di barriere e ostacoli che rendono la donna più debole per un'inferiorità salariale o una dipendenza economica o per una reiterata discriminazione che danneggia e ostacola la crescita lavorativa, sociale e professionale della donna.

Occorrono un'azione importante delle scuole, che formino alla parità di genere, e un'educazione che parta dalla scuola materna. È la cultura della legalità e dell'uguaglianza effettiva la strada per contrastare realmente e definitivamente la violenza dell'uomo sulla donna. Sono necessari programmi scolastici universitari, finalizzati a inculcare il valore della parità di genere, quel valore esaltato dalla nostra Costituzione: solo la cultura può seminare rispetto e sensibilità. Identica azione di formazione, educazione e sensibilizzazione va sviluppata in ogni settore, pubblico e privato, ad ogni livello e in ciascuna categoria, perché ciascuno di noi deve assorbire la cultura della parità di genere, del rispetto verso la donna e dell'uguaglianza dei diritti.

In una situazione di estrema vulnerabilità delle vittime di violenza di genere, bisogna offrire prospettive di tutela e di opportunità per consentire alle donne di fuoriuscire dallo stato di soggezione. Se per ottenere giustizia occorre intraprendere un lungo e faticoso calvario, è inevitabile che molte donne non riescano ad emanciparsi. Occorre organizzare stabilmente sui territori una filiera professionalmente preparata, in grado di accogliere la donna vittima di violenza, a partire dalle aziende ospedaliere, che devono esprimere operatori medico sanitari in grado di cogliere i segnali rilevanti. Inoltre, oggi è necessario implementare i centri antiviolenza e le case di rifugio e rendere strutturale la loro collaborazione con tutte le altre strutture. Occorre, al tempo stesso, pensare a percorsi utili a restituire alle donne, soprattutto a quelle prive di indipendenza economica, autonomia anche abitativa. Ma anche il percorso giudiziario per gli autori delle violenze deve svolgersi con immediatezza nella fase di avvio e svilupparsi con le professionalità necessarie, sia nella Polizia giudiziaria, sia nella magistratura. Occorre però che le fattispecie penali siano formulate in modo da consentire, nei casi di più alto rischio di progressione violenta, l'intervento immediato del giudice, con strumenti in grado di vigilare costantemente sui comportamenti. Di chi sono state le responsabilità quando, nonostante le reiterate denunce, la violenza maschile si è abbattuta sulla donna, uccidendola, in una progressione mai da alcuno impedita? Allora, il Codice rosso non è sufficiente. Il MoVimento 5 Stelle, con la collega Ascari, ha già presentato una proposta di legge riguardante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, al codice antimafia e ad altre disposizioni di legge in materia di violenza sulle donne, ma è anche necessario capire se vi sia stata debolezza, superficialità o insensibilità in chi sarebbe dovuto intervenire. Diciamo basta! Spetta alla politica verificare la completezza degli strumenti per impedire la violenza di genere e impedire che essa trascenda fino a insidiare la vita.

Il quadro normativo è, peraltro, complesso e frammentario, essendo cresciuto negli anni, aggiungendo sempre nuovi strumenti di intervento, a partire dalla Convenzione di Istanbul (ratificata), dalla legge del 2013, da quella del 2019 sul Codice rosso, ma anche da una serie di interventi, basti pensare alla riforma sulla scuola del 2015, che prevede numerosi interventi proprio a favore dell'educazione alla parità di genere.

Le difficoltà, dinanzi alle quali si trovano anche gli operatori e le operatrici più esperte, sono rappresentate oggi dalla necessità di doversi misurare con norme disseminate in numerose fonti, che hanno bisogno di essere riunite in un testo organico e coordinato. Anche questo è indispensabile: è indispensabile per il cittadino avere leggi comprensibili, perché si colga la vera portata della norma e possa, questa, trovare immediata applicazione e osservanza presso tutte le istituzioni, anche per non dare alibi a nessuno.

Il 29 ottobre 2021, l'Italia ha ratificato la Convenzione OIL, diventando il nono Paese al mondo e il secondo in Europa. L'Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia specializzata dell'ONU, riserva una specifica attenzione ai diritti delle donne. La raccomandazione n. 106 individua una serie di misure per attenuare l'impatto e la violenza domestica e molte di esse prevedono proprio la ricollocazione della donna nel mondo del lavoro. Anche su scala nazionale, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha posto rilievo alla parità di genere, individuando specifici interventi proprio su questo tema. È necessario investire attraverso la formazione e il rafforzamento delle competenze.

Nel corso della XVIII legislatura, è stata istituita una Commissione parlamentare d'inchiesta monocamerale. Noi riteniamo - e su questo è stata fatta una proposta - che debba esserci una Commissione parlamentare, questa volta però bicamerale, per sottolineare l'importanza e la complessità dell'azione che il Parlamento deve ancora svolgere. È necessario mettere in campo strategie efficaci per prevenire e perseguire ogni forma di violenza fisica, psicologica, sessuale e qualunque forma di molestia che possa affliggere le donne in un rapporto di lavoro, in un percorso di studio e in qualunque consesso sociale. Questo è il nostro impegno (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Patrizia Marrocco, che illustrerà la mozione Polidori, Varchi, Bisa, Lupi ed altri n. 1-00005 (Nuova formulazione), che ha sottoscritto in data odierna.

PATRIZIA MARROCCO (FI-PPE). Grazie, Presidente. Con la mozione che oggi stiamo discutendo rinnoviamo l'impegno del Parlamento e del Governo nella lotta contro la violenza sulle donne, per il raggiungimento di una piena applicazione della Convenzione di Istanbul nel nostro Paese. Questa, come ogni anno, è un'opportunità per indurci a riflettere una volta di più sul perché, nonostante in questi anni siano state messe in campo tante misure importanti di prevenzione e protezione e perseguimento dei colpevoli, le notizie di violenza contro le donne continuano a occupare le nostre cronache, restituendoci l'immagine – terribile – di una società in cui le donne subiscono abusi in casa, sul lavoro e in tutti i luoghi e contesti in cui intendono realizzarsi. Assistiamo a una torsione della realtà per cui diminuiscono gli omicidi e i reati violenti, ma non accennano a diminuire i reati di violenza contro le donne, in modo particolare i femminicidi, quasi sempre epiloghi drammatici di storie di violenze e abusi che avvengono quando la donna decide sulla sua autonomia e sulla sua libertà. Il femminicidio è l'apice della spirale di violenza che spesso si alimenta nello stesso ambiente domestico; infatti, nel 35 per cento dei casi gli episodi di maltrattamenti, di violenza sessuale e di stalking avvengono per mano del proprio convivente. Soltanto nei primi 9 mesi del 2022 sono state 82 le donne vittime di omicidi volontari, di queste il 34 per cento sono definibili femminicidi intesi, secondo la Convenzione di Istanbul, come omicidi in cui le vittime sono donne uccise in quanto donne, perché hanno messo in discussione il loro ruolo nella società o in famiglia. Il 38 per cento delle vittime aveva figli piccoli. Si tratta del marito o del convivente (nel 56 per cento dei casi), del figlio o del genitore (nel 19 per cento dei casi), dell'ex marito (nel 13 per cento dei casi) o del fidanzato o dell'ex compagno. Qualcuno un giorno disse: “Il mostro dorme accanto a te”, purtroppo i dati ci dicono che a volte è vero. Di certo, però, non possiamo arrenderci di fronte a queste morti; è indubbio che la pandemia abbia peggiorato una situazione di violenza di genere preesistente, strutturale e diffusa che si nutre, però, nella disuguaglianza di genere, della disparità di potere tra uomo e donna, dell'organizzazione patriarcale della società e degli stereotipi sui ruoli e sulle capacità delle donne, ancora molto diffusi e pervasivi.

Si tratta di violenza che non si esprime solo con l'aggressione fisica, ma che include anche le vessazioni psicologiche e i ricatti economici; una condizione peggiorata, come dicevamo, anche dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia, dalla perdita di lavoro e autonomia economica che sta riguardando molte donne. Anche su questo fronte è fondamentale la prevenzione, ad esempio attraverso l'educazione finanziaria quale strumento per riconoscere la violenza economica, accelerare il processo di uscita dalla violenza e favorire percorsi di empowerment e di inclusione delle donne che scelgono di riprendere in mano la loro vita.

Sul fronte della parità sono molte le misure già approvate: si è rafforzato l'impianto normativo con le riforme del processo civile e del processo penale che contengono norme attente ai problemi della violenza di genere, anche in attuazione della Convenzione di Istanbul. A fronte dell'imponente impianto normativo e sanzionatorio e del permanere di questi atroci fenomeni, crediamo che le più efficaci misure siano quelle che dobbiamo far vincere, a scuola e in famiglia e poi sul piano del linguaggio e della responsabilità nei media nel veicolare messaggi sessisti e offensivi.

Sotto l'aspetto culturale, fra gli obiettivi da perseguire vi è il rafforzamento della parità di genere in termini didattici e di orientamento rispetto alle materie STEM, computer, scienza e competenze multilinguistiche, per tutti i cicli scolastici. La sottorappresentanza delle donne nei percorsi educativi affini alle STEM ha conseguenze importanti in termini di disparità di genere. Tali discipline, infatti, solitamente sono quelle che offrono i percorsi di carriera più retribuiti e con maggiore stabilità, una tendenza destinata a rafforzarsi in un mondo sempre più dipendente dalle tecnologie. Molto spesso la violenza è proprio mancanza di vocabolario.

Un altro importante tema che non possiamo ignorare è quello della compiuta conoscenza, da parte delle donne, degli strumenti che hanno a loro disposizione per prevenire, o comunque fermare, gli episodi di violenza; strumenti che sicuramente, come ho già sottolineato, seppure ancora incompleti, se conosciuti, consentirebbero a molte donne di trovare il coraggio di denunciare.

In questa mozione non si parla solo di violenza; scorrendola nei vari punti, risulta evidente che ci sono argomenti che riguardano più il rapporto tra donne e lavoro, donne ed economia. Perché? Perché sono strettamente correlati: se una donna non è indipendente economicamente avrà difficoltà a denunciare, poiché si preoccuperà di quella che potrebbe essere la sua vita dal giorno dopo la denuncia.

In questa mozione proponiamo misure non solo repressive, non abbiamo, infatti, parlato solo di queste. Insieme alle misure repressive, chiaramente necessarie, abbiamo bisogno di misure di comunicazione e di sostegno. Il mondo della violenza di genere è un sistema complesso - lo sappiamo - e per fronteggiarlo bisogna utilizzare elementi completi e complessi per rispondere a questo sistema.

A fronte della situazione del nostro Paese - e mi accingo a concludere, Presidente - mi preme evidenziare come questa data si palesa in un momento molto particolare; mi riferisco oggi alle donne e agli uomini iraniani che pacificamente si stanno ribellando allo Stato, alla violenza della repressione dello Stato teocratico, dell'jihad, alla cultura dell'oppressione. La reazione all'intolleranza da parte del Paese iraniano e, soprattutto, delle donne si è vista con l'uccisione della giovane ragazza, Masha Amini, arrestata e posta sotto custodia dalla Polizia perché portava il velo in maniera inappropriata. Un evento tragico, che ha causato lo scoppio delle manifestazioni in diverse città, a partire dal funerale della ragazza, nella sua città natale. Le donne sono scese in piazza protestando, bruciando le loro sciarpe e tagliando i loro capelli; un'azione che ha generato la solidarietà di milioni di persone, a prescindere da età, sesso, etnia o religione. La protesta è arrivata ai mondiali di calcio del Qatar, dove i calciatori dell'Iran non hanno cantato l'inno della nazionale prima di scendere in campo contro gli avversari inglesi. Oggi l'Iran, lo scorso anno le donne di Kabul; donne alle quali viene negato ogni elementare diritto e alle quali oggi noi tutti dovremmo stringerci e portare, in ogni modo, la nostra solidarietà e il nostro sostegno.

È ora di dire basta, una donna dovrebbe essere solo due cose: chi e cosa vuole (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Alessio, che illustrerà anche la mozione Richetti ed altri n. 1-00015, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO D'ALESSIO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Questo è uno dei temi in cui non ci sono - perché non devono esserci - barriere, non ci sono steccati ideologici, perché non devono essercene. C'è una condivisione totale di obiettivi - ci mancherebbe altro -, il problema è più che altro quello di trasformare le linee di principio e la unanime sensibilità in strumenti idonei ed efficaci.

Innanzitutto, l'approccio metodologico è quello di essere consapevoli che la piena parità non l'abbiamo affatto raggiunta, per colpa nostra, di noi uomini, che abbiamo avuto un approccio troppo morbido nel corso degli anni. Quella della parità è una precondizione per poter sradicare alla radice la violenza sulle donne.

Sono onorato, intanto, di essere in un gruppo parlamentare dove ben tre colleghe hanno lavorato molto bene ricoprendo il ruolo di Ministro per le Pari opportunità; mi riferisco all'onorevole Mara Carfagna, all'onorevole Maria Elena Boschi e all'onorevole Elena Bonetti. Voglio anche sottolineare, con grande convinzione, che il Governo Draghi ha lavorato molto bene in questo senso, perché ha operato sia nella direzione di un'importante implementazione normativa, sia in ordine a un approccio strategico, anche con riferimento all'attribuzione di risorse sul tema. In questo senso, si è segnalata una virtuosa controtendenza rispetto ad un'attività emergenziale, poco organica, che aveva caratterizzato i precedenti trascorsi. Su questo c'è stato, quindi, un cambio di marcia.

Ci auguriamo che, sotto questo profilo, il nuovo Governo dia seguito al lavoro svolto con la piena applicazione della Convenzione di Istanbul.

Si è lavorato molto bene, dicevo, con un Piano strategico nazionale che ha reso strutturale un sistema con una cabina di regia interistituzionale, con un osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne, e ha reso strutturale, in particolare, lo stanziamento per i centri antiviolenza e le case rifugio. Sto dicendo una cosa banale, ma è una cosa importante: la strutturazione di queste misure ha evitato la necessità di rinnovo, di volta in volta, sventando, quindi, ritardi e precarietà. I miglioramenti sono stati frutto di un lavoro condiviso, che ha coinvolto la cabina di regia nazionale, con l'amministrazione centrale, le regioni, le amministrazioni locali, ma anche le parti sociali e le realtà associative impegnate nel settore. Anzi, mi fa piacere ricordare che abbiamo un tessuto associativo sano e qualificato, che è radicatissimo su tutto il territorio nazionale. Questo è molto importante per il tema.

È importante, dunque, proseguire il percorso, così come segnala anche la nostra mozione, nella consapevolezza di quello che si è fatto e di quello che si dovrà fare. Altre risorse vanno impiegate per elevare la professionalità degli operatori, con la definizione di significativi standard regolamentati per l'accreditamento. Infatti, senza esperienza, senza profilo qualificato, non si può operare nel settore, perché è un settore delicatissimo. Se siamo ancora a 89 omicidi nei primi 9 mesi, femminicidi, di cui 49 effettuati dal proprio partner o dall'ex partner, vuol dire che veramente c'è tantissimo da lavorare ed è necessario procedere con organicità e con sistematicità sotto il profilo della protezione, dell'assistenza, del sostegno, della promozione e della prevenzione, così come prevede, ripeto, la nostra mozione.

Naturalmente, la violenza fisica è solo una delle forme di violenza, quella che viene percepita come più brutale, perché lo è, ma c'è quella più difficile da combattere, che è quella psicologica, perché è latente, perché, a volte, non appare all'esterno, è invisibile. Ce n'è poi un'altra, grave, ugualmente grave, diffusissima e terribilmente latente, che è quella economica. Noi possiamo invitare tutte le donne che vogliamo a denunciare continuamente, ma se non si hanno forme di autonomia economica o prospettive post denuncia, è chiaro che una donna può avere remore o la paura di denunciare. E in questo senso la sensibilità e l'attenzione dello Stato devono fornire la destinazione di risorse idonee a rendere strutturale il reddito di libertà - anche su questo, la nostra mozione fa richiami espliciti e puntuali -, una misura che può realizzare veramente la funzione di evitare meccanismi di sostanziale ricatto delle donne.

Ovviamente - e vado verso la conclusione -, sullo sfondo c'è la grande battaglia culturale, soprattutto con riferimento all'educazione e alla sensibilizzazione delle giovani generazioni. Per educarle alla non violenza, per coltivare il valore della non violenza, occorre lavorare fin dall'infanzia per creare relazioni positive, educazione alla parità, al rispetto, alla sensibilità. Tutta la società in rete è chiamata ad interagire in maniera armonica e organica per costruire, in questo senso, un futuro rosa più roseo, e, quindi, sradicare con nettezza un problema che ha matrici sociali, culturali, economiche, i cui effetti sono di una gravità enorme e non sono assolutamente tollerabili in una società civile (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ghirra, che illustrerà anche la mozione Zanella ed altri n. 1-00017, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

FRANCESCA GHIRRA (AVS). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, in questi giorni che precedono la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne non si contano le iniziative legate a questo tragico fenomeno. Purtroppo, però, la violenza sulle donne esiste anche quando i riflettori si spengono e se ne parla meno. Le cronache sono costellate quotidianamente da episodi di violenza di uomini nei confronti di donne. Come rilevato dall'Organizzazione mondiale per la sanità già nel 2013, la violenza contro le donne è una questione strutturale globale, che non può e non deve essere considerata un fenomeno emergenziale. I dati ci dicono, infatti, che il 35,6 per cento delle donne subisce nel corso della propria vita a una qualche forma di violenza maschile. Come rilevato dall'ISTAT nel 2014, il 31,5 per cento delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni ha subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale.

Un diverso rapporto ISTAT del 2018, relativo alle molestie sul luogo di lavoro, ha anche messo in luce come, nel corso della loro vita, 1 milione e 100 mila donne, pari al 7,5 per cento delle lavoratrici, abbia subito ricatti sessuali per ottenere un lavoro, per mantenerlo o per ottenere progressioni nella carriera. Dal dossier annuale del Viminale emerge che tra il 1° agosto 2021 e il 31 luglio 2022 sono state registrate 15.817 denunce per stalking, oltre 3.100 ammonimenti del questore e 361 allontanamenti per lo stesso reato: numeri che mostrano quanto sia ancora radicata nel nostro Paese la piaga della violenza di genere. Ogni 3 giorni viene compiuto un femminicidio. Tra il 1° agosto 2021 e il 31 luglio 2022, nel nostro Paese sono state uccise 125 donne, un dato in aumento anche rispetto alla precedente rilevazione. Mentre nel nostro Paese gli omicidi diminuiscono, i femminicidi sono in costante e preoccupante aumento. Le rilevazioni evidenziano, peraltro, come gran parte degli episodi di violenza rimangano sommersi. Secondo l'ISTAT è elevata la quota di donne che non parlano con nessuno della violenza subita. I tassi di denuncia riguardano il 12,2 per cento delle violenze commesse da partner e il 6 per cento di quelle da non partner. Dal dossier annuale del Viminale emerge un altro dato importante: 108 vittime su 125 sono state uccise in ambito familiare o affettivo; tra queste, son ben 68 le donne assassinate da un uomo con cui avevano o avevano avuto in passato una relazione.

La Convenzione di Istanbul, ratificata dall'Italia nel giugno 2013, è stata il primo strumento internazionale e giuridicamente vincolante, volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza, ma deve essere pienamente attuata. In ambito nazionale sono numerosi gli interventi normativi che, di recente e soprattutto nel corso delle ultime legislature, hanno tentato un approccio risolutivo multidisciplinare. Un corposo lavoro parlamentare, inoltre, è stato portato avanti dalla Commissione d'inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere, istituita al Senato nel corso della XVII legislatura e che anche noi proponiamo di rendere bicamerale in questa legislatura, la quale ha terminato i propri lavori il 6 settembre con l'approvazione della relazione conclusiva. Fra i dati di particolare interesse, vi è l'ultima indagine condotta sulla vittimizzazione secondaria, che ha messo in luce le falle dei tribunali civili e dei tribunali per i minorenni sulla violenza domestica, anche e soprattutto rispetto all'affidamento dei figli.

Il perdurare del fenomeno, nonostante i tentativi di intervento normativo in materia su più fronti, indica la necessità e l'urgenza di approntare misure di tutela che garantiscano il rispetto dei diritti delle donne vittime di violenza e dei minori coinvolti. Occorre, quindi, proseguire e intensificare le attività volte a ottenere un reale cambiamento culturale e il definitivo superamento del sistema culturale patriarcale. Altrettanto fondamentale è un'adeguata formazione professionale di tutti gli operatori coinvolti e la predisposizione di un quadro sistematico di interventi, che metta al centro donne e uomini e che punti alla sensibilizzazione delle giovani e giovanissime generazioni. Occorre, insomma, rafforzare gli strumenti esistenti e idearne di nuovi da mettere a disposizione delle donne che decidono di denunciare o, comunque, di allontanarsi dal maltrattante, o di coloro le quali si trovino, comunque, ad essere vittime di comportamenti violenti ad opera maschile, per tutelare la loro incolumità nell'ambito del contesto di vita che hanno scelto; e occorre prevederne altri, per sostenerle nel percorso verso l'autodeterminazione, anche economica. Risulta non più procrastinabile la risoluzione delle lacune normative e delle criticità esistenti nel sistema giudiziario e processuale civile e penale, che rallenta o talvolta addirittura ostacola la tutela delle donne vittime di violenza maschile e la loro autodeterminazione.

Con questa mozione, noi di Alleanza Verdi e Sinistra chiediamo al Governo sostegno alla rete nazionale dei centri antiviolenza e delle case rifugio, con lo stanziamento di adeguate risorse economiche, anche per garantire indipendenza, personale adeguatamente formato, assicurando l'aggiornamento costante dalla mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità. Chiediamo di incrementare le risorse destinate al Fondo contro la violenza e le discriminazioni di genere, al Fondo per le pari opportunità, al Fondo per le vittime di reati intenzionali violenti, al Fondo “anti-tratta” e, in generale, a tutte le politiche per la promozione della parità di genere e per la prevenzione e il contrasto di ogni forma di violenza contro le donne. Sul piano della formazione è fondamentale potenziare il raccordo fra scuola, servizi territoriali e consultori familiari e per adolescenti, per intervenire più efficacemente sulle politiche educative, sulle uguaglianze e sul rispetto delle differenze. Per quanto riguarda la vittimizzazione secondaria, occorre ricordare che la donna che, con fatica, esce dalla violenza e avvia un percorso di libertà ha davanti a sé un percorso a ostacoli. I soggetti istituzionali che dovrebbero creare una rete di sostegno e protezione, spesso si rivelano antagonisti e respingenti, per questo le donne non denunciano.

Dobbiamo partire dalle esperienze dirette delle operatrici dei centri antiviolenza, che sono testimoni privilegiate del racconto che le donne fanno degli ostacoli che incontrano sui percorsi di uscita dalla violenza e intervenire.

Mi avvio a concludere, Presidente: dobbiamo impegnarci a modificare la legge n. 54 del 2006 sull'affidamento condiviso, in modo tale da garantire che la violenza domestica non venga equiparata a conflittualità e la condivisione dell'affido venga modulata contemperando la specificità delle cause della separazione. La legge sull'affidamento condiviso deve essere modificata per evitare che i minori, vittime collaterali, vengano costretti a frequentare il padre violento.

Dobbiamo ribaltare l'azione di contrasto, per fare in modo che sia il violento ad essere allontanato. La donna deve poter scegliere liberamente di andare via o restare nel contesto in cui è vissuta e viverci al sicuro. Solo con interventi di tipo multidimensionale potremo riuscire ad arginare questo drammatico fenomeno. Se la volontà sarà condivisa, però, la strada sarà meno ripida (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ferrari, che illustrerà anche la mozione Serracchiani ed altri n. 1-00018, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

SARA FERRARI (PD-IDP). Egregio Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, oggi siamo in quest'Aula ad assumerci una responsabilità importante. Dobbiamo dimostrare alle mamme, ai papà, alle sorelle, ai fratelli, ai figli e alle figlie di 82 donne uccise quest'anno, e di altrettante lo scorso anno e i precedenti, che noi consideriamo questa mattanza una priorità da debellare, con piena responsabilità pubblica. Dobbiamo trovarci qui tra un anno, con risultati concreti, che non saranno definitivi per un fenomeno così esteso e radicato, ma che devono evidenziare con chiarezza che siamo stati concreti; donne e uomini di questo Parlamento che sentono il dovere di superare le liturgie retoriche di una stanca narrazione di numeri e che ci mettono la faccia, impegnandosi concretamente nei confronti di quei familiari e delle migliaia di donne che, dietro le mura delle nostre case, subiscono violenza psicologica, economica, fisica e sessuale tutti i giorni e che, mentre noi stiamo qui a discutere, stanno subendo violenze e prevaricazioni, e statisticamente, purtroppo, almeno una di loro sta per essere uccisa.

Ho l'onere e l'onore di illustrare la mozione proposta dal Partito Democratico, solo, in realtà, nelle sue parti che superano il minimo comun denominatore di tutte quelle depositate, perché è molto corposa, avendo assunto la forma di un compendio di tutto quanto negli ultimi anni è stato fatto di contrasto alla violenza sulle donne da quando si è squarciato il velo su questo tabù. Parliamo di iniziative legislative su cui si è registrata, in questo Parlamento, l'approvazione di proposte di legge provenienti spesso dalla nostra forza politica, ma che hanno incontrato il favore di tutta l'Aula. Il problema è che le buone leggi non bastano se le misure messe in campo non sono sufficientemente sostenute ed equamente diffuse nel Paese, se non soddisfano il bisogno reale o se non centrano perfettamente l'obiettivo.

L'efficacia e l'appropriatezza degli strumenti e degli interventi messi in campo di prevenzione, presa in carico e accompagnamento devono diventare una nostra ossessione, perché, se dopo anni in cui la legislazione, gli studi, l'impegno degli enti locali, delle istituzioni territoriali, delle associazioni competenti hanno fatto grandi passi avanti, la cronaca quotidiana è ancora, però, così drammatica, allora qualcosa continua a non funzionare. E se l'apice del fenomeno che il femminicidio ci sbatte in faccia è una donna uccisa ogni tre giorni, abbiamo però, se l'Istat non si sbaglia, un sommerso di violenza endemica che è dieci volte maggiore di quello che emerge.

Il documento del Partito Democratico di richieste al Governo insiste dunque per migliorare alcune azioni e potenziarne altre. Viviamo in un Paese in cui le donne che lavorano sono meno del 50 per cento e quando lavorano guadagnano la metà dei propri compagni, fratelli, padri, anche se magari hanno studiato di più; e se decidono di avere un figlio, quel lavoro lo perdono o ottengono un part time che renderà più povere loro e le loro famiglie, ne comprometterà la carriera e regalerà loro una pensione da povere.

In un Paese in cui queste palesi discriminazioni sono all'ordine del giorno o sono accettate dovremmo, dunque, stupirci della violenza sulle donne? Ogni volta che, mestamente, con la sconfitta nel cuore, partecipiamo alle fiaccolate per Giulia, Carla, Eleonora, uccise da chi avevano amato solo perché avevano scelto di terminare una storia e di essere libere, ci diciamo che c'è un problema culturale. È esattamente così. E allora il Partito Democratico chiede che il nostro sforzo maggiore, quello che porta con sé l'investimento più grande e di più lungo periodo, ma sicuramente il più concreto ed efficace, sia quello sull'educazione scolastica, sensibilizzando e finanziando progetti specifici contro gli stereotipi di genere e di educazione a relazioni corrette e rispettose, sull'uso consapevole del linguaggio dei social network, estendendo, però, tali progetti alla comunità educante in senso largo, quindi anche alle associazioni sportive, culturali e religiose, dove bambini, bambine, ragazzi e ragazze possano imparare il rispetto e il riconoscimento del valore delle reciproche differenze.

Chiediamo, inoltre, che alle donne sia garantita la possibilità di scegliere davvero di uscire in sicurezza dalla violenza non solo attraverso strumenti di accoglienza, ma di presa in carico complessiva e integrata insieme ai loro figli, sostenendo protocolli di rete tra istituzioni e associazionismo e valorizzando le best practice introdotte anche a livello regionale. Dobbiamo assicurare loro la possibilità di costruirsi una nuova vita, e quindi assicurargli in qualsiasi luogo del Paese vivano aiuti speciali per l'inserimento nel mondo del lavoro. Chiediamo pertanto l'estensione del congedo indennizzato dai tre attuali ad almeno sei mesi e la strutturalità del reddito di libertà. Considerate le difficoltà odierne del mercato del lavoro, chiediamo che sia sostenuta l'autonomia abitativa di queste vittime e dei loro figli. Chiediamo che si potenzi ogni sforzo per prevenire e perseguire ogni forma di violenza e molestia sul luogo di lavoro. Chiediamo di verificare lo stato di applicazione delle linee guida nazionali per le aziende sanitarie ospedaliere in tema di soccorso, vedi “Percorso rosa”.

Chiediamo che sia monitorata e garantita l'applicazione della clausola del 30 per cento di occupazione femminile nei progetti del PNRR. Chiediamo, inoltre, un'attività di monitoraggio della diffusione delle armi per uso personale, a cui corrisponda una tempestiva ed efficace comunicazione ai familiari conviventi. La battaglia contro la violenza può portarci, però, a vincere la guerra a questa piaga sociale solo se lavoreremo sulla sua ancora diffusa accettabilità e accettazione. C'è bisogno che questa diventi una battaglia di tutti, davvero, non solo delle donne. Chiediamo allora di predisporre, attraverso la comunicazione istituzionale, una vasta campagna di sensibilizzazione rivolta agli uomini per la crescita della consapevolezza maschile della violenza sulle donne, perché il problema della violenza maschile contro le donne diventa un problema delle donne, ma nasce come problema degli uomini, incapaci di vedersi e riconoscersi maltrattanti e di accettare che le relazioni affettive possano anche finire.

Se tutti non si fanno consapevoli di questo e non agiscono con un loro contributo, ciascuno per come può, in termini educativi, comportamentali, politici, per costruire una cultura della parità e dell'uguaglianza, continueremo ad essere un Paese di mancata democrazia e giustizia, le nostre figlie e nipoti erediteranno un destino immutato e continueremo ad avere una donna uccisa ogni tre giorni da un ex compagno o un ex marito incapace di accettare la fine della loro storia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e di deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cavo. Ne ha facoltà.

ILARIA CAVO (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, è una responsabilità chiaramente intervenire in quest'Aula oggi da parlamentare e da donna per commemorare la Giornata contro la violenza sulle donne e per dibattere su quanto è stato fatto, ma soprattutto su quanto ancora è da fare. Oggi ricordiamo una violenza atroce, quella avvenuta su tre donne nel 1960, le sorelle Mirabal, che hanno pagato con la vita il coraggio di ribellarsi ai soprusi sessuali e la loro libertà di portare avanti il proprio impegno politico. Sono passati 62 anni: molto è cambiato, in questi anni, per le donne, ma non possiamo fermarci. Dobbiamo ammettere che la violenza sulle donne è un tema attuale, un problema strutturale della società. Ce lo impongono i dati, quelli già illustrati; lo ha fatto l'onorevole Marrocco, in maniera molto dettagliata, nell'illustrare una mozione che, come gruppo Noi Moderati, sosteniamo e abbiamo contribuito a elaborare. Solo nel primo trimestre del 2022 sono state quasi 8 mila le chiamate al numero di emergenza 1522. Quasi il 70 per cento delle segnalazioni riguarda vittime di più di una tipologia di violenza, da quella fisica a quella psicologica, e più del 60 per cento ha dichiarato di essere vittima di violenza da anni.

Questi non sono numeri, sono figlie, madri, sorelle, spesso con un'istruzione più alta della media della popolazione, eppure rimaste sole. “Mai più sole” è stato il titolo di un bellissimo incontro, un incontro molto formale, una cerimonia a cui ieri siamo stati invitati, organizzata dalla Presidenza della Camera. Ho avuto modo e l'onore di intervenire e di portare alcuni dei concetti che oggi, anche in quest'Aula, vado a ribadire, portando ovviamente la posizione anche del mio gruppo, nell'andare a toccare alcuni punti della mozione che riguarda questa tematica, perché si parte dai numeri; lo abbiamo fatto anche ieri, lo stiamo rifacendo in quest'Aula, e non si può non passare dalla cronaca. Di non fermarci ce lo impongono i dati, ce lo impongono i fatti. Ce lo impone, ad esempio, interrogandoci, quel corpo di Saman, che è stato trovato vicino a un casolare a Novellara, Reggio Emilia. Pachistana, è stata uccisa per la libertà di aver reso pubblico un bacio, di volere e di avere un fidanzato, libera nel nostro Paese libero.

Quanti casi ci sono, molto diversi tra loro per origine e per la cultura in cui sono maturati, ma casi che ci riguardano sempre: riguardano tutte noi e tutti noi. Martina, Lidia, Sara, Antonella. Quanti nomi e quante storie di un rischio che non si è riuscito a capire o che il sistema non è riuscito a intercettare ed evitare. Quanti genitori, anche nella mia precedente professione di giornalista, in cui mi sono ritrovata a raccontare anche i femminicidi, ho sentito ripetere: “La morte di nostra figlia si poteva evitare”. Troppe volte! La genovese Clara Ceccarelli - lo ricordava ieri una collega - si era già addirittura pagata il funerale: è stata uccisa. Qualcuno dei genitori, come Bruno, il papà di Martina Rossi, dal profondo dolore ha fatto crescere la voglia di solidarietà e ha dato vita a un'associazione per poter aiutare e sostenere le altre famiglie. È giusto precisarlo, perché anche la forza dell'associazionismo è importante per sconfiggere la violenza. Poter vedere da vicino i contesti in cui è nata la violenza e in cui si è espressa significa aver compreso quanto sia necessario agire in maniera decisa sul contrasto, certo, dei casi estremi, ma soprattutto sulla prevenzione.

Le fondamenta di questa giornata, del motivo per cui siamo qui a dibattere su questa tematica, stanno nell'articolo 1 della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne del 1993, che condanna “ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato (…) un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, (…) che avvenga nella vita pubblica o privata”. Sono parole chiare che ci fanno capire come la violenza stia nei casi estremi, quelli che fanno più notizia, ma si nasconda, anche e soprattutto, nella normalità, nella quotidianità di una società che spesso è ancora legata agli stereotipi di genere.

Molto è stato fatto per gestire i casi conclamati, il dopo, l'eccezionalità: la rete dei centri antiviolenza, il codice rosso, già citato chiaramente, la gestione e la tutela delle vittime durante il processo, gli strumenti di allontanamento dell'ex partner violento anche attraverso l'utilizzo del braccialetto elettronico. Sono strumenti da mantenere e da incrementare, come si chiede nella mozione che sosteniamo. Ma lo sforzo ancora da fare, per affrontare un problema che si rivela strutturale, è agire sulla prevenzione e intervenire prima che accada e non dopo. È su questo aspetto che vorrei soffermarmi. È in questo senso che è necessario promuovere iniziative, fin dalle scuole primarie, per educare al rispetto e alla parità di genere, superando gli stereotipi di genere che sono il seme in cui si insidia la discriminazione e la violenza.

Questa problematica, insita nel nostro modello sociale, può avere un'inversione di tendenza soltanto se ci affidiamo alle nuove generazioni, se lì estirpiamo le radici dell'aggressività, la presunzione di superiorità maschile che si trasforma, in alcuni casi, in possesso a tutti i costi. Se in una classe delle elementari si chiede come ci si immagina un pilota, un insegnante o un ingegnere e si mostra subito ai bambini che il pilota e l'ingegnere possono essere una donna e l'insegnante un uomo si fa una doppia operazione di parità: si mostra che non ci sono categorie predefinite né classificazioni di genere nei ruoli che si possono ambire a ricoprire nella vita professionale. In un certo senso, ampliamo anche le aspettative dei maschi, ma soprattutto aumentiamo la consapevolezza delle bimbe delle proprie potenzialità e della propria libera scelta. Serve tutto questo, eccome se serve! Serve dire alle ragazzine, più grandi, che il maltrattante si può annidare in parole dolci, che cerca di aggrapparsi alle loro fragilità, che può portarle all'isolamento, un concetto, questo, che è emerso molto chiaramente nell'incontro che abbiamo avuto ieri alla presenza degli psicologi.

È necessario coinvolgere i giovani in quell'età in cui stanno lavorando alla formazione del proprio io adulto. Ragazzi e ragazze devono essere raggiunti da campagne di informazione e di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, utilizzando il loro linguaggio e i loro mezzi di comunicazione. In regione Liguria, abbiamo ideato l'hashtag Nessuna Scusa - è solo un esempio, chiaramente - che ha funzionato molto bene. Nel 2018 abbiamo chiesto ai ragazzi di cambiare per il 25 novembre la foto del proprio profilo social e di mettere l'hashtag Nessuna Scusa. Abbiamo avuto oltre 150 mila adesioni, una percentuale molto alta rispetto alla popolazione generale, un grande segnale dai giovani.

Agire sulle scuole, sui giovani e sulla formazione è fondamentale, ma per arrivare alle coscienze di tutti dobbiamo agire anche sulla cultura. L'arte è un mezzo di comunicazione e di coinvolgimento potentissimo. Il teatro può fare molto, a seconda di cosa e come viene rappresentato. L'ultimo atto della Carmen, per esempio, difficilmente viene messo in scena integralmente e spiegato per quello che è.

Mi ci ha fatto riflettere Davide Livermore, regista di fama internazionale e direttore del Teatro Nazionale di Genova. Carmen, nell'ultimo atto, sceglie di morire libera anziché vivere senza poter scegliere chi amare. Carmen libera ha vissuto e libera morirà: “Fammi passare subito, oppure uccidimi”. Questo atto, riproposto e attualizzato agli studenti, ha avuto un forte impatto. La cultura può fare scuola contro la violenza di genere.

Affrontare questo tema e questa giornata, soprattutto dal punto di vista della prevenzione, significa parlare anche della prevenzione nei confronti degli uomini, dei maltrattanti. Esistono i centri, recentemente sono state fatte regole di accreditamento, da parte della Conferenza Stato-regioni, che devono immediatamente diventare operative ed è necessario andare a un monitoraggio del funzionamento. È necessario attivare la rete e arrivare a meccanismi di finanziamento che siano strutturali, sia per i centri dei maltrattanti, sia per la rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio. Su questo, il Presidente del Consiglio, ieri in un videomessaggio, è stata molto chiara sull'intenzione di sostegno.

L'ultimo punto - e chiudo - è relativo al sostegno alle donne per la loro indipendenza economica. Infatti, se non andiamo a dare indipendenza economica, non riusciamo a garantire chiaramente il rientro nella società. Quindi, è necessario un aumento del reddito di libertà e un incentivo, perché possano avere percorsi di assunzione e il reingresso nella società. Ma è necessario attivare politiche di sostegno di pari opportunità a livello generale, con sgravi contributivi e fiscali per quelle aziende che offrono servizi di welfare come asili nido, attività doposcuola, assistenza alle persone non autosufficienti. Il costo economico della violenza sulle donne è stimato in 289 miliardi dal report della Commissione dell'Unione europea del marzo 2022. Una seria prevenzione costa meno e riduce, ovviamente, i costi del sistema.

Da questo punto di vista, sosterremo chiaramente la mozione che si impegna in tutto questo e focalizzeremo il nostro impegno su tutto quello che riguarda soprattutto l'aspetto preventivo (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC, Italia al Centro)-MAIE).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Appendino. Ne ha facoltà.

CHIARA APPENDINO (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe, oggi, essendo il mio primo intervento in Aula, dovrei essere emozionata e felice nel prendere la parola, emozione e felicità che, tuttavia, non posso esprimere nel ricordare anche quest'anno, come hanno fatto anche prima di me, la morte di donne uccise dalla mano di un uomo, da quella mano che, in alcuni casi, un tempo, le aveva accarezzate. Si tratta di vite di donne, madri, figlie e sorelle, vite che spesso hanno donato altre vite e che hanno amato altre vite, talvolta dimostratesi, ahimè, quelle sbagliate.

La violenza di genere è solo il tragico epilogo di un percorso molto più lungo e non meno doloroso che coinvolge l'intera nostra società. Viviamo in una società in preda a un'ignoranza affettiva, dove i tentacoli e le logiche del possesso materiale si sono estesi ai rapporti personali. In quest'Aula, credo di poter dire che siamo in maggioranza figli di generazioni in cui imperava la narrazione tossica della gelosia come forma di attenzione. Quante volte ci è capitato di sentire dire: “Se è geloso vuol dire che ci tiene”. Sarebbe ora che iniziassimo a dire chiaramente che quando la gelosia condiziona le scelte individuali non ha alcun legame con i sentimenti: è tossica e basta! Smettiamo davvero di considerare normale ciò che normale non è: dal possesso fisico all'ingerenza nella libertà individuale, passando per i condizionamenti culturali che normalizzano stipendi più bassi, domande sulle proprie scelte familiari durante i colloqui di lavoro e condizionamento dei ruoli.

Permettetemi di dire che il problema di fondo di tutto questo è che ancora troppo spesso la violenza viene accettata come normalità, almeno fino a quando non è più sostenibile o sfocia in violenza fisica. Certo, mi rendo conto che è una frase forte, però pensiamoci: oggettivamente è così. La violenza non è solo fisica: violenza è quando qualcuno decide che la nostra gonna è troppo corta; violenza è quando pensiamo: “Me lo sono meritato”; violenza è condizionare la vita di giovani atlete con abusi psicologici diretti e indiretti, instillando la subdola ansia della perfezione corporea e favorendo la nascita di disturbi del comportamento alimentare.

Violenza è la domanda durante un colloquio di lavoro: “Ha figli o pensa di averne?”. Violenza è attribuirci un ruolo che non abbiamo scelto noi. Violenza è la paura di farlo arrabbiare. Violenza è dover far finta di niente, perché gli altri non se ne accorgano. Violenza è vivere ogni giorno sperando che magari domani andrà meglio. Violenza è convincersi che siamo fortunati, perché non potremmo avere di meglio. Violenza è costringere una donna, magari da sola, a farsi carico del welfare familiare senza sostegni da parte dello Stato. E violenza, cari colleghi e colleghe di maggioranza, è anche costringere una donna, appunto, magari sola, e togliere a queste donne occupabili il sostegno che oggi lo Stato dà loro e che permette loro di essere indipendenti, perché, sì, anche l'indipendenza economica è un elemento che permette di non generare violenza. Violenza è creare barriere insuperabili per costringere una donna a emigrare in un'altra regione per abortire o colpevolizzarla, magari proponendo l'obbligo per legge di sepoltura dei feti. Ma violenza è anche insegnare alle nostre figlie a comportarsi da signorine e far credere loro che la normalità risieda in questo modello comportamentale.

Signor Presidente, colleghi e colleghe, la responsabilità di tutto questo è nostra, la responsabilità è nelle pieghe di quest'Aula e non è più accettabile una distanza tra parole e azioni. Io, personalmente, per convinzione e per esperienza, non ho fiducia nei processi graduali quando si tratta di trasformazioni culturali, men che meno quando queste condizionano la vita delle persone e di alcune in particolare, appunto le donne. Io penso che serva una rivoluzione copernicana del modo di intendere la donna nella nostra società: servono leggi affinché queste intenzioni vengano realizzate, con una direzione chiara, precisa, inequivocabile.

Allora, iniziamo dal principio e il principio è la scuola. La scuola, istituzione in cui - io e penso tutti noi - crediamo come principale pilastro della società. È quel luogo dove le bambine e i bambini acquisiscono e modellano la loro personale visione del mondo e lo fanno evidentemente sulla base di categorie date. Impegniamoci concretamente, diamo loro tutti gli strumenti di un Paese moderno, ad esempio introducendo seriamente i temi dell'educazione affettiva e sessuale. Insegniamo loro a riconoscere e a rifiutare la violenza sul nascere, in tutte le sue mille e anguste sfaccettature, anche in risposta a un torto o a un insulto; insegniamo alle bambine l'autodeterminazione, che sono bravissime a salvarsi da sole, perché possono avere tutti gli strumenti per farlo e che il principe azzurro, se davvero esiste, può essere, al più, un ottimo alleato. Spieghiamo loro che il mondo è pieno di lavori da donna, ovvero tutti quelli che vorrebbero fare da grandi, che possono scegliere di essere ciò che vogliono, medici, modelle, astronaute, ballerine, insegnanti, attrici, ma soprattutto che, a sceglierlo, saranno loro e soltanto loro. Raccontiamo loro fin da piccole che il loro corpo è affar loro e di nessun altro e, soprattutto, aiutiamo le nostre bambine e i nostri bambini a farsi portatori di questi valori, tra di loro e con le loro famiglie, perché a volte - lo dico anche a me stessa - ci concentriamo troppo su quello che noi adulti possiamo fare e insegnare ai più piccoli e, invece, sottovalutiamo quanto loro, i nostri bimbi e le nostre bimbe, possano essere uno splendido esempio anche per noi. Io credo che questa sia la principale speranza per leggere, tra non molti anni, storie diverse sulle pagine di cronaca.

E nel frattempo? Nel frattempo, non lasciamo sole le donne, non lasciateci sole. Abbiamo bisogno di centri antiviolenza su tutto il territorio, con una rete capillare e strutturata che sia pronta a tutelare e accogliere le donne vittime di violenza nel percorso di recupero della libertà e dell'integrità fisica, morale ed economica. Abbiamo bisogno che una donna che denuncia, che trova il coraggio e la forza di denunciare, non venga lasciata sola, proprio in quel terrore di aver denunciato. Non c'è incubo peggiore, per una donna che ha subito violenza, denunciare e poi trovarsi da sola, sapendo che il suo aguzzino la sta cercando. Sradichiamo sul nascere il gap salariale di genere, una vergogna, che umilia ogni anno milioni di donne. Sulla stessa falsariga, facciamo in modo che quel dono meraviglioso che si chiama maternità possa essere vissuto da tutte, indistintamente, come l'esperienza che desiderano, al riparo da ansie, paure e sensi di colpa.

Noi donne, invece, siamo chiamate a un'assunzione quotidiana di responsabilità, una responsabilità attiva, fatta di azioni e di prese di parola, di coraggio e di determinazione. Questo è il motivo che determinerà - ne sono certa - una grande partecipazione, per le strade di Roma e in tutte le città, alle manifestazioni che ci saranno contro la violenza di genere, al fianco di donne che si rimboccano le maniche per cambiare, tenendosi per mano, lo stato di cose presenti.

Sono certa - e concludo - che ognuno di noi, in quest'Aula, metterà ogni forza possibile in una lotta alla violenza di genere reale, concreta e compiuta. E ogni azione in questo senso – ne sono certa - ci vedrà in prima linea (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Testa. Ne ha facoltà.

GUERINO TESTA (FDI). Grazie, signor Presidente, un saluto a lei, a tutti i colleghi onorevoli e ai rappresentanti del Governo. La violenza contro le donne non è mai scomparsa e, anzi, si è fatta sempre più sottile e pericolosa. I dati sono agghiaccianti. Uno tra tutti: nella fascia di età 16-50 anni le donne muoiono più per violenza subita da parte di un uomo, che per malattia o incidenti stradali, e nella fascia 16-70 anni una donna su tre dichiara di subire violenza da un uomo e da lungo tempo.

Oggi affrontiamo, in quest'Aula, il tema, una discussione su questa grave lacerazione sociale, che si nutre spesso di silenzio, di omertà, di paura e anche di rassegnazione. È più che evidente come le leggi esistenti, da sole, oggi non bastino a scardinare questo degrado culturale. Il rispetto, il rispetto della donna e dei suoi diritti, deve essere visto come il naturale sviluppo di un'educazione. La lotta alla violenza sulla donna passa, dunque, dalla cultura, dall'educazione dei ragazzi e delle ragazze e va da sé come la scuola assuma un ruolo determinante e come urga lavorare per creare contesti culturali, che inducano al rispetto dell'altro, alla cooperazione e alla responsabilità. Mi soffermo su questo aspetto, perché lo ritengo un punto focale su cui dobbiamo lavorare, tutti insieme. Insegnare il rispetto dell'altro e abbattere gli stereotipi sessisti significa anche valorizzare le differenze tra i sessi. Uomo e donna sono entrambi componenti della società e possono ognuno dare il massimo, a beneficio della collettività. Ecco, nell'insegnare il riconoscimento dei valori e delle peculiarità che ciascun genere esprime, si insegna ai nostri giovani che la sintesi dei due valori assume un valore esponenziale. Ed è proprio la scuola, come dicevo in precedenza, uno dei luoghi privilegiati dal quale possono partire, anzi, devono partire, efficaci progetti formativi per le nuove generazioni, lungo tutte le fasi del proprio percorso educativo. Valuto importante, in tal senso, l'inclusione nei programmi scolastici di materiali didattici su temi cruciali, quali la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, il diritto all'integrità personale, il reciproco rispetto, i ruoli di genere non stereotipati e la parità tra i sessi. Sono temi che devono essere affrontati mediante la partecipazione attiva, valorizzando le esperienze personali degli allievi, i loro punti di vista e le loro emozioni, evitando giudizi di merito. La scuola e la crescita culturale rappresentano la principale risorsa che abbiamo in termini di prevenzione. Soprattutto negli ultimi anni se ne è parlato tanto, ma non ancora si agisce con incisività. C'è così tanto che possiamo fare nelle nostre classi per sviluppare e favorire sentimenti e atteggiamenti sani nei confronti dell'altro e nei confronti delle donne. Attraverso l'insegnamento si possono cambiare comportamenti radicati, per una buona e consapevole crescita dei nostri giovani.

Mi accorgo, caro Presidente, che durante il mio intervento ho pronunciato almeno quattro volte la parola “rispetto”. Se viene onorata, è una parola magica. Se, invece, non lo è, su di essa dobbiamo lavorare, perché diventa la parola chiave del tema che stiamo affrontando. Il rispetto si impara dall'infanzia con la creazione di relazioni positive e paritarie. Dobbiamo partire, dunque, concretamente dalla fonte, per valorizzare il ruolo dell'istruzione e nel favorire il rispetto reciproco. Come tutti sappiamo, il 25 novembre ricorre la Giornata mondiale per l'eliminazione della violenza contro le donne e bene stanno facendo le tante istituzioni e le tante associazioni che già da qualche giorno sono partite nel fare e nell'organizzare in tutta Italia tantissime manifestazioni.

Questa Giornata mondiale è stata istituita nel dicembre del 1999 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite per invitare i Governi, le organizzazioni internazionali e quelle non governative a predisporre attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema, che rappresenta una delle violazioni dei diritti umani più devastanti.

Secondo i dati e l'analisi resi dall'Organizzazione mondiale della sanità, la violenza di genere è un fenomeno di dimensioni globali, un flagello che rappresenta la prima causa di morte delle donne, una malattia sociale, trasversale a tutte le latitudini geografiche. La violenza di genere, secondo i dati Istat raccolti nelle informazioni statistiche per l'Agenda 2030, in Italia, è un fenomeno sommerso e anche strutturale, i cui casi sono in aumento. Io voglio rivolgere un plauso alla mia collega Maria Carolina Varchi, a tutte le altre colleghe e a tutti i gruppi che si stanno impegnando, si stanno confrontando, oggi, ma anche nei giorni scorsi e nei mesi scorsi, e voglio ringraziarli per il grande lavoro che è stato fatto su questa tematica dai vari gruppi, per il grande lavoro che la parte politica che rappresento, ma anche la parte che è di fronte a me, sta portando avanti per affrontare in maniera determinante questa tematica, sotto il profilo della prevenzione e dell'assistenza, che sono due capisaldi fondamentali.

Viene giustamente rilevata, nella mozione, la centralità, che non deve mai mancare, della scuola, come dicevo in precedenza, così come dello sport, luoghi e occasioni che promuovono una sana socialità. Nella mozione si auspica che tali interventi prendano avvio da nuove strategie di prevenzione e di sensibilizzazione, fino ad arrivare ai percorsi di riabilitazione per i maltrattamenti, quale fonte di prevenzione primaria del fenomeno per evitare ovviamente le recidive. La mozione è tesa, inoltre, all'adozione di risorse finanziarie, che non devono mai mancare, per far fronte agli investimenti richiesti, con una particolare attenzione alle iniziative volte ad implementare le risorse destinate al Fondo per le politiche per la prevenzione e il contrasto di ogni forma di violenza contro le donne. Si evidenzia come la violenza di genere continui a essere un ostacolo alla realizzazione dei diritti umani delle donne per il raggiungimento dell'uguaglianza.

La citata mozione, nel rilevare che si sono susseguiti validi e necessari interventi legislativi, dice che bisogna sviluppare altri ambiti. Si suggerisce, ad esempio, di elaborare ed adottare nuove strategie di prevenzione, anche attraverso l'introduzione nelle scuole della figura professionale dello psicologo scolastico e l'insegnamento dell'intelligenza emotiva, per scongiurare che eventuali malesseri nei giovani possano trasformarsi, in età adulta, in forme di violenza contro le donne.

Si suggerisce, inoltre, di potenziare i percorsi di assistenza per le donne e la loro protezione, unitamente ai minori, di facilitare l'inserimento delle vittime nel mondo del lavoro, di prevedere percorsi di sensibilizzazione e anche di specializzazione, ad esempio, per avvocati, magistrati e forze dell'ordine, ed altri strumenti, ben illustrati nella mozione, che appaiano efficaci alla rimozione del fenomeno.

Io, cari colleghi, da parlamentare del territorio abruzzese, tengo ad evidenziare l'ottimo lavoro svolto in questi anni sul territorio regionale, con l'obiettivo di sensibilizzare sempre più l'opinione pubblica, favorendo, al contempo, il dialogo su questa complessa problematica. In particolare, segnalo l'iniziativa elaborata dalla consigliera di parità della provincia di Pescara, l'avvocato Danielle Mastrangelo che, analogamente a quanto evidenziato nella mozione descritta, ha affrontato i temi della prevenzione, protezione e sostegno alle vittime con la previsione di un'accoglienza abitativa a medio e lungo termine, in cui poter sviluppare il potenziamento delle donne a seguito di episodi traumatizzanti e dei minori vittime di violenza assistita, in assenza della quale ogni tipo di intervento a sostegno delle donne e dei minori non esplicherebbe al meglio la propria efficacia.

Cari colleghi, mi avvio alla conclusione; nel concludere voglio prendere in prestito le parole usate da Papa Francesco per rimarcare come le varie forme di maltrattamento che subiscono molte donne siano una vigliaccheria e un degrado per molti uomini e per tutta l'umanità, un male che va estirpato. E voglio affermare, in quest'Aula, a gran voce, la volontà del centrodestra, ma penso di tutta l'Aula, quest'Aula e anche tutte le aule delle varie istituzioni esistenti in Italia, di lanciare un segnale forte e ben chiaro alle donne e alla società tutta: metteremo in atto tutte le misure necessarie per un serio e rigoroso contrasto a questa gravissima forma di violazione dei diritti umani e alla scia di sangue che continua a straziare il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marino. Ne ha facoltà.

MARIA STEFANIA MARINO (PD-IDP). Grazie, Presidente, per la parola; saluto i miei colleghi e colleghe onorevoli. Inizio il mio intervento con tre parole chiave: impotenti, stordite, interdette. È così che certamente si sono sentite e continuano a sentirsi moltissime donne; non serve tentare di nascondersi dietro un dito e bisogna dire le cose come stanno: sono condizioni, quelle dette, vissute da migliaia di donne almeno una volta nella vita, ma non basta, ad alcune va anche peggio, sono state o sono ancora vittime di distruzione fisica, psichica ed economica. Tra loro una parte è sopravvissuta, un'altra non è più con noi. Tra le vittime c'erano donne, cisgender, transessuali, lesbiche, eterosessuali, nere, bianche, asiatiche, ispaniche; alcune di loro, come Saman Abbas, hanno subito a causa di estremismo religioso, altre, come Vanessa Scialfa, mia concittadina, a causa dell'ossessione del partner; altre ancora perché si concedevano o perché non lo facevano. Era stato detto loro che non potevano ribellarsi, che erano la parte debole, che erano ininfluenti; purtroppo, avevano ragione. Erano così, perché non gli era consentito di essere altro.

Voglio ricordare, come già hanno fatto le mie colleghe, che durante l'anno corrente in Italia sono state 82 le vittime di omicidio volontario, molte di queste uccise da mariti, partner, fidanzate, fidanzati o ex tali, figli o genitori; 12.200 sono le donne che hanno denunciato per stalking; quest'ultimo, peraltro, è un dato estremamente viziato, se consideriamo le donne che non sono riuscite a denunciare.

In questo quadro, gli interventi retorici sono stati molti e l'impianto legislativo è stato spesso coerente. La Convenzione di Istanbul, le norme anti stalking, anti revenge porn, sono tutte misure bellissime sulla carta, ma che non sono state accompagnate dai fondi necessari ad applicarle compiutamente in tutte le nostre regioni. Anche gli aumenti di pena si sono rilevati assolutamente inefficaci per l'assenza di adeguati interventi mirati al cambiamento culturale e alla formazione di tutti i cittadini rispetto al valore della vita umana; il tutto aggravato da una visione di insieme assolutamente ristretta, spesso miope, dinanzi a questioni dirimenti come la disparità salariale, la dipendenza economica e i diversi meccanismi che impropriamente vengono correlati ai fattori come l'identità di genere, l'etnia, l'orientamento sessuale, la posizione sociale e il contesto culturale delle vittime.

Si tratta di meccanismi che quasi sempre limitano fortemente la possibilità di denuncia e rendono infruttuosa l'applicazione delle misure di contrasto. Aumentare le pene può andar bene, ma non ha alcun senso se, parallelamente, non si prevedano percorsi che aiutino le donne a trovare i mezzi per allontanarsi da chi le perseguita, rendendosi economicamente e affettivamente indipendenti dagli aguzzini. La stessa permanenza in carcere di quest'ultimi non ha senso se non è accompagnata da un percorso che faccia comprendere al reo il disvalore delle sue condotte; i percorsi rieducativi e il ruolo delle carceri non possono e non devono essere secondari. Da questo punto di vista, alcuni passi sono stati fatti, ma evidentemente non sono bastati.

Mi rivolgo a voi tutti presenti in Aula con un invito a rimetterci in gioco, a rivedere tutto quello che non va, ad aggiustare il tiro se è necessario, a mettere in discussione tutto quello che è stato fatto finora e rivedere quello che va rivisto, potenziare quello che va potenziato.

Se vogliamo migliorare i nostri piani di intervento, dobbiamo ascoltare le vittime. Lì fuori, ognuna di loro ha una storia struggente da raccontare e sono proprio loro che possono dirci dove intervenire e in che modo farlo, sono loro che possono spiegarci quali sono i mezzi di cui avevano bisogno e che non gli sono stati forniti. Vi invito ad aprire le porte di quest'Aula, udire le loro storie, vivere i loro dolori e guardare a questo mondo con i loro occhi, vi invito a visitare insieme i centri antiviolenza. Dobbiamo essere aperti e pronti a difendere le vittime e noi stessi potenzialmente esposti agli stessi rischi, dimenticando ideologie e colori politici.

In ultimo, non posso non rivolgere un particolare invito a tutti i colleghi uomini, a non dimenticare da dove proveniamo, a non dimenticare le nostre madri, le nostre sorelle, le nostre figlie. Il cambiamento culturale parte anche dagli spogliatoi, dalle sale da gioco, dalle stesse vostre comitive: voltarsi dall'altra parte ci farebbe diventare complici. Pertanto, sono certa che tutti i colleghi qui presenti esprimeranno il loro assenso a questa mozione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morrone. Ne ha facoltà.

JACOPO MORRONE (LEGA). Grazie, Presidente. Grazie, Ministro, onorevoli colleghi, il tema è vasto, anzi, è vastissimo e tocca trasversalmente molti settori e aree del vivere quotidiano. I dati e i fatti di cronaca, nonostante un pur minimo miglioramento rispetto al periodo del lockdown, ci testimoniano che le attività e gli sforzi intrapresi, sia dal punto di vista legislativo che istituzionale che culturale, non sono comunque in grado di frenare e di ridurre in modo consistente il fenomeno della violenza di genere e quella dell'uomo sulla donna, che, da sempre, emerge come la più rilevante, anche se sappiamo che esistono, comunque, numerose situazioni opposte. Emerge - come si legge nel dossier della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere - non solo la grave difficoltà che le donne vittime di violenza incontrano nel cercare aiuto, ma anche l'evidente ritardo delle istituzioni a provvedere e a investire sulla costruzione di contesti che favoriscano la ricerca di aiuto e di sostegno da parte di queste donne.

Ogni atto di violenza, fino al più grave, l'omicidio, è una sconfitta di tutti noi, è una sconfitta del sistema Italia, che dovrebbe potere e sapere mettere in atto anticorpi più efficaci di prevenzione e di contrasto. Servono, quindi, interventi più incisivi e mirati, diffusi in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale. Mi soffermerò, in particolare, su due temi: in primo luogo, la necessità di una formazione specifica per i magistrati, per le Forze dell'ordine, per il personale medico, per il personale di pronto soccorso, per gli operatori e per le operatrici dei servizi sociali e del sistema scolastico, per tutti quegli operatori e volontari che vengono in contatto con i casi di violenza nei confronti di donne e di minori eventualmente coinvolti. Formazione specifica, per quanto di competenza, in modo da poter valutare con cognizione di causa l'effettiva pericolosità della situazione denunciata, che, se non adeguatamente riconosciuta, non farebbe che confermare una percezione di impunità in chi commette violenze e nelle donne abusate. Effetti devastanti, anche con la cosiddetta vittimizzazione secondaria, obbligando le donne a rivivere ogni sofferenza subita, prima, con la condotta violenta del persecutore, poi, con il trauma della denuncia, che obbliga la persona offesa a replicare la fase della violenza e raccontare a estranei.

Fare squadra deve essere la parola chiave. Gli operatori di ogni ambito, in particolare quello sanitario e quello sociale, dovrebbero poter contare su un'organizzazione efficiente, tale da prendere in carico la vittima di violenza con modalità uniformi nell'intero territorio nazionale. Si deve sentire come obbligatorio recuperare la situazione quando ancora è possibile, quando ancora non si è raggiunto il punto di non ritorno, che è il femminicidio. Bisogna, quindi ,che gli operatori abbiano ben chiari i punti di riferimento normativi, che la giustizia abbia percorsi chiari e veloci, come è previsto dalla legge introdotta dai precedenti Governi, la n. 69 del 2009, il cosiddetto Codice rosso, unitamente alla collaborazione con le Forze dell'ordine, per velocizzare i tempi di indagine e per raccogliere le prove della violenza in modo adeguato ed inoppugnabile e con gli operatori sanitari. Ma è necessario che siano già tratteggiate, per le donne abusate, anche le vie di uscita dal tunnel della violenza, dando speranza e realtà alternative, presa di coscienza della propria autonomia, come persone e, quando occorre, anche economica. Fare squadra, infatti, significa prevedere un percorso successivo, per consentire alle donne afflitte dalle violenze subite di reinserirsi nella società in piena sicurezza e autonomia, attraverso un processo articolato di formazione che consenta loro di entrare nel mondo del lavoro, di sviluppare le proprie capacità, di rendersi indipendenti in un'ottica di crescita personale. In questo quadro è, tuttavia, condizione essenziale che le donne siano preventivamente messe in grado di riconoscere quei segnali premonitori che denunciano di essere in presenza di un partner potenzialmente violento, in modo da trovare in se stesse la forza di chiamarsi fuori da situazioni di abusi e maltrattamenti. Comprendere i motivi psicologici e culturali per cui molte donne rimangono soggiogate o tollerano comportamenti altrimenti intollerabili può aiutare, con il concorso della rete dei servizi a cui accennavo in precedenza, per uscirne, per svincolarsi dal potere che chi maltratta ha sulla propria vittima. E, quindi, anche a monte si deve intervenire, per prevenire. Se il primo fronte è quello della squadra, abbiamo detto della rete, delle informazioni e dei punti di riferimento normativi, il secondo fronte è quello dell'educazione, della formazione culturale che si ricevono in famiglia e a scuola, fin dai primi anni, in modo da riconoscere atteggiamenti di vera prevaricazione, possesso o, addirittura, violenza fin dai primi segnali e, quindi, avere la possibilità di correggerli, con le opportune modalità.

Come si legge nella sterminata letteratura che riguarda questi temi, consapevolezza e conoscenza sono i primi fattori di prevenzione, a cui si aggiunge un terzo elemento, che è quello di saper resistere alla violenza e contrastarla, impedendo al persecutore di agire indisturbato e impunito. Di qui l'ovvia conseguenza: che sarebbe poco lungimirante e proficuo affrontare il tema della violenza di genere esclusivamente dal punto di vista normativo e giudiziario. C'è, infatti, chi afferma - credo a ragione - che il percorso che sfocia in gravi violenze e nel femminicidio sia già presente nel periodo adolescenziale, nei primi rapporti di coppia fra i giovanissimi, in cui già è possibile, in diversi casi, riconoscere alle stesse dinamiche, con le adolescenti che accettano o ritengono normali atteggiamenti possessivi, aggressivi e prevaricatori del giovane partner e credono nelle cosiddette scuse riparatrici. Da qui possiamo dedurre che una adolescente che non è stata messa in grado di riconoscere questi atteggiamenti, di sentirsi libera o autorizzata a confrontarsi con educatori e adulti, con la conseguente possibilità di sottrarsi psicologicamente, fisicamente e culturalmente da questi eventuali, primi segnali di aggressività e violenza potrebbe essere in futuro una possibile vittima, disposta a giustificare, accettare comportamenti aggressivi e violenti, in particolare, in due condizioni: se non è autosufficiente economicamente e in presenza di figli, in particolare.

Dunque, serve partire presto per contrastare la violenza di genere e bisogna passare inevitabilmente per l'educazione, l'educazione anche all'affettività. La prevenzione - l'ho già affermato - è la strada maestra fin dalle prime relazioni affettive, dove ciò che è giusto e normale che accada nelle relazioni non è ancora chiaro. La scuola, quindi, dovrebbe avere anche un grande compito e una grande responsabilità anche su questo fronte e molto attivo dovrebbe essere lo scambio anche con le famiglie, in un momento storico in cui prevalgono, comunque, disvalori sui valori, ci sono stereotipi e nuovi linguaggi diffusi sui social adottati come modelli che influenzano mentalità e comportamenti, senza il filtro del pensiero critico, della cultura e di un percorso evolutivo di crescita, rendendo i giovani particolarmente vulnerabili a suggestioni e condizionamenti che non favoriscono l'autostima e modalità di relazione rispettose dell'altro.

Non possiamo dimenticarci, a questo proposito, della violenza diffusa dai trapper, icone delle giovani e giovanissime generazioni, anche di origine straniera, di seconda generazione, amplificate dai social, dove si sono ritagliati ampi spazi. C'è chi ha giustamente denunciato il sessismo e la sistematica denigrazione delle donne. Nei testi di diversi trapper ci sono donne ridotte a esseri subumani e oggetti sessuali. Qui musica e cultura musicale non c'entrano o non c'entrano assolutamente nulla: qui c'entra una mentalità intollerante contro regole interpretate come imposizione sociale e culturale non condivisa. Si va, quindi, al di là di ogni regola. Con i social tutto viene amplificato e ci si trova di fronte a una sorta di immunità di fronte a violazioni di regole costitutive della nostra società, del lavoro e della responsabilità, anche nei confronti dell'altro. La domanda è: quale influenza hanno queste espressioni sui giovani, sui giovanissimi e sui loro rapporti con la rappresentazione che hanno, e avranno, della donna? Non si possono prendere queste realtà alla leggera, perché intervengono sull'educazione delle nuove generazioni, sui loro rapporti di rispetto non violenti ed egualitari con l'altro. Se diventa lecito far soffrire delle donne, usarle, gettarle, anche con l'uso della forza, come si ascolta in alcuni brani di noti trapper, ci troviamo di fronte a un vuoto che potrebbe diventare incolmabile. La musica ha, infatti, un enorme impatto: viene ascoltata da migliaia di giovani e giovanissimi e ne modella la cultura. In breve questi messaggi sessisti e violenti si diffondono e potrebbero diventare i nuovi mantra delle ultime generazioni.

Se i messaggi che passano sono questi, le leggi e la scuola forse non possono bastare. Dunque, ricapitolando: migliore e specifica formazione di tutti gli attori, fare rete o fare squadra, importanza dell'educazione fin dai primi anni. Torno così brevemente alla legge n. 69 del 2019, nota come “Codice rosso”, fortemente voluta dalla Lega, che ha ampliato il sistema delle tutele per le donne vittime di violenza di genere e introdotto nuove fattispecie di reato. È stata certamente una legge di svolta, un punto fermo che ha dato risultati eccellenti - come abbiamo appreso anche dal dossier rappresentato ieri dal Ministro Piantedosi -, una legge importante quindi, che tuttavia, a tre anni dalla promulgazione, necessita di interventi correttivi su cui noi siamo pronti qui a discutere (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dori. Ne ha facoltà.

DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. Fisica, verbale, psicologica, economica e sessuale: la violenza contro le donne ha molteplici forme radicate nella storia, ma viene addirittura negata o relegata a una sfera privata, anziché affrontata come un dramma sociale. Occorre un cambiamento culturale, che coinvolga tutta la società, uomini e donne insieme, perché si inneschi un meccanismo virtuoso di consapevolezza su questo dramma.

Il contrasto alla violenza di genere è tra le priorità dell'agenda politica del Paese e i provvedimenti legislativi testimoniano un impegno del legislatore e puntano, da un lato, alla tutela delle donne, dall'altro, a rafforzare le misure sanzionatorie.

Discriminazione, violazione della dignità, volontà di possesso, che porta a concepire l'altro come un oggetto di cui disporre: la fotografia che emerge dai dati sulla violenza di genere è sconfortante. Il Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale del Ministero dell'Interno sui cosiddetti reati spia, cioè quei delitti che sono indicatori di violenza di genere, relativamente al 2021, segnala in Italia oltre 17.000 atti persecutori (reato di stalking), oltre 22.000 maltrattamenti contro familiari e conviventi e circa 5.000 violenze sessuali; numeri drammatici che confermano una violenza consumata per lo più nell'ambiente domestico.

Particolarmente significativo e grave è l'incremento in soli tre anni dei maltrattamenti in famiglia, aumentati del 17 per cento. Il rilevato aumento dei dati inerenti la commissione dei reati spia può essere letto quale affioramento di un sommerso, la testimonianza anche di una maggiore propensione alla denuncia da parte delle vittime e dei testimoni, che prendono sempre più coscienza del fatto che lo storico squilibrio nei rapporti di potere tra i sessi, in ambito familiare e sociale, altro non è che il frutto di concetti stereotipati e logiche che non devono essere tollerate.

Gli interventi legislativi non sono in sé sufficienti. La strada da seguire è inevitabilmente quella culturale, che deve mirare al contrasto di quei radicati stereotipi relativi a ruoli e responsabilità di donne e uomini nella famiglia e nella società. È dunque necessario continuare a lavorare sul piano culturale, incoraggiando i giovani a uscire da un modello stereotipato e intollerante per promuovere una cultura libera da pregiudizi.

I numeri della violenza contro le donne continuano a raccontare un'Italia, nella quale è necessario fare molto in termini di informazione e sensibilizzazione, una questione culturale che non può essere, anche questa, a carico delle sole donne, ma che coinvolge attivamente gli uomini.

L'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta dai Governi dei Paesi membri delle Nazioni Unite, annovera tra i suoi obiettivi il raggiungimento dell'uguaglianza di genere. Il PNRR inoltre sviluppa, con le sue Missioni, le priorità della strategia nazionale per la parità di genere, in un approccio sistemico politico e culturale, in grado di incidere sui fattori determinanti del fenomeno, a cominciare dall'educazione all'interno delle scuole. Il rispetto altrui è un percorso che va costruito, alimentato e accompagnato, a partire dalle bambine e dai bambini. Aspiriamo a una società inclusiva, in cui le donne facilitino in modo fondamentale la costruzione di ponti di dialogo e fratellanza, in un mondo sempre più disseminato di muri, impastati di odio e discriminazioni.

Come Alleanza Verdi e Sinistra, sosterremo sempre ogni iniziativa volta a prevenire e contrastare questo dramma sociale. Questa deve essere, non solo una battaglia delle donne per le donne, ma soprattutto una battaglia di donne e uomini insieme per recuperare un profondo senso di umanità (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lancellotta, ma non è presente.

È iscritta a parlare l'onorevole Schlein. Ne ha facoltà.

ELLY SCHLEIN (PD-IDP). Grazie, Presidente. Signor Presidente, signora Ministra, colleghe e colleghi deputati, fra due giorni ricorre la Giornata internazionale contro la violenza di genere e sono onorata che proprio a questa ricorrenza si leghi il mio primo intervento in quest'Aula. Da qui, mi permetto di dire che il 25 novembre dovrà essere un momento importante di riflessione istituzionale - certo - ma soprattutto una giornata di mobilitazione, di denuncia collettiva di una piaga sociale che non è più tollerabile.

Dal 1° gennaio al 20 novembre di quest'anno, sono state 104 le donne uccise, di cui 88 in ambito familiare o affettivo e 52 sono state uccise dal partner o dall'ex. Avete capito bene: 52, la metà delle donne uccise quest'anno, sono state uccise con un'arma letale. Il presupposto malato di un diritto al possesso sul corpo della donna non nasce - come spesso leggiamo, in un'inaccettabile narrazione mediatica che assume il punto di vista del carnefice - da un raptus, da folle gelosia o da un amore disperato, ma dal patriarcato. È un dato incontrovertibile: la violenza sulle donne nella società patriarcale non è episodica, ma strutturale. Allora, per affrontarla, bisogna agire in modo sistemico su più fronti - normativo, preventivo, culturale, economico - partendo dal sostegno alla preziosa attività che svolgono i centri antiviolenza e le case rifugio, con i loro saperi, rispettandone l'autonomia e favorendone la presenza capillare nel Paese. Bisogna prendere molto sul serio le segnalazioni di violenze e molestie, anche prima che prendano la forma di una denuncia alle Forze dell'ordine, dal momento che otto donne su dieci non denunciano perché temono di non essere credute. Forse perché, attraverso la vittimizzazione secondaria, ci si permette di misurare la credibilità di una denuncia in base al tempo che ci ha messo la vittima a denunciare, come se non fosse una questione spesso di dislivello di potere o di paura, o forse perché si minimizzano costantemente gli episodi di cat calling, che non è una simpatica tecnica di approccio, ma una forma di molestia, in Francia punita con una norma apposita.

Quando una donna non denuncia per paura di non essere creduta, è il fallimento dello Stato e dell'intera società e, ancor più grave, è quando la denuncia non basta a salvarla, come è accaduto ad Alessandra Matteuzzi. Serve formazione specifica del personale pubblico che viene a contatto con le donne che subiscono violenza, delle operatrici e degli operatori sanitari e sociali, dell'amministrazione giudiziaria e delle Forze dell'ordine. La sfida culturale va vinta con un impegno, che inizi prima che sia troppo tardi, per sradicare il pregiudizio sessista, già sui banchi di scuola, con un grandissimo investimento sull'educazione alle differenze e non certo per cancellarle, ma per metterle a valore, assicurando a tutte e a tutti uguali diritti e dignità di persone. È anche l'occasione per ricordare che la violenza patriarcale non colpisce solo le donne, colpisce anche le persone LGBTQI+, che sono persone con diritti e non certo un abominio e mi auguro che il Governo prenderà le distanze dalle affermazioni del capogruppo di Fratelli d'Italia al Senato, Malan.

Bisogna agire continuando il lavoro intrapreso negli ultimi anni, a cui ha dato un contributo fondamentale la Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, presieduta dalla senatrice Valente.

Altro tassello fondamentale - lo sappiamo - nel contrasto alla violenza di genere è l'emancipazione economica delle donne: solo così si potranno liberare anche da quel ricatto. L'anno scorso, in questa data, eravamo in compagnia delle lavoratrici della SaGa Coffee di Gaggio Montano che, davanti alla fabbrica, in un presidio al freddo, difendevano il proprio reddito e la propria libertà, ma anche quella delle vittime di violenza che spesso sono sotto ricatto perché senza lavoro. Attenzione: cancellare il reddito di cittadinanza vuol dire cancellare strumenti di emancipazione.

Alle donne che fuoriescono dalla violenza bisogna garantire la casa - bene il “reddito di libertà”, ma servono più risorse perché quelle attuali ancora non bastano - e poi un lavoro dignitoso, non povero o precario; bisogna anche chiudere i divari salariali e occupazionali di genere e investire nelle infrastrutture sociali ed educative per liberare le donne dal carico di cura che grava sproporzionatamente sulle loro spalle e le frena nel lavoro.

Proprio le donne, insieme ai giovani, hanno pagato il prezzo occupazionale più alto della pandemia perché avevano già ereditato i contratti e le condizioni occupazionali più precarie; a questa precarietà si lega pure il destino violento che hanno subito troppe lavoratrici uscite di casa per andare al lavoro e mai più rientrate, come è successo a Luana D'Orazio intrappolata nell'orditoio a cui stava lavorando in una fabbrica tessile, come è successo a Nicoletta Palladini morta incastrata tra un nastro trasportatore e una macchina porta bancali in una vetreria a Borgonovo. Ricordo loro due, ma ve ne sono troppe altre; lo dico perché il lavoro precario - e le donne lo conoscono bene – è anche il lavoro meno sicuro. Anche su questo urgono interventi. Nelle aule ci batteremo in tutte queste direzioni, ma il Governo non può solo fare provvedimenti identitari contro le persone più fragili senza mai dire la parola precarietà perché è quella che spesso mette a freno l'indipendenza delle donne e i loro percorsi di autonomia. Su questo concludo, ricordando anche quelle stanze dell'orrore dove sono state uccise a coltellate tre prostitute nel quartiere Prati, una delle quali costretta a vendere il proprio corpo perché non aveva altri mezzi per mantenere sua figlia, chiedendo di sapere dalla rappresentante del Governo, dalla Ministra, quale sarà l'impegno per rispettare la Convenzione di Istanbul, che compie dieci anni, ma che in troppi Paesi a guida nazionalista viene quotidianamente calpestata (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Simonetta Matone. Ne ha facoltà.

SIMONETTA MATONE (LEGA). Grazie, Presidente. È la prima volta che parlo in quest'Aula e sono veramente contenta di farlo su un argomento quale la violenza contro le donne. Questa giornata, questa settimana non può e non deve essere meramente rituale e celebrativa di quello che il Parlamento e il Governo faranno. Vorrei uscire proprio da questa ritualità affermando che per una volta possiamo dire di essere fieri, da un punto di vista strettamente legislativo - che poi è il campo che forse a me più interessa per lo meno per la mia attività lavorativa pregressa - di essere cittadini europei e di essere cittadini italiani alla luce del cammino che abbiamo percorso. Ricordo a tutti che dal Trattato di Lisbona del 2007 alla Strategia 2010-2015 dell'Unione europea abbiamo attraversato tanti mari perigliosi, ma li abbiamo, per così dire, superati e siamo arrivati alla Convenzione di Istanbul del 2011. Peraltro, il fatto che la Convenzione si sia celebrata in un Paese dove le donne hanno - per usare un eufemismo - parecchi problemi, è secondo me fortemente simbolico.

Il passaggio fondamentale di questo percorso storico, politico e giuridico è l'essere arrivati a capire che la violazione della integrità fisica, psichica, morale ed economica delle donne è un attentato ai diritti umani. E questo - deve essere chiaro - non è un passaggio tecnico-giuridico da poco. Attraverso questo cammino siamo arrivati ad identificare quelli che sono i soggetti fragili, che sono le donne, i minori e le persone in una situazione di difficoltà fisica e psichica. Siamo arrivati a capire che l'estensione della violenza di genere arriva fino alla violenza riproduttiva sulla quale dovremmo riflettere per tutte le battaglie che hanno attraversato il Paese sui temi legati alla riproduzione e siamo arrivati a concepire una convenzione sulla violenza sui luoghi di lavoro, violenza che attiene non soltanto alla sfera meramente lavorativa ma anche agli attentati all'integrità sessuale. Tutto questo ha portato gli Stati ad adeguarsi e l'Italia ha fatto la sua parte.

L'Italia si è adeguata, ha ratificato la Convenzione di Istanbul ed ha compiuto un cammino a mio giudizio importantissimo rafforzando le misure repressive, perché questo tema va trattato con grande durezza.

Noi oscilliamo sempre, il nostro Paese e le forze politiche, sia di destra sia di sinistra, oscillano sempre alla ricerca di un difficile equilibrio tra giustizialismo e garantismo, ma questa materia presuppone misure repressive forti, fortissime. Credo che l'introduzione, per esempio, del braccialetto elettronico, anche per il cosiddetto divieto di avvicinamento, sia stato un passaggio, per esperienza personale e professionale, apicale. Le riforme apportate al codice di procedura penale sono importantissime; il cosiddetto codice rosso è stato una piacevolissima sorpresa, perché ha portato alla creazione di questo doppio binario. Ma dov'è che il sistema purtroppo si inceppa? Si inceppa per due motivi. Innanzitutto, la formazione di chi lo deve applicare; mi riferisco all'ordine giudiziario, dove secondo me, e questo dovrebbe essere di stimolo al Ministro della Giustizia, bisogna potenziare la formazione dei magistrati che si occupano di questa materia. Il secondo, il sovraccarico di lavoro; personalmente mi è capitato di segnalare situazioni di questo genere con riguardo alle denunce, al di là del fondamentale ascolto nei primi tre giorni, svolta epocale quest'ultima perché l'ascolto della vittima entro tre giorni dall'autorità giudiziaria previene la ripetitività di comportamenti, ma tutto ciò è ancora troppo poco. È stato poi fondamentale introdurre la nuova figura della costrizione, induzione al matrimonio forzato. È sotto gli occhi di tutti la vicenda di Saman che è l'emblema di questo problema ed anche l'emblema di una integrazione sociale e culturale non riuscita. Noi in tema di violenza di genere dovremmo anche riflettere sul problema che grava sul nostro Paese nell'aver accettato, giustamente, il permanere sul nostro territorio di cittadini che ne hanno pieno titolo, perché sono dotati di permesso di soggiorno, perché lavorano e sono forza lavoro di cui abbiamo necessità; al tempo stesso, tuttavia, non abbiamo necessità di recepire nel nostro Paese modelli culturali inaccettabili e contrari al nostro ordine pubblico. Perché dico questo? Perché c'è secondo me, dal punto di vista proprio dello specifico tema della violenza contro le donne, un problema di ordine pubblico di cui nessuno si accorge, vale a dire quello di introdurre modelli familiari inaccettabili all'interno di un sistema democratico come il nostro. Io dico sempre che la democrazia non si ferma sulla porta di casa, ma deve continuare anche all'interno delle mura domestiche. La vicenda di Saman non è - attenzione - emblematica di una problematica pachistana, come rozzamente è stata definita, ma emblematica di una cultura che non può essere recepita dal nostro ordinamento e su questo forse è arrivato il momento di fare il punto. Noi abbiamo compiuto un cammino fenomenale. Abbiamo però sottovalutato un aspetto, che si rinviene all'interno del documento unitario. All'interno di tale documento unitario ci si sofferma sulla necessità che la prevenzione della violenza passi attraverso la scuola. Perché dico questo? Perché gli insegnanti sono i primi terminali del disagio di un minore che vive una situazione di violenza; quindi, gli insegnanti devono essere preparati e formati a recepire quel tipo di segnale, devono saper decrittare un disegno, un tema, un atteggiamento psicologico che non va. L'interrogativo è: oggi come oggi sono capaci di farlo?

Per esperienza personale, purtroppo, devo dire di no, anche perché la farraginosità delle procedure, la complessità di far arrivare una segnalazione a destinazione è tale da rendere il sistema praticamente bloccato. Credo che dovremo lavorare molto con il Ministro dell'Istruzione su questo punto e creare veramente una corsia privilegiata per i corsi di formazione per gli insegnanti sul tema della violenza. Al tempo stesso, secondo me, all'interno del documento c'è un labile passaggio, per così dire, su un tema fondamentale che questo Parlamento dovrà affrontare: il monitoraggio dei centri per la cura dei soggetti maltrattanti. È una visione ottimistica, quella del documento, ossia che sono presenti centri di cura per i soggetti maltrattanti. È un interrogativo che pongo, perché sinceramente non so quanti ce ne sono e come funzionano, ma se non affrontiamo la reiterazione di queste condotte da parte di soggetti, affetti da problematiche nella loro relazione con l'universo femminile, questo tema non potremo risolverlo.

Mi rendo conto di aver esaurito i miei dieci minuti; purtroppo, il tema della violenza domestica richiederebbe ore. Ho fornito soltanto alcuni spunti e spero soltanto che ci si avvii verso la formulazione di un documento comune, perché la violenza non è né di sinistra, né di destra, ma è, purtroppo, universale (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gianassi. Ne ha facoltà.

FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, il 25 novembre viene celebrata la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Purtroppo, ci avviciniamo a questa ricorrenza così importante continuando ad assistere, a ricevere notizie e a vedere immagini che certificano l'esistenza della discriminazione e della violenza, nel mondo come in Italia. Abbiamo visto l'azione coraggiosa delle giovani donne e dei giovani uomini iraniani. Abbiamo visto immagini tragiche e terribili in Italia relative a femminicidi che continuano a ripetersi all'interno delle mura domestiche ad opera di mariti e compagni o di ex mariti ed ex compagni, a molestie sui luoghi di lavoro. Insomma, abbiamo un quadro desolante, rispetto al quale dobbiamo irrobustire la nostra azione in modo unitario e trasversale, affermando che il raggiungimento della parità di genere è un obiettivo ineludibile e che, ogni volta che, in qualunque luogo, nelle nostre città e nel mondo, si verifichi un'azione di discriminazione, la politica, le istituzioni e l'opinione pubblica devono reagire con forza e con coraggio.

Passi in avanti sono stati fatti e non possiamo nasconderli, sia in sede internazionale - si pensi alla Convenzione di Istanbul in seno al Consiglio d'Europa, che ha il merito di riconoscere che la violazione dell'integrità psicofisica della donna rappresenta una violazione di un diritto universale, di un diritto umano - e anche a livello nazionale, con l'introduzione nel tempo del reato di stalking o, più recentemente, la previsione del reddito di libertà per le donne che hanno subito violenza e meritano protezione. Mi riferisco anche alla legislazione sulla parità salariale tra uomini e donne, ancora non raggiunta, un'oscena realtà nei luoghi di lavoro anche nel nostro Paese, che dobbiamo assolutamente debellare. Tuttavia se, da un lato, dobbiamo difendere i diritti che faticosamente anche il legislatore ha affermato e che abbiamo conquistato da istinti retrogradi e conservatori che ci sono e che ci saranno, non possiamo limitarci a questo, ma dobbiamo continuare a percorrere la strada intrapresa per dare piena attuazione ai principi su cui si fonda la parità di genere per il contrasto della discriminazione e della violenza di genere. Pensare che la discriminazione e la violenza avvengano in modo del tutto casuale è assolutamente infondato, se non addirittura ridicolo. Ci sono contesti culturali, sociali ed economici, nei quali la violenza e la discriminazione si radicano. E da questo punto di vista il ruolo delle forze politiche e delle istituzioni è decisivo. Non è possibile marginalizzare questo tema, non è possibile non considerarlo una priorità, sottovalutarlo, denigrarlo e ancor meno è possibile affermare tesi pericolose che alimentano culture nelle quali è più facile realizzare discriminazioni e violenze di genere.

Nel mondo assistiamo ancora oggi a leader di importanti partiti politici o addirittura di Paesi che continuano a considerare questo fenomeno come irrilevante e inesistente e ad affermare tesi assolutamente pericolose. Bolsonaro è stato il Presidente del Brasile: per fortuna è stato sconfitto nelle scorse settimane da Lula, ma affermava che aveva studiato il problema della diversità di trattamento tra uomini e donne nei luoghi di lavoro ed era giunto alla conclusione, pensate un po', che fosse del tutto naturale che un imprenditore preferisse un uomo rispetto a una donna, perché una donna può rimanere incinta; e menomale che lo aveva studiato.

Più vicino rispetto al Brasile, in Ungheria, Orbán si avvale di consiglieri che assistono il lavoro del Parlamento e che hanno scritto nero su bianco che le donne nelle università sono un pericolo per la società ungherese, che la femminilizzazione dell'istruzione è un pericolo che compromette il contributo del valore degli uomini. Poco distante da qui.

Allora, se vogliamo combattere davvero, in modo trasparente, unitario e trasversale, la battaglia per affermare la parità di genere, dobbiamo avere il coraggio, come forze politiche, di affermare che il contributo fornito dai partiti e dai leader politici può e deve essere decisivo: senza un contributo forte e robusto, nessuna vittoria può essere definitivamente conquistata.

Per questo motivo pensiamo che il Parlamento debba affrontare questo tema fin dall'inizio della legislatura e che tale tematica dovrà accompagnare i lavori di quest'Aula in questa legislatura, con riferimento alla quale il Governo si deve impegnare ad assumere impegni precisi e puntuali. In particolare, con la nostra mozione abbiamo chiesto di difendere i diritti conquistati e di dare piena attuazione alla legislazione in materia di prevenzione delle discriminazioni di genere e di protezione delle vittime, in particolare investendo robuste risorse per sostenere il lavoro importante dei centri antiviolenza che, in collaborazione con i comuni e con le regioni, ogni giorno in Italia aiutano le vittime di reato e offrono strumenti anche per prevenire comportamenti scorretti. È importante farlo e, soprattutto, occorre sostenere gli strumenti che abbiamo realizzato, come il reddito di libertà o, ancora, la formazione degli operatori professionali che, in settori diversi, entrano in contatto con questo mondo. Infine, occorre combattere anche fuori dai nostri confini nazionali perché l'Italia sia sempre protagonista, in Europa e nel mondo, per l'affermazione di questo principio ineludibile della parità di genere, contrastando la discriminazione che da troppo tempo accompagna la vita delle nostre comunità. Non possiamo più consentirlo: il Partito Democratico sarà ancora una volta protagonista in questa battaglia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ambrosi. Ne ha facoltà.

ALESSIA AMBROSI (FDI). Donne, vita, libertà. Signor Presidente, colleghe e colleghi deputati, la violenza contro le donne è uno dei più gravi e irrisolti problemi che il genere umano si trova a vivere e a combattere su scala globale. Sono trascorsi vari decenni dal 25 novembre 1960, giorno del brutale assassinio nella Repubblica Dominicana delle tre sorelle Mirabal, una data che segna l'istituzione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, per invitare i Governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative a predisporre attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema. Ancora oggi dobbiamo ammettere che questa intenzione sul piano dei successi concreti è purtroppo una drammatica, gravissima incompiuta, rispetto alla realtà.

Prima di entrare nel merito dell'analisi e della proposta che con la mozione intendiamo porre alla vostra attenzione, mi sia consentito - e confido con il consenso unanime di questa Assemblea - unire la voce mia e quella di tutte e di tutti noi a sostegno delle formidabili donne iraniane (Applausi) che lottano con tale impeto e coraggio da essere assurte a simbolo di valore universale. Lo dico a tutte le donne perseguitate e uccise da regimi sanguinari e assassini: la Camera dei deputati della Repubblica italiana è con voi, ovunque siate nel mondo, con voi e con il vostro grido di dolore, di rivoluzione e di libertà. Il problema della violenza sulle donne è particolarmente grave in tutte le teocrazie islamiche, ma non c'è latitudine nel nostro pianeta dove tale fenomeno sia stato eradicato, come se la cultura patriarcale, che sottende alla marginalizzazione, alla sottomissione e alla violenza, fosse impermeabile non solo al mutamento dei tempi, ma persino alle misure e ai provvedimenti legislativi che molti Stati pure tentano di adottare e mettere in campo.

Anche qui da noi, in Italia, il numero delle donne ogni giorno minacciate, malmenate, ferite, uccise o anche solo discriminate e ghettizzate è talmente abnorme da dover rapidamente sollecitare in noi legislatori un radicale cambio di passo. Le violenze, come sappiamo, possono assumere forme particolari e assai variegate, sia all'interno dei nuclei familiari sia al di fuori. E, di fronte all'immensità e alla gravità di tutte queste forme del medesimo fenomeno, noi legislatori non dobbiamo cullarci nell'illusione autoreferenziale o nella presunzione di aver già fatto tanto o, addirittura, tutto il possibile. Non è così, non è evidentemente così, e i numeri parlano chiaro. Basta il dato principale sulle ultime rilevazioni su base annuale: danno i femminicidi a quota 125 rispetto ai 108 dell'annualità precedente, più di una donna ogni tre giorni. È un'enormità, Presidente. E i loro nomi rimbombano in quest'Aula. Solo per citarne alcuni, Carol, Debora, Chiara, Ilaria, Naomi, Saman; la povera Saman che dal Pakistan, era arrivata a Novellara e voleva solo vivere felice.

Ma perché, Presidente, il bilancio oggi ancora non è positivo? Credo molto dipenda da un nostro antico problema, la discrepanza tra una presunta perfezione teorica e la sua applicabilità pratica. A conferma, ennesima conferma, che le leggi non devono, non possono essere solo teoricamente perfetti pezzi di carta disseminati nell'iperuranio, ma provvedimenti concretamente attuabili nella vita delle nostre società. Le leggi o sono accompagnate da strumenti economici adeguati, da una struttura di personale coerente con la missione che chiamiamo a svolgere, oppure praticamente non sono leggi, perché è la realtà stessa che ci insegna e ci ammonisce, ad esempio, sul fatto che è inutile pretendere di voler accelerare le procedure e inasprire le pene se poi non si investe adeguatamente negli organici. Voglio portare all'attenzione di quest'Aula due esempi concreti: il Codice rosso e i braccialetti elettronici. Nel primo caso, il Codice rosso, ad esempio, non potrà mai portare davvero risultati se i centri antiviolenza chiudono e se la pianta organica dei magistrati soffre una carenza di almeno 2 mila unità. Il magistrato, di fatto, non ha la possibilità di ascoltare la vittima di violenza domestica entro tre giorni dalla denuncia, come disposto per legge, se il carico di lavoro è eccessivo per il numero di magistrati in servizio. Ma anche sul tema dei braccialetti ci sono pesanti criticità. Sul numero dei braccialetti, ad esempio, siamo stati per anni in drammatico ritardo; ed è un ritardo che c'è ancora e va immediatamente colmato, di fronte alla vastità del fenomeno.

Con questa mozione, frutto del lavoro di squadra di tutte le forze politiche della maggioranza, e su cui, lo dico in quest'Aula, sarebbe auspicabile la convergenza di tutto l'emiciclo, di tutta l'Aula, intendiamo perciò, tra le varie cose, impegnare il Governo ad adottare sempre nuove ed efficaci strategie in grado di prevenire tutte le forme di violenza contro le donne, sia essa fisica, psicologica, sessuale, lavorativa o economica; ad adottare iniziative specifiche per contrastare la violenza online, comprese le molestie online, l'istigazione all'odio, nonché proseguire nella promozione di adeguate campagne di informazione e sensibilizzazione, anche attraverso il coinvolgimento di mass media e carta stampata; a continuare ad intraprendere tutte le opportune iniziative di competenza al fine di garantire la protezione delle donne e dei loro figli; ad adoperarsi al fine di promuovere iniziative per rafforzare le politiche e le risorse necessarie volte ad implementare progetti e percorsi di educazione finanziaria; ad adottare iniziative che consentano di sostenere la donna al fine di garantirne la libera scelta e di rispettarne i tempi di elaborazione emotiva e psicologica. E, ancora, ad adottare iniziative per prevedere percorsi di specializzazione per avvocati, per magistrati e Forze dell'ordine; ad adottare iniziative per garantire che le risorse ripartite nella Conferenza Stato-regioni siano erogate con regolarità e puntualità; ad informare il Parlamento con cadenza semestrale; ad adottare ogni iniziativa di competenza per favorire l'attuazione della legge n. 4 del 2018, che tutela gli orfani di crimini domestici, al fine di renderla pienamente operativa; ad adottare iniziative per implementare le risorse destinate al Fondo per le politiche delle pari opportunità, ma anche al Fondo per le vittime di reati internazionali violenti e al Fondo anti-tratta.

E, ancora, ad adottare iniziative per prevedere opportune misure di esenzioni sanitarie per le prestazioni collegate alla violenza subita ed un possibile rimborso delle spese legate al percorso psicologico che le donne dovranno intraprendere; e poi ad adoperarsi per promuovere nel contesto europeo azioni diplomatiche affinché lo Stato iraniano cessi di reprimere con la violenza manifestazioni pubbliche e la libertà di espressione.

Ecco, questi sono solo alcuni dei punti qualificanti esplicitati nella nostra mozione. Però, Presidente, non è certamente tutto. Nessuna e nessuno di noi si illude di avere la bacchetta magica di fronte a fenomeni che sappiamo benissimo avere anche radici di tipo sociale, culturale e religioso, però è un inizio ed è certamente una base solida per provare finalmente a coniugare alla nobiltà delle intenzioni e delle enunciazioni la loro pratica e doverosa applicazione.

Abbiamo ascoltato tante, forse troppe parole in questi anni. Il nostro compito, compito di noi rappresentanti delle istituzioni, è oggi dare risposte concrete, è oggi dare davvero delle risposte e fare finalmente fatti. Grazie, Presidente. Viva la donna, viva la vita e viva la libertà (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lancellotta. Ne ha facoltà.

ELISABETTA CHRISTIANA LANCELLOTTA (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il 25 novembre, giorno del brutale assassinio, avvenuto nel 1960, nella Repubblica Dominicana, delle tre sorelle Mirabal, considerate rivoluzionarie, ricorre la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. La ricorrenza è stata istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999, per invitare i Governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative a predisporre attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema. Parliamo di un dato simbolo e di un impegno doverosamente quotidiano, che deve riguardare le istituzioni tutte, nessuna esclusa. Un impegno volto a sensibilizzare l'opinione pubblica, e in special modo le generazioni più giovani, dalle quali dobbiamo partire per sradicare una vera e propria emergenza.

L'articolo 1 della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne, emanata dall'Assemblea generale nel 1993, definisce violenza contro le donne ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato - o che possa probabilmente avere come risultato - un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica e privata.

La violenza di genere rappresenta una questione culturale e soprattutto un crimine. Per questo dobbiamo lottare per dare concretezza a obiettivi che non restino soltanto principi sanciti in una giornata. L'attenzione deve restare alta e il Parlamento, che ha già fatto tanto, deve continuare la sua azione, finalizzata a un radicale cambiamento di mentalità. Nonostante la ratifica della Convenzione di Istanbul, le modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per inasprire le pene di alcuni reati previsti ad hoc, l'emanazione del Piano d'azione straordinario contro la violenza di genere e la previsione di stanziamenti per il supporto delle vittime, i numeri confermano come il suddetto fenomeno rimanga ancora un fatto quasi comune all'interno della nostra società civile.

I numeri danno lo specchio dell'attuale status quo. Con la legge n. 53 del 2022 il Parlamento ha disciplinato la raccolta di dati e informazioni sulla violenza di genere esercitata contro le donne al fine di monitorare il fenomeno ed elaborare politiche che consentano di prevenirlo e contrastarlo. A rafforzare le tutele processuali ha provveduto il cosiddetto Codice rosso, la legge n. 69 del 2019, che ha dato maggiore vigore alle tutele processuali delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica.

Mi preme sottolineare un'importante previsione del Codice rosso: la velocizzazione dell'instaurazione del procedimento penale per i delitti di violenza domestica e di genere, con la susseguente accelerazione dell'eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime. Non dobbiamo fermarci! Dobbiamo continuare a lavorare affinché cambi questa mentalità in cui, ancora troppo spesso, prevale la cultura dell'uomo che fa valere la propria maggiore forza fisica nei confronti delle donne, le quali non di rado subiscono anche dal punto di vista psicologico.

Sicuramente dovremo lavorare per portare a conclusione l'iter dei disegni di legge presentati per rafforzare la prevenzione e il contrasto del fenomeno della violenza nei confronti delle donne e consentire il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari alle vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio, in attuazione della Convenzione di Istanbul. Rispetto ai casi di matrimonio indotti stiamo ascoltando e leggendo in questi giorni, dagli organi di informazione, la vicenda di Saman Abbas, la diciottenne pachistana che rifiutò un matrimonio combinato, scomparsa nella notte del 30 aprile 2021 da Novellara, in Emilia, e il cui corpo sarebbe stato ritrovato in un casolare a pochi metri dalla sua abitazione. Il dramma delle nozze forzate è talmente esteso da rendere indispensabile l'inserimento nel cosiddetto Codice rosso di un articolo che introduca nel codice penale il nuovo reato di costrizione o induzione al matrimonio attraverso violenze o minacce.

Dicevamo dei numeri. In occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna dell'8 marzo 2022, il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno ha pubblicato, sul proprio sito web, il documento Donne vittime di violenza, in cui vengono esaminati i dati riguardanti i cosiddetti reati spia della violenza di genere, delitti espressione di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica diretti contro una donna in quanto tale. Il report mette in luce l'andamento evolutivo nella commissione di tali reati nel quadriennio 2018-2021, in cui è stato rilevato un tendenziale incremento per tutte le fattispecie in tema. L'incidenza delle vittime di sesso femminile risulta essere particolarmente elevata, attestandosi in media al 75 per cento nei casi degli atti persecutori, all'82 per cento per i maltrattamenti, fino ad arrivare al 92 per cento con riguardo alle violenze sessuali.

Un anno fa, il 24 novembre 2021, veniva pubblicata l'analisi sulla violenza di genere a due anni dal Codice rosso. Nello specifico, su un totale di 263 omicidi volontari compiuti in Italia dal 1° gennaio al 21 novembre 2021, 109 hanno riguardato donne; di questi, 93 sono avvenuti in ambito familiare-affettivo e, in particolare, 63 per mano del partner o dell'ex partner. Parliamo di numeri che in percentuale mostrano un aumento consistente delle vittime di genere femminile (più 8 per cento) rispetto allo stesso periodo del 2020. Sono in crescita anche tutti i delitti commessi in ambito familiare-affettivo, che passano da 130 a 136. Anche in questo caso, è significativo l'aumento delle vittime donne (più 7 per cento) e, tra queste, quelle uccise per mano del partner o dell'ex partner.

Considerando i soli dati relativi all'anno 2021, esaminati in maniera più approfondita dal report, nel contesto familiare-affettivo l'incidenza del genere femminile tra le vittime di omicidio raggiunge il 70 per cento (103 su 107: ben il 91 per cento tra coloro che sono state uccise dal partner o dall'ex partner). Scomponendo ulteriormente il dato, si rileva che le donne uccise in ambito familiare-affettivo sono vittime di partner o di ex partner nel 68 per cento dei casi. Nei restanti casi risultano uccise prevalentemente per mano dei genitori o figli, mentre residuale è il caso di omicidi commessi da altro parente.

Tanti femminicidi anche nel 2022. Tra i tanti ricordo l'efferatezza dell'omicidio di Romina De Cesare, trentaseienne molisana di Cerro al Volturno, in provincia di Isernia, residente a Frosinone, uccisa con 14 coltellate dall'ex compagno, anche egli molisano, che non si era rassegnato alla fine della loro storia.

Colleghi, i numeri non mentono e sono molto poco confortanti. In considerazione delle suddette premesse, l'azione di questo Governo e di questo Parlamento sono certa che sarà ancora più incisiva di quanto avvenuto fino ad ora.

Occorre partire dallo stanziamento delle risorse necessarie al fine di rafforzare la rete sull'intero territorio nazionale dei centri antiviolenza e delle case rifugio, strutture indispensabili che sostengono e accompagnano le donne vittime di violenza, dotate di personale adeguatamente formato e aggiornato. Necessario, tra i vari provvedimenti urgenti con finalità deterrenti, è l'aggravamento delle sanzioni relative a tutti quei reati che vengono commessi sui social network che prendono di mira le differenze di genere e l'aspetto fisico, ma anche il potenziamento di quelle misure che promuovono l'educazione alla parità tra i sessi e il rispetto delle differenze negli istituti scolastici di ogni ordine e grado.

Con grande orgoglio, mi preme sottolineare che l'attuale Governo è rappresentato per la prima volta da una donna, il nostro Presidente Giorgia Meloni, forte, caparbia, determinata, che sta dimostrando a tutto il mondo grandi capacità di guidare l'Italia in uno dei periodi più difficili del secondo dopoguerra. Per ribellarci a una mentalità da cambiare sono diversi gli obiettivi cui dobbiamo tendere ancora: porre fine a ogni forma di discriminazione; perseguire ed eliminare alcune forme di violenza, come il traffico di donne e lo sfruttamento della prostituzione; perseguire le forme contra legem di matrimoni combinati e le mutilazioni genitali femminili; dare il giusto valore alle forme di lavoro domestico, ancora troppo legate a una concezione retrograda; far sì che le donne abbiano effettiva partecipazione in ruoli di leadership e decisori nei contesti politici, economici e sociali.

Un importante veicolo di inclusione sociale, capace di valorizzare valori quali il rispetto, la collaborazione, l'inclusione, la costanza, l'impegno, la cura di sé e la capacità di rialzarsi dopo una sconfitta è lo sport, essenziale mezzo per superare le discriminazioni e il rafforzamento dei grandi valori che esso rappresenta, anche attraverso l'introduzione di misure di sostegno al ruolo dello stesso quale veicolo di inclusione sociale e di superamento di ogni forma di discriminazione. Lo sport, tra l'altro, è anche un mezzo per apprendere le tecniche di autodifesa al fine di sopperire a una maggiore forza fisica degli uomini, pratiche di autodifesa che andrebbero offerte in forma gratuita.

Mi piace ricordare, comunque, come le donne nello sport agonistico olimpico si stiano facendo valere. Alle ultime Olimpiadi di Tokyo, nell'agosto 2021, si è registrato il record di azzurre qualificate (187 su un totale di 384 atleti; un vero e proprio record). Anche le Olimpiadi invernali di Pechino 2022 hanno fatto registrare ottimi risultati delle atlete azzurre, che hanno superato nel medagliere i colleghi uomini. Dati positivi - e concludo - che ci confermano l'importanza dello sport nel superamento di ogni forma di discriminazione.

Come giustamente sottolineato nella mozione della collega Varchi e nella mozione unitaria della maggioranza, la violenza contro le donne continua, purtroppo, a essere un ostacolo allo sviluppo e alla realizzazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze per il raggiungimento di una piena ed effettiva uguaglianza. Viva le donne, viva la libertà (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bisa. Ne ha facoltà.

INGRID BISA (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, membri del Governo, siamo qui oggi in quest'Aula per discutere della mozione contro la violenza sulle donne in vista della Giornata internazionale del 25 novembre, Giornata istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

I dati che ancora oggi ci sono fanno rabbrividire: dal 1° gennaio al 21 novembre 2021 ci sono stati 263 omicidi volontari compiuti in Italia; 109 hanno riguardato donne e 93 sono avvenuti in ambito familiare. Sono numeri che in percentuale mostrano un aumento consistente delle vittime di genere femminile (più 8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020). È un dato che deve far riflettere le istituzioni, compreso chi siede in quest'Aula. È un dato che fa riflettere, perché parlandone si auspica - o almeno chi vi parla auspica - da un lato che le donne denuncino, perché questo avviene ancora troppo poco. Infatti molte donne, nel loro silenzio e nella loro sofferenza, sopportano, a volte giustificando comportamenti che devono, invece, essere sempre condannati senza se e senza ma. Dall'altro lato, serve anche una consapevolezza dell'uomo, inteso come sesso maschile, che dovrebbe capire e comprendere che amare non è sinonimo di gelosia e di ossessione, ma amare è libertà, è fiducia, è conoscenza, è comprensione reciproca, è apprezzare le differenze.

Credo che ancora si debba fare molto sulla prevenzione, ma soprattutto sull'educazione sia delle donne che degli uomini. Per evitare, infatti, che il problema della violenza sulle donne rimanga ai margini della società, per mettere in gioco il modo di stare al mondo degli uomini, per cambiare le rappresentazioni che i maschi hanno di loro stessi e delle donne è necessario prevenire ed educare. Le donne devono avere più coraggio, perché alle prime avvisaglie, anche lievi, di violenze o di atteggiamenti ossessivi di gelosia devono far accendere una luce e avere il coraggio di allontanarsi definitivamente dalla persona. Non ci sono perdoni o seconde e terze possibilità, perché in molti casi questo porta a implementare quei dati terrificanti che vi ho dato sopra.

Quindi, è un grido che rivolgo da una delle più alte istituzioni dello Stato, dicendo alle donne di avere coraggio perché una soluzione c'è sempre. Il Codice rosso, la legge del 2019, voluta dalla Lega, dall'allora Ministro Bongiorno, che ha introdotto nuove fattispecie di reato e perfezionato meccanismi di tutela delle vittime, è stato un primo passo per dare più tutela a quelle donne in difficoltà. Ma c'è ancora molto da fare, partendo dalle scuole, per far capire agli studenti che è necessario garantire pari opportunità di educazione, pari opportunità di istruzione e di cura, pari opportunità di relazione e gioco, coinvolgendo in primis le famiglie ad educare le nuove generazioni alla parità tra uomo e donna nella sfera affettiva. Le donne per denunziare devono avere la sicurezza che c'è uno Stato che le protegge; quindi, dobbiamo implementare le risorse e snellire le procedure, per far sì che vengano erogate tutte le attività, le prestazioni e i servizi necessari alla diagnosi e al trattamento delle affezioni, di carattere fisico e psichico, che sono conseguenti ad atti di violenza fisica. Questo è fondamentale: la violenza ha effetti negativi, a breve e a lungo termine, sulla salute fisica, su quella mentale, su quella sessuale e su quella riproduttiva della vittima. Le conseguenze possono determinare, per le donne, isolamento, incapacità di lavorare, limitata capacità di procurarsi cura di sé stesse e dei propri figli. I bambini che assistono alla violenza all'interno dei nuclei familiari possono soffrire di disturbi emotivi e del comportamento ed essere, con il tempo, autori di violenze nello stesso ambito. Ecco, dobbiamo avere la consapevolezza che questi bambini saranno il futuro di questo Paese.

Nel mondo, la violenza contro le donne interessa una donna su tre. In Italia i dati Istat mostrano che il 31,5 per cento delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner o amici. Un tipo particolare di violenza sessuale si sta diffondendo nella rete, con forme di adescamento che sfuggono al controllo dei genitori e rendono difficoltosi gli interventi della Polizia postale, a causa dell'uso incontrollato di Internet dove, purtroppo, ragazzine adolescenti o para-adolescenti postano sui social network le loro immagini, per un malinteso senso di libertà sessuale. Esiste, poi, una violenza esercitata sul posto di lavoro, dove le donne sono esposte ad abusi e ricatti sessuali. Gli effetti della violenza di genere si ripercuotono sul benessere dell'intera comunità e abbiamo l'obbligo, anche all'interno di questa istituzione, che i dati che oggi raccontiamo diminuiscano radicalmente (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fratoianni, che ringrazio per la collaborazione. Ne ha facoltà.

NICOLA FRATOIANNI (AVS). Ci mancherebbe, Presidente. Grazie, signor Presidente, signora Ministra, Sottosegretaria. Colleghe e colleghi, la violenza sulle donne è innanzitutto un problema nostro: è un problema degli uomini, dei maschi di questo Paese, e non solo di questo Paese. Credo che da ciò dovremmo partire per provare a inquadrare la dimensione di questa tragedia e per provare a costruire una risposta, affiancando le iniziative legislative, che pure, in questi anni, hanno segnato un progressivo avanzamento, ma ci dicono di una insufficienza tanto grave quanto improcrastinabile, rispetto alla necessità di un impegno e di un salto di qualità.

Avremmo bisogno, come colleghi e colleghe hanno ricordato, di aumentare la dimensione e la stabilità delle risorse destinate all'attuazione e all'efficacia delle politiche pubbliche messe in campo. Avremmo bisogno di risorse in grado di garantire ai centri antiviolenza di funzionare 24 ore su 24 e di radicare dalla loro presenza in tutto il territorio nazionale, a fronte di una condizione che li vede sempre più fragili, in difficoltà, incapaci concretamente, troppo spesso, di fare quel che, invece, dovrebbero e vorrebbero fare. Ma dobbiamo fare i conti con la dimensione culturale di questo fenomeno, perché la violenza sulle donne è il frutto dell'esercizio di una rivendicazione proprietaria degli uomini sul corpo e sulla vita delle donne. È il frutto della negazione della differenza, se non nella sua trasformazione, di certo in una forma di gerarchizzazione, che pone la donna sempre e comunque in una condizione subalterna rispetto all'esercizio del potere maschile. Questa violenza si riproduce quotidianamente, fino ad arrivare al limite dell'esercizio violento, allo stupro o all'omicidio, di cui ogni anno, in questa occasione, contiamo la macabra dimensione. Si tratta dell'esercizio quotidiano di una violenza che si articola nei luoghi di lavoro e della vita quotidiana, una violenza fatta di piccole molestie, di battute, di scelte che condizionano la relazione tra gli uomini e le donne all'interno di questa forma di gerarchizzazione. È questo il motivo per cui io credo che, come anche qui è stato ricordato, noi dovremmo intervenire sul terreno culturale, a partire innanzitutto dalla scuola.

Sono molti anni che in questo Parlamento si cerca di introdurre una norma che preveda l'educazione sentimentale, l'educazione affettiva, l'educazione alla differenze e all'uguaglianza nelle scuole, e sono molti anni che non ci riusciamo. Sono molti anni che non ci riusciamo, perché, colleghe e colleghi, anche nell'occasione di un dibattito come questo, che registra quasi sempre una larghissima unità di intenti, che ci mette quasi sempre in condizione di votare, al termine della nostra discussione, mozioni comuni, frutto di un lavoro di mediazione e di condivisione, anche in questa occasione, anche attorno a temi come questi, esiste un grado forte di ipocrisia nel nostro dibattito pubblico. C'è l'ipocrisia di chi, per esempio, di fronte al tentativo di intervenire sul terreno educativo e formativo si fa scudo della fragilità dei bambini e delle bambine, di chi rifiuta un intervento che faccia dell'educazione la differenza e la base fondamentale, per rimuovere fin dall'età più giovane la radice della violenza ovvero la costruzione della gerarchizzazione e del potere maschile sul corpo della donna. C'è l'ipocrisia del continuo richiamo alla famiglia tradizionale e ai valori fondativi della nostra società, che spesso e volentieri hanno a che fare proprio con quella cultura patriarcale, che costruisce l'origine del comando maschile sulla vita della donna e, in fondo, l'origine del processo che porta alla violenza come dimensione generale dei rapporti tra uomini e donne. Per questo credo che dovremmo rimuovere quell'ipocrisia, che dovremmo confrontarci fino in fondo su questa dimensione e che dovremmo farlo - ripeto e concludo, Presidente - innanzitutto a partire dagli uomini anche di questo Parlamento. Si tratta di superare l'ipocrisia, per mettere in campo strumenti che, accanto a quelli che già ci sono, consentano di fare finalmente il salto di qualità che ancora ci manca (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Scutella'. Ne ha facoltà.

ELISA SCUTELLA' (M5S). Grazie, Presidente. Ci troviamo, come ogni anno in prossimità del 25 novembre, a parlare di violenza di genere e di femminicidi con dati che, purtroppo, non ci stupiscono: si parla ancora di una donna uccisa ogni tre giorni. Converrete con me che sono dati inquietanti, che vanno modificati. Noi, come legislatori, nella scorsa legislatura, abbiamo dato vita al Codice rosso, una misura fortemente voluta dal MoVimento 5 Stelle. Grazie al Codice rosso siamo riusciti a intervenire sull'efficacia e sulla tempestività dell'azione e siamo riusciti a evitare che periodi di stasi all'interno della violenza potessero generare ulteriori violenze nei confronti della vittima. Vi sono dati positivi e apprezzamenti nei confronti del Paese Italia, per quanto riguarda la materia che stiamo trattando. Difatti, ci sono - ripeto - valutazioni positive, ad esempio per quanto riguarda l'impegno dell'Italia rispetto alle raccomandazioni dell'ONU.

Infatti, nel rapporto di Revisione Periodica Universale dell'Italia viene riconosciuta alla legge sul Codice rosso un'efficacia importante; dall'ex Alta commissaria dei diritti umani viene riconosciuta, quella introdotta con il Codice rosso, come una tra le normative più efficaci che possano esservi per ciò che attiene il contrasto alla violenza di genere. Il Grevio che si esprime sull'attuazione della Convenzione di Istanbul, parla innanzitutto di un sistema di norme abbastanza complesso e che riesce comunque a contrastare, non ovviamente in toto, non come ci si auspica, la violenza di genere, ma qualcosa è stato fatto e anche per quanto riguarda l'atteggiamento delle autorità abbiamo difatti dei corsi di formazione, abbiamo difatti Corpi di specializzazione di polizia che si occupano di questo.

Però, colleghi, io vorrei dire una cosa, vorrei aprire una riflessione: che società è quella in cui ancora oggi si parla di donna come colei che è deputata a fare figli, a fare esclusivamente figli, a badare alla casa, a soffocare le proprie aspettative, la propria volontà di lavorare, la propria carriera? Che società è la nostra, dove viene riportata sui giornali – e quindi fa scalpore - una notizia secondo cui una donna incinta comunica al proprio datore di lavoro di essere incinta e il datore di lavoro le risponde: ok, allora ti farò un contratto a tempo indeterminato? Come può essere questa una notizia nel 2022? Nel 2022, come può essere una notizia che una donna incinta riceve un contratto a tempo indeterminato? Dovrebbe essere la normalità, ma purtroppo non lo è.

Non solo noi legislatori dobbiamo lavorare affinché questi stereotipi vengano abbattuti, ma abbiamo bisogno anche di altro, abbiamo bisogno dell'aiuto dei media, abbiamo bisogno anche dell'aiuto dei social network che sono comunque strumenti che vengono utilizzati quotidianamente; andrebbero previsti trattamenti sanzionatori nel momento in cui vi sono delle immagini sessiste nei confronti delle donne, nel momento in cui vigono quegli stereotipi di donna che non deve far altro se non essere una donna che si occupa della casa, che si occupa dei figli e che non può fare altro, immagini denigratorie nei confronti delle donne.

La mozione in oggetto porta allo scoperto un'altra questione importante che riguarda l'autonomia economica di una donna; spesso, purtroppo, una donna decide di restare con il proprio aguzzino perché non gode di un'autosufficienza economica e, quindi, decide di rimanere ogni giorno con colui che la picchia, con colui che la stupra, con colui che la violenta, con colui che la offende, perché non può andare da un'altra parte. Quando questa donna trova il coraggio di denunciare - perché, Presidente, dobbiamo parlare di coraggio; in alcune realtà, purtroppo, vige ancora la mentalità che se sei stata stuprata, se sei stata violentata, forse lo hai meritato, perché non dovevi uscire con la gonna di sera, ma dovevi indossare un pantalone, ancora purtroppo esistono queste mentalità - e si rivolge a un centro antiviolenza, a una casa rifugio, se questi centri antiviolenza e queste case rifugio non vengono finanziati dallo Stato, se non c'è una capacità di controllo capillare, se non c'è un'omogeneità di presenza di questi centri, come possono aiutare le donne? I centri antiviolenza ci dicono: aiutateci ad aiutare le altre donne. Quindi, questo è quello che dobbiamo fare ed è quello che abbiamo previsto con questa mozione. Noi dovremmo parlare anche di un reddito di libertà nei confronti delle donne, perché ad oggi i dati parlano chiaro: il nostro Paese ha una percentuale del 42 per cento di donne occupate, di donne che lavorano, rispetto al 65-69 per cento degli altri Stati europei, e una donna guadagna molto meno rispetto a un uomo, si tratta, alla fine dei conti, di una mensilità in meno rispetto a quelle che percepiscono gli uomini. Quindi, con tutte queste differenze è chiaro che noi abbiamo il sacrosanto dovere di intervenire.

Un ulteriore impegno previsto in questa mozione è l'aumento della protezione nei confronti delle donne. Spesso accade che misure cautelari vengano violate ed accade, purtroppo, di assistere a scene come quelle successe alla donna calabrese, Rositani, ricordate il caso? Questa donna, che vive a Reggio Calabria, stava con un uomo al quale avevano assegnato gli arresti domiciliari a Napoli; quest'ultimo viola gli arresti domiciliari a Napoli, si reca a Reggio Calabria e dà fuoco a questa donna. Fortunatamente, la donna riesce ad andare avanti, ma non tutte hanno questa fortuna; quindi, dobbiamo aumentare la protezione nei confronti delle donne, di tutte le donne e nello specifico delle donne che purtroppo subiscono violenza.

Allora, se guardiamo un po' più in là a quel popolo coraggioso di donne che si sta ribellando con il grido “Donne, vita e libertà!”, io chiedo a quest'Aula, a chi ci ascolta e in primis a me stessa, di lavorare quotidianamente a difesa delle donne non solo il 25 novembre o l'8 marzo, ma quotidianamente con il grido: “Donne, vita e libertà!” (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Colosimo. Ne ha facoltà.

CHIARA COLOSIMO (FDI). Grazie mille, Presidente, gentili colleghi. Molto è stato detto, ci sarebbe sicuramente molto altro da dire, ci sarà sicuramente molto altro da dire, ma dobbiamo iniziare dicendo una cosa con estrema chiarezza: ancora una volta, i dati sulla violenza delle donne ci dicono che, prima di tutto, questa è figlia di un'indegna cultura della sottomissione, un'indegna cultura della sottomissione sulla quale questo Governo, il Presidente Meloni, il Partito a nome del quale in questo momento parlo, sicuramente possono - e devono - fare molto, ma dobbiamo dirci la verità e per dirci la verità dobbiamo dire innanzitutto che gli ultimi dati sono vagamente incoraggianti. Noi sappiamo, ad esempio, attraverso le parole del prefetto Messina, che l'ammonimento porta a grandi risultati; questi risultati, nei primi 6 mesi, ci dicono che sono stati segnalati ben 1.644 casi e che, quindi, a quel punto, l'accesso al percorso di recupero di quegli uomini è iniziato e ha dato frutto.

Questo è un dato su cui noi dobbiamo ragionare più che su tanti altri dati e lo dico perché, al netto della retorica delle giornate e di tutto quello che sappiamo, se fino al 20 novembre 2022 gli omicidi registrati sono 273, sono 104 quelli delle donne, ottantotto quelle uccise in ambito familiare, 52 quelle che hanno trovato la morte a causa del partner, con una diminuzione, seppur leggera, rispetto agli anni passati, secondo i dati della Direzione centrale anticrimine della Polizia che ci ha riportato il prefetto Francesco Messina; questi dati ci raccontano come sia possibile intervenire ancora di più. Se in quest'Aula - ed è stato ricordato - tanto è stato fatto, noi dobbiamo anche dire che, per esempio, una cosa in più potremmo fare ed è una cosa facile, molto semplice, che potrebbe incoraggiare quelle donne vittime di violenza, soprattutto vittime di violenza sessuale; quella cosa si chiama “Codice rosa”, esiste in alcune regioni ed è un percorso facilitato nei nostri pronto soccorso, nel momento in cui ci si avvicina ad un ospedale per questo motivo.

Però, noi abbiamo iniziato dicendo che questa della violenza sulle donne è una questione relativa principalmente alla cultura; la cultura noi sappiamo che si cambia nelle scuole e sappiamo anche, purtroppo, che un altro dato che non conosciamo è quello della violenza sommersa, una violenza sommersa che è necessario che venga fuori e che deve trovare uno sbocco; quello sbocco, secondo noi, è facilitare le donne nella denuncia. Ma non soltanto, Presidente, perché c'è anche il grande tema dell'autonomia delle donne, perché anche in proposito i dati che noi conosciamo - e cito dati Istat, che quindi sono facilmente riscontrabili e conoscibili - ci rivelano che tutte le donne che non hanno una sicurezza economica, che non hanno un'autonomia, una vita indipendente, un lavoro, un proprio tetto sopra la testa, sono più inclini a non denunciare e sono coloro che hanno più difficoltà nell'uscire dagli episodi di violenza. Le donne in uscita dai centri di violenza e le case rifugio hanno lo stesso identico problema, ossia non riescono a reinserirsi nel mondo del lavoro ed è per questo che spesso hanno ancora più difficoltà ad iniziare quei percorsi.

Tutto questo è noto, come è noto che sono ben 50 mila le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza, ma che quelle che non hanno un'autonomia sono il 60,5 per cento. E se, colleghi, pensiamo alle donne che hanno un'età molto giovane, quindi tra i 18 e i 29 anni, i dati ci testimoniano del fatto che, addirittura, il 70 per cento di quelle ragazze non è indipendente. Ma il reddito di libertà, che tanto è stato sostenuto e che viene presentato, ci evidenzia un altro dato preoccupante, che ci indica come sia necessario provare altre strade: sono 2.500, secondo i dati, le donne che avranno accesso al reddito di libertà, ma sono 21 mila l'anno coloro le quali ne avrebbero bisogno, un po' poco per poterci dire tra noi che abbiamo risolto o che stiamo aiutando quelle donne. È per questo che, a nostro avviso, bisogna investire di più sul reinserimento lavorativo, sulla possibilità che una volta che si è raccontato a queste donne che rivolgersi allo Stato denunziando vuol dire uscire da quella spirale di violenza, quello Stato risponde loro. Ed è per questo che ringrazio l'impegno del Governo Meloni, del Ministro Roccella, di tutte quelle donne che, in questi anni, hanno dimostrato, con la loro vita e con i loro fatti, che c'è una possibilità di emanciparsi, senza bisogno, però, di ergere femminismi inutili. Questo lo dico con la consapevolezza del fatto che è facile parlare di necessità di incrementare le risorse, di incentivare l'inserimento nel mondo del lavoro ma che, quando parliamo di questo tema, almeno noi, abbiamo di fronte il volto di Saman Abbas, morta per mano della sua famiglia di origine e, quindi, per colpa di una cultura che non può trovare spazio in Italia; che abbiamo davanti il volto di Pamela Mastropietro, morta anche per colpa di un degrado che c'è nelle nostre città e che, fino ad ora, non è stato mai intaccato; che abbiamo davanti, in ultimo, Paola Larocca, morta per mano di un ex marito che non ha accettato la fine di un rapporto. Ma, permettetemi, perché poco ne ho sentito parlare: quando sento parlare di violenza sulle donne, io penso sempre agli occhi grandi di una bambina della periferia di Roma, che ha perso la mamma quando aveva due anni ed è convinta che la nonna sia sua mamma. A quella bambina lo Stato a cui noi apparteniamo non era stato in grado di donare nemmeno un piccolo sogno, quello di andare a imparare a nuotare. Oggi, grazie ad alcune associazioni, quella bambina ha imparato a nuotare e, probabilmente, domani si ricorderà che quello Stato c'è stato. Ora a quella bambina, a tutti i figli della cosiddetta violenza assistita, agli orfani che spesso perdono, sì, la madre, ma anche il padre - se è stato il padre ad uccidere la madre -, noi dobbiamo qualcosa di più del solito impegno contro la violenza sulle donne: dobbiamo la capacità di riconoscere che noi invertiremo la priorità e metteremo davanti i fragili; che siano essi bambini, donne o persone con disabilità, i fragili, in questo nostro bello Stato, in questo nostro bel Governo, avranno sempre e comunque la priorità (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Grimaldi. Ne ha facoltà.

MARCO GRIMALDI (AVS). Un uomo con un pericoloso deficit di empatia non è solamente inquietante, non è un'eccezione, né una anomalia. Ci sguazziamo, affoghiamo dentro la crudeltà maschile. La predilezione che il patriarcato nutre per la violenza correttiva e depurante è la valuta del nostro sistema politico, il valore che guida il nostro mondo. Parole forti? Sono le parole della scrittrice statunitense Jude Ellison Sady Doyle, una donna a cui uomini sfigurati dall'odio hanno augurato sui social di ricevere un colpo di pistola in petto dalla stessa figlia, perché fa professione di femminismo. D'altra parte, ha solo quarant'anni - uno in meno di me - quella legge, la n. 442, che cancellò dal codice penale l'articolo 587, che giustificava il delitto d'onore, che sollevava da responsabilità omicida l'uomo che, nello stato di ira determinato dall'offesa recata all'onor suo e della sua famiglia, uccide una moglie, una sorella, una figlia scoperta in relazione carnale. E solo sei anni prima, nel 1975, il lessico giuridico cancellò dal diritto di famiglia la denominazione di “capofamiglia” per il marito e padre di famiglia.

Certamente, i costumi si sono modificati in fretta, ma è rimasto lo sguardo mentale fisso sulla donna oggetto e sulla donna immagine. La violenza di genere è una delle espressioni che confermano il permanere della vitalità, benché si organizzi ogni volta socialmente e culturalmente, di un ordine simbolico, un sistema di potere che plasma i corpi, le identità e le relazioni e che si chiama patriarcato; un ordine simbolico che ancora oggi, attraverso la sua industria culturale, i suoi media, cerca di influenzare quello che le bambine guardano, comprano, leggono, vengono indotte a sognare, cercando di confinare i loro orizzonti. Per un altro verso, la violenza fisica contro le donne è una risposta a una nuova relazione tra i sessi, una reazione alla crisi del sistema patriarcale, l'incapacità di accettare il mutamento. I tempi cambiano e gli uomini si ribellano: le donne escono, escono di casa, da una relazione tossica, da un matrimonio scandito dalle botte e gli uomini rispondono con più violenza. Le donne parlano, parlano pubblicamente, acquisiscono potere e gli uomini le minacciano. L'incapacità di accettare il rifiuto è spesso l'origine dello stupro, dell'imposizione di un rapporto sessuale senza consenso contro il desiderio dell'altra, che non sarebbe possibile senza una rimozione della soggettività femminile. Il fatto che in molti casi di stupro gli imputati dichiarino di non aver percepito di infliggere violenza dimostra la povertà di una sessualità maschile incapace di leggere i messaggi femminili, la miseria di una sessualità spesso associata alla presunzione che il solo desiderio maschile sia l'energia che muove le relazioni, ma anche la vendetta verso un corpo che non si riesce a comprendere. E così la violenza, anche in molte sentenze giuridiche, viene interpretata come un elemento naturale del rituale del corteggiamento, ossia quel po' di forzatura che serve a vincere la naturale ritrosia della donna. Uno schifo. L'incapacità di accettare l'abbandono è alla base dello stalking e del femminicidio.

Dove voglio arrivare? Siamo di fronte a un'irrimediabile questione maschile, che va compresa e affrontata. Il dato comune che precede la violenza è quella miseria relazionale, quelle gravi lacune nella nostra educazione sentimentale di cui ho già parlato e che interrogano tutti noi, la nostra cultura. Il silenzio degli uomini sulla propria sessualità, sulle proprie paure, sulla propria fragilità va spezzato. Dobbiamo parlare di questa violenza, ma dobbiamo farlo a partire da noi stessi, altrimenti non sarebbe che l'ennesimo gesto paternalistico. Dobbiamo smettere di deresponsabilizzare e di gridare alla minaccia dell'aggressore sconosciuto, di alimentare la nostra falsa coscienza. Dobbiamo mettere a nudo e scandagliare quella virilità. È possibile tutto questo? Ne saremo capaci? In un romanzo bellissimo di Amos Oz, la zia Sonia racconta al piccolo Amos: “a volte vedo alla televisione, ma a volte lo vedo dal vivo, dal balcone, come le giovani coppie, dopo una giornata di lavoro, fanno tutto insieme, lavano, stendono, cambiano i bambini, cucinano”. Una volta ha persino sentito in negozio un ragazzo dire che l'indomani lui e sua moglie sarebbero andati, così ha detto… “domani andiamo a fare l'esame del liquido amniotico”.

L'Italia di oggi non è un Paese maturo in fatto di pari opportunità, soffiano addirittura venti di restaurazione, eppure, forse i modelli proposti dalla retorica politica non sono davvero o non sono ovunque accettati dall'intera società. Si affacciano generazioni che, se non rifiutano, in qualche modo, ignorano gli steccati e il potere patriarcale che hanno ereditato tra l'uomo e la donna - ho finito -, ma abbiamo bisogno che siano sempre di più. Per questo abbiamo bisogno di percorsi di educazione sentimentale, a partire dai percorsi scolastici dei ragazzi e delle ragazze, fin dal ciclo medio inferiore. Ricordiamoci che la divisione dei ruoli all'interno della sfera domestica nasconde al suo interno il germe dell'incomunicabilità. Donne e uomini esiliati nei propri compiti, nei propri saperi, analfabeti rispetto all'universo dell'altro, incapaci di sostituirsi e di scambiarsi le incombenze, come possono comprendersi?

Ho concluso, Presidente. Dobbiamo spezzare questa solitudine ed essere al passo con la parte più avanzata e più vitale della nostra società; rompere i due isolamenti dolorosi e aprire uno spazio comune, responsabilizzando gli uomini. Per questo, non smetterò mai di battermi per l'istituzione in Italia del congedo di paternità obbligatorio di sei mesi. È tempo di cambiare perché, anche se molti di noi non l'accettano, siamo già cambiati (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Boldrini. Ne ha facoltà.

LAURA BOLDRINI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Signor Presidente, signora sottosegretario, colleghi e colleghe, è stato detto che la violenza degli uomini contro le donne è una piaga sociale - è stato detto da tutti e tutte in quest'Aula -, una piaga sociale a cui lo Stato deve dare risposte adeguate, risposte che però, signor Presidente, non abbiamo trovato quando la Presidente del Consiglio ha illustrato in quest'Aula il suo discorso programmatico. Ce le saremmo aspettati perché è una piaga sociale, perché una donna ogni tre giorni viene uccisa; è una piaga sociale, come lo sono le morti sul lavoro e la mafia; è un vero e serio problema. Ce le saremmo aspettati perché è la prima Presidente donna; invece, non abbiamo trovato traccia di provvedimenti o di soluzioni a questo problema. Si tratta di una piaga sociale che ha molti volti: i colleghi e le colleghe hanno parlato di quello fisico, di quello psicologico, di quello economico ed io vorrei soffermarmi sul volto della violenza di nuova generazione, quella digitale.

Vorrei dire due parole sul revenge porn, Presidente, una modalità feroce per cui, quando una coppia si lascia, quasi sempre l'uomo, il ragazzo cosa fa? Espone sui social media immagini intime, foto e video dell'ex lasciata - lo fa per vendetta - e la vita della ragazza diventa un incubo.

Poi c'è il volto del linguaggio d'odio, del sessismo, della misoginia online, specie sui social media, un fenomeno ritenuto meno grave, Presidente, nella convinzione che non avviene quello che avviene in rete e che ha uno scarso impatto nella vita reale. In fondo, sono solo parole - dicono - e le parole - dicono - non lasciano lividi. Ecco, non è così; solo in apparenza è così, Presidente: le parole lasciano, invece, lividi profondi, feriscono, condizionano il pensiero e le azioni delle donne e seminano danni irreparabili.

Questo fenomeno è in preoccupante crescita: sono troppe, sempre di più le donne che sul web e sui social sono bersaglio di minacce, turpiloquio, shitstorming, rabbia e aggressività inaudita. Non è normale che, se una donna si espone in politica, nei media, nell'attivismo civico, nel mondo della cultura e dello spettacolo, venga sottoposta sui social a insulti volgari e violenti. Non è normale! Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la libertà di espressione. Ma per favore: questa modalità misogina e sessista di manifestare il proprio dissenso è, invece, altamente diffamatoria e si configura, peraltro, come un reato, perché tutto quello che è reato fuori della rete è reato anche in rete. Sbeffeggiare, ridicolizzare le donne mira a intimidirle e a screditarle, per poi estrometterle dal dibattito pubblico. Molte delle donne, che sono bersaglio dell'odio in rete, per evitare di essere aggredite, preferiscono tacere - bingo: ci sono riusciti! -, preferiscono non esprimersi su determinati argomenti, preferiscono addirittura uscire dalla rete e questo, Presidente, va a discapito della libertà di espressione delle persone e, in ultima istanza, della democrazia, della qualità della nostra democrazia. Non può mai passare l'idea che sia normale che i nostri ragazzi e le nostre ragazze possano ritenere legittimo riservare alle donne un simile trattamento, che in fondo sia colpa loro, perché se lo meritano, perché scelgono di affrontare temi così scomodi. Tutto questo noi dobbiamo rifiutarlo e gli uomini devono essere in prima linea, devono essere parte attiva in questa battaglia contro la violenza sulle donne. Perché, Presidente? Perché è proprio tra gli uomini che cova questa ferocia; non possono chiamarsi fuori e mi fa piacere che in quest'Aula, in questa occasione, anche molti colleghi abbiano preso la parola. Ci deve essere stigma sociale - stigma sociale - nei confronti di chi si macchia di questi orrendi crimini.

Non tutte le donne - mi consenta, Presidente, venti secondi in più - hanno voglia di denunciare, ognuna vive in solitudine questa condizione - sia le donne giovani che quelle più adulte - e non si sa come gestire questo fenomeno. Allora, cosa dobbiamo fare? Ci vuole un'azione collettiva, una denuncia pubblica contro l'odio, il sessismo e la misoginia.

Confrontandomi con altre colleghe di vari schieramenti politici, sia di maggioranza che di opposizione, e anche con persone che vivono questa condizione in altri ambiti, si è deciso per il 25 novembre di avviare una campagna online, accompagnata dall'hashtag #EIoTiPubblico, cioè “tu mi umili con le tue sconcezze e io ti pubblico”, perché non deve accadere che noi donne ci troviamo costrette a convivere con questi metodi violenti, che peraltro hanno a volte anche conseguenze devastanti, o ad uscire dai social. Vogliamo un web sicuro per tutti e tutte. Quindi, dobbiamo fare in quest'Aula anche un passo ulteriore, Presidente, perché siamo nel luogo della norma e allora non possiamo non capire che questo fenomeno va regolato, perché altrimenti una parte della popolazione si troverà estromessa.

Dobbiamo fare come in altri Paesi europei, ossia provvedere con una legge contro l'odio in rete - ci sono proposte di legge in materia - e dico a tutti e a tutte di farlo. Ognuno si deve assumere le proprie responsabilità, anche le piattaforme digitali, che a volte invece approfittano di questo. Non si può e non si deve guadagnare ferendo la dignità delle donne o soffocandone la libertà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e Alleanza Verdi e Sinistra)!

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

La rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato alla parte pomeridiana della seduta.

Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DELVICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, il Ministro per lo Sport e i giovani, il Ministro dell'Istruzione e del merito ed il Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.

Invito gli oratori ad un rigoroso rispetto dei tempi, anche considerata la diretta televisiva in corso.

(Chiarimenti in ordine alla bozza di legge quadro per l'attuazione dell'autonomia differenziata, con particolare riguardo alla prioritaria definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e al pieno coinvolgimento del Parlamento nella definizione delle possibili forme di autonomia – n. 3-00029)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interrogazione all'ordine del giorno Caso ed altri n. 3-00029 (Vedi l'allegato A).

Chiedo all'onorevole Caso se intenda illustrare la sua interrogazione o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ANTONIO CASO (M5S). Grazie, Presidente. L'autonomia differenziata, Ministro, è un tema delicato e potenzialmente molto rischioso per l'unità della nostra Nazione, però, a quanto pare, dobbiamo affidarci agli organi di stampa per conoscere qualche dettaglio - mi lasci dire inquietante - della bozza della legge quadro del Ministro Calderoli. Pare che sia previsto un limite massimo di dodici mesi dall'approvazione della legge per definire i LEP, dopodiché si farebbe ricorso in automatico al criterio della spesa storica, così come, ovviamente, non c'è alcun accenno ai fondi perequativi per le regioni meno avanzate.

Ebbene, come MoVimento 5 Stelle, Ministro, le chiediamo quale sia la posizione del Governo sulla necessità di dare, invece, priorità alla definizione dei LEP e degli strumenti perequativi prima di affrontare l'attuazione dell'autonomia differenziata. In secondo luogo, pare si voglia affidare la trattativa su competenze e risorse a una Commissione paritetica, definita dal Ministro e dalle regioni, estromettendo il Parlamento.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

ANTONIO CASO (M5S). Quindi, le chiediamo se il Governo non consideri invece imprescindibile prevedere il pieno coinvolgimento del Parlamento, anche nella definizione di queste intese.

PRESIDENTE. Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, ha facoltà di rispondere.

LUCA CIRIANI, Ministro per i Rapporti con il Parlamento. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, rispondo agli interroganti sulla base degli elementi che mi ha fornito il Ministro Calderoli, che si scusa, perché non può essere presente nella seduta odierna.

Il Ministro nominato ha dato avvio a quello che - per utilizzare le parole che il Presidente del Consiglio ha usato in sede di esposizione alla Camera del programma di Governo - è un processo virtuoso di autonomia differenziata, già avviato da diverse regioni italiane, secondo il dettato costituzionale e in attuazione dei principi di sussidiarietà e solidarietà in un quadro di coesione nazionale. È, comunque, condivisa dall'intero Governo l'esigenza di colmare l'attuale e inaccettabile divario infrastrutturale, che, peraltro, non consegue certo a una disposizione costituzionale (l'articolo 116, terzo comma) rimasta finora inattuata.

In questa cornice, il Ministro Calderoli, quindi, ha avviato una serie di confronti preliminari con le singole regioni e poi con la Conferenza delle regioni, in ossequio al principio costituzionale di leale collaborazione, un principio che il Governo intende attuare anche e soprattutto nei confronti del Parlamento, sede primaria attraverso cui si manifesta la sovranità popolare. Proseguendo lungo la scelta di metodo già avviata dai precedenti due Governi, il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie si è dunque confrontato con le regioni su una bozza di lavoro relativa a un disegno di legge di attuazione dell'articolo 116 della Costituzione, quale fase preliminare che precede l'ulteriore negoziato sulle singole intese. L'opzione per il disegno di legge di attuazione persegue un duplice obiettivo: disciplinare in modo armonico e omogeneo la procedura per il raggiungimento delle diverse intese in costante dialogo con il sistema delle autonomie territoriali e favorire il confronto parlamentare, in modo da evitare che le intese, una volta concluse, possano precludere un'attenta valutazione sui contenuti da parte delle Camere.

In merito alle preoccupazioni espresse dagli interroganti, si ritiene che esse non abbiano ragione di essere in quanto, in base alle ipotesi di lavoro predisposte dal Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, il criterio della spesa storica già sostenuta per le funzioni attribuite in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione non altera, anche ove applicato in via transitoria, fino alla compiuta determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, i LEP, la distribuzione delle risorse per le altre regioni o aree del Paese, né incide sui fondi perequativi. Nessuna regione potrà ricevere meno risorse rispetto a quelle attuali, nessuna regione potrà riceverne di più. La Commissione paritetica tra Stato e singole regioni svolgerebbe una funzione istruttoria, ai fini della definizione dell'intesa, sul cui schema preliminare - come già detto - verrebbe poi richiesto il pieno coinvolgimento del Parlamento. Le materie oggetto di intesa sono definite e indicate dall'articolo 116.

PRESIDENTE. Ministro, le chiedo scusa, ma dovrebbe concludere.

LUCA CIRIANI, Ministro per i Rapporti con il Parlamento. Chiedo scusa, ho quasi concluso.

PRESIDENTE. Prego, mi sembrava che avesse un altro foglio.

LUCA CIRIANI, Ministro per i Rapporti con il Parlamento. Chiedo ancora 30 secondi, concluderò molto velocemente. Dicevo che le materie oggetto di intesa sono sottoposte poi al negoziato con il Governo e alla valutazione del Parlamento. Non vi è dubbio che sia riservata allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e, in questa prospettiva, è volontà del Governo di introdurre misure acceleratorie per la loro determinazione entro un termine ragionevole, proprio al fine di colmare il perdurante ritardo denunciato dalla Corte Costituzionale. Si tratta, nel complesso, tanto per i LEP, quanto per l'articolo 116, di assicurare l'attuazione di disposizioni di rango costituzionale a distanza di oltre ventun anni dalla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, in conformità - e ho concluso - ai principi fondamentali, di cui all'articolo 5, che coniuga unità e indivisibilità della Repubblica con autonomia e decentramento.

PRESIDENTE. La deputata Sportiello ha facoltà di replicare.

GILDA SPORTIELLO (M5S). Grazie, Presidente. Ministro, in realtà la sua replica, che ho ascoltato con molta attenzione, non fa altro che confermare i nostri timori e le nostre paure. Il provvedimento per l'attuazione dell'autonomia differenziata, in realtà, è un punto di non ritorno per il nostro Paese; è un provvedimento che, così pensato, non fa altro che aumentare i divari e le diseguaglianze che già esistono nel nostro Paese e che, invece, in quest'Aula, dovremmo sforzarci tutti trasversalmente di combattere e non di aumentare con questo provvedimento. Un esempio su tutti: la sanità. Il nostro Servizio sanitario nazionale è un'eccellenza in tutto il mondo, eppure vediamo che spesso rimane nazionale solo su carta, perché ci sono alcune regioni in cui il diritto alla salute non è tutelato e non è garantito come in altre. Le do un dato che mi auguro possa essere di riflessione per lei e per tutto il Governo. L'Atlante per l'infanzia pubblicato da Save the Children solo qualche giorno fa riporta un dato sconcertante tra i tanti: la speranza di vita in buona salute ha un divario di più di 12 anni tra chi nasce in Calabria e chi nasce nella provincia di Bolzano. Ma è questa la priorità del Governo? È questo che vogliamo per questo Paese, soprattutto in questo momento storico? L'attuazione dei LEP deve avvenire prima che si pensi anche soltanto all'autonomia differenziata, perché il criterio della spesa storica, a cui sembrate tanto affezionati, non ha fatto altro, in realtà, che aumentare le diseguaglianze, perché dà di più a chi ha di più e lascia indietro chi non ha le possibilità di attuare determinati servizi. Ci mancherebbe anche che quelle risorse venissero abbassate ulteriormente! Sono il minimo indispensabile. Non si può parlare di autonomie, senza prima definire i LEP, senza prima parlare di fondi perequativi e senza pensare a un pieno coinvolgimento del Parlamento che, stando alle bozze, voi vorreste tenere al margine soltanto con i pareri. Il Parlamento ha tutto il diritto e fa specie che una forza politica come la vostra, che ha rivendicato la centralità del Parlamento, quando il Parlamento, invece, era centrale, adesso vuole esautorarlo da una scelta così importante che cambia l'assetto del nostro Paese.

Concludo, Presidente. Di cosa ha bisogno il Paese? Il Paese ha bisogno di combattere le diseguaglianze, di combattere i divari, di una visione unitaria che dia coesione, che non alimenti altre frammentazioni nazionali. Quindi, credo che il MoVimento 5 Stelle - e lo affermo con decisione - non sarà mai dalla parte di chi i divari e le diseguaglianze non li combatte, ma li aumenta (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

(Iniziative di competenza volte al rispetto dei diritti umani, civili e sociali nei Paesi ove sono organizzati rilevanti eventi sportivi, alla luce in particolare dello svolgimento del campionato mondiale di calcio in Qatar – n. 3-00030)

PRESIDENTE. Il deputato Grimaldi ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00030 (Vedi l'allegato A).

MARCO GRIMALDI (AVS). Grazie, Presidente. La vittoria dell'Arabia Saudita sull'Argentina fa ancora rumore senza dubbio, ma non può e non deve oscurare le gravissime violazioni dei diritti umani, civili e politici esistenti in Qatar.

Già prima dell'assegnazione dei Mondiali le organizzazioni umanitarie e sindacali avevano ribadito le condizioni di assoluta precarietà e privazione dei diritti ai quali erano sottoposti i lavoratori in quel Paese. Scegliendo questa sede, di fatto, la FIFA non poteva non prevedere il grave sfruttamento, il pericolo a cui sarebbero stati sottoposti i lavoratori utilizzati nella realizzazione delle faraoniche infrastrutture per l'evento, considerando anche che i lavoratori migranti costituiscono il 95 per cento della forza lavoro. Secondo la stessa FIFA l'evento genererà 3,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente.

Ministro Abodi, lei stesso ha riconosciuto che questi dovrebbero essere eventi sostenibili, ma le chiedo con questa interrogazione quali sono gli interventi da porre in essere affinché gli eventi sportivi siano organizzati e realizzati nel rispetto del lavoro, del riconoscimento dei diritti umani e civili e nel segno della sostenibilità.

PRESIDENTE. Il Ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi, ha facoltà di rispondere.

ANDREA ABODI, Ministro per lo Sport e i giovani. Signor Presidente, onorevoli deputati, deputate, mi sia consentito innanzitutto rivolgere un ringraziamento all'interrogante e a quest'Aula per avere immediatamente mostrato attenzione al tema della dignità lavorativa, tanto più negli eventi sportivi, che devono rappresentare certamente un elemento di comunicazione sostenibile, nella sostenibilità dei comportamenti di chi li organizza e delle scelte che riguardano il capitale umano e le infrastrutture.

Occorre consapevolezza planetaria dell'unicità di questo Mondiale con tutto quello che si porta dietro, purtroppo non solo stavolta, in termini di rispetto dei diritti umani e dei diritti civili nella costruzione degli stadi. Da questo punto di vista, è necessaria un'attenzione pratica e non predicata, perché quando parliamo di inclusività e di sostenibilità ci troviamo di fronte a concetti che devono affondare le loro radici in profonde convinzioni e non essere determinati da circostanze o convenienze.

Nel corso di un recente briefing dell'Organizzazione internazionale del lavoro, dedicato proprio al Qatar, sono state messe in evidenza alcune riforme della legislazione sul lavoro, che hanno un impatto anche rispetto alle attività portate avanti per la preparazione del Paese ai campionati mondiali; riforme che seguono quella del 2020, che ha eliminato il sistema della cosiddetta kafala, e relative al salario minimo garantito, all'introduzione dei meccanismi di coinvolgimento dei lavoratori nella vita aziendale e forme di rappresentanza, nonché una legislazione concernente morti o infortuni sul lavoro che prevede apposite forme di risarcimento economico, tema al quale l'Italia è da sempre sensibile a partire dal 1988 con l'istituzionalizzazione - lo ricordo - della Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, che si tiene nella seconda domenica di ottobre di ogni anno.

L'attenzione del Governo al tema dei diritti dei lavoratori in Qatar rimane costante e frequenti sono i contatti con gli ambasciatori dell'Unione europea per incoraggiare la piena attuazione delle riforme decise negli ultimi anni, anche attraverso il sostegno delle iniziative dell'OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) nel Paese, per potenziare le attività di formazione professionale e sensibilizzare la popolazione qatarina già durante i percorsi di studio.

Il tema della tutela dei lavoratori in Qatar è stato sollevato dall'Italia - e questo l'ho verificato anche nel confronto doveroso con il Ministero degli Affari esteri -, e da questo punto di vista il nostro impegno, anche e soprattutto per ciò che avverrà in Italia, sarà massimo. È un tema che riguarda i diritti civili ma anche quelli ambientali.

Chiudo facendo riferimento - così come ho fatto doverosamente al Senato rispondendo a un altro question time - all'evento per eccellenza che ospiteremo in Italia, con le Olimpiadi e le Paralimpiadi del 2026. Ricordo che con legge è stato istituito un Forum dedicato esclusivamente al monitoraggio della sostenibilità e del rispetto dei diritti delle persone e dell'ambiente. Su questo versante saremo pronti a riferire sistematicamente per avere aggiornamenti costanti nel tempo.

PRESIDENTE. Il deputato Grimaldi ha facoltà di replicare.

MARCO GRIMALDI (AVS). Grazie, Presidente. Non sono soddisfatto della risposta data dal Ministro perché il giro d'affari di 17 miliardi di questo grande evento rappresenta tantissimo, ma non vale la quantità di emissioni di CO2 equivalente, pari al consumo annuale dell'Islanda per otto. Non vale di sicuro la desalinizzazione dei mari, ma soprattutto non vale e non ripagherà mai tutte le violazioni dei diritti delle donne in Qatar, un Paese in cui si applica il sistema di tutela maschile.

Di sicuro non ripagherà le persecuzioni nei confronti delle persone LGBTQ che vengono ancora oggi sbattute fuori da quegli stadi, in un Paese in cui, per gli atti omosessuali tra maschi adulti e consenzienti, è prevista una pena da uno a tre anni di reclusione.

Ministro, gliela dico così: tutti quei guadagni non restituiranno mai la vita a 6.500 migranti morti sul lavoro in circa dieci anni, dodici alla settimana, e le cui famiglie non hanno ricevuto alcun risarcimento (si tratta di migliaia di indiani e pachistani). Una tragedia senza fine, come se improvvisamente in un grande stadio, un'intera curva piena di persone venisse seppellita e travolta. Per questo non possiamo stare zitti, non possiamo restituire loro la vita, ma possiamo e dobbiamo, insieme a tutti i Paesi che fanno parte della FIFA, istituire un fondo di risarcimento per tutte queste vittime e le loro famiglie, e possiamo e dobbiamo assumere l'impegno di non ripetere mai più questo genere di eventi in luoghi che non rispettino i diritti umani, civili, politici e sociali delle persone (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

(Chiarimenti e iniziative in ordine alla valorizzazione del “merito” nell'ambito della comunità scolastica – n. 3-00031)

PRESIDENTE. Il deputato Rossano Sasso ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00031 (Vedi l'allegato A).

ROSSANO SASSO (LEGA). Grazie, Presidente. Ministro Valditara, ha fatto molto discutere la nuova denominazione del Dicastero da lei guidato, dell'Istruzione e del merito, come se accostare queste due parole fosse inopportuno, fosse pericoloso; probabilmente lo è per chi ha professato per anni la scorciatoia del disimpegno e ha tollerato la mancanza di merito sia in riferimento agli studenti, sia in riferimento ai lavoratori della scuola, in particolare ai docenti. Riguardo a questi ultimi non è passata inosservata la rapidità con cui lei ha ottenuto il rinnovo del contratto per oltre un milione 200 mila lavoratori. Questo è certo un primo passo per la loro valorizzazione. Le chiediamo, a tal proposito, se ne seguiranno altri di passi che valorizzino i nostri insegnanti, i nostri lavoratori.

In riferimento poi agli studenti, in un Paese in cui purtroppo la deprivazione culturale e la dispersione scolastica sono elevate, le chiediamo cosa intenda fare e in che modo intenda dare concreta attuazione alla parola “merito” nella nostra comunità scolastica.

PRESIDENTE. Il Ministro dell'Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ha facoltà di rispondere.

GIUSEPPE VALDITARA, Ministro dell'Istruzione e del merito. Signor Presidente, gentili onorevoli, sono particolarmente grato all'onorevole Sasso per il quesito posto perché mi offre la possibilità di illustrare anche in quest'Aula le motivazioni che hanno spinto il Governo a fare delle politiche di promozione del merito uno dei suoi tratti caratterizzanti, tanto da volerlo incidere sulla denominazione e sulle stesse funzioni del Ministero di cui mi onoro di avere la responsabilità.

Il merito è un valore fondante della nostra Carta costituzionale; esso, infatti, è connaturato all'esigenza primaria di assicurare l'eguaglianza sostanziale dei cittadini ed è chiaramente affermato dall'articolo 34 della nostra Costituzione, con particolare riferimento all'istruzione. È compito della scuola, infatti, individuare, valorizzare e far emergere i talenti e le capacità di ogni studentessa e di ogni studente indipendentemente dalle proprie condizioni di partenza, affinché ciascuno possa perseguire il pieno sviluppo della persona umana. È da questa consapevolezza che nasce la sfida del merito, che dà sostanza alla parola istruzione, coinvolgendo prioritariamente le studentesse e gli studenti con i loro talenti e le loro vocazioni.

Onorevole, concordo con lei: i dati sulla dispersione sono preoccupanti e gravi sono ancora i divari di apprendimento tra i territori. Occorre, pertanto, una più incisiva personalizzazione e flessibilità dei piani di studio, che consenta di coltivare le potenzialità di tutti sostenendo i più fragili e alimentando le capacità dei più bravi anche se privi di mezzi, nonché un sistema di orientamento efficace che fornisca alle famiglie e agli studenti informazioni necessarie per effettuare scelte consapevoli.

È per questo motivo che voglio rimarcare l'importanza di due misure contenute nel PNRR sulle quali sono intervenuto da subito all'indomani della mia nomina per far sì che esse conseguano davvero gli obiettivi prefissati. Mi riferisco alla riforma del sistema di orientamento e agli investimenti in tema di contrasto della dispersione scolastica e dell'abbandono scolastico, di promozione del successo educativo e dell'inclusione sociale. È necessario, infatti, che tali misure, per poter realizzare obiettivi concreti, prevedano interventi mirati alle realtà territoriali e personalizzati sui bisogni degli studenti.

Per far ciò, tuttavia, è indispensabile tornare a sottolineare l'autorevolezza della figura del docente, che deve essere consapevole dell'alta dignità della sua professione, riconoscendo anche economicamente il suo impegno e le sue competenze. In tal senso, come da lei ricordato, abbiamo voluto dare subito un chiaro segnale politico sul tema delle retribuzioni, fondamentale per accompagnare questo processo di valorizzazione con fatti concreti.

Posso comunicare con soddisfazione che siamo riusciti a mantenere l'impegno - che avevo preso personalmente con i sindacati - di portare l'approvazione del contratto nel corso dell'ultimo Consiglio dei Ministri, per sbloccare entro Natale gli arretrati che ammonteranno a una voce media di oltre 2 mila euro per dipendente e conseguire gli aumenti di stipendio che ammonteranno a regime a una voce media di 124 euro in più a mensilità. Come già ho avuto modo di dire, non c'è merito senza dignità…

PRESIDENTE. Concluda, Ministro.

GIUSEPPE VALDITARA, Ministro dell'Istruzione e del merito. Ho quasi finito. Siamo consapevoli che si tratta solo di un primo passo di un percorso per la realizzazione di quella grande alleanza per la scuola e per il merito, che, come da lei auspicato, stiamo costruendo attraverso l'ascolto e il confronto costruttivo con i protagonisti del mondo della scuola e con tutti gli altri interlocutori istituzionali. Del resto, il dialogo è stato il principio cardine su cui ho impostato da subito la mia azione. Sono fortemente convinto che, solo attraverso una grande collaborazione tra istituzioni, parti sociali, docenti, studenti e famiglie, ognuno nel suo ruolo, la scuola possa tornare ad essere un vero ascensore sociale…

PRESIDENTE. La ringrazio.

GIUSEPPE VALDITARA, Ministro dell'Istruzione e del merito. ...che non lasci indietro nessuno.

PRESIDENTE. La ringrazio. Dobbiamo cercare di mantenerci nei tempi, le chiedo scusa, ma è fondamentale per tutti.

Il deputato Sasso ha facoltà di replicare.

ROSSANO SASSO (LEGA). Grazie, Presidente. Ministro Valditara, sono più che soddisfatto della sua risposta e immagino che lo siano un po' - ma giusto un po' - anche i docenti e il personale ATA, che finalmente hanno avuto il rinnovo del contratto e che avranno, come ha detto lei, subito, in busta paga, a dicembre, l'aumento di stipendio - circa 2 mila euro in più - e in un periodo di crisi, come quello che stiamo vivendo, non mi sembra poco. Questo è un risultato fortemente voluto dalla Lega e dal Governo di centrodestra, e ottenuto grazie a lei. Le riconosciamo il merito, Ministro Valditara: in poche settimane, ha ottenuto quello che altri, in anni e anni di battaglie, non sono mai riusciti a portare a casa.

Così come per anni, Ministro, nella nostra scuola è stato difficile parlare di merito. Ricorderete, colleghi, il 6 politico, tutti uguali, tutti promossi: una vera e propria deriva progressista, che ha penalizzato il merito, derubricandolo a peccato contro l'ideologia dell'uguaglianza, uguali a tutti i costi. Bene, dunque. La Lega, Ministro, sarà al suo fianco in questa battaglia per il merito, e lo faremo soprattutto per gli studenti che appartengono alle fasce più deboli. A che serve la scuola come ascensore sociale, se parto da zero e devo rimanere a zero, altrimenti qualcuno si sente escluso, discriminato? L'uguaglianza - come lei ha ricordato - e la parità devono insistere nelle condizioni di partenza, non in quelle di arrivo: se sono un figlio di operaio, mi impegno e mi sacrifico, merito di arrivare più in alto. Basta con la scorciatoia del disimpegno. Superiamo questo sistema, Ministro, che anestetizza i nostri giovani e i loro sogni, con la decrescita felice, con la legalizzazione delle droghe leggere, con il reddito di cittadinanza, e investiamo su chi ha voglia di crescere e su chi ha voglia di non arrendersi. Viva il merito, viva l'impegno, basta con l'ipocrisia della deriva progressista, che ci vorrebbe tutti uguali ad ogni costo, livellandoci verso il basso (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

(Iniziative volte alla omogeneizzazione delle condizioni di accesso alla gratuità dei libri di testo della scuola dell'obbligo nelle diverse aree del Paese - n. 3-00032)

PRESIDENTE. La deputata Pastorello ha facoltà di illustrare l'interrogazione Grippo e altri n. 3-00032 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmataria.

GIULIA PASTORELLA (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Signor Ministro, le famiglie italiane stanno affrontando moltissime difficoltà, tra queste proprio quella dell'acquisto dei libri di testo. Certo, si può obiettare che in Italia si usino ancora troppi libri di testo rispetto a forme di didattica alternativa, ma lasciamo da parte queste polemiche e concentriamoci piuttosto sul fatto che il sistema attuale, in cui è l'ente locale, in ultima istanza, responsabile di assicurare alle fasce più deboli un aiuto su questo fronte, si trova in fortissima difficoltà e si stanno creando situazioni disomogenee sul territorio nazionale. Oggi, persino nelle aree a maggior gettito a disposizione e con bilanci in equilibrio, numerose amministrazioni locali faticano a mantenere il livello di servizi per il diritto allo studio, proprio in ragione delle spese straordinarie che devono affrontare tra caro energia, inflazione e la coda del periodo pandemico. Il Family Act aveva previsto il potenziamento delle misure a sostegno per le famiglie meno abbienti per l'acquisto di libri, ma ora non basta.

Quindi, domandiamo se non si ritenga opportuno intervenire, nella prossima legge di bilancio, nella direzione di una omogeneizzazione delle condizioni di accesso ai libri di testo, anche aumentando le risorse nazionali destinate a questo scopo, fino a considerare l'estensione della gratuità dei libri di testo alle famiglie meno abbienti per tutta la scuola dell'obbligo.

PRESIDENTE. Il Ministro dell'Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ha facoltà di rispondere.

GIUSEPPE VALDITARA, Ministro dell'Istruzione e del merito. Signor Presidente, gentili onorevoli, il quesito posto attiene a un tema di vivo interesse per il Ministero dell'Istruzione e del merito. Al fine di inquadrare i termini della questione va premesso che, secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge n. 448 del 1998, sono i comuni a provvedere, attraverso le risorse statali, alla copertura delle spese per l'acquisto dei libri di testo per gli studenti meno abbienti delle scuole dell'obbligo e secondarie superiori. La definizione delle modalità di ripartizione di tale risorse tra i comuni spetta alle singole regioni.

Ciò premesso, rappresento che per l'anno scolastico 2022-2023 il Ministero ha ripartito tra le regioni la somma complessiva di 133 milioni di euro, con un incremento di 30 milioni di euro rispetto alla precedente annualità. Tengo a precisare che la finalità del suddetto stanziamento è proprio quella di garantire la gratuità totale o parziale dei libri di testo in favore degli alunni che adempiono all'obbligo scolastico, nonché la fornitura dei libri di testo in comodato agli studenti della scuola secondaria superiore.

Ribadisco la massima attenzione del Ministero sulla questione oggetto della sua interrogazione. L'istruzione, infatti, è un diritto universale ed è fondamentale assicurare strumenti che la garantiscano. La previsione di misure omogenee per l'accesso alla gratuità dei libri di testo è, d'altronde, un obiettivo pienamente condivisibile per sostenere il diritto allo studio e superare, così, i divari e le diseguaglianze degli studenti. Anche in ragione di ciò, desidero assicurare fin d'ora che ogni iniziativa rivolta ad incrementare le risorse destinate a tale scopo avrà il più convinto supporto di questo Governo, come tra l'altro testimoniato dai primi interventi presenti nel testo base contenuto nella legge di bilancio, finalizzati a sostenere le spese delle famiglie nell'attuale congiuntura inflazionistica e a rafforzare, in particolare, l'assegno unico per le famiglie.

Desidero precisare, tuttavia, che ancora maggiore impegno sarà necessario per la revisione del meccanismo di spesa da parte delle regioni, che da una prima analisi risulta determinare forti differenze in termini di efficacia e soprattutto irragionevoli ritardi a danno finale delle famiglie. Anche sotto questo profilo, dunque, si dovrà lavorare per semplificare la macchina amministrativa della scuola, nell'ottica della grande alleanza da me proposta anche con gli enti territoriali.

PRESIDENTE. La deputata Grippo ha facoltà di replicare.

VALENTINA GRIPPO (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Purtroppo, non possiamo dirci soddisfatti della replica del Ministro, perché non ci ha detto se e come intendano incrementare i fondi, anzi ci dice che dei 133 milioni stanziati dal Governo Draghi, per ora, non aggiungiamo nulla, ma non risponde al nostro quesito, che invece riguarda la distribuzione di queste risorse, che, ad oggi, è totalmente disomogenea: 100 milioni vengono assorbiti solo dalle elementari; ciò vuol dire che solo 33 milioni rimangono per il resto: scuole dell'obbligo, scuole medie e primo biennio delle superiori. E poi vi è una totale disomogeneità nella distribuzione geografica: andiamo dai 200 euro di alcune regioni agli 800 euro di altre, da tetti ISEE di 10 mila euro per alcune regioni a tetti ISEE di 30 mila euro per altre, e abbiamo situazioni dove, a novembre, regioni ed enti locali non hanno ancora iniziato il percorso di assegnazione.

Le chiediamo cosa intenda fare per questa disomogeneità. Noi le idee le abbiamo e gliele abbiamo rappresentate: dare attuazione al Family Act nella parte che prevede il sostegno alle famiglie per gli acquisti scolastici; ripristinare il numero massimo di pagine per libri nelle scuole primarie ed introdurlo nelle scuole secondarie; estendere alle scuole primarie il meccanismo di legame all'ISEE, che consentirebbe di fare economie da utilizzare per gli altri ordini; prevedere la detraibilità fiscale del costo dei libri; formare e stimolare gli insegnanti all'autoproduzione di materiali tecnici e digitali; e, come lei ha accennato, stabilire criteri condivisi con le regioni e gli enti locali per l'equa distribuzione di questi fondi. Non ci ha dato alcuna indicazione su questo. Naturalmente, laddove le indicazioni del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe verranno accolte, ci vedrà in Aula a sostenerle (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe).

(Intendimenti circa l'attuazione delle misure del PNRR volte a incrementare l'efficienza energetica del settore agricolo – n. 3-00033)

PRESIDENTE. Il deputato Nevi ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00033 (Vedi l'allegato A).

RAFFAELE NEVI (FI-PPE). Grazie, Presidente. Caro Ministro, noi di Forza Italia pensiamo che un obiettivo strategico per la nostra economia sia quello di rafforzare la competitività delle imprese agricole diminuendo i costi di produzione.

Sappiamo che l'agricoltura è stata colpita dalla doppia crisi delle materie prime e dell'energia, e quindi abbiamo riposto - fin dalla passata legislatura abbiamo fatto questa battaglia - grande aspettativa nei fondi del PNRR.

Noi vorremmo, in coerenza con quanto abbiamo chiesto anche nella passata legislatura, che ci sia un maggiore coordinamento tra il Ministero dell'Agricoltura e dell'Ambiente per fare in modo che queste risorse possano veramente essere al servizio dell'agricoltura, da una parte per rafforzare le imprese, dall'altra per contribuire all'autosufficienza energetica del nostro Paese. Quindi le chiediamo, su questo, un impegno in coerenza con quanto abbiamo fatto nel recente passato.

PRESIDENTE. Il Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Signor Presidente, mi permetta di ringraziare lei, di salutare quest'Aula, l'opposizione e la maggioranza, e di ringraziare il collega Nevi per avere posto, lui e il suo gruppo, una questione che mi permette di esprimere il mio convincimento sulla necessità di intervenire sulle misure previste dal PNRR in relazione agli interventi volti a migliorare l'efficienza energetica nel settore agricolo. L'obiettivo è aumentare la quota di produzione energetica da parte degli operatori del settore agricolo, in primo luogo estendendo la platea dei beneficiari della misura, ad esempio prevedendo tra questi anche gli istituti agrari, attualmente esclusi.

Occorre poi affrontare il tema dei limiti imposti dalla normativa europea sugli aiuti di Stato in agricoltura in relazione al dimensionamento degli impianti, che attualmente non può superare il fabbisogno energetico aziendale, il cosiddetto autoconsumo, nonché intervenire sulle difficoltà di accesso al credito, coinvolgendo soggetti di garanzia pubblica come Ismea o Mediocredito Centrale.

Gli interventi che abbiamo in programma potrebbero consentire di raggiungere percentuali di adesioni superiori a quelle già registrate dal gestore in relazione al primo bando, chiuso il 27 ottobre, ponendo il nostro Paese in una posizione di assoluto rilievo sul fronte dell'efficientamento energetico.

Come lei ha ricordato, c'è un problema di governance. Sono numerose le misure destinate alle aziende e agli attori del comparto agricolo, ma le competenze sono ripartite tra diversi Ministeri. Per garantire un'efficace e pronta attuazione delle misure è necessario procedere in stretta e proficua collaborazione tra i Ministri. Il comitato tecnico consultivo per i biocarburanti, che vede la presenza di vari Ministeri, può definire una sinergia idonea a rappresentare quello che può essere utile come cabina di regia e di governance per l'attuazione delle misure in senso strategico.

È inoltre opportuno che al confronto tecnico possano prendere parte anche le associazioni di categoria e di settore del mondo agricolo ed energetico, e per questo sarà mia cura promuovere, come anche lei suggerisce nel suo quesito, un contributo attivo e un confronto con le amministrazioni impegnate nell'attuazione del piano e con le associazioni rappresentative.

Per concludere, sarà mia cura interfacciarmi con il Ministero dell'Ambiente e gli altri Ministri coinvolti, al fine di farmi portavoce delle istanze del mondo agricolo e dell'agroindustria che sono di mia precipua competenza.

PRESIDENTE. Il deputato Nevi ha facoltà di replicare.

RAFFAELE NEVI (FI-PPE). Grazie, Presidente. Le parole del Ministro veramente ci tranquillizzano. È esattamente la nostra ricetta quella di andare avanti, soprattutto in sede europea, per superare anche il tema del limite all'autoconsumo, che, come sappiamo, ha prodotto una mancanza di domande che sono pervenute sulla base del bando pubblicato. E quindi, se non si va a intervenire su quel vincolo, abbiamo paura che quelle risorse non saranno spese entro i termini previsti dal PNRR.

Molto bene il coinvolgimento anche di Ismea, lo abbiamo citato anche noi nell'interrogazione. Siamo convinti che, soprattutto in questo momento particolare, dove aumentano i tassi di interesse, sia assolutamente necessario assicurare agli agricoltori un supporto per quanto riguarda le garanzie. E, poi, molto bene in ordine a quanto da noi auspicato sulla governance tra i Ministri, e in particolare con il Ministero dell'Ambiente, se è vero, come è vero, che lì ci sono un po' di ritardi, soprattutto sul bando dell'agrivoltaico e sul bando per la trasformazione degli impianti di biogas in biometano.

Sappiamo perfettamente che quello è un pezzo fondamentale della transizione ecologica, non solo energetica, dei nostri allevamenti, che sono per noi un patrimonio inestimabile del nostro Paese e che sono da salvaguardare; bisogna necessariamente aumentare la loro competitività in un momento in cui, purtroppo, c'è una crisi di materie prime che ha fatto schizzare i prezzi dei mangimi.

Quindi, grazie e buon lavoro. Forza Italia la supporterà in questa direzione e speriamo che si acceleri molto rispetto anche agli ultimi momenti della legislatura (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

(Iniziative di competenza volte a salvaguardare la cultura alimentare italiana, con particolare riguardo alla necessità di scongiurare la produzione e commercializzazione della carne “sintetica” – n. 3-00034)

PRESIDENTE. Il deputato Bicchielli ha facoltà di illustrare l'interrogazione Lupi ed altri n. 3-00034 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.

PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, Presidente. Signor Ministro, la cultura alimentare rappresenta una tradizione imprescindibile del nostro Paese, che deve essere tutelata anche presso le istituzioni comunitarie. La carne coltivata, nota anche come carne sintetica o artificiale, è un prodotto ottenuto dalla raccolta di cellule muscolari animali, che vengono poi poste in un bioreattore e alimentate con proteine per favorire la crescita dei tessuti.

Lei ha dichiarato recentemente: “Finché saremo al Governo sulle tavole degli italiani non arriveranno cibi creati in laboratorio”. Inoltre, ha affermato che il Governo è contrario al cibo sintetico e artificiale. Nel frattempo, però, negli Stati Uniti d'America è stato autorizzato l'avvio della produzione di pollo sintetico e, in Europa, il progetto Feed for Meat mira a rafforzare ulteriormente la sostenibilità della catena del valore dell'agricoltura cellulare.

Le chiediamo pertanto, signor Ministro, quali iniziative intenda prendere per scongiurare la produzione e la commercializzazione di carne coltivata, sintetica o artificiale, non solo con riguardo alla legislazione italiana, ma anche in tutte le sedi comunitarie e internazionali.

PRESIDENTE. Il Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Signor Presidente, colleghi, come lei ha avuto modo di sottolineare e noi di fare, puntualizziamo che il Governo è fortemente contrario a ogni produzione e finanziamento di cibo artificiale e sintetizzato in laboratorio.

Come Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, è mia ferma intenzione contrastare in ogni sede questo tipo di produzioni, che rischia di spezzare il legame millenario tra agricoltura e cibo.

Ritengo che il cibo sintetico rappresenti un mezzo pericoloso per distruggere ogni legame del cibo con la produzione agricola e con i diversi territori, cancellando ogni distinzione culturale, spesso millenaria, nell'alimentazione umana, e proponendo un'unica dieta omologata, con gravissime ricadute sociali sui produttori agricoli.

Il nostro Paese sarà in prima linea per difendere il cibo naturale, che è uno dei punti di forza del made in. Quest'anno, secondo le previsioni del Ministero, raggiungeremo la soglia record di esportazioni di 60 miliardi di euro; un valore che dobbiamo proteggere e rafforzare da tutti i tentativi di omologazione, di cui il cibo sintetico rappresenta l'apice e la forma più estrema.

La nostra contrarietà è: dal punto di vista ambientale, tenuto conto che gli impianti che lei ricordava hanno forti emissioni prodotte dai bioreattori; dal punto di vista sociale, visto che rischiamo di desertificare la produttività dei nostri territori, dove allevamenti e imprese agricole rappresentano la prima forma di presidio e di custodia del territorio, anche rispetto al dissesto idrogeologico, una delle criticità di questo tempo; dal punto di vista sanitario, visto che non esistono studi consolidati sugli effetti del cibo sintetico sulla salute.

Confermo, quindi, il mio personale impegno nel ribadire in ogni sede questa posizione. In questi giorni, infatti, si sta discutendo della posizione in Europa relativamente al finanziamento delle aziende, con soldi degli europei, che sviluppano il cibo sintetico. Proprio in quella sede l'Italia sta manifestando la sua ferma opposizione all'immissione sul mercato di un prodotto che ho difficoltà a definire carne, latte e pollo, poiché attribuisco un valore qualitativo alla produzione degli alimenti, che non è solamente un asettico processo di riproduzione cellulare, che prima lei ha ricordato e sottolineato.

In centinaia di comuni italiani, in diverse regioni, dalla Campania ieri alle Marche, si sono già svolte discussioni su questo tema, che, in alcuni casi, hanno portato all'approvazione di ordini del giorno che esprimono la nostra stessa contrarietà alla diffusione di cibo sintetico e impegnano ad adottare, in modo trasversale alle forze politiche, ogni misura per opporsi a tale deriva.

Concludo. Con questa scelta, si difende l'ambiente, la salute e molto altro che vorrei sintetizzare nella difesa della civiltà dai nuovi barbari, che agiscono in nome di una cultura che non ha nulla a che fare con il progresso e che rischia di cancellare la nostra tradizione e il nostro modello di sviluppo.

PRESIDENTE. Il deputato Lupi ha facoltà di replicare.

MAURIZIO LUPI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, signor Presidente. Signor Ministro, dico, anche a nome del nostro gruppo Noi Moderati, che siamo soddisfatti della sua risposta, anche perché la chiarezza di una posizione politica dovrebbe essere innanzitutto un pregio per tutti i rappresentanti politici qui in questo Parlamento. È un dovere per la nostra maggioranza di centrodestra, che, dopo dieci anni, è stata eletta dagli italiani con una maggioranza a governare il Paese.

Questo che le abbiamo posto non è un tema semplicemente astratto, perché mette in gioco non solo la cultura, le tradizioni e le eccellenze del nostro Paese, ma proprio un'idea e una visione di società. Non è un caso quello che sta accadendo. Infatti, mentre ci trovavamo all'ONU a parlare della dieta mediterranea, contemporaneamente - è il dato che ci ha molto preoccupato e per questo dobbiamo tenere molto alta la guardia -, un rapporto di McKinsey dice che gli investitori che ci sono dietro alla produzione di cibo sintetico hanno investito 25 miliardi di dollari non per la ricerca, ma per tenere il tono basso, cioè per non parlare di quello che si sta facendo.

Questo è il più grande pericolo per le democrazie, perché l'informazione, la conoscenza, la capacità di giudicare da parte dei Parlamenti e dei Governi e di indicare una strada è la massima espressione di una libertà. Ci vengono dette cose che non corrispondono alla verità. Non le ripeto per il poco tempo, ma concordiamo con tutto quello che lei ha sottolineato. Diciamo che la carne sintetica sarà il primo passo, se non alziamo la guardia tutti, per l'olio sintetico e per il vino sintetico, cioè per tutto ciò che è investimento in ricerca non a favore dell'uomo, ma a favore della speculazione.

PRESIDENTE. Concluda.

MAURIZIO LUPI (NM(N-C-U-I)-M). Concludo. Il secondo appello che le facciamo - e lo faccio a nome di tutto il gruppo Noi Moderati - è di tenere, questo Governo e lei, la guardia alta in Europa. Quello che sembra non c'entrare con il cibo sintetico, invece, rischia di diventare il cavallo di Troia per far passare il cibo sintetico nel nostro Paese. Mi riferisco al Nutri-Score, cioè a quel semaforo, giallo, verde, rosso, bianco eccetera, che dice…

PRESIDENTE. Deve concludere, deputato Lupi.

MAURIZIO LUPI (NM(N-C-U-I)-M). …che se un cibo è buono - e concludo; lo dico anche per chi ci ascolta -, allora ha il semaforo verde. Se, per esempio, l'olio è prodotto, invece, secondo criteri ambientali, quello è contro la salute.

PRESIDENTE. Grazie. Deve chiudere!

MAURIZIO LUPI (NM(N-C-U-I)-M). Noi Moderati ha sottoscritto l'appello di Coldiretti e, a nome di tutta la maggioranza di centrodestra del Parlamento le chiediamo - ma sappiamo che lei difenderà questo - di continuare in questa battaglia (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC, Italia al Centro)-MAIE e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

(Iniziative per l'urgente ricostituzione del Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale, anche in relazione all'emergenza dovuta alla proliferazione dei cinghiali – n. 3-00035)

PRESIDENTE. Il deputato Vaccari ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00035 (Vedi l'allegato A).

STEFANO VACCARI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Signor Ministro, onorevoli colleghi e colleghe, le ragioni di questa interrogazione sono scritte nei fatti di cronaca e negli accadimenti, ancorché drammatici, che hanno riguardato persone e territori a causa della presenza abnorme della specie cinghiale. Sono i numeri a dettare l'emergenza e l'urgenza di decisioni rapide e risolutive, anche attraverso specifici atti normativi. Si stima che nel nostro Paese ci siano 2,3 milioni di cinghiali che stanno producendo gravi danni alle colture, alle produzioni di eccellenza, alla biodiversità e all'incolumità delle persone.

Anche per questo le chiediamo la riattivazione del Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale, previsto dalla legge n. 157 del 1992, perché, a nostro parere, l'emergenza cinghiali e il Comitato tecnico sono facce della stessa medaglia. Quel Comitato è l'organo tecnico-consultivo-operativo coordinato dal Ministero e ne fanno parte i rappresentanti dello Stato, delle regioni, delle province, l'ISPRA, le associazioni venatorie ambientaliste, le organizzazioni agricole e anche altri enti, ma ormai da anni non viene costituito e riunito. In quella sede, per competenza, potrebbero essere verificate le problematiche in essere anche in ordine all'applicazione della legge n. 157 del 1992…

PRESIDENTE. Concluda.

STEFANO VACCARI (PD-IDP). …e a valutare e avanzare proposte, sia per rispondere all'emergenza, sia per apportare i giusti correttivi alla normativa.

Per queste ragioni, signor Ministro, le chiediamo di conoscere le sue valutazioni e le scelte che intende fare il Governo.

PRESIDENTE. Il Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Intanto ringrazio il collega Vaccari, perché è un argomento che ci interessa molto e non da oggi. Prima di entrare nello specifico quesito posto dall'interrogante, ritengo opportuno ricordare a tutti noi che siamo di fronte a un'innegabile emergenza sanitaria - che il collega Vaccari ha sottolineato - che causa enormi danni all'incolumità pubblica e al sistema sanitario e che riguarda evidentemente anche il benessere di altri animali, nonché enormi danni alle attività economiche, soprattutto nelle aree rurali. Il nostro Paese è invaso da un numero di cinghiali che lei ha sottolineato essere più di 2 milioni, anche se non esistono cifre precise sulla popolazione dei cinghiali. Oltre ai continui episodi di danneggiamento delle colture e delle infrastrutture agricole, vi è il rischio che, per l'accertata presenza di animali infetti, si debbano adottare misure sanitarie di contenimento delle infezioni che prevedano l'abbattimento dei suini a migliaia nel raggio di diversi chilometri, con rilevante pregiudizio per la filiera agroalimentare e per l'occupazione in un settore strategico del made in.

Occorre modificare l'articolo 19 della legge n. 157 del 1992, prevedendo la semplificazione delle procedure per l'adozione dei piani di abbattimento approvati dalle regioni, adottando disposizioni per l'attuazione dei piani in maniera rapida ed efficace. Su questo tema, abbiamo avuto contatti con l'ISPRA e con il Ministero dell'Ambiente e, nell'immediato, abbiamo organizzato una cabina tecnica di confronto, per arrivare alla proposta di modifica normativa.

Con riguardo allo specifico quesito posto dall'interrogante, ricordo che, ai sensi della legge n. 157 del 1992, il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale rappresenta un organo tecnico consultivo (lei, però, lo ha già puntualmente descritto e, quindi, vi risparmio l'ulteriore descrizione). Ma ricorderà che questo organismo fu soppresso nell'ambito della spending review nel 2012, cioè 9 anni fa. L'emergenza dei cinghiali, da allora, è andata ad aumentare, anche se non sono queste le esclusive competenze del Comitato.

Riteniamo che le misure di contenimento degli ungulati debbano essere costantemente aggiornate e ridefinite a seconda dei dati forniti dal monitoraggio dell'entità della popolazione e dello spostamento della stessa sul territorio nazionale, al fine di renderla omogenea e non in grado di pregiudicare, come la “direttiva Habitat” prevede, le attività umane. A tal fine, come affermato dagli onorevoli interroganti, il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale potrebbe tornare ad essere un utile presidio per la definizione delle misure di contenimento.

Chiudo. È mia intenzione intervenire con un progetto di legge in sede di collegato alla legge di bilancio che, al pari di quanto è avvenuto per altri organismi collegiali operanti in altri settori altrettanto strategici, consenta di ricostruire il predetto Comitato tecnico. Auspichiamo che, in fase di bilancio, ci sia il sostegno delle forze politiche, che hanno il nostro stesso obiettivo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Il deputato Vaccari ha facoltà di replicare.

STEFANO VACCARI (PD-IDP). Grazie. Signor Ministro, prendiamo atto positivamente della risposta che ha dato alla nostra interrogazione, perché riteniamo che questo tema debba essere affrontato anche nelle forme e nei modi che lei ha suggerito. Su questo punto, avremo modo di discutere, visto che su questa questione già gli assessori regionali all'agricoltura di tutte le regioni italiane, anche nella precedente legislatura, avevano chiesto misure attuative di sblocco attraverso un decreto interministeriale di competenza dei tre Ministeri - dell'Ambiente, della Salute e dell'Agricoltura - che, in sede di Conferenza delle regioni e delle province autonome, aveva già avuto una prima approvazione, ma poi non ne abbiamo più saputo nulla. Quindi, su questo, si potrebbe riprendere quel percorso e quella condivisione, anche perché, se vogliamo parlare di transizione ecologica, non possiamo non considerare i grandi temi della biodiversità e della tutela della gestione della fauna selvatica.

Dunque, per questo motivo, anche per noi è importante la riattivazione di questo Comitato tecnico faunistico-venatorio come luogo di incontro e di riflessione tra tutti i portatori di interesse, la ricerca scientifica e le istituzioni a tutti i livelli, perché, in quella sede, si possano e si debbano esaminare le criticità, i risultati e anche le proposte da offrire alla successiva valutazione del legislatore.

L'Italia è ai vertici europei come tasso di biodiversità e ovviamente il proliferare di una specie rispetto ad altre mette seriamente in discussione questo primato.

Non è solo un dovere civico difendere la biodiversità ma anche economico, perché evoca bellezza, paesaggio e buona gestione, ma è anche un valore economico e la prerogativa della nostra legge, con il principio cardine della legge n. 157 del 1992, è un tema sul quale possiamo continuare a dialogare e a riflettere insieme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

(Iniziative di competenza, in particolare in sede europea, per un sistema di etichettatura dei prodotti alimentari idoneo a tutelare la salute dei consumatori e il settore agroalimentare nazionale – n. 3-00036)

PRESIDENTE. Il deputato Cerreto ha facoltà di illustrare l'interrogazione Foti ed altri n. 3-00036 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.

MARCO CERRETO (FDI). Grazie, signor Presidente. Onorevole Ministro, tra le proposte legislative in sede unionale, al fine di novellare e armonizzare il sistema dell'etichettatura, è al vaglio un nuovo sistema denominato Nutri-Score, sviluppato in Francia, che identifica i valori nutrizionali di un prodotto alimentare della stessa categoria, considerando quantità fisse pari a 100 grammi di prodotto, utilizzando due scale correlate: una cromatica, divisa in cinque gradazioni di colore dal verde al rosso, e una alfabetica, dalla lettera A alla lettera E.

Illustri nutrizionisti italiani con fermezza hanno valutato negativamente il Nutri-Score perché poco chiaro. Facendo un esempio pratico, il Nutri-Score considera l'olio d'oliva un cibo meno sano di bevande di produzione industriale gassate e zuccherate, fornendo ai consumatori un'informazione inesatta. Ove adottato, il Nutri-Score determinerebbe certamente un'ingiusta penalizzazione di numerosi prodotti agroalimentari italiani. Pertanto, in un settore di eccellenza del Paese, vedrebbe danneggiato quasi l'80 per cento dei prodotti a denominazione di tutela, come DOP e IGP.

PRESIDENTE. Concluda.

MARCO CERRETO (FDI). Si chiede, quindi, di sapere quali iniziative di competenza ella intenda adottare in sede unionale, per evitare l'adozione del Nutri-Score a causa degli effetti dannosi che arrecherebbe alla salute dei consumatori e al sistema produttivo agroalimentare nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Il Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Ringrazio il collega Cerreto e tutto il gruppo che ha presentato questa interrogazione a risposta immediata. È stato richiamato il problema del Nutri-Score. Dico “problema” e vado a definirne le ragioni. La tematica evidenziata dall'onorevole interrogante riveste una rilevanza strategica per il sistema agricolo e agroalimentare italiano. L'applicazione del Nutri-Score produrrebbe effetti discriminatori verso le eccellenze alimentari, condizionando i consumatori e indirizzandoli, come molte multinazionali auspicano - noi riteniamo che questo sia lo scopo di tale provvedimento -, verso dinamiche di mercato, in aperto contrasto con i criteri che hanno permesso di iscrivere la dieta mediterranea nella lista del patrimonio culturale immateriale dell'UNESCO. Basti pensare che sarebbero qualificati come insalubri prodotti di assoluta eccellenza. Lei ha citato l'olio e io cito il parmigiano.

A tal fine, in occasione della mia partecipazione all'Agrifish, il Consiglio dell'Agricoltura e della pesca dell'Unione europea del 21 novembre scorso, ho voluto trattare il tema proprio per esprimere la nostra contrarietà assoluta al Nutri-Score. Al commissario europeo dell'agricoltura e ai miei omologhi di Spagna, Austria, Polonia e Francia - anche la Francia -, ho esplicitato che la nostra contrarietà è ferma ed è stata sostenuta da atti parlamentari approvati all'unanimità. Ho chiesto, inoltre, di costruire un percorso insieme per valutare, su questa nostra richiesta e su altre proposte comuni, una strategia a difesa dei prodotti di qualità e del modello agricolo italiano ed europeo, che rappresenta a livello mondiale un modello di eccellenza per la produzione e anche per la sostenibilità.

Essere contrari al Nutri-Score non significa certamente essere contrari ad informare il consumatore. È per questo che vogliamo contribuire a proporre uno strumento che garantisca un'informazione altrettanto rapida, ma ben più completa riguardo ai singoli prodotti, al loro modello produttivo e alla loro qualità reale.

Lo strumento che proporremo, lungi dal favorire alcuni modelli o addirittura alcune aziende, sarà dunque più chiaro e approfondito per il consumatore e consentirà di compiere - è l'obiettivo di questi strumenti - una scelta consapevole. Difenderemo in Europa la visione strategica italiana e lavoreremo per costruire un'Europa più forte - questo è certamente un obiettivo -, ma in grado di favorire i prodotti di qualità, che costituiscono il pilastro fondamentale per la nostra economia e, se mi permettete, anche per la nostra cultura (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la deputata Caretta.

MARIA CRISTINA CARETTA (FDI). Grazie, Presidente. Grazie, Ministro, mi dichiaro assolutamente soddisfatta della risposta. Sono lieta, finalmente, di aver potuto constatare in modo evidente l'impegno delle nostre istituzioni nel tutelare il nostro comparto agroalimentare e, conseguentemente, il nostro interesse nazionale.

A domanda precisa è seguita una risposta puntuale, da parte di un Ministro di un Governo patriota, nato con l'intento unico di operare nell'interesse dei cittadini e delle nostre eccellenze agroalimentari, che - dobbiamo sempre sottolineare e mai dimenticare - rappresentano uno dei punti di forza del made in Italy in tutto il mondo.

Il Nutri-Score è uno strumento che non garantisce la tutela dei consumatori, anzi tende deliberatamente a confonderli, con l'obiettivo palese di mettersi al servizio degli interessi delle grandi lobby francesi e, nello stesso tempo, di mettere in difficoltà la nostra produzione agroalimentare.

Come Fratelli d'Italia, saremo sempre dalla parte di un Governo che mette i consumatori e i cittadini al primo posto. Grazie, quindi, Ministro, per questa risposta. Le auguriamo un buon lavoro: noi saremo sempre al suo fianco (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.

Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 16,10.

La seduta, sospesa alle 16, è ripresa alle 16,15.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 58, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Come già preannunciato nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo dello scorso 16 novembre e comunicato questa mattina, a partire dalla seduta odierna, a ciascun deputato è stato assegnato uno specifico posto nell'emiciclo, sulla base delle indicazioni del presidente del gruppo parlamentare di appartenenza.

Ad ogni posto corrisponde una postazione di voto che, al fine di garantire un ordinato svolgimento dei lavori, potrà essere attivata unicamente dal deputato cui sarà assegnato il posto, tramite il proprio tesserino di votazione.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 16,18).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Seguito della discussione delle mozioni Ascari ed altri n. 1-00004, Polidori, Varchi, Bisa, Lupi ed altri n. 1-00005, Richetti ed altri n. 1-00015, Zanella ed altri n. 1-00017, Serracchiani ed altri n. 1-00018 e Gebhard e Schullian n. 1-00019 concernenti iniziative per l'eliminazione della violenza contro le donne.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Ascari ed altri n. 1-00004, Polidori, Varchi, Bisa, Lupi ed altri n. 1-00005 (Nuova formulazione), Richetti ed altri n. 1-00015, Zanella ed altri n. 1-00017, Serracchiani ed altri n. 1-00018 e Gebhard e Schullian n. 1-00019 concernenti iniziative per l'eliminazione della violenza contro le donne (Vedi l'allegato A).

Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è svolta la discussione sulle linee generali nell'ambito della quale è stata presentata la mozione Gebhard e Schullian n. 1-00019.

Avverto che è stata testé presentata una ulteriore nuova formulazione della mozione Polidori, Varchi, Bisa, Lupi ed altri n. 1-00005 che è stata sottoscritta, tra gli altri, anche dai deputati Serracchiani, Richetti, Zanella e Gebhard, che ne diventano, con il consenso degli altri sottoscrittori, rispettivamente, il terzo, il quinto, il sesto e l'ottavo firmatario. Il relativo testo è in distribuzione.

Contestualmente, le mozioni Richetti ed altri n. 1-00015, Zanella ed altri n. 1-00017, Serracchiani ed altri n. 1-00018 e Gebhard e Schullian n. 1-00019 sono state ritirate dai rispettivi presentatori.

(Intervento e parere del Governo)

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo ha facoltà di intervenire, esprimendo, altresì, il parere sulle mozioni presentate.

EUGENIA ROCCELLA, Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità. Grazie, Presidente. Ringrazio intanto le deputate e i deputati che sono intervenuti, perché hanno alimentato un dibattito ricco, in cui mi auguro che gli uomini che sono stati presenti siano sempre più coinvolti e presenti.

Il femminicidio, su cui sono stati offerti anche in quest'Aula dati spaventosi, è la punta dell'iceberg di una situazione più ampia di violenza contro le donne che si fonda sulla relazione di potere uomo-donna, quella che un Papa, non una femminista, cioè Benedetto XVI, ha definito la perversione del dominio di un sesso sull'altro. Come donne, abbiamo percorso un lungo cammino; a livello nazionale e internazionale, sono stati messi in campo molti strumenti per contrastare i fenomeni di violenza, perché le donne possano essere libere di lavorare, di vivere, di uscire la sera - ricordo il vecchio slogan “Riprendiamoci la notte” -, libere di essere e non essere madri, libere di essere, insomma, sé stesse, protagoniste della propria vita, senza paura, senza sentirsi minacciate o figlie di un dio minore.

Le donne, spesso, vengono viste e dipinte come vittime e lo sono, ovviamente, sono vittime della violenza maschile, ma le donne sono forti, sono in grado di ribellarsi, insomma non sono vittime predestinate, devono, quindi, far emergere la propria forza, esprimerla, e il compito della politica e della società in generale è non farle sentire sole in questa ricerca di libertà. Per battere la logica del dominio di un sesso sull'altro bisogna rispettare e valorizzare la differenza sessuale, che è la differenza che struttura il gruppo umano, la comunità umana. La differenza, nella storia, è stata usata come strumento di oppressione, discriminazione, subalternità, oppure è stata ignorata, costretta dentro gli schemi maschili di una società costruita sui tempi e gli spazi maschili.

Una ex ministra norvegese che è stata, credo, la prima a portare il figlio in Aula e ad allattarlo in Aula - tra l'altro, sono felice che questa possibilità adesso sia prevista anche alla Camera dei deputati - ha ribadito che c'è ingiustizia quando persone uguali vengono trattate in modo diverso, ma anche quando persone diverse vengono trattate in modo uguale. Per avere più giustizia, quindi, la differenza va rispettata, considerata e valorizzata e credo che sia proprio, qui, in una cultura che valorizzi la differenza sessuale, la leva con cui scardinare la cultura della violenza, del rapporto di potere.

La differenza sessuale è iscritta nel corpo e bisogna garantire l'inviolabilità e la libertà dei corpi femminili. Oggi, abbiamo vecchie forme di potere patriarcale, di discriminazione e prevaricazione che si sovrappongono a forme nuove, più subdole e insidiose, a nuovi dispositivi di potere, come la frantumazione del corpo materno, la sua immissione sul mercato o la difficoltà a nominarsi come donne, e abbiamo visto che turbine di accuse si è scatenato contro una scrittrice famosa, come la Rowling, per aver affermato semplicemente questo, che non rinunciava a nominarsi come donna, alla parola donna, invece che altre definizioni come persona con l'utero. Sono nuovi i fenomeni su cui sarebbe bene allargare il dibattito, ma questi nuovi pericoli si sommano alla violenza più antica ed estrema. Domani, si terrà un incontro sugli stupri di guerra in Ucraina organizzato dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e dal Dipartimento per le Pari opportunità e voglio ricordarlo qui, perché gli stupri di guerra sono un'arma vera e propria, che apparenta il possesso violento del corpo femminile a quello del territorio e crea ferite terribili e odi insanabili. Dalla parte opposta, oggi abbiamo la coraggiosa e incredibile ribellione delle giovani iraniane che più volte è stata citata in quest'Aula; una rivolta - voglio sottolinearlo - non violenta, come sempre sono le donne quando si ribellano, e creativa, ma soprattutto tenace, nonostante la repressione sia feroce, estremamente dura.

A noi europee serve meno coraggio, ma anche nelle democrazie mature, avanzate, dobbiamo agire per sviluppare percorsi in parte già tracciati e in parte da immaginare, da pensare, e vigilare sulle nuove minacce alle nostre libertà di donne. In quest'Aula, credo che siamo tutti convinti sull'importanza di trovare su questi temi la massima condivisione, concentrandosi sugli obiettivi comuni. Come Governo, abbiamo incrementato i fondi per i centri antiviolenza e le case rifugio e il fondo contro la tratta; ci impegniamo ad attuare la legge n. 53 del 2022 sulla raccolta dei dati statistici sulle violenze, perché, per costruire politiche di prevenzione è fondamentale avere notizie tempestive di atti di violenza che possono sfociare in delitti più gravi. Rafforzeremo il ricorso ai braccialetti elettronici e ci impegneremo nella formazione di operatori, Forze dell'ordine, medici e assistenti sociali, perché siano adeguatamente preparati ad accogliere le donne vittime di violenza, per evitare nuovi traumi. Vogliamo ampliare le azioni di propaganda del numero verde antiviolenza, il “1522”, molto importante, e stiamo cercando di rendere anche lo spot sul “1522” non più occasionale, ma ripetuto nel tempo. Abbiamo già in atto un accordo con Poste Italiane per una locandina e avvisi luminosi nelle 15 mila sedi di Poste, quindi, una distribuzione capillare e vogliamo ringraziare la presidente Maria Bianca Farina per la disponibilità e partecipazione dimostrata.

Il 24 sera, Palazzo Chigi sarà illuminato di rosso, che è il colore simbolo della Giornata contro la violenza, proiettando però quest'anno i nomi, che sono tanti, troppi, delle donne uccise nell'ultimo anno, in un'iniziativa che abbiamo chiamato: Illuminiamole. Ricordo anche, perché è stato citato il problema in alcune mozioni, che per evitare la dispersione delle risorse già destinate ai centri antiviolenza e alle case rifugio, da quest'anno agiremo per recuperare i fondi inutilizzati per reinvestirli nello stesso scopo.

Questo Governo, che non a caso è presieduto da una donna, si impegnerà a fondo contro la violenza sulle donne. E ringrazio i gruppi parlamentari degli sforzi fatti per arrivare a una mozione unitaria, perché, per contrastare la violenza, che ci coinvolge tutti, l'unità, la condivisione sono preziose.

Per quanto riguarda i pareri sulle mozioni: sulla mozione Polidori, Varchi, Serracchaini, Bisa, Richetti, Zanella, Lupi, Gebhard ed altri n. 1-00005 (Ulteriore nuova formulazione), parere favorevole; sulla mozione Ascari ed altri n. 1-00004, il Governo si rimette all'Assemblea.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.

Ricordo che, come convenuto in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, è stata disposta la ripresa televisiva diretta delle dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto.

Ha chiesto di parlare la deputata Renate Gebhard. Ne ha facoltà.

RENATE GEBHARD (MISTO-MIN.LING.). Grazie, Presidente. Ogni violenza nei confronti delle donne, qualunque sia e per ogni singola donna che ne è vittima, impone l'impegno a rafforzare la legislazione esistente. Non vi sono distinzioni e non vi sono attenuanti. Maggiore ne è la consapevolezza, minore è e sarà la disparità di genere, che è alla base delle molteplici forme di violenza che hanno origine nella discriminazione delle donne.

In questa prospettiva, i diritti delle donne a non essere discriminate comportano il dovere di tutelare e prevenire, impedire ed opporsi nei casi in cui la violenza sia posta in essere, ritenendo tali reati e tali violenze per ciò che sono: una drammatica condizione strutturale che va affrontata come tale. È la Convenzione di Istanbul a definirla così e a classificarla a livello dei diritti umani, ma gli interventi normativi non bastano: la violenza di genere è un problema culturale. Serve informare e sensibilizzare ancora di più, serve il coinvolgimento anche o, meglio, soprattutto, degli uomini, iniziando già nella scuola ad affrontare le cause.

Sono i dati terribili e sempre più gravi dei reati contro le donne a confermare come le misure di contrasto alla violenza e al femminicidio possano essere applicate ed efficaci a condizione che siano tempestive, in grado di intervenire e prevenire le fattispecie di reato esistenti e capaci di definire un quadro normativo non soltanto dettato da logiche emergenziali. Quanta fatica e quante lotte sono state rese necessarie per arrivare a dove siamo adesso e quanti impegni saranno fondamentali per introdurre un'estensione delle tutele per le donne vittime di violenza nel lavoro, nella società, nell'assenza di misure che possano incentivare aspettative, autonomia e affermazione delle donne, perché le cifre attuali dimostrano come le norme attuali non siano sufficienti a prevenire con efficacia i molteplici casi di violenza.

Le mozioni oggi al nostro esame impegnano a proseguire e a rafforzare le politiche di contrasto alla violenza di genere, che comprende tutti gli atti di violenza che provocano o potrebbero provocare danni, sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche ed economiche, così come a prevedere, vista la stretta correlazione, ulteriori iniziative legislative a favore della parità di genere quale dimensione strategica oggi del PNRR e, in prospettiva, delle politiche sociali ed economiche da promuovere e rafforzare.

È importante, dunque, che il confronto parlamentare abbia portato a una mozione unitaria, che ho sottoscritto, un consenso quasi unanime di tutti i gruppi parlamentari per un obiettivo che non ammette contrasti di parte.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Semenzato. Ne ha facoltà.

MARTINA SEMENZATO (NM(N-C-U-I)-M). Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, signori del Governo, la violenza sulle donne è una violenza meschina, vigliacca, subdola e silenziosa, è un pugno in faccia quando non te lo aspetti, senza preavviso, è una tirata di capelli repentina. È una spallata, uno spintone, uno schiaffo, uno sputo, un'offesa verbale ripetuta ad oltranza a colpire la propria autostima. È un “no” ripetuto, ripetuto e ripetuto, che diventa, invece, violenza sessuale. È una gonna troppo corta, un tacco troppo alto, un rossetto troppo rosso, un bicchiere di vino in più, che diventano squallida legittimazione a usare violenza. È una mano che ti ferisce a morte, è la mano di un uomo che uccide una donna, è la testa malata di un uomo che uccide una donna, di un compagno, di un marito, di un amico, di un fratello, di un padre. Sono l'abitudine, la rassegnazione, la vergogna, il silenzio, anche il nostro silenzio, quello delle istituzioni, la mancanza di indipendenza mentale ed economica che uccidono una donna. Essere donna è un'impresa spesso mortale, devi lottare con chi ti vuole come fa comodo a lui.

Dall'inizio dell'anno ad oggi, nel nostro Paese sono stati registrati 273 omicidi, di cui 104 a danno delle donne: 88 di loro hanno trovato la morte in ambito familiare ed affettivo, 52 per mano di uomini che avrebbero dovuto amarle quelle donne. Questo dato evidenzia quanto, purtroppo, la sfera intima diventi troppo spesso luogo di pericolo e non di protezione ed è in questo senso che andava la risoluzione delle Nazioni Unite che ha istituito la Giornata del 25 novembre contro la violenza di genere, precisando la definizione della violenza contro le donne come qualsiasi atto che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali e psicologiche alle donne e riscontrandone l'origine - e vorrei fissare su ciò l'attenzione - nelle relazioni di potere storicamente ineguali fra i sessi.

Non bastano, però, una data, scarpette rosse, post buonisti a beneficio dei social: la violenza sulle donne va ricordata e combattuta tutti i giorni, in famiglia, nel lavoro, nella vita quotidiana, attraverso azioni concrete. Equilibrio e parità di genere sono la via necessaria ad estirpare le cause della violenza in tutti gli ambiti. Bisogna agire a più livelli, in primis, sulla capacità di azioni tempestive.

Punto focale per Noi Moderati, fortemente voluto e promosso, è rafforzare la rete di intervento nei casi di violenza, riconoscendo la centralità degli enti locali, in un sistema di coordinamento di area vasta, per poter essere sentinelle costanti e continue, pronte ad intervenire immediatamente ai primi segnali ed avvisaglie di violenza sulle donne.

La rete territoriale è fondamentale nella gestione dei casi di violenza di genere: basti pensare che il 74,6 per cento delle segnalazioni al servizio “1522” viene indirizzato verso il servizio territoriale, agevolando l'iter e la fornitura di dispositivi elettronici - quindi, cavigliere e braccialetti elettronici - anche ai fini preventivi per gli autori di violenza e per garantire, invece, la libertà di movimento delle vittime, che spesso viene limitata.

Gli uomini che commettono violenza sulle donne sono mostri e come tali devono essere trattati, limitati e arginati, annoverando la violenza di genere tra i reati comunitari. Questo permetterebbe di equipararla a crimini come il terrorismo, la tratta degli esseri umani, la criminalità informatica, lo sfruttamento sessuale. Una tale iniziativa consentirebbe di stabilire definizioni e standard giuridici comuni, nonché fissare sanzioni penali minime in tutta l'Unione europea e contrastare chi pensa di rifugiarsi in un altro Paese comunitario per sfuggire all'ingiustizia. Ma gestire casi di violenza contro le donne vuol dire anche accompagnarle in un recupero di normalità. In tal senso, è necessario incrementare il reddito di libertà e incentivare l'assunzione delle donne che intraprendono un percorso di recupero attraverso i centri antiviolenza. Inoltre, sarebbe necessario prevedere congedi speciali retribuiti per le lavoratrici vittime di violenza di genere. Aiutiamo le donne attraverso il lavoro.

Un capitolo a parte merita la violenza di genere online. Quella sensazione di impunità dovuta all'anonimato e al mancato contatto fisico con la vittima deve essere contrastata rafforzando la capacità sanzionatoria delle molestie informatiche, dello stalking informatico e della violazione della privacy. Penso alla registrazione e condivisione di immagini di aggressioni sessuali e al controllo e sorveglianza a distanza attraverso, ad esempio, le App spia.

Si deve intervenire con determinazione ed efficacia nei confronti di tutte le minacce e gli appelli alla violenza veicolati attraverso i social, dell'incitamento all'odio sessista, dell'induzione all'autolesionismo, dell'accesso illecito a messaggi o account dei social media. E qui mi lego ad un altro tema importante per il gruppo Noi Moderati, che è l'attenzione ai giovani ragazzi e alle giovani ragazze. Non si può fare prevenzione senza guardare alle nuove generazioni.

Quando si parla di social media è impossibile non pensare primariamente ai ragazzi, presenti e attivi più di noi sulle piattaforme più nuove. Molti di loro sono privi della capacità di comprendere i rischi a cui, purtroppo, in un contesto così ampio e difficile da controllare, vanno incontro, ma anche alla scorrettezza di alcuni comportamenti, penso al cyberbullismo. E, allora, si parla tanto di competenze digitali, ma, forse, dovremmo lavorare proprio sull'educazione digitale dei nostri ragazzi più piccoli che sempre prima si trovano ad affrontare il mondo online.

Ed è ancora sui giovani nelle prime fasi del percorso formativo che si deve intervenire per superare gli stereotipi di genere che continuano a creare discriminazione e violenza attraverso ad esempio il sostegno allo sport. Per noi Moderati è un tema molto significativo: lo sport, in quarto portatore di valori quali il rispetto, la collaborazione, l'integrazione, la gestione delle emozioni, la disciplina, la costanza, l'impegno, l'etica, la cura di sé, la capacità di rialzarsi dopo una sconfitta, naturali veicoli di inclusione sociale e di superamento degli stereotipi di genere.

Dobbiamo, inoltre, promuovere campagne di sensibilizzazione e di informazione contro la violenza di genere su tutte le piattaforme nell'arco di tutto l'anno. E, infine, per non trovarsi ogni anno a conteggiare il numero di violenze perpetrate, dobbiamo puntare al raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, uno su tutti: garantire piena ed efficace partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito economico, politico e della vita pubblica.

Concludo, Presidente, citando le parole pronunciate lo scorso 21 novembre dal patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, in occasione della Madonna della salute, festività particolarmente sentita da noi veneziani. “Madonna” è un termine bellissimo che va oltre il proprio credo e la spiritualità religiosa: deriva dal latino mea domina, cioè mia signora, ed è un termine che vorrei dedicare a tutte le donne di quest'Aula. Il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, ha detto: “La Madonna della salute rappresenta il nostro presente, ci ricorda di riscoprire la dimensione femminile in tutte le sue forme: è da lì che nasce tutta l'umanità”.

Per questi motivi esprimiamo, come gruppo di Noi Moderati un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC, Italia al Centro)-MAIE).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Luana Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA (AVS). Grazie, Presidente, colleghe, colleghi, Ministra. Vi ringrazio davvero, colleghe e colleghi, per l'intenso e approfondito confronto che si è svolto in Aula oggi e ringrazio la Presidenza della Camera per aver organizzato ieri l'iniziativa “Non più sole” che ha coinvolto anche studenti e studentesse della scuola media superiore. Ringrazio i colleghi, come è stato sottolineato dall'onorevole Boldrini; in molti hanno preso la parola; esprimo gratitudine, in particolare ai miei colleghi, compagni di gruppo, per avere espresso - con parole autentiche e meditate, evidente frutto di un'interrogazione politica e personale, di un ascolto non scontato delle parole delle donne, di un'assunzione in prima persona della responsabilità rispetto a ciò che il collega Grimaldi ha riconosciuto come questione maschile - uno spostamento semantico e simbolico importante, direi decisivo, necessario per imprimere una svolta anche al nostro impegno parlamentare e a quello del Governo.

Ho letto con attenzione le mozioni presentate e su cui abbiamo lavorato per una soluzione il più possibile condivisa. Ho letto anche la mozione approvata lo scorso anno.

Propongo all'Aula, a tutte e a tutti noi, che prima della stesura delle mozioni del 2023, si proceda alla verifica puntuale e concertata della corrispondenza tra gli impegni contratti e l'azione governativa intrapresa, verificando cioè se gli obiettivi, rispetto ai quali impegniamo oggi il Governo, vengano e verranno rispettati, e quelli che ancora mancano di trovare realizzazione, perché, altrimenti, questo nostro dibattito, queste nostre proposte, queste nostre mozioni rischiano di essere un rito.

Ritengo preziosissimo il lavoro della Commissione d'inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere, presieduta finora dalla senatrice Valeria Valente, che ha consegnato analisi, proposte e strumenti conoscitivi e ha messo a nudo le carenze, le disfunzioni e le contraddizioni delle istituzioni preposte alla prevenzione e al contrasto alla repressione della violenza maschile sulle donne, in ogni forma si manifesti.

Accolgo con grande favore, quindi, l'approvazione unanime da parte della Commissione affari costituzionali del Senato del testo unificato di istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta bicamerale sul femminicidio. Una risposta utile per affrontare una realtà che da molti e molti è stata definita strutturale e che necessita, per una soluzione vera ed efficace, di un salto di qualità, politica, culturale, istituzionale, e sicuramente di molto lavoro e di molto impegno.

Ricordo che il 10 novembre scorso la Corte europea dei diritti umani ha accolto il ricorso dell'avvocata Rossella Benedetti dell'ufficio legale di Differenza donna per una donna seguita dal Centro antiviolenza-Casa rifugio Villa Pamphilj della regione Lazio. Tale sentenza ha condannato l'Italia per aver violato l'articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita familiare e privata) e non protetto i figli minorenni della convenuta, costringendoli per 3 anni - per 3 anni! - ad incontrare il padre accusato di maltrattamenti, nonostante lo stesso continuasse ad esercitare violenza e minacce durante gli incontri protetti disposti dal tribunale. La CEDU ha rilevato come i tribunali civili italiani, con le loro sentenze, abbiano turbato l'equilibrio psicologico ed emotivo dei bambini, costretti ad incontrare il padre in un ambiente in cui non era stata garantita loro protezione.

Concludo, Presidente, ribadendo il lavoro importante, determinante e decisivo che dobbiamo fare anche dal punto di vista della relazione tra i tribunali civili e penali e annunciando il nostro voto favorevole sulla mozione unitaria n. 1-00005, nonché l'astensione sulla mozione Ascari ed altri n. 1-00004 (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Bonetti. Ne ha facoltà.

ELENA BONETTI (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, Ministra, membri del Governo, ancora una volta quest'Aula si riunisce, unita nell'assumere un impegno chiaro e forte nei confronti del Paese, ma ancora, con più forza, un impegno nei confronti delle bambine e delle ragazze, delle donne, quelle di oggi e quelle di domani, perché la violenza contro le donne venga definitivamente estirpata dalla nostra società. È un impegno che, però, deve continuare a trasformarsi in una responsabilità fattiva, perché nessuna donna sia mai più sola, perché nessuna donna sia mai più vittima, condannata a rimanere vittima di una violenza perché non ha una comunità, una rete a cui potersi appellare.

Lo dobbiamo sapere con grande chiarezza: la solitudine, il silenzio dei molti, l'omertà sono le armi principali che ha in mano chi agisce violenza contro le donne. Ed è per questo che noi invece dobbiamo contrapporre con forza il consolidamento, la promozione, l'implementazione di una rete di prossimità e di comunità che sia capace di aiutare le donne a riconquistare la loro libertà, che è la nostra libertà. Una rete fatta dai centri antiviolenza, dalle case rifugio, dagli enti locali, dalle parti sociali, dalle istituzioni, da tutte e da tutti noi, mondo dell'educazione, della scuola e della cultura. Ed è una responsabilità che è di tutte e di tutti, e non ha un colore politico.

Quindi, lasciatemelo dire con forza: ringrazio davvero la maggioranza, la Ministra Roccella insieme alle altre forze parlamentari, perché hanno promosso un percorso di ricomposizione di posizioni differenti, di mozioni differenti, riconfermando un metodo che negli anni ha consolidato uno stile di questo Parlamento, che, anche nei momenti più difficili, su questo tema ha saputo unirsi. Spiace che questa mozione non sia per quest'anno davvero unitaria. Auspico, ovviamente, che però si confermi unitario l'impegno che ne consegue.

La violenza contro le donne ha rappresentato un tabù nella nostra società per troppo tempo, ma bisogna riconoscere che il velo si è squarciato e che questo tabù pian piano si è trasformato in una coscienza collettiva e in un'assunzione di responsabilità. Ne sono tracce evidenti - cito alcuni passaggi - l'approvazione del reato di stalking, fatto dall'allora Ministra Carfagna nel 2009, la ratifica della Convenzione di Istanbul (il nostro Paese è stato tra i primi Paesi del Consiglio d'Europa nel 2013), il primo Piano nazionale di contrasto alla violenza maschile contro le donne 2017-2020 dell'allora Ministra Boschi, e poi il Codice rosso, un passo importante, fino ad arrivare adesso alla scelta che abbiamo fatto di dare una piena strutturalità e sistematicità all'azione sinergica di contrasto alla violenza maschile contro le donne, con il nuovo Piano nazionale, che, dalla legge di bilancio di quest'anno, è previsto a norma di legge, che è dotato di una governance e di un finanziamento strutturale di 35 milioni.

Bene che il Governo si impegni ad aumentare la parte strutturale di questi finanziamenti. È chiaro che portare avanti azioni sinergiche vuol dire saper prevenire la violenza, proteggere le vittime, perseguire i colpevoli, ma anche promuovere la libertà.

E allora prevenzione significa educazione, educazione al rispetto, alla parità di genere nelle scuole, ma significa anche formazione degli operatori, dei magistrati, delle Forze dell'ordine, degli operatori sanitari, perché mai più una donna, ad esempio, venga vittimizzata una seconda volta - questo la Commissione sul femminicidio lo ha detto con chiarezza nella scorsa legislatura - e perché la PAS non venga mai più nominata in nessun documento che possa avere sede in un tribunale del nostro Paese.

Proteggere significa sostenere la rete dei centri antiviolenza, ma significa anche rafforzare quelle norme che oggi potrebbero proteggere le donne vittime di violenza. Su questo rivolgo un nuovo appello a quest'Aula: uniamoci, mettiamoci in campo perché i disegni di legge che vanno in questa direzione vengano calendarizzati e approvati il prima possibile.

C'è un altro dato fondamentale: la violenza economica. Troppe donne non denunciano perché non hanno l'autonomia finanziaria per poterlo fare, per poter immaginare una vita autonoma. E lasciatemi ricordare un passo fondamentale che questo Parlamento ha fatto nella scorsa legislatura, ossia l'istituzione del reddito di libertà. Una misura innovativa che auspichiamo possa essere resa strutturale e rifinanziata in modo adeguato. Qui non posso non citare in quest'Aula il nome di Lucia Annibali, donna coraggiosa, che a questo impegno ha dedicato tanta parte della sua vita (Applausi).

La libertà di ricominciare una vita significa anche oggi dare accesso al mondo del lavoro e finalmente arrivare a quella libertà ed uguaglianza che la nostra Costituzione pretende per poter essere veramente compiuta, che è la parità di genere nel nostro Paese. Quindi su questo credo che il nostro impegno debba pienamente continuare, soprattutto attuando il Piano strategico nazionale per la parità di genere, che è strettamente correlato con l'impegno al contrasto alla violenza maschile contro le donne.

Anche noi auspichiamo che in questa legislatura venga ricostituita una Commissione dedicata al femminicidio, una Commissione investigativa sul femminicidio. Abbiamo fatto una proposta con la nostra capogruppo, la senatrice Paita, perché questa possa essere una Commissione bicamerale per affrontare il tema con un approccio ulteriormente strutturato e sinergico tra le due Camere.

In queste giornate ci sono tante parole. Ce ne è una che sta risuonando molto, con forza, e che credo oggi più che mai risuoni con una forza dirompente in quest'Aula, ed è la parola “libertà”, che si associa alla parola “coraggio”. Ed è la libertà agognata dalle nostre sorelle afgane, dalle nostre sorelle iraniane, che si sono ribellate e si stanno ribellando a regimi che stanno ledendo e hanno leso i loro diritti fondamentali, la loro libertà, la nostra umanità, la nostra democrazia, perché la loro libertà è il nostro impegno, è la cifra del nostro essere capaci di interpretare al meglio la nostra umanità oggi. Ed è per questo che, insieme al sostegno alle sorelle ucraine, violentate, stuprate, vittime della violenza dell'aggressione ingiustificata che la Russia ha fatto nei confronti dell'Ucraina, che chiedono ulteriormente un passo avanti del nostro Paese, mi appello davvero al Governo perché con loro e per loro ci sia il nostro impegno nei contesti internazionali per dare pieno compimento al riconoscimento dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali. La strada da percorrere è ancora lunga; ne abbiamo fatta, ma è ancora lunga e non è facile e oggi siamo chiamati a fare un passo in più, non a tornare indietro.

E siamo chiamati a mettere in campo una responsabilità che ci deve vedere tutte e tutti uniti. Sono contenta che in quest'Aula oggi ci sia una presenza forte da parte di tanti uomini e di tante donne che insieme stanno testimoniando e stanno assumendosi la responsabilità di questo impegno. È una responsabilità storica cui non ci siamo mai sottratti e a cui continueremo a non sottrarci. Ed è per questo motivo che annuncio il voto favorevole del gruppo di Azione-Italia Viva-Renew Europe sulla mozione unitaria e l'astensione sull'altra mozione (Applausi dei deputati dei gruppi Azione-Italia Viva-Renew Europe, Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Polidori. Ne ha facoltà.

CATIA POLIDORI (FI-PPE). Grazie, Presidente. La giornata che oggi celebriamo, la giornata del 25 novembre, la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, per noi non è solo una celebrazione. Questa è una giornata che per noi ha un volto, anzi, questa è una giornata che rappresenta molti volti. Ha il volto della bambina morta per infezione dopo la terribile pratica dell'infibulazione; ha il volto della ragazza che ha il viso sfregiato dall'acido dopo una discussione accesa di gelosia con il fidanzato; ha il volto di quelle donne che incontriamo per strada, che nascondono spesso i lividi dietro gli occhiali e che ti dicono che sono cadute per le scale, poi nei giorni successivi magari non le incroci più; ha il volto di quella madre che è scappata da casa per salvare se stessa e i figli dalla violenza del marito e, ahimè, ha il volto degli occhi terrorizzati dei bambini che hanno visto il proprio padre uccidere la propria madre.

In tanti anni, in questo Parlamento le cose secondo me sono cambiate; sono cambiate perché noto molta più partecipazione, perché secondo me un velo si è letteralmente squarciato, perché c'è molta più attenzione verso questi temi. Devo dire che le cose sono cambiate anche perché, se in realtà presentiamo sempre la stessa mozione, ogni volta la politica credo si possa pregiare di aggiungere sempre un qualcosa di più rispetto al 25 novembre dell'anno precedente.

È innegabile l'impegno che è stato profuso dalla politica perché anche solo riuscire a salvare con queste azioni una vita in più, arrivare anche solo un minuto prima dello schiaffo o del femminicidio chiaramente può essere solo un successo. Ma, se oggi, come l'anno passato e purtroppo come quello precedente, siamo qui a parlare di numeri, siamo qui a dire che, dall'inizio dell'anno a oggi, sono stati 88 i femminicidi e quasi 5 mila le violenze domestiche, per non parlare peraltro di quelle che non sono state denunciate, è chiaro che qualcosa non funziona. Se a Torino - e questa è notizia di qualche giorno fa - è stato aperto il primo orfanotrofio per i figli delle vittime di violenze, chiaro è che c'è un fallimento da qualche parte. C'è un fallimento sicuramente della società, ma ancora più grande è il fallimento della politica. Una politica che ha lavorato ad un buon impianto normativo - mi si dice che sia il migliore d'Europa - ma evidentemente una politica che non ha ancora saputo lavorare sull'applicazione di queste norme.

Manca, ad esempio, un codice unico sulla violenza che riordini queste norme. Occorre fare di più sulla certezza della pena, sulla prevenzione, sulla formazione e soprattutto sulla cultura e anche - mi permetto di dirlo - sulla comunicazione, su un messaggio importante: che le donne non sono sole!

Proprio ieri è stato tenuto, grazie alla Presidenza della Camera, un evento - “Non più sole”: questo era il titolo – in cui il Presidente del Consiglio Meloni ha dato le linee guida per questa legislatura sulle quali ci impegneremo per quanto riguarda questo tema: prevenzione, protezione e certezza della pena. Sono molti i modi per non far sentire le donne più sole. Il 5 agosto 2019 Forza Italia presentò una proposta di legge, chiamandola “Soccorso di libertà” e l'anno dopo, il 20 luglio 2020, è stata presentata una proposta chiamata “Reddito di libertà”, quasi simile, modificata, ma pur sempre apprezzabile e molto utile. Anche al di là della suggestione della parola “reddito”, che a noi non è mai piaciuta perché sa un po' di sussidio e non corrisponde proprio alla nostra politica, dobbiamo sottolineare, invece, quanto sia stato utile perché 2.500 donne ne hanno potuto usufruire e ben 21 mila lo hanno richiesto e sarebbero in attesa di averlo. Dunque, non è un sussidio: è un incoraggiamento. Se vogliamo possiamo chiamarlo incentivo: incentivo alla libertà, perché poter scappare di casa nottetempo con i figli per mano, vestiti di quello che hanno addosso significa poter denunciare. È un incoraggiamento ad evitare l'ennesima violenza, perché potrebbe essere l'ultima violenza, perché potrebbe essere troppo tardi. Arrivare a denunciare presuppone un percorso psicologico molto duro, fatto di dolore, perché si tratta spesso di affetti, di violenza domestica, ma anche di paura. Non possiamo permetterci che, oltre alla paura e al dolore, ci sia anche l'incombenza del pensare alla contingenza, del pensare al momento (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE), perché la domanda che immediatamente si pone una donna è: “Ma subito dopo che ho denunciato cosa mi succederà? Chi darà da mangiare ai miei figli? La troverò una casa? Troverò un lavoro? Come posso fare?”.

Questo non possiamo permetterlo e pur comprendendo, e tramite lei, Presidente, mi rivolgo al Governo, la difficoltà di rendere questa misura strutturale, come del resto lo è stata per il Governo precedente - perché la congiuntura economica non ce lo ha permesso, una congiuntura economica gravata da una crisi energetica importante e dalla guerra in Ucraina -, chiedo al Governo di pensare perlomeno ad una soluzione momentanea, al rifinanziamento annuale di questa misura che possa aiutare queste donne per poi arrivare chiaramente alla strutturalità. Abbiamo sempre parlato di formazione e di educazione come elementi di libertà e siamo riusciti finalmente a inserire nel percorso di formazione lo studio della Convenzione di Istanbul. Però, dobbiamo fare di più: dobbiamo inserire nel percorso formativo l'educazione al rispetto. E' da piccoli che dobbiamo insegnare il rispetto, perché i figli delle vittime saranno - e questo lo dicono le percentuali e gli studi - molto probabilmente uomini violenti, perché le figlie delle vittime di violenza potrebbero essere donne che accettano da grandi la violenza, perché non hanno visto nessun'altra forma di amore, perché conoscono solo quello. Invece, occorre far capire alle nostre ragazze che uno schiaffo non è una forma d'amore, che il controllo ossessivo non è una forma di affetto e che, dopo uno schiaffo, ce ne sarà un altro e un altro ancora.

Gli impegni di questa mozione a mia prima firma - e ringrazio tutti i colleghi che hanno voluto lavorare per una mozione quasi unitaria, però credo, signor Ministro, che siamo riusciti a fare un bel lavoro - sono davvero tanti ma paradossalmente sono ancora molto pochi. Permettetemi di concludere con un pensiero e un richiamo all'ultimo impegno della mozione. È un appello al Governo perché si adoperi “per promuovere (…) azioni diplomatiche affinché lo Stato iraniano cessi di reprimere con la violenza le manifestazioni pubbliche e la libertà di espressione” (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

Io allora penso al coraggio delle nostre donne, penso al coraggio delle nostre donne iraniane, alle vessazioni, alle violenze che stanno subendo per difendere la loro libertà, la libertà di poter studiare, la libertà di non doversi sposare da bambine, la libertà di potersi esprimere. Penso anche alle donne ucraine, a queste donne che subiscono violenze sessuali e che sono trattate come bottino di guerra, se non come arma di guerra: madri che vengono violentate davanti ai figli e bambine che vengono violentate davanti ai genitori. Sono cose nemmeno immaginabili. Ma penso anche alle donne afgane, a queste donne che rischiano la vita ogni volta che decidono, per protestare, di togliersi il velo. Allora, mi permetto un appello a tutto il mondo della politica nazionale e internazionale: non si fanno affari con i dittatori e non si va in questi posti mettendosi il velo, perché questo non è rispettare la loro cultura (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE); questo è offendere tutte quelle donne che muoiono, per decidere per la loro libertà e per la libertà delle loro figlie, proprio per toglierselo questo velo. Dobbiamo ricordarcelo sempre: questo velo non è un accessorio, non è di certo un cappello.

Presidente, credo molto in questo Parlamento, credo molto in questa istituzione e sono convinta che tutti insieme - perché la violenza di genere di certo non può avere e non potrà mai avere un colore politico - riusciremo a fare un buon lavoro. Però, mi rivolgo a lei, che ha già dimostrato ieri, proprio all'inizio di questa legislatura, la sua sensibilità, chiedendole di calendarizzare quanto prima le proposte che riguardano questo genere. Facciamo in modo di essere qui il prossimo 25 novembre con la nostra mozione, a Dio piacendo, ma non elencando la lista di nomi o di numeri delle donne che sono morte ma, magari, elencando i numeri delle donne che siamo riusciti a salvare. Annuncio il voto favorevole di Forza Italia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, per una precisazione, l'onorevole Semenzato. Ne ha facoltà.

MARTINA SEMENZATO (NM(N-C-U-I)-M). Scusi, Presidente. Preannunzio che sulla mozione unitaria il gruppo Noi Moderati voterà a favore, mentre sull'altra mozione si asterrà. Mi scusi: era per chiarezza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Ascari. Ne ha facoltà.

STEFANIA ASCARI (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe, pochi giorni fa nella provincia di Modena, la mia città, Alice Neri, una ragazza di 32 anni è stata trovata carbonizzata nel baule della sua macchina. Si sta indagando sull'ipotesi di reato di omicidio volontario e distruzione di cadavere. Alice lascia una figlia di quattro anni. Alcuni giorni prima Anastasia Alashri, 23 anni, fuggita dalla guerra in Ucraina, ha trovato la morte a Fano, in provincia di Pesaro e Urbino, per mano del marito. E ancora Paola Larocca, 55 anni di Salerno, è stata uccisa a coltellate dal marito, dal quale voleva separarsi. Poi Marta Cassano Torres, 65 anni, e come lei due cittadine cinesi dal nome ignoto, fragili fra le più fragili, ammazzate a Roma. Queste sono le donne uccise solo nell'ultima settimana nel nostro Paese.

Il quadro è spaventoso: ogni tre giorni in Italia una donna viene uccisa. Dal 2000 a oggi sono oltre 3 mila. A questo orrore si aggiunge altro orrore se pensiamo che sullo sfondo ci sono le famiglie, quelli che restano, gli orfani, i bambini, vittime collaterali di una violenza implacabile.

Molte di queste donne avevano fatto tutto quello che lo Stato chiede di fare: avevano denunciato il proprio carnefice e si erano affidate alla giustizia, ma la giustizia non è stata in grado di difenderle, perché, se la denuncia non viene presa sul serio, se viene archiviata, se salta il sistema di protezione per loro, proprio quella denuncia si trasforma in una condanna a morte e ogni volta che questo accade registriamo un fallimento della giustizia.

Di fronte a questi numeri è evidente che ci sono delle falle del sistema e bisogna chiedersi che cosa si deve fare. Sono oltre quarant'anni che si scrivono leggi in tema di contrasto alla violenza di genere e, da ultimo, il Codice rosso che ha introdotto una corsia preferenziale per chi subisce maltrattamenti, stalking e abusi. È stato un punto di partenza ma non di arrivo. Allora, c'è da chiederci: se le leggi ci sono, perché da sole non bastano? Non bastano perché la violenza maschile sulle donne è anche e soprattutto un problema culturale che affonda le sue radici nella logica del possesso, in una cultura patriarcale retrograda, sessista e misogina.

Per questo motivo è fondamentale introdurre da subito in modo sistemico e continuativo l'insegnamento dell'educazione affettiva e sessuale dai primi banchi di scuola. Ciò significa insegnare ai bambini e alle bambine il rispetto per se stessi, il rispetto per gli altri, il rispetto della persona in generale, il rispetto della legalità, il rispetto della parità di genere. Si tratta di educare alla relazione, a litigare bene e a gestire le emozioni, di fornire un alfabeto gentile delle emozioni per avere adulti consapevoli e responsabili, in grado di contenere la rabbia e soprattutto gestire un rifiuto. Inoltre, serve investire risorse nella formazione. Ciò era già stato inserito all'interno del Codice rosso, però la formazione va attuata e implementata, perché tutti gli operatori e le operatrici che ruotano attorno al fenomeno della violenza di genere devono essere preparati e specializzati, devono saper interloquire con una vittima di violenza e saper leggere anche i silenzi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Bisogna poi intervenire anche su chi fa del male, perché talvolta chi crea il problema non ha la consapevolezza di essere il problema. Deve esserci un organismo terzo che monitori il percorso e l'effettivo risultato del maltrattante. Lo Stato deve toccare con mano quello che è il recupero, perché, se non c'è il cambiamento, il beneficio della sospensione condizionale della pena non va dato e il soggetto non va rimesso in libertà.

Teniamo presente che serve poi garantire una rete omogenea su tutto il territorio nazionale dei centri antiviolenza e delle case rifugio, con stanziamento di adeguate risorse economiche. La vittima non deve mai essere e non deve mai sentirsi da sola, ma avere intorno una rete concreta e forte. A questo punto, tengo a ringraziare tutte le volontarie, le operatrici, le psicologhe, le avvocate dei centri antiviolenza, che fanno un lavoro straordinario (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Quante volte abbiamo sentito la domanda: “Perché, se subiscono violenza, non vanno via da casa?”. Perché per andare via da casa bisogna avere un'alternativa, perché non esiste solo la violenza fisica e le botte che si vedono: ci sono anche la violenza psicologica, le umiliazioni, le vessazioni continue, c'è la violenza assistita, davanti ai bambini, e c'è la violenza economica, come dice la Convenzione di Istanbul. Se non c'è un'alternativa, se non c'è un'indipendenza economica, si torna da chi ti fa del male, se non puoi permetterti di aiutare e dare da mangiare ai tuoi bambini. È qui che lo Stato deve intervenire e deve offrire una via di uscita e questa passa dall'autosufficienza, dal lavoro e dal welfare funzionante, perché il soccorso dello Stato deve arrivare subito per quanto riguarda gli indennizzi agli orfani di femminicidio. Infatti, quando la mamma viene uccisa con queste modalità brutali, l'indennizzo deve arrivare subito a quei bambini, non a distanza di anni.

Bisogna incrementare le risorse destinate ai fondi contro la violenza, bisogna potenziare il reddito di cittadinanza, potenziare i progetti di auto-imprenditorialità. Presidente, quando una donna denuncia, non chiede vendetta, ma chiede di essere tutelata, ascoltata, creduta, non colpevolizzata, non giudicata, ma soprattutto chiede un'alternativa alla violenza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Accanto a ciò bisogna migliorare le misure a protezione delle vittime ed è qui che bisogna essere più incisivi. Penso alla misura del fermo di indiziato di PM, che interviene quando non c'è la flagranza o la semi-flagranza, per garantire la tempestiva adozione di misure di tutela. Penso a potenziare i braccialetti elettronici, penso a migliorare la circolazione delle informazioni tra tribunale civile e tribunale penale, per evitare paradossali situazioni di affido congiunto in caso di violenza intra-familiare. Bisogna rivedere la legge n. 54 del 2006 in tema di bigenitorialità. La bigenitorialità non può essere prevista a tutti i costi, se questo comporta la convivenza con un genitore violento ed è a danno del minore.

Bisogna poi sostenere, per quanto di competenza, le proposte di legge pendenti in Commissione. Penso alla legge “Saman Abbas”, che rilascia un permesso di soggiorno alle vittime di matrimonio forzato, che garantisce loro autonomia e indipendenza verso un contesto familiare retrogrado e criminale.

Lasciatemi aggiungere che anche sul piano dei diritti c'è ancora da fare. Il diritto all'aborto, previsto in Italia dalla legge n. 194 del 1978 non si tocca (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)! Non permettere a una donna di decidere del proprio corpo è violenza.

Il cambiamento deve iniziare anche dal linguaggio. Per troppo tempo i femminicidi sono stati raccontati, dai mass media e dagli atti giudiziari, come atti di rabbia, raptus di gelosia, comportamenti esasperati occasionali. È stato anche detto che fossero una risposta ad atteggiamenti aggressivi o addirittura provocati dalla vittima. Insomma, la vittima è sempre messa sul banco degli imputati. Bisogna smetterla di derubricare la violenza a mera conflittualità, perché in questo modo allontaniamo il cambiamento culturale che auspichiamo. Questa è una narrazione figlia della cultura dello stupro, che normalizza la violenza di genere e deresponsabilizza, anzi giustifica il carnefice.

La violenza maschile sulle donne va affrontata non più come un'emergenza, ma come un fenomeno criminale strutturale, radicato nella nostra società. Tutti questi impegni a cui ho accennato, per noi, già da domani devono trasformarsi in norme e fatti concreti, perché tutti i 32 impegni contenuti nella nostra mozione, nessuno escluso, sono per noi irrinunciabili (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Per questo motivo, ovviamente, dichiaro il voto favorevole del mio gruppo alla mozione del MoVimento 5 Stelle. Tengo a dire che esprimiamo voto favorevole sugli impegni della mozione n. 1-00005 (Ulteriore nuova formulazione). Sono impegni condivisibili, ma serve più coraggio per dare tutela alle vittime di violenza e noi riteniamo che i nostri 32 impegni diano dei princìpi irrinunciabili (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Ravetto. Ne ha facoltà.

LAURA RAVETTO (LEGA). Grazie, Presidente. Colleghi, il 25 novembre non può essere semplicemente una giornata di mea culpa collettivo, non può essere una giornata per ripulirsi la coscienza mentre si allunga la lista dei femminicidi, ma deve essere un momento propositivo, esattamente nello spirito della giornata di oggi, in cui siamo riusciti a raggiungere una mozione praticamente unitaria, con l'eccezione dei colleghi dei 5 Stelle.

La maggioranza cui appartengo sostiene un Governo che ha scritto nel suo DNA il tema femminile, in quanto esprime il primo Presidente del Consiglio donna della storia della nostra Repubblica. La collega Meloni, da questo punto di vista, è un programma politico vivente, perché incarna il riscatto e l'emancipazione della donna in contesti storicamente maschili.

Questa è la parte elogiativa, ma poi c'è una parte di responsabilità, perché è chiaro che rappresentare delle forze di Governo a trazione femminile comporta ancor di più la necessità di rendere effettive queste possibilità per tutte le donne, rimuovendo gli ostacoli che le separano da una reale emancipazione e dall'indipendenza economica.

Presidenti, colleghi, oggi in quest'Aula dobbiamo decidere semplicemente se stare nel Medioevo oppure nel futuro o, meglio, nel progresso. Abbiamo attraversato una pandemia, ora attraversiamo una crisi internazionale, una guerra, e il prezzo più alto lo hanno sempre pagato e lo stanno pagando le donne, insieme ai loro figli. Sempre, quando c'è una crisi, gli effetti più drammatici si riversano sulle donne. Pensiamo alle donne afgane, ucraine, alle donne in Iran. Ma ciò che non è accettabile, che dovrebbe essere evitabile in assoluto, è che nel nostro Paese, nel 2022, ancora e sempre le donne siano quelle che pagano il prezzo più alto: nel 2021, 102 femminicidi; dal 2022 c'è un femminicidio ogni quattro giorni e risulta che otto donne su dieci conoscessero il loro assassino.

Io sono una donna di centrodestra, sono per la strenua difesa della famiglia, sono fermamente convinta che le politiche per la famiglia siano anche politiche per le donne, perché ancora nel nostro Paese troppo spesso la donna è costretta a scegliere tra maternità e carriera, e sono fiera che in quest'ultima manovra ci siano segnali chiari in tal senso, come l'ampliamento dell'assegno unico familiare. Tuttavia, noi non ci nascondiamo: l'80 per cento dei femminicidi è operato in ambito affettivo e il 60 per cento per mano del partner o dell'ex partner. Ma il rapporto dello scorso anno del Dipartimento di pubblica sicurezza ci segnala anche che, dell'85 per cento dei reati sulle donne, il 59 per cento riguarda donne straniere e, nel 73 per cento dei casi, gli autori del reato sono stranieri.

Allora, anche a tal riguardo dobbiamo uscire dalle ipocrisie, dobbiamo cioè interrogarci sul nostro modello di integrazione e su come è sviluppato nel nostro Paese il fenomeno dell'immigrazione. Pensare che in Italia, nel 2022, nel Parlamento italiano, in quest'Aula, dobbiamo trovarci a parlare di matrimoni forzati è assolutamente surreale, eppure in Italia si stimano più o meno 150 matrimoni forzati all'anno.

Sull'emancipazione femminile e sulla violenza di genere non possiamo dire di aver fallito in toto, perché la situazione è decisamente migliorata, per lo meno relativamente al processo di tutela delle vittime. Come hanno detto meglio di me i colleghi Morrone, Matone e Bisa, naturalmente la lotta alla violenza di genere significa soprattutto strumenti giuridici e su questo il partito che qui rappresentiamo ha fatto moltissimo con il codice rosso di Giulia Bongiorno (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier); il codice rosso è stato un atto rivoluzionario che ha introdotto il principio importantissimo per cui, a tre giorni dalla denuncia, il magistrato deve farsi carico della donna che denuncia. Si può fare di più dal punto di vista giuridico? Forse sì; il magistrato prende in carico la donna, poi, però, i processi sono troppo lunghi, ed è stato dimostrato che è durante la durata di questi processi che la donna si trova nelle maggiori condizioni di fragilità. Si devono potenziare e ascoltare le Forze dell'ordine che ci hanno insegnato, ad esempio, che è particolarmente efficace l'istituto dell'ammonimento, ovvero il presentarsi di persona a casa dell'aggressore da parte delle Forze dell'ordine immediatamente dopo la prima segnalazione.

Si deve probabilmente potenziare il sistema sanzionatorio già alla prima violazione del divieto di avvicinamento e, certamente, si deve migliorare l'utilizzo dei braccialetti elettronici; non è tanto e soltanto un tema il fatto che mancano i braccialetti elettronici, che ci sono; il tema è che, oggi, mentre parliamo in quest'Aula, su 5 mila braccialetti elettronici ne sono utilizzati solo 1.800. Certamente, si deve fare una riflessione sulla formazione dei giudici; personalmente, crediamo che dovrebbero avere delle specializzazioni nella violenza contro le donne, perché troppo spesso abbiamo visto analisi blande della pericolosità sociale di un uomo e, lasciatemelo dire, sentenze incomprensibili, come quella che poco tempo fa affermò che lasciare la porta aperta di un bagno poteva essere in qualche modo un invito a un atto sessuale.

Ma la chiave - a nostro avviso - per sottrarre veramente le donne dalla spirale di femminicidi e violenze è quella economica, perché il tema del lavoro è il grande tema. In tutte le denunce che vengono depositate dalle donne il ricatto della violenza economica, in qualche modo, è evidenziato. Dobbiamo liberare la donna da quella frase tremenda, insopportabile, che spesso pronunciano i carnefici: se non ci sono io, tu dove vai? Gli ostacoli sono noti: abbiamo solo il 48 per cento di occupazione femminile in Italia, a fronte di una media europea più alta, ma non lusinghiera, del 62 per cento; solo il 3 per cento di donne sono amministratori delegati, solo il 20 per cento dirigenti; il 60 per cento delle donne ospitate dalle case rifugio risulta disoccupato. Conosciamo le soluzioni: parità di accesso, incentivi allo studio delle materie STEM, formazione. Noi non chiediamo l'applicazione di quote, chiediamo fermamente l'applicazione del merito (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Parità salariale, accesso alla casa, naturalmente finanziamento delle case rifugio; però, lasciatemi fare una chiosa: abbandoniamo la prassi culturale per cui si debba continuare sempre e solo a nascondere la vittima, come fosse un pentito di mafia; ad essere nascosti da tutti, possibilmente in un carcere, devono essere i carnefici e, quindi, certezza della pena (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e Fratelli d'Italia)!

La seconda soluzione, l'hanno detto tutte, è culturale e parte dalla scuola: prima di tutto insegnare ai bambini che la donna non può essere posseduta, né oggettivizzata e insegnare alle bambine che non devono sottostare, in alcun modo, alla cultura della rinuncia. Abbiamo introdotto l'obbligatorietà delle ore di educazione civica e io dico: perché non introdurre un'ora di educazione paritaria? Faccio un altro esempio che mi sta da sempre a cuore, lo faccio in tutti i convegni e mi sento di farlo qui a nome del mio gruppo: identici congedi parentali; l'abbiamo scritto nel programma della Lega, sono una chiave fondamentale per l'accesso al lavoro, ma anche segnali culturali. Io vorrei che, da domani, si entrasse in un autogrill e si vedesse che i fasciatoi per cambiare i bambini non ci sono solo nei bagni delle donne, ma anche nei bagni degli uomini. Poi, lotta agli stereotipi: troppo spesso nel nostro Paese la donna è confinata in ruoli di offerta al maschio o di angelo del focolare o di donna in carriera; sono stereotipi anacronistici, inaccettabili, come ha detto il Ministro Roccella. Quindi, benissimo gli eventi, benissimo le commemorazioni, benissimo le mozioni, ma ora noi politici abbiamo una responsabilità diversa, nuova, quella di darci delle tempistiche, raggiungere la parità salariale “entro il”, potenziare il codice rosso “entro il”, obiettivo zero femminicidi “entro il”, obiettivo aumento delle nascite “entro il”. Vorremmo che la discussione di oggi diventasse un ricordo, che ci dimenticassimo di dover trattare in quest'Aula i temi della violenza e del femminicidio. Speriamo che ci troveremo qui, almeno al termine di questi cinque anni di legislatura, a parlare di parità salariale, di ruoli dirigenziali, di donne nelle partecipate, di sostegno alle madri, ma non di femminicidio, perché avremo combattuto il fenomeno (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Siamo orgogliosi di far parte di una maggioranza che non fa girotondi, ma che dopo anni in cui abbiamo partecipato a convegni sulla riduzione dell'IVA sui pannolini, effettivamente la riduce già, con il primo provvedimento di bilancio e, tuttavia, speriamo che questa sia una legislatura costituente sui temi femminili, perché maggioranza e opposizione possano combattere e lavorare insieme su questi temi. Per questo voteremo favorevolmente alla mozione maggioritaria (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT (PD-IDP). Grazie, Presidente. Mentre ricordiamo, anche con questa discussione, la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne, in tutto il mondo le donne iraniane sono in lotta contro uno dei regimi più autoritari e tirannici della terra, dopo l'uccisione, il 16 settembre, di Mahsa Amini, a seguito del suo arresto da parte della Polizia morale iraniana per lo scorretto uso del velo. Con coraggio e rischiando la propria vita, le donne e le ragazze iraniane, le donne e le ragazze afgane ci stanno ricordando ancora una volta che la lotta per i diritti delle donne corrisponde alla lotta per la libertà di tutti gli esseri umani e che la violenza contro le donne corrisponde alla violenza contro i diritti umani, così come sancito dalla stessa deliberazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre del 1999, quando fu istituita questa giornata.

Ringraziamo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ancora in questi giorni ci ha ricordato con parole chiare che dobbiamo confrontarci, ogni anno, con numeri intollerabili che testimoniano una continua e diffusa inestirpabile violenza contro le donne e che la nostra società è ancora pervasa da episodi di violenza verbale, economica e fisica, frutto dell'inaccettabile idea che l'uomo possa prevaricare sulla donna utilizzando la forza.

Ed è proprio quest'ultimo riferimento del Presidente della Repubblica la chiave per comprendere la motivazione di fondo per cui - nonostante, come è stato ricordato, i notevoli passi avanti compiuti dal campo giuridico, nell'ordinamento dello Stato, che vede il nostro Paese molto avanti rispetto ad altri Paesi, i pronunciamenti a vari livelli delle istituzioni e soprattutto le nuove norme penali e nonostante la forza delle donne che hanno dimostrato di lottare, di denunciare, di uscire allo scoperto, soprattutto nei casi largamente predominanti della violenza domestica e familiare - non si possa ancora oggi apprezzare una riduzione del numero dei casi di violenza contro le donne, non sottovalutando anche la violenza sessista e misogina in rete, rivolta verso le donne per farle uscire spesso dalla sfera pubblica.

Vi è alla base di tutto il permanere radicato e diffuso di un fondamento culturale, che è prima ancora un fondamento strutturale, materiale dell'intero edificio sociale, di natura patriarcale, che vede l'uomo in posizione dominante: una posizione che ancora resiste sul piano economico, sul piano lavorativo e, conseguentemente, salariale, e che ancora si avvale di una falsa coscienza, di un mito interiore dell'uomo, che ne condiziona i comportamenti reali, quotidiani, i giudizi, l'idea della famiglia, che si riflette sull'intera società. La paura di perdere un potere millenario, scritto nella pietra delle Scritture, quelle Scritture che invece il messaggio evangelico mise radicalmente in discussione, ponendo la donna di nuovo al pari dell'uomo, nella breve predicazione di Gesù, che provò a sovvertire i canoni ormai consolidati del rapporto tra l'uomo, la natura e Dio e mise la donna in una scandalosa, per quel tempo e ancora oggi, condizione di parità nel cosmo.

Questo pervicace e risorgente istinto di dominio è quello che ancora si agita nella formazione, nella cultura, nella morale, a volte nell'intima e istintiva convinzione di ogni uomo e che ci chiama tutti, in primo luogo noi uomini, a una conoscenza maggiore, a un lavoro culturale, a una messa in discussione quotidiana della nostra posizione di superiorità nel campo economico, lavorativo, professionale e familiare, nella quale possiamo cadere facilmente, anche se dotati di una cultura e di una coscienza avanzata che, in partenza, sembra magari non contemplare alcuna tendenza a considerarci egemoni rispetto alla donna o alle donne in generale.

La cronaca quotidiana in Italia e nel mondo dimostra che non si può affrontare e sconfiggere la crescente ferocia degli uomini nei confronti delle donne senza guardare a questo fenomeno nella sua interezza. I dati sono freddi, qui sono stati ricordati. Il numero dei reati complessivi cala, tranne che per quello che riguarda i femminicidi: significa che nei reati violenti contro gli uomini vi sono stati progressi; diversamente in quelli contro le donne. E, allora, Nadia Bergamini, Carol Maltesi, Slobodanka Metusev, Anastasiia Alashiri, Paola Larocca sono solo alcuni dei nomi delle donne uccise nel 2022 per mano di un uomo, un marito, un ex marito, un compagno, un ex compagno, in alcuni casi estremi, perfino un padre. E, andando indietro nel tempo, pensiamo a donne, ragazze, ragazzine che hanno visto le loro vite interrotte o sono scomparse, stritolate nei gangli di molti misteri che hanno abitato e abitano il nostro Paese, e parlo, ad esempio, di Simonetta Cesaroni, di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori.

Allora utilizziamo questa Giornata per fermarci, guardare e decidere come procedere su come mettere a sistema i molti strumenti normativi, e non solo, di cui negli anni ci siamo dotati. È fondamentale per la protezione delle vittime un corretto uso degli strumenti repressivi che ci siamo dati e di cui ci siamo dotati negli anni; ma, soprattutto, la presa di coscienza e la crescita della consapevolezza maschile rispetto alla violenza delle donne. Ed è per questo che riteniamo necessario che le istituzioni e il Governo predispongano una vasta campagna di sensibilizzazione, che vada avanti con successo anche negli enti locali, sulla violenza maschile sulle donne, che passi anche per la comunicazione istituzionale rivolta agli uomini, a partire dalla scuola e dall'associazionismo culturale, religioso e sportivo.

Questo tema e questa Giornata ci chiamano alla compattezza: non possono esserci divisioni nell'affrontare il futuro e i diritti di tutti. E ci rammarichiamo che, nonostante lo sforzo, la disponibilità del Partito Democratico di arrivare all'approvazione di una mozione unitaria, sia stato poi raggiunto questo obiettivo, ma sarebbe stato più limpido raggiungerlo senza che un gruppo si fosse, comunque, distinto per portare al voto una sua specifica mozione. Dobbiamo fare in modo che l'Italia, nell'affrontare il futuro e i diritti di tutti, non rimanga ferma, ma si renda protagonista dell'iniziativa politica e diplomatica per garantire la sicurezza e sostenere le proteste, la difesa e la necessaria riaffermazione dei diritti delle donne in tutti i regimi illiberali. Ringraziamo la Ministra Roccella e tutti i colleghi che hanno contribuito a comporre un testo comune di una mozione unitaria a questo punto, sul quale voto noi saremo favorevoli, astenendoci sull'altro testo. Una mozione unitaria che richiama con forza il Governo al sostegno economico delle vittime di violenza nel mondo del lavoro per l'autonomia abitativa, alla possibilità di estendere il reddito di libertà a tutte le donne in fuoriuscita dalla violenza, alla verifica dell'applicazione delle linee guida per le ASL e per le aziende ospedaliere in materia di soccorso e assistenza sociosanitaria alle donne vittime di violenza, a valorizzare il ruolo degli enti locali nel contrasto alla violenza contro le donne, promuovendo una presa in carico integrata delle donne ed eventualmente dei loro figli, promuovendo protocolli tra le istituzioni e il terzo settore, valorizzando le buone pratiche, che sono tante e diffuse, introdotte a livello regionale da estendere a livello nazionale.

Nell'ultimo decennio è stato compiuto un importante sforzo in termini di mutazione e innovazione del quadro normativo, così come della pianificazione di interventi e strumenti più aderenti alle necessità emergenti. Dobbiamo togliere il brodo di cultura della violenza che prospera benissimo anche grazie al gender gap, ma, nel frattempo, va ricordato il grande lavoro svolto dalla Commissione monocamerale di inchiesta sulla statistica per la violenza sulle donne, che ha portato anche all'approvazione di una legge. Una Commissione monocamerale presieduta dall'onorevole Valente, oggi senatrice, che noi riproponiamo come Commissione bicamerale. Ma per tornare al tema del gender gap, ossia della distanza di opportunità di vita e di posizione economica e lavorativa tra i sessi, diciamo che noi vogliamo colmare interamente il gender gap sul tema della parità salariale. Il Parlamento ha compiuto un fondamentale passo, approvando la legge n. 162 del 2021, la legge sulla parità salariale e di opportunità sui luoghi di lavoro, ma dobbiamo lavorare per renderla applicabile e per applicarla fortemente e, in primo luogo, con l'impegno che noi abbiamo svolto, dando un grande contributo all'approvazione di questa legge come Partito Democratico.

C'è poi il PNRR che rappresenta una grande occasione per intervenire sulle disuguaglianze e sul gender gap. La partecipazione all'economia italiana delle donne è ferma al 53 per cento, una percentuale inferiore a quella media del resto dei Paesi europei che è intorno al 68 per cento; percentuali che, poi, si riflettono sul prodotto interno lordo. Nella legge di bilancio per il 2022 - la voglio ricordare perché siamo in prossimità della discussione e dell'approvazione della nuova legge di bilancio - sono state introdotte importanti misure per affrontare il gender gap: è stato previsto l'esonero contributivo in caso di assunzioni di donne lavoratrici effettuate nel biennio 2021-2022, l'implementazione del Fondo per le politiche per la famiglia per attuare misure organizzative che favoriscano le madri che rientrano al lavoro dopo il parto; l'assegnazione di risorse aggiuntive al Fondo di sostegno al venture capital per sostenere investimenti nel capitale per progetti di imprenditoria femminile ad elevata innovazione; ed ancora, altre importanti misure ed investimenti che vanno sviluppati e continuati.

La lotta contro la violenza sulle donne e contro la discriminazione per l'affermazione della parità di diritti e di opportunità non può permettersi battute di arresto; è la lotta di tutti, delle donne e degli uomini. Il Partito Democratico, nel corso di questi anni, è stato protagonista di queste battaglie contro la violenza sulle donne e intende rafforzare ancora il suo impegno, convinti - richiamando le parole di Gandhi, uno degli uomini più grandi della Terra e della storia della pace - che se la non violenza è il futuro della nostra esistenza e la via della salvezza dell'umanità, allora il nostro futuro è con la donna (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Colleghi, vi chiedo cortesemente di cercare di mantenere il silenzio in Aula, anche per rispetto dei colleghi che intervengono.

Ha chiesto di parlare la deputata Varchi. Ne ha facoltà.

MARIA CAROLINA VARCHI (FDI). Grazie, Presidente. È un privilegio oggi esprimere la posizione di Fratelli d'Italia su un tema così delicato e nevralgico nel dibattito, che non è solo politico, ma che attraversa tutti i segmenti della nostra società civile. Mi unisco ai ringraziamenti al Ministro Roccella, che ha mostrato tutta la sensibilità istituzionale e culturale per addivenire ad una soluzione largamente condivisa, oserei dire quasi unanime, e, se non lo è formalmente, certamente lo è nella sostanza, perché non ho ravvisato nell'intervento della collega che ha espresso il voto per il MoVimento 5 Stelle alcuna ragione per non condividere la nostra mozione. Quindi debbo ritenere che si tratti di un posizionamento che non ha nulla a che vedere con la sostanza del nostro argomento.

Quello della Giornata internazionale per lottare contro la violenza che ogni giorno, purtroppo, in tutti gli angoli del globo, viene perpetrata nei confronti delle donne è un appuntamento molto importante - si celebrerà venerdì prossimo e oggi la Camera ha giustamente ritenuto di svolgere questo dibattito -, però tutti, ciascuno con il proprio ruolo, abbiamo il dovere di fare in modo che non sia soltanto una data sul calendario che ciclicamente si ripropone senza che nulla, in effetti, sia cambiato, ma che sia uno dei tanti passaggi attraverso i quali si articoli un impegno concreto, che non deve costituire un libro di sogni o di proposte mirabolanti, ma difficilmente attuabili, ma che deve partire dall'esperienza, perché qualcosa si è fatto in questo settore, a partire da alcune modifiche normative, come il Codice rosso.

Come ricorderanno tutti, Fratelli d'Italia sostenne quel provvedimento, pur avendo forti remore legate innanzitutto a un aspetto, quello della clausola di invarianza finanziaria, perché per contrastare davvero la violenza di genere ci vuole un impegno economico da parte delle istituzioni. In questo senso io non posso che plaudire alla scelta, già annunciata dal Ministro in Aula, di questo Governo di aumentare tutti gli stanziamenti dei fondi che servono per rendere realmente operativa la lotta alla violenza di genere. Questo è un fatto importante ed è un elemento di concretezza, non è una parola che viene detta nei mille convegni che si celebrano il 25 novembre, ma è un atto politico, un atto di indirizzo politico, che ha una concreta applicazione e che mi auguro serva a salvare tante vite. La necessità di un flusso informativo omogeneo di statistiche che vengano elaborate, come dice il Ministero dell'Interno, nei dati diffusi periodicamente con maggiore attenzione, ovviamente tutti li abbiamo letti in questa settimana di lavori parlamentari, il monitoraggio del fenomeno attraverso le statistiche consolidate è quanto mai necessario affinché si arrivi ad una consapevolezza e ad una fotografia completa dello stato dell'arte.

Nella nostra mozione - e ringrazio fin d'ora tutti i gruppi parlamentari che hanno aderito alla necessità di una mozione condivisa, ciascuno rinunciando a qualcosa, ma tutti insieme tenendo presente l'obiettivo finale da raggiungere: credo che su un tema del genere, che non potrà mai diventare la bandiera di una o dell'altra parte, gli italiani chiedano proprio questo al Parlamento - tra gli impegni concreti c'è la formazione per tutto il personale chiamato ad assistere fin dalle prime battute le donne. È un elemento molto importante, un elemento sul quale, nel corso del dibattito parlamentare anche nella scorsa legislatura, noi avevamo molto insistito, perché chi opera in una caserma, in un commissariato, in un centro antiviolenza, è il primo soggetto che una donna che vuole scappare, che vuole denunciare, che si vuole liberare, incontra. Quindi è necessario che siano persone altamente formate, che sia personale altamente qualificato, in grado di decodificare immediatamente la situazione che si ha davanti.

Siamo convinti che la libertà si coniughi con l'indipendenza o, per meglio dire, spesso la libertà è il prodotto di una situazione di indipendenza, una situazione di autonomia abitativa, una situazione di indipendenza economica, è da quello che, in un'occasione di violenza, scaturisce poi la volontà di denunciare. La libertà va conquistata, è vero, ma lo Stato deve mettere tutti nelle condizioni di conquistarla con gli stessi strumenti, e in questo senso delle politiche specifiche per garantire l'inserimento e il reinserimento della donna vittima di violenza nel mondo del lavoro sono un caposaldo dell'azione di questo Governo, non a caso infatti hanno trovato ampia descrizione nella mozione unitaria.

Noi riteniamo sia fondamentale il coinvolgimento delle regioni e, più ancora a fondo, di tutti gli enti locali, perché sono gli enti di prossimità, perché sono quegli enti che, ancor meglio delle istituzioni centrali, possono svolgere quel trattamento integrato della donna, possono operare di concerto con il terzo settore, che proprio su questo aspetto della lotta alla violenza contro le donne svolge un ruolo fondamentale per naturale attitudine, per vocazione, per sensibilità. E, dicevo, monitorare affinché tutte le somme ripartite nella Conferenza Stato-regioni vengano poi tempestivamente trasferite agli enti che devono provvedere ai pagamenti, perché non è semplice chiedere al terzo settore, a chi opera nei centri antiviolenza, nelle case rifugio, di garantire ogni giorno un servizio, quando i ritardi nei pagamenti si accumulano per mesi e mesi.

Quindi, dicevo, Presidente, il nostro è un approccio concreto. Il problema lo conosciamo tutti. L'analisi del problema è stata svolta in maniera magistrale da tutti i colleghi che mi hanno preceduto, e anche nella giornata di ieri l'evento che lei ha voluto patrocinare nei locali della Camera e che ha visto anche l'intervento del Presidente del Consiglio, ha affrontato con una disamina assolutamente ineccepibile ogni aspetto di questo problema. Oggi, però, la Camera vuole impegnare le istituzioni a fare qualcosa in più: non l'analisi del problema, ma la ricerca della soluzione. Io credo che la nostra mozione sia onnicomprensiva, sia una mozione che tiene conto di un'esperienza maturata negli anni. Oltre al monitoraggio del fenomeno e alla formazione, il valore culturale della prevenzione attraverso l'educazione a scuola, perché i bambini e le bambine di oggi saranno gli uomini e le donne di domani. Dobbiamo insegnare agli uni il valore del rispetto e alle altre il privilegio della libertà da conquistare e da difendere, ma da saper riconoscere. E allora, insieme all'aspetto economico, io credo che quello culturale, sul piatto della bilancia, abbia un peso assolutamente identico. Purtroppo, oggi ci saranno delle divisioni nel voto di quest'Aula, che io ovviamente non condivido, anche perché ricorderanno i colleghi che nella precedente legislatura, nonostante noi fossimo l'unico gruppo di opposizione, non facemmo mancare il sostegno ad iniziative del genere, ma si sa, l'opposizione bisogna anche saperla fare, non è da tutti (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Io credo che la violenza nei confronti delle donne sia il frutto anche di una certa subcultura, che purtroppo aleggia in alcuni contesti, non solo nazionali, ma anche internazionali. E allora lo sguardo dell'Italia non può che volgere alle tante donne che in Ucraina stanno soffrendo e a loro vanno, ovviamente, tutta la nostra vicinanza e tutta la nostra solidarietà (Applausi). Ma anche una subcultura - e vado a concludere, Presidente - che è il frutto di atteggiamenti assolutamente non condivisibili, penso al fenomeno della tratta, delle mutilazioni genitali, delle spose bambine, tutti aspetti che noi non possiamo che contestare e disprezzare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). E allora l'impegno di tutti dev'essere quello di remare uniti per portare la barca a destinazione con atti concreti, come certamente questo Governo saprà fare, ma nel rispetto degli impegni che il Parlamento nella sua sovranità deciderà di affidare alle mani autorevoli e sicure del Ministro Roccella, delegato per queste materie, con il voto di questa sera. Per questa ragione il voto di Fratelli d'Italia sarà, ovviamente, favorevole alla mozione largamente condivisa, visto che non posso dire unitaria, e di astensione per la residua (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

(Votazioni)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Come da prassi, le mozioni saranno poste in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Ascari ed altri n. 1-00004, su cui il Governo si è rimesso all'Assemblea.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera approva (Vedi votazione n. 1).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Polidori, Varchi, Serracchiani, Bisa, Richetti, Zanella, Lupi, Gebhard ed altri n. 1-00005 (Ulteriore nuova formulazione), su cui il Governo ha espresso parere favorevole.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera approva (Vedi votazione n. 2).

Commemorazione dell'onorevole Roberto Maroni.

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea e i membri del Governo). Care colleghe e cari colleghi, come sapete, nella giornata di ieri, 22 novembre, è venuto a mancare, all'età di 67 anni, Roberto Maroni, già membro di questa Camera dalla XI alla XVI legislatura, più volte Ministro e presidente della regione Lombardia. Nato a Varese il 15 marzo 1955, avvocato, ha contribuito all'organizzazione della Lega Lombarda di Umberto Bossi, nella provincia di Varese, con cui dal 1979 aveva iniziato la collaborazione politica. Consigliere comunale nella sua città natale, nel 1985, quattro anni dopo partecipa al processo di fondazione della Lega Nord, di cui, dal 2002, ha ricoperto l'incarico di coordinatore della segreteria politica federale e, successivamente, dal 2012 al 2013, la carica di segretario federale.

Eletto alla Camera per la prima volta nel 1992, ne è stato ininterrottamente membro fino al 2013. Nel corso della sua lunga carriera parlamentare è stato componente delle Commissioni I, II, III, VII e XIV, delle Giunte per il Regolamento, delle elezioni e per le autorizzazioni a procedere in giudizio, della Commissione speciale per l'esame, in sede referente, dei progetti di legge concernenti la riforma dell'immunità parlamentare, nonché del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato. Nella sua intensa attività parlamentare ha dedicato anche attenzione ai termini delle riforme istituzionali, quale membro della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali nella XIII legislatura, nonché ai temi internazionali, quale membro, nella XI legislatura, della Delegazione parlamentare presso le Assemblee del Consiglio d'Europa e della UEO, nonché, nella XV legislatura, della Delegazione parlamentare presso l'Assemblea dell'Unione dell'Europa occidentale, della Delegazione parlamentare presso l'Assemblea del Consiglio d'Europa e della Grande Commissione italo-russa.

Come uomo di Governo ha ricoperto molteplici e significativi incarichi, in qualità di Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro dell'Interno nel I Governo Berlusconi, di Ministro del Lavoro e delle politiche sociali nel II e nel III Governo Berlusconi e di Ministro dell'Interno nel IV Governo Berlusconi.

Profondamente legato alla sua terra d'origine, ha ricoperto la carica di presidente della regione Lombardia dal 2013 al 2018.

Politico rigoroso, coerente e appassionato, ha profuso, sino alla fine, il suo fervido impegno a favore dei temi a lui più cari, quali quelli concernenti la tutela dei lavoratori, ricoprendo la carica di presidente della Consulta per l'attuazione del Protocollo d'intesa per la prevenzione e il contrasto dello sfruttamento lavorativo in agricoltura e del caporalato, organo del Ministero dell'Interno del Governo Draghi.

La sua carica umana, la sua profonda capacità di analisi dei fenomeni economici e sociali, unitamente alla sua costante ricerca del dialogo e del confronto, sono state unanimemente apprezzate e riconosciute dagli amici e dagli avversari politici. La malattia e la sua prematura scomparsa ha drammaticamente interrotto un percorso umano e politico in pieno svolgimento, facendo perdere al Paese un importante testimone del confronto democratico degli ultimi decenni. La Presidenza ha già fatto pervenire ai familiari l'espressione della più sentita vicinanza e solidarietà, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea, invitandola a un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio – Prolungati applausi).

Ha chiesto di parlare il deputato Molinari. Ne ha facoltà.

RICCARDO MOLINARI (LEGA). Mi sono alzato molte volte in quest'Aula per fare diversi interventi e non nego che l'emozione è sempre tanta, ma sono certo che questo sarà il più difficile di tutti, e soprattutto questo è l'intervento che non avrei mai voluto fare, perché, con la scomparsa di Roberto Maroni, se ne va un grande politico, se ne va un segretario federale del mio Partito, del nostro Partito, della Lega, ma, soprattutto, se ne va un grande uomo delle istituzioni, che ha servito questo Paese, svolgendo, con dedizione e onore, il suo ruolo e ottenendo, in questo modo, un consenso che è stato senza dubbio trasversale.

Vorrei partire da un ricordo personale per avere una prova fattiva, una dimostrazione di questo consenso trasversale. Era il 1994, avevo undici anni, e la mia città, Alessandria, è stata in gran parte distrutta dalla tragica alluvione del Tanaro di quell'anno.

Bene, la città seppe rialzarsi grazie all'aiuto e alla solidarietà di cittadini che venivano da tutto il Paese, grazie alla caparbietà dei suoi abitanti, ma tutti, tutti, indipendentemente dalle opinioni politiche, ancora oggi ricordano che, se la città ha saputo rialzarsi, fu grazie alla sinergia tra un sindaco, Francesca Calvo, prematuramente scomparsa vent'anni fa, e un Ministro dell'Interno che era Roberto Maroni e che lavorò e fece ottenere le risorse alla città per rialzarsi e per ripartire. Allo stesso modo, Roberto Maroni, nonostante, da segretario federale della Lega, avesse coniato il motto “Prima il Nord”, è stato stimato e apprezzato soprattutto da abitanti del Mezzogiorno d'Italia, grazie alla caparbietà e alla tenacia con cui da Ministro dell'Interno ha ottenuto risultati concreti nella lotta alle mafie.

Roberto Maroni ha sempre avuto un approccio non ideologico, e non poteva che essere così, dato che veniva dalla sinistra extraparlamentare. Come ebbe modo di dire, a un certo punto sostituì l'ideale della rivoluzione marxista, sposando la rivoluzione della Lega, insieme a Umberto Bossi. Questo approccio non ideologico, che è la caratteristica principale del nostro Partito, del nostro movimento, un Partito post-ideologico che ha sempre scelto di non collocarsi formalmente mai dal punto di vista ideologico né a destra né a sinistra, fu anche il tratto distintivo della sua azione politica. Fu Roberto Maroni ad allargare il consenso della Lega, aprendo alle liste civiche; fu Roberto Maroni a dire che chi lavorava nella Lega doveva farlo per i territori, lasciando da parte quello che poteva dividerci, come, ad esempio, le posizioni sui temi etici o altro. Maroni divenne segretario contro la sua indole e contro la sua volontà. Mai Roberto Maroni aveva pensato di scontrarsi con il fondatore della Lega, Umberto Bossi. Roberto Maroni scelse, si mise in campo e diventò segretario della Lega, perché quella era l'unica condizione possibile per salvare il nostro partito, e di questo gli saremo sempre riconoscenti, nel momento più difficile che il nostro movimento ha vissuto. Salvò la Lega grazie alla sua autorevolezza, grazie al fatto che, in quel momento così difficile, per il lavoro di servizio allo Stato che aveva svolto, era figura stimata e apprezzata da tutti, l'unico che potesse farci ripartire, e così è stato.

Roberto Maroni non fu una figura di passaggio, nonostante la sua breve permanenza alla segreteria del partito, ma in quel ruolo ha posto le basi per il partito che è venuto, per il rilancio della Lega. Decise di puntare su una nuova generazione di giovani del partito, leghisti, quella seconda generazione che era nata con la presenza della Lega, che non aveva esperienze politiche passate, e tra quei ragazzi c'era l'attuale segretario federale, Matteo Salvini. Ma, soprattutto, Roberto Maroni è riuscito a dare una linea politica e una visione politica destinate a durare, indipendentemente dall'evoluzione dei contesti politici contingenti. Roberto Maroni era riuscito a inserire in un percorso di legalità costituzionale e in maniera chiara e precisa quelle pulsioni - che covavano e che forse covano ancora oggi sotto la cenere le popolazioni delle regioni del Nord - autonomiste, identitarie, ribelliste. Riuscì inoltre con il suo disegno politico, quello dell'attuazione dell'autonomia differenziata all'interno del Titolo V della Costituzione e con il progetto delle macroregioni, ripreso da Miglio e aggiornato in base a quelle che erano la legislatura e la normativa del momento, che esiste ancora oggi, a darci una visione che non guardava soltanto al Paese, capendo che la crisi degli Stati nazionali non si risolve chiudendosi nell'identitarismo nazionalista ma guardando all'Europa, partendo dai territori.

Ebbene, potrà sembrare strano ma la visione di Roberto Maroni era fortemente europeista, una visione europeista che puntava a un'Europa delle regioni e delle macroregioni per superare la crisi degli Stati nazionali piegati dalla globalizzazione. Sarebbe quasi da dire che il pensiero di Roberto Maroni si inserisce a suo modo nella tradizione del federalismo europeo.

Roberto Maroni è stato, poi, un grande presidente di regione e in quel ruolo è riuscito a concretizzare quella sua visione, perché è grazie a Roberto Maroni se si è arrivati al referendum per l'autonomia della regione Lombardia e se, oggi, anche con questo Governo e nel dibattito parlamentare, continuiamo a lavorare per ottenere quel risultato.

Con Roberto Maroni se ne va, quindi, una grande figura che ha fatto la storia politica degli ultimi trent'anni del Paese e, soprattutto, se ne va una figura che fa perdere a tutta l'Italia, a tutto il Paese un grande punto di riferimento e un grande uomo di Stato.

Per quanto riguarda noi della comunità della Lega, se ne va un amico con cui abbiamo condiviso tutti, quota parte, un lungo percorso di vita ma, soprattutto, per me e per i colleghi del gruppo che mi onoro di rappresentare, se ne va un grande maestro. Un grande maestro se ne va, ma gli insegnamenti rimangono e continueremo a seguirli. Ciao Bobo (Vivi e generali applausi – I deputati si levano in piedi e, con loro, anche i membri del Governo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pellicini. Ne ha facoltà.

ANDREA PELLICINI (FDI). Grazie, Presidente. La notizia della morte dell'onorevole Roberto Maroni ha provocato in tutta Italia una forte emozione. Era, infatti, un uomo politico molto apprezzato per le sue indiscusse capacità ma anche per le sue doti umane. Ho avuto l'onore, in tanti anni di politica negli enti locali della provincia di Varese, di incontrarlo molte volte: sempre ha manifestato oltre ad un'innata cortesia, fosse Ministro o fosse presidente della regione, anche una grande disponibilità ad affrontare i problemi che gli venivano sottoposti. Era in primo luogo una persona colta, formatasi sui banchi dello storico liceo classico “Cairoli” di Varese, appassionato di musica e amante della barca a vela, uno sport che aveva iniziato a praticare sul lago Maggiore proprio nella mia Luino. Aveva un grande amore per il suo territorio, per Varese, per i laghi lombardi, per la regione Lombardia, ma non aveva una visione localistica del mondo. È stato, infatti, un grande politico di caratura nazionale, capace di rappresentare lo Stato nel migliore dei modi.

Ha ragione il capogruppo Molinari quando dice che era un uomo del Nord amato anche al Sud. Ricordo che nei primi anni Duemila il sottosegretario Pasquale Viespoli mi raccontò che Maroni discuteva - sì - di Lombardia ma anche di “Longobardia”, prima vera dimensione nazionale dell'Italia. Anche qui: passione, sentimento e cultura.

Come Ministro dell'Interno, fu un esempio della lotta alla mafia e a tutte le criminalità organizzate e ciò gli fu sempre riconosciuto anche dall'opposizione. Come oggi mi ha ricordato l'onorevole Riccardo De Corato, allora vicesindaco di Milano, fu artefice del progetto “Strade Sicure”, con impiego di Esercito, Carabinieri e Polizia e con grandi risultati in termini di sicurezza, con la riduzione del 40 per cento dei reati a Milano. Il progetto ebbe tanto successo e fu esteso alle principali città italiane.

In qualità di Ministro del Lavoro e delle politiche sociali contribuì in modo determinante a una moderna ristrutturazione delle leggi del mercato del lavoro, ispirato da giuslavoristi insigni come Marco Biagi, assassinato nel 2002 dalle Brigate Rosse proprio a causa di queste storiche e coraggiose battaglie. Da presidente della regione ebbe sempre attenzione per i piccoli comuni, comprendendo le loro profonde difficoltà proprio perché veniva da un piccolo borgo vicino a Varese.

Venerdì la sua città lo saluterà per l'ultima volta. È stata allestita la camera ardente e vi è tanta commozione in migliaia di persone che lo hanno conosciuto, frequentato e stimato. Se ne va, infatti, una persona perbene, un servitore dello Stato, un combattente per le proprie idee, un navigatore che riuscì a traversare anche in barca l'Oceano Atlantico. In qualità di deputato di Varese, come suo modesto successore in questo incarico, mi ispirerò sempre al suo impegno e alla sua infinita passione per la cosa pubblica. Sarà davvero il modo migliore di ricordarlo (Vivi e generali applausi - I deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Lega-Salvini Premier si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Peluffo. Ne ha facoltà.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Rappresentanti del Governo, Ministro Giorgetti, colleghi deputati, la scomparsa dell'onorevole Roberto Maroni è un evento che ci colpisce e ci addolora. La sua è una figura che ha attraversato gli ultimi trent'anni della vita politica di questo Paese. Era entrato in questa Camera per la prima volta proprio nel 1992 e ha lasciato un segno profondo. Non potrebbe essere diversamente: parlamentare per sei legislature, quattro volte Ministro, uomo delle istituzioni e poi presidente di regione Lombardia, la sua terra.

Un avversario politico per noi, un uomo che abbiamo criticato, ma di cui riconosciamo e onoriamo la schiettezza, l'onestà e il coraggio. Era fiero nel sostenere le sue opinioni, che certo non potevamo condividere e che abbiamo contrastato sempre nel rispetto verso il suo ruolo e la sua competenza, più ancora nel rispetto verso la sua persona, perché l'idea di politica che lo animava ha sempre avuto la “P” maiuscola, il che rende ancora più triste la sua perdita in un tempo in cui forse non è più così scontato pensare all'impegno politico come a qualcosa che è motivato anzitutto da un ideale e che richiede passione, studio e autorevolezza.

Quando se ne va un avversario è sempre difficile riordinare i pensieri: da una parte, rimane il ricordo delle tante volte in cui ci si è scontrati, in cui la diversità delle idee di riferimento ha posto distanze anche vaste; ma, dall'altra, restano vive la stima personale e l'ammirazione per quelle qualità di lavoro e di impegno che fanno di un uomo politico uno che va ascoltato anche quando le cose che dice possono essere non condivisibili.

Permangono soprattutto i ricordi, le tante volte in cui ci si è incontrati magari qui in Transatlantico o fuori da queste Aule, in contesti diversi, in cui è stato possibile dismettere, almeno per qualche momento, gli abiti a volte scomodi della politica militante e prendersi il tempo per guardarsi negli occhi, confrontandosi come individui e, allora, trovarsi vicini in quanto persone. Per cui la politica è, anzitutto, dedizione e servizio alla comunità, alle istituzioni, in qualche modo, anche riscoprendo che, accanto a quella del lavoro quotidiano, ci sono altre dimensioni, le famiglie, i figli e soprattutto il confronto quotidiano che ciascuno di noi deve poter fare con se stesso e con i propri limiti, insieme alla consapevolezza che davanti a certi episodi della vita, come la malattia che lo ha così duramente colpito, si è davvero tutti uguali. Un avversario, dicevo, un avversario degno di stima, da tenere caro, perché ci fa del bene, ci aiuta a riordinare il nostro pensiero e a farlo più coerente, più limpido e più sincero, una personalità politica che certamente ci mancherà, a noi del Partito Democratico, così come a tutta quest'Aula. Nel caso dell'onorevole Roberto Maroni sono davvero profondi i motivi per rimpiangerne la presenza. Per questo, Presidente, mi permetta, attraverso di lei, di rivolgere, a nome del gruppo del Partito Democratico, al gruppo e a tutta la comunità politica della Lega, le nostre sentite condoglianze e il nostro più sincero cordoglio (Vivi e generali applausi – I deputati si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Francesco Silvestri. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SILVESTRI (M5S). Grazie, Presidente. Mi unisco alle condoglianze, da parte del MoVimento 5 Stelle, non solo al gruppo parlamentare e al popolo leghista, ma soprattutto ai congiunti e ai familiari di Roberto Maroni, che in questi giorni probabilmente avranno un dolore con cui convivere. Oggi, come molte volte capita quando siamo chiamati a condividere un momento di raccoglimento per la perdita di qualcuno, celebriamo gli incarichi e le virtù anche politiche dell'uomo che ci lascia. Io non posso aggiungere nulla rispetto a quello che ha detto lei, Presidente Fontana, e, rispetto all'uomo, a quello che ha detto il presidente Molinari, perché sarebbe ridicolo. Ma, presidente Molinari, voglio testimoniarle che anche dall'esterno, da chi come me non ha avuto il piacere di conoscere Roberto Maroni, traspariva una passione politica, una dedizione, un amore per il proprio territorio, una militanza che è quanto le persone, a prescindere dall'ideologia, chiedono alla politica e alle persone che ambiscono a fare politica. Non possono che darne testimonianza i suoi lunghi incarichi, le sue interviste, il suo percorso politico. In questo passaggio voglio anche ricordare quanto la famiglia ha testimoniato sugli ultimi giorni, quando, a fronte di una malattia che comunque non gli aveva tolto il sorriso, davanti alla domanda su come stesse, la sua risposta è stata sempre: “Bene”. Questo è un insegnamento che ci lascia, il fatto che non va persa mai la fiducia, che non bisogna mai smettere di lottare. Sono state delle parole che mi hanno profondamente colpito.

Quindi, ribadisco con profonda sincerità e con profondo trasporto le più sentite condoglianze da parte della comunità del MoVimento 5 Stelle a questo Parlamento e, ovviamente, al popolo leghista (Vivi e generali applausi – I deputati si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sorte. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO SORTE (FI-PPE). Grazie, Presidente. È con profonda emozione che desidero oggi, da deputato della Repubblica, ricordare in quest'Aula una persona a cui sono stato legato moltissimo (Applausi)…

PRESIDENTE. Onorevole Sorte, non si preoccupi, se vuole le diamo la parola dopo. Passiamo a un altro intervento e le ridiamo la parola dopo. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gadda. Ne ha facoltà.

MARIA CHIARA GADDA (A-IV-RE). Grazie, Presidente. I pochi minuti a disposizione non sono certo sufficienti a ricordare Roberto Maroni, un uomo che ha lasciato il segno nella storia politica del nostro Paese negli ultimi trent'anni e che ho avuto l'onore e il piacere di conoscere nel lavoro parlamentare sul nostro territorio, la nostra amata terra di Varese.

È tra i padri fondatori della Lega, che ebbe il coraggio di costruire giorno per giorno e di guidare in uno dei momenti di maggiore difficoltà. Più volte Ministro in ruoli chiave, prima al Ministero dell'Interno, senza mai sottrarsi ai temi più scottanti, come il contrasto alle mafie e ai tentativi di ritorno delle Brigate rosse, poi al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, dove ha dato particolare cura e attenzione a quel mondo del Terzo settore e del volontariato, che ha sempre riconosciuto come grandissimo motore di coesione sociale e di radicamento territoriale. Presidente della Regione Lombardia e, poi, l'incarico al Ministero dell'Interno sul fenomeno del caporalato, durante il Governo Draghi, nonostante la malattia, che già fiaccava le forze fisiche, ma non la determinazione, non lo spirito e non l'intelletto. Poi, orgoglioso consigliere comunale nella nostra Varese, in questi ultimi anni di impegno, e cittadino presente nella sua Lozza. Il sindaco di Lozza, che è peraltro un sindaco di Italia Viva, quindi di un'altra forza politica, riconosce quanto Bobo Maroni ci sia sempre stato per il Paese e per quel piccolo comune, per le grandi infrastrutture, ma anche per acquistare le bandiere della regione Lombardia o le bandiere dell'Italia, quando mancavano e il comune non aveva le risorse per acquistarle.

Nonostante i tanti ruoli di altissimo livello e di potere, Bobo, come siamo abituati a chiamarlo con affetto, era in grado di stare in mezzo alle persone con grande autenticità, simpatia e disponibilità, anche nei lunghi mesi della malattia, senza mai nasconderla o farne peso per gli altri.

In queste ore di dolore non a caso il sentire comune, persino di chi lo ha avversato come me politicamente, è quello della gratitudine per averlo incontrato in questo comune cammino terreno, perché il confronto con lui era sempre motivo di costruzione, mai di strumentalità.

Oggi è doveroso ricordarlo in quest'Aula, perché Bobo è sempre stato un uomo delle istituzioni e nelle istituzioni ha lavorato con spirito critico e dedizione, così come ha fatto sul territorio lombardo e varesino, che ha tanto amato.

Bobo è sempre stato un giovane sognatore e, forse, è questo che gli ha consentito di rimanere sempre giovane nello spirito e nel rapporto con gli altri, ma aveva i piedi ben piantati per terra con quel sano pragmatismo lombardo che ha rappresentato tutto il suo agire politico, ma anche tutto il suo agire umano.

Una sua frase del 2013, detta in un piccolo convegno, una piccola iniziativa in regione Lombardia, quando era presidente di regione, credo che descriva più di mille parole come Bobo concepiva il suo impegno politico con curiosità e spirito di servizio: “non tutto quello che succede in Lombardia dipende da me o è nei miei poteri d'intervento, ma tutto quello che succede in Lombardia m'interessa”.

Ha sempre cercato il confronto con gli avversari politici e, quando c'era da prendere decisioni nell'interesse dei cittadini, le prendeva con coraggio. Lo ha fatto quando firmò con il Governo Renzi il Patto per la Lombardia. Lui certo andò avanti nonostante le critiche, perché servivano le infrastrutture, servivano gli investimenti per i cittadini lombardi e i cittadini sono sempre venuti prima di tutto.

Durante la stagione di quelle riforme costituzionali, mi ricordo, da allora giovane parlamentare, un incontro che organizzò in regione sulle riforme costituzionali e sulle autonomie territoriali, proprio perché cercava il confronto, perché cercava il dibattito con tutte quelle forze politiche che sui temi importanti si dovevano confrontare. Oggi, io non so chi avrebbe la maturità di organizzare un incontro di quel tipo e di farne sintesi preziosa.

La politica è stata la passione della vita di Bobo, ma ne aveva anche tante altre, perché sapeva assaporare la vita con gentilezza e signorilità: la sua famiglia, certamente, ma era anche un eccellente musicista, persino uno scrittore di gialli, come in questo ultimo momento della sua vita, e un velista. E da velista schietto e onesto intellettualmente non è mai stato in balia del vento dell'opportunismo. Bobo ci mancherà, con il suo sorriso, dietro quegli occhiali colorati, inconfondibili e originali; tanti di noi hanno sicuramente dei ricordi preziosi personali e per questo motivo desidero rivolgere alla famiglia, ai figli, alla moglie, agli amici, ai tanti sindaci con cui ha lavorato, ma anche e soprattutto alla comunità della Lega, le più sentite condoglianze e la vicinanza in questo momento di dolore, da parte del gruppo di Azione, Italia Viva e Renew Europe (Vivi e generali applausi – I deputati si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bonelli. Ne ha facoltà.

ANGELO BONELLI (AVS). Signor Presidente, onorevoli colleghi e onorevoli colleghe, Ministro Giorgetti, la notizia della scomparsa di Roberto Maroni ci ha profondamente colpiti. Io ho avuto modo di conoscere Roberto Maroni nel 2005, non ero deputato, non ero ancora parlamentare, e quello che mi colpì di Roberto Maroni furono la cordialità e la simpatia, la capacità di interloquire con chi aveva davanti, con molta semplicità e molta umiltà, devo dire, caratteristica molto difficile da parte di chi ha ruoli di governo importanti. Penso che questa sia una caratteristica, una qualità, indipendentemente dalle posizioni politiche che possiamo avere, che la politica dovrebbe recuperare, quella della schiettezza, quella della capacità di saper interloquire con semplicità e, ripeto, cordialità. Maroni è stato protagonista di un'importante stagione politica del nostro Paese, che ci ha visti contrapposti, su posizioni molto diverse, ma ha interpretato i suoi ruoli, i ruoli istituzionali, con umiltà, come dicevo prima, e competenza e per noi, lo voglio dire con molta sincerità, è stato un avversario tenace e leale.

Nel commentare la sua malattia – leggevo un articolo del Corriere della Sera di alcune settimane fa -, nella presentazione del suo libro, lui disse: Ho capito che tra le cose importanti non c'è la politica con la “p” minuscola. Infatti, ha lavorato con grande tenacia intellettuale, nel momento molto difficile della sua malattia, a scrivere un libro e questo è un segnale estremamente importante che dà una caratteristica di una persona forte, che ha e voleva continuare ad avere un ruolo importante non solo nella sua vita, ma anche nel Paese. Lo dico con chiarezza: Maroni, persona perbene, posizioni diverse, e proprio per questo riconosciamo a questa persona - e lo salutiamo - un grande rispetto. Quindi, a nome del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra rivolgiamo alla famiglia e al partito di riferimento, la Lega, le nostre sentite condoglianze (Vivi e generali applausi – I deputati si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lupi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO LUPI (NM(N-C-U-I)-M). Grazie, signor Presidente. Stay tuned, rimani sintonizzato; così Roberto Maroni, un uomo politico – pensate, in politica, poi, può nascere anche una grande amicizia - concludeva la sua rubrica che ormai da tanto tempo teneva su Il Foglio. Autoironicamente l'aveva intitolata “Barbari Foglianti”. Questo vorrei dirgli ora: Roberto, continua ad essere sintonizzato o, meglio, continuiamo noi a stare sintonizzati con te, che hai saputo interpretare con stile la tua responsabilità nelle istituzioni, con moderazione, con capacità di interpretare il cambiamento politico e sociale della nostra Repubblica, di cui, con la Lega, sei stato protagonista. La moderazione di Roberto Maroni - per come l'ho conosciuto io - non era il segno di un compromesso con l'ideale per cui era entrato in politica, i cui principi, ogni tanto me lo ricordava, sono riassumibili in un nome: Gianfranco Miglio. Ancora l'anno scorso, nel ventennale della sua scomparsa, io ho avuto Gianfranco Miglio come preside della mia facoltà di Scienze Politiche, diceva: Ciao, prof, dopo vent'anni ci manca il tuo pensiero coraggioso, la tua simpatia, la semplicità di un uomo geniale, maestro di vita. Un barbaro sognante, l'hanno definito alcuni, un barbaro realista, vorrei aggiungere io; Roberto era un uomo di sinistra, assalito dal realismo e lo dimostrò con le sue azioni da Ministro dell'Interno e da Ministro del Lavoro e delle politiche sociali; di più, un barbaro europeo, con tutta l'accezione positiva che a questa definizione dava, tra l'altro, un altro grande, Václav Havel, descrivendo e raccontando dell'Europa. Ecco, Roberto, voleva una destra moderna, che avrebbe dovuto scommettere su europeismo moderno e non antieuropeismo nostalgico. Dei tanti richiami alla politica che Bobo ci ha consegnato negli ultimi anni dopo la sua rinuncia, prima, alla corsa per la regione Lombardia e, poi, a quella come sindaco di Varese, a causa della malattia che lo aveva aggredito e che ieri lo ha condotto al culmine della sua vita, voglio infine ricordarne due: il primo, è quello del buonsenso, quante volte l'ha detto; il secondo, non nascondiamoci, e voglio ricordarlo qui, in questo Parlamento, perché ha vissuto drammaticamente quei sei anni che l'hanno toccato, la perversione della giustizia, un giustizialismo che sintetizzava così, permettetemi di citare queste parole: “In linea generale, non ha come risultato l'accertamento della verità, ma quello di mettere in piedi un processo sommario e violento, che porta all'inevitabile distruzione della dignità e della reputazione della persona coinvolta, alla sua condanna immediata, emessa da giornali e TV, ancor prima che l'interessato riceva l'avviso di garanzia”. In una delle sue rubriche, lo dico a noi che siamo qui oggi a ricordarlo disse: “Oggi parlo di me. Parlo di me. Nonostante la pandemia, nonostante i problemi che viviamo, nonostante le avversità di questi momenti terribili, mi sono preso una settimana di felicità. Cosa mi ha reso felice? Dopo sei anni di processi e tormenti la Corte di cassazione ha clamorosamente annullato le due sentenze di condanna infertemi da tribunale e corte d'appello di Milano, riconoscendo finalmente l'assoluta correttezza dei miei comportamenti quando ero alla guida della Lombardia. In questi sei anni ho sofferto molto, vedendo messa in discussione la mia onorabilità, la mia onestà. Ho sopportato questa ingiustizia in silenzio, senza far casino casino era il modo diretto con cui lui parlava). Mi è andata bene, ma a tante persone innocenti questi errori giudiziari rovinano la vita”. Che fare, diceva? Semplice: una riforma vera della giustizia che ponga fine agli abusi e chiami a rispondere chi sbaglia. Questo era il coraggio di un uomo politico, che avendo vissuto su di sé questo dramma, capiva che la nostra responsabilità è far sì che altri non vivano questo stesso dramma.

Permettetemi, infine, scusi se abuso del tempo, esprimendo alla famiglia e agli amici di Roberto la nostra, di Noi Moderati, del nostro gruppo parlamentare, sincera partecipazione al dolore, di ricordare un altro aspetto umano, lieto ed esuberante, uno dei suoi punti fermi, abbiamo fatto tante trasferte insieme: la fede rossonera. Ironicamente parlando del mese di dicembre diceva che era il mese di Natale, ma era anche il mese del diavolo, sì, del diavolo, ma nel senso rossonero del termine. Il 18 dicembre il Milan nacque, appunto. Saremo una squadra di diavoli - Roberto diceva - i nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari. Fu facile profeta per chi è milanista e ha avuto la possibilità di vedere anche il Milan vincere lo scudetto. Ciao Roberto, ciao Bobo (Vivi e generali applausi – I deputati si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sorte. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO SORTE (FI-PPE). Chiedo scusa per prima, ma penso che sia umano commuoversi perché ho avuto il privilegio di lavorare al suo fianco, nella sua Giunta, nella Giunta regionale dal 2014 al 2018. Roberto era un uomo di Stato, che ha saputo interpretare con onore, autorevolezza ed equilibrio il suo ruolo istituzionale, animato da un genuino spirito di servizio nei confronti della cosa pubblica. Era un amministratore concreto e capace, come piace ai lombardi, lungimirante e pragmatico. Con il presidente Maroni abbiamo lavorato a provvedimenti storici, non solo per la regione Lombardia, ma per tutto il Paese. Abbiamo stanziato un investimento epocale da 1,6 miliardi di euro per l'acquisto di nuovi treni sulle tratte lombarde. Insieme abbiamo aperto al traffico importanti infrastrutture strategiche per il Nord Italia, come la BreBeMi, la TEEM e diverse tratte della Pedemontana e potenziato i collegamenti infrastrutturali dei trasporti e della mobilità legati a Expo 2015, un evento che ha reso la Lombardia protagonista sulla scena internazionale. Abbiamo lavorato e fatto la differenza anche per la mia provincia, la provincia di Bergamo, cui il presidente Maroni era particolarmente affezionato, realizzando la fermata ferroviaria per l'Ospedale “Papa Giovanni XXIII”, finanziando la riqualificazione del rondò dal casello dell'autostrada, finanziando la variante di Zogno, che abbiamo aperto recentemente al traffico, e quella di Verdello, che sarà aperta tra pochi giorni. Si tratta di opere in cui credevo e credo moltissimo che, insieme al presidente Maroni - con cui abbiamo costruito e consolidato solidissime sinergie, con tantissimi amministratori lombardi e bergamaschi, con caparbietà e capacità di visione - siamo riusciti a realizzare. Non era necessario avere in tasca la tessera del suo partito perché Roberto Maroni desse attenzione alle istanze dei territori: lavorava e si spendeva per i lombardi, per le province e per i comuni a prescindere dall'appartenenza politica, con correttezza e trasparenza. Per noi assessori sapere che al 35° piano di Palazzo Lombardia c'era una persona saggia al timone rappresentava una salda certezza, un punto sicuro di riferimento. Sapeva coniugare il forte senso delle istituzioni e la passione politica autentica, la forza innovatrice e rinnovatrice, per un centrodestra moderato e di Governo, moderno e capace di risolvere i problemi. Era fiero di essere leghista, era fiero di essere autonomista, era un leghista atipico, era una persona stimata. È stato detto anche negli interventi che ho sentito trasversalmente ed è vero. Oltre questi tratti umani, che ho avuto l'occasione di testare personalmente - e per me è stato un grande privilegio - devo dire che mi ha sempre colpito la sua imprevedibilità, le sue finte di corpo nelle trattative politiche, l'ironia, l'intuito, il saper dar fiducia senza pregiudizi, aprendo a nuove energie. Permettetemi di raccontare un aneddoto. Sono stato eletto consigliere regionale nel 2013; l'anno successivo il presidente Berlusconi e Forza Italia mi proposero come assessore ai trasporti e alle infrastrutture, avevo solo trent'anni. Il presidente Maroni mi convocò nel suo ufficio e, dopo un'attenta valutazione, mi incalzò: “Allora, sei pronto a fare l'assessore”? Io, tra il serio e il faceto, risposi: “Presidente, fossi in lei, non azzarderei. Forse sono troppo giovane per un incarico così importante”. Mi rispose: “Questa argomentazione con me non regge. Guarda che io avevo 39 anni quando Umberto Bossi mi propose di fare il Ministro dell'Interno”. Questo era Roberto Maroni. Onorevoli colleghi, Presidente della Camera, non so se sono stato un bravo assessore, ma so che abbiamo avuto un grande presidente (Vivi e generali applausi – I deputati si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA (MISTO-+EUROPA). Grazie, signor Presidente. A nome del gruppo Misto, mi consenta di estendere le nostre sentite condoglianze ai familiari e ai compagni di lotta e di iniziativa politica della Lega per la scomparsa di Roberto Maroni.

Dialogare con Roberto Maroni era facile alla fine, e anche discutere con lui. La prima occasione che io ebbi di conoscere Roberto Maroni fu nel 1993, quando lui guidò la Lega, un pezzo della Lega a partecipare alla raccolta firme di alcuni referendum radicali e lo faceva con la curiosità e la passione anche nei confronti di un mondo che certamente non era il suo.

Ho conosciuto Roberto Maroni quando ero al Ministero degli Affari esteri per Expo e l'ho conosciuto anche quando insieme - lo richiamava il presidente Molinari -, dal Governo e dalla regione Lombardia, organizzammo un importante evento di EUSALP, la Strategia per la macroregione alpina dell'Unione europea. Io sono valtellinese, avevamo discusso molto del senso e lui lo interpretava da regionalista europeista - è stato detto -, vedendo l'idea che le regioni non fossero uno strumento per chiudersi, ma che potessero essere - e quello strumento dell'Unione europea era esattamente quello - uno strumento per far dialogare e rendere più intensi e stringenti i legami sociali, economici, infrastrutturali, al di là dei confini e oltre i confini tra la Lombardia e le altre regioni alpine dell'Italia e le regioni alpine degli altri Paesi europei e anche della Svizzera. Lì c'era, credo, il senso profondo del suo modo di essere regionalista e autonomista, ma con un'apertura - è stato già detto, ma mi piace ripeterlo - forte all'Europa e al superamento, non al rafforzamento, dei confini.

Su tanti altri temi non ho condiviso - e spesso ho combattuto - le sue posizioni e le norme che ha scritto e ispirato, ma anch'io ritengo di dire, di testimoniare come Roberto Maroni sia stato un appassionato interprete dello spirito democratico e di una rigorosa lealtà nei confronti delle istituzioni, che fosse il Parlamento, il Governo o la regione Lombardia. Quindi, rinnovo le sentite condoglianze del gruppo Misto ai familiari e ai suoi amici leghisti e che la Terra gli sia lieve (Vivi e generali applausi – I deputati si levano in piedi).

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Comunico che, sulla base di quanto convenuto nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo di mercoledì 16 novembre, nella giornata di martedì 29 novembre (ore 10, e p.m., con eventuale prosecuzione notturna), avrà luogo la discussione generale delle mozioni che sono state presentate e richieste entro il termine scaduto oggi alle ore 14.

Si tratta delle seguenti mozioni: Conte ed altri n. 1-00010 e Zanella ed altri n. 1-00020, (quest'ultima in corso di pubblicazione) concernenti iniziative in relazione al conflitto tra Russia e Ucraina (richieste dai gruppi MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra); Orlando ed altri n. 1-00012 concernente iniziative volte all'introduzione del salario minimo (richiesta dal gruppo Partito Democratico); Richetti ed altri n. 1-00021 concernente iniziative per la ratifica della riforma del Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità (MES) (in corso di pubblicazione e richiesta dal gruppo Azione-Italia Viva).

Secondo le intese intercorse fra tutti i gruppi, dopo l'esame delle soprammenzionate mozioni, avrà luogo, nella stessa seduta di martedì 29 novembre, la discussione generale della proposta di modifica del Regolamento della Camera dei deputati relativa ad adeguamenti conseguenti alla riduzione del numero dei deputati, approvata all'unanimità nella seduta odierna dalla Giunta per il Regolamento e in corso di pubblicazione.

Come già convenuto, il seguito dell'esame delle mozioni è previsto nella seduta di mercoledì 30 novembre (ore 9,30 e ore 16 con eventuale prosecuzione notturna) e, sempre secondo le predette intese, sarà successivamente previsto il seguito dell'esame della citata proposta di modifica del Regolamento.

Ricordo che, a norma dell'articolo 64 della Costituzione, ai fini dell'approvazione del testo della Giunta, è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti della Camera.

L'organizzazione dei tempi per l'esame delle mozioni e della proposta di modifica del Regolamento sarà pubblicata nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta. Ha chiesto di parlare il deputato Ricciardi. Ne ha facoltà.

TONI RICCIARDI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, alle 19,34 di 42 anni fa, in un territorio dove Cristo non si era mai fermato, in 90 secondi si consumò la più immane catastrofe della nostra storia repubblicana, quello che è passato alla storia come il terremoto dell'Irpinia: 2.914 vittime, 9 mila feriti, 280 mila sfollati hanno aperto uno squarcio profondo in un pezzo di mondo sconosciuto, che sembrava riportare indietro le lancette dell'orologio al secolo prima. Improvvisamente assursero alla cronaca nazionale e internazionale paesini fino ad allora sconosciuti: Balvano, Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Lioni, San Mango sul Calore e, per finire, Sant'Angelo dei Lombardi. Vite spezzate, paesi distrutti e rasi al suolo. Una generazione, Presidente, quella dei prefabbricati, nata e cresciuta lì, in un territorio che quel tragico 23 novembre di 42 anni fa ha vissuto il cambiamento profondo dei suoi connotati. Quel drammatico evento, probabilmente, fu anche l'ultimo grande momento di unità del nostro Paese, un momento in cui si manifestò con forza una solidarietà nazionale e internazionale senza precedenti, e probabilmente non accadrà più con quella intensità.

È bene ricordare questo evento per tante ragioni, ma, su tutte, anche quella del fatto che questo evento segnò anche la fine di una stagione politica. E probabilmente, a distanza di 42 anni - e concludo, Presidente - è giunto il momento, proprio in questa sede, di chiedere, di istituire una Commissione d'indagine conoscitiva, affinché si possano analizzare con fermezza e con chiarezza i fatti e ricostruirli per come sono andati. Lo dobbiamo al Paese, lo dobbiamo soprattutto alle migliaia di vittime che quella notte abbandonarono per sempre quel triangolo della morte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Caramiello. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CARAMIELLO (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, le bozze che stanno circolando in merito all'autonomia differenziata sono drammatiche. Una preoccupazione condivisa da moltissimi esponenti politici. Finalmente, direi, alcuni governatori del Sud stanno facendo sentire la loro voce. Che dire? Su questo concordo, ma mi chiedo: dove eravate tutti voi, quando, nel 2001, la maggioranza di Governo a trazione centrosinistra, con l'obiettivo di sottrarre voti alla Lega, approvò la riforma del Titolo V, che di fatto spalancò le porte all'autonomia? E dove eravate il 28 febbraio 2018, quando, a soli quattro giorni dalle elezioni, il Governo Gentiloni, con la Lega all'opposizione, approvò i famosi tre accordi preliminari con le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna in cui si richiedeva l'autonomia differenziata? Dove eravate quando un Governo dimissionario, che quindi avrebbe dovuto occuparsi solo di ordinaria amministrazione, approvò quegli accordi che tagliarono il nastro di partenza all'autonomia? Onorevoli colleghi, queste bozze mettono a rischio l'unità nazionale: da un lato umiliano il Parlamento, che non potrà entrare nel merito del provvedimento, emendandolo, riducendosi a un mero ratificatore di un affare privato tra l'Esecutivo e queste regioni; dall'altro, permane il criterio della spesa storica, che consiste nel trasferire dall'amministrazione centrale alle regioni quanto si è dato prima. In questo modo si incrementerà il gap Nord-Sud, perché chi ha avuto di più continuerà ad avere di più e chi ha avuto di meno avrà ancora meno.

Come se non bastasse, i livelli essenziali di prestazioni, i cosiddetti LEP, che individuano i diritti minimi da garantire in tutte le regioni d'Italia, vengono previsti solo per alcune materie, prevedendo una loro definizione non subito, ma entro un anno, il che è una chiara presa per i fondelli verso le aree fragili del Paese. È irrealistico credere che si possano determinare i livelli essenziali delle prestazioni in 12 mesi, atteso che è dal 2001 che la Corte costituzionale bacchetta lo Stato per la mancata definizione dei LEP. Se non si è riusciti a definirli in 21 anni, come potrete determinarli in 12 mesi? Ieri, tra l'altro, all'assemblea nazionale dell'ANCI, alla presenza dei sindaci, anche il Presidente Mattarella è stato chiaro: al Nord e al Sud si devono avere gli stessi diritti e vanno tutelati tutti i cittadini.

La verità, Presidente, è che siamo ben lontani dal calcolo e dal finanziamento dei LEP, perché, come è emerso nella scorsa Commissione sul federalismo, lo Stato non ha le coperture sufficienti per finanziarli. Il che significa che, qualora fosse approvata l'autonomia differenziata, il Sud andrà praticamente in bancarotta. E sarà in quel momento che questa maggioranza strapperà in modo definitivo l'articolo 3 della Costituzione, che sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini, e l'articolo 5, secondo cui la Repubblica è una e indivisibile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Furgiuele. Ne ha facoltà.

DOMENICO FURGIUELE (LEGA). Grazie, Presidente. Per esprimere da questi banchi solidarietà alle popolazioni della costa tirrenica calabrese, della provincia di Catanzaro, alle imprese e alle attività commerciali che in queste ultime 48 ore hanno subito danni derivanti dalle piogge che hanno sferzato quel territorio. A Lamezia Terme, in particolare a Sambiase, nell'entroterra, ma anche a Tropea, a Vibo Valentia, a Vibo Marina, gli ingenti danni che abbiamo potuto riscontrare ci invitano a valutare l'opportunità di chiedere al presidente Occhiuto di intervenire con una richiesta di calamità naturale. Ringraziamo il presidente che è intervenuto, ha mobilitato la Protezione civile. Da questi banchi, dall'importanza di quest'Aula, chiediamo all'istituzione regionale che intervenga sui dipartimenti preposti a valutare tutte quelle iniziative, molte delle quali abbastanza datate, necessarie per porre in sicurezza quei territori.

Signor Presidente, realtà come Lamezia Terme, come Gizzeria, come Falerna, come Nocera Terinese, non possono più aspettare; hanno bisogno di interventi che siano strutturali prima che sia troppo tardi, troppo tardi per le strutture viarie, troppo tardi per i centri abitati. Ormai non c'è alluvione che non invada quei territori, e questa è una cosa inaccettabile, nel 2022. La situazione di Nocera Terinese, in particolare, è drammatica. Si sta intervenendo, ma c'è bisogno di una sinergia e, soprattutto, della velocizzazione di quelle pratiche utili per porre un rimedio definitivo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Billi. Ne ha facoltà.

SIMONE BILLI (LEGA). Grazie, Presidente. La rete consolare versa in gravi difficoltà per l'erogazione dei servizi consolari. La spending review della pubblica amministrazione italiana, partita dal Governo Monti, ha impattato pesantemente anche sulle risorse dei consolati, con una drastica riduzione del personale: da 5 mila nel 2010 a 2.500 oggi, quindi la metà. Aumento esponenziale degli italiani AIRE, da circa 3 milioni nel 2006 a circa 6 milioni oggi.

Vi sono state, poi: la pandemia, che ha costretto alla chiusura o al lavoro parziale molti consolati, aumentando ulteriormente gli arretrati; e le tre tornate elettorali di quest'anno, il 2022: le elezioni dei Comites, il referendum, le elezioni politiche, che hanno aumentato ulteriormente gli arretrati. Inoltre, in molti Paesi d'Europa le carte d'identità cartacee non vengono più accettate dalle autorità locali, perché facilmente falsificabili. Quindi, la richiesta di carte di identità elettroniche è ulteriormente aumentata. Pertanto, Presidente, chiederemo al Governo, anche in questa legge di bilancio per il 2023, di intraprendere tutte le iniziative necessarie affinché si possa risolvere la situazione, recuperando gli arretrati e potenziando i consolati (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Venerdì 25 novembre 2022 - Ore 9,30:

1. Svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta termina alle 18,50.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 2)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nominale MOZ. ASCARI E A. 1-4 330 47 283 24 47 0 38 Appr.
2 Nominale MOZ. POLIDORI E A. 1-5 U.N.F. 330 330 0 166 330 0 38 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui é mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi é premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.