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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 9 maggio 2023

TESTO AGGIORNATO AL 12 LUGLIO 2023

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli
nella seduta del 9 maggio 2023.

  Albano, Ascani, Baldino, Barelli, Bellucci, Benvenuto, Bignami, Bitonci, Braga, Cappellacci, Carloni, Cecchetti, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Enrico Costa, Sergio Costa, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Evi, Ferrante, Ferro, Fitto, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Grippo, Guerini, Gusmeroli, Lacarra, Leo, Lollobrigida, Lupi, Magi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Molteni, Montaruli, Mulè, Nordio, Onori, Osnato, Nazario Pagano, Pellegrini, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Richetti, Rixi, Roccella, Rosato, Angelo Rossi, Rotelli, Scerra, Schullian, Francesco Silvestri, Rachele Silvestri, Siracusano, Sportiello, Tajani, Trancassini, Tremonti, Zaratti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Albano, Ascani, Baldino, Barelli, Bellucci, Benvenuto, Bignami, Bitonci, Braga, Cappellacci, Carloni, Cecchetti, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Enrico Costa, Sergio Costa, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Evi, Ferrante, Ferro, Fitto, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Grippo, Guerini, Gusmeroli, Lacarra, Leo, Lollobrigida, Lupi, Magi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Molteni, Montaruli, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Pellegrini, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Richetti, Rixi, Roccella, Rosato, Angelo Rossi, Rotelli, Scerra, Schullian, Francesco Silvestri, Rachele Silvestri, Siracusano, Sportiello, Tajani, Trancassini, Tremonti, Zaratti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 8 maggio 2023 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:

   CARETTA: «Disposizioni per promuovere l'impiego di tecniche di telerilevamento mediante impulsi laser per il censimento e la gestione del patrimonio forestale nazionale» (1138);

   MALAVASI: «Disposizioni in materia di rapporto di lavoro esclusivo degli esercenti le professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, la professione ostetrica e la professione sociosanitaria di assistente sociale, dipendenti delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale» (1139);

   MALAVASI ed altri: «Istituzione dello psicologo di cure primarie» (1140);

   ORRICO ed altri: «Modifiche all'articolo 3 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e altre disposizioni per la tutela e la promozione della danza nell'attività delle fondazioni lirico-sinfonico-coreutiche» (1141);

   NISINI: «Modifiche all'articolo 8 della legge 21 ottobre 2005, n. 219, in materia di concessione di contributi previdenziali figurativi ai donatori di sangue e di emocomponenti che si astengono dal lavoro per l'intera giornata in cui effettuano la donazione, e disposizioni concernenti il limite di età per i donatori» (1142).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge CIOCCHETTI ed altri: «Disposizioni per la tutela dei diritti delle persone affette da epilessia» (763) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Loperfido.

  La proposta di legge VARCHI ed altri: «Modifica all'articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all'estero da cittadino italiano» (887) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Filini.

  La proposta di legge MASCHIO ed altri: «Introduzione dell'articolo 612-bis.1 del codice penale, concernente i reati di bullismo e cyberbullismo, modifica dell'articolo 731 del medesimo codice, in materia di inosservanza dell'obbligo di istruzione dei minori, e delega al Governo per l'adozione di disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo» (910) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Cannata e Gardini.

Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 3 maggio 2023, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, concernente l'esercizio di poteri speciali inerenti agli attivi strategici nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, l'estratto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° maggio 2023, recante l'esercizio di poteri speciali, con prescrizioni, in relazione all'operazione notificata dalle società Ardutch BV, Beko Europe BV, Whirlpool Emea Holdings LLC, riguardante il conferimento del business Arҫelik e del business Whirlpool a Beko Europe BV (procedimento n. 22/2023).

  Questo decreto è trasmesso alla X Commissione (Attività produttive).

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 3 maggio 2023, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, concernente l'esercizio di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, l'estratto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° maggio 2023, recante l'esercizio di poteri speciali, con condizioni, in relazione all'operazione notificata dalle società Maja Holdings LLC e CIT Srl, riguardante l'acquisizione da parte di Maja Holdings LLC di una partecipazione pari al 49 per cento del capitale sociale di CIT Srl (procedimento n. 59/2023).

  Questo documento è trasmesso alla IV Commissione (Difesa) e alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissione dal Ministro
per i rapporti con il Parlamento.

  Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 21 aprile 2023, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 31, primo comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186, la relazione sullo stato della giustizia amministrativa e sugli incarichi conferiti a norma dell'articolo 29, terzo comma, della medesima legge n. 186 del 1982, riferita all'anno 2021 (Doc. LXI, n. 1).

  Questa relazione è trasmessa alla II Commissione (Giustizia).

Trasmissione dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

  Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera in data 5 maggio 2023, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 50 della legge 23 luglio 2009, n. 99, la relazione concernente l'andamento del processo di liberalizzazione dei servizi a terra negli aeroporti civili, riferita al secondo semestre 2022 (Doc. LXXI-bis, n. 2).

  Questa relazione è trasmessa alla IX Commissione (Trasporti).

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 5 maggio 2023, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, secondo periodo, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, un documento concernente la posizione del Governo nell'ambito della procedura di consultazione pubblica avviata dalla Commissione europea su una tessera europea di disabilità.

  Questo documento è trasmesso alla XII Commissione (Affari sociali) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 9 maggio 2023, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 1313/2013/UE su un meccanismo unionale di protezione civile (COM(2023) 194 final), accompagnata dalla tabella di corrispondenza tra le disposizioni della proposta e le norme nazionali vigenti.

  Questa relazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di risoluzioni
del Parlamento europeo.

  Il Parlamento europeo, in data 3 maggio 2023, ha trasmesso le seguenti risoluzioni, approvate nella tornata dal 29 al 30 marzo 2023, che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 125, comma 1, del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:

   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce una piattaforma di collaborazione come ausilio al funzionamento delle squadre investigative comuni e che modifica il regolamento (UE) 2018/1726 (Doc. XII, n. 127) – alla II Commissione (Giustizia);

   Risoluzione legislativa sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a un Anno europeo delle competenze 2023 (Doc. XII, n. 128) – alla XI Commissione (Lavoro);

   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla sicurezza generale dei prodotti, che modifica il regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 87/357/CEE del Consiglio e la direttiva 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (Doc. XII, n. 129) – alla X Commissione (Attività produttive);

   Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi (Doc. XII, n. 130) – alla XI Commissione (Lavoro);

   Risoluzione sullo Stato di diritto 2022 – La situazione dello Stato di diritto nell'Unione europea (Doc. XII, n. 131) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia).

Trasmissione dalla Commissione europea.

  La Commissione europea, in data 4 maggio 2023, ha trasmesso il documento C(2023) 3046 final, recante la risposta della Commissione europea al parere motivato della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) (Doc. XVIII-bis, n. 2), approvato nell'ambito della verifica di sussidiarietà di cui all'articolo 6 del protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona con riferimento alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'omologazione di veicoli a motore e motori, nonché di sistemi, componenti ed entità tecniche indipendenti destinati a tali veicoli, per quanto riguarda le relative emissioni e la durabilità delle batterie (Euro 7), che abroga i regolamenti (CE) n. 715/2007 e (CE) n. 595/2009 (COM(2022) 586 final).

  Questo documento è trasmesso alla VIII Commissione (Ambiente), alla IX Commissione (Trasporti) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  La Commissione europea, in data 5 maggio 2023, ha trasmesso il documento C(2023) 3056 final, recante la risposta della Commissione europea al documento finale della IX Commissione (Trasporti) (atto Camera Doc. XVIII, n. 1) in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, che modifica il regolamento (UE) 2021/1153 e il regolamento (UE) n. 913/2010 e abroga il regolamento (UE) n. 1315/2013 (COM(2021) 812 final) e alla proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, che modifica il regolamento (UE) 2021/1153 e il regolamento (UE) n. 913/2010 e abroga il regolamento (UE) n. 1315/2013 (COM(2022) 384 final).

  Questo documento è trasmesso alla IX Commissione (Trasporti) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di progetti di atti
dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 8 maggio 2023, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, le proposte di decisione del Consiglio relative rispettivamente alla firma, a nome dell'Unione e dei suoi Stati membri, e all'applicazione a titolo provvisorio nonché alla conclusione, a nome dell'Unione e dei suoi Stati membri, del protocollo che modifica l'accordo euromediterraneo nel settore del trasporto aereo fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Regno del Marocco, dall'altro lato, per tenere conto dell'adesione della Repubblica di Croazia all'Unione europea (COM(2023) 238 final e COM(2023) 239 final), corredate dai rispettivi allegati (COM(2023) 238 final – Annex e COM(2023) 239 final – Annex), che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione di documenti connessi ad atti dell'Unione europea.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 5 maggio 2023, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4, commi 3 e 6, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, le relazioni predisposte dalla Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea, riferite al periodo dal 27 aprile al 2 maggio 2023.

  Questi documenti sono trasmessi alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) e alle Commissioni competenti per materia.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI RUFFINO ED ALTRI N. 1-00098, SERGIO COSTA ED ALTRI N. 1-00056, CATTANEO, ZUCCONI, ZINZI, SEMENZATO ED ALTRI N. 1-00083, BONELLI ED ALTRI N. 1-00116 E DI SANZO ED ALTRI N. 1-00122 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA ENERGETICA NEL QUADRO DEL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI DI NEUTRALITÀ CLIMATICA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ENERGIA NUCLEARE

Mozioni

   La Camera,

   premesso che:

    l'Unione europea, e con essa l'Italia, si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica, cosiddetta «net zero», entro il 2050, prevedendo quindi che l'anidride carbonica immessa nell'atmosfera dovrà essere ridotta al minimo e bilanciata da una quantità equivalente rimossa tramite sistemi di cattura e stoccaggio;

    per raggiungere questi obiettivi occorre ridurre in modo significativo l'utilizzo di combustibili fossili (carbone, petrolio e, in via graduale, gas naturale), ricorrendo maggiormente all'impiego di energia elettrica, la cui percentuale sugli usi finali deve passare dall'attuale 21 per cento al 55 per cento;

    questo implica che in Italia al 2050 dovranno essere generati almeno 650 TWh all'anno di energia elettrica, tutti senza emissioni di gas serra;

    a titolo di confronto, nel 2022 in Italia sono stati generati 98 TWh, di cui 32 prodotti da fonte idroelettrica e geotermica e, quindi, difficilmente incrementabili e 66 da fotovoltaico, eolico e biomasse;

    attualmente, la strategia italiana prevede il raggiungimento di questi obiettivi mediante l'utilizzo esclusivo di fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico, eolico e in misura minore biomasse;

    questa soluzione, però, oltre ad essere sostanzialmente impossibile da realizzare considerato l'ammontare degli impianti coinvolti, non è nemmeno quella ottimale per soddisfare, in ogni ora dell'anno, la domanda elettrica attesa al 2050 nel nostro Paese. Considerando, infatti, le reali curve dell'irraggiamento solare e della ventosità, che in Italia è significativamente inferiore rispetto agli altri grandi Paesi europei, accurate analisi di scenario, pubblicate da ricercatori dell'Università di Padova, mostrano che sarebbe necessario installare nei prossimi 30 anni enormi quantità di impianti fotovoltaici (da 350 a 600 GW a seconda delle ipotesi sulla tipologia di pannelli e di sistemi di accumulo, contro gli attuali 25 GW) e fino a 50 GW di impianti eolici (onshore ed offshore, ad oggi 11,8 GW);

    tra l'altro, per far fronte alla variabilità delle fonti solare ed eolica, sarebbero necessari almeno 650 GWh di sistemi di accumulo di breve termine (per esempio batterie o impianti idroelettrici a pompaggio) e risulterebbero inutilizzati, per eccesso di produzione estiva, fino a 200 TWh di energia elettrica (circa il 60 per cento della quantità di elettricità consumata attualmente ogni anno). A meno che il surplus estivo di produzione non venga convertito in idrogeno, tramite impianti di elettrolisi, accumulato per mesi in serbatoi di grande taglia e riutilizzato per generare nuovamente elettricità in inverno, con pile a combustibile. In tal caso servirebbero tra 350 e 400 GW di impianti fotovoltaici, ma si dovrebbero installare almeno 150 GW di impianti di elettrolisi, enormi volumi di serbatoi per l'idrogeno e almeno 50 GW di pile a combustibile; tecnologie queste ultime non ancora mature e comunque estremamente costose, a causa sia dell'impiego degli elettrolizzatori per un numero limitato di ore che per i grandi volumi di stoccaggio idrogeno necessari;

    va da sé che l'installazione di impianti solari ed eolici di così ingenti capacità, atteso che sui tetti di edifici residenziali commerciali ed industriali sarebbe possibile installare impianti fotovoltaici in misura assai inferiore al necessario (dell'ordine di 50 GW), comporterebbe un enorme impatto sul territorio: fino a 800-900 mila ettari (8-9 mila chilometri quadrati, circa il doppio del Molise) di superficie occupata da fotovoltaico e 750 mila ettari (7,5 mila chilometri quadrati, a terra o a mare) cosparsi – ma non ricoperti – di impianti eolici di grande taglia (di diametro compreso tra 160 e 250 metri e con altezze tra i 200 e i 300 metri), e comporterebbe anche un ingente consumo di suolo agricolo;

    un'ulteriore criticità riguarda la sostenibilità di un sistema elettrico basato esclusivamente su fonti rinnovabili dal punto di vista dell'impiego di materiali metallici e speciali, incluse le così dette «terre rare» le quali si trovano in larga misura sotto il controllo di Paesi non democratici, con evidenti gravi ripercussioni anche sul piano geopolitico e sulla sicurezza di un loro approvvigionamento stabile e duraturo;

    gli studi di scenario già citati mostrano che, considerando l'effettivo potenziale italiano delle fonti rinnovabili (irraggiamento solare e ventosità) e i costi ipotizzati per il 2050 dall'Agenzia internazionale dell'energia per tutte le tecnologie coinvolte, l'opzione senza dubbio più sostenibile, sia dal punto di vista dell'impatto sul territorio (le superfici interessate da impianti sarebbero sino a 3 volte inferiori), che dei costi dell'intero sistema elettrico (impianti di generazione elettrica e di accumulo e potenziamento della rete di trasmissione e distribuzione), è quella di raggiungere al 2050 la neutralità carbonica con un mix elettrico fatto di rinnovabili e nucleare con una quota di almeno il 40 per cento di elettricità prodotta da centrali nucleari; tali centrali attenuerebbero i problemi legati alla variabilità, stagionalità e intermittenza di un mix fatto di sole fonti rinnovabili garantendo un'operatività di oltre 8.000 ore annue, rispetto alle circa 1.200-1.800 ore del fotovoltaico e alle 2.000-3.000 ore dell'eolico (a seconda del sito e della tecnologia impiegata);

    secondo il database dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica, attualmente nel mondo ci sono 440 reattori nucleari in esercizio, che forniscono in modo continuo e senza emissioni di CO2 circa il 10 per cento dell'elettricità mondiale. Lo stesso database indica che altri 57 reattori sono in costruzione;

    il nucleare, che già oggi fornisce il 25 per cento dell'energia elettrica nell'Unione europea, è incluso nei piani di decarbonizzazione di molti Paesi membri, 12 dei quali (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Ungheria, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia) il 28 febbraio 2023 hanno sottoscritto un accordo di cooperazione sul nucleare, citato dagli organi di stampa come «Alleanza per il nucleare», in modo da sostenere a livello comunitario, sotto ogni punto di vista, sia industriale che regolatorio, il ruolo del nucleare come «uno degli strumenti per raggiungere i nostri obiettivi climatici, per generare elettricità in modo continuo e per garantire la sicurezza energetica», coerentemente con la tassonomia europea approvata nel 2022;

    all'incontro il Governo italiano non ha partecipato; il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin, rispondendo a un'interrogazione a risposta immediata in Senato, ha affermato che tale scelta è dipesa dal «rispetto della sovranità popolare del Parlamento italiano, il cui coinvolgimento è ritenuto essenziale da parte dell'Esecutivo prima dell'assunzione di impegni o prese di posizione a livello internazionale»;

    l'energia nucleare è a bassissimo impatto ambientale e priva di rischi significativi, come certificato dal Centro comune di ricerca della Commissione europea in un recente corposo rapporto che ha esaminato tutta la filiera ed ha incontrovertibilmente stabilito che l'attuale generazione di reattori («terza generazione evoluta») rispetta il principio «do not significant harm» e, pertanto proprio in base a quel rapporto, il nucleare è stato inserito, insieme con le tecnologie a fonti rinnovabili, nella tassonomia europea, tra le tecnologie a bassissima emissione di anidride carbonica idonee a raggiungere gli obiettivi climatici, sino alla neutralità carbonica al 2050;

    inoltre, le centrali nucleari emettono, nel ciclo di vita, una quantità di anidride carbonica per KWh generato analoga a quella dell'eolico e meno della metà del fotovoltaico;

    non solo il nucleare è idoneo, ma è anche la tecnologia più efficace alla decarbonizzazione, come mostra il confronto tra le emissioni del settore elettrico della Francia, Paese dell'Unione europea con il maggior numero di centrali e reattori, e quelle della Germania, che ha scelto la strada opposta, chiudendo il suo parco nucleare per puntare a ridurre le emissioni di anidride carbonica con sole rinnovabili. I dati ufficiali sono impietosi: negli anni '80 del secolo scorso, la Francia, puntando sul nucleare, in 10 anni ha abbattuto dell'85 per cento la produzione di energia elettrica da fonti fossili, e da allora ogni anno registra emissioni comprese tra 50 e 70 grammi di anidride carbonica per chilowattora prodotto; la Germania invece, decidendo di uscire dal nucleare per puntare su fotovoltaico, eolico, gas e carbone, negli ultimi 20 anni ha ridotto la quota di energia elettrica da fonti fossili di meno del 25 per cento; infatti anche nel 2022, anno caratterizzato da interventi straordinari di manutenzione per l'estensione di vita di numerosi reattori nucleari, la Francia ha emesso 90 grammi di anidride carbonica per chilowattora e la Germania 520 grammi, quasi 6 volte di più;

    tuttavia, in Europa e negli Usa oggi sono di fatto in esercizio quasi esclusivamente reattori costruiti negli anni 'Ottanta e Novanta del secolo scorso, per molti dei quali si è proceduto alle necessarie revisioni per l'estensione della vita utile. Secondo il database dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica, dal 2000 ad oggi sono entrati in servizio nel mondo 103 reattori nucleari, di cui solo 2 nell'Unione europea (in Finlandia e Slovacchia) e solo 1 negli Usa; inoltre, dei 57 reattori attualmente in costruzione, solo 2 sono nell'Unione europea (in Francia e Slovacchia), 2 nel Regno Unito e 2 negli Usa;

    infatti, negli ultimi 20 anni, nelle direttive e regolamenti comunitari le tecnologie low-carbon sono state erroneamente identificate solo con quelle a fonte rinnovabile, imponendo per esse obiettivi obbligatori, per cui gli Stati membri hanno riconosciuto alle rinnovabili priorità di dispacciamento e garanzia di acquisto di tutta l'elettricità generata, a prezzi lautamente incentivati (solo in Germania, Italia e Spagna sono stati erogati incentivi per oltre 1000 miliardi di euro complessivi), attraendo così su di esse la quasi totalità degli investimenti in nuovi impianti di generazione elettrica a bassa emissione di anidride carbonica;

    negli Usa, invece, nello stesso periodo, gli investimenti si sono concentrati sul gas naturale, con notevole incremento sia della produzione domestica (con tecniche innovative quali il fracking) che della generazione elettrica a gas. Ciò ha ridotto al lumicino gli investimenti nel settore nucleare, impedendo di fatto il mantenimento dell'elevato livello di know-how tecnologico e capacità realizzativa che aveva caratterizzato l'ultimo trentennio del secolo scorso. Con il risultato che oggi, secondo l'Agenzia internazionale dell'energia (Projected Costs of Generating Electricity, 2020), i due reattori in costruzione nell'Unione europea costano dal doppio al triplo e richiedono tempi di costruzione almeno del 50 per cento maggiori di quelli costruiti nel resto del mondo, come ad esempio in Corea del Sud, le cui aziende realizzano reattori chiave in mano in molti Paesi, da ultimo quattro negli Emirati Arabi, con tempi di costruzione e costi nettamente inferiori che nell'Unione europea;

    dunque la cosiddetta «crisi del nucleare» in Unione europea e Usa è il risultato di precise scelte di policy, che ora vanno rapidamente corrette, perché oggi è chiaro che per azzerare al 2050 le emissioni di gas a effetto serra non solo dobbiamo mantenere nell'Unione europea almeno al livello attuale il contributo del nucleare (pari al 25 per cento – prima fonte di elettricità pulita), e dunque i 103 reattori oggi in esercizio (116 includendo anche quelli in Svizzera e nel Regno Unito, connessi alla rete dell'Unione europea) dovranno essere progressivamente sostituiti, ma, poiché il fabbisogno elettrico in futuri scenari privi di emissioni sarà almeno il doppio dell'attuale, dovrà significativamente aumentare la potenza nucleare installata e quindi anche il numero stesso di reattori;

    pertanto, nella valutazione di tempi e costi di un nuovo consistente parco di reattori nucleari europei è necessario tener conto degli effetti della loro numerosità e replicabilità e del conseguente sviluppo di nuove filiere e capacità industriale, come indicano i dati ricavabili dall'esperienza dei Paesi dove oggi se ne costruiscono regolarmente. Infatti, il database dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica mostra che il tempo medio di costruzione dei 103 reattori entrati in servizio dal 2000 ad oggi è di poco inferiore ai 7 anni. È prevedibile che anche in Europa, l'avvio di numerosi nuovi progetti nei 12 Paesi membri della cosiddetta «Alleanza per il nucleare» allineerà rapidamente i tempi di costruzione europei ai valori medi del resto del mondo;

    inoltre, l'inserimento del nucleare nella tassonomia europea comporterà necessariamente che anche ai produttori di energia nucleare venga garantito il prelievo di tutta la produzione, per esempio attraverso aste e contratti dedicati alle tecnologie low-carbon con generazione continua, con conseguente significativa riduzione dei costi finanziari;

    in tal modo, il costo di generazione dell'elettricità nucleare si attesterà facilmente tra 60 e 70 euro per MWh, un valore in grado di ridurre il costo medio dell'energia elettrica in un mix tecnologico privo di emissioni di anidride carbonica fatto di nucleare e rinnovabili, proprio grazie alla continuità di servizio del nucleare che non necessita di sistemi di accumulo, né di breve periodo né stagionali;

    come citato, il mix di generazione elettrica senza emissioni di CO2 più sostenibile in Italia prevede che il fabbisogno elettrico al 2050 (pari ad almeno 650 TWh all'anno) sia soddisfatto da elettricità nucleare per circa il 40 per cento e il resto da rinnovabili con i relativi sistemi di accumulo; per questo serve una capacità nucleare di circa 35 GW;

    ipotizzando una potenza media di 5 GW per ogni centrale (ciascuna con 3-4 reattori di grande taglia), sarebbero necessarie 7 centrali, con reattori a fissione della migliore tecnologia disponibile, ovvero dalla terza generazione evoluta in avanti, come quelle attualmente in costruzione a decine nel mondo;

    va da sé che, come per tutte le tecnologie, quando da qui al 2050 saranno commercialmente disponibili reattori di taglia più piccola e modulari, oppure di nuova concezione (cosiddetti di «quarta generazione»), essi dovranno essere presi in considerazione, sempre con l'obiettivo di raggiungere almeno 35 gigawatt di capacità installata, in modo ottimale; tuttavia, come dimostra la stessa tassonomia europea, non vi è alcuna necessità, né tecnica né di sicurezza, di attendere che essi siano disponibili, prima di avviare anche in Italia un serio programma nucleare;

    con riferimento all'occupazione di suolo, il ricorso a una quota di energia elettrica nucleare in un mix completamente privo di emissioni di anidride carbonica presenta innegabili vantaggi; ciascuna delle 7 centrali nucleari ipotizzate necessita di meno di 200 ettari (2 chilometri quadrati) e genera 40 TWh all'anno, in modo continuo, cioè senza bisogno di impianti di accumulo (anch'essi responsabili di ulteriore occupazione di suolo);

    per generare la stessa energia di una sola di esse con impianti fotovoltaici (con tracking monoassiale) bisognerebbe occupare 45-50 mila ettari (450-500 chilometri quadrati) con pannelli e impianti; e poiché, in tal caso, l'energia elettrica sarebbe prodotta solo di giorno e, ancora più importante, con una notevole variabilità stagionale (in un giorno estivo sino a 5-6 volte di più che in un giorno invernale), occorrerebbe aggiungere costosi e ulteriormente impattanti impianti di accumulo giornaliero e stagionale (per esempio attraverso l'uso di impianti di elettrolisi per trasformare in idrogeno l'energia elettrica generata in eccesso d'estate e di pile a combustibile per ri-trasformare l'idrogeno in energia elettrica d'inverno, dopo averlo accumulato per mesi all'interno di serbatoi sufficientemente capienti, il tutto con dissipazione di più della metà dell'elettricità originale);

    volendo invece generare gli stessi 40 TWh con impianti eolici onshore, impiegando aerogeneratori idonei ai deboli venti italiani (come quelli usati negli impianti autorizzati dal Consiglio dei ministri nell'estate 2022) servirebbe distribuirne circa 3500 (con diametro di 160 metri ed altezza di 200 metri) su un'area ventosa di 2.300 chilometri quadrati, ossia circa la metà dell'intera provincia di Bari;

    con riferimento ai materiali di ogni tipo richiesti per la realizzazione degli impianti, l'Unece (United Nations Economic Commission for Europe) calcola che, a parità di energia elettrica generata, per la costruzione di una centrale nucleare servono sino a 7 volte meno materiali di un parco fotovoltaico e sino a 3,5 volte meno materiali di un parco eolico;

    per quanto riguarda i rifiuti radioattivi derivanti dall'esercizio delle centrali nucleari, quelli ad alta attività (HLW, high-level waste), provenienti dal combustibile nucleare irraggiato (cioè dopo l'uso nel reattore) richiedono maggiore attenzione nella gestione;

    al momento, in tutti i Paesi che ne producono, essi vengono opportunamente condizionati, quindi racchiusi in contenitori metallici che schermano le radiazioni e stoccati in piena sicurezza in depositi temporanei in attesa di essere smaltiti in un deposito geologico, come quello ormai quasi completato in Finlandia e in costruzione in Svezia;

    bisogna rimarcare che si tratta comunque di quantità molto piccole: un parco centrali nucleari da 35 GW di terza generazione evoluta produce, in 60 anni di vita utile, in tutto circa 150 metri cubi di rifiuti ad alta attività. Proprio per la ridotta quantità, la direttiva comunitaria sulla gestione dei rifiuti radioattivi prevede l'opzione che più Paesi membri possano condividere la realizzazione di un unico deposito geologico «regionale» dove smaltire insieme i rifiuti radioattivi ad alta attività prodotti in ciascun Paese;

    invece, per quanto riguarda i rifiuti radioattivi a bassa attività, prodotti anche dall'industria, dalla diagnostica e terapia medica nonché da centri di ricerca è necessario e sufficiente un deposito di superficie;

    peraltro, l'Italia ha già la necessità di dotarsi sia di un deposito di superficie, sia di uno geologico (eventualmente condiviso con altri Paesi), per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali e dagli impianti nucleari in esercizio sino al 1987 e di tutti quelli di origine diversa prodotti ogni anno nel nostro Paese;

    in particolare, i rifiuti ad alta attività ottenuti dal riprocessamento del combustibile nucleare utilizzato dalle nostre vecchie 4 centrali devono necessariamente rientrare dal Regno Unito e dalla Francia (dov'è avvenuto il riprocessamento). Si tratta di 4 cask (robustissimi cilindri di acciaio e rame) dal Regno Unito, per i quali i consumatori elettrici ogni anno stanno già pagando una tariffa di «parcheggio» di 18 milioni di euro, e di ulteriori 6 cask dalla Francia, che, se non rientreranno in Italia entro il 2025, comporteranno presumibilmente un ulteriore esborso di almeno 25 milioni di euro l'anno;

    il processo di localizzazione del deposito nazionale di superficie, dove dovranno essere smaltiti tutti i rifiuti a bassa attività e temporaneamente stoccati quelli ad alta attività di rientro dall'estero, è in oggettivo ritardo, ma, una volta scelto il sito, il deposito potrebbe essere nominalmente realizzato in cinque anni, a condizione che vengano subito risolte le croniche criticità gestionali di Sogin;

    a tal proposito, il decreto-legge n. 73 del 2022 ha disposto, all'articolo 34, il commissariamento di Sogin, prendendo atto delle evidenti criticità gestionali della società e dei ritardi riscontrati nel processo di localizzazione e conseguente realizzazione del deposito nazionale di superficie;

    tuttavia la scelta dell'organo commissariale di confermare tutta la prima linea dei direttori, incluso colui che svolgeva la funzione di amministratore delegato, in carica al momento del commissariamento, ha vanificato il provvedimento, lasciando immutate le criticità che lo avevano reso necessario, come più volte denunciato di recente da tutte le organizzazioni sindacali;

    la grave crisi energetica, dalla quale non siamo ancora completamente usciti, mostra come sia indispensabile per un Paese pienamente sviluppato, peraltro seconda economia industriale dell'Unione europea, possedere un sistema energetico nazionale affidabile, stabile e con tecnologie e fornitori diversificati ed una strategia di decarbonizzazione razionale, basata su valutazioni tecnico-economiche e non ideologiche;

    la commissaria europea all'energia, Kadri Simson, ha ribadito come il nucleare sia ormai un investimento energetico necessario in tutto il mondo, e che intende promuovere, tra le altre cose, la competitività dei piccoli reattori modulari, con la creazione di un'industria europea per il settore;

    gli obiettivi ambientali possono essere perseguiti solo con la previsione di utilizzare un mix ottimizzato di fonti energetiche e tecnologie di generazione di energia elettrica a bassissima emissione di gas a effetto serra (rinnovabili, nucleare e, in fase transitoria, gas con cattura e sequestro dell'anidride carbonica) e con la pianificazione delle modalità e dei tempi della loro entrata in servizio, così da azzerare le emissioni nel lungo periodo in modo economicamente sostenibile, con la minima occupazione di suolo e il minimo fabbisogno di materiali per la realizzazione di tutti gli impianti e le infrastrutture necessari;

    è indispensabile quindi avviare subito, per tutti gli impianti e infrastrutture idonei – ai sensi di quanto previsto nella tassonomia europea – e necessari alla completa decarbonizzazione dell'economia italiana al 2050, in particolare per quelli relativi alla generazione, accumulo, trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica, un riassetto normativo che definisca: i criteri per l'individuazione delle aree idonee alla loro localizzazione, tenendo conto delle specificità di ciascuna tecnologia;

    procedure accelerate di autorizzazione per gli impianti e le infrastrutture strategiche per la sicurezza energetica nazionale; nuove modalità di remunerazione che valorizzino le caratteristiche ed i profili di generazione, premiando le tecnologie che hanno un minore impatto sui costi di sistema; un organismo indipendente di programmazione strategica, che individui priorità e programmi di sviluppo della capacità da installare (per generazione, accumulo, trasmissione e distribuzione),

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte a procedere celermente alla localizzazione e realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, al fine di consentire lo smaltimento in totale sicurezza di tutti quelli prodotti in Italia, evitando di prolungare ulteriormente il loro stoccaggio in numerosi depositi temporanei sparsi sul territorio e permettere il rimpatrio dei rifiuti attualmente custoditi all'estero con notevole risparmio di denaro pubblico;

2) ad adottare ogni iniziativa di carattere legislativo e normativo per favorire la diffusione nel nostro Paese di tutte le tecnologie a bassissima emissione di anidride carbonica incluse nella tassonomia europea, valorizzando le caratteristiche di ciascuna, inclusi reattori a fissione della migliore tecnologia disponibile, ovvero la terza generazione evoluta e successivamente ogni ulteriore sviluppo, dai reattori di piccola taglia modulari a quelli di quarta generazione, in modo che, nel più breve tempo possibile, tutte concorrano ad un mix elettrico ottimale, che aumenti la sicurezza energetica del Paese e consenta la transizione verso gli obiettivi «net zero» al 2050, in modo pienamente sostenibile, cioè con il minore costo complessivo del sistema elettrico, la minore occupazione di suolo e il minore impiego di materiali;

3) a favorire campagne di informazione pubblica sulle diverse fonti e tecnologie energetiche disponibili per conseguire gli obiettivi di lungo termine di azzeramento delle emissioni di gas serra, basate unicamente sulle evidenze scientifiche, al fine di promuovere una maggiore consapevolezza sugli oggettivi limiti e vantaggi di ciascuna di esse, liberandole tutte da ogni pregiudizio di parte;

4) ad adottare iniziative per sostenere la ricerca tecnologica sui reattori a fissione nucleare innovativi – inclusi i cosiddetti small modular reactor (reattori modulari di piccole dimensioni) e quelli a neutroni veloci che consentono un miglior utilizzo dell'uranio – e sulla fusione nucleare, ampliando l'offerta formativa nelle università italiane e incrementandone l'attrattività anche per ricercatori e docenti stranieri;

5) ad aderire alla cosiddetta «Alleanza per il nucleare», già sottoscritta da altri 12 Paesi europei con l'obiettivo di sostenere a livello comunitario, sia sotto il punto di vista industriale che sotto quello regolatorio, il ruolo fondamentale del nucleare nella transizione ecologica verso gli obiettivi di neutralità climatica.
(1-00098) «Ruffino, Richetti, Enrico Costa, Del Barba, Gadda, Grippo, Marattin, Sottanelli, Benzoni, Castiglione, De Monte, Faraone, Gruppioni, Pastorella».


   La Camera,

   premesso che:

    l'Unione europea, e con essa l'Italia, si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica, cosiddetta «net zero», entro il 2050, prevedendo quindi che l'anidride carbonica immessa nell'atmosfera dovrà essere ridotta al minimo e bilanciata da una quantità equivalente rimossa tramite sistemi di cattura e stoccaggio;

    per raggiungere questi obiettivi occorre ridurre in modo significativo l'utilizzo di combustibili fossili (carbone, petrolio e, in via graduale, gas naturale), ricorrendo maggiormente all'impiego di energia elettrica, la cui percentuale sugli usi finali deve passare dall'attuale 21 per cento al 55 per cento;

    questo implica che in Italia al 2050 dovranno essere generati almeno 650 TWh all'anno di energia elettrica, tutti senza emissioni di gas serra;

    a titolo di confronto, nel 2022 in Italia sono stati generati 98 TWh, di cui 32 prodotti da fonte idroelettrica e geotermica e, quindi, difficilmente incrementabili e 66 da fotovoltaico, eolico e biomasse;

    attualmente, la strategia italiana prevede il raggiungimento di questi obiettivi mediante l'utilizzo esclusivo di fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico, eolico e in misura minore biomasse;

    questa soluzione, però, oltre ad essere sostanzialmente impossibile da realizzare considerato l'ammontare degli impianti coinvolti, non è nemmeno quella ottimale per soddisfare, in ogni ora dell'anno, la domanda elettrica attesa al 2050 nel nostro Paese. Considerando, infatti, le reali curve dell'irraggiamento solare e della ventosità, che in Italia è significativamente inferiore rispetto agli altri grandi Paesi europei, accurate analisi di scenario, pubblicate da ricercatori dell'Università di Padova, mostrano che sarebbe necessario installare nei prossimi 30 anni enormi quantità di impianti fotovoltaici (da 350 a 600 GW a seconda delle ipotesi sulla tipologia di pannelli e di sistemi di accumulo, contro gli attuali 25 GW) e fino a 50 GW di impianti eolici (onshore ed offshore, ad oggi 11,8 GW);

    tra l'altro, per far fronte alla variabilità delle fonti solare ed eolica, sarebbero necessari almeno 650 GWh di sistemi di accumulo di breve termine (per esempio batterie o impianti idroelettrici a pompaggio) e risulterebbero inutilizzati, per eccesso di produzione estiva, fino a 200 TWh di energia elettrica (circa il 60 per cento della quantità di elettricità consumata attualmente ogni anno). A meno che il surplus estivo di produzione non venga convertito in idrogeno, tramite impianti di elettrolisi, accumulato per mesi in serbatoi di grande taglia e riutilizzato per generare nuovamente elettricità in inverno, con pile a combustibile. In tal caso servirebbero tra 350 e 400 GW di impianti fotovoltaici, ma si dovrebbero installare almeno 150 GW di impianti di elettrolisi, enormi volumi di serbatoi per l'idrogeno e almeno 50 GW di pile a combustibile; tecnologie queste ultime non ancora mature e comunque estremamente costose, a causa sia dell'impiego degli elettrolizzatori per un numero limitato di ore che per i grandi volumi di stoccaggio idrogeno necessari;

    va da sé che l'installazione di impianti solari ed eolici di così ingenti capacità, atteso che sui tetti di edifici residenziali commerciali ed industriali sarebbe possibile installare impianti fotovoltaici in misura assai inferiore al necessario (dell'ordine di 50 GW), comporterebbe un enorme impatto sul territorio: fino a 800-900 mila ettari (8-9 mila chilometri quadrati, circa il doppio del Molise) di superficie occupata da fotovoltaico e 750 mila ettari (7,5 mila chilometri quadrati, a terra o a mare) cosparsi – ma non ricoperti – di impianti eolici di grande taglia (di diametro compreso tra 160 e 250 metri e con altezze tra i 200 e i 300 metri), e comporterebbe anche un ingente consumo di suolo agricolo;

    un'ulteriore criticità riguarda la sostenibilità di un sistema elettrico basato esclusivamente su fonti rinnovabili dal punto di vista dell'impiego di materiali metallici e speciali, incluse le così dette «terre rare» le quali si trovano in larga misura sotto il controllo di Paesi non democratici, con evidenti gravi ripercussioni anche sul piano geopolitico e sulla sicurezza di un loro approvvigionamento stabile e duraturo;

    gli studi di scenario già citati mostrano che, considerando l'effettivo potenziale italiano delle fonti rinnovabili (irraggiamento solare e ventosità) e i costi ipotizzati per il 2050 dall'Agenzia internazionale dell'energia per tutte le tecnologie coinvolte, l'opzione senza dubbio più sostenibile, sia dal punto di vista dell'impatto sul territorio (le superfici interessate da impianti sarebbero sino a 3 volte inferiori), che dei costi dell'intero sistema elettrico (impianti di generazione elettrica e di accumulo e potenziamento della rete di trasmissione e distribuzione), è quella di raggiungere al 2050 la neutralità carbonica con un mix elettrico fatto di rinnovabili e nucleare con una quota di almeno il 40 per cento di elettricità prodotta da centrali nucleari; tali centrali attenuerebbero i problemi legati alla variabilità, stagionalità e intermittenza di un mix fatto di sole fonti rinnovabili garantendo un'operatività di oltre 8.000 ore annue, rispetto alle circa 1.200-1.800 ore del fotovoltaico e alle 2.000-3.000 ore dell'eolico (a seconda del sito e della tecnologia impiegata);

    secondo il database dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica, attualmente nel mondo ci sono 440 reattori nucleari in esercizio, che forniscono in modo continuo e senza emissioni di CO2 circa il 10 per cento dell'elettricità mondiale. Lo stesso database indica che altri 57 reattori sono in costruzione;

    il nucleare, che già oggi fornisce il 25 per cento dell'energia elettrica nell'Unione europea, è incluso nei piani di decarbonizzazione di molti Paesi membri, 12 dei quali (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Ungheria, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia) il 28 febbraio 2023 hanno sottoscritto un accordo di cooperazione sul nucleare, citato dagli organi di stampa come «Alleanza per il nucleare», in modo da sostenere a livello comunitario, sotto ogni punto di vista, sia industriale che regolatorio, il ruolo del nucleare come «uno degli strumenti per raggiungere i nostri obiettivi climatici, per generare elettricità in modo continuo e per garantire la sicurezza energetica», coerentemente con la tassonomia europea approvata nel 2022;

    all'incontro il Governo italiano non ha partecipato; il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin, rispondendo a un'interrogazione a risposta immediata in Senato, ha affermato che tale scelta è dipesa dal «rispetto della sovranità popolare del Parlamento italiano, il cui coinvolgimento è ritenuto essenziale da parte dell'Esecutivo prima dell'assunzione di impegni o prese di posizione a livello internazionale»;

    l'energia nucleare è a bassissimo impatto ambientale e priva di rischi significativi, come certificato dal Centro comune di ricerca della Commissione europea in un recente corposo rapporto che ha esaminato tutta la filiera ed ha incontrovertibilmente stabilito che l'attuale generazione di reattori («terza generazione evoluta») rispetta il principio «do not significant harm» e, pertanto proprio in base a quel rapporto, il nucleare è stato inserito, insieme con le tecnologie a fonti rinnovabili, nella tassonomia europea, tra le tecnologie a bassissima emissione di anidride carbonica idonee a raggiungere gli obiettivi climatici, sino alla neutralità carbonica al 2050;

    inoltre, le centrali nucleari emettono, nel ciclo di vita, una quantità di anidride carbonica per KWh generato analoga a quella dell'eolico e meno della metà del fotovoltaico;

    non solo il nucleare è idoneo, ma è anche la tecnologia più efficace alla decarbonizzazione, come mostra il confronto tra le emissioni del settore elettrico della Francia, Paese dell'Unione europea con il maggior numero di centrali e reattori, e quelle della Germania, che ha scelto la strada opposta, chiudendo il suo parco nucleare per puntare a ridurre le emissioni di anidride carbonica con sole rinnovabili. I dati ufficiali sono impietosi: negli anni '80 del secolo scorso, la Francia, puntando sul nucleare, in 10 anni ha abbattuto dell'85 per cento la produzione di energia elettrica da fonti fossili, e da allora ogni anno registra emissioni comprese tra 50 e 70 grammi di anidride carbonica per chilowattora prodotto; la Germania invece, decidendo di uscire dal nucleare per puntare su fotovoltaico, eolico, gas e carbone, negli ultimi 20 anni ha ridotto la quota di energia elettrica da fonti fossili di meno del 25 per cento; infatti anche nel 2022, anno caratterizzato da interventi straordinari di manutenzione per l'estensione di vita di numerosi reattori nucleari, la Francia ha emesso 90 grammi di anidride carbonica per chilowattora e la Germania 520 grammi, quasi 6 volte di più;

    tuttavia, in Europa e negli Usa oggi sono di fatto in esercizio quasi esclusivamente reattori costruiti negli anni 'Ottanta e Novanta del secolo scorso, per molti dei quali si è proceduto alle necessarie revisioni per l'estensione della vita utile. Secondo il database dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica, dal 2000 ad oggi sono entrati in servizio nel mondo 103 reattori nucleari, di cui solo 2 nell'Unione europea (in Finlandia e Slovacchia) e solo 1 negli Usa; inoltre, dei 57 reattori attualmente in costruzione, solo 2 sono nell'Unione europea (in Francia e Slovacchia), 2 nel Regno Unito e 2 negli Usa;

    infatti, negli ultimi 20 anni, nelle direttive e regolamenti comunitari le tecnologie low-carbon sono state erroneamente identificate solo con quelle a fonte rinnovabile, imponendo per esse obiettivi obbligatori, per cui gli Stati membri hanno riconosciuto alle rinnovabili priorità di dispacciamento e garanzia di acquisto di tutta l'elettricità generata, a prezzi lautamente incentivati (solo in Germania, Italia e Spagna sono stati erogati incentivi per oltre 1000 miliardi di euro complessivi), attraendo così su di esse la quasi totalità degli investimenti in nuovi impianti di generazione elettrica a bassa emissione di anidride carbonica;

    negli Usa, invece, nello stesso periodo, gli investimenti si sono concentrati sul gas naturale, con notevole incremento sia della produzione domestica (con tecniche innovative quali il fracking) che della generazione elettrica a gas. Ciò ha ridotto al lumicino gli investimenti nel settore nucleare, impedendo di fatto il mantenimento dell'elevato livello di know-how tecnologico e capacità realizzativa che aveva caratterizzato l'ultimo trentennio del secolo scorso. Con il risultato che oggi, secondo l'Agenzia internazionale dell'energia (Projected Costs of Generating Electricity, 2020), i due reattori in costruzione nell'Unione europea costano dal doppio al triplo e richiedono tempi di costruzione almeno del 50 per cento maggiori di quelli costruiti nel resto del mondo, come ad esempio in Corea del Sud, le cui aziende realizzano reattori chiave in mano in molti Paesi, da ultimo quattro negli Emirati Arabi, con tempi di costruzione e costi nettamente inferiori che nell'Unione europea;

    dunque la cosiddetta «crisi del nucleare» in Unione europea e Usa è il risultato di precise scelte di policy, che ora vanno rapidamente corrette, perché oggi è chiaro che per azzerare al 2050 le emissioni di gas a effetto serra non solo dobbiamo mantenere nell'Unione europea almeno al livello attuale il contributo del nucleare (pari al 25 per cento – prima fonte di elettricità pulita), e dunque i 103 reattori oggi in esercizio (116 includendo anche quelli in Svizzera e nel Regno Unito, connessi alla rete dell'Unione europea) dovranno essere progressivamente sostituiti, ma, poiché il fabbisogno elettrico in futuri scenari privi di emissioni sarà almeno il doppio dell'attuale, dovrà significativamente aumentare la potenza nucleare installata e quindi anche il numero stesso di reattori;

    pertanto, nella valutazione di tempi e costi di un nuovo consistente parco di reattori nucleari europei è necessario tener conto degli effetti della loro numerosità e replicabilità e del conseguente sviluppo di nuove filiere e capacità industriale, come indicano i dati ricavabili dall'esperienza dei Paesi dove oggi se ne costruiscono regolarmente. Infatti, il database dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica mostra che il tempo medio di costruzione dei 103 reattori entrati in servizio dal 2000 ad oggi è di poco inferiore ai 7 anni. È prevedibile che anche in Europa, l'avvio di numerosi nuovi progetti nei 12 Paesi membri della cosiddetta «Alleanza per il nucleare» allineerà rapidamente i tempi di costruzione europei ai valori medi del resto del mondo;

    va da sé che, come per tutte le tecnologie, quando da qui al 2050 saranno commercialmente disponibili reattori di taglia più piccola e modulari, oppure di nuova concezione (cosiddetti di «quarta generazione»), essi dovranno essere presi in considerazione, sempre con l'obiettivo di raggiungere almeno 35 gigawatt di capacità installata, in modo ottimale; tuttavia, come dimostra la stessa tassonomia europea, non vi è alcuna necessità, né tecnica né di sicurezza, di attendere che essi siano disponibili, prima di avviare anche in Italia un serio programma nucleare;

    con riferimento all'occupazione di suolo, il ricorso a una quota di energia elettrica nucleare in un mix completamente privo di emissioni di anidride carbonica presenta innegabili vantaggi; ciascuna delle 7 centrali nucleari ipotizzate necessita di meno di 200 ettari (2 chilometri quadrati) e genera 40 TWh all'anno, in modo continuo, cioè senza bisogno di impianti di accumulo (anch'essi responsabili di ulteriore occupazione di suolo);

    parrebbe che per generare la stessa energia di una sola di esse con impianti fotovoltaici (con tracking monoassiale) bisognerebbe occupare 45-50 mila ettari (450-500 chilometri quadrati) con pannelli e impianti; e poiché, in tal caso, l'energia elettrica sarebbe prodotta solo di giorno e, ancora più importante, con una notevole variabilità stagionale (in un giorno estivo sino a 5-6 volte di più che in un giorno invernale), occorrerebbe aggiungere costosi e ulteriormente impattanti impianti di accumulo giornaliero e stagionale (per esempio attraverso l'uso di impianti di elettrolisi per trasformare in idrogeno l'energia elettrica generata in eccesso d'estate e di pile a combustibile per ri-trasformare l'idrogeno in energia elettrica d'inverno, dopo averlo accumulato per mesi all'interno di serbatoi sufficientemente capienti, il tutto con dissipazione di più della metà dell'elettricità originale);

    volendo invece generare gli stessi 40 TWh con impianti eolici onshore, impiegando aerogeneratori idonei ai deboli venti italiani (come quelli usati negli impianti autorizzati dal Consiglio dei ministri nell'estate 2022) servirebbe distribuirne circa 3500 (con diametro di 160 metri ed altezza di 200 metri) su un'area ventosa di 2.300 chilometri quadrati, ossia circa la metà dell'intera provincia di Bari;

    per quanto riguarda i rifiuti radioattivi derivanti dall'esercizio delle centrali nucleari, quelli ad alta attività (HLW, high-level waste), provenienti dal combustibile nucleare irraggiato (cioè dopo l'uso nel reattore) richiedono maggiore attenzione nella gestione;

    al momento, in tutti i Paesi che ne producono, essi vengono opportunamente condizionati, quindi racchiusi in contenitori metallici che schermano le radiazioni e stoccati in piena sicurezza in depositi temporanei in attesa di essere smaltiti in un deposito geologico, come quello ormai quasi completato in Finlandia e in costruzione in Svezia;

    bisogna rimarcare che si tratta comunque di quantità molto piccole: un parco centrali nucleari da 35 GW di terza generazione evoluta produce, in 60 anni di vita utile, in tutto circa 150 metri cubi di rifiuti ad alta attività. Proprio per la ridotta quantità, la direttiva comunitaria sulla gestione dei rifiuti radioattivi prevede l'opzione che più Paesi membri possano condividere la realizzazione di un unico deposito geologico «regionale» dove smaltire insieme i rifiuti radioattivi ad alta attività prodotti in ciascun Paese;

    invece, per quanto riguarda i rifiuti radioattivi a bassa attività, prodotti anche dall'industria, dalla diagnostica e terapia medica nonché da centri di ricerca è necessario e sufficiente un deposito di superficie;

    peraltro, l'Italia ha già la necessità di dotarsi sia di un deposito di superficie, sia di uno geologico (eventualmente condiviso con altri Paesi), per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali e dagli impianti nucleari in esercizio sino al 1987 e di tutti quelli di origine diversa prodotti ogni anno nel nostro Paese;

    in particolare, i rifiuti ad alta attività ottenuti dal riprocessamento del combustibile nucleare utilizzato dalle nostre vecchie 4 centrali devono necessariamente rientrare dal Regno Unito e dalla Francia (dov'è avvenuto il riprocessamento). Si tratta di 4 cask (robustissimi cilindri di acciaio e rame) dal Regno Unito, per i quali i consumatori elettrici ogni anno stanno già pagando una tariffa di «parcheggio» di 18 milioni di euro, e di ulteriori 6 cask dalla Francia, che, se non rientreranno in Italia entro il 2025, comporteranno presumibilmente un ulteriore esborso di almeno 25 milioni di euro l'anno;

    il processo di localizzazione del deposito nazionale di superficie, dove dovranno essere smaltiti tutti i rifiuti a bassa attività e temporaneamente stoccati quelli ad alta attività di rientro dall'estero, è in oggettivo ritardo, ma, una volta scelto il sito, il deposito potrebbe essere presumibilmente realizzato in cinque anni;

    a tal proposito, il decreto-legge n. 73 del 2022 ha disposto, all'articolo 34, il commissariamento di Sogin;

    la grave crisi energetica, dalla quale non siamo ancora completamente usciti, mostra come sia indispensabile per un Paese pienamente sviluppato, peraltro seconda economia industriale dell'Unione europea, possedere un sistema energetico nazionale affidabile, stabile e con tecnologie e fornitori diversificati ed una strategia di decarbonizzazione razionale, basata su valutazioni tecnico-economiche e non ideologiche;

    la commissaria europea all'energia, Kadri Simson, ha ribadito come il nucleare sia ormai un investimento energetico necessario in tutto il mondo, e che intende promuovere, tra le altre cose, la competitività dei piccoli reattori modulari, con la creazione di un'industria europea per il settore;

    gli obiettivi ambientali possono essere perseguiti solo con la previsione di utilizzare un mix ottimizzato di fonti energetiche e tecnologie di generazione di energia elettrica a bassissima emissione di gas a effetto serra (rinnovabili, nucleare e, in fase transitoria, gas con cattura e sequestro dell'anidride carbonica) e con la pianificazione delle modalità e dei tempi della loro entrata in servizio, così da azzerare le emissioni nel lungo periodo in modo economicamente sostenibile, con la minima occupazione di suolo e il minimo fabbisogno di materiali per la realizzazione di tutti gli impianti e le infrastrutture necessari;

    è indispensabile quindi avviare subito, per tutti gli impianti e infrastrutture idonei – ai sensi di quanto previsto nella tassonomia europea – e necessari alla completa decarbonizzazione dell'economia italiana al 2050, in particolare per quelli relativi alla generazione, accumulo, trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica, un riassetto normativo che definisca: i criteri per l'individuazione delle aree idonee alla loro localizzazione, tenendo conto delle specificità di ciascuna tecnologia,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte a procedere alla localizzazione e realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, al fine di consentire lo smaltimento in totale sicurezza di tutti quelli prodotti in Italia, evitando di prolungare ulteriormente il loro stoccaggio in numerosi depositi temporanei sparsi sul territorio e permettere il rimpatrio dei rifiuti attualmente custoditi all'estero con notevole risparmio di denaro pubblico;

2) a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa di carattere legislativo e normativo per favorire la diffusione nel nostro Paese delle tecnologie a bassissima emissione di anidride carbonica incluse nella tassonomia europea, valorizzandone le caratteristiche, in modo che, nel più breve tempo possibile, concorrano ad un mix energetico ottimale, che aumenti la sicurezza energetica del Paese e consenta la transizione verso gli obiettivi «net zero» al 2050, in modo pienamente sostenibile, cioè con il minore costo complessivo del sistema elettrico, anche in un'ottica di consumo di suolo e impiego di materiali;

3) a favorire campagne di informazione pubblica sulle diverse fonti e tecnologie energetiche disponibili per conseguire gli obiettivi di lungo termine di azzeramento delle emissioni di gas serra, basate unicamente sulle evidenze scientifiche, al fine di promuovere una maggiore consapevolezza sugli oggettivi limiti e vantaggi di ciascuna di esse, liberandole tutte da ogni pregiudizio di parte;

4) ad adottare iniziative per sostenere la ricerca tecnologica sui reattori a fissione nucleare innovativi – inclusi i cosiddetti small modular reactor (reattori modulari di piccole dimensioni) e quelli a neutroni veloci che consentono un miglior utilizzo dell'uranio – e sulla fusione nucleare, ampliando l'offerta formativa nelle università italiane e incrementandone l'attrattività anche per ricercatori e docenti stranieri;

5) nel confermare l'obiettivo di zero emissioni al 2050, a partecipare attivamente, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa, sia di carattere scientifico che promossa da organismi di natura politica, volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari destinate alla produzione di energia per scopi civili.
(1-00098) (Testo modificato nel corso della seduta) «Ruffino, Richetti, Enrico Costa, Del Barba, Gadda, Grippo, Marattin, Sottanelli, Benzoni, Castiglione, De Monte, Faraone, Gruppioni, Pastorella».


   La Camera,

   premesso che:

    in linea con gli obiettivi del Green Deal e con l'impegno ad affrontare i problemi legati al clima e all'ambiente, puntando alla riduzione entro il 2030 delle emissioni di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, a luglio 2021 è stato presentato il cosiddetto pacchetto «Fit for 55» che, in base a nuovi e più ambiziosi obiettivi di riduzione, vincola il sistema energetico del nostro Paese al raggiungimento al 2030 di almeno il 72 per cento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino a livelli prossimi al 95-100 per cento nel 2050;

    al fine di favorire gli investimenti sostenibili, il 12 luglio 2020 è entrato in vigore il regolamento (Ue) 2020/852, che ha introdotto nel sistema normativo europeo la tassonomia delle attività economiche eco-compatibili, all'interno del quale la Commissione europea ha previsto condizioni molto rigide per gli investimenti privati nel settore del nucleare, ammettendo unicamente soluzioni progettuali che dimostrino di avere adeguate risorse finanziare per il decommissioning ed essere dotati di impianti di smaltimento dei rifiuti a bassa attività già operativi e di un piano dettagliato per rendere operativa, entro il 2050, una soluzione per le scorie ad alta radioattività. Il relativo regolamento delegato (Ue) 2022/1214 della Commissione europea del 9 marzo 2022, entrato in vigore il 4 agosto 2022 e applicabile dal 1° gennaio 2023, contiene i criteri di vaglio tecnico per il gas e il nucleare nell'ambito del sistema di classificazione dell'Unione europea degli investimenti considerati sostenibili;

    il 19 gennaio 2023, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel corso della quarta edizione dell'evento «La Ripartenza» a Milano ha dichiarato che: «Dobbiamo prendere in seria considerazione il nucleare di quarta generazione che dà dei margini di sicurezza maggiore e che può essere il futuro del nostro Paese fino a poi arrivare alla fusione. Nel medio lungo periodo non l'Italia o la Ue, ma il mondo deve trovare forme di energia più avanzate. Si ragiona di fissione di quarta generazione. Dobbiamo ripensare al nucleare di quarta generazione, non è il tema del referendum che riguardava prima e seconda generazione»;

    il problema dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività delle centrali o dal loro decommissioning è di grande attualità nel nostro Paese e ancora non si è pervenuti a una soluzione concreta per il loro smaltimento: l'iter per arrivare all'individuazione del sito idoneo a ospitare il deposito nazionale di stoccaggio dei rifiuti radioattivi, come richiesto dalla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo, è ancora in corso e al momento nella fase più delicata di localizzazione;

    rifiuti e scorie degli impianti nucleari (chiusi definitivamente dal 1990) sono in parte dislocati sul territorio nazionale, in 19 siti temporanei, e in parte collocati all'estero, prossimi a tornare in Italia una volta riprocessati;

    nella risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-00116 il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica ha confermato l'impegno a «promuovere l'efficace svolgimento delle attività previste dalla normativa, al fine di pubblicare ufficialmente la CNAI nel termine previsto»;

    il deposito dovrà essere costruito nel rispetto dei più elevati standard di sicurezza radiologica e salvaguardia ambientale, anche al fine di conservare in assoluta sicurezza i materiali irraggiati, in attesa che gradualmente perdano il loro grado di radioattività;

    i reattori attualmente esistenti, di seconda e terza generazione, sono stati costruiti in prevalenza negli anni Ottanta e Novanta, come l'impianto di Montalto di Castro e il noto reattore di Fukushima in Giappone. A partire dal 2000 sono stati progettati soprattutto reattori di terza generazione, come gli Ap1000 negli Stati Uniti, Vver-1200 in Russia, gli Epr francesi;

    nel 2001 il Generation IV international forum (Gif), a cui hanno aderito Australia, Canada, Cina, Euratom, Francia, Giappone, Russia, Sud Africa, Corea del Sud, Svizzera, Regno Unito, ha coniato il concetto di «nucleare di 4ª generazione», tecnologia che sfrutta l'energia ricavabile dalla scissione di atomi, a tutt'oggi non abbastanza matura per consentire un utilizzo industriale e per garantire condizioni di sicurezza, soprattutto nel caso dei reattori di tipo «fast-breeder». Va infatti rilevato che l'unico impianto dimostrativo di 4ª generazione al mondo su scala industriale si trova a Shidaowan, nella provincia di Shandong, collegato alla rete e messo in funzione solo a dicembre 2021;

    le attività di ricerca e sviluppo relative ai summenzionati reattori di quarta generazione non sono pertanto ancora un'opzione praticabile e non si dispone di dati sufficienti per valutarne con previsione attendibile gli impatti ambientali e gli effetti sulla salute. Non sono infatti disponibili i criteri di vaglio tecnico di cui all'articolo 19, paragrafo 5, del regolamento (Ue) 2020/852, tali da garantire gli standard più elevati di sicurezza nucleare, radioprotezione e gestione dei rifiuti radioattivi;

    quanto alle tecnologie a fusione, attualmente il reattore più avanzato è Iter in fase di costruzione a Cadarache, nel sud della Francia, sostenuto e finanziato da Unione europea, Cina, Stati Uniti, Corea del Sud, India, Giappone e Russia, sospeso il 1° marzo 2022 dall'autorità francese per la sicurezza nucleare (Asn), che ha mosso rilievi sull'affidabilità del modello e sul rischio di esposizione alle radiazioni per il personale. Nelle previsioni più ottimistiche i risultati delle attuali sperimentazioni vedranno la luce non prima di 30 anni;

    a luglio 2022, il Consorzio Eurofusion, di cui fanno parte 21 organizzazioni italiane coordinate da Enea, ha annunciato l'avvio della progettazione ingegneristica della prima centrale dimostrativa a fusione (il Demonstration Fusion Power Reactor), che verrà ultimata intorno alla metà del secolo e sarà il successore del menzionato impianto sperimentale Iter;

    secondo quanto emerso dal rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia (Iea) dedicato all'energia nucleare, pubblicato a giugno 2022, il costo medio di produzione di elettricità di un impianto nella sua durata di vita (Lcoe, levelised cost of energy) è nettamente a favore del fotovoltaico, che è sceso dell'85 per cento negli ultimi 10 anni, con ulteriore futura decrescita nella prospettiva della progressiva espansione della tecnologia;

    solo l'eolico onshore si avvicina a competere con il fotovoltaico e nei prossimi anni lo farà anche l'eolico offshore. Per arrivare a competere con le rinnovabili, il nucleare dovrebbe arrivare a un Lcoe di «40-80 USD/MWh (dollari per MegaWatt/Ora), compresi i costi di smantellamento e gestione dei rifiuti»;

    anche le stime di Lazard, autorevole istituzione finanziaria, confermano che la nuova capacità nucleare richiede investimenti, soprattutto nella fase iniziale, molto più alti e tempi lunghi per la messa in funzione rispetto a quelli richiesti per le fonti rinnovabili, pari ad almeno quattro volte tanto, a parità di energia generata. Inoltre, i costi del nucleare seguono una tendenza all'aumento, mentre quelli delle rinnovabili sono in continua diminuzione, soprattutto in una prospettiva di ulteriore crescita del settore tracciata dagli impegni assunti nell'ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021 (Cop 26);

    a tale riguardo, rileva menzionare che il reattore nucleare OL3 della centrale finlandese di Olkiluoto, costruito dal gruppo francese Areva e dalla tedesca Siemens Ag, ha accumulato tredici anni di ritardo dalla data prevista per la sua entrata in funzione, con un costo triplicato rispetto ai 3 miliardi di euro originari stimati nel 2005. Analoga sorte ha avuto il reattore Epr di Flamanville, in Normandia, iniziato nel 2007 e atteso per il 2023, dopo rallentamenti che, anche in questo caso, hanno fatto registrare un ritardo di undici anni, con costi che sono quadruplicati, passando da 3,3 miliardi di euro a 12,7 miliardi di euro;

    anche con riferimento agli Small modular reactors (Smr), reattori da circa 300 MW di potenza, molto più piccoli rispetto a quelli tradizionali, si tratta di tecnologie ancora non disponibili sul mercato e che, da uno studio messo a punto e pubblicato sulla rivista Pnas, non avrebbero meno problemi di produzione e gestione delle scorie prodotte rispetto ai reattori ad acqua pressurizzata tradizionali; come rilevato da diverse agenzie indipendenti (Iea, Irena) e istituzioni pubbliche (Commissione europea, Ipcc) l'elettrificazione dei consumi e l'efficientamento energetico rimangono le soluzioni più efficaci e in linea con gli obiettivi della decarbonizzazione;

    risulta, inoltre, di tutta evidenza che tornare a investire nella tecnologia nucleare comporti un costo economico per i cittadini che si allontana dai meccanismi di partecipazione alla produzione di energia su base democratica, riconosciuti a livello europeo con l'adozione del Clean energy package, e implica un ridimensionamento del ruolo, riconosciuto ai consumatori, di protagonisti del processo di transizione energetica e quindi di prosumer, ossia di coloro che autoproducono e autoconsumano energia, nell'ottica di ottenere i vantaggi economici legati alla riduzione dei costi delle componenti variabili della propria bolletta (quota energia, oneri di rete e relative imposte) e della quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera, nonché della dipendenza dalle forniture dei Paesi esteri. Inoltre, le comunità di energia rinnovabile contribuiscono a incrementare il senso di appartenenza al territorio, anche come forma di integrazione economica, e accrescono la partecipazione e la responsabilità dei vari soci-utenti nella gestione ottimizzata dei consumi energetici;

    è pertanto necessario che le risorse economiche del nostro Paese non siano distratte dallo sviluppo delle fonti rinnovabili, tecnologie già mature, capaci, altresì, di dar vita a nuove prospettive di sviluppo, anche sotto il profilo imprenditoriale, di creare nuove competenze e di incrementare i livelli occupazionali lungo tutta la filiera e l'indotto legato al settore;

    va poi ricordato che la produzione di energia nucleare è stata oggetto di due referendum abrogativi, rispettivamente del 1987 e del 2011, con i quali è stata decretata la fine della produzione e dello sfruttamento dell'energia nucleare nel nostro Paese, senza operare distinguo sulla tecnologia utilizzata a tal fine;

    nel nostro Paese, dove i target del Pniec devono essere rivisti al rialzo, come indicato nel Piano per la transizione ecologica (Pte), è richiesto un incremento del 72 per cento di fonti rinnovabili nella generazione elettrica e l'installazione di circa 70 GW di ulteriori centrali elettriche rinnovabili entro il 2030;

    a seguito degli attacchi russi all'impianto di Zaporizhzhia e all'installazione nucleare subcritica di Kharkiv il gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare ha espresso forte preoccupazione per la sicurezza di diversi reattori di ricerca e per i siti ove sono impiegate sorgenti radioattive ad alta attività;

    nel contesto di uno scenario geopolitico instabile, il potenziale pericolo connesso alla presenza di centrali nucleari non può essere trascurato. Lo stesso Governo italiano è stato indotto ad accelerare sulla stesura del Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 maggio 2022, teso ad individuare e disciplinare le misure necessarie per fronteggiare gli incidenti che avvengono in impianti nucleari collocati in Paesi esteri e che potrebbero richiedere azioni di intervento coordinate a livello nazionale;

    in occasione della Cop27 di Sharm el-Sheikh, il Ministro per l'ambiente e la sicurezza energetica Pichetto Fratin ha espresso posizioni di apertura al nucleare di quarta generazione lasciando desumere quale sarà la posizione italiana su tale tema nell'ambito delle politiche internazionali in materia di energia;

    dal 19 al 21 maggio 2023 si terrà il vertice del G7 in Giappone, seguito, nel mese di luglio, da quello della Nato a Vilnius. Il vertice si terrà a Hiroshima, città simbolo del disarmo nucleare, dove tra i temi prioritari dell'agenda globale avrà un ruolo decisivo anche quello della sicurezza energetica,

impegna il Governo:

1) a proseguire nel percorso delineato dalla road map per la transizione ecologica europea, ad oggi orientata su energie rinnovabili ed efficienza energetica, settori nei quali ogni Stato membro ha assunto impegni progressivi al 2030 e al 2050 e sui quali la convergenza tecnologica favorisce economie di scala e lo sviluppo di una supply chain europea;

2) a fornire al Parlamento un quadro puntuale circa la posizione che l'Italia intende assumere nel G7 di Hiroshima con riferimento al ruolo dell'energia nucleare nel mix energetico nazionale, anche alla luce delle recenti dichiarazioni del Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, considerato che tale tecnologia non è compatibile con le tempistiche e gli obiettivi della decarbonizzazione al 2030 e al 2050 e con le prospettive di più ampio e efficace sviluppo delle fonti rinnovabili;

3) ad adottare iniziative per assicurare il rispetto delle tempistiche per l'individuazione del deposito unico nazionale entro dicembre 2023, e garantire, in applicazione della disposizione di cui all'articolo 17 del regolamento (Ue) 2020/852, la messa in sicurezza, la completa bonifica e il ripristino ambientale di tutti i siti temporanei e delle strutture del territorio nazionale dove sono attualmente collocati i rifiuti radioattivi;

4) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad imprimere un maggior impulso nell'individuazione e nella perimetrazione di aree idonee destinate alle installazioni di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari ai nuovi target individuati tramite la prossima revisione del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima;

5) a sostenere la ricerca verso soluzioni tecnologiche innovative, che consentano di ottimizzare lo sfruttamento delle medesime fonti e dei sistemi di accumulo, nonché a proseguire nella ricerca tecnologica per lo sviluppo dell'energia da fusione, in particolare sul confinamento magnetico, anche nell'ambito dei programmi di collaborazione con istituti e università, anche a livello internazionale;

6) a proseguire nel percorso di semplificazione delle procedure autorizzatone per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili, attraverso l'indicazione di regole chiare per gli enti locali e per gli operatori, in linea con i principi e i criteri eventualmente individuati dalle regioni per la loro corretta installazione sulle superfici e sulle aree ritenute idonee, per una migliore integrazione nel territorio;

7) ad incoraggiare una maggiore diffusione delle comunità energetiche rinnovabili (Cer) sul territorio nazionale attraverso la rapida adozione dei relativi decreti attuativi, nonché ad accelerare sulla pubblicazione dei bandi del Pnrr per la concessione di contributi a fondo perduto per la realizzazione delle stesse nei piccoli comuni, anche al fine di ridurre il costo dell'energia elettrica per famiglie e imprese, e migliorare la competitività di queste ultime attraverso il rilancio della filiera coinvolta e una minore esposizione a costanti fluttuazioni dei prezzi;

8) ad adottare una politica energetica che non si limiti alla mera sostituzione delle fonti maggiormente inquinanti con altre a minore livello emissivo e climalterante, ma che sia orientata alla riduzione del fabbisogno energetico attraverso misure di razionalizzazione nei settori maggiormente energivori, come quello dei trasporti e della mobilità che – in base ai dati del Gse – incidono per il 34,5 per cento dei consumi energetici complessivi del Paese, e misure di efficientamento e risparmio, come nel settore edilizio, sul quale recentemente la Commissione europea ha varato la direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia (Epbd), con la quale si intende delineare strumenti ad hoc per raggiungere un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050.
(1-00056) «Sergio Costa, Pavanelli, Ilaria Fontana, L'Abbate, Appendino, Cappelletti, Morfino, Santillo, Todde».


   La Camera,

   premesso che:

    in linea con gli obiettivi del Green Deal e con l'impegno ad affrontare i problemi legati al clima e all'ambiente, puntando alla riduzione entro il 2030 delle emissioni di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, a luglio 2021 è stato presentato il cosiddetto pacchetto «Fit for 55» che, in base a nuovi e più ambiziosi obiettivi di riduzione, vincola il sistema energetico del nostro Paese al raggiungimento al 2030 di almeno il 72 per cento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino a livelli prossimi al 95-100 per cento nel 2050;

    il 19 gennaio 2023, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel corso della quarta edizione dell'evento «La Ripartenza» a Milano ha dichiarato che: «Dobbiamo prendere in seria considerazione il nucleare di quarta generazione che dà dei margini di sicurezza maggiore e che può essere il futuro del nostro Paese fino a poi arrivare alla fusione. Nel medio lungo periodo non l'Italia o la Ue, ma il mondo deve trovare forme di energia più avanzate. Si ragiona di fissione di quarta generazione. Dobbiamo ripensare al nucleare di quarta generazione, non è il tema del referendum che riguardava prima e seconda generazione»;

    il problema dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività delle centrali o dal loro decommissioning è di grande attualità nel nostro Paese e ancora non si è pervenuti a una soluzione concreta per il loro smaltimento: l'iter per arrivare all'individuazione del sito idoneo a ospitare il deposito nazionale di stoccaggio dei rifiuti radioattivi, come richiesto dalla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo, è ancora in corso e al momento nella fase più delicata di localizzazione;

    rifiuti e scorie degli impianti nucleari (chiusi definitivamente dal 1990) sono in parte dislocati sul territorio nazionale, in 19 siti temporanei, e in parte collocati all'estero, prossimi a tornare in Italia una volta riprocessati;

    nella risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-00116 il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica ha confermato l'impegno a «promuovere l'efficace svolgimento delle attività previste dalla normativa, al fine di pubblicare ufficialmente la CNAI nel termine previsto»;

    il deposito dovrà essere costruito nel rispetto dei più elevati standard di sicurezza radiologica e salvaguardia ambientale, anche al fine di conservare in assoluta sicurezza i materiali irraggiati, in attesa che gradualmente perdano il loro grado di radioattività;

    a luglio 2022, il Consorzio Eurofusion, di cui fanno parte 21 organizzazioni italiane coordinate da Enea, ha annunciato l'avvio della progettazione ingegneristica della prima centrale dimostrativa a fusione (il Demonstration Fusion Power Reactor), che verrà ultimata intorno alla metà del secolo e sarà il successore del menzionato impianto sperimentale Iter;

    solo l'eolico onshore si avvicina a competere con il fotovoltaico e nei prossimi anni lo farà anche l'eolico offshore. Per arrivare a competere con le rinnovabili, il nucleare dovrebbe arrivare a un Lcoe di «40-80 USD/MWh (dollari per MegaWatt/Ora), compresi i costi di smantellamento e gestione dei rifiuti»;

    a tale riguardo, rileva menzionare che il reattore nucleare OL3 della centrale finlandese di Olkiluoto, costruito dal gruppo francese Areva e dalla tedesca Siemens Ag, ha accumulato tredici anni di ritardo dalla data prevista per la sua entrata in funzione, con un costo triplicato rispetto ai 3 miliardi di euro originari stimati nel 2005. Analoga sorte ha avuto il reattore Epr di Flamanville, in Normandia, iniziato nel 2007 e atteso per il 2023, dopo rallentamenti che, anche in questo caso, hanno fatto registrare un ritardo di undici anni, con costi che sono quadruplicati, passando da 3,3 miliardi di euro a 12,7 miliardi di euro;

    nel nostro Paese, dove i target del Pniec devono essere rivisti al rialzo, come indicato nel Piano per la transizione ecologica (Pte), è richiesto un incremento del 72 per cento di fonti rinnovabili nella generazione elettrica e l'installazione di circa 70 GW di ulteriori centrali elettriche rinnovabili entro il 2030;

    a seguito degli attacchi russi all'impianto di Zaporizhzhia e all'installazione nucleare subcritica di Kharkiv il gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare ha espresso forte preoccupazione per la sicurezza di diversi reattori di ricerca e per i siti ove sono impiegate sorgenti radioattive ad alta attività;

    in occasione della Cop27 di Sharm el-Sheikh, il Ministro per l'ambiente e la sicurezza energetica Pichetto Fratin ha espresso posizioni di apertura al nucleare di quarta generazione lasciando desumere quale sarà la posizione italiana su tale tema nell'ambito delle politiche internazionali in materia di energia;

    dal 19 al 21 maggio 2023 si terrà il vertice del G7 in Giappone, seguito, nel mese di luglio, da quello della Nato a Vilnius. Il vertice si terrà a Hiroshima, città simbolo del disarmo nucleare, dove tra i temi prioritari dell'agenda globale avrà un ruolo decisivo anche quello della sicurezza energetica,

impegna il Governo:

1) a fornire al Parlamento un quadro puntuale circa la posizione che l'Italia intende assumere nel G7 di Hiroshima con riferimento al ruolo dell'energia nucleare nel mix energetico nazionale, anche alla luce delle recenti dichiarazioni del Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica;

2) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad imprimere un maggior impulso nell'individuazione e nella perimetrazione di aree idonee destinate alle installazioni di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari ai nuovi target individuati tramite la prossima revisione del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima;

3) a sostenere la ricerca sia verso soluzioni tecnologiche innovative, che consentano di ottimizzare lo sfruttamento delle fonti rinnovabili e dei sistemi di accumulo, sia per lo sviluppo dell'energia da fusione, in particolare sul confinamento magnetico, anche nell'ambito dei programmi di collaborazione con istituti e università, anche a livello internazionale.
(1-00056) (Testo modificato nel corso della seduta) «Sergio Costa, Pavanelli, Ilaria Fontana, L'Abbate, Appendino, Cappelletti, Morfino, Santillo, Todde».


   La Camera,

   premesso che:

    gli ambiziosi obiettivi dell'Unione europea per uno sviluppo sostenibile fissati dal Fit for 55 e gli impegni di Cop26 prevedono, in tempi brevi, un forte abbattimento delle emissioni di anidride carbonica difficilmente raggiungibile con il solo utilizzo di energie da fonti rinnovabili;

    parimenti, l'aumento della domanda di energia ed in particolare di energia elettrica, sia nei consumi registrati negli ultimi decenni che in quelli previsti per i prossimi, difficilmente potrà essere soddisfatto attraverso le sole rinnovabili;

    la guerra in corso da oltre un anno tra Russia e Ucraina ed il conseguente, precario, contesto geopolitico internazionale, hanno accelerato la necessità di rivedere le scelte di politica energetica nazionale che dovrebbero essere orientate ad una energy security supply che consenta il progressivo affrancamento dalle forniture estere di gas e materie prime di cui non si dispone a sufficienza;

    in Italia, la transizione si dovrà realizzare attraverso un contributo progressivamente decrescente e alla fine residuale di gas. Considerato il contesto geopolitico e la necessità di ridurre drasticamente il contributo delle fonti fossili nel mix energetico del Paese, sarebbe inopportuno precludersi a priori la possibilità di ricorrere all'energia nucleare per garantire al Paese la piena autonomia energetica;

    molti Paesi proseguono oggi l'investimento in energia nucleare, tra cui Gran Bretagna, Russia, India, Cina e Francia, che ha annunciato l'inizio della costruzione di sei nuovi reattori nucleari Epr (reattore di terza generazione avanzata) per il 2024 e l'impegno di un miliardo di euro per la realizzazione di reattori di piccole dimensioni e modulari, prodotti in serie e di rapida installazione;

    anche il Giappone, a 10 anni dall'incidente di Fukushima, per raggiungere l'obiettivo di zero emissioni nel 2050, prevede di aumentare il contributo del nucleare nel suo mix energetico entro il 2030;

    negli Stati Uniti d'America si sta supportando lo sviluppo del nucleare, considerato energia verde, anche attraverso sussidi a fondo perduto nella misura del 50 per cento dell'investimento, fino a 500 milioni di dollari per progetto;

    i Ministri dell'economia e dell'industria di 10 Paesi dell'Unione europea — Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria — hanno pubblicato un documento il 10 ottobre 2021 per chiedere che l'energia nucleare sia compresa nelle forme di energia pulita all'interno della «Tassonomia degli investimenti verdi» della Commissione europea, cioè l'insieme di regole di classificazione che si applicano alle attività economiche per poterle definire «sostenibili»;

    il 6 luglio 2022 il regolamento delegato (UE) 2022/1214 della Commissione europea del 9 marzo 2022, in materia di attività ammissibili nei settori energetici, ha ottenuto il via libera dal Parlamento europeo. Nel regolamento, applicabile dal 1° gennaio 2023, si prevede la possibilità di investire in nuove centrali nucleari realizzate con le «migliori tecnologie disponibili». Rientrano fra gli investimenti sostenibili, le attività di ricerca e sviluppo per le nuove tecnologie del nucleare di quarta generazione;

    recentemente la Francia ha avviato un'iniziativa, a margine della riunione informale dei Ministri dell'energia, delle telecomunicazioni e dei trasporti del 27-28 febbraio 2023, per il rilancio del nucleare in Europa, con l'obiettivo di affiancarlo alle rinnovabili nel mix di produzione energetica dei prossimi decenni. L'invito è stato accolto da Romania, Bulgaria, Slovenia, Repubblica Ceca, Svezia, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Croazia, Paesi Bassi e Finlandia. Correttamente il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica ha declinato l'invito, demandando a Governo e Parlamento il compito di fornirgli adeguati indirizzi;

    il Commissario europeo all'energia, Kadri Simson, parlando ai parlamentari della Commissione industria dell'Europarlamento il 9 marzo 2023, ha dichiarato che bisogna «porre l'accento su due questioni: la sicurezza di approvvigionamento del combustibile nucleare, e la promozione della competitività dei piccoli reattori modulari, con la creazione di un'industria europea per il settore». «Il nucleare sta tornando in tutto il mondo» ha proseguito nel suo intervento «molti Stati membri ci stanno già lavorando»;

    nella proposta di regolamento dell'Unione europea presentata il 16 marzo 2023, con la quale si istituisce un quadro di misure per favorire la produzione di tecnologie a zero emissioni, cosiddetto Net Zero Industry Act, sono state incluse le tecnologie avanzate per produrre energia da processi nucleari con rifiuti minimi dal ciclo del combustibile;

    nel programma di Governo del centrodestra predisposto per le elezioni politiche del 25 settembre 2022 si fa riferimento alla creazione di impianti di produzione di energia nucleare «di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro»;

    lo sviluppo di reattori nucleari di nuova generazione è al centro delle strategie energetiche della maggior parte dei Paesi economicamente più influenti al mondo che prevedono il coinvolgimento di numerosi partner industriali europei per la costruzione di impianti già a partire dal 2024;

    in particolare, nell'ambito dei reattori di quarta generazione, quelli di piccole dimensioni e modulari, i cosiddetti Small e Micro Modular Reactor (Smr e Mmr), si sono compiuti negli ultimi anni importantissimi progressi sul piano scientifico, tecnologico e della sicurezza, grazie ai quali è oggi possibile considerare imminente la loro operatività;

    i Micro reattori modulari (Mmr) sono stati sviluppati specificamente per la produzione di energia elettrica e termica direttamente negli stabilimenti industriali energivori. Si tratta di micro reattori, detti anche batterie nucleari in ragione delle dimensioni molto ridotte, 50 metri quadri circa, sicuri, semplici nel loro funzionamento, che potrebbero contribuire al processo di decarbonizzazione dell'industria italiana fornendo contingenti di energia a prezzo stabile per lunghi periodi;

    il processo di licensing modulare dei Micro reattori modulari sviluppati dalla Ultra Safe Nuclear di Seattle è già in corso in Canada, negli Usa, in Finlandia ed in Polonia dove sono stati ordinati micro-reattori pilota che entreranno in funzione a partire dal 2026. Sono numerose le industrie in questi ed altri Stati europei che hanno manifestato interesse all'uso dei Micro reattori modulari per la decarbonizzazione dei loro processi produttivi;

    in Italia lo sviluppo di nuove tecnologie nucleari ed il consolidamento delle attività di ricerca, anche sui reattori di 4 generazione, dovrebbero essere strategicamente svolti in stretta sinergia con altri Paesi alleati; ad esempio favorendo la collaborazione con alcuni soggetti statunitensi quali il DoE e Westinghouse, che hanno già aperto la porta a livello globale ad una partnership con Ansaldo Nucleare sui reattori Lfr, e General Electric, ambedue società che hanno già da anni grandi fabbriche e molti dipendenti in Italia;

    nel 2022 Newcleo, società per lo sviluppo di sistemi nucleari innovativi di quarta generazione, ha firmato un'intesa con Enea con l'obiettivo di produrre energia in modo sicuro, affidabile e sostenibile attraverso la realizzazione di Advanced Modular Reactor di piccole dimensioni raffreddati al piombo invece che ad acqua, molto più semplici ed affidabili;

    l'Italia è all'avanguardia nel mondo, tramite l'Enea, Ansaldo Nucleare, Newcleo, le università e molte aziende private, nella tecnologia del piombo liquido che, applicata ai reattori di quarta generazione, permette di accedere ad un nucleare capace di utilizzare i rifiuti di altre centrali eliminando quindi la necessità di depositi geologici nazionali. Si tratta di reattori che potrebbero iniziare il processo di decarbonizzazione della produzione elettrica italiana già dal 2030, procurando energia elettrica conveniente, capace di adattarsi rapidamente alle richieste di picco giornaliere della rete, a prezzo stabile e garantito per decenni;

    in Italia esistono le competenze tecniche, tecnologiche e industriali per costruire ed avviare la produzione di Smr e Mmr. Numerose sono le aziende italiane interessate alla fornitura delle componenti e alla prestazione dei servizi finalizzati alla produzione di questi reattori. La filiera che potrebbe generarsi nei prossimi anni avrebbe un potenziale economico enorme e non si può trascurare l'opportunità strategica di un avvio della produzione di Smr e Mmr nel nostro Paese;

    numerosi sono gli industriali del comparto energivoro italiano che hanno già manifestato interesse riguardo al futuro utilizzo della tecnologia degli Smr e Mmr per la decarbonizzazione dei loro impianti e per ottenere energia costante a prezzo stabile;

    tramite l'Enea, l'Infn, il Cnr, Ansaldo Nucleare, Leonardo, le università e aziende private, l'Italia partecipa attivamente alla ricerca in campo nucleare. È opportuno che questo impegno continui affinché l'Italia possa essere tra i primi Paesi a beneficiare di una futura applicazione industriale di tutte le migliori tecnologie in questo campo;

    nell'ambito del progetto internazionale Iter, che si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale di 500 Megawatt di potenza, Ansaldo Nucleare riveste un ruolo centrale con l'aggiudicazione di commesse da un valore economico superiore ai 600 milioni di euro che vanno dalla fornitura della camera a vuoto a quella di sistemi per la sicurezza, ed è inoltre a capo della catena italiana di fornitori che include, tra le altre, aziende come Mangiarotti e Walter Tosto;

    Leonardo, attraverso la sua controllata Vitrociset, si è aggiudicata la gara indetta da Iter in relazione all'organizzazione per lo sviluppo delle infrastrutture diagnostiche del reattore e i relativi servizi di ingegneria. «Enea-Fusione» partecipa alla realizzazione di Iter attraverso l'Agenzia europea Fusion for energy (F4E);

    sempre con riferimento al progetto Iter, sono la Asg di Genova e la Simic di Porto Marghera ad aver realizzato le bobine superconduttrici che formano il toro principale di Iter, a testimonianza del prestigioso contributo che il nostro Paese è in grado di offrire in ambito nucleare, anche riguardo alla componente superconduttiva e di criogenia;

    tra i partecipanti al programma Iter figura anche l'Eni, società impegnata nello sviluppo della fusione a confinamento magnetico perché «occupa un ruolo centrale nella ricerca tecnologica finalizzata al percorso di decarbonizzazione, in quanto potrà consentire di disporre di grandi quantità di energia prodotta in modo sicuro, pulito e virtualmente inesauribile e senza alcuna emissione di gas serra»;

    in quest'ottica Eni partecipa anche agli altri principali progetti, italiani e internazionali, per la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico: il Commonwealth Fusion Systems (CFS), spin-out del MIT 2018; il Plasma Science and Fusion Center (PSFC) del MIT; il Divertor Tokamak Test (DTT), progetto dell'Enea a Frascati Eni nato da un'intesa per un grande polo scientifico-tecnologico sulla fusione DTT (Divertor Tokamak Test), che verrà realizzato nel Centro ricerche Enea di Frascati (Roma) dalla società DTT Scarl, di cui Eni avrà il 25 per cento, Enea il 74 per cento e il Consorzio Create l'1 per cento; firmato un'intesa per creare un polo scientifico-tecnologico sulla fusione DTT (Divertor Tokamak Test), da realizzare al Centro ricerche Enea di Frascati (Roma) 2019; le attività di ricerca del Cnr «Ettore Maiorana» di Gela;

    l'obiettivo a cui si sta lavorando principalmente a livello internazionale è realizzazione, nell'arco di un paio di decenni, della prima centrale a fusione in grado di immettere in rete energia elettrica a zero emissioni di gas climalteranti;

    la società Commonwealth Fusion Systems (Cfs), partecipata da un importante gruppo italiano e dal Mit di Boston, ha condotto con successo il primo test di un supermagnete che dovrebbe contenere e gestire la fusione nucleare di deuterio e trizio, un passo importante verso la produzione di energia atomica pulita, impegnandosi a costruire il primo impianto sperimentale entro il 2025;

    occorre favorire la realizzazione di tutte le precondizioni necessarie ai fini di un ritorno in sicurezza della produzione di energia nucleare in Italia;

    sarebbe opportuno promuovere nuovi investimenti in ambito scientifico e universitario. La tendenza positiva che si è registrata negli ultimi anni al Politecnico di Milano con un aumento del numero di iscritti e laureati in ingegneria nucleare va consolidata, rilanciando, presso gli atenei competenti, i corsi e le prospettive;

    parallelamente, poiché occorre individuare gli organismi di supervisione e controllo che dovranno fornire il processo di certificazione, andrebbe promosso un piano di sviluppo della Safety Authority in modo da dotare il sistema di una autorità di controllo e certificazione forte e indipendente;

    una strategia credibile per l'Italia dovrebbe puntare, nel breve periodo, in linea con le aperture espresse recentemente dalle istituzioni europee, sui piccoli reattori modulari di quarta generazione e sui micro reattori modulari già in fase di certificazione, puntando nel medio – lungo periodo sulla tecnologia di fusione, continuando ad investire in ricerca e sviluppo, tramite l'implementazione di partnership internazionali pubbliche e private,

    il 19 gennaio 2023, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel corso della quarta edizione dell'evento «La Ripartenza» a Milano, ha dichiarato che «Dobbiamo prendere in seria considerazione il nucleare di quarta generazione che dà dei margini di sicurezza maggiore e che può essere il futuro del nostro Paese fino a poi arrivare alla fusione. Nel medio lungo periodo non l'Italia o la Ue, ma il mondo deve trovare forme di energia più avanzate. Si ragiona di fissione di quarta generazione. Dobbiamo ripensare al nucleare di quarta generazione, non è il tema del referendum che riguardava prima e seconda generazione»;

    l'intervento dell'Italia come osservatore alla riunione sul nucleare del 28 marzo 2023 svoltasi a Bruxelles su iniziativa della Francia e a cui hanno partecipato in tutto tredici Paesi manifesta la nostra cautela nella valutazione di quali strumenti utilizzare nell'ambito del nucleare;

    il 28 febbraio 2023 dodici stati europei hanno sottoscritto un accordo di cooperazione sul nucleare, citato dagli organi di stampa come «Alleanza per il nucleare», in modo da sostenere a livello comunitario, sotto ogni punto di vista, sia industriale che regolatorio, il ruolo del nucleare come «uno degli strumenti per raggiungere i nostri obiettivi climatici, per generare elettricità in modo continuo e per garantire la sicurezza energetica», coerentemente con la tassonomia europea approvata nel 2022,

impegna il Governo:

1) nel confermare l'obiettivo di zero emissioni al 2050, a partecipare attivamente, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa, sia di carattere scientifico che promossa da organismi di natura politica, volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari destinate alla produzione di energia per scopi civili;

2) ad adottare iniziative volte ad includere la produzione di energia atomica di nuova generazione all'interno della politica energetica europea, riaffermando in sede europea una posizione unitaria volta a mantenere nella tassonomia degli investimenti verdi la messa in esercizio di centrali nucleari realizzate con le migliori tecnologie disponibili;

3) al fine di assicurare al Paese la sicurezza energetica e il rapido raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, a porre in essere ogni utile iniziativa di sperimentazione, anche in sinergia con altri Paesi europei, nel rispetto dei migliori standard raggiunti in ambito internazionale;

4) a considerare l'opportunità strategica di intensificare la ricerca inerente gli Smr e Mmr in Italia, favorendo l'incontro delle nostre migliori competenze in campo ingegneristico nucleare, tecnico, tecnologico e industriale, al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell'industria energivora italiana e di assicurare al Paese la sicurezza energetica necessaria allo sviluppo civile ed economico;

5) a proseguire l'impegno nella ricerca scientifica e, al fine di formare nuovo capitale umano altamente qualificato nel settore, ad adottare ogni iniziativa utile a sostenere le università italiane in questo percorso;

6) ad intervenire con apposite iniziative normative per apportare le modifiche necessarie a rendere la governance e l'organizzazione dell'Ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione-Isin coerente con la sua natura giuridica di autorità indipendente, e a potenziarne le funzioni di regolamentazione, di vigilanza e controllo, e l'operatività tecnica con adeguate risorse economiche e di personale, al fine di dare piena e completa attuazione alle direttive Euratom;

7) ad adottare iniziative per istituire idonei percorsi di ricerca e sviluppo al fine di recuperare il ruolo dell'Italia nel campo dello studio e dello sviluppo tecnico in materia nucleare, anche attraverso convenzioni con atenei e centri di ricerca per la creazione di appositi percorsi di formazione universitaria, di ricerca e sviluppo delle competenze;

8) a favorire una campagna di informazione oggettiva, basata su rigore scientifico, al fine di evitare opposizioni preconcette, con la consapevolezza che il problema dell'accettazione sociale rappresenti una tappa essenziale per la realizzazione di qualsiasi impianto energetico, anche prevedendo ex ante misure di compensazione ambientale e sociale per enti e territori, ove venissero realizzati impianti sul suolo nazionale;

9) a sostenere la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico, lungo il solco già tracciato dai citati progetti, anche tenendo conto della valutazione dell'Unione europea sulla tassonomia del nucleare e sulla sancita possibilità per gli Stati di finanziare i progetti di ricerca in merito e prevedendo incentivi alla ricerca tecnologica sui reattori a fissione nucleare innovativi tra cui i reattori modulari di piccole dimensioni e sulla fusione nucleare;

10) a valutare in quali territori al di fuori dell'Italia la produzione di energia nucleare possa soddisfare il fabbisogno nazionale di energia decarbonizzata e a valutare l'opportunità di promuovere e favorire lo sviluppo di accordi e partnership internazionali tra le società nazionali e/o partecipate pubbliche e le società che gestiscono la produzione nucleare al fine di poter soddisfare il suddetto fabbisogno nazionale;

11) al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell'Italia, a valutare l'opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia.
(1-00083) (Ulteriore nuova formulazione) «Cattaneo, Zucconi, Zinzi, Semenzato, Squeri, Mattia, Bof, Alessandro Colucci, Barelli, Montemagni, Caramanna, Casasco, Pizzimenti, Benvenuti Gostoli, Nevi, Mazzetti, Antoniozzi, Cortelazzo, Iaia, Battistoni, Colombo, Sala, Lampis, Rubano, Comba, De Palma, Milani, Polidori, Giovine, Tassinari, Fabrizio Rossi, Bagnasco, Maerna, Paolo Emilio Russo, Rachele Silvestri, Nazario Pagano, Pietrella, Tenerini, Schiano Di Visconti, Battilocchio, Mulè, Calderone, Saccani Jotti, Benigni, Sorte, Pella, Patriarca».


   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia ha sottoscritto gli obiettivi climatici dell'Onu a partire dall'accordo di Kyoto e dalla COP 21 di Parigi, nonché nelle istituzioni europee in linea con gli obiettivi del Green Deal e della legge sul clima entrata in vigore il 29 luglio 2021, regolamento CEE/UE 2021 n. 1119 che stabilisce l'obiettivo vincolante della neutralità climatica entro il 2050;

    il piano Fit for 55 dell'Unione europea impone un'accelerazione nei processi di modernizzazione industriale a partire dal settore automobilistico che, secondo un'analisi dell'Università Ca' Foscari di Venezia, porterà ad un aumento dell'occupazione in questo settore del 6 per cento;

    il piano Fit for 55 vincola il sistema energetico del nostro Paese al raggiungimento entro il 2030 di almeno il 72 per cento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino a raggiungere il 100 per cento nel 2050;

    molti Paesi europei hanno adeguato i loro piani energetici a questi ambiziosi obiettivi; la Germania prevede che nel 2030 l'80 per cento del proprio fabbisogno di energia elettrica sarà soddisfatto da fonti rinnovabili, per arrivare al 100 per cento nel 2035, e sta definitivamente chiudendo le sue centrali nucleari, mentre l'Italia ha un Pniec, piano energia e clima, che ad oggi non rispetta gli obiettivi climatici previsti dall'Unione europea;

    il 19 gennaio 2023, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha dichiarato che «Dobbiamo prendere in seria considerazione il nucleare di quarta generazione che dà dei margini di sicurezza maggiore e che può essere il futuro del nostro Paese fino a poi arrivare alla fusione. Nel medio lungo periodo non l'Italia o la Unione europea, ma il mondo deve trovare forme di energia più avanzate. (...) Dobbiamo ripensare al nucleare di quarta generazione, non è il tema del referendum che riguardava prima e seconda generazione»;

    numerosi scienziati, esperti di energia nucleare, tra cui il fisico Angelo Tartaglia, Politecnico di Torino, il fisico Massimo Scalia, Università di Roma «La Sapienza», il chimico Vincenzo Balzani, Università di Bologna e Accademia dei Lincei, il fisico Francesco Gonella, Università Ca' Foscari di Venezia, il chimico ambientale Sergio Ulgiati, Università Parthenope di Napoli, il fisico Federico Butera, Politecnico di Milano, hanno rimarcato che la principale caratteristica dei reattori di quarta generazione è quella di non esistere. Si tratta ancora di progetti, di varia tipologia, ma la tecnologia utilizzata è sempre quella della fissione nucleare dei precedenti modelli di prima, seconda e terza generazione, che non risolve nessuno dei problemi che le sono intrinseci riguardo alla sicurezza e alla gestione delle scorie, con riferimento specifico ai prodotti della fissione. Tra questi, si continua a parlare dei cosiddetti reattori veloci autofertilizzanti, con ancora maggiori problemi di sicurezza e gestione delle scorie. Si tratta in generale di investimenti enormi su tecnologie i cui tempi di realizzazione sono semplicemente incompatibili con l'urgenza imposta dalla situazione eco-climatica. A rendere ancor meno sensata la scelta del nucleare, si tratterebbe di investimenti sottratti a tecnologie già disponibili e ingegnerizzabili su larga scala (solare, eolico), che richiedono investimenti infrastrutturali già largamente penalizzati a favore dei sussidi alle fonti fossili, che con la scelta nucleare rischierebbero di veder accantonata l'unica strategia energetica coerente ed efficace nei tempi richiesti dalla situazione emergenziale;

    è ormai risaputo e sono consolidati i risultati di innumerevoli studi epidemiologici e sperimentali che mettono in evidenza l'aumento di tumori di varie sedi anche a dosi molto basse, ripetute e prolungate nel tempo, com'è il caso per gli addetti alle centrali e le popolazioni residenti vicine a centrali o depositi di scorie; senza parlare poi dei danni alla salute derivanti da un incidente nucleare che purtroppo non si può mai escludere. La produzione di energia da fonte nucleare rilascia, è vero, una più bassa quantità di Co2 rispetto alle fonti fossili, ma non rispetto alle fonti rinnovabili (solare, eolica, idroelettrica, biomassa, geotermica). Inoltre, non si può definire «pulita», perché ha enormi impatti negativi di altra natura sull'ambiente circostante. Le centrali nucleari oggi in funzione sfruttano l'energia liberata nelle reazioni di fissione e lasciano come residuo i prodotti della fissione stessa, radioattivi e nocivi per migliaia di anni. La gestione definitiva di tali scorie non è stata risolta e la maggior parte delle scorie prodotte finora nel mondo si trova in depositi temporanei;

    non esistono al mondo, al momento, depositi definitivi per le scorie radioattive. Negli Stati Uniti un deposito geologico «definitivo» è stato ipotizzato nella Yucca Mountain, nello Stato del Nevada. Autorizzato dal Congresso nel 2002, lo stesso Congresso ha tagliato i fondi nel 2011, con una complessa vicenda di stop-and-go che ha lasciato il deposito in un limbo di incertezza rendendo di fatto impossibile la sua realizzazione. Particolarmente istruttiva è la vicenda del sito tedesco di Schacht Asse II, ora dismesso. Ricavato in una ex-miniera di salgemma e di potassio a profondità comprese tra 500 e 750 metri, ha cominciato ad essere utilizzato a fine anni '60. L'uso è stato interrotto a fine anni '90, dopodiché si sono cominciati a fare dei piani di chiusura del sito, previa però la riestrazione delle scorie radioattive già immagazzinate. Quest'ultima operazione si sta rivelando estremamente complessa e costosa, oltreché parzialmente impossibile. Attualmente si prevede l'avvio delle operazioni di recupero e spostamento dei materiali in un deposito superficiale temporaneo a partire dal 2033. L'unico deposito per ora dichiarato ufficialmente «definitivo», anche se non ancora operativo, è quello di Onkalo in Finlandia, prossimo al sito di Olkiluoto che ospita le tre centrali nucleari di Olkiluoto, attive, che alimentano la rete elettrica finlandese. Il deposito, è stato scavato dentro un basamento di granito a profondità comprese tra i 400 e i 500 metri; dovrebbe entrare in funzione a partire dal 2025. Ovviamente, anche di questo deposito al momento non si può dire nulla circa sicurezza e costi globali. Prima di parlare di ipotetici nuovi progetti di energia nucleare in Italia, sarebbe bene che il Governo dicesse cosa intende fare con le scorie dei precedenti impianti nucleari italiani (Caorso, Latina, Trino Vercellese, Garigliano e altri minori), dismessi ma tutt'altro che smantellati e in sicurezza, precisando dove, come e quando verrebbe realizzato un impianto definitivo, per tali scorie, prima di produrne altre. Inutile dire che tale impianto dovrà essere discusso con le popolazioni locali garantendone sicurezza e affidabilità;

    come riportato da uno studio della danese Aarhus University sui rischi di progetto delle varie tecnologie per la produzione elettrica, il nucleare è un vero disastro in quanto a costi che lievitano e a ritardi di costruzione. Dei 180 impianti nucleari censiti dallo studio, per 117,6 gigawatt di potenza, a fronte d'investimenti iniziali per 459 miliardi di dollari si sono avuti sforamenti per 231 miliardi e per 9 centrali su 10 si è speso più di quanto preventivato;

    nella centrale nucleare di Flamanville, in Francia, con reattore di «terza generazione plus» da 1,6 gigawatt, in costruzione dal 2007 e i cui lavori non sono ancora terminati, i costi sono passati da 3,7 miliardi di euro a 19 miliardi di euro. Nella centrale nucleare di Olkiluoto 3 (OL3) da 1,6 gigawatt, in Finlandia, il costo è passato da 3 miliardi di euro a 11 miliardi di euro, senza tener conto degli oneri finanziari. La società Areva è fallita a causa delle perdite economiche del cantiere di OL3 ed è stata riorganizzata con due nuove newco. A Hinkley Point, Inghilterra, sono in costruzione due reattori da 1,6 gigawatt l'uno, i lavori non sono terminati, ma i costi sono arrivati a 26 miliardi di sterline ovvero 30 miliardi di euro con un aumento del 50 per cento rispetto alle previsioni;

    il costo medio a consuntivo per 1 gigawatt di energia nucleare per gli impianti costruiti in Europa, prendendo a riferimento il costo più basso, è di 10 miliardi di euro: realizzare 40 gigawatt di energia nucleare significherebbe per lo Stato italiano un investimento di non meno di 400 miliardi di euro, pari a circa il 21 per cento del prodotto interno lordo italiano nel 2022. Va sottolineato che Next Generation EU raccomanda che il 40 per cento degli obiettivi energia-clima al 2030 sia realizzato entro il 2025, cioè, per l'Italia, almeno altri 28 gigawatt da installare entro quella data;

    EDF, il colosso dell'energia francese che gestisce le centrali nucleari, dopo una capitalizzazione in borsa pari a 3,1 miliardi di euro e la nazionalizzazione del restante 16 per cento di azioni pari a 9 miliardi di euro, ha subìto nel 2022 una perdita di 17,9 miliardi di euro arrivando ad un debito di 64,5 miliardi di euro, il più pesante della sua storia. Vale la pena ricordare che la sua esposizione debitoria, come quella di Areva, sono state assorbite dal Governo francese nel bilancio nazionale, ma in realtà ricadranno anche sui cittadini europei, italiani inclusi, a seguito dell'inserimento del nucleare nella tassonomia «verde». In Francia, su 58 reattori nucleari, una buona parte sono fermi a causa della corrosione e della siccità (un reattore da 1 gigawatt necessita di 1.800.000 litri di acqua al minuto per il raffreddamento). In particolare quest'ultimo problema non può essere trascurato, in considerazione della notevole siccità che affligge il nostro Paese e l'Europa nel suo insieme;

    la società EDF e il Governo inglese hanno ratificato un'intesa che stabilisce il prezzo dell'energia prodotta dalla centrale di Hinkley Point, sterilizzato per i prossimi 35 anni a 120 euro/megawattora. Per competere con le fonti rinnovabili, il nucleare dovrebbe arrivare a un Lcoe di «40-80 USD/MWh, compresi i costi di smantellamento e gestione dei rifiuti». Al momento, è ben lontano da questa possibilità (Lazard's levelized cost of energy analysis-version 15.0);

    l'alto costo dell'energia nucleare non risolve il problema che il sistema economico e sociale si trova a fronteggiare dopo lo shock drammatico della speculazione energetica che ha portato ad un aumento insostenibile delle bollette, ovvero non assicura la disponibilità di energia pulita e a basso costo;

    l'Italia nel 2022 ha consumato 68,5 miliardi di metri cubi di gas con una diminuzione di 7 miliardi di metri cubi rispetto al 2021, mentre la disponibilità di gas è stata di 75,7 miliardi di metri cubi nel 2022, un dato invariato rispetto al 2021. Una quantità pari a 4,6 miliardi di metri cubi è stata esportata all'estero. Questi dati dimostrano che l'attuale sistema di infrastrutturazione energetica in Italia per l'approvvigionamento di gas non solo ha garantito il fabbisogno industriale e civile, ma ha visto aumentare le esportazioni rispetto al 2021 del +199 per cento;

    i dati succitati evidenziano come le autorizzazioni per i rigassificatori di Piombino e Ravenna non siano funzionali a garantire la sicurezza energetica, ma piuttosto a trasformare l'Italia in un hub del gas per venderlo in Europa. Ciò anche alla luce della volontà del Governo di voler realizzare nuovi rigassificatori, ritardando così la transizione energetica verso le fonti rinnovabili;

    in una strategia energetica coerente con gli obiettivi europei e dell'Onu anche l'economia circolare assume un ruolo strategico. In questa ottica, il perseguire l'obiettivo di realizzare nuovi inceneritori, come previsto a Roma, non appare coerente a tali obiettivi,

impegna il Governo:

1) a sostenere gli impegni europei sul Green Deal, sulla legge sul clima, sul piano Fit for 55 e sulla direttiva sul risparmio energetico;

2) ad aggiornare quanto prima il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec), adeguandolo agli obiettivi climatici previsti dall'Unione europea;

3) a rispettare la volontà degli italiani espressa contro il nucleare, con ben due referendum popolari;

4) a fornire ogni elemento utile al Parlamento, prima del G7 di Hiroshima, in merito alla posizione che intenderà assumere sull'energia e su come intenderà raggiungere l'obiettivo 72 per cento di fabbisogno elettrico da rinnovabili entro il 2030;

5) a fornire ogni elemento utile al Parlamento in merito alle iniziative che intende adottare per l'individuazione del deposito unico nazionale da definire entro il 1° gennaio 2024, e garantire la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale di tutti i siti temporanei e delle strutture del territorio nazionale dove sono attualmente collocati i rifiuti radioattivi;

6) ad adottare iniziative volte a finanziare la ricerca per i nuovi sistemi più efficienti di accumulo di energia e favorire le imprese che sono impegnate nella produzione dei sistemi di accumulo;

7) a proseguire nella ricerca sulla fusione nucleare;

8) ad adottare iniziative volte a rivedere le autorizzazioni per gli impianti di incenerimento di rifiuti a partire dalla gestione commissariale di Roma Capitale, che sono impianti energeticamente a saldo negativo e non coerenti con gli obiettivi dell'economia circolare;

9) ad adottare iniziative volte a semplificare le procedure autorizzative per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili, assegnando ad ogni regione obiettivi chiari e non derogabili e a investire nell'adeguamento della rete di trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica ai nuovi obiettivi di energie rinnovabili;

10) a favorire la diffusione delle comunità energetiche rinnovabili (Cer) approvando i decreti attuativi ancora mancanti o incompleti e accelerare la pubblicazione dei bandi del PNRR per la concessione di contributi a fondo perduto per i comuni, riducendo il costo dell'energia elettrica per famiglie e imprese;

11) ad adottare iniziative volte a prevedere entro dicembre 2023 un piano strutturale di 15 anni per il risparmio energetico edilizio che preveda incentivi per i redditi medio bassi finanziato anche attraverso l'eliminazione graduale dei Sad, sussidi ambientalmente dannosi, stimati in 41 miliardi di euro/anno;

12) ad adottare iniziative volte a revocare, alla luce dei dati del bilancio energetico del gas del 2022, le autorizzazioni per i rigassificatori di Piombino e Ravenna e a confermare la chiusura delle centrali a carbone nei tempi previsti dalla Sen.
(1-00116) «Bonelli, Zanella, Fratoianni, Zaratti, Borrelli, Dori, Evi, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti».


   La Camera,

   premesso che:

    in occasione dell'audizione svolta in Parlamento nel dicembre 2022 sulle linee programmatiche del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, il Ministro Pichetto Fratin ha riferito che «l'Italia produce solo il 25 per cento dell'energia di cui necessita, il restante 75 per cento viene importato da Paesi esteri, sotto forma di gas, di prodotti petroliferi e di carbone. (...) Inoltre, il conflitto russo ucraino ha mostrato con brutale evidenza che, per quanto riguarda il gas, la scelta di dipendere prevalentemente da un unico Paese fornitore – nel corso del 2021 il 40 per cento del nostro fabbisogno di gas è stato soddisfatto da import russo – espone il sistema a forti rischi per l'approvvigionamento, acuiti da dinamiche estremamente instabili dei prezzi non determinate esclusivamente da logiche di mercato e soggette a fenomeni speculativi. È evidente che per raggiungere elevati livelli di indipendenza energetica nazionale è necessario un percorso di crescita esponenziale delle fonti rinnovabili»;

    accanto alle misure emergenziali per affrontare la crisi contingente occorre quindi, strategicamente, continuare a puntare sul phase out dalle fonti fossili attraverso un'accelerazione ancora più decisa dello sviluppo delle fonti rinnovabili che sia in grado di ridurre la domanda complessiva di gas;

    l'Italia si è dotata di una Strategia energetica nazionale (Sen) prima, e di un Piano nazionale integrato energia e clima poi, che in sostanziale continuità di struttura vanno a definire i futuri scenari energetici nazionali sulla base delle scelte compiute nel passato, degli impegni europei – a partire dal pacchetto Fit for 55 e, da ultimo, il piano REPowerEU, con investimenti imponenti di oltre 300 miliardi – e di quelli mondiali assunti con gli accordi per il clima nelle diverse Climate Change Conference (Cop) dell'Onu;

    in maniera schematica il processo verso la decarbonizzazione dell'economia e dei sistemi energetici si può suddividere in due parti. Una prima, intermedia e transitoria, che dura sino a circa il 2030, seguita poi da un secondo periodo di lavoro più incisivo che arriverà sino al 2050 per raggiungere «net zero» e decarbonizzazione totale di molti sistemi. In questo senso, nella fase intermedia è previsto che il nostro sistema energetico si regga sulle energie rinnovabili e sull'uso del gas, quali elementi di tenuta e bilanciamento della rete per la natura intermittente di quelle fonti. Ciò avendo anche previsto la fuoriuscita dal carbone in tempi ragionevolmente brevi;

    questi obiettivi comportano un notevole apporto delle Fer nel mix energetico primario complessivo;

    il phase out dalle fonti fossili potrà e dovrà subire un'accelerazione, sia per evidenti impatti sul clima, sia anche in considerazione della situazione di guerra in Ucraina, che rende sempre più necessaria ridurre la nostra dipendenza dall'estero. Occorre, infatti, puntare ancora più fermamente su misure di semplificazione nell'installazione e misure che portino alla diffusione dei contratti di fornitura a lungo termine, cosa che aiuterà nell'installazione di questi impianti e aiuterà nel contenimento dei costi per cittadini ed imprese;

    la transizione verso un'economia sostenibile comporta anche la necessità di investimenti in ricerca e sviluppo per incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili attraverso lo sviluppo di tecnologie avanzate, favorendo quanto più possibile nuove forme di utilizzo (ad esempio aggregazioni/comunità energetiche);

    in tale contesto riveste un ruolo di primaria importanza la destinazione di adeguate risorse al sistema della ricerca pubblica per sviluppare e diffondere tecnologie rinnovabili economicamente efficaci per la generazione di energia;

    il 12 luglio 2022 è entrato in vigore il regolamento (UE) 2020/852 («regolamento sulla tassonomia») con l'obiettivo di informare gli investitori sul carattere ecosostenibile di un'attività economica, definendo criteri comuni a livello di Unione europea;

    la tassonomia dell'Unione europea sulla sostenibilità di una serie di investimenti finanziari è concepito per contribuire al raggiungimento dei tre obiettivi del piano d'azione, che puntano a: a) riorientare i flussi di capitali verso investimenti sostenibili al fine di realizzare una crescita sostenibile e inclusiva; b) gestire i rischi finanziari derivanti da cambiamenti climatici, catastrofi naturali, degrado ambientale e questioni sociali; c) promuovere la trasparenza e la visione a lungo termine nelle attività finanziarie ed economiche. Il regolamento stabilisce poi i passi che un'attività economica deve compiere per dare un contributo sostanziale o per non danneggiare in modo significativo nessuno di questi obiettivi;

    in particolare, l'atto delegato complementare «Clima» (regolamento delegato (UE) 2022/1214) modifica i regolamenti delegati (UE) 2021/2139 e (UE) 2021/2178, introducendo nella tassonomia dell'Unione europea altre attività economiche del settore energetico. Il testo stabilisce condizioni chiare e rigorose, a norma dell'articolo 10, paragrafo 2, del regolamento tassonomia, alle quali è possibile aggiungere, come attività transitorie, alcune attività nucleari e del gas a quelle già presenti nel primo atto delegato sulla mitigazione e sull'adattamento ai cambiamenti climatici, applicabile dal 1° gennaio 2023;

    si ricorda che la classificazione della tassonomia non determina se una data tecnologia rientrerà o meno nel mix energetico degli Stati membri;

    l'Italia si è già espressa due volte contro il nucleare a seguito dei referendum abrogativi, l'ultimo dei quali nel 2011;

    sul nucleare, la ricerca studia da anni i reattori a fissione di IV generazione e i reattori a fusione. Entrambe queste tecnologie, seppur con diverso grado, hanno aspetti ambientali migliori rispetto alle tecnologie odierne eliminando, nel caso della fusione, o riducendolo, nel caso della IV generazione, il problema delle scorie radioattive;

    si tratta di tecnologie assai diverse che operano sulla base di principi e processi differenti (l'obiettivo è lo stesso: produrre energia elettrica);

    nel caso della «fusione nucleare» per studiare questo processo, la fisica dei plasmi, la loro stabilità e le tecnologie necessarie per lo sviluppo ed il mantenimento di plasmi stessi, è in corso di costruzione in Francia il reattore sperimentale Iter con il sostegno di un ampio consorzio internazionale (Cina, Unione europea, India, Giappone, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti);

    in parallelo, negli Stati Uniti, presso il Massachusetts Institute of Technology, è in corso l'esperienza Sparc che coinvolge attivamente molte realtà italiane;

    l'orizzonte temporale per il possibile utilizzo in rete, valutato sulla base dello sviluppo di Iter, può essere collocato, ad oggi, non prima del 2060;

    la «fusione nucleare» mostra importanti particolarità dal punto di vista della sicurezza ed in ottica ambientale, se si considera l'aspetto delle scorie nucleari che sarebbero praticamente eliminate;

    nel caso della «fissione» di IV generazione, si è invece in presenza di una evoluzione dei reattori ad oggi in operazione, da cui si distinguono per diversi fattori fra cui l'energia dei neutroni impiegati che può consentire un ciclo del combustibile molto differente dai reattori attuali;

    l'orizzonte temporale per il possibile utilizzo della quarta generazione può essere, ad oggi, collocato attorno agli anni quaranta del secolo, ma con punti ancora non del tutto risolti sulla tecnologia da utilizzare, sulla effettiva economia dei reattori di quarta generazione, e sulla effettiva riduzione delle scorie radioattive;

    la natura del ciclo del combustibile nei reattori di quarta generazione riduce drasticamente la quantità delle scorie prodotte e il problema dei tempi di confinamento delle scorie radioattive, pur tuttavia senza eliminarlo;

    sempre sulla fissione nucleare è in fase di studio la possibilità dell'evoluzione della taglia del reattore andando verso unità di dimensioni più contenute (Small Modular Reactor) in modo da favorire la mitigazione del rischio, la standardizzazione della costruzione, a vantaggio dell'economia di sistema;

    così pure il cosiddetto nucleare di terza generazione, attualmente disponibile, ha dimostrato di non essere competitivo a livello di costi con molte delle opzioni di energia rinnovabili, a causa dei crescenti costi di costruzione e sicurezza;

    è bene ricordare, anche, che ad oggi, nella maggior parte dei paesi che usano energia nucleare, non vi è ancora una soluzione definitiva in funzione per lo stoccaggio geologico dei rifiuti ad alta radioattività sin ora prodotti;

    a tal proposito, occorre porre un'attenzione adeguata e accelerare il programma di definizione del sito unico per i rifiuti nucleari, sia per quel che riguarda il programma già avviato dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica tramite Sogin per i rifiuti a bassa intensità, il cui percorso è in atto, sia per quel che riguarda la definizione del sito (geologico), anche di intesa con altri Paesi europei, per i rifiuti ad alta intensità, quelli delle centrali, per i quali lo Stato italiano ha versato nel tempo alla Francia ed alla Gran Bretagna importanti risorse per la loro gestione, non avendo ancora definito un sito di deposito; recentemente, inoltre, la Commissione europea ha deciso di inviare un parere motivato, il secondo passaggio della procedura d'infrazione, all'Italia, per l'adozione di programmi nazionali di gestione dei rifiuti radioattivi non interamente conformi alla direttiva sul combustibile esaurito e sui rifiuti radioattivi;

    ulteriore attenzione va comunque posta alle possibili relazioni – dual use, militare e civile – tra lo sviluppo ulteriore della fissione nucleare con i programmi di proliferazione militare;

    sulle nuove tecnologie collegate al nucleare del futuro l'Italia ha oggi un indiscusso ruolo di primo piano, lo ha per la fusione, con la partecipazione importante ad Iter e ad Euro Fusion, con la partecipazione del Dtt (Divertor Tokamak Test Facility) e con le grandi competenze nei sistemi di gestione del trizio e di asportazione del calore nei sistemi a piombo-litio maturate degli enti di ricerca e dell'industria nazionale;

    lo ha anche, però, nella IV generazione a fissione nella versione refrigerata piombo, dove l'industria nazionale è leader indiscussa a livello europeo nella progettazione e sviluppo tecnologico di questi reattori;

    sviluppo che già oggi vede aziende pubbliche e private lavorare in diversi Paesi europei (ad esempio, Romania e Regno Unito) per dimostrare la fattibilità tecnica di questi reattori;

    tuttavia, l'Italia sta perdendo competenze fondamentali nell'ambito nucleare, anche a causa della carenza di docenti e dell'insegnamento di programmi di ingegneria nucleare nelle università. In particolare, i corsi di ingegneria nucleare sono ad oggi attivi in pochissimi atenei e gli studenti interessati alla materia sono costretti a dirigersi verso un'offerta formativa all'estero;

    in particolare, anche a prescindere dallo sviluppo del nuovo nucleare a fusione o di quarta generazione, occorrerà coltivare competenze nucleari nell'ambito della radioprotezione per continuare l'azione dell'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) e per continuare l'azione di decommissioning della Sogin;

    si ricorda inoltre che, a nove mesi dal commissariamento di Sogin, di giugno 2022, si registrano una serie di inadempimenti e di ritardi sulle attività di decommissioning, sulla gestione dei grandi appalti e sulla realizzazione del deposito nazionale. Non si registrano attività rilevanti in alcun sito, l'organico è in costante riduzione, tanto da mettere in criticità la stessa gestione ordinaria e la messa in sicurezza degli impianti;

    la rilevanza dell'impegno nazionale, pubblico e privato, e le consistenti capacità scientifiche e tecnologiche in questi settori, evidenziate da questi sviluppi, costituiscono importanti opportunità industriali per il futuro del Paese;

    come già indicato è bene ricordare che la Sen ed il Pniec poi, hanno confermato una struttura del sistema energetico nazionale basata su Fer e gas – quale elemento di transizione – unitamente a significative azioni di risparmio energetico;

    in tale contesto, investitori privati e pubblici stanno mettendo in campo uno sforzo significativo in termini di nuovi impianti (solo per la Fer più di 70 gigawatt prima del 2030 con una produzione di più di 100 TWh), di ristrutturazione delle reti elettrica e del gas, di azioni di risparmio energetico, con investimenti facilmente quantificabili per più di 120-130 miliardi di euro, che saranno utilizzabili per i prossimi 20-30 anni e costituiranno l'ossatura del nostro sistema energetico nel processo di decarbonizzazione,

impegna il Governo:

1) a confermare e sostenere a livello europeo e nazionale ogni sforzo necessario a realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione e progressiva uscita dalla dipendenza dalle fonti fossili, provvedendo ad inviare alla Commissione europea l'aggiornamento del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec) entro giugno 2023;

2) ad adottare programmi di ricerca e sviluppo dei sistemi a fusione e a fissione, del tipo quarta generazione, per consentire al Paese di mantenere le posizioni avanzate e di leadership conquistate nel settore, tenendo conto dell'esigenza di assicurare un impegno prioritario a sostenere lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie di fonti rinnovabili, l'efficienza energetica e la diversificazione delle fonti gas attualmente in uso, nell'ottica dell'autonomia energetica del Paese e per il raggiungimento dei target di neutralità climatica nei tempi stabiliti al 2030 e al 2050, concordati a livello europeo;

3) a concludere entro il 2023 il programma, già avviato, per l'individuazione di un sito unico per i rifiuti nucleari sia di intensità bassa e media sia, in fase intermedia, per gli stessi rifiuti ad alta intensità, al fine di favorire la messa in sicurezza dei territori e di ottemperare alle direttive europee, interrompendo la procedura d'infrazione attualmente in atto, con i relativi costi, aggravati dagli oneri versati ad altri Paesi che attendono di poter restituire il materiale riprocessato delle nostre centrali dismesse;

4) a garantire la piena operatività gestionale ed occupazionale di Sogin, al momento fortemente compromessa, e un suo rilancio industriale, scongiurando che si possa disperdere il suo patrimonio di competenze e professionalità e che possano venire meno le condizioni di sicurezza degli impianti, tenuto conto della strategicità delle sue attività di decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi;

5) a valutare, nel corso dei programmi di ricerca e sviluppo in particolare sulla fissione di IV generazione, i rischi legati al possibile «dual use» militare e civile, dello sviluppo ulteriore della fissione e della compatibilità con i trattati di non proliferazione;

6) a prevedere la formazione di competenze, tramite il potenziamento dei corsi e dell'offerta di formazione universitaria nell'ambito nucleare, anche attraverso l'eventuale reclutamento di docenti e ricercatori formatisi all'estero.
(1-00122) «Di Sanzo, Simiani, Peluffo, Braga, Curti, Ferrari, De Micheli, Di Biase, Gnassi, Orlando».


   La Camera,

   premesso che:

    in occasione dell'audizione svolta in Parlamento nel dicembre 2022 sulle linee programmatiche del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, il Ministro Pichetto Fratin ha riferito che «l'Italia produce solo il 25 per cento dell'energia di cui necessita, il restante 75 per cento viene importato da Paesi esteri, sotto forma di gas, di prodotti petroliferi e di carbone. (...) Inoltre, il conflitto russo ucraino ha mostrato con brutale evidenza che, per quanto riguarda il gas, la scelta di dipendere prevalentemente da un unico Paese fornitore – nel corso del 2021 il 40 per cento del nostro fabbisogno di gas è stato soddisfatto da import russo – espone il sistema a forti rischi per l'approvvigionamento, acuiti da dinamiche estremamente instabili dei prezzi non determinate esclusivamente da logiche di mercato e soggette a fenomeni speculativi. È evidente che per raggiungere elevati livelli di indipendenza energetica nazionale è necessario un percorso di crescita esponenziale delle fonti rinnovabili»;

    accanto alle misure emergenziali per affrontare la crisi contingente occorre quindi, continuare a puntare sul phase out dalle fonti fossili attraverso lo sviluppo delle fonti rinnovabili che sia in grado di ridurre la domanda complessiva di gas;

    l'Italia si è dotata di una Strategia energetica nazionale (Sen) prima, e di un Piano nazionale integrato energia e clima poi, che in sostanziale continuità di struttura vanno a definire i futuri scenari energetici nazionali sulla base delle scelte compiute nel passato, degli impegni europei – a partire dal pacchetto Fit for 55 e, da ultimo, il piano REPowerEU, con investimenti imponenti di oltre 300 miliardi – e di quelli mondiali assunti con gli accordi per il clima nelle diverse Climate Change Conference (Cop) dell'Onu;

    in maniera schematica il processo verso la decarbonizzazione dell'economia e dei sistemi energetici si può suddividere in due parti. Una prima, intermedia e transitoria, che dura sino a circa il 2030, seguita poi da un secondo periodo di lavoro più incisivo che arriverà sino al 2050 per raggiungere «net zero» e decarbonizzazione totale di molti sistemi. In questo senso, nella fase intermedia è previsto che il nostro sistema energetico si regga sulle energie rinnovabili e sull'uso del gas, quali elementi di tenuta e bilanciamento della rete per la natura intermittente di quelle fonti. Ciò avendo anche previsto la fuoriuscita dal carbone in tempi ragionevolmente brevi;

    questi obiettivi comportano un notevole apporto delle Fer nel mix energetico primario complessivo;

    il phase out dalle fonti fossili potrà e dovrà subire un'accelerazione, sia per evidenti impatti sul clima, sia anche in considerazione della situazione di guerra in Ucraina, che rende sempre più necessaria ridurre la nostra dipendenza dall'estero. Occorre, infatti, puntare ancora più fermamente su misure di semplificazione nell'installazione e misure che portino alla diffusione dei contratti di fornitura a lungo termine, cosa che aiuterà nell'installazione di questi impianti e aiuterà nel contenimento dei costi per cittadini ed imprese;

    la transizione verso un'economia sostenibile comporta anche la necessità di investimenti in ricerca e sviluppo per incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili attraverso lo sviluppo di tecnologie avanzate, favorendo quanto più possibile nuove forme di utilizzo (ad esempio aggregazioni/comunità energetiche);

    in tale contesto riveste un ruolo di primaria importanza la destinazione di adeguate risorse al sistema della ricerca pubblica per sviluppare e diffondere tecnologie rinnovabili economicamente efficaci per la generazione di energia;

    il 12 luglio 2022 è entrato in vigore il regolamento (UE) 2020/852 («regolamento sulla tassonomia») con l'obiettivo di informare gli investitori sul carattere ecosostenibile di un'attività economica, definendo criteri comuni a livello di Unione europea;

    la tassonomia dell'Unione europea sulla sostenibilità di una serie di investimenti finanziari è concepito per contribuire al raggiungimento dei tre obiettivi del piano d'azione, che puntano a: a) riorientare i flussi di capitali verso investimenti sostenibili al fine di realizzare una crescita sostenibile e inclusiva; b) gestire i rischi finanziari derivanti da cambiamenti climatici, catastrofi naturali, degrado ambientale e questioni sociali; c) promuovere la trasparenza e la visione a lungo termine nelle attività finanziarie ed economiche. Il regolamento stabilisce poi i passi che un'attività economica deve compiere per dare un contributo sostanziale o per non danneggiare in modo significativo nessuno di questi obiettivi;

    in particolare, l'atto delegato complementare «Clima» (regolamento delegato (UE) 2022/1214) modifica i regolamenti delegati (UE) 2021/2139 e (UE) 2021/2178, introducendo nella tassonomia dell'Unione europea altre attività economiche del settore energetico. Il testo stabilisce condizioni chiare e rigorose, a norma dell'articolo 10, paragrafo 2, del regolamento tassonomia, alle quali è possibile aggiungere, come attività transitorie, alcune attività nucleari e del gas a quelle già presenti nel primo atto delegato sulla mitigazione e sull'adattamento ai cambiamenti climatici, applicabile dal 1° gennaio 2023;

    si ricorda che la classificazione della tassonomia non determina se una data tecnologia rientrerà o meno nel mix energetico degli Stati membri;

    l'Italia si è già espressa due volte contro il nucleare a seguito dei referendum abrogativi, l'ultimo dei quali nel 2011;

    sul nucleare, la ricerca studia da anni i reattori a fissione di IV generazione e i reattori a fusione. Entrambe queste tecnologie, seppur con diverso grado, hanno aspetti ambientali migliori rispetto alle tecnologie odierne eliminando, nel caso della fusione, o riducendolo, nel caso della IV generazione, il problema delle scorie radioattive;

    si tratta di tecnologie assai diverse che operano sulla base di principi e processi differenti (l'obiettivo è lo stesso: produrre energia elettrica);

    nel caso della «fusione nucleare» per studiare questo processo, la fisica dei plasmi, la loro stabilità e le tecnologie necessarie per lo sviluppo ed il mantenimento di plasmi stessi, è in corso di costruzione in Francia il reattore sperimentale Iter con il sostegno di un ampio consorzio internazionale (Cina, Unione europea, India, Giappone, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti);

    in parallelo, negli Stati Uniti, presso il Massachusetts Institute of Technology, è in corso l'esperienza Sparc che coinvolge attivamente molte realtà italiane;

    la «fusione nucleare» mostra importanti particolarità dal punto di vista della sicurezza ed in ottica ambientale, se si considera l'aspetto delle scorie nucleari che sarebbero praticamente eliminate;

    nel caso della «fissione» di IV generazione, si è invece in presenza di una evoluzione dei reattori ad oggi in operazione, da cui si distinguono per diversi fattori fra cui l'energia dei neutroni impiegati che può consentire un ciclo del combustibile molto differente dai reattori attuali;

    la natura del ciclo del combustibile nei reattori di quarta generazione riduce drasticamente la quantità delle scorie prodotte e il problema dei tempi di confinamento delle scorie radioattive, pur tuttavia senza eliminarlo;

    sempre sulla fissione nucleare è in fase di studio la possibilità dell'evoluzione della taglia del reattore andando verso unità di dimensioni più contenute (Small Modular Reactor) in modo da favorire la mitigazione del rischio, la standardizzazione della costruzione, a vantaggio dell'economia di sistema;

    è bene ricordare, anche, che ad oggi, nella maggior parte dei paesi che usano energia nucleare, non vi è ancora una soluzione definitiva in funzione per lo stoccaggio geologico dei rifiuti ad alta radioattività sin ora prodotti;

    a tal proposito, occorre porre un'attenzione adeguata e accelerare il programma di definizione del sito unico per i rifiuti nucleari, sia per quel che riguarda il programma già avviato dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica tramite Sogin per i rifiuti a bassa intensità, il cui percorso è in atto, sia per quel che riguarda la definizione del sito (geologico), anche di intesa con altri Paesi europei, per i rifiuti ad alta intensità, quelli delle centrali, per i quali lo Stato italiano ha versato nel tempo alla Francia ed alla Gran Bretagna importanti risorse per la loro gestione, non avendo ancora definito un sito di deposito; recentemente, inoltre, la Commissione europea ha deciso di inviare un parere motivato, il secondo passaggio della procedura d'infrazione, all'Italia, per l'adozione di programmi nazionali di gestione dei rifiuti radioattivi non interamente conformi alla direttiva sul combustibile esaurito e sui rifiuti radioattivi;

    sulle nuove tecnologie collegate al nucleare del futuro l'Italia ha oggi un indiscusso ruolo di primo piano, lo ha per la fusione, con la partecipazione importante ad Iter e ad Euro Fusion, con la partecipazione del Dtt (Divertor Tokamak Test Facility);

    lo ha anche, però, nella IV generazione a fissione nella versione refrigerata piombo, dove l'industria nazionale è leader indiscussa a livello europeo nella progettazione e sviluppo tecnologico di questi reattori;

    sviluppo che già oggi vede aziende pubbliche e private lavorare in diversi Paesi europei (ad esempio, Romania e Regno Unito) per dimostrare la fattibilità tecnica di questi reattori;

    in particolare, anche a prescindere dallo sviluppo del nuovo nucleare a fusione o di quarta generazione, occorrerà coltivare competenze nucleari nell'ambito della radioprotezione per continuare l'azione dell'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) e per continuare l'azione di decommissioning della Sogin;

    la rilevanza dell'impegno nazionale, pubblico e privato, e le consistenti capacità scientifiche e tecnologiche in questi settori, evidenziate da questi sviluppi, costituiscono importanti opportunità industriali per il futuro del Paese;

    come già indicato è bene ricordare che la Sen ed il Pniec poi, hanno confermato una struttura del sistema energetico nazionale basata su Fer e gas – quale elemento di transizione – unitamente a significative azioni di risparmio energetico;

    in tale contesto, investitori privati e pubblici stanno mettendo in campo uno sforzo significativo in termini di nuovi impianti (solo per la Fer più di 70 gigawatt prima del 2030 con una produzione di più di 100 TWh), di ristrutturazione delle reti elettrica e del gas, di azioni di risparmio energetico, con investimenti facilmente quantificabili per più di 120-130 miliardi di euro, che saranno utilizzabili per i prossimi 20-30 anni e costituiranno l'ossatura del nostro sistema energetico nel processo di decarbonizzazione,

impegna il Governo:

1) a confermare e sostenere a livello europeo e nazionale ogni sforzo necessario a realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione e progressiva uscita dalla dipendenza dalle fonti fossili, provvedendo ad inviare alla Commissione europea l'aggiornamento del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec) entro giugno 2023;

2) ad adottare programmi di ricerca e sviluppo dei sistemi a fusione e a fissione, del tipo quarta generazione, per consentire al Paese di mantenere le posizioni avanzate e di leadership conquistate nel settore, tenendo conto dell'esigenza di assicurare un impegno prioritario a sostenere lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie di fonti rinnovabili, l'efficienza energetica e la diversificazione delle fonti gas attualmente in uso, nell'ottica dell'autonomia energetica del Paese e per il raggiungimento dei target di neutralità climatica nei tempi stabiliti al 2030 e al 2050, concordati a livello europeo;

3) a concludere il programma, già avviato, per l'individuazione di un sito unico per i rifiuti nucleari sia di intensità bassa e media sia, in fase intermedia, per gli stessi rifiuti ad alta intensità, al fine di favorire la messa in sicurezza dei territori e di ottemperare alle direttive europee, interrompendo la procedura d'infrazione attualmente in atto, con i relativi costi, aggravati dagli oneri versati ad altri Paesi che attendono di poter restituire il materiale riprocessato delle nostre centrali dismesse;

4) a prevedere la formazione di competenze, tramite il potenziamento dei corsi e dell'offerta di formazione universitaria nell'ambito nucleare, anche attraverso l'eventuale reclutamento di docenti e ricercatori formatisi all'estero.
(1-00122) (Testo modificato nel corso della seduta)«Di Sanzo, Simiani, Peluffo, Braga, Curti, Ferrari, De Micheli, Di Biase, Gnassi, Orlando».


MOZIONI CAPPELLETTI ED ALTRI N. 1-00100, DE LUCA ED ALTRI N. 1-00127, BENZONI ED ALTRI N. 1-00130, EVI ED ALTRI N. 1-00131 E CARAMANNA, ANDREUZZA, ROSSELLO, SEMENZATO ED ALTRI N. 1-00135 CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE AL PIANO REPOWEREU E AI RELATIVI INVESTIMENTI IN CAMPO ENERGETICO NELL'AMBITO DEL PNRR

Mozioni

   La Camera,

   premesso che:

    in seguito all'adozione del regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio che ha istituito e disciplinato i Piani per la ripresa e la resilienza (PNRR) si sono manifestati eventi geopolitici senza precedenti determinati dalla guerra di aggressione da parte della Russia nei confronti dell'Ucraina, dalla persistenza di prezzi dell'energia elevati e volatili e dall'aggravarsi delle conseguenze della crisi Covid-19 con ripercussioni considerevoli sulla società e sull'economia dell'Unione, sulla sua popolazione e sulla sua coesione economica, sociale e territoriale;

    per affrontare queste sfide emergenti, la Commissione ha proposto al Parlamento europeo e al Consiglio la Comunicazione – COM(2022) 231) che riguarda l'inserimento di un nuovo capitolo nei PNRR dedicato al piano REPowerEU – COM(2022) 230), volto ad eliminare gradualmente la dipendenza dell'Unione dalle importazioni di combustibili fossili in particolare da quelli russi. Tale obiettivo dovrebbe essere raggiunto ben prima del 2030, secondo modalità che garantiscano la coerenza con il Green Deal europeo e con gli obiettivi climatici per il 2030 e il 2050 sanciti dal regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio;

    nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, il 28 febbraio 2023, è stato pubblicato il nuovo regolamento (UE) 2023/435 per l'inserimento di capitoli dedicati al piano REPowerEU nei piani per la ripresa e la resilienza;

    al fine di raggiungere l'obiettivo individuato di eliminare la dipendenza dell'Unione europea dalle importazioni dei combustibili fossili, le istituzioni europee hanno concordato sulla necessità sostenere misure volte a incrementare l'efficienza e il risparmio energetico degli edifici e delle relative infrastrutture energetiche critiche e a decarbonizzare più rapidamente le industrie. Si ritiene indispensabile aumentare rapidamente gli investimenti nelle misure di efficienza energetica, come l'adozione di soluzioni di riscaldamento e raffreddamento sostenibili ed efficienti, che offrono un mezzo efficace per affrontare alcune delle sfide più urgenti in materia di approvvigionamento energetico e di costi dell'energia. Si considera opportuno sostenere anche le riforme e gli investimenti tesi a incrementare l'efficienza energetica, a decarbonizzare l'industria, anche mediante l'uso di combustibili a basse emissioni di carbonio, come l'idrogeno a basse emissioni di carbonio, la diffusione dell'idrogeno rinnovabile e di altri combustibili rinnovabili di origine non biologica, e ad aumentare il risparmio energetico delle economie degli Stati membri;

    nello specifico del piano REPowerEU, la Commissione europea ha proposto per il 2030 di innalzare gli obiettivi già indicati nel pacchetto Fit for 55%. Si dovrà incrementare dal 40 per cento al 45 per cento la quota di produzione di energia rinnovabile ed aumentare dal 9 per cento al 13 per cento l'obiettivo in materia di efficienza per ridurre di circa il 40 per cento i consumi energetici rispetto al 2007. Nel breve periodo invece, il piano dovrà comportare la rapida riduzione di circa 80 miliardi di metri cubi delle importazioni di gas, un risultato che supera di gran lunga gli obiettivi del pacchetto Fit for 55%, che richiede un notevole impegno nella decarbonizzazione per il nostro Paese, da sempre fortemente legato al consumo del gas naturale rispetto agli altri Stati europei;

    il raggiungimento degli obiettivi rafforzerà la sicurezza dell'Europa e del nostro Paese e li renderà più autonomi energeticamente dai fornitori stranieri;

    nel capitolo dedicato al piano REPowerEU gli Stati membri devono indicare le nuove riforme e nuovi investimenti, a partire dal 1° febbraio 2022 e da realizzare entro il 2026, che devono contribuire ad aumentare la quota di energie sostenibili e rinnovabili nel mix energetico e ad affrontare le strozzature delle infrastrutture energetiche. Per quanto riguarda le infrastrutture relative al gas naturale, le riforme e gli investimenti descritti nei capitoli dedicati al piano REPowerEU, volti a diversificare l'approvvigionamento abbandonando le importazioni dalla Russia, dovrebbero basarsi sulle esigenze attualmente individuate dalla valutazione condotta e concordata dalla Rete europea dei gestori dei sistemi di trasporto del gas, definite in uno spirito di solidarietà per quanto riguarda la sicurezza dell'approvvigionamento, e dovrebbero tenere conto delle esigenze strategiche in materia di sicurezza energetica dello Stato membro interessato e delle misure rafforzate di preparazione, compreso lo stoccaggio dell'energia, adottate per far fronte alle nuove minacce geopolitiche, senza compromettere il contributo a lungo termine alla transizione verde;

    possono essere incluse misure volte a contribuire ad affrontare a livello strutturale le situazioni di povertà energetica, attraverso riforme e investimenti di lunga durata. Le riforme e gli investimenti volti ad affrontare la povertà energetica dovrebbero fornire un sostegno finanziario più elevato ai meccanismi di efficienza energetica, anche attraverso strumenti finanziari dedicati, politiche in materia di energia pulita e regimi volti a ridurre la domanda di energia per le famiglie e le imprese — comprese le microimprese e le piccole e medie imprese — che si trovano in gravi difficoltà a causa di bollette energetiche elevate;

    dovrebbero inoltre essere coerenti con i piani nazionali per l'energia e il clima degli Stati membri e con gli obiettivi climatici dell'Unione di cui al regolamento (UE) 2021/1119. Il dispositivo, tenendo conto del Green Deal europeo, contribuirà all'integrazione delle azioni per il clima e della sostenibilità ambientale e al conseguimento dell'obiettivo globale di dedicare il 30 per cento della spesa di bilancio dell'Unione al sostegno degli obiettivi climatici. A tal fine, le misure sostenute e incluse nei PNRR degli Stati membri dovrebbero contribuire alla transizione verde, compresa la biodiversità, o ad affrontare le sfide che ne derivano, e dovrebbero rappresentare un importo corrispondente ad almeno il 37 per cento della dotazione totale del PNRR e ad almeno il 37 per cento dei costi totali stimati delle misure incluse nel capitolo dedicato al piano REPowerEU sulla base della metodologia di controllo del clima di cui all'allegato VI del regolamento (UE) 2021/241;

    gli Stati membri dovrebbero tenere una integrazione della consultazione tenuta per il PNRR per affrontare le riforme e gli investimenti da includere capitolo dedicato al piano REPowerEU in modo da lasciare alle parti interessate il tempo sufficiente per reagire, garantendo nel contempo una rapida finalizzazione del capitolo dedicato al piano REPowerEU da parte dello Stato membro interessato. La sintesi aggiornata dovrebbe indicare i portatori di interessi consultati, spiegare i risultati della consultazione complementare e illustrare in che modo i contributi ricevuti dai portatori di interessi hanno trovato riscontro nei capitoli dedicati al piano REPowerEU;

    in tale contesto, l'Italia potrebbe chiedere ulteriori risorse sul PNRR per nuovi investimenti. Circa 4 miliardi di euro potrebbero essere utilizzati dai finanziamenti a fondo perduto derivanti dalla nuova tranche di 20 miliardi di euro che la Commissione intende mettere a disposizione vendendo quote dell'Emissions Trading System. Potranno inoltre essere trasferite al PNRR fino al 7,5 per cento della dotazione nazionale di Fondi strutturali per il periodo 2021-2027, pari a 3,157 miliardi di euro, e fino al 12,5 per cento della dotazione nazionale del Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale, pari a 843 milioni di euro per finanziare misure REPowerEU che conseguano rispettivamente gli obiettivi delle due politiche dell'Unione, ossia la coesione (es. riqualificazione della forza lavoro) e la Pac (es. produzione di biometano da residui agricoli). Pertanto per il REPowerEU l'Italia dovrebbe aver a disposizione dall'Europa almeno 8 miliardi di euro (di cui 4 a fondo perduto e 4 come trasferimenti da altri programmi UE) ai quali aggiungere i fondi non spesi della Brexit Adjustment Reserve (in totale 146,8 milioni di euro) ai quali poter aggiungere altre risorse attraverso l'accesso anche a forme di prestito;

    gli Stati membri sono incoraggiati a presentare i capitoli dedicati al piano REPowerEU quanto prima e preferibilmente entro due mesi dall'entrata in vigore del regolamento modificativo;

    nei primi di febbraio 2023 il Governo ha convocato a Palazzo Chigi gli amministratori delegati delle società partecipate Eni, Enel, Snam e Terna per fare il punto sui progetti da inserire nel nuovo capitolo del PNRR con i fondi del REPowerEU. Al momento non sono state tenute altre iniziative pubbliche per coinvolgere gli altri protagonisti nell'ambito della transizione energetica, in particolare nel settore della decarbonizzazione, dell'efficienza e della generazione da fonti rinnovabili;

    secondo l'articolo pubblicato da Repubblica, il 7 febbraio 2023, dal titolo «Rinnovabili e hub del gas nel nuovo PNRR. L'idea di Meloni per cambiare i progetti», il Premier Meloni avrebbe chiesto alle partecipate «pochi progetti, necessari e fattibili»: Eni pensa ai biocarburanti e alla cattura della CO2, Terna vorrebbe finanziare il Tyrrhenian Link e la connessione con il Montenegro, Snam dovrà invece rafforzare la dorsale Adriatica, mentre a Enel tocca la realizzazione del rigassificatore di Porto Empedocle, a cui dovrebbe aggiungersi quello Gioia Tauro di Iren e Sorgenia. Tali progetti, ai quali si vorrebbero destinare le nuove risorse del PNRR, oltre a rafforzare la conservazione di un modello energetico fondato sulla centralizzazione e l'impiego delle fonti fossili in particolare del gas, sono in contraddizione alla comunicazione sul REPowerEU e agli obiettivi clima energia che l'Europa si è data. Inoltre sarebbero costi ed impegni commerciali e di approvvigionamento di lungo periodo, che devono essere garantiti dallo Stato in diverse forme con un costo che verrà socializzato con tutti gli utenti;

    l'applicazione del principio «non arrecare un danno significativo» ai sensi dell'articolo 17 del regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio è essenziale per garantire che le riforme e gli investimenti intrapresi nel quadro della ripresa dalla crisi siano attuati in modo sostenibile;

    l'incremento dei prezzi dell'energia, le politiche intraprese per la riduzione degli approvvigionamenti dagli altri Stati per ridurre la dipendenza energetica e quelle per il raggiungimento degli obiettivi del Green new deal europeo al fine di contrastare i cambiamenti climatici stanno determinando una contrazione dei consumi di gas;

    nel recente rapporto Europe's Energy Future curato da Wärtsilä viene stimato che la produzione di energia elettrica derivante da fonti fossili potrebbe crollare del 20 per cento nel 2023. L'Europa di fatto nel medio periodo non avrebbe più bisogno di gas, perché potrebbe dimezzare già nel 2030 il consumo di gas nel settore energetico, ridurre i costi energetici di 300 miliardi di euro ed accrescere l'indipendenza energetica solo raddoppiando la propria capacità rinnovabile;

    sulla base dei dati preliminari di consuntivo forniti da Snam, la domanda di gas nell'ultimo trimestre 2022 è risultata pari a 16,9 miliardi di metri cubi contro i 22,5 miliardi dell'ultimo trimestre del 2021. La contrazione rilevante pari a 5,6 miliardi di metri cubi è imputata per più della metà (-3,1 miliardi di metri cubi) al calo della domanda delle reti di distribuzione, che alimentano in prevalenza le utenze civili. L'effetto del meteo più mite che ha caratterizzato l'ultimo scorcio del 2022 ha contribuito alla riduzione della domanda solo per 1,8 miliardi di metri cubi;

    gli scenari al 2030 del Piano europeo Fit for 55% elaborati da Ricerca sul sistema energetico (Rse), esposti nella presentazione su «L'impatto del pacchetto FF55: prime valutazioni», del 6 aprile 2022, prevedono una riduzione del 37 per cento dei consumi con una diminuzione degli approvvigionamenti di circa 25 miliardi di metri cubi di gas naturale. Tali consumi saranno ulteriormente ridotti dall'esecuzione delle riforme e dagli investimenti che verranno attivati con il nuovo capitolo del piano REPowerEU che verrà inserito nel PNRR;

    l'International Renewable Energy Agency (Irena) nel report Renewable Power Generation Costs mostra che nel 2021 il costo delle rinnovabili è diminuito, nonostante l'incremento dei prezzi delle materie prime. Nel 2022, per la prima volta in Europa, la generazione da fonti rinnovabili, eolico e solare (22 per cento), ha superato la generazione da gas (20 per cento) riducendo l'importazione di 70 miliardi di metri cubi di gas e risparmiando 100 miliardi di euro, come riporta lo studio «More renewables, Less inflation» di E3G ed Ember;

    nonostante le fonti energetiche rinnovabili abbiano un costo di generazione dell'energia inferiore rispetto a quello di altre tecnologie che impiegano fonti fossili, la crescita dell'utilizzo delle tecnologie pulite continua ad essere fortemente ostacolata dell'inefficienza degli iter autorizzativi, che nel nostro Paese durano in media 1 o 1,5 anni per il fotovoltaico e circa 5 anni per l'eolico. Iniziative di semplificazione delle procedure autorizzative all'interno del nuovo capitolo sul REPowerEU contribuiranno positivamente all'incremento della quota di energia rinnovabile in sostituzione dei combustibili fossili;

    nel mese di febbraio Elettricità Futura ha elaborato il piano 2030 del settore elettrico, un percorso per il raggiungimento dell'indipendenza e della sicurezza nazionale, oltre che di decarbonizzazione, in linea con gli obiettivi europei. Il piano prevede di allacciare alla rete 85 gigawatt di nuove rinnovabili al 2030, portando all'84 per cento le rinnovabili nel mix elettrico, e l'elettrificazione pari a circa 360 terawattora. Raggiungendo questo traguardo, nei prossimi 8 anni l'Italia potrà ridurre di 160 miliardi di metri cubi le importazioni di gas con un risparmio di 110 miliardi di euro,

impegna il Governo:

1) a garantire che i nuovi progetti da includere nel PNRR tra i nuovi investimenti per il REPowerEU siano coerenti con gli obiettivi europei per la decarbonizzazione e volti ad eliminare realmente la dipendenza dell'Unione europea dalle importazioni di combustibili fossili;

2) ad impiegare le risorse del PNRR per progetti del REPowerEU per sostenere interventi rivolti alla riduzione dei consumi di energia attraverso la riqualificazione energetica degli edifici, l'autoconsumo singolo e collettivo di energia rinnovabile tramite configurazioni di comunità energetiche rinnovabili attraverso un fondo per garanzie e prestiti agevolati, meccanismi di detrazioni fiscali, cessioni e sconto tipo «ecobonus» e «superbonus», favorendo i cittadini nelle condizioni di povertà energetica;

3) ad impiegare le risorse del PNRR per progetti del REPowerEU al fine di sostenere le attività produttive, in particolare le imprese nella creazione di comunità energetiche rinnovabili, tramite un fondo per garanzie e prestiti agevolati al fine di aiutare l'accesso alla liquidità per gli investimenti;

4) a non impiegare risorse del PNRR per progetti del REPowerEU rivolti alla realizzazione di nuove infrastrutture o progetti che favoriscono l'utilizzo di fonti di energia fossile;

5) ad inserire nel capitolo del REPowerEU le riforme di semplificazione delle procedure autorizzative per impiegare le risorse del PNRR per progetti che spingano l'incremento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, dell'impiego degli accumuli, il miglioramento dell'infrastrutturazione e il superamento delle strozzature esistenti in termini di trasmissione, distribuzione e stoccaggio dell'energia elettrica, oltre a delle riforme per facilitare l'affidamento di aree pubbliche per la realizzazione di impianti rinnovabili per le Cer;

6) ad impiegare le risorse del PNRR per progetti del REPowerEU nel settore della decarbonizzazione nei processi produttivi industriali, per la realizzazione di investimenti per l'efficientamento energetico e per il riutilizzo per impieghi produttivi di materie prime e di materie riciclate, attraverso la concessione di agevolazioni dirette alle imprese, con particolare attenzione a quelle che investono nel settore dell'automotive per la transizione elettrica;

7) ad adeguare il Piano nazionale integrato energia e clima alle indicazioni europee precisando metodi e strumenti per accelerare la transizione verde verso la neutralità climatica e rafforzare la resilienza del sistema energetico in linea con i piani Fit for 55% e REPowerEU;

8) a tenere, prima dell'invio dei progetti, un'ampia consultazione per affrontare con le parti interessate quali siano le riforme e gli investimenti da includere nel piano REPowerEU.
(1-00100) «Cappelletti, Francesco Silvestri, Baldino, Santillo, Auriemma, Fenu, Pavanelli, Ilaria Fontana, Dell'Olio, Conte».


   La Camera,

   premesso che:

    a seguito delle rilevanti difficoltà di approvvigionamento delle fonti energetiche e della notevole volatilità del mercato energetico mondiale derivanti dall'aggressione russa ai danni dell'Ucraina, la Commissione europea ha presentato il piano REPowerEU, finalizzato a rafforzare l'autonomia strategica dell'Unione europea e aumentare la resilienza, la sicurezza e la sostenibilità del sistema energetico dell'Unione europea, attraverso la diversificazione dell'approvvigionamento energetico, la produzione e diffusione dell'energia pulita, l'efficienza energetica;

    l'obiettivo è quello di rendere l'Europa indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030, secondo modalità che garantiscano anche la coerenza con il Green Deal europeo e il quadro normativo europeo sul clima che fissa la riduzione pari almeno al 55 per cento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050;

    il piano REPowerEU presuppone, innalzandone ulteriormente alcuni specifici target ivi previsti, in particolare la quota di produzione di energie rinnovabili, la piena attuazione del pacchetto «Pronti per il 55 per cento», volto a rivedere le normative dell'Unione europea in materia di riduzione delle emissioni climalteranti, produzione di energia e trasporti, per allinearle al nuovo obiettivo del 2030;

    l'adozione del Piano si è resa necessaria anche al fine di aiutare le famiglie e le imprese, già colpite dalla crisi COVID-19, ad abbattere i costi dell'energia, nell'ottica di una ripresa efficace, sostenibile e inclusiva;

    allo scopo di finanziare investimenti e riforme chiave che contribuiranno al conseguimento degli obiettivi prefissati, nonché di ottimizzare la complementarità, la coerenza e la coesione delle strategie e delle azioni intraprese dall'Unione e dagli Stati membri per promuovere l'indipendenza, la sicurezza e la sostenibilità dell'approvvigionamento energetico dell'Unione, gli Stati membri dovranno introdurre nei PNRR nazionali un apposito capitolo dedicato al piano REPowerEU ai sensi del nuovo regolamento (UE) 2023/435, recentemente approvato, che modifica del regolamento (UE) 2021/241 istitutivo del dispositivo per la ripresa e la resilienza;

    sulla base delle nuove linee guida della Commissione del 1° febbraio 2023, per il finanziamento dei capitoli REPowerEU gli Stati avranno così a disposizione ulteriori risorse 20 miliardi in sovvenzioni (12 dal Fondo per l'innovazione e 8 dalle aste anticipate di quote Ets) e di questi l'Italia ne avrà 2,76 (il 13,8 per cento). Inoltre, gli Stati potranno trasferire fino al 7,5 per cento delle dotazioni del Fondo europeo di sviluppo regionale, dal Fondo sociale europeo Plus e dal Fondo di coesione, equivalenti per l'Italia a circa 2,1 miliardi. Infine, sono a disposizione anche i fondi non spesi della riserva di adeguamento alla Brexit (Italia 146,8 milioni);

    le riforme e gli investimenti nel capitolo dedicato al piano REPowerEU all'interno del PNRR devono specificamente mirare a contribuire al conseguimento di almeno uno dei seguenti obiettivi:

     a) miglioramento delle infrastrutture e degli impianti energetici, per rispondere alle esigenze immediate in termini di sicurezza dell'approvvigionamento di gas, incluso il gas naturale liquefatto, in particolare per consentire la diversificazione dell'approvvigionamento, nell'interesse dell'Unione nel suo complesso; le misure riguardanti le infrastrutture e gli impianti petroliferi necessari per rispondere alle esigenze immediate in termini di sicurezza dell'approvvigionamento possono essere inclusi nel capitolo dedicato al piano REPowerEU di uno Stato membro solo qualora tale Stato membro sia soggetto alla deroga temporanea eccezionale di cui all'articolo 3-quaterdecies, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 833/2014, a causa della sua dipendenza specifica dal petrolio greggio e della sua situazione geografica;

     b) promozione dell'efficienza energetica degli edifici e delle infrastrutture energetiche critiche, decarbonizzazione dell'industria, aumento della produzione e della diffusione del biometano sostenibile e dell'idrogeno rinnovabile o ottenuto senza combustibili fossili e aumento della quota e accelerazione della diffusione delle energie rinnovabili;

     c) contrasto della povertà energetica di famiglie e imprese, comprese le piccole e medie imprese;

     d) incentivazione della riduzione della domanda di energia;

     e) contrasto delle strozzature interne e transfrontaliere nella trasmissione e nella distribuzione di energia, sostegno dello stoccaggio di energia elettrica e accelerazione dell'integrazione delle fonti energetiche rinnovabili, nonché sostegno dei trasporti a zero emissioni e delle relative infrastrutture, comprese le ferrovie;

     f) sostegno degli obiettivi di cui alle lettere da a) a e), attraverso la riqualificazione accelerata della forza lavoro, grazie all'acquisizione di competenze verdi e delle relative competenze digitali, e attraverso il sostegno delle catene del valore relative alle materie prime e tecnologie critiche connesse alla transizione verde;

    le misure del PNRR destinate alla transizione verde, compresa la biodiversità, devono rappresentare almeno il 37 per cento della dotazione totale e almeno il 37 per cento dei costi totali stimati delle misure incluse nel capitolo dedicato al piano REPowerEU;

    il PNRR in materia di energia include 12 investimenti economici e 4 riforme normative: in particolare, sono previste misure di promozione delle energie rinnovabili per le comunità energetiche e l'autoconsumo, promozione di impianti innovativi (inclusi quelli off-shore), sviluppo del bio-metano, produzione di idrogeno in aree industriali dismesse, utilizzo dell'idrogeno in settori hard-to-abate, sperimentazione dell'idrogeno per il trasporto stradale, sperimentazione dell'idrogeno per il trasporto ferroviario, ricerca e sviluppo sull'idrogeno, potenziamento delle energie rinnovabili e delle batterie, tecnologia dei dispositivi fotovoltaici (Pv), produzione di idrogeno verde, industria eolica;

    con il PNRR e il capitolo dedicato al piano REPowerEU, gli Stati membri sono tenuti a conseguire gli obiettivi in materia di coesione economica, sociale e territoriale di cui all'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al fine di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite, prestando particolare attenzione alle zone remote, periferiche e isolate e alle isole;

    il regolamento (UE) 2022/1854 introduce un contributo di solidarietà temporaneo per le imprese e le stabili organizzazioni dell'Unione che svolgono attività nei settori del petrolio greggio, del gas naturale, del carbone e della raffineria. Gli Stati membri sono invitati a utilizzare una parte di tali proventi per promuovere in modo coerente sinergie e complementarità con le riforme e gli investimenti nei rispettivi capitoli dedicati al piano REPowerEU, al fine di finanziare misure da attuare a livello nazionale conformemente agli obiettivi del piano REPowerEU;

    le misure del capitolo PNRR dedicato al piano REPowerEU devono essere o nuove riforme e investimenti, avviati a partire dal 1° febbraio 2022, o la parte rafforzata delle riforme e degli investimenti già previsti e inclusi nella decisione di esecuzione del PNRR da parte del Consiglio già adottata per lo Stato membro interessato;

    come indicato nella comunicazione della Commissione europea 2023/C 80/01, gli Stati membri sono fortemente invitati a presentare i PNRR modificati con il capitolo REPowerEU entro il 30 aprile 2023 anche al fine di consentirne la verifica senza ritardi;

    a seguito dell'interpellanza n. 2-00124, presentata dal gruppo parlamentare Partito Democratico alla Camera dei deputati, il Governo ha comunicato il 14 aprile 2023 a pochi giorni dal citato termine, di aver avviato alcune consultazioni e di non essere ancora in grado di fornire una indicazione dei progetti che saranno inclusi nel nuovo capitolo REPowerEU;

    recenti dichiarazioni alla stampa del capogruppo leghista alla Camera dei deputati Riccardo Molinari riportano la volontà di arrivare a valutare di rinunciare a una parte dei fondi a debito; così pure, il deputato Alberto Bagnai, in un intervento alla Camera dei deputati del 4 aprile 2023 ha dichiarato che: «Nel merito (...) fin dall'inizio, noi ci siamo posti il tema di quanto le priorità scelte in Europa, che il PNRR incorporava, fossero effettivamente compatibili con le esigenze del tessuto produttivo del nostro Paese»;

    il Parlamento non è stato coinvolto sui programmi relativi al REPowerEU, né tantomeno sulle modifiche che il Governo intenderebbe apportare al Piano nazionale di ripresa e resilienza, dopo averne appena modificato la governance con il rischio di rallentarne ulteriormente la realizzazione e di perdere le fondamentali risorse ottenute in Europa;

    dopo il faticoso completamento dei 55 obiettivi dello scorso anno, e lo slittamento nel pagamento della terza rata da 19 miliardi di euro, importanti ritardi si stanno accumulando sull'attuazione dei 27 obiettivi di questo semestre, cui consegue un'ulteriore rata da 16 miliardi di euro;

    è necessario scongiurare il rischio di perdere le fondamentali risorse ottenute in Europa con il PNRR, sia come prestiti a fondo perduto, sia come prestiti a tassi di interesse che sono in ogni caso fortemente agevolati;

    nel Programma nazionale di riforma contenuto nel Documento di economia e finanza per il 2023 appena varato, il Governo stesso stima che con la piena e integrale attuazione del PNRR si otterrebbe, rispetto allo scenario base, un incremento di un punto percentuale sul Pil nel 2023, dell'1,8 per cento nel 2024, del 2,7 per cento nel 2025, fino a una potenziale spinta del 3,4 per cento nel 2026, anno finale del Piano stesso. L'impatto macroeconomico del PNRR è valutato con riferimento alle sole risorse per progetti aggiuntivi, non tenendo conto cioè delle misure contenute nel Piano che si sarebbero comunque realizzate anche senza l'introduzione del PNRR;

    il capitolo REPowerEU nel PNRR renderà inoltre urgente e necessario l'aggiornamento del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec), che ancora stabilisce come obiettivo, da rivedere al rialzo alla luce dei target europei, una quota del 30 per cento di energie rinnovabili sul consumo finale di energia entro il 2030;

    la proposta di aggiornamento del Pniec deve essere trasmesso alla Commissione europea entro il 30 giugno 2023 ai sensi dell'articolo 14 del regolamento (UE) 2018/1999,

impegna il Governo:

1) a presentare entro il 30 aprile 2023 il capitolo dedicato al piano REPowerEU all'interno del PNRR, comunque garantendo una piena e consapevole valutazione da parte dei soggetti interessati dai progetti ivi previsti, ai fini della piena sostenibilità economico-sociale, territoriale e ambientale;

2) a coinvolgere il Parlamento sulla definizione dei programmi ivi ricompresi, anche al fine di assicurare la coerenza con gli obiettivi fissati dal PNRR e che ciascuno dei progetti contribuisca effettivamente ed efficacemente al conseguimento degli obiettivi del REPowerEU, come previsto dal regolamento (UE) 2023/435, con particolare riferimento a:

  a) il contrasto alla povertà energetica;

  b) la distribuzione territoriale in conformità al rispetto degli obiettivi in materia di coesione economica, sociale e territoriale e alla «clausola del 40 per cento»;

  c) il rispetto della percentuale di almeno il 37 per cento dei costi totali stimati delle misure per contribuire efficacemente alla transizione verde, compresa la biodiversità;

  d) il contributo alla diffusione delle energie rinnovabili, miglioramento dell'efficienza energetica e riduzione della dipendenza dai combustibili fossili;

  e) la riqualificazione della forza lavoro per acquisire competenze verdi;

3) ad adottare iniziative volte a prevedere, in ogni caso, per il raggiungimento degli obiettivi del REPower di cui al punto precedente:

  a) l'immediata entrata in vigore dei decreti attuativi sulle comunità energetiche rinnovabili, essendo i termini per l'emanazione degli stessi già ampiamente scaduti, per favorire la produzione diffusa di energia rinnovabile e contribuire al contrasto della povertà energetica;

  b) la prioritaria riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico, con particolare riferimento agli istituti scolastici, alle strutture sanitarie, ai tribunali e alle carceri e agli edifici adibiti ad edilizia residenziale pubblica, garantendo la continuità degli strumenti di finanziamento degli interventi e prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche;

  c) meccanismi incentivanti che favoriscano l'autoproduzione da fonti rinnovabili da parte delle imprese al fine di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili;

4) ad adottare iniziative volte a scongiurare ritardi e rimodulazioni del PNRR, per non disperdere le risorse da esso derivanti e assicurare il raggiungimento degli obiettivi necessari alte transizione verde;

5) ad adottare iniziative volte a procedere tempestivamente all'aggiornamento del Pniec, in piena coerenza con i nuovi obiettivi climatici e il quadro degli interventi che si intende inserire nel capitolo REPowerEU del PNRR.
(1-00127) «De Luca, Braga, Simiani, Peluffo, Iacono, Madia, Scarpa, Casu, Curti, Di Sanzo, Ferrari».


   La Camera,

   premesso che:

    REPowerEU è il piano della Commissione europea, introdotto a seguito dell'invasione russa dell'Ucraina, che ha come obiettivo quello di rendere l'Europa indipendente dai combustibili fossili russi ben prima dell'anno 2030;

    le tre direttrici del piano consistono nella diversificazione delle fonti fossili nel breve periodo, nell'aumentare il risparmio energetico dei singoli Stati e nell'accelerare la produzione di energia da fonti rinnovabili;

    con riferimento a quest'ultima direttrice, l'attuale proposta di REPowerEU prevede un innalzamento, rispetto agli obiettivi «Fit for 55», della quota di rinnovabili sui consumi finali di energia. Tale quota dovrebbe aumentare dal 40 per cento al 45 per cento;

    è necessario che la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sia raggiunta assicurando al contempo la sostenibilità economica e sociale; per questo è indispensabile identificare obiettivi e scadenze realistici, compatibili con i tassi di sostituzione tecnologici effettivamente ipotizzabili in tutti settori dell'economia coinvolti, da individuare attraverso accurate analisi di impatto applicate a ciascuno dei Paesi membri;

    al contrario, dopo l'accordo raggiunto dal Consiglio dell'Unione europea nel giugno 2019 sull'obiettivo di riduzione, entro il 2030, del 40 per cento delle emissioni di gas serra rispetto al livello del 1990, pochi mesi più tardi, la nuova Commissione lanciava il cosiddetto «Green Deal» il quale, con il pacchetto «Fit for 55», innalza l'obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 ad «almeno il 55%»;

    un simile innalzamento, in meno di 6 mesi, dei target da perseguire non ha evidentemente tenuto in considerazione realistiche analisi di impatto; infatti, secondo Eurostat, nel 2022 le emissioni nell'Unione europea sono state il 30 per cento in meno rispetto al 1990; dunque negli ultimi 32 anni, i Paesi membri hanno ridotto le emissioni ad un tasso medio dell'1,1 per cento all'anno; per raggiungere l'obiettivo posto da «Fit for 55» servirebbe un tasso di riduzione del 5,4 per cento annuo per i prossimi 8 anni, mentre – come noto – via via che vengono innalzati i target da raggiungere aumentano le difficoltà tecniche e, assieme ad esse, i costi marginali;

    gli scenari elaborati dalla stessa Commissione europea per ciascun Paese membro confermano tali problematiche;

    nel settore dell'energia, in Italia, oltre ad attuare un'importante riduzione dell'intensità energetica, si dovrebbe produrre il 36 per cento degli usi finali di energia da fonti rinnovabili, elettriche e non elettriche; si dovrebbe passare in meno di 8 anni, da 23 a 36,7 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) di energia rinnovabile, ovvero ipotizzare un tasso di crescita del 6 per cento all'anno; il tasso di crescita delle rinnovabili dovrebbe essere quindi 6 volte maggiore rispetto a quello degli ultimi 8 anni (di poco inferiore all'1 per cento);

    per raggiungere tale obiettivo sarà necessario aumentare la percentuale di elettricità sul totale degli usi finali di energia e produrre almeno l'83 per cento di tale elettricità da fonti rinnovabili; in particolare la quota elettrica degli usi finali di energia dovrebbe passare dall'attuale 21,5 per cento al 28 per cento al 2030;

    l'elettricità in più che dovrebbe essere prodotta servirebbe a sostituire l'utilizzo di carburanti fossili: per questo si dovrebbe ipotizzare, per esempio, che al 2030 siano in circolazione tra 6,5 e 8,5 milioni di veicoli elettrici; per raggiungere tale obiettivo sarebbe necessario, oltre a dotare il Paese delle necessarie infrastrutture di ricarica, immatricolare 1 milione di auto elettriche ogni anno, a fronte delle circa 50.000 attuali. Sarebbe inoltre necessario installare tra 5 e 6 milioni di pompe di calore;

    con riferimento alla produzione di elettricità da fonti rinnovabili, i profili orari su un anno solare della domanda elettrica aggiuntiva dovuta a questi nuovi carichi vanno sommati ai profili dei carichi convenzionali e, tenendo conto dei profili della generazione solare ed eolica, si possono calcolare le potenze che si dovrebbero installare in Italia in meno di 8 anni, per soddisfare la domanda elettrica oraria con energia generata per l'83 per cento da fonti rinnovabili; servirebbero 107 GW aggiuntivi, al ritmo di oltre 13 GW all'anno (oltre 4 volte la velocità ottenuta nell'anno record 2022 e oltre 10 volte in più rispetto al tasso di produzione di impianti rinnovabili negli ultimi 10 anni), senza considerare la difficoltà di individuare terreni idonei e non già occupati per l'installazione di impianti eolici o fotovoltaici;

    sarebbero inoltre necessari 160 GWh di nuovi sistemi di accumulo da aggiungere agli impianti idroelettrici a pompaggio già esistenti;

    alla luce di questi dati, il conseguimento degli obiettivi del pacchetto «Fit for 55» – e quindi di REPowerEU che fissa target ancora più sfidanti – appare di difficile realizzazione;

    al tempo stesso, occorre ugualmente procedere con lo sviluppo delle tecnologie a fonte rinnovabile, per aumentarne la capacità installata quanto più possibile, a cominciare dagli impianti fotovoltaici su coperture;

    per i grandi impianti on-shore e off-shore, invece, è necessario che il Governo solleciti le regioni a individuare le aree idonee ed eserciti i propri poteri sostitutivi in caso di inadempienza,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte a ottenere che, nelle opportune sedi europee, le risorse individuate da REPowerEU non debbano essere vincolate all'installazione di impianti aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal pacchetto «Fit for 55», ma che debbano invece essere utilizzabili in generale per il finanziamento di nuovi impianti rinnovabili;

2) a prevedere nel capitolo REPowerEU, integrativo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, specifici stanziamenti destinati al finanziamento di strumenti di incentivazione di tipo fiscale che, al pari di quelli previsti dalle misure «Industria 4.0» e «Formazione 4.0», così come dall'articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, siano in grado di promuovere ulteriormente gli investimenti finalizzati alla realizzazione di processi produttivi verdi, sostenibili e resilienti.
(1-00130) «Benzoni, Richetti, Bonetti, D'Alessio, De Monte, Grippo, Pastorella, Ruffino, Sottanelli».


   La Camera,

   premesso che:

    nel dicembre 2019, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha presentato lo European Green Deal al fine di rendere l'Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050;

    il Green Deal europeo, parte integrante della strategia della Commissione europea per attuare l'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, è stato quindi approvato dal Parlamento europeo nel gennaio 2020 su proposta della Commissione europea;

    per raggiungere questi obiettivi, il 14 luglio 2021 la Commissione europea ha quindi presentato un pacchetto di proposte denominato «Fit for 55%», al fine di adeguare la normativa in materia di clima ed energia al nuovo obiettivo di riduzione, entro il 2030, delle emissioni nette di gas a effetto serra (emissioni previa deduzione degli assorbimenti) di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, nella prospettiva della neutralità climatica entro il 2050;

    la transizione energetica, già al centro delle misure previste dal Green Deal per lo sviluppo sostenibile e il contrasto ai gas climalteranti, è diventata decisiva anche per accelerare sull'autosufficienza energetica dell'Unione europea e porre fine alla dipendenza dai Paesi extra Unione europea, puntando su una maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili e sull'efficientamento e risparmio energetico;

    proprio per rispondere alla recente crisi energetica, l'Unione europea ha quindi adottato una serie di misure, in particolare il piano RepowerEU, finalizzate prioritariamente ad affrancarsi dalla dipendenza russa e a rispondere all'impennata dei prezzi sui mercati mondiali;

    la nuova situazione geopolitica del mercato dell'energia ha quindi imposto di accelerare la transizione verso l'energia pulita e di aumentare l'indipendenza energetica dell'Unione europea dai combustibili fossili;

    in quest'ottica, il 18 maggio 2022 la Commissione europea ha presentato il Piano REPowerEU e la proposta di regolamento sui capitoli REPowerEU nei Piani per la ripresa e la resilienza che, confermando la piena attuazione delle iniziative legislative per la transizione energetica del citato pacchetto europeo «Fit for 55%», ne ha però aumentato comunque gli obiettivi relativi all'energia da fonti rinnovabili (45 per cento invece di 40 per cento) e al risparmio energetico (13 per cento invece di 9 per cento), e che dovrebbe permettere di ridurre la domanda di gas dell'Unione europea del 30 per cento;

    l'elettrificazione, l'efficienza energetica e la diffusione delle energie rinnovabili potrebbero consentire all'industria un risparmio pari a 35 miliardi di metri cubi di gas naturale entro il 2030, un risultato che va oltre gli obiettivi del pacchetto «Pronti per il 55%». Si prevede che entro il 2030 circa il 30 per cento della produzione di acciaio primario dell'Unione europea sarà decarbonizzato mediante l'utilizzo di idrogeno rinnovabile;

    il 12 luglio 2022 il Consiglio europeo ha rivolto specifiche raccomandazioni all'Italia sul programma nazionale di riforma 2022 e sul programma di stabilità 2022, chiedendo al nostro Paese di prendere provvedimenti al fine di aumentare gli investimenti pubblici per le transizioni verde e digitale e per la sicurezza energetica tenendo conto dell'iniziativa REPowerEU, anche avvalendosi del dispositivo per la ripresa e la resilienza e di altri fondi dell'Unione europea;

    secondo la Commissione europea, REPowerEU richiederà entro il 2027 maggiori investimenti per 210 miliardi di euro e dovrebbe consentire di risparmiare 80 miliardi di euro ogni anno sulle importazioni di gas, petrolio e carbone. Il Piano mira ad assicurare l'autosufficienza energetica dell'Unione europea, anche tramite:

     a) un maggiore risparmio energetico. La Commissione europea propone di rivedere la direttiva sull'efficienza energetica – già oggetto di revisione ad opera di una delle proposte del pacchetto «Pronti per il 55%»– per innalzare al 13 per cento, rispetto al 1990, l'obiettivo vincolante di risparmio energetico, che il pacchetto climatico fissa al 9 per cento;

     b) l'incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili. La produzione complessiva di energia rinnovabile dovrebbe raggiungere nel 2030 i 1236 GW a fronte dei 1067 GW previsti dal pacchetto «Pronti per il 55%». Il piano REPowerEU ha introdotto una strategia per raddoppiare la capacità solare fotovoltaica fino a 320 GW entro il 2025 e installare 600 GW entro il 2030;

     c) l'introduzione graduale dell'obbligo giuridico di installare pannelli solari sui nuovi edifici pubblici, commerciali e residenziali;

     d) il potenziamento delle catene di approvvigionamento dell'energia eolica, snellendo le procedure di autorizzazione;

     e) il raddoppio del tasso di diffusione delle pompe di calore, attraverso misure volte a integrare l'energia geotermica e termosolare nei sistemi di teleriscaldamento e di riscaldamento collettivo;

     f) la diversificazione dell'approvvigionamento, grazie a nuovi fornitori esteri e ad acquisti congiunti volontari sulla piattaforma dell'energia;

    inoltre il piano REPowerEU assegna un ruolo importante all'idrogeno rinnovabile in quei settori che sono di difficile decarbonizzazione come quelli dell'industria e quello dei trasporti, stabilendo per il 2030 un obiettivo di 10 milioni di tonnellate di produzione interna e 10 milioni di tonnellate di importazioni;

    la necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, in particolare quelli provenienti dalla Russia, ha certamente contribuito a voler accelerare il processo di transizione verso un'economia verde, con la diversificazione nell'utilizzo delle fonti energetiche, nonché a sensibilizzare maggiormente in merito all'esigenza di contenere i consumi di energia;

    il 28 febbraio 2023 è stato quindi pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea il regolamento (UE) 2023/435 che modifica il regolamento (UE) 2021/241 per quanto riguarda l'inserimento di capitoli dedicati al piano REPowerEU nei piani per la ripresa e la resilienza e che modifica i regolamenti (UE) n. 1303/2013, (UE) 2021/1060 e (UE) 2021/1755, e la direttiva 2003/87/CE;

    il citato regolamento (UE) 2023/435 ha inserito il piano REPowerEU e i cambiamenti climatici nel dispositivo per la ripresa e resilienza dell'Unione europea (istituito dal regolamento 2021/241);

    come riporta il Def, il Documento di economia e finanza 2023, bisogna ottenere la terza rata del PNRR entro il mese di aprile 2023 e il Governo intende «rivedere o rimodulare alcuni progetti del Piano per poterne poi accelerare l'attuazione. È in fase di elaborazione il programma previsto dall'iniziativa europea REPowerEU, che comprenderà, tra l'altro, nuovi investimenti nelle reti di trasmissione dell'energia e nelle filiere produttive legate alle fonti energetiche rinnovabili» e gli interventi necessari a ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas naturale;

    è del tutto evidente che i suddetti nuovi obiettivi dell'Unione europea impongono l'aggiornamento dei piani nazionali per l'energia e il clima (Pniec) da parte dei diversi Stati membri, peraltro già previsto per il 2024;

    come riporta il Def, Documento di Economia e finanza 2023, «rivestirà grande importanza la revisione dei principali documenti programmatici in materia di energia e clima, quali il PNIEC e la Strategia di Lungo Termine sulla riduzione dei gas ad effetto serra. Il nuovo PNIEC, che l'Italia dovrà presentare nella sua versione “draft” alla Commissione entro il 30 giugno 2023 (la versione finale dovrà essere presentata a giugno 2024), sarà predisposto alla luce dei nuovi obiettivi europei in materia di clima ed energia derivanti dal pacchetto “Fit for 55” e in linea con il REPowerEU e continuerà a svilupparsi sulle 5 dimensioni dell'Unione dell'energia: decarbonizzazione (riduzione delle emissioni e energie rinnovabili); efficienza energetica; sicurezza energetica; mercato interno dell'energia; ricerca, innovazione e competitività. Per quanto possibile, come sollecitato dalla stessa Commissione, nell'aggiornamento del PNIEC si dovrà preparare l'analisi di base necessaria per elaborare i piani sociali per il clima (che indicano come utilizzare le entrate del Fondo sociale per il clima)»;

    il capitolo REPowerEU da aggiungere al PNRR conseguentemente aggiornato, doveva essere inviato alla Commissione europea entro il prossimo 30 aprile, come assicurato anche dal Ministro per gli affari europei, il sud, le politiche di coesione e il PNRR, Fitto, fino a pochi giorni fa. In realtà con l'avvicinarsi della scadenza, la data di fine aprile è scomparsa, e lo stesso Ministro ammetteva realisticamente di avere bisogno di più tempo, sottolineando come le regole europee diano la possibilità di presentare i piani rivisti, fino al 31 agosto 2023;

    il Governo in conseguenza dei suoi evidenti ritardi ha quindi deciso di sfruttare questo spostamento di scadenza in quanto effettivamente la Commissione europea, seppur sollecitando i Paesi a presentare entro fine aprile il PNRR modificato, ha comunque previsto anche la data di agosto 2023 quale termine ultimo legale indicato nella comunicazione della Commissione europea 2023/C80/01. È evidente che se non si presentano i progetti non si otterranno le risorse;

    un allungamento dei tempi effettivamente consentito dalle norme europee, ma che complica ulteriormente la realizzazione concreta dei progetti, e soprattutto rivela le difficoltà dell'Esecutivo, incapace di rispettare i termini che esso stesso si era dato;

    risulta peraltro che il Governo intende tagliare alcuni progetti che avrebbero dovuto essere rendicontati entro lo scorso dicembre per un ammontare di circa 20 miliardi di euro e, in aggiunta, vorrebbe includere tra i progetti da finanziare il gasdotto della dorsale appenninica;

    ancora non si sa quali progetti il Governo deciderà di sostituire e con quali altri interventi, né tantomeno la quota di risorse da ricollocare;

    il Def 2023, riguardo al piano REPowerEU, ricorda come «le risorse complessivamente previste in favore degli Stati membri ammontano a 20 miliardi, sotto forma di contributi a fondo perduto aggiuntivi e a 225 miliardi sotto forma di prestiti già disponibili attraverso il Dispositivo di ripresa e resilienza. La quota di risorse a fondo perduto che potranno essere destinate all'Italia ammonta a 2,76 miliardi (derivanti dal trasferimento delle risorse ETS)». A queste si può aggiungere fino al 7,5 per cento dei fondi relativi alla programmazione 2021-2027 della politica di coesione. Peraltro a queste cifre se ne possono aggiungere ulteriori a titolo di prestito non ancora utilizzate dagli altri Paesi a valere sul PNRR. Come sottolineato nel Def «il Governo intende utilizzare anche parte delle risorse delle politiche di coesione 2021-2027, già destinate a obiettivi assimilabili a quelli del REPowerEU»;

    come confermato anche da diversi organi di stampa, per evitare di perdere fondi europei visti i ritardi accumulati e i primi obiettivi tagliati, il Governo è intenzionato a dirottare una parte dei fondi del PNRR che si fa fatica a spendere su alcuni progetti che fanno parte dei piani di investimento delle aziende pubbliche, tra cui Enel, Enel, Terna, Snam, e programmati per i prossimi anni;

    in pratica si vorrebbero spostare diversi progetti dal PNRR al Fondo di coesione, che ha una scadenza più lunga, 2029 anziché 2026. Le somme recuperate dallo spostamento di questi progetti andranno ad alimentare il REPowerEU finanziando quei progetti e piani di investimento delle grandi aziende statali sempre nell'ambito della transizione energetica. Per fare qualche esempio, Eni ha proposto un sistema per la cattura e il riutilizzo dell'anidride carbonica a largo di Ravenna, così come Snam ha tra i suoi piani il progetto per il completamento del gasdotto appenninico per il passaggio del gas proveniente dal nord Africa verso l'Europa settentrionale; Terna ha in progetto la realizzazione di tre elettrodotti sottomarini;

    risulta evidente che diversi dei piani di investimento delle suddette aziende pubbliche che si vorrebbero ora finanziare col REPowerEU con le modalità suesposte, poco hanno a che fare e risultano in contraddizione con gli obiettivi di decarbonizzazione e di superamento delle fonti fossili che caratterizzano il medesimo piano REPowerEU;

    in questo ambito giova ricordare come le strategie fin qui adottate dall'Italia continuano però a confermarsi tra le meno coerenti e rispettose degli impegni presi alla Cop26 in termini di superamento delle fonti fossili. Purtroppo il «Sistema-Italia» continua fin troppo a basarsi sul triangolo tra finanza privata, industria fossile e finanza pubblica;

    è intenzione del Governo, come ribadito più volte anche della stessa Premier, costruire l'hub energetico in Italia del gas per vendere il gas all'estero, utilizzare Eni e Snam per realizzare questa infrastrutturazione spostando le risorse del PNRR verso il REPowerEU;

    il Governo italiano e la sua agenzia di credito all'esportazione Sace continuano a finanziare progetti di carbone, petrolio e gas all'estero almeno fino al 2028;

    vale la pena ricordare che Sace si colloca al primo posto in Europa tra i finanziatori pubblici dell'industria fossile. Tra il 2016 e il 2021, Sace ha emesso garanzie per i settori del petrolio e del gas pari a 13,7 miliardi di euro;

    peraltro è bene sottolineare che il presidente del consiglio di amministrazione di Sace è anche membro del consiglio di amministrazione dell'Eni, ente di servizio pubblico che ha investimenti nel comparto delle fonti fossili. Peraltro Eni ha già ricevuto la garanzia di Sace per Coral South, il progetto avviato dal medesimo ente per lo sviluppo delle risorse di gas scoperte al largo del Mozambico. E ora paradossalmente alcuni piani di investimento di Eni rischiano di essere finanziati con le risorse del REPowerEU,

impegna il Governo:

1) viste le evidenti difficoltà dell'esecutivo a rispettare i termini del 30 aprile 2023 per presentare il capitolo dedicato al piano REPowerEU quale integrazione del PNRR, a presentare alla Commissione europea detto capitolo comunque assai prima del termine ultimo legale del 31 agosto 2023, al fine di non rischiare che il processo di valutazione da parte della medesima Commissione possa non concludersi in tempo utile;

2) a garantire il massimo e costante coinvolgimento della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in tutte le fasi di aggiornamento e definizione del piano e circa l'utilizzo delle risorse del REPowerEU;

3) a finanziare prioritariamente tutte le iniziative utili e necessarie ad accelerare l'incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili, favorendo l'autoproduzione e la produzione diffusa, nonché un sensibile snellimento delle relative procedure di autorizzazione;

4) a escludere dall'utilizzo delle risorse del REPowerEU il finanziamento di progetti che riguardino direttamente o indirettamente combustibili fossili e investimenti in fonti energetiche climalteranti, al fine di garantire le necessarie risorse per il loro superamento attraverso investimenti nel settore delle fonti rinnovabili e delle energie alternative;

5) a non finanziare con le risorse del REPowerEU i piani di investimento rientranti tra quelli delle aziende statali di cui in premessa, che riguardino fonti fossili e che non siano finalizzati alla decarbonizzazione dei sistemi produttivi;

6) ad avviare un piano di rapido superamento e azzeramento dei sussidi ambientalmente dannosi;

7) ad adottare tutte le iniziative utili volte a rivedere l'attività di supporto e garanzia svolta dalla Sace in quei settori di investimento legati alle fonti fossili;

8) ad aggiornare quanto prima il piano nazionale per l'energia e il clima (Pniec), in conseguenza dei nuovi obiettivi europei conseguenti al pacchetto «Fit for 55» e in linea con il REPowerEU.
(1-00131) «Evi, Bonelli, Zanella, Borrelli, Dori, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».


   La Camera,

   premesso che:

    i recenti eventi geopolitici hanno inciso notevolmente sui prezzi dell'energia, dei prodotti alimentari e dei materiali da costruzione e hanno inoltre causato carenze nelle catene di approvvigionamento mondiali, provocando un aumento dell'inflazione oltre che generare nuove sfide, tra cui il rischio di povertà energetica e un incremento del costo della vita. Tali sviluppi hanno avuto un impatto diretto sulla capacità di attuare le misure dei piani per la ripresa e la resilienza dei vari Stati europei, per i quali si sono rese necessarie risposte urgenti e concrete valide per fronteggiare tali sfide;

    nella dichiarazione di Versailles del 10 e 11 marzo 2022, i capi di Stato e di Governo hanno invitato la Commissione europea a proporre entro la fine di maggio dello stesso anno un piano REPowerEU, volto ad eliminare gradualmente la dipendenza dell'unione dalle importazioni di combustibili fossili russi, invito poi ribadito nelle conclusioni del Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2022;

    tale obiettivo dovrebbe essere raggiunto ben prima del 2030, secondo modalità che garantiscano la coerenza con il Green Deal europeo e con gli obiettivi climatici per il 2030 e il 2050 sanciti dal Regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio;

    a seguito dell'adozione del Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, che ha istituito il dispositivo per la ripresa e la resilienza, gli eventi geopolitici senza precedenti provocati dalla guerra di aggressione da parte della Russia nei confronti dell'Ucraina e l'aggravarsi delle conseguenze dirette e indirette della crisi COVID-19, hanno avuto ripercussioni considerevoli sulla sua popolazione europea nonché sulla coesione economica, sociale e territoriale della stessa Unione;

    è più che mai evidente che per una ripresa efficace, sostenibile e inclusiva siano indispensabili la sicurezza e indipendenza energetica essendo queste tra i principali fattori che contribuiscono alla resilienza dell'economia di uno Stato;

    il 28 febbraio 2023 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'unione il Regolamento UE 2023/435 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 febbraio 2023 che modifica il Regolamento UE 2021/241 per quanto riguarda l'inserimento di capitoli dedicati al piano RepowerEU nei Piani per la Ripresa e la Resilienza e che modifica i Regolamenti (UE) n. 1303/2013, (UE) 2021/1060 e (UE) 2021/1755, e la direttiva 2003/87/CE;

    nell'elaborazione dei piani per la ripresa e la resilienza e dei capitoli dedicati al piano 1, gli Stati membri sono chiamati a coordinare le loro politiche economiche in modo da conseguire gli obiettivi in materia di coesione economica, sociale e territoriale di cui all'articolo 174 del trattato;

    il Regolamento, tenendo conto del Green Deal europeo quale strategia di crescita sostenibile dell'Europa e dell'importanza di far fronte ai cambiamenti climatici in linea con l'impegno dell'unione di attuare l'accordo di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, contribuirà all'integrazione delle azioni per il clima e della sostenibilità ambientale e al conseguimento dell'obiettivo globale di dedicare il 30 per cento della spesa di bilancio dell'unione al sostegno degli obiettivi climatici;

    a tal fine, le misure sostenute dal dispositivo e incluse nei piani per la ripresa e la resilienza degli Stati membri devono contribuire alla transizione verde, compresa la biodiversità e ad affrontare le sfide che ne derivano, oltre che determinare un importo corrispondente ad almeno il 37 per cento della dotazione totale del piano per la ripresa e la resilienza e ad almeno il 37 per cento dei costi totali stimati delle misure incluse nel capitolo dedicato al piano REPowerEU, sulla base della metodologia di controllo del clima di cui all'allegato VI del Regolamento (UE) 2021/241;

    al fine di ottimizzare la complementarità e la coesione delle azioni intraprese dagli Stati per promuovere l'indipendenza, la sicurezza e la sostenibilità dell'approvvigionamento energetico dell'unione, è stato introdotto nel piano per la ripresa e la resilienza un apposito capitolo dedicato al piano REPowerEU;

    si prevede che l'eliminazione graduale della dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili russi, oltre ad una riduzione della dipendenza energetica complessiva dell'unione, deve contribuire ad aumentarne e rafforzarne l'autonomia strategica, senza aumentare eccessivamente la sua dipendenza dalle importazioni di materie prime da paesi terzi;

    i capitoli dedicati al piano REPowerEU devono tra l'altro contribuire ad aumentare la quota di energie sostenibili e rinnovabili e ad affrontare le strozzature delle infrastrutture energetiche diversificando l'approvvigionamento, allo stesso tempo abbandonando le importazioni dalla Russia, per far fronte alle nuove minacce geopolitiche, senza compromettere il contributo a lungo termine alla transizione verde;

    gli investimenti non sono destinati solamente alle infrastrutture e alle tecnologie che da soli non sarebbero sufficienti a garantire una riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, ma anche alla riqualificazione e al miglioramento delle competenze delle persone, al fine di dotare la forza lavoro di ulteriori competenze verdi, nonché alla ricerca e allo sviluppo di soluzioni innovative legate alla transizione ecologica e alle tecnologie digitali, per garantire che nessuno sia lasciato indietro durante tale transizione;

    uno dei principali ostacoli alla diffusione delle energie rinnovabili è rappresentata dall'eccessiva durata delle procedure amministrative: tali ostacoli comprendono la complessità delle norme applicabili per la selezione dei siti e le autorizzazioni amministrative per i progetti, la complessità e la durata della loro valutazione di impatto ambientale, i problemi di connessione alla rete e i vincoli di personale delle autorità che rilasciano le autorizzazioni o dei gestori di rete;

    alla luce di queste nuove sfide è stato opportuno pertanto modificare di conseguenza i regolamenti (UE) 2021/241, (UE) n. 1303/2013, (UE) 2021/1060 e (UE) 2021/1755, e la direttiva 2003/87/CE;

    difatti con il Regolamento del febbraio 2023 (RepowerEU nei PNRR) sono stati messi a disposizione ulteriori 20 miliardi di euro (per l'Italia 2,76 miliardi), provenienti dal Fondo per l'innovazione (60 per cento) e dall'anticipazione delle quote ETS (40 per cento), al fine di finanziare riforme e investimenti nel capitolo dedicato al piano RepowerEU. Tali iniziative dovranno contribuire al conseguimento di almeno uno degli obiettivi seguenti: miglioramento delle infrastrutture e degli impianti energetici, promozione dell'efficienza energetica, decarbonizzazione dell'industria, aumento della produzione e della diffusione del biometano sostenibile e dell'idrogeno rinnovabile e accelerazione della diffusione delle energie rinnovabili, contrasto della povertà energetica, incentivazione della riduzione della domanda di energia, contrasto delle strozzature interne e transfrontaliere nella trasmissione e nella distribuzione di energia, riqualificazione accelerata della forza lavoro, sostegno delle catene del valore relative alle materie prime e tecnologie critiche connesse alla transizione verde;

    con la Comunicazione 2023/C 80/01 della Commissione europea pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea C 80 del 3 marzo) sono stati forniti gli orientamenti e la procedura per la modifica dei PNRR e le modalità di preparazione dei capitoli REPowerEU;

    il dispositivo per la ripresa e la resilienza con la sua nuova componente REPowerEU servirà anche a rafforzare la competitività dell'industria dell'Unione europea ed offrirà notevoli possibilità di finanziamenti supplementari per accelerare la transizione dell'industria dell'Unione verso tecnologie a zero o a basse emissioni di carbonio nel cammino verso l'azzeramento delle emissioni nette, nonché per stimolare gli investimenti in nuove capacità di produzione per le tecnologie pulite;

    a febbraio si è tenuta la Cabina di regia del PNRR con i Ministeri competenti e le società partecipate Eni, Enel, Snam e Terna per avviare un confronto sul nuovo capitolo da inserire nel PNRR relativo al RepowerEU, il Piano europeo per fronteggiare le difficoltà del mercato energetico globale causate dalla guerra in Ucraina;

    la riunione si è svolta alla presenza del Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, del Ministro per il PNRR, le politiche di coesione e il Sud, Raffaele Fitto, e tutti i Ministri competenti;

    il Presidente Meloni nel corso della riunione ha affermato che: «il nuovo piano consentirà all'Italia di dare un forte contributo alla realizzazione del “Piano Mattei” al fine di consolidare il processo di diversificazione delle forniture verso una totale eliminazione del gas russo e per far diventare l'Italia un hub energetico del Mediterraneo per tutta l'Europa in un proficuo rapporto di cooperazione soprattutto con i paesi africani»;

    in questa prospettiva, i rappresentanti di Eni, Enel, Snam e Terna sono attori importanti per proporre «pochi, necessari e fattibili» progetti legati alla transizione energetica da inserire nel PNRR rivisitato;

    in esito all'accordo raggiunto con il Consiglio dell'Unione europea, a metà aprile è stato approvato in via definitiva il Regolamento che istituisce un nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), parte del pacchetto legislativo «Fit for 55»; si vuole così ridurre il rischio di delocalizzazione delle produzioni che richiedono elevate emissioni verso Paesi con politiche ambientali meno rigorose; secondo la proposta, gli operatori commerciali europei che importano merci prodotte in Paesi con normative climatiche meno ambiziose dell'Unione europea sono obbligati ad acquisire un numero di «certificati CBAM» proporzionato alle emissioni rilasciate dagli impianti ubicati fuori dall'Unione europea; la misura, che deve difendere la competitività delle imprese europee chiamate a rispettare i nuovi obiettivi UE climatico-ambientali, sarà introdotta dal 2026 in alcuni specifici settori, quali acciaio, cemento, alluminio e fertilizzanti;

    a marzo 2023, la Commissione europea ha presentato proposte per ridurre le emissioni nocive anche dei veicoli pesanti: dei 45 per cento entro il 2030, del 65 per cento entro il 2035 e del 90 per cento entro il 2040, rispetto ai dati del 2019; nel contempo, Bruxelles vuole che dal 2030 in poi tutti gli autobus circolanti nelle città europee siano a zero-emissioni. Il Regolamento deve ora essere discusso tra Parlamento e Consiglio;

    nuove proposte comunitarie sugli imballaggi e le emissioni industriali saranno a breve oggetto di negoziati tra Parlamento e Consiglio;

    lo scorso 30 marzo 2023 si è raggiunto un accordo fra i co-legislatori (sarà votato prossimamente sia in plenaria del Parlamento europeo che al Consiglio Unione europea) su un testo condiviso relativo la modifica della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili RED (Renewable Energy Direttive), in vigore dal dicembre 2018 e che fissa a livello di Unione europea l'obiettivo di una quota di energia rinnovabile pari al 32 per cento del consumo totale di energia dell'Unione entro il 2030. Tra i punti salienti della proposta di accordo vi è la quota di energie rinnovabili nel consumo energetico complessivo dell'Unione europea che viene innalzata al 42,5 per cento entro il 2030, vi sono anche sotto-obiettivi settoriali più ambiziosi riguardanti trasporti, industria, edifici, teleriscaldamento e teleraffrescamento allo scopo di accelerare l'integrazione delle energie rinnovabili nei settori in cui è stata più lenta, inoltre, la previsione di procedure di autorizzazione accelerate per i progetti in materia di energie rinnovabili;

    sempre lo scorso 10 marzo 2023 si è raggiunto un accordo fra i co-legislatori (sarà votato prossimamente sia in plenaria del Parlamento europeo che al Consiglio Unione europea) su un testo condiviso relativo la modifica della direttiva sull'efficienza energetica EED (Energy Efficiency Directive), in vigore dal dicembre 2018 e che stabilisce un obiettivo di riduzione del consumo di energia sia primaria che finale del 32,5 per cento entro il 2030 a livello dell'Unione europea rispetto alle previsioni di consumo energetico per il 2030 formulate nel 2007. Tra i punti salienti della proposta di accordo, gli Stati membri devono garantire collettivamente una riduzione del consumo finale di energia dell'11,7 per cento entro il 2030, rispetto alle stime del 2020 relative alla fine del decennio, nonché l'obbligo specifico per il settore pubblico di conseguire una riduzione annuale del consumo energetico dell'1,9 per cento, che può escludere i trasporti pubblici;

    sotto questo aspetto è necessario tener conto dei costi e degli impatti della transizione: secondo un recente Studio Cnr-Aspo («Verso un sistema energetico italiano basato sulle fonti rinnovabili») sul sistema elettrico italiano, lo sbilanciamento stagionale tra generazione rinnovabile e consumi non potrà essere risolto solo con un massiccio ricorso a un aumento del 150 per cento del parco rinnovabili installato: saranno necessari accumuli per 480 GWh di breve periodo e per 30 TWh stagionali con tecnologie power-to-gas) le quali consentono di immagazzinare l'elettricità in esubero prodotta da centrali solari, eoliche o idrauliche) sotto forma di metano sintetico o idrogeno. Ma soprattutto sarà necessario un drastico ridimensionamento dei consumi;

    l'intermittenza delle fonti rinnovabili principali (l'eolico produce mediamente per 1.800 ore l'anno e il fotovoltaico tra 1.300 e 1.400 ore, su un totale annuale di 8.760 ore) dovrebbe essere coperta in gran parte con accumuli in batteria, che, con la tecnologia attuale, richiederebbe 650 grammi di litio per ogni italiano: una quantità molte volte superiore all'attuale produzione mondiale;

    a tutto questo si dovranno aggiungere l'adeguamento della rete elettrica e la realizzazione delle infrastrutture necessarie al trasporto e stoccaggio di metano, idrogeno e CO2; la transizione comporterà nei prossimi decenni la realizzazione e gestione di una grande infrastruttura energetica;

    giovedì 20 aprile 2023, giorno dell'approvazione definitiva in Parlamento del decreto-legge n. 13 del 2023 (decreto PNRR), il Ministro Fitto ha riunito la Cabina di regia PNRR volta a rafforzare e valorizzare il dialogo con il mondo partenariale. Il Ministro, dopo aver chiesto ai rappresentanti di imprese e sindacati di fornire contributi e suggerimenti utili alla discussione, ha tracciato roadmap e tempistiche per i prossimi mesi: «Stiamo lavorando intensamente per verificare gli interventi e gli eventuali correttivi sia sul capitolo del REPowerEU sia sull'intero Piano. Riteniamo doveroso farlo subito anche con il vostro coinvolgimento»;

    secondo l'Energy Import Dependency di Eurostat, indicatore che misura la dipendenza energetica dei Paesi europei dalle importazioni, l'Italia nel 2020 ha registrato un valore di 73 punti percentuali sui consumi finali di un valore decisamente superiore alla media europea (58 per cento); tale elevato valore di dipendenza energetica del nostro Paese è comunque in costante diminuzione dal 2006 grazie all'aumento del ruolo delle fonti rinnovabili nel bilancio energetico nazionale;

    la transizione basata sull'elettrificazione dei consumi (con veicoli elettrici, pompe di calore, batterie, celle a combustibile) con maggiore produzione decentrata di energia da rinnovabili (con pannelli fotovoltaici e turbine eoliche) accrescerà la domanda e il ruolo dei minerali critici e delle terre rare, come riportato dal rapporto dell'IEA («The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions») e cambierà la geopolitica europea e mondiale. Il passaggio ad un considerato «sistema energetico pulito», determinerà un significativo fabbisogno di rame, litio, nichel, manganese, cobalto, grafite, zinco e terre rare, la cui estrazione spesso crea danni all'ambiente, e dunque lo spostamento del baricentro della geopolitica verso Paesi che detengono gran parte delle concessioni minerarie;

    il paradigma dello sviluppo sostenibile, come dichiarato dall'ONU con gli obiettivi dell'Agenda al 2030, si fonda sul concetto di uno sviluppo che sappia coniugare la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale,

impegna il Governo

1) a sostenere il processo di diversificazione dell'approvvigionamento energetico, che permetta di raggiungere una costante diffusione delle energie rinnovabili che gradualmente sostituiscano i combustibili fossili nelle case, nell'industria e nella generazione di energia elettrica;

2) a proseguire con i piani di realizzazione del cosiddetto «Piano Mattei», allo scopo di rafforzare il processo di diversificazione delle forniture che renda l'Italia un hub energetico nel Mediterraneo, in grado di instaurare un proficuo rapporto di cooperazione e sviluppo con i Paesi africani;

3) a sostenere nella transizione energetica ed ecologica un modello di sviluppo che sia in grado di garantire la salvaguardia dell'ambiente, dell'individuo e dell'economia, di perseguire la neutralità climatica assicurando il principio della neutralità tecnologica nei settori elettrico, termico e dei trasporti, e, infine, di promuovere e sostenere processi sostenibili e certificati, che adottano i principi del Life Cycle Assessment (LCA) per la valutazione dell'impronta carbonica di prodotti e servizi;

4) a sostenere per la generazione elettrica, considerato il progressivo aumento della elettrificazione dei consumi (mobilità elettrica, pompe di calore per il riscaldamento), la diffusione di tecnologie a bassissima intensità carbonica, con particolare riferimento a quelle programmabili fondamentali per garantire la sicurezza del sistema energetico;

5) ad adottare una strategia per una politica nazionale delle materie prime, con particolare riferimento a quelle critiche e alle terre rare, in grado anche di rilanciare l'industria estrattiva nel territorio nazionale;

6) a utilizzare le risorse del Capitolo del REpowerEU, al fine di sostenere un processo graduale di riqualificazione energetica degli edifici, che tenga il più possibile in considerazione le ipotesi di esoneri e di eccezioni in grado di tutelare le peculiarità della realtà immobiliare italiana, costituita da numerosi centri storici dall'alto valore artistico e culturale;

7) a promuovere la diffusione degli interventi di efficienza energetica nella pubblica amministrazione e nel privato, nel residenziale, nel terziario e nell'industria, attraverso la revisione ed il potenziamento dei meccanismi di incentivazione esistenti come il Conto Termico e quello dei Certificati Bianchi;

8) a proseguire, nell'ambito della cabina di regia, il confronto già avviato con il mondo del partenariato economico-sociale, al fine di promuoverne un sempre maggiore coinvolgimento anche nell'attuazione del REpowerEU;

9) in coerenza con la direttiva UE 2022/542 del Consiglio europeo, dello scorso 5 aprile 2022, cosiddetta «fiscalità green», a valutare l'applicazione di misure fiscali per favorire il risparmio energetico e la riduzione dell'uso dei combustibili fossili, come interventi ad hoc per sostenere il teleriscaldamento e favorire l'utilizzo di biometano;

10) a individuare nell'ambito del Capitolo REpowerEU misure per la riqualificazione e il miglioramento delle competenze professionali, al fine di dotare la forza lavoro di ulteriori abilità in materia ecologica, nonché misure per la ricerca e lo sviluppo di soluzioni innovative legate alla transizione verde e alle tecnologie digitali ad essa funzionali;

11) a proseguire ulteriormente nel processo di semplificazione al fine di consentire il rispetto dei traguardi temporali che si impongono per la transizione e che dovrebbero essere considerati prevalenti;

12) a prevedere, in sede di revisione del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC) una adeguata valutazione dei processi di transizione, sia in termini di costi che di impatti sui cittadini e sulle imprese, nonché la fissazione di step compatibili con il sistema economico-sociale nazionale, valutando la possibilità di escludere sia pure in un quadro generale di efficientamento, ipotesi di ridimensionamento dei consumi energetici superiori a quanto sarà fissato in sede Unione europea;

13) a valutare l'utilizzo di un sistema di premialità per le imprese che, attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie, contribuiscono a favorire una rapida trasformazione del sistema energetico.
(1-00135) «Caramanna, Andreuzza, Rossello, Semenzato, Zucconi, Giglio Vigna, Cattaneo, Antoniozzi, Gusmeroli, Battilocchio, Colombo, Candiani, Squeri, Comba, Barabotti, Giovine, Cecchetti, Maerna, Di Mattina, Pietrella, Toccalini, Schiano Di Visconti».


MOZIONI ORLANDO ED ALTRI N. 1-00103, APPENDINO ED ALTRI N. 1-00119, GHIRRA ED ALTRI N. 1-00133, D'ALESSIO ED ALTRI N. 1-00134 E RIZZETTO, GIACCONE, TENERINI, CAVO ED ALTRI N. 1-00136 CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A RIPRISTINARE L'ISTITUTO «OPZIONE DONNA»

Mozioni

   La Camera,

   premesso che:

    ben lontano dagli annunci di esponenti dell'attuale maggioranza che ipotizzavano misure legislative finalizzate a scongiurare il ritorno alla «legge Fornero», le norme in materia previdenziale contenute nella legge di bilancio 2023 si caratterizzano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, per l'irrilevanza sostanziale delle soluzioni prospettate per assicurare forme di flessibilità di uscita pensionistica, nonché per i tagli che vengono applicati agli assegni di milioni di pensionati che si vedranno decurtare gli adeguamenti all'inflazione;

    in questa operazione di tagli alla spesa pensionistica, si distinguono le misure che modificano l'istituto di «opzione donna». Una misura che, introdotta dall'allora Ministro Maroni con l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004, è sempre stata prorogata da tutti i Governi che si sono succeduti, a decorrere da quella data;

    con le modifiche entrate in vigore dal 1° gennaio 2023, come evidenziato dalla stessa relazione tecnica alla legge di bilancio, la platea delle lavoratrici che teoricamente potranno accedere ad «opzione donna» scendono drasticamente dalle 17.000 ipotizzate sino al 31 dicembre 2022 a neanche 3.000;

    un risultato che è la conseguenza dell'innalzamento dei requisiti anagrafici e della compresenza di restrittivi requisiti:

     a) assistere, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, o anche un parente o un affine di secondo grado convivente, se i genitori, il coniuge o la parte dell'unione civile della persona con handicap grave hanno compiuto settant'anni, sono anch'essi affetti da patologie invalidanti, sono deceduti o mancanti;

     b) avere una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle commissioni competenti per il riconoscimento dell'invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento;

     c) essere stata licenziata o essere dipendente da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale;

    da subito, tali modifiche hanno destato una vasta eco di critiche sia per gli effetti sociali, sia per il segnale politico che ne è scaturito sulla condizione della donna lavoratrice, oltre che per i legittimi dubbi di costituzionalità per quanto concerne la previsione che modula la soglia anagrafica per l'accesso ad «opzione donna» in ragione della presenza o meno di figli;

    di fatto, con la legge di bilancio su «opzione donna» si è operata una manovra per fare cassa sulla condizione delle lavoratrici che aspirano a poter accedere alla pensione, seppure con l'applicazione del metodo contributivo per tutto l'arco della vita lavorativa;

    a distanza di oltre 4 mesi dall'introduzione del nuovo regime e, soprattutto, dopo le tante dichiarazioni di voler rivedere le suddette norme per ripristinare l'originaria disciplina di «opzione donna», nei tanti provvedimenti di urgenza varati dall'Esecutivo, ancora non ha trovato spazio una misura di giustizia sociale quale l'abrogazione delle citate norme della legge di bilancio che, di fatto, hanno reso quasi «irrilevante» tale possibilità di uscita pensionistica per le lavoratrici,

impegna il Governo

1) ad adottare, sin dal primo provvedimento utile, le opportune iniziative volte a ripristinare l'istituto di «opzione donna» nei termini previgenti la legge di bilancio 2023.
(1-00103) «Orlando, Braga, Serracchiani, Laus, Gribaudo, Fossi, Sarracino, Scotto, Malavasi, Ferrari, Guerra, Forattini».


   La Camera,

   premesso che:

    cresce il gender gap nell'accesso al sistema pensionistico e nel quantum di prestazione assistenziale: il divario tra i generi inevitabilmente riflette la minore e più complicata partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, i cui elementi principali attengono a differenze salariali, discriminazioni e ostacoli nella carriera, storie contributive brevi e frammentate, nonché variabili ulteriori quali quelle legate ai percorsi lavorativi individuali e alle situazioni personali e familiari;

    le più recenti elaborazioni statistiche diffuse da Inps e Istat, infatti, certificano che le pensionate sono più numerose dei coetanei a riposo (8,8 contro 7,2), ma in media percepiscono cifre inferiori, mentre più profondo è il solco tra gli importi destinati alle ex lavoratrici e quelli erogati agli ex lavoratori;

    nel 2020, l'ammontare medio delle nuove pensioni (pensioni di vecchiaia, compresi i prepensionamenti per il fondo pensione dei lavoratori dipendenti e gli assegni sociali, nonché pensioni anticipate, invalidità e reversibilità di tutte le gestioni) scattate durante l'anno è stato di 1.243 euro al mese, con 1.033 euro a testa per le donne (470.181), 1.498 euro pro capite per gli uomini (385.823) e uno scarto di 465 euro (-31,0 per cento, quasi un terzo in meno);

    nel primo semestre 2021, il gender gap pensionistico è salito a 498 euro al mese e gli assegni sono diventati più leggeri, per tutte e tutti. L'importo tipo delle 389.924 nuove pensioni con decorrenza gennaio-giugno è di 1.155 euro, con 931 euro in media per le donne (215.124 le new entry), 1.429 per gli uomini (174.800 posizioni) e 498 euro di differenza (pari al –34,8 per cento, oltre un terzo in meno);

    stante i dati menzionati, la risposta del Governo messa in campo con la manovra 2023 (legge 28 marzo 2019, n. 26), è apparsa quindi sostanzialmente insufficiente ad assicurare forme di flessibilità di uscita pensionistica, quanto mai necessarie e urgenti a maggior ragione per la parte femminile del mondo del lavoro, se solo si considera anche i recenti tagli applicati agli assegni di milioni di pensionati che si vedranno decurtare gli adeguamenti all'inflazione;

    considerata la possibilità dell'esercizio della funzione legislativa da parte dell'Esecutivo di cui all'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, infatti, ci si attendeva quantomeno un ulteriore intervento normativo volto a prorogare la disciplina dell'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «opzione donna», secondo le regole di cui all'articolo 16, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, nel testo vigente al 31 dicembre 2022, ossia le regole previgenti la citata manovra economica;

    la fruizione dell'opzione, infatti, come a suo tempo introdotta dall'allora Ministro Maroni (articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243), e sempre prorogata da tutti i Governi che si sono succeduti a decorrere da quella data, consentiva, su domanda, di accedere all'assegno pensionistico con requisiti anagrafici più favorevoli rispetto a quelli in vigore, optando per il sistema di calcolo contributivo dell'intero trattamento pensionistico, senza ulteriori penalizzazioni o condizioni aggiuntive come invece introdotte da ultimo con la legge di bilancio 2023 (articolo 1, comma 227, della legge 29 dicembre 2022, n. 197);

    con questo più recente intervento normativo da parte del Governo, tra l'altro, per la prima volta l'età della pensione è stata collegata alla presenza o meno di figli: una novità che, anche se declinabile quale riconoscimento del lavoro di cura più spesso svolto dalle donne, presenta non pochi problemi dal punto di vista dell'equità e della razionalità del sistema previdenziale, e non affronta il problema del gap di genere nelle pensioni. La differenza nei livelli retributivi delle pensioni delle donne rispetto agli uomini, infatti, è maggiore di quella salariale, e questo deriva dal fatto che le donne non solo hanno stipendi più bassi, ma hanno spesso carriere discontinue, con interruzioni e periodi senza contributi, oltre ad essere maggiormente presenti nei lavori precari e dunque con contribuzione bassa o nulla;

    in tal senso, uno dei limiti del sistema di «opzione donna» è che, dando alle donne il «privilegio» di andare in pensione prima, ma calcolando l'assegno con il solo sistema contributivo (cioè sulla base dei contributi versati), comporta pensioni molto basse e dunque amplifica, piuttosto che ridurre, il differenziale di genere nelle pensioni;

    sebbene in definitiva la misura sia suscettibile di migliorie volte a limitarne il conseguente effetto di ostacolo alla chiusura del divario pensionistico di genere, sta di fatto che il Governo ha invero ridotto così drasticamente la platea delle lavoratrici che teoricamente avrebbero potuto accedere a tale forma di uscita flessibile, che di fatto ha trasformato questa disciplina, pure costruita come favor per le donne in uscita dal mercato del lavoro, in una «opzione cassa» volta a finanziare misure altre di cui non si ha ancora contezza;

    risale al 13 febbraio 2023 lo svolgimento più recente del cosiddetto tavolo tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, condotto dal Sottosegretario leghista Claudio Durigon e alla presenza dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil;

    mentre in quell'occasione è stato esplicitamente chiesto al Governo di avere una risposta sul tema, tra gli altri, della flessibilità in uscita, entro il 12 aprile 2023, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, martedì 11 aprile 2023 ha approvato il Documento di economia e finanza (DEef) 2023, da cui parrebbe non derivare alcuna prospettiva di risoluzione della questione,

impegna il Governo:

1) a prevedere iniziative mirate a ridurre il gap pensionistico, attraverso:

  a) il ripristino, nel prossimo provvedimento utile, della disciplina sull'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «opzione donna» alle regole vigenti sino al 31 dicembre 2022;

  b) l'adozione di ulteriori misure suscettibili di affrontare in modo più incisivo e risolutivo le condizioni che sono alla base della penalizzazione femminile in campo previdenziale ovverosia la disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro, con particolare riguardo ai bassi livelli contributivi e alle interruzioni di contribuzione per maternità e lavoro di cura.
(1-00119) «Appendino, Barzotti, Aiello, Carotenuto, Tucci, Morfino, Torto».


   La Camera,

   premesso che:

    la parità di genere è un valore fondamentale dell'Unione europea, è un motore riconosciuto per la crescita economica: il principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, o per uno di pari valore, è sancito dai Trattati, a partire da quello di Roma del 1957, ed è previsto oggi dagli articoli 2 e 3 del Trattato sull'Unione europea e dagli articoli 8, 155 e 157 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. In particolare, il Trattato di Lisbona del 2009 non solo ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini, anche in ambito lavorativo, ma lo ha inserito tra i valori dell'Unione europea;

    pur a fronte di una crescente sensibilità delle politiche nazionali e di una aumentata attenzione al fenomeno da parte delle istituzioni, il divario di genere nel mondo del lavoro risulta essere ancora oggi per il nostro Paese uno dei fattori di disparità maggiormente persistenti;

    a confermarlo, anche il Gender equality index, il rapporto annuale dell'Istituto europeo per la Gender Equality (Eige) che sintetizza la parità di genere dei 27 Stati membri dell'Unione europea in un unico dato che rappresenta la combinazione delle performance tracciate tramite 31 indicatori che compongono sei dimensioni: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute;

    nell'ultima edizione, relativa al 2022, emerge come l'Italia si collochi al quattordicesimo posto della classifica, con 65 punti su 100, sotto la media europea che si attesta a 68,6 punti. Fra gli indicatori, i peggiori riguardano proprio il lavoro: l'Italia è infatti ultima in Europa per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,2 (la media europea è di 71,76) e un livello di partecipazione femminile al lavoro tra i più bassi (68,1 contro 81,3);

    secondo quanto riportato dallo stesso report, il tasso di occupazione femminile dal 2020 è sceso al 49 per cento, mentre il divario rispetto agli uomini è salito di 18,2 punti percentuali (rispetto ai 17,9 del 2019). Tra le lavoratrici, quasi 1,9 milioni di donne sono costrette al part-time involontario se vogliono lavorare, contro 849 mila uomini nelle stesse condizioni; l'occupazione femminile è particolarmente bassa nel Mezzogiorno (32,2 per cento) e nelle isole (33,2 per cento): un dato significativo, perché tra le cinque regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono proprio nel Sud Italia;

    a corroborare queste evidenze contribuisce anche il Gender Policies Report 2022, la pubblicazione dell'Inapp (Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche) che ogni anno monitora le differenze di genere nel mondo del lavoro. Le statistiche evidenziano che il divario uomo-donna resta immutato nel tempo e sempre sbilanciato sulla componente maschile, perché la partecipazione femminile è ancora oggi ostaggio di criticità strutturali: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part-time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici dunque, la situazione femminile, pur migliorata in termini assoluti, peggiora in termini relativi;

    a peggiorare una situazione già critica, anche i dati sulla conciliazione vita-lavoro che mostrano un mercato del lavoro italiano più rigido della media europea: le donne godono infatti di minore flessibilità rispetto agli uomini, in particolare le lavoratrici laureate. Queste disuguaglianze sono in larga parte il riflesso della «specializzazione» di genere tra lavoro retribuito e non retribuito, in virtù del quale le donne più frequentemente accettano retribuzioni inferiori a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari;

    è facilmente intuibile come la delineata discriminazione di genere nel mondo del lavoro abbia importanti conseguente nel settore previdenziale: il divario di genere a livello occupazionale e retributivo, che si accumula nell'arco di una vita, conduce infatti a un divario pensionistico ancor più accentuato e, di conseguenza, comporta per le donne in età avanzata un maggior rischio di povertà rispetto agli uomini;

    inoltre, le carriere delle donne sono più brevi, principalmente a causa del loro ruolo e degli impegni familiari: la maternità e la cura dei minori, dei familiari anziani, malati o disabili e di altre persone a carico, rappresentano un lavoro supplementare o talvolta a tempo pieno, gratuito, quasi esclusivamente delle donne, e ciò ha un impatto enorme sulla loro capacità di accumulare una pensione completa;

    i dati 2022 dell'osservatorio Inps evidenziano come le pensioni delle donne valgano circa il 30 per cento in meno rispetto a quelle degli uomini: per questi ultimi l'assegno medio è di 1.381 euro, per le donne la media è di 976 euro;

    in generale, gli uomini percepiscono pensioni mediamente più elevate rispetto alle donne, arrivando ad essere quasi il doppio (+81,5 per cento) nel settentrione per la categoria vecchiaia;

    nel tentativo di ovviare alle problematiche citate, l'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, ha introdotto una misura denominata «opzione donna» che consentiva alle donne di accedere all'assegno pensionistico con requisiti anagrafici più favorevoli rispetto a quelli in vigore, optando per il sistema di calcolo contributivo dell'intero trattamento pensionistico, senza ulteriori penalizzazioni;

    la misura, rivelatasi del tutto insufficiente negli anni e non risolutiva del problema del divario previdenziale di genere, di recente è stata ulteriormente ridimensionata attraverso l'ultima legge di bilancio (articolo 1, comma 292, della legge 29 dicembre 2022, n. 197) che ha imposto condizioni aggiuntive fra le quali, in particolare, per la prima volta l'età della pensione è stata collegata alla presenza o meno di figli introducendo quindi un requisito discutibile, che rischia di divenire discriminatorio e comunque non risolutivo;

    nel dettaglio il citato articolo 1, comma 292 della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023), modificando l'articolo 16 del decreto-legge n. 4 del 2019, ha esteso la possibilità di accedere al trattamento pensionistico anticipato «opzione donna» a favore delle lavoratrici che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2022 un'anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, un'età anagrafica di almeno 60 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni). Nel caso di lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale, il requisito anagrafico è ridotto a cinquantotto anni; ai fini del beneficio del suddetto trattamento pensionistico anticipato, le lavoratrici devono essere in possesso, alternativamente, di uno dei seguenti requisiti:

     a) assistano da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;

     b) abbiano una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74 per cento (accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile);

     c) siano lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d'impresa di cui all'articolo 1, comma 852, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. In questo caso, la riduzione di due anni del requisito anagrafico di 60 anni trova applicazione a prescindere dal numero di figli;

    è evidente come le dette modifiche restringano significativamente la platea delle beneficiarie e complessivamente risultino peggiorative e più penalizzanti per le donne rispetto alla normativa previgente,

impegna il Governo

1) a prevedere le opportune iniziative legislative finalizzate a ridurre il divario pensionistico di genere attraverso l'introduzione di nuovi e più efficaci strumenti o meccanismi previdenziali e, ferma restando la copertura ivi prevista, ad abrogare le novità introdotte con l'articolo 1, comma 292 della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023).
(1-00133) «Ghirra, Zanella, Piccolotti, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Grimaldi, Mari, Zaratti».


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004 ha introdotto in via sperimentale la cosiddetta «opzione donna», ovvero la possibilità per le lavoratrici, che hanno maturato 35 anni di contributi e 57 anni di età per le lavoratrici dipendenti o 58 anni per le lavoratrici autonome, di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico, a condizione che optino per il sistema di calcolo contributivo integrale;

    tale opzione, per anni poco utilizzata, è stata esercitata invece in maniera più consistente dopo la riforma pensionistica realizzata dal decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetta riforma Fornero), che ha notevolmente incrementato i requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso al trattamento pensionistico, consentendo alle lavoratrici di anticipare di parecchi anni l'uscita dal lavoro, sia pur con una riduzione dell'importo della pensione. La riforma Fornero ha confermato la possibilità di accedere ad un pensionamento anticipato avvalendosi dell'opzione donna, a condizione che le lavoratrici maturassero i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2015;

    successivamente, l'articolo 16 del decreto-legge n. 4 del 2019 ha esteso la possibilità di ricorrere all'opzione donna alle lavoratrici che abbiano maturato un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un'età anagrafica pari o superiore a 58 anni (per le lavoratrici dipendenti) e a 59 anni (per le lavoratrici autonome) entro il 31 dicembre 2018;

    il suddetto termine è stato poi prorogato al 31 dicembre 2020 dall'articolo 1, comma 336, della legge n. 178 del 2020 (legge di bilancio per il 2021) e al 31 dicembre 2021 dall'articolo 1, comma 94, della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio per il 2022);

    la legge di bilancio per il 2023 (articolo 1, comma 292, della legge 29 dicembre 2022, n. 197) ha prorogato la possibilità di accedere a «opzione donna» a favore delle lavoratrici che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2022 un'anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, un'età anagrafica di almeno 60 anni, ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni, restringendo tale possibilità per le lavoratrici che siano in possesso, alternativamente, di uno dei seguenti requisiti: a) assistano da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti; b) abbiano una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74 per cento (accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile); c) siano lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d'impresa di cui all'articolo 1, comma 852, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

    la modifica dei requisiti anagrafici introdotta dal Governo – ovvero l'innalzamento di due anni e la previsione di una riduzione di un anno per ogni figlio nel limite massimo di 2 anni – introduce un criterio inedito non giustificato da una logica economica o previdenziale quanto piuttosto valoriale, che discrimina le lavoratrici senza figli in violazione del principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione e che presuppone che la maternità sia alternativa al lavoro;

    inoltre, l'introduzione di requisiti così restrittivi legati a condizioni di fragilità (lavoratrice caregiver, disoccupata o con riduzione della capacità lavorativa) trasforma «opzione donna» in uno strumento per molti aspetti sovrapponibili con l'istituto dell'«ape sociale»;

    più in generale, come sottolineato dalla Corte dei conti in più occasioni, nonché in sede di audizione sul disegno di legge di bilancio per il 2023, «opzione donna» non ha contribuito a disegnare un sistema previdenziale semplice, ispirato a criteri il più possibile uniformi e con limitate e ben giustificate deroghe, sollecitando una riflessione sull'opportunità di mantenere differenziazioni nell'accesso al pensionamento basate sul solo genere, dopo che il legislatore, anche sulla spinta di raccomandazioni europee, ha disposto da tempo il pieno allineamento dell'età di quiescenza tra uomini e donne, ritenendo più opportuno garantire uniformità di trattamento tra uomini e donne ed eventualmente dare maggiore spazio alle considerazioni di genere nell'ambito degli altri istituti di deroga esistenti;

    è opportuno considerare che, in media, il trattamento pensionistico riconosciuto a chi si avvale dell'opzione è più basso di circa il 30 per cento rispetto a quello cui si avrebbe diritto in via ordinaria; le donne che ne beneficiano, dunque – a maggior ragione a seguito dell'irrigidimento dei requisiti previsti dalla nuova normativa, tra i quali quello di svolgere un ruolo di caregiver famigliare – anziché veder riconosciuto il loro «ruolo di cura», ottengono un assegno più basso e un carico di cura maggiore in virtù dalla loro uscita dal mondo del lavoro;

    sebbene l'intento dell'istituto sia condivisibile, è essenziale affrontare in un'ottica integrata il tema del divario di genere nel trattamento pensionistico, che discende da quello esistente nel mondo del lavoro;

    secondo i dati della Commissione europea e come dimostrato da numerosi studi (tra i quali «Gender equality and public policy – measuring progress in Europe» di Paola Profeta), nonché dai dati emersi dal progetto europeo promosso dal Dipartimento per le pari opportunità C.L.E.A.R. – Closing the gender pension gap by increasing women's awareness, nonostante le donne abbiano un'aspettativa di vita più alta, ottengono una pensione inferiore del 35 per cento rispetto agli uomini; infatti, sebbene nel sistema pensionistico italiano non vi siano elementi di calcolo delle prestazioni che differenziano esplicitamente in base al genere, il modello sociale ed economico prevalente genera divari che penalizzano i redditi delle donne con rilevanti conseguenze pensionistiche;

    come riportato anche da uno studio di Alessandra Casarico e Massimo Taddei, il divario di genere nel trattamento pensionistico dipende principalmente da tre fattori legati al mercato del lavoro, che evidenziano come la disuguaglianza di genere abbia una dimensione intertemporale;

    in primo luogo, le retribuzioni orarie, con un divario di genere che in Italia è pari al 6 per cento, ma tocca il 17 per cento nel settore privato; questo differenziale ha un forte impatto sulla pensione, nel sistema retributivo a causa di retribuzioni pensionabili inferiori e nel contributivo a causa di contributi accumulati più bassi;

    in secondo luogo, le differenze dipendono dai tempi di lavoro: le donne lavorano in media meno degli uomini, sia in termine di numero di anni di lavoro in totale, sia in termine di ore lavorate durante l'anno; i dati del rapporto Inps del 2022 testimoniano che circa un terzo delle occupate lavora con un contratto part-time; di questi due milioni di lavoratrici, circa due terzi vorrebbero lavorare più ore, ma non possono farlo per mancanza di opportunità di lavoro full time o per l'impossibilità di conciliare il tempo per la famiglia e quello per il lavoro;

    infine, rileva l'anzianità contributiva; per ragioni legate soprattutto alla maternità e alla cura della casa e della famiglia, le donne tendono ad avere carriere contributive discontinue, con pesanti conseguenze sull'assegno pensionistico e sulla possibilità di anticipare il pensionamento. Nel 2001, l'anzianità contributiva delle pensionate era in media del 40 per cento inferiore rispetto agli uomini; il divario si è ridotto al 25 per cento nel 2021, segnalando la traiettoria corretta nella partecipazione femminile al mercato del lavoro, ma rimane ancora molto alto;

    la parità di genere in campo lavorativo rimane, dunque, la chiave per una riduzione dei differenziali nei redditi pensionistici; a tal fine occorre adottare politiche che favoriscano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e riducano le differenze in campo salariale, rafforzare i servizi per l'infanzia, adottare incentivi fiscali per il posticipo del pensionamento, anziché per il suo anticipo e riformare i congedi parentali al fine di introdurre una maggiore condivisione tra i genitori dei compiti di cura;

    l'Italia si è dotata per la prima volta nel luglio 2021 della Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, ispirata alla Gender equality strategy 2020-2025 dell'Unione europea, che in una prospettiva di lungo termine rappresenta lo schema di valori, la direzione delle politiche da realizzare e il punto di arrivo in termini di parità di genere; la Strategia è una delle priorità trasversali del Piano nazionale di ripresa e resilienza;

    la Strategia si concentra su 5 priorità strategiche (lavoro, reddito, competenze, tempo, potere) e per ciascuna definisce gli interventi da adottare, incluse le misure di natura trasversale, nonché i relativi indicatori, volti a misurare i principali aspetti del fenomeno della disparità di genere, e target, ovvero obiettivi specifici e misurabili da raggiungere;

    durante il Governo Draghi è stata approvata la prima riforma integrata delle politiche famigliari (legge n. 32 del 2022, cosiddetto Family act), che ha previsto, tra l'altro, il riordino e il rafforzamento degli strumenti volti a incentivare il lavoro femminile, anche tramite la leva fiscale; la riforma dei congedi parentali, nell'ottica di una maggiore condivisione dei carichi di cura e dell'armonizzazione dei tempi della famiglia e di lavoro; incentivi economici diretti alle famiglie per l'educazione scolastica e non formale, la cura dei figli e il lavoro domestico;

    quanto ai servizi per l'infanzia, è utile ricordare che la legge n. 234 del 2021 ha finanziato i livelli essenziali delle prestazioni a copertura dei servizi educativi per l'infanzia per rimuovere gli squilibri territoriali e che la legge n. 32 del 2022 (cosiddetto Family act) ha delegato il Governo a emanare entro dodici mesi, prorogati a ventiquattro, norme per garantire in tutto il territorio nazionale il rafforzamento dei servizi educativi e socio-educativi e delle scuole dell'infanzia; inoltre il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto un piano di investimento di 4,6 miliardi di euro, con l'obiettivo vincolante di creare almeno 264.480 nuovi posti entro dicembre 2025, per raggiungere la copertura del 50 per cento della platea, con particolare riguardo alla necessità di superare le disparità territoriali e intervenire nelle aree a più elevata povertà educativa,

impegna il Governo:

1) ad adottare le iniziative di competenza volte a a ridurre il divario di genere in campo pensionistico, partendo dal raggiungimento dell'effettiva parità di genere in campo lavorativo – con particolare riferimento alla necessità di colmare il gender pay gap nel settore privato – tramite la piena attuazione delle misure previste dalla Strategia nazionale per la parità di genere, garantendo che sulle politiche volte a favorire l'ingresso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro siano investite altrettante risorse rispetto a quelle volte ad anticipare la loro uscita dallo stesso;

2) a completare l'attuazione del Family Act, con particolare riferimento alle misure per incentivare il lavoro femminile e per favorire la condivisione della cura e l'armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro, alla riforma dei congedi parentali, al riordino e al rafforzamento delle misure di sostegno all'educazione dei figli e al rafforzamento dei servizi educativi e socio-educativi e delle scuole dell'infanzia, anche tramite un efficace e pieno utilizzo delle risorse previste a tal fine dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che identifica nella parità di genere un obiettivo trasversale dell'intero piano;

3) nelle more dell'implementazione delle politiche e del raggiungimento degli obiettivi di cui ai punti precedenti, ad adottare iniziative volte a prorogare i regimi di accesso anticipato alla pensione esistenti e a valutare l'estensione dell'accredito dei contributi pensionistici figurativi per la madre e per il padre per tutta la durata della maternità o della paternità, considerando quindi i periodi di congedo come utili ai fini contributivi.
(1-00134) «D'Alessio, Bonetti, Richetti».


   La Camera,

   premesso che:

    in Italia la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è ferma al 51,3 per cento. Il divario di genere nei tassi di occupazione resta tra i più alti d'Europa (quasi 19 punti contro una media europea di circa 10), benché il livello di istruzione femminile sia mediamente più elevato;

    anche quando le donne lavorano, a parità di mansione, guadagnano cifre inferiori ai colleghi uomini, soprattutto nel privato, e ciò dipende anche dalla ampia diffusione tra le lavoratrici di contratti a tempo parziale: sul totale delle donne che hanno un'occupazione quasi un terzo ha un contratto con un montante di ore ridotto;

    le difficoltà che caratterizzano la realtà lavorativa delle donne – difficile accesso, carriere discontinue, stipendi bassi, un modesto accumulo di contributi pensionistici – incidono inevitabilmente anche sui trattamenti previdenziali;

    i dati dell'Osservatorio dell'Inps sui flussi di pensione, per il 2022, attestano che le donne percepiscono un assegno previdenziale più basso del 30 per cento rispetto a quello degli uomini: in media gli uomini ricevono 1.381 euro, contro i 976 euro delle donne, con una differenza del 29,32 per cento. Ciò prendendo in considerazione i diversi trattamenti pensionistici: di vecchiaia, anticipati, di invalidità e superstiti;

    i dati riferiscono, inoltre, che nel 2022 il numero di donne andate in pensione è più alto di quello degli uomini: sulle 779.791 nuove pensioni erogate dall'Inps, le donne sono 437.596 mentre gli uomini 342,195;

    al riguardo, nel 2022, rispetto all'anno precedente, sono aumentate del 15,4 per cento le pensioni riconosciute con il regime cosiddetto Opzione Donna, raggiungendo la liquidazione di 23.812 posizioni previdenziali;

    l'istituto «Opzione Donna», si rammenta, è stato introdotto nel nostro ordinamento in via sperimentale fino al 2015, dalla cosiddetta Riforma Maroni (articolo 1, comma 9, legge 23 agosto 2004, n. 243) allo scopo di riconoscere la facoltà per le sole lavoratrici di poter andare in pensione con requisiti ridotti rispetto a quelli previsti per la pensione di vecchiaia ordinaria, ma con la pensione calcolata secondo il sistema contributivo. Tale facoltà ha trovato conferma nel cosiddetto «decreto salva-Italia» (articolo 24, comma 14, decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011) ed è stata oggetto di proroga in successivi provvedimenti normativi, essendo stata ben accolta da centinaia di donne, trattandosi di un'importante via d'uscita anticipata, in specie dal 2021 in poi, ovverossia dopo che la riforma Fornero ha previsto un drastico innalzamento dei requisiti per le lavoratrici dipendenti e autonome;

    nel 2022 sono state 8.833 le donne che si sono avvalse di questo regime prima dei 59 anni d'età, ricevendo assegni pensionistici, per quasi la metà, inferiori a 500 euro. Come noto, infatti, l'accesso anticipato alla pensione con Opzione Donna, impone il calcolo dei trattamenti in base alle regole del sistema contributivo. Di conseguenza oltre la metà degli assegni liquidati (12.298) è inferiore a 500 euro al mese e l'88,75 per cento è inferiore a mille euro;

    il comma 292 dell'articolo 1 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel prorogare il regime sperimentale in questione, ha modificato i requisiti anagrafici e soggettivi per accedere a Opzione donna riconoscendo la possibilità di farne domanda, sempre secondo il metodo contributivo, alle lavoratrici che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2022 un'anzianità contributiva di almeno 35 anni, un'età anagrafica di almeno 60 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di due anni) e che siano in possesso di specifici requisiti;

    nel caso di lavoratrici licenziate o dipendenti in imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale, il requisito anagrafico è ridotto a 58 anni. Al predetto requisito anagrafico, richiesto per l'accesso al pensionamento in esame, non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita prevista dalla normativa vigente;

    per poter presentare la domanda di accesso a Opzione Donna le lavoratrici devono essere in possesso di uno dei seguenti requisiti:

     1) prestare assistenza al momento della richiesta di pensione anticipata e da almeno sei mesi al coniuge o a un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità (ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992), ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 70 anni d'età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;

     2) avere un'accertata riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74 per cento per il riconoscimento dell'invalidità civile;

     3) essere una lavoratrice licenziata o dipendente da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d'impresa;

    la platea di accesso a Opzione Donna è stata quindi limitata in considerazione di particolare condizioni soggettive, come previsto per altri istituti previdenziali come l'anticipo pensionistico, cosiddetto Ape sociale;

    gli interventi normativi in materia pensionistica degli ultimi vent'anni sono stati rivolti verso un'equiparazione dei requisiti pensionistici di vecchiaia fra uomini e donne, quando invece permangono sostanziali differenze fra i due generi nel mercato del lavoro, nei percorsi professionali e, soprattutto, nella distribuzione dei carichi familiari; molte lavoratrici «over 55» svolgono contemporaneamente all'attività lavorativa, compiti in qualità di madri, di nonne e di figli di genitori anziani, per esse – dunque – il conseguimento della pensione rappresenta un traguardo per poter svolgere in maniera più serena tali compiti altrettanto fondamentali nella nostra società,

impegna il Governo

1) ad assumere specifiche iniziative volte a contrastare il divario pensionistico di genere, attestato dai dati sull'andamento delle pensioni erogate dall'Inps;

2) ad individuare, nel prosieguo dell'azione di Governo e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, forme di flessibilità di accesso per le donne al trattamento pensionistico e/o di anticipo pensionistico;

3) a studiare formule innovative che permettano di anticipare la decorrenza della pensione, ma consentendo di integrarla con una più ridotta prestazione lavorativa, facilitando l'integrazione con i tempi di vita e di cura.
(1-00136) «Rizzetto, Giaccone, Tenerini, Cavo, Schifone, Nisini, Tassinari, Semenzato, Malagola, Caparvi, Polidori, Coppo, Giagoni, Giovine, Mascaretti, Volpi, Zurzolo».