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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 28 giugno 2023

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME
DEGLI ARGOMENTI IN CALENDARIO

Mozione n. 1-00003 e abb. – In materia di emergenza abitativa

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora
(con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
Fratelli d'Italia 52 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 37 minuti
Lega – Salvini premier 36 minuti
MoVimento 5 Stelle 31 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente - PPE 29 minuti
Azione - Italia Viva – Renew Europe 22 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 19 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) - MAIE 18 minuti
Misto: 16 minuti
Minoranze Linguistiche 9 minuti
+Europa 7 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione di ciascuna mozione.

Pdl n. 115 e abb. – Delega al Governo in materia di esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza, in caso di impedimenti per motivi di studio, lavoro o cura

  Seguito dell'esame: 6 ore.

Relatore 20 minuti
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 20 minuti
Interventi a titolo personale 55 minuti
(con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 3 ore e 55 minuti
Fratelli d'Italia 48 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 33 minuti
Lega – Salvini premier 32 minuti
MoVimento 5 Stelle 28 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente - PPE 26 minuti
Azione - Italia Viva – Renew Europe 20 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 17 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) - MAIE 16 minuti
Misto: 15 minuti
Minoranze Linguistiche 9 minuti
+Europa 6 minuti

Pdl n. 596-659-952-991 – Disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione dei relativi albi professionali

Seguito dell'esame: 7 ore.

Relatore 20 minuti
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 30 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 5 minuti
(con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 35 minuti
Fratelli d'Italia 55 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 39 minuti
Lega – Salvini premier 38 minuti
MoVimento 5 Stelle 33 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE 31 minuti
Azione – Italia Viva – Renew Europe 23 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 20 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE 19 minuti
Misto: 17 minuti
  Minoranze Linguistiche 10 minuti
  +Europa 7 minuti

Mozione n. 1-00052 e abb. – Iniziative a favore dell'adeguatezza dei trattamenti previdenziali, con particolare riferimento all'importo delle pensioni minime

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora
(con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
Fratelli d'Italia 52 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 37 minuti
Lega – Salvini premier 36 minuti
MoVimento 5 Stelle 31 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE 29 minuti
Azione – Italia Viva – Renew Europe 22 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 19 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE 18 minuti
Misto: 16 minuti
  Minoranze Linguistiche 9 minuti
  +Europa 7 minuti

(*) I tempi indicati sono stati in parte utilizzati nella seduta del 15 giugno 2023.

Pdl n. 384-446-459 – Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell'emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus SARS-CoV-2 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2

Seguito dell'esame: 8 ore.

Relatore 20 minuti
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 1 ora
Interventi a titolo personale 1 ora e 10 minuti
(con il limite massimo di 9 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore
Fratelli d'Italia 1 ora e 1 minuto
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 42 minuti
Lega – Salvini premier 41 minuti
MoVimento 5 Stelle 36 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE 33 minuti
Azione – Italia Viva – Renew Europe 25 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 22 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE 21 minuti
Misto: 19 minuti
  Minoranze Linguistiche 11 minuti
  +Europa 8 minuti

Pdl n. 887 e abb. – Modifica all'articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all'estero da cittadino italiano

Seguito dell'esame: 7 ore.

Relatore per la maggioranza 20 minuti
Relatore di minoranza 10 minuti
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 30 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 3 minuti
(con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 27 minuti
Fratelli d'Italia 53 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 38 minuti
Lega – Salvini premier 37 minuti
MoVimento 5 Stelle 32 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE 30 minuti
Azione – Italia Viva – Renew Europe 22 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 19 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE 19 minuti
Misto: 17 minuti
  Minoranze Linguistiche 10 minuti
  +Europa 7 minuti

Ddl n. 1134 e abb. – Modifiche al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30

Seguito dell'esame: 8 ore.

Relatore 20 minuti
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 45 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 13 minuti
(con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore e 12 minuti
Fratelli d'Italia 50 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 58 minuti
Lega – Salvini premier 35 minuti
MoVimento 5 Stelle 48 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente - PPE 28 minuti
Azione - Italia Viva – Renew Europe 31 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 26 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) - MAIE 16 minuti
Misto: 20 minuti
Minoranze Linguistiche 11 minuti
+Europa 9 minuti

Pdl n. 107 e abb. – Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti

Seguito dell'esame: 5 ore.

Relatore 20 minuti
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 15 minuti
Interventi a titolo personale 45 minuti
(con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 3 ore e 10 minuti
Fratelli d'Italia 38 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 27 minuti
Lega – Salvini premier 26 minuti
MoVimento 5 Stelle 23 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente - PPE 21 minuti
Azione - Italia Viva – Renew Europe 16 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 14 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) - MAIE 13 minuti
Misto: 12 minuti
Minoranze Linguistiche 7 minuti
+Europa 5 minuti

Conto consuntivo della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2022 e progetto di bilancio della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2023 (Doc. VIII, n. 1 e n. 2)

Tempo complessivo: 13 ore, di cui:

• discussione sulle linee generali: 7 ore;

• seguito dell'esame: 6 ore.

Discussione generale Seguito dell'esame
Deputati Questori 1 ora 30 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici 15 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 4 minuti 58 minuti
(con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 46 minuti 4 ore e 7 minuti
Fratelli d'Italia 35 minuti 49 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 33 minuti 35 minuti
Lega – Salvini premier 33 minuti 34 minuti
MoVimento 5 Stelle 32 minuti 30 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE 32 minuti 27 minuti
Azione – Italia Viva – Renew Europe 31 minuti 21 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 30 minuti 18 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE 30 minuti 17 minuti
Misto: 30 minuti 16 minuti
  Minoranze Linguistiche 7 minuti 9 minuti
  +Europa 5 minuti 7 minuti

Mozione n. 1-00132 – Iniziative volte alla prevenzione e alla cura dei disturbi della nutrizione e dell'alimentazione

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora
(con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
Fratelli d'Italia 52 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 37 minuti
Lega – Salvini premier 36 minuti
MoVimento 5 Stelle 31 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE 29 minuti
Azione – Italia Viva – Renew Europe 22 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 19 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE 18 minuti
Misto: 16 minuti
  Minoranze Linguistiche 9 minuti
  +Europa 7 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.

Mozione n. 1-00144 – Iniziative di competenza in relazione alla strage di Bologna, con particolare riferimento al processo di desecretazione degli atti

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora
(con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 20 minuti
Fratelli d'Italia 52 minuti
Partito Democratico – Italia democratica e progressista 37 minuti
Lega – Salvini premier 36 minuti
MoVimento 5 Stelle 31 minuti
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE 29 minuti
Azione – Italia Viva – Renew Europe 22 minuti
Alleanza Verdi e Sinistra 19 minuti
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE 18 minuti
Misto: 16 minuti
  Minoranze Linguistiche 9 minuti
  +Europa 7 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta
del 28 giugno 2023.

  Albano, Ascani, Barelli, Bellucci, Benvenuto, Bignami, Bitonci, Braga, Cappellacci, Carloni, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Enrico Costa, Sergio Costa, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Evi, Ferrante, Ferro, Fitto, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Loizzo, Lollobrigida, Loperfido, Lupi, Magi, Malavasi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Molteni, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Pastorella, Pellegrini, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Richetti, Rixi, Roccella, Rosato, Angelo Rossi, Rotelli, Scerra, Schullian, Francesco Silvestri, Siracusano, Sportiello, Tajani, Trancassini, Tremonti, Vaccari, Varchi, Zoffili, Zucconi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Albano, Ascani, Barelli, Bellucci, Benvenuto, Bignami, Bitonci, Braga, Cappellacci, Carloni, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Enrico Costa, Sergio Costa, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Evi, Ferrante, Ferro, Fitto, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Loizzo, Lollobrigida, Loperfido, Lucaselli, Lupi, Magi, Malavasi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Molteni, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Pastorella, Pellegrini, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Richetti, Rixi, Roccella, Rosato, Angelo Rossi, Rotelli, Scerra, Schullian, Francesco Silvestri, Siracusano, Sportiello, Tajani, Trancassini, Tremonti, Vaccari, Varchi, Zoffili, Zucconi.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 27 giugno 2023 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:

   SPORTIELLO: «Introduzione dell'articolo 41-bis del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, concernente l'allattamento nei luoghi di lavoro» (1252);

   SIMIANI: «Istituzione del Museo per la memoria del disastro ferroviario di Viareggio» (1253).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge DEIDDA ed altri: «Disposizioni per il riconoscimento della fibromialgia come malattia invalidante» (502) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Maccari.

  La proposta di legge DEIDDA ed altri: «Ripristino della festività nazionale del 4 novembre quale Giornata dell'unità nazionale e delle Forze armate» (644) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Giovine.

  La proposta di legge VARCHI ed altri: «Disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione del relativo albo professionale» (659) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Maccari.

  La proposta di legge CIABURRO ed altri: «Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della memoria storica dei martiri delle foibe» (708) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Giovine.

  La proposta di legge RAMPELLI ed altri: «Disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana e istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana» (734) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Giovine.

  La proposta di legge costituzionale RAMPELLI ed altri: «Modifica degli articoli 6 e 12 della Costituzione, in materia di riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica e di proclamazione dell'inno nazionale» (736) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Giovine.

  La proposta di legge CAIATA ed altri: «Istituzione della Giornata della lotta contro la mafia» (782) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Giovine e Maccari.

  La proposta di legge LUCASELLI ed altri: «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di assegnazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata» (803) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Maccari.

  La proposta di legge RAMPELLI ed altri: «Modifica alla legge 3 marzo 1951, n. 178, in materia di revoca delle onorificenze dell'Ordine “Al merito della Repubblica italiana”» (886) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Giovine.

  La proposta di legge LUCASELLI ed altri: «Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia nonché delle persone ospitate nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità e delega al Governo in materia di formazione del personale» (1052) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Giovine e Maccari.

Modifica del titolo di proposte di legge.

  La proposta di legge n. 720, d'iniziativa dei deputati Calderone ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disposizioni in materia di depenalizzazione della pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale».

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI IN VISTA DELLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL 29 E 30 GIUGNO 2023

Risoluzioni

   La Camera,

   premesso che:

    1) il Consiglio europeo del 29 e 30 giugno 2023 affronterà i temi della guerra russa in Ucraina, delle politiche dell'Unione in materia di economia, sicurezza e difesa, migrazione e delle relazioni esterne dell'Unione europea, in particolare con la Cina;

    2) a quasi un anno e mezzo dall'inizio della nuova aggressione russa all'Ucraina, nell'ambito di una offensiva militare di occupazione e di annessione territoriale che prosegue da quasi un decennio, è sempre più evidente che l'Ucraina rappresenta la frontiera politica e militare della libertà e della sicurezza europea;

    3) quanto è successo nell'ultima settimana in Russia, con uno scontro interno alle gerarchie del potere ufficiale, in cui è ormai divenuto impossibile distinguere le forze formalmente legali da quelle criminali, conferma che questa guerra ha indebolito e diviso più l'aggressore che l'aggredito; malgrado le previsioni, la resistenza ucraina, grazie al sostegno dei paesi dell'Unione europea e dell'Alleanza Atlantica, ha ottenuto risultati straordinari ed evidentemente incrinato la presunta solidità del potere di Putin;

    4) la guerra russa all'Ucraina intanto prosegue con modalità e finalità evidentemente terroristiche, non ultima la distruzione della diga di Nova Kakhovka il 6 giugno scorso, che ha portato all'allagamento di un'intera regione dell'Ucraina, alla morte di almeno 52 civili e all'evacuazione di 11 mila persone;

    5) il conflitto non può essere risolto da un accordo che riconosca, ancorché parzialmente, gli obiettivi politici della Russia, e tantomeno dal sacrificio della piena libertà, sicurezza, indipendenza e integrità territoriale dell'Ucraina;

    6) l'Ucraina ha iniziato una controffensiva per riprendere possesso dei territori illegittimamente occupati dalla Russia e, ad oggi, si cominciano a intravedere i primi successi militari, resi possibili anche dalla fornitura di sistemi d'arma da parte dei paesi membri dell'Unione europea e della Nato; la decisione da parte di alcuni Paesi europei di fornire all'Ucraina i caccia di produzione americana F-16 dà alle forze armate ucraine un'ulteriore capacità di difesa;

    7) la prosecuzione del sostegno politico, finanziario, militare e umanitario dell'Ucraina, oltre ad allontanare la minaccia russa dai confini italiani e dell'Unione europea, è una premessa fondamentale perché qualunque negoziato di pace non rappresenti semplicemente la ratifica di una capitolazione;

    8) dal 24 febbraio 2022 l'Unione europea e i suoi Stati membri hanno messo a disposizione dell'Ucraina circa 72 miliardi di euro; lo scorso 23 giugno il Consiglio dell'Unione europea ha adottato l'undicesimo pacchetto di sanzioni economiche e di misure restrittive individuali nei confronti della Federazione russa, per contrastare l'organizzazione e il finanziamento dell'aggressione all'Ucraina;

    9) sospendere il sostegno militare al governo ucraino non porterebbe alla pace in tempi più brevi, ma avrebbe solo la conseguenza di rendere più indiscriminata e incontrollata la violenza dell'aggressione; in questo senso, l'impegno per la pace passa imprescindibilmente dalla fornitura all'Ucraina dei mezzi necessari per sedersi al tavolo negoziale in condizioni di parità, senza l'opzione obbligata della resa;

    10) l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia rende evidente l'urgenza con la quale è necessario progredire nella costruzione di un vero sistema di difesa europeo, che sia complementare e integrato, e non alternativo, al sistema della Nato; è altresì importante che sia definito un progetto di autonomia strategica dell'Unione europea e che questo avvenga tenendo in considerazione tutti i possibili scenari e, specialmente, i pericoli provenienti dal fronte orientale dello scacchiere europeo;

    11) la guerra in Ucraina ha amplificato l'ondata inflativa che ha colpito l'economia globale, causando enormi problemi ai cittadini italiani ed europei, in particolare alle fasce più povere della popolazione; la BCE, nel pieno rispetto del suo mandato a mantenere la stabilità dei prezzi, ha deliberato una serie di rialzi dei tassi di interesse – l'ultimo dei quali lo scorso 15 giugno – portandoli ai massimi da prima della crisi finanziaria del 2008; una politica monetaria più restrittiva crea un contesto inevitabilmente più sfavorevole per gli investimenti nel settore privato e per la sostenibilità del debito pubblico e impone ulteriori responsabilità ai Governi, sia rispetto alla disciplina finanziaria, sia rispetto a politiche di bilancio in grado di rafforzare i fattori di competitività e di crescita economica;

    12) l'Italia è l'unico Paese della zona euro a non aver ratificato la riforma del trattato del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES); questa decisione ingiustificata la cui incoerenza è dimostrata anche dal recente parere positivo alla ratifica da parte del Ministero dell'economia e delle finanze – non ha alcun effetto positivo, ma al contrario aggrava l'isolamento dell'Italia in sede Ue con conseguenze imprevedibili, ma certamente negative, su altri fondamentali dossier economici: la riforma del patto di stabilità, l'unione bancaria, l'istituzione di uno strumento permanente di debito comune, sul modello di quello che ha consentito il finanziamento del Next Generation Ue;

    13) le discussioni sulla riforma del patto di stabilità europeo si sono intensificate dopo la presentazione della proposta di riforma della Commissione il 26 aprile scorso; questa riforma, che si allontana dai rigidi criteri di governance economica che hanno caratterizzato l'Unione europea in passato, porta diversi vantaggi all'Italia, specialmente nella forma di una maggiore flessibilità nella determinazione del percorso da seguire per la riduzione del debito pubblico; ciononostante, la specificità dei piani nazionali di riduzione del debito previsti dalla riforma non autorizza in ogni caso l'adozione di politiche irresponsabili e insostenibili e l'obiettivo dell'Italia deve rimanere quello di una politica di riduzione del rapporto tra debito e Pil, che non comprometta le possibilità di crescita del Paese a medio e lungo termine;

    14) lo scorso 8 giugno il Consiglio dell'Unione europea ha raggiunto un accordo sul nuovo patto sulla migrazione e l'asilo; l'esito del negoziato non è ottimale per l'Italia, in particolare perché l'ostilità dei governi cosiddetti sovranisti – e ideologicamente allineati ai partiti di maggioranza di Governo del nostro Paese – ha pregiudicato vere forme di solidarietà europea nelle politiche di accoglienza e ricollocamento dei migranti e determinato il blocco a ogni revisione del Regolamento di Dublino in ordine alle responsabilità del paese di primo approdo;

    15) nel 2023, al 22 giugno, stando ai dati del Ministero degli interni, in Italia sono arrivati 58.782 migranti, più del doppio di quelli arrivati nello stesso periodo nel 2022 (25.458) e quasi il triplo rispetto al 2021 (19.361); il che dimostra come l'andamento degli sbarchi non risponda alla retorica politica dei governi in carica, ma ai fattori di instabilità politica delle aree di provenienza e di transito;

    16) la Cina è il principale Paese esportatore nell'Unione europea; nel 2022 il valore delle importazioni di beni dalla Cina nell'Unione è stato di 626,3 miliardi di euro, quasi il doppio delle esportazioni dei Paesi Ue verso la Cina; la prevalenza della Cina come partner commerciale e strategico per l'Italia e l'Unione europea pone la questione dell'inquadramento delle relazioni tra questi due «mondi» come un tema centrale in ottica presente e futura, specialmente per quanto riguarda forniture di materie prime critiche e prodotti essenziali;

    17) l'Italia è l'unico paese del G7 e il più grande tra i pochi Paesi membri dell'Unione europea ad aver firmato un Memorandum of Understanding con la Cina nel quadro del progetto «Nuova via della seta»; questo accordo, sottoscritto nel 2019, non ha portato sinora risultati particolarmente positivi per l'Italia: le esportazioni italiane in Cina sono passate dai 12,8 miliardi di euro del 2020 ai 16,4 miliardi di euro del 2022, quelle cinesi invece sono quasi raddoppiate nel giro di tre anni, passando da 32,2 a 57,5 miliardi;

    18) questo accordo, firmato dal Governo Conte I, si rinnoverà automaticamente entro la fine dell'anno in mancanza di una decisione da parte del Governo italiano in senso contrario; l'Italia, a questi fini, si trova in una situazione particolarmente complessa, perché se l'adesione ha suscitato perplessità in molti alleati, l'annullamento dell'accordo potrebbe deteriorare i rapporti con un partner commerciale importante come la Cina;

    19) al contempo, sempre in materia di dipendenza strategica dalla Cina e del modo in cui essa influisce sugli interessi economici dell'Unione europea, è necessario porre attenzione sia a livello dell'Unione europea che degli Stati membri ai crescenti investimenti della Cina nelle principali infrastrutture europee, in particolare i porti,

impegna il Governo:

   1) a proseguire nel sostegno politico, militare e finanziario all'Ucraina, anche promuovendo il rapido avvio del negoziato di adesione del Paese all'Unione europea;

   2) a concorrere alla ricostruzione dell'Ucraina e a sostenere iniziative politiche e diplomatiche per porre fine all'aggressione russa e per una pace giusta, nel rispetto del diritto internazionale e del diritto dell'Ucraina alla propria libertà, sicurezza e integrità territoriale;

   3) a supportare ulteriori impegni in sede Ue per la creazione di un'autonoma capacità di difesa europea, complementare e integrata nel sistema della Nato;

   4) a favorire, per quanto di competenza, la rapida approvazione della legge di ratifica della riforma del Trattato del meccanismo europeo di stabilità (Mes), strumento che – come è noto – nessun paese è tenuto a utilizzare, ma che diverrebbe così operativo e disponibile per quanti vorranno richiederne l'attivazione, e che sarebbe utile in particolare per fronteggiare crisi bancarie sistemiche e aumentare il grado di mutualizzazione dei rischi all'interno dell'unione;

   5) a supportare la proposta di riforma del patto di stabilità della Commissione europea, al fine di superare le rigidità, la complessità e la scarsa trasparenza che hanno caratterizzato le regole fiscali europee in particolare nell'ultimo decennio e di coniugare nelle politiche di bilancio principi di disciplina di bilancio e obiettivi di crescita economica;

   6) a ribadire l'esigenza della modifica del Regolamento di Dublino per quanto attiene alle responsabilità dei Paesi di primo approdo e del superamento dei veti per giungere a una gestione effettivamente europea del sistema di accoglienza e del ricollocamento dei richiedenti asilo;

   7) a riconsiderare il Memorandum of understanding sottoscritto nel 2019 nell'ambito della cosiddetta «Nuova via della seta», sulla base di una valutazione dell'interesse comune a equilibrate relazioni economico-commerciali con la Repubblica popolare cinese e dell'obiettivo di preservare una effettiva autonomia strategica delle democrazie e società europee dai rischi di ingerenza politica o di dipendenza economica, purtroppo già sperimentati nel recente passato nei rapporti con la Federazione russa.
(6-00038) «Richetti, Del Barba, Rosato, De Monte, Enrico Costa, Gadda, Grippo, Marattin, Sottanelli, Gruppioni».


   La Camera,

impegna il Governo:

   1) a proseguire nel sostegno politico, militare e finanziario all'Ucraina, anche promuovendo il rapido avvio del negoziato di adesione del Paese all'Unione europea;

   2) a concorrere alla ricostruzione dell'Ucraina e a sostenere iniziative politiche e diplomatiche per porre fine all'aggressione russa e per una pace giusta, nel rispetto del diritto internazionale e del diritto dell'Ucraina alla propria libertà, sicurezza e integrità territoriale;

   3) a supportare ulteriori impegni in sede Ue per la creazione di un'autonoma capacità di difesa europea, complementare e integrata nel sistema della Nato;

   4) a negoziare partendo dalla proposta di riforma del patto di stabilità della Commissione europea, al fine di superare le rigidità, la complessità e la scarsa trasparenza che hanno caratterizzato le regole fiscali europee in particolare nell'ultimo decennio e di coniugare nelle politiche di bilancio principi di disciplina di bilancio e obiettivi di crescita economica;

   5) a ribadire l'esigenza della modifica del Regolamento di Dublino per quanto attiene alle responsabilità dei Paesi di primo approdo e del superamento dei veti per giungere a una gestione effettivamente europea del sistema di accoglienza e del ricollocamento dei richiedenti asilo;

   6) a promuovere un dibattito parlamentare prima della scadenza sul Memorandum of understanding sottoscritto nel 2019 nell'ambito della cosiddetta «Nuova via della seta», sulla base di una valutazione dell'interesse comune a equilibrate relazioni economico-commerciali con la Repubblica popolare cinese e dell'obiettivo di preservare una effettiva autonomia strategica delle democrazie e società europee dai rischi di ingerenza politica o di dipendenza economica, purtroppo già sperimentati nel recente passato nei rapporti con la Federazione russa.
(6-00038)(Testo modificato nel corso della seduta) «Richetti, Del Barba, Rosato, De Monte, Enrico Costa, Gadda, Grippo, Marattin, Sottanelli, Gruppioni».


   La Camera,

   premesso che:

    1) al prossimo Consiglio europeo del 29-30 giugno 2023, i Capi di Stato e di Governo affronteranno i seguenti punti: Ucraina; temi economici; sicurezza e difesa; migrazione; relazioni esterne.

    2) Consiglio europeo farà il punto sugli ultimi sviluppi della guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina e confermerà l'impegno dell'Unione europea nel continuare a fornire sostegno finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico all'Ucraina per il tempo necessario;

    3) sarà rinnovato l'attivo sostegno alla realizzazione della Formula di Pace Ucraina unitamente a profilate azioni nei confronti della responsabilità russa dell'aggressione dell'Ucraina, ivi inclusa l'azione sanzionatoria;

    4) nel corso della discussione sull'aggressione della Russia contro l'Ucraina i Capi di Stato e di Governo avranno uno scambio di vedute sugli ultimi sviluppi interni alla Federazione russa e sulle conseguenze che questi potrebbero avere sull'evoluzione del conflitto;

    5) il Consiglio europeo darà seguito alle sue Conclusioni sulla politica industriale, sul Mercato Unico e sulla competitività a lungo termine dell'Europa, di cui la transizione digitale si conferma essere elemento determinante. In questo senso, si richiamerà l'importanza di regolamentare rapidamente l'intelligenza artificiale (AI) anche in vista del negoziato del Consiglio con il Parlamento europeo;

    6) il Consiglio europeo si occuperà della sicurezza e della resilienza economica dell'unione, anche alla luce della presentazione da parte della Commissione europea e dell'Alto Rappresentante della Comunicazione congiunta sulla strategia europea di sicurezza economica;

    7) si discuterà della situazione economica e il Consiglio europeo sarà invitato ad approvare le Raccomandazioni integrate specifiche Paese e a concludere il Semestre europeo 2023;

    8) il 20 giugno 2023 la Commissione ha proposto una revisione di medio termine del Quadro finanziario pluriennale incentrata principalmente su tre priorità: uno strumento per l'Ucraina basato su sovvenzioni, prestiti e garanzie, con una capacità complessiva di 50 miliardi di euro; un incremento di 15 miliardi di euro per affrontare le dimensioni interne ed esterne della migrazione ivi compreso il rafforzamento dei partenariati con i Paesi terzi; una piattaforma di tecnologie strategiche per l'Europa (STEP), per promuovere la competitività a lungo termine dell'Unione europea sulle tecnologie critiche, nei settori della tecnologia digitale e profonda, della tecnologia pulita e delle biotecnologie, finanziata con 10 miliardi di euro aggiuntivi oltre all'uso flessibile di fondi europei già esistenti;

    9) l'iniziativa STEP non risulta essere ancora quel Fondo europeo di sovranità per affrontare le dipendenze critiche dell'Europa ipotizzato dalla Presidente von der Leyen nel settembre 2022, ma – come dichiarato dalla stessa Commissione – ne dovrebbe costituire il precursore;

    10) alla luce della sopracitata proposta di revisione di medio termine del Quadro Finanziario Pluriennale, il Consiglio europeo potrà invitare a procedere nel negoziato in tempi veloci;

    11) si farà il punto sui progressi compiuti circa l'attuazione delle precedenti Conclusioni in materia di sicurezza e difesa, della Dichiarazione di Versailles del marzo 2022 e della Bussola Strategica;

    12) si forniranno orientamenti e impulso per realizzare una efficace capacità di sicurezza e di difesa dell'unione, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo di appalti congiunti nell'industria europea della difesa; l'attuazione di investimenti comuni nel settore tecnologico e industriale ivi incluse le PMI e la produzione di munizioni;

    13) il Consiglio europeo discuterà della cooperazione UE-NATO, anche in vista del vertice NATO di Vilnius (11-12 luglio 2023);

    14) i Capi di Stato e di Governo terranno un punto di dibattito complessivo sul tema migrazione e saranno forniti aggiornamenti da parte della Presidenza e della Commissione circa l'attuazione delle Conclusioni adottate dai Consigli Europei di febbraio e marzo 2023;

    15) in materia di Relazioni Esterne, si terrà una discussione strategica sulla Cina e si farà il punto sulla preparazione del prossimo vertice UE-CELAC che riunirà il prossimo 17-18 luglio i leader di Europa, America latina e Caraibi per rafforzare le relazioni tra queste Regioni;

    16) il Consiglio europeo terrà un dibattito sulle relazioni dell'unione con i partner del Mediterraneo, in particolare con la Tunisia;

    17) il Consiglio europeo si confronterà anche sulla delicata situazione di crisi nei comuni a maggioranza serba nel nord del Kosovo che ha portato, lo scorso 29 maggio, a violenti scontri tra le forze dell'ordine kosovare e i cittadini di etnia serba e in cui sono rimasti feriti diversi soldati della missione KFOR, tra i quali anche militari italiani;

    18) Governo e Parlamento italiani hanno immediatamente espresso la vicinanza e la piena solidarietà ai soldati della missione KFOR, dal 10 ottobre 2022 comandata dal Generale di Divisione Angelo Michele Ristuccia, e condannato con la massima fermezza tali violenze;

    19) per Serbia e Kosovo risulta più che mai essenziale dimostrare senso di responsabilità, abbandonando la retorica nazionalistica e tornando a sedersi al tavolo dei negoziati, unica garanzia per mantenere la stabilità regionale, fondamentale nell'attuale contesto internazionale;

impegna il Governo:

   1) a sostenere l'Ucraina e il suo popolo da un punto di vista finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico e in prospettiva ad assumere un ruolo chiave nel processo di ricostruzione;

   2) a riconoscere l'impegno e gli sforzi sostanziali dell'Ucraina per soddisfare le condizioni richieste nel processo di adesione all'Unione europea, ad incoraggiarla a proseguire sulla strada delle riforme e ad intensificare i lavori in vista dell'apertura dei negoziati di adesione;

   3) a garantire il più ampio supporto alle iniziative internazionali volte a perseguire i crimini di guerra e contro l'umanità commessi nel territorio ucraino, nonché ad assicurare la sanzionabilità del crimine di aggressione attraverso l'istituzione di apposite istanze giurisdizionali quali un possibile Tribunale ucraino internazionalizzato e l'affermazione negli Stati membri del principio di giurisdizione universale;

   4) a contrastare e sanzionare la deportazione forzata da parte della Federazione russa di minori ucraini;

   5) a favorire ogni iniziativa finalizzata ad una risoluzione del conflitto mediante una pace complessiva, giusta e duratura, nel pieno rispetto delle prerogative sovrane di Kiev e del diritto internazionale, lavorando con la comunità internazionale, anche nel quadro delle Nazioni Unite;

   6) a mantenere un costante dialogo con il Parlamento in relazione all'esito di importanti consessi internazionali ovvero in aggiornamento rispetto alle future iniziative diplomatiche che verranno intraprese per la risoluzione del conflitto ucraino;

   7) a sostenere la crescita e la competitività di lungo termine dell'unione attraverso una politica industriale europea che abbia tra i pilastri fondamentali autonomia energetica, promuovere la produzione sostenibile a livello europeo e la diversificazione nell'approvvigionamento delle materie prime e dei semilavorati e lo sviluppo di un quadro regolatorio semplice e prevedibile;

   8) a realizzare una transizione verde basata sul rispetto della neutralità tecnologica e che sia compatibile con la difesa dei posti di lavoro e con un'industria ed un'agricoltura europee dinamiche, innovative e competitive con quelle del resto del mondo;

   9) a collaborare con le Istituzioni europee per individuare fonti di finanziamento adeguate a sostegno degli ambiziosi investimenti strategici, anche infrastrutturali, in materia di transizione verde e digitale;

   10) a negoziare, a partire dalla proposta presentata dalla Commissione europea di una piattaforma di tecnologie strategiche per l'Europa (STEP), la rapida istituzione di uno strumento finanziario europeo efficace, in grado di fornire il necessario impulso ai predetti investimenti strategici e che costituisca tra le altre cose una credibile risposta europea all'Inflation Reduction Act (Ira), il piano di sussidi da quasi 370 miliardi di dollari varato dall'amministrazione statunitense, affiancandosi ad un utilizzo più flessibile dei fondi europei. Questo strumento dovrà servire, in particolare, a rafforzare l'autonomia strategica e la competitività dell'unione europea, contribuendo ad evitare la frammentazione del Mercato Unico, assicurando al contempo la parità di condizioni per le imprese;

   11) ad adoperarsi affinché il negoziato sulla riforma della governance economica europea pervenga all'elaborazione di regole che gli Stati siano realisticamente in grado di rispettare e capaci di favorire la crescita economica, con particolare riguardo agli investimenti per la transizione verde, le infrastrutture, e per la difesa, nonché improntate a una maggiore flessibilità nell'utilizzo dei fondi dei Piani nazionali di ripresa e resilienza e della politica di Coesione. Nell'elaborazione delle nuove regole europee particolare attenzione deve essere assicurata alla valutazione degli investimenti pubblici quali leve finanziarie idonee a generare benefici diretti a lungo termine e che pertanto hanno un impatto quantificabile sulla sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche;

   12) ad attivarsi affinché le spese pubbliche collegate all'attuazione dei — programmi europei per la transizione verde, digitale, per la difesa e gli investimenti infrastrutturali siano esclusi dai meccanismi del nuovo patto di stabilità e crescita, quali strumenti necessari per contribuire a raggiungere gli obiettivi climatici dell'unione, a ridurre la dipendenza strutturale dalle energie fossili e per supportare la competitività, la crescita e il lavoro nell'Unione europea;

   13) a favorire la conclusione del negoziato sulla revisione di medio termine del Quadro finanziario pluriennale entro la fine della legislatura per razionalizzare e rendere più efficienti le singole voci di spesa, tutelando specifiche priorità italiane, con particolare riferimento alla politica agricola comune, alle politiche di coesione, alla cooperazione allo sviluppo e agli investimenti nel settore della difesa comune;

   14) in considerazione della crisi demografica che stanno attraversando alcuni Paesi membri dell'Unione europea e della centralità del tema demografico anche nell'ottica della competitività di lungo termine dell'Europa, ad individuare misure che favoriscano investimenti e riforme di sistema in materia di natalità;

   15) a continuare a sostenere l'attuazione della Bussola Strategica, per fornire all'Unione europea adeguati strumenti a tutela del suo ruolo internazionale, in piena complementarietà con la NATO. Nel nuovo contesto geopolitico, a sostenere e fornire ulteriore impulso nei diversi ambiti relativi alla produzione europea di munizioni, al rafforzamento dell'industria europea della difesa attraverso acquisti comuni, al contrasto delle minacce ibride ed allo sviluppo di una politica europea di cyberdifesa;

   16) a mantenere alta l'attenzione dell'unione Europea sulla dimensione – esterna della migrazione, nei confronti dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo e dell'Africa per prevenire gli arrivi irregolari, coniugando la lotta ai trafficanti con politiche di sviluppo. Il rapporto con i Paesi di origine e transito deve restare prioritario, essere improntato alla realizzazione di partenariati equilibrati ed essere adeguatamente finanziato con risorse europee. L'ambizione di medio periodo resta la trasformazione della politica di vicinato in un vero e proprio partenariato con la sponda sud del Mediterraneo. In questo contesto deve inoltre essere assicurata la necessaria complementarità con il «Piano Mattei» lanciato dal Governo italiano;

   17) in linea con le recenti missioni a Tunisi del Presidente del Consiglio, l'ultima delle quali effettuata unitamente al Presidente della Commissione europea ed al Primo Ministro del Regno dei Paesi Bassi, a mantenere prioritaria l'attenzione dell'Unione europea, anche in collaborazione con i principali organismi finanziari internazionali, nei confronti della Tunisia al fine di garantire la stabilità politica ed economica del Paese;

   18) a proseguire il negoziato sul nuovo Patto Asilo e Migrazione, anche alla luce dei risultati raggiunti in occasione del Consiglio Giustizia e Affari interni del corrente mese di giugno che hanno fornito un primo risultato concreto in termini di equilibrio complessivo tra responsabilità e solidarietà. A tal fine, impegna il Governo a continuare a sostenere gli orientamenti generali sulle proposte di regolamento in materia di gestione dell'asilo e della migrazione (AMMR) e di procedure di asilo (APR) approvati dall'ultimo Consiglio Giustizia e Affari Interni, adoperandosi affinché il dialogo con il Parlamento europeo consenta ulteriori progressi e una rapida adozione dei testi legislativi finali;

   19) ad adoperarsi affinché il nuovo Patto Asilo e Migrazione sia dotato, anche nel contesto della revisione del quadro finanziario pluriennale, di consistenti interventi finanziari europei a favore di soluzioni a lungo termine nei paesi di transito mediterranei e, soprattutto, nei paesi di origine dell'Africa sub-sahariana, con strategie mirate alle rotte che coinvolgano tutti gli attori interessati ed anche le organizzazioni internazionali;

   20) a favorire un percorso europeo nelle relazioni con la Cina equo, bilanciato e reciprocamente vantaggioso, con un approccio flessibile e pragmatico che consenta non solo una difesa di principio degli interessi e dei valori europei, ma anche il conseguimento di risultati concreti, in particolare in settori quali: il commercio e gli investimenti; i cambiamenti climatici; la biodiversità e gli affari internazionali; a riaffermare in ogni caso che la Cina è allo stesso tempo un partner negoziale, competitor economico e un rivale sistemico che si avvale anche di misure di coercizione commerciale già attuate verso alcuni Stati membri dell'Unione europea e altri Paesi occidentali. Le politiche assertive di Pechino si manifestano in modo crescente nei confronti di Taiwan e dell'Indo-Pacifico e tendono a consolidare un allineamento strategico tra Cina e Russia che mira a revisionare il sistema internazionale basato su regole condivise;

   21) a ribadire il pieno sostegno del Governo italiano alla prospettiva di adesione all'Unione europea dei Balcani occidentali ed a confermare l'impegno per la pace e la stabilità del Kosovo e di tutta l'area, favorendo la ripresa del dialogo, facilitato dall'Unione europea, tra Belgrado e Pristina e la rapida attuazione dell'Accordo sul percorso di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia nonché il relativo allegato di attuazione.
(6-00039) «Barelli, Lupi, Foti, Molinari».


   La Camera,

   premesso che:

    1) nel prossimo Consiglio europeo del 29-30 giugno, i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri saranno chiamati ad affrontare importanti questioni, tra le quali: gli ultimi sviluppi relativi al conflitto in Ucraina; le politiche economiche e di bilancio; il tema delle migrazioni; le relazioni esterne tra l'Unione europea e i Paesi terzi;

    2) l'aggressione della Federazione russa nei confronti dell'Ucraina è in atto ormai da oltre un anno, in un contesto segnato da una perdurante escalation militare inasprita, peraltro, dallo spettro di una minaccia nucleare, paventata a più riprese;

    3) in particolare, la recente distruzione della diga idroelettrica situata a Nova Kakhovka, nel Sud del Paese occupato dalle forze russe, sta mettendo a rischio la vita di centinaia di migliaia di civili in circa 80 insediamenti, compresa la città di Kherson, ed espone il popolo ucraino a rischio di inondazione con terribili conseguenze umanitarie e ambientali;

    4) la distruzione delle infrastrutture civili si qualifica chiaramente come un crimine di guerra ed aggrava la crisi umanitaria sul suolo ucraino che continua ad essere drammatica e insostenibile con decine di migliaia di vittime, civili e militari, nonché, sul piano geopolitico, con evidenti ripercussioni sul tessuto economico-produttivo internazionale sull'approvvigionamento energetico e sulle principali regole della convivenza internazionale;

    5) in tale contesto, con decisione (PESC) 2022/1968 del 17 ottobre 2022 è stata istituita la missione EUMAM Ucraina volta a rispondere alla richiesta di sostegno da parte delle autorità ucraine nel settore dell'addestramento militare, al fine di consentire all'Ucraina di difendere la propria integrità territoriale e proteggere i civili;

    6) l'EUMAM Ucraina dovrebbe operare nel territorio degli Stati membri, in quanto misura temporanea, in linea con l'articolo 42, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea (TUE), che dispone quanto segue: «La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Essa assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L'Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L'esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri.»; desta, tuttavia, preoccupazione in relazione a un possibile ulteriore inasprimento del conflitto quanto stabilito all'articolo 1, paragrafo 5, della menzionata decisione (PESC), ossia la possibilità per il Consiglio di modificare la sua decisione in merito alla eventuale autorizzazione per EUMAM Ucraina ad operare al di fuori del territorio degli Stati membri;

    7) nelle conclusioni dell'ultimo summit di marzo, il Consiglio europeo ha ribadito la sua ferma condanna della guerra di aggressione della Russia nei confronti dell'Ucraina, che costituisce una palese violazione della Carta delle Nazioni Unite, ed ha altresì riaffermato il risoluto sostegno dell'Unione europea all'indipendenza, alla sovranità e all'integrità territoriale dell'Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale nonché al suo diritto naturale di autotutela contro l'aggressione russa;

    8) nonostante il Governo di Mosca abbia espressamente dichiarato di non riconoscere la giurisdizione della Corte Penale internazionale dell'Aja, l'Unione europea rimane determinata a garantire il pieno accertamento delle responsabilità per i crimini di guerra e gli altri crimini di estrema gravità commessi in relazione alla guerra di aggressione della Russia nei confronti dell'Ucraina, anche mediante l'istituzione di un meccanismo appropriato per il perseguimento del crimine di aggressione, che riguarda la comunità internazionale nel suo insieme;

    9) in tal senso, il Consiglio europeo ha accolto con favore l'accordo sulla creazione, all'Aia, del nuovo centro internazionale per il perseguimento del crimine di aggressione nei confronti dell'Ucraina, ha ribadito il proprio sostegno alle indagini del procuratore della Corte penale internazionale ed ha accolto con favore i prossimi negoziati relativi a una nuova convenzione sulla cooperazione internazionale in materia di accertamento e perseguimento del genocidio, dei crimini contro l'umanità, dei crimini di guerra e di altri crimini internazionali;

    10) lo scorso 3 maggio la Commissione europea ha presentato la proposta di regolamento «Act in Support of Ammunition Production» (ASAP) volta ad incrementare – fino al 30 giugno 2025, data di cessazione di applicazione del regolamento – la produzione di armamenti. In particolare, la proposta della Commissione apre alla possibilità per gli Stati membri di impiegare fondi europei per sostenere direttamente lo sviluppo dell'industria della difesa, pari a cinquecento milioni di euro l'anno destinati alla produzione di un milione di munizioni d'artiglieria, munizioni terra-terra e missili;

    11) la possibilità per gli Stati di includere progetti a valere su tale strumento finanziario si estenderebbe anche a quelli finanziabili con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), che per sua natura ha per oggetto progetti di ripresa economica per superare l'impatto economico e sociale della pandemia e affrontare le sfide ambientali, tecnologiche e sociali di oggi e di domani;

    12) il 9 maggio scorso il Parlamento europeo ha approvato la procedura d'urgenza per l'esame della proposta di regolamento ASAP con 518 voti favorevoli, 59 contrari tra cui i parlamentari del Movimento 5 stelle, e 31 astenuti. Avranno ora inizio i negoziati con il Consiglio, con l'intento dichiarato di raggiungere un accordo, al fine di adottare il testo finale durante la sessione plenaria del Parlamento europeo di luglio;

    13) sono attualmente in corso i negoziati tra il Consiglio e il Parlamento europeo su una serie di dossier per riformare l'attuale quadro legislativo europeo in materia di asilo e migrazione, al fine di addivenire all'adozione di un nuovo quadro regolatorio prima delle elezioni europee del giugno 2024;

    14) in particolare, lo scorso 8 giugno il Consiglio dell'Unione europea per gli Affari interni ha trovato un accordo per la riforma del sistema comune di asilo per quanto attiene le procedure di frontiera e la gestione delle domande di asilo, accordo che dovrà ora essere approvato dal Parlamento europeo;

    15) se l'opinione pubblica e la stampa europea hanno plauso all'accordo e lo hanno identificato come il nuovo Patto europeo sulle migrazioni, in realtà non vengono superate le criticità ataviche dell'attuale sistema comune di asilo e dei cosiddetti regolamenti di Dublino: non viene intaccato il principio del Paese di primo ingresso che attribuisce ai paesi di frontiera la responsabilità di gestire le domande di asilo e l'obbligatorietà della redistribuzione dei migranti in tutti gli Stati membri, in una visione solidaristica del fenomeno migratorio che viene di fatto sterilizzata dalla possibilità di prevedere un pagamento pari a 20mila euro da destinare al Fondo Comune per la gestione delle frontiere interne per ogni migrante non accolto;

    16) destano preoccupazione alcuni punti dell'accordo che di fatto minano il diritto all'asilo e il principio di non respingimento: la previsione di una procedura di frontiera accelerata, come procedura standard per l'esame delle domande di asilo per chi giunge illegalmente in territorio europeo o da un paese terzo considerato sicuro, procedura sommaria, e soprattutto la possibilità di rimpatriare i migranti verso Stati terzi che non siano il paese di origine, ma potrebbe essere anche uno Stato di transito o quello di partenza ritenuto sicuro;

    17) si rischia di impedire di richiedere asilo politico in Europa perché ogni Stato membro deciderà quali Stati considerare sicuri e nonostante i criteri minimi comuni per la definizione di Paese di origine sicuro, permangono ancora numerose divergenze. Basti pensare che l'Italia con il decreto del 17 marzo 2023 del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha aggiornato la lista dei Paesi di origine sicuri per i richiedenti protezione internazionale includendovi paesi come la Nigeria dove sono note le tensioni politiche e sociali determinate dal terrorismo jihadista o ancora Stati che criminalizzano le condotte omosessuali prevedendo la pena di morte o l'ergastolo;

    18) il terribile naufragio avvenuto tra il 13 e 14 giugno al largo delle coste greche, definito come «la più grande tragedia nel Mediterraneo» dalla Commissaria UE agli Affari interni Ylva Johansson, in cui hanno perso la vita almeno 750 migranti, deve segnare una svolta nelle politiche europee della migrazione, anche nella gestione del pattugliamento delle frontiere marine europee e soprattutto un monito agli Stati membri al rispetto del diritto e degli obblighi internazionali relativi al salvataggio delle vite in mare;

    19) nell'ultima riunione dell'Ecofin del 15 e 16 giugno, i Ministri delle Finanze degli Stati membri hanno nuovamente discusso – tra gli altri temi – della riforma della governance economica dell'Unione europea, comprensiva di una revisione delle regole fiscali del Patto di stabilità e crescita;

    20) il tema dell'aggiornamento e della revisione del quadro della governance economica europea rappresenta una questione centrale nel dibattito europeo a fronte della nuova realtà economica – pesantemente influenzata dalle crescenti tensioni e dai mutati scenari geo-politici internazionali, ed il Consiglio ha auspicato che i lavori legislativi relativi a tale revisione si concludano nel 2023;

    21) le proposte legislative avanzate dalla Commissione europea lo scorso 26 aprile destano non poche perplessità in ordine, in primo luogo, al mantenimento dei parametri quantitativi massimi di riferimento del 3 per cento per il disavanzo e all'obiettivo del 60 per cento per il rapporto debito su prodotto interno lordo, nonché all'assenza della previsione di una golden rule per escludere la spesa pubblica destinata a investimenti produttivi dalle norme fiscali dell'Unione europea;

    22) desta altresì perplessità il versante esecutivo del futuro sistema come presentato dalla Commissione, con la creazione di un nuovo strumento per far adempiere agli impegni di riforme/investimenti del percorso di aggiustamento del debito e l'automaticità della procedura per i disavanzi eccessivi per le devianze dal suddetto percorso, oltre alle modifiche dell'impianto sanzionatorio;

    23) tale ipotesi di riforma non può considerarsi evidentemente conclusiva, avendo peraltro la Commissione preannunciato ulteriori orientamenti nel primo trimestre del 2023 e possibili proposte legislative, sulle quali auspica di registrare il consenso prima dell'inizio del processo di approvazione dei bilanci nazionali per l'anno 2024;

    24) in riferimento alle relazioni con i Paesi terzi, una particolare attenzione non può che essere rivolta alle politiche di vicinato con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e in particolare con la Tunisia e con la Turchia;

    25) la Tunisia rimane un partner fondamentale per Italia e Unione europea e la recente missione euro-italiana in Tunisia ha messo in evidenza quanto le relazioni europee tra le due sponde del Mediterraneo siano necessarie per sostenere la stabilizzazione economico-finanziaria dell'area, contenere il traffico di migranti e favorire la transizione democratica, allentando le spinte autoritarie anche in Tunisia;

    26) d'altra parte, il silenzio mantenuto, durante il loro incontro, dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Presidente tunisino Saied sul tema dei diritti fondamentali e del ritorno a una piena democrazia in Tunisia solleva serie preoccupazioni sulla posizione del governo italiano rispetto alla questione dei diritti umani;

    27) il supporto europeo allo sblocco degli stanziamenti del Fondo Monetario Europeo a favore della Tunisia e l'ulteriore aiuto europeo quantificato in 900 milioni di euro devono essere funzionali a prevenire il default tecnico dello Stato tunisino, la crisi migratoria che ne potrebbe derivare e a contrastare il traffico di essere umani e delle organizzazioni criminali che trovano nell'instabilità politica terreno fertile, ma soprattutto sostenere la democratizzazione del Paese in nome dello stato di diritto per non commettere nuovamente gli errori compiuti in situazioni analoghe, come per esempio con la Turchia;

    28) preoccupa altresì l'ulteriore e allarmante regressione in atto nei settori della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in Turchia, preoccupazione condivisa anche dal Consiglio nelle proprie conclusioni sull'allargamento e sul processo di stabilizzazione e di associazione del 13 dicembre 2022 e dal Parlamento europeo nella risoluzione sulla relazione con la Turchia del 2022;

    29) il persistente deterioramento della situazione dei diritti umani in Turchia, la sistematica mancanza di indipendenza della magistratura e le indebite pressioni a cui è sottoposta hanno continuato a essere motivo di profonda preoccupazione, così come le continue pressioni legali e amministrative sulla società civile, nonché le restrizioni, le incarcerazioni e le altre misure in atto a danno di giornalisti, accademici, politici, avvocati, difensori dei diritti umani, utenti dei social media e altri;

    30) permane la necessità di un ben più forte impegno da parte di Ankara nel rispetto dei diritti umani fondamentali, compresi i diritti delle donne, dello stato di diritto e dei valori europei, a partire dalla richiesta di rientro nella Convenzione di Istanbul e della ferma condanna per la repressione sistematica di molte voci dell'opposizione,

impegna, quindi, il Governo,
in sede europea:

   1) in relazione al conflitto russo-ucraino:

    a) a profondere il massimo sforzo sul piano diplomatico, in sinergia con gli altri Paesi europei, per l'immediata cessazione delle operazioni belliche con iniziative multilaterali o bilaterali utili a una de-escalation militare, portando il nostro Paese a farsi capofila di un percorso di soluzione negoziale del conflitto che non lo impegni in ulteriori forniture di materiali di armamento, per il raggiungimento di una soluzione politica in linea con i principi del diritto internazionale;

    b) a rappresentare l'esigenza di vincolare il contributo del contingente nazionale impiegato nella missione EUMAM Ucraina esclusivamente all'interno del territorio degli Stati membri, nonché ad astenersi dall'assumere qualsivoglia indirizzo politico qualora, ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 5, della Decisione (PESC) 2022/1968 del Consiglio del 17 ottobre 2022, il Consiglio decida di autorizzare EUMAM Ucraina ad operare al di fuori del territorio degli Stati membri, in assenza di un preventivo passaggio parlamentare volto alla sua definizione;

    c) ad assicurare pieno sostegno e solidarietà al popolo ucraino e alle sue istituzioni, intensificando, con urgenza, anche a seguito alla distruzione di infrastrutture critiche ucraine da parte della Russia, tutte le azioni necessarie per continuare a fornire assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di protezione civile all'Ucraina, incluse le necessarie misure di accoglienza per le persone in fuga dalla crisi bellica, con particolare attenzione alle esigenze dei soggetti minori, anche al fine di assicurare la tutela dei diritti loro riconosciuti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e alle esigenze dei soggetti più fragili, tra cui anziani e disabili;

    d) ad intraprendere tutte le azioni necessarie atte a scongiurare la distrazione delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza a favore del co-finanziamento dell'industria della difesa, in particolare per la produzione di armamenti, considerato che tali fondi rappresentano lo strumento principale di ripresa e rilancio dell'economia del Paese provato dalla recente pandemia e non uno strumento di supporto ad una economia di guerra;

   2) in materia di gestione dei flussi migratori:

    a) a sostenere, nelle more dell'approvazione del nuovo Patto europeo sulla migrazione, il superamento dell'attuale disciplina della gestione dei flussi migratori, basata su uno strumento, il Regolamento di Dublino, penalizzante per i paesi di primo approdo come l'Italia, per arrivare ad una redistribuzione con quote obbligatorie di migranti per tutti gli Stati europei;

    b) con riguardo alle operazioni di salvataggio in mare, sia in condizioni di particolare emergenza che in condizioni ordinarie, in particolare per quel che riguarda il soccorso a imbarcazioni di migranti, a lavorare per un cambio di prospettiva che miri a considerare frontiere europee le frontiere marittime, in modo da assicurare una gestione più stabile e più solidale tra Stati Membri di coloro che arrivano nel territorio dell'Unione europea dopo essere stati salvati in mare;

    c) a rafforzare la cooperazione dell'Unione europea con le Nazioni Unite, in particolare con l'UNHCR e con l'OIM, per incentivare corridoi umanitari sicuri per l'arrivo in territorio europeo al fine di garantire l'assistenza umanitaria necessaria e il rispetto dei diritti umani dei migranti;

   3) in relazione alla governance economica:

    a) nell'ambito del processo di riforma in corso delle regole fiscali del Patto di stabilità e crescita, a lavorare per il superamento degli ormai irrealistici parametri quantitativi del 3 per cento e del 60 per cento, privi di una reale giustificazione economica e spesso oggetto di critiche, con il conseguente superamento della fase preventiva e quella correttiva del PSC, la cui applicazione si è dimostrata a più riprese incoerente, e garantire altresì, per quanto di competenza, un'applicazione omogenea della procedura per gli squilibri macroeconomici, al fine di affrontare adeguatamente il fenomeno della pianificazione fiscale aggressiva e gli eccessivi surplus di specifici Stati membri, prevedendo, inoltre, percorsi di rientro dal debito realistici che tengano conto delle specificità degli Stati membri e del loro quadro macroeconomico complessivo e, inoltre, superando l'utilizzo prevalente di indicatori non osservabili come il saldo strutturale, al fine di ancorare la sorveglianza macroeconomica a indicatori direttamente osservabili e misurabili;

    b) conseguentemente, a disegnare una strategia complessiva di riforma della nuova architettura dell'Unione europea più favorevole alla crescita economica, finalizzata a rendere le norme sul debito più semplici, più applicabili e concepite per sostenere le priorità politiche per la doppia transizione verde e digitale, con adeguati investimenti pubblici e privati, in senso coerente con l'interesse dell'Italia, opponendosi a qualsiasi meccanismo che implichi una ristrutturazione automatica del debito pubblico e che finisca per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti ed automatici, con sostanziale esautorazione del potere di elaborare in autonomia politiche economiche efficaci;

    c) a non disperdere l'esperienza positiva del dispositivo di ripresa e resilienza nella nuova architettura della politica di bilancio europea, trasformando il programma NGEU in uno strumento permanente, da finanziare attraverso il bilancio europeo con la conseguente istituzione di nuove fonti di entrate nella forma di risorse proprie dell'Unione europea e l'inclusione dell'emissione di debito comune europeo come strumento stabile, finalizzati a sostenere l'impegno comune per il rafforzamento degli investimenti nella produzione di «beni pubblici» che consentano di rispondere al meglio alle esigenze concordate a livello europeo, come ricerca innovazione, sicurezza e transizione energetica, al fine di assicurare all'Unione europea un proprio spazio fiscale autonomo, capace di avviare una politica economica anti-ciclica; nonché prevedere lo scorporo dal calcolo del deficit di determinate categorie di investimenti pubblici nazionali produttivi, che sono ostacolati dall'attuale quadro di bilancio – tra cui quelli green, quelli destinati alle energie rinnovabili e ai beni pubblici europei – e lo scorporo del debito anomalo e non strutturale accumulato a causa dell'emergenza legata al COVID-19, prevedendo la sua perennizzazione attraverso i reinvestimenti del programma di acquisto di titoli Pepp, o in ogni caso tramite l'individuazione di un percorso di rientro ad hoc;

   4) in materia di relazioni esterne tra l'Unione europea e i Paesi terzi:

    a) con riguardo alla Tunisia, a sostenere il processo di democratizzazione e sviluppo del Paese e a riconoscere l'importanza di favorirne la ripresa economica e sociale attraverso l'assistenza e gli aiuti necessari, ribadendo la necessità che tale sostegno – in collaborazione con l'Unione europea e le organizzazioni internazionali – sia accompagnato da una ferma condizionalità riguardo al rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e della democrazia, per affrontare e gestire i flussi migratori in modo umano e rispettoso dei diritti fondamentali;

    b) in merito alla Turchia, ad esprimere profonda preoccupazione per la situazione in atto nel Paese e a sollecitare l'urgenza di un'inversione di tali tendenze negative per far sì che si creino le necessarie condizioni democratiche in materia di diritti umani e libertà fondamentali, rispetto del diritto internazionale e relazioni di buon vicinato, al fine di garantire un ambiente stabile, sicuro e cooperativo nel Mediterraneo orientale, nel pieno rispetto del diritto internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite;

    c) a sostenere un'agenda positiva con la Turchia, condizionata all'impegno turco a dialogare costruttivamente con Bruxelles anche in materia di diritti umani, a partire dalla richiesta di rientro nella Convenzione di Istanbul; inoltre, a valutare di preservare, nel quadro del rigoroso rispetto dei valori europei – in particolare sulla tutela delle minoranze e delle opposizioni – gli spazi politici per collaborazioni in settori strategici a partire dal clima, la salute, le migrazioni, le crisi regionali e la lotta contro il terrorismo.
(6-00040) «Scerra, Francesco Silvestri, Baldino, Bruno, Gubitosa, Lomuti, Onori, Pellegrini, Scutellà».


   La Camera,

   premesso che:

    1) nel prossimo Consiglio europeo del 29 e 30 giugno 2023, i capi di Stato e di Governo esamineranno importanti questioni inerenti al conflitto russo/ucraino, alla politica industriate, alla competitività e all'economia, alla sicurezza e difesa, alla migrazione, alle relazioni esterne e ad altri punti;

    2) il Consiglio europeo farà nuovamente il punto sulla guerra di aggressione da parte della Russia nei confronti dell'Ucraina, a pochi giorni dalla distruzione della diga idroelettrica di Kakhovka, avvenuta il 6 giugno scorso, che ha provocato la devastazione dei territori circostanti, l'evacuazione di decine di migliaia di persone, e rischi per la sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia;

    3) il Consiglio europeo ha costantemente ribadito la ferma condanna della guerra di aggressione da parte della Russia nei confronti dell'Ucraina e il pieno sostegno dell'Unione europea, per tutto il tempo necessario, all'indipendenza, sovranità e integrità territoriale dell'Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale, come pure al suo diritto naturale di autotutela in linea con la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale;

    4) il 21 giugno scorso è stato raggiunto l'accordo politico tra gli Stati membri dell'Unione europea sull'adozione dell'undicesimo pacchetto di sanzioni economiche ed individuali predisposto dalla Commissione europea per indebolire la base economica e la capacità bellica della Russia, con restrizioni alle esportazioni più severe e l'introduzione di un nuovo meccanismo per combattere l'aggiramento delle misure restrittive precedentemente adottate;

    5) per il sostegno umanitario ai civili colpiti e alle persone in fuga dalla guerra in Ucraina, l'Unione europea ha adottato misure sia di protezione civile che finanziarie, stanziando risorse e consentendo una maggiore flessibilità nell'uso dei fondi della politica di coesione; inoltre, dando attuazione alla direttiva 2001/55/CE sulla protezione temporanea a seguito dell'afflusso massiccio di sfollati, l'Unione europea ha previsto un meccanismo di emergenza per la protezione immediata e collettiva dei rifugiati;

    6) secondo i dati aggiornati costantemente dall'Unhcr, al 19 giugno, il numero di rifugiati ucraini in Europa ammonta a 5.958.800, di cui 183.685 giunti in Italia;

    7) a quanto detto si aggiungano i recenti sviluppi legati all'avanzata delle milizie mercenarie Wagner fino alle porte di Mosca senza incontrare resistenza da parte dell'esercito regolare russo e fermata solo a seguito dell'accordo negoziato dal Presidente bielorusso Lukašénka con Prigozhin, sviluppi che rendono l'equilibrio interno alla Federazione russa particolarmente instabile ed esposto a rischi che potrebbero comportare ricadute ulteriori sul conflitto ucraino;

    8) dallo scorso marzo, è stato incrementato a circa 8 miliardi di euro per il periodo 2021-2027 il massimale finanziario dell'European peace facility (EPF), lo strumento fuori bilancio istituito dall'Unione europea per finanziare i costi comuni delle missioni e operazioni nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) e l'azione dell'Unione europea a favore di Paesi terzi e di organizzazioni regionali o internazionali, attraverso il quale possono essere rimborsate dall'Unione europea le forniture militari da parte degli Stati membri all'Ucraina;

    9) nel novembre 2022, la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione contenente i propri orientamenti sulla revisione della governance economica europea; il 14 marzo 2023, il Consiglio «Economia e finanza» ha pubblicato le proprie conclusioni sulla revisione della governance economica e il 26 aprile 2023 la Commissione ha pubblicato due proposte di regolamento e una proposta di direttiva, orientate a superare alcune problematiche emerse negli anni, a rafforzare la sostenibilità del debito e a promuovere la crescita sostenibile, attraverso i pilastri di prudenza di bilancio, investimenti e riforme, equilibrio macroeconomico, con un quadro di norme più semplice e trasparente e una concreta differenziazione nell'applicazione delle regole medesime tra i diversi Paesi;

    10) le principali novità del quadro di governance economica proposto dalla Commissione, fermi restando i valori di riferimento del trattato, ossia il 3 per cento per il rapporto tra il disavanzo pubblico previsto o effettivo e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato e il 60 per cento per il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato, sono: a) il passaggio da un orizzonte temporale di un anno a uno pluriennale tramite l'introduzione dei quadri di bilancio strutturali a medio termine, che contengono informazioni relative, in particolare, alla traiettoria della spesa primaria netta su un orizzonte di almeno 4 anni, le assunzioni macroeconomiche sottostanti e le misure di bilancio strutturali programmate per dimostrare la compatibilità con gli obiettivi di riduzione del debito e del mantenimento del deficit sotto al 3 per cento del Pil nonché l'attuazione di riforme e investimenti, sia in ambito semestre europeo che Pnrr; b) la soppressione degli obiettivi di medio termine (OMT), dei programmi di stabilità e di convergenza; c) la previsione di un singolo indicatore operativo, superando ogni riferimento al ciclo economico, al Pil potenziale e all'output gap; d) un migliore coordinamento tra il braccio preventivo del patto e la procedura per gli squilibri macroeconomici e la procedura di sorveglianza rafforzata; e) l'individuazione di sfide di debito differenziate per Paese, su cui si basa la traiettoria tecnica di aggiustamento, proposta dalla Commissione europea con una maggiore discrezionalità rispetto al presente, basandosi anche sulle proprie analisi di sostenibilità del debito; f) un ruolo maggiore delle istituzioni fiscali indipendenti; g) la riduzione delle sanzioni pecuniarie verso gli stati inadempienti; h) nell'ambito dei quadri di bilancio a medio termine, gli stati membri sono chiamati ad indicare informazioni relative a riforme e investimenti e valutazioni sulla crescita sostenibile, tenendo conto anche dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici; i) l'aggiornamento dei riferimenti alle più recenti norme di contabilità e aggiornamento delle disposizioni sulla revisione delle norme proposte;

    11) lo scorso 16 giugno il Consiglio Ecofin ha proceduto a uno scambio di opinioni sulla proposta di riforma. In occasione della riunione, sono emerse diverse posizioni e giudizi sul contenuto delle proposte. Da un lato, è emersa una posizione che prefigura una riforma della governance economica maggiormente incentrata su percorsi di riduzione del debito più vincolanti e uguali per tutti, basati su indicatori affidabili, trasparenti e facilmente misurabili, su maggiore concentrazione sul breve termine per evitare i rischi di una focalizzazione sul medio termine e sull'eccessiva discrezionalità attribuita alla Commissione europea nella sorveglianza degli Stati membri e sull'individuazione degli obiettivi per ciascuno. Dall'altro, è emersa una posizione di pieno sostegno delle proposte della Commissione;

    12) l'interesse del nostro Paese è che nelle conclusioni del prossimo Consiglio europeo sia previsto un chiaro indirizzo a portare avanti il lavoro sulla revisione della governance economica nell'ottica di concludere il lavoro legislativo nel 2023. A tal fine, dall'Italia deve emergere con chiarezza una posizione di pieno sostegno alle proposte della Commissione europea proponendo ulteriori miglioramenti alla stessa, tra cui in primo luogo la possibilità di non considerare nel computo della spesa netta alcune spese per riforme o per investimenti, in particolare quelli per la transizione verde e digitale, per il contrasto del dissesto idrogeologico e del cambiamento climatico;

    13) a tale iniziativa occorre aggiungere elementi che rivestono una grande importanza per il nostro Paese, tra cui la necessità di disporre di una capacità fiscale dell'eurozona capace di intervenire in circostanze eccezionali e con condizionalità ragionevoli e la necessità di avere uno strumento per il sostegno e la promozione degli investimenti;

    14) è necessario, altresì, in un contesto di crisi, come quella in corso nei sistemi bancari americano e svizzero, preservare la stabilità finanziaria dell'Unione europea, e della zona euro e garantire la resilienza del sistema bancario europeo, attraverso il rafforzamento dell'unione bancaria e il completamento della riforma del Mes, attraverso la ratifica da parte dell'Italia dell'accordo modificativo del trattato istitutivo;

    15) per garantire all'Europa il ruolo di patria dell'innovazione industriale e della tecnologia pulita, il piano industriale del Green deal si fonda su quattro pilastri fondamentali: un ambiente normativo prevedibile e semplificato; un accesso semplificato ai finanziamenti; il potenziamento delle competenze; un commercio aperto per filiere resistenti. Al fine di raggiungere gli obiettivi del piano, è intenzione della Commissione europea di agevolare l'uso dei fondi dell'Unione europea esistenti per finanziare l'innovazione, la produzione e la diffusione di tecnologie pulite, con particolare attenzione a REPowerEu, InvestEu e Fondo per l'innovazione, affiancando a questi l'istituzione di un fondo di sovranità europeo, denominato Step, come risposta strutturale a medio termine alle esigenze di investimento, sicurezza ed autonomia, e in particolare per rispondere alla concorrenza internazionale sul fronte dell'approvvigionamento di materie rare e materiali essenziali per costruire prodotti ad alta tecnologia, nonché per aiutare le imprese ad affrontare meglio la transizione ecologica prevista dal Green deal;

    16) a distanza di qualche mese dal naufragio di Cutro e solo qualche giorno prima della tragedia che si è consumata al largo di Pylos, oltre 80 morti e 600 dispersi, dopo lunghi anni in cui si è assistito ad un nulla di fatto, nel Consiglio affari interni dell'8 giugno scorso è stato raggiunto con un voto a maggioranza qualificata (con i voti contrari di Polonia e Ungheria, e l'astensione di Malta, Lituania, Slovacchia e Bulgaria) un accordo per la riforma del Patto per la migrazione e l'asilo;

    17) l'accordo definisce la posizione negoziale del Consiglio, che si confronterà con il Parlamento europeo per il nuovo, definitivo, impianto normativo, e il Governo italiano, che pure ha rotto il fronte sovranista, è intento a salutarlo come una propria grande affermazione, senza considerare i problemi che esso non risolve, ed anzi amplifica, e la gravità delle conseguenze che comporterà per la tutela della vita e dei diritti umani dei migranti;

    18) l'accordo rimane sul piano del contrasto alle migrazioni e del rafforzamento delle frontiere esterne, senza tuttavia raggiungere veri risultati sui ricollocamenti obbligatori e, soprattutto, sulle vie legali per la migrazione e l'ingresso, e senza vere risorse né per l'accoglienza né per le ricollocazioni, come era stato invece prefigurato in marzo da Ursula von der Leyen;

    19) l'accordo rafforza anzi le responsabilità a carico dei Paesi di primo ingresso, fino a 24 mesi dai 12 oggi previsti, non superando l'impianto e le problematiche recate dal regolamento di Dublino, senza garantire una diffusa solidarietà a livello europeo per i ricollocamenti; il meccanismo previsto stabilisce solamente l'aspetto economico della compensazione, con il pagamento di un «contributo finanziario» di 20 mila euro per ogni migrante non accolto del numero davvero risibile di migranti da ricollocare annualmente a livello europeo, e con un tetto massimo per ogni Paese; tali risorse andranno a confluire in un fondo per azioni in Paesi terzi, con l'unico evidente scopo di cercare di frenare le partenze, anche laddove ciò significa esporre i migranti alla violazione dei loro diritti umani, a ulteriori forme di violenza o alla morte;

    20) è poi proposta una procedura accelerata di riconoscimento o diniego dell'asilo alla frontiera da esaminare da parte del Paese di primo ingresso, il che significa comprimere i diritti dei migranti e le garanzie a loro difesa, soprattutto perché coloro cui non dovesse essere riconosciuto l'asilo potranno essere rimpatriati non solo nei Paesi d'origine, ma anche essere trasferiti nei cosiddetti «Paesi terzi sicuri», Paesi di transito o altri che abbiano «forme di connessione» con i migranti; una definizione, questa, frutto di un compromesso al ribasso alle spalle dei migranti, dal momento che è lasciato ai singoli Stati di ingresso ampio margine per stabilire i «criteri di connessione» ed individuarli: ad esempio, per l'Italia un Paese come la Tunisia, con la sua politica xenofoba nei confronti dei migranti subsahariani, le violenze perpetrate, la compressione dei diritti umani, sarà di certo individuato come Paese terzo sicuro;

    21) manca infine ogni previsione di corridoi umanitari, che permettano ai migranti vie di accesso sicure e legali che non li esponga ai rischi, e di operazioni europee di «search & rescue» per garantire che non si ripetano più con tale frequenza tragici naufragi nel Mediterraneo;

    22) considerato per intero, l'accordo per la riforma del Patto per la migrazione e l'asilo rischia di mettere a repentaglio il diritto alla protezione internazionale dei migranti, di potenziare ulteriormente il ruolo dei trafficanti di esseri umani e di aumentare il numero degli immigrati illegali, senza con ciò superare le questioni con cui l'Italia si confronta, ovvero la gestione degli ingressi, il mancato superamento della questione dei «dublinanti», l'assenza di una strutturale politica di solidarietà a livello europeo;

    23) i sei Paesi dei Balcani occidentali ancora non Unione europea – Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia – sono al centro del processo di integrazione dell'area, costituiscono diretto e strategico interesse dell'Italia e, come dichiarato dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al GlobSec 2023 Bratislava Forum, è necessario «avvicinarli al mercato unico dell'Unione europea, approfondire l'integrazione economica regionale, accelerare le riforme fondamentali e aumentare i fondi di pre-adesione»; una rapida e solida adesione è nell'interesse dell'Italia e dell'Unione europea, al fine di garantire una maggiore sicurezza per l'intero continente, in materia di contrasto alle attività della criminalità organizzata, alle minacce terroristiche, e gestione dei fenomeni migratori; la stabilizzazione dei Balcani occidentali è, altresì, presupposto per il contenimento dell'influenza di potenze come la Cina, la Russia, ma anche la Turchia e alcuni Paesi arabi;

    24) i Balcani occidentali rappresentano economie dall'alto potenziale di sviluppo e, nonostante l'afflusso di capitali cinesi, l'Unione europea ne rimane il principale partner economico, con il 70 per cento degli investimenti diretti esteri totali e l'81 per cento delle esportazioni; il vertice Ue-Balcani occidentali dello scorso dicembre 2022 a Tirana ha deciso lo stanziamento di un pacchetto da 1 miliardo di euro, finanziato attraverso lo strumento di assistenza pre-adesione, che si stima mobiliterà in tutto 2,5 miliardi di euro in investimenti per ridurre l'impatto della crisi energetica e accelerare la transizione energetica dalle fonti fossili russe;

    25) particolare allarme desta la situazione venutasi a creare in Tunisia a seguito degli atti di violenta repressione attuati dal Presidente, Kaïs Saïed che, in meno di due anni, ha concentrato sempre più potere nelle proprie mani fino ad arrivare alla promulgazione di una nuova Costituzione dai tratti fortemente autoritari. L'Autorità nazionale anticorruzione (Inlucc), il Consiglio superiore della magistratura sono stati sciolti e numerosi magistrati licenziati;

    26) dal febbraio del 2023 è in corso una nuova ondata di arresti che sta colpendo diversi esponenti politici dell'opposizione, giornalisti, avvocati, sindacalisti, attivisti ed esponenti vari della società civile; arresti accompagnati da una campagna gravemente xenofoba e senza precedenti contro i migranti sub sahariani, accusati di programmare una «sostituzione etnica»;

    27) a quanto detto si aggiunga la pesante congiuntura economica che il Paese si trova a vivere: inflazione al 10 per cento, tasso di disoccupazione superiore al 15 per cento, debito pubblico che sfiora il 100 per cento e un prestito da due miliardi di dollari congelato da diversi mesi a causa del rifiuto opposto dal Presidente Saïed alla richiesta di riforme del Fondo monetario internazionale quale condizione necessaria per la concessione dei predetti fondi;

    28) tuttavia, gli incontri che la Presidente del Consiglio ha avuto in questi mesi con il Presidente tunisino sono stati orientati dalla sola preoccupazione legata al contrasto dei flussi migratori, nonostante le ripetute richieste avanzate dal Gruppo Partito Democratico in entrambe le Camere, affinché il Governo italiano si adoperi di concerto con i partner europei per un pieno ripristino delle garanzie democratiche;

    29) il 17 e 18 luglio prossimi si svolgerà a Bruxelles il prossimo vertice Unione europea-Celac, finalizzato a rinnovare e a rinforzare il partenariato e sostenere politiche per uno sviluppo inclusivo, equo e sostenibile, la cooperazione nei settori della sicurezza, dell'energia, della salute, dell'innovazione, della lotta ai cambiamenti climatici e della promozione e tutela dei diritti umani, nonché la maggiore integrazione dei sistemi produttivi e delle catene di valore, in particolare delle materie prime e delle materie prime critiche, rinforzando gli scambi e gli investimenti;

    30) il Consiglio europeo discuterà delle relazioni con la Cina, dopo che il 20 giugno la Commissione europea ha presentato una comunicazione dedicata alla sicurezza economica, che fa seguito a quanto emerso al vertice del G7 di Hiroshima del maggio scorso e al discorso tenuto il 31 marzo dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen sullo stato attuale e sul futuro delle relazioni tra Cina e Unione europea,

impegna il Governo:

   1) continuare a garantire, anche alla luce dei recenti avvenimenti verificatisi in Russia, pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessarie, anche al fine di assicurare il diritto all'autodifesa dell'Ucraina secondo quanto previsto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, confermando il ruolo dell'Italia nel quadro delazione multilaterale, a partire dall'unione europea e dall'Alleanza Atlantica, rispetto alla grave, inammissibile ed ingiustificata aggressione russa;

   2) ribadire la ferma condanna degli attacchi sui civili e sulle infrastrutture del Paese, e in particolare per la recente distruzione della diga di Kakhovka, e il disastro umanitario, ecologico ed economico che ne è conseguito;

   3) ad adoperarsi, in sede europea e internazionale, per l'immediata cessazione delle operazioni belliche e il ritiro delle forze militari russe che illegittimamente occupano il suolo ucraino, e per l'avvio di una soluzione diplomatica volta al raggiungimento di una pace giusta e duratura, basata sul rispetto della indipendenza, della sovranità e integrità territoriale dell'Ucraina;

   4) a sostenere il regime sanzionatorio adottato dall'Unione europea e ad assicurarne la piena attuazione da parte dell'Italia, con particolare riferimento ai controlli anti-elusione sui soggetti non russi previsti dal nuovo pacchetto di sanzioni;

   5) a garantire l'attuazione delle misure previste per i rifugiati ucraini, in particolare l'applicazione del meccanismo di emergenza in caso di afflussi straordinari, adottato dall'Unione europea nel marzo 2022 e prolungato fino al 4 marzo 2024;

   6) a consentire l'ulteriore rafforzamento dello strumento dell'European peace facility, al fine di accrescere la capacità dell'Unione europea in materia di sicurezza e difesa, e contribuire al perseguimento della pace, della stabilità e della sicurezza internazionali;

   7) ad attivarsi nelle sedi istituzionali Unione europea affinché la revisione della governance economica europea proposta dalla Commissione europea sia positivamente portata a termine entro la fine del 2023, evitando per tale via ogni rischio sottostante la riattivazione dei parametri del vigente Patto di stabilità e crescita, che obbligherebbe il nostro Paese a pesanti correzioni di bilancio;

   8) a rafforzare il pacchetto di proposte di revisione della governance economica europea elaborate dalla Commissione europea, di cui si condivide il contenuto, finalizzando la propria azione ad assicurare, in particolare, che alcune spese per riforme o per investimenti non siano considerate nel computo della spesa netta, in particolare quelle per la transizione verde e digitale, per il contrasto del dissesto idrogeologico e del cambiamento climatico; ad adoperarsi affinché nella revisione della governance economica europea siano, altresì, previste: l'introduzione di ogni misura necessaria a superare il rigido impianto del precedente Patto al fine di perseguire con maggiore efficacia e strumenti l'obiettivo della crescita sostenibile; la previsione di una maggiore flessibilità per i piani nazionali e la possibilità di revisione degli stessi in particolare nel caso intervengano modifiche dei parametri alla base dell'analisi di sostenibilità del debito, tra cui l'inflazione, così da rendere le regole capaci di adattarsi a contesti economico-finanziari mutevoli; la definizione di stabilizzatori automatici che tengano conto delle specificità nazionali anche al fine di garantire una componente anticiclica automatica sufficientemente adeguata; la costituzione di una capacità fiscale dell'eurozona che permetta di intervenire in circostanze eccezionali e con condizionalità ragionevoli e, parallelamente, prevedere di rafforzare gli strumenti comuni su temi di interesse dell'Unione europea; la previsione di meccanismi di coordinamento delle politiche fiscali in modo da evitare che processi di aggiustamento determinino effetti depressivi sull'economia dello Stato membro e più in generale dell'Unione; la possibilità di scorporare il debito accumulato a causa di emergenze o eventi eccezionali, prevedendo in tal caso un percorso di rientro specifico;

   9) ad agire in sede europea al fine di garantire, in tempi rapidi ed entro un quadro normativo semplice e chiaro, l'istituzione del Fondo per la sovranità europea, con l'attribuzione allo stesso di una dotazione di risorse adeguata e in grado di garantire una efficace politica di investimenti sostanziali, concentrando le risorse nei settori strategici e in particolare per la duplice transizione verde e digitale;

   10) a favorire, attraverso ogni adeguata iniziativa, l'accelerazione del processo di attuazione dall'unione dei mercati dei capitali;

   11) a porre in essere ogni utile azione a livello europeo al fine di rivedere, nell'ambito della riforma del Patto su migrazione e asilo, le questioni chiave con cui l'Italia si confronta, ovvero il mancato superamento della logica di Dublino della responsabilità dei Paesi di primo ingresso, la mancanza di un meccanismo strutturale di solidarietà a livello europeo per i ricollocamenti, la gestione degli ingressi, e quelle che mettono a repentaglio la vita e i diritti dei migranti, a partire dalla procedura semplificata per l'esame delle domande d'asilo e l'individuazione dei Paesi terzi sicuri che non tenga in dovuta considerazione la tutela di coloro che vengono respinti;

   12) a riaffermare il dovere di accoglienza e protezione degli esseri umani quale cardine dell'appartenenza all'Unione europea, garantire la rapida creazione di corridoi umanitari, l'assistenza umanitaria e il rispetto dei diritti umani nella gestione migratoria regolare, nonché la certezza di operazioni search & rescue nel Mediterraneo che permettano di scongiurare la tragica perdita di vite umane in mare;

   13) ad adoperarsi in sede europea, ed agire anche in coordinamento con i Paesi dell'Unione europea, dell'area, al fine di intensificare l'azione puntuale sui punti più caldi a rischio di crisi dei Balcani occidentali, a partire dal rapporto tra il Kosovo e la Serbia, per favorire il compromesso e un accordo globale fino alla normalizzazione delle relazioni, dedicando uguale impegno politico ed economico alla Bosnia, di cui l'Italia è stata primario sponsor per l'adesione all'Unione europea;

   14) a sostenere e favorire l'implementazione della Strategia europea per la Macroregione Adriatico e Ionica (Eusair), al cui interno l'Italia è co-coordinatore insieme alla Serbia e alla Repubblica della Macedonia del Nord del Pilastro 2 «Connecting the Region», focalizzato sui trasporti e le reti energiche, alla luce del ruolo cruciale che sta giocando il mare Adriatico in questo momento storico dal punto di vista logistico e geopolitico;

   15) ad adoperarsi con i partner europei affinché cessi la repressione in atto in Tunisia e sia garantito il ripristino di ogni forma di garanzia democratica, nonché il rilascio di tutti i prigionieri politici;

   16) a favorire nelle sedi europee l'intensificarsi delle relazioni con la Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici, in vista del rafforzamento della cooperazione nei settori critici della sicurezza globale, e della maggiore integrazione dei mercati e degli investimenti, dei sistemi produttivi e delle catene di valore, in particolare delle materie prime e delle materie prime critiche, favorendo per questa via pace e sviluppo sostenibile;

   17) a promuovere una riflessione sulle relazioni tra l'Unione europea e la Cina, anche chiarendo la propria posizione circa il rinnovo del Memorandum d'intesa tra l'Italia e la Cina del «Bett and Road Initiative», al fine di delineare una strategia comune europea volta a favorire relazioni commerciali ed economiche equilibrate, nell'ottica di una necessaria cooperazione con la Cina per affrontare le sfide globali, in primo luogo i cambiamenti climatici e la transizione verde e digitale.
(6-00041) «Braga, De Luca, Provenzano, Amendola, Boldrini, Iacono, Letta, Madia, Porta, Quartapelle Procopio».


   La Camera,

impegna il Governo:

   1) continuare a garantire, anche alla luce dei recenti avvenimenti verificatisi in Russia, pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessarie, anche al fine di assicurare il diritto all'autodifesa dell'Ucraina secondo quanto previsto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, confermando il ruolo dell'Italia nel quadro delazione multilaterale, a partire dall'unione europea e dall'Alleanza Atlantica, rispetto alla grave, inammissibile ed ingiustificata aggressione russa;

   2) ribadire la ferma condanna degli attacchi sui civili e sulle infrastrutture del Paese, e in particolare per la recente distruzione della diga di Kakhovka, e il disastro umanitario, ecologico ed economico che ne è conseguito;

   3) ad adoperarsi, in sede europea e internazionale, per l'immediata cessazione delle operazioni belliche e il ritiro delle forze militari russe che illegittimamente occupano il suolo ucraino, e per l'avvio di una soluzione diplomatica volta al raggiungimento di una pace giusta e duratura, basata sul rispetto della indipendenza, della sovranità e integrità territoriale dell'Ucraina;

   4) a sostenere il regime sanzionatorio adottato dall'Unione europea e ad assicurarne la piena attuazione da parte dell'Italia, con particolare riferimento ai controlli anti-elusione sui soggetti non russi previsti dal nuovo pacchetto di sanzioni;

   5) a garantire l'attuazione delle misure previste per i rifugiati ucraini, in particolare l'applicazione del meccanismo di emergenza in caso di afflussi straordinari, adottato dall'Unione europea nel marzo 2022 e prolungato fino al 4 marzo 2024;

   6) a consentire l'ulteriore rafforzamento dello strumento dell'European peace facility, al fine di accrescere la capacità

dell'Unione europea in materia di sicurezza e difesa, e contribuire al perseguimento della pace, della stabilità e della sicurezza internazionali;

   7) ad attivarsi nelle sedi istituzionali Unione europea affinché la revisione della governance economica europea proposta dalla Commissione europea sia positivamente portata a termine entro la fine del 2023, evitando per tale via ogni rischio sottostante la riattivazione dei parametri del vigente Patto di stabilità e crescita, che obbligherebbe il nostro Paese a pesanti correzioni di bilancio;

   8) ad agire in sede europea al fine di promuovere, in tempi rapidi ed entro un quadro normativo semplice e chiaro, l'istituzione del Fondo per la sovranità europea, con l'attribuzione allo stesso di una dotazione di risorse adeguata e in grado di garantire una efficace politica di investimenti sostanziali, concentrando le risorse nei settori strategici e in particolare per la duplice transizione verde e digitale;

   9) a favorire, attraverso ogni adeguata iniziativa, l'accelerazione del processo di attuazione dall'unione dei mercati dei capitali;

   10) ad adoperarsi in sede europea, ed agire anche in coordinamento con i Paesi dell'Unione europea, dell'area, al fine di intensificare l'azione puntuale sui punti più caldi a rischio di crisi dei Balcani occidentali, a partire dal rapporto tra il Kosovo e la Serbia, per favorire il compromesso e un accordo globale fino alla normalizzazione delle relazioni, dedicando uguale impegno politico ed economico alla Bosnia, di cui l'Italia è stata primario sponsor per l'adesione all'Unione europea;

   11) a favorire nelle sedi europee l'intensificarsi delle relazioni con la Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici, in vista del rafforzamento della cooperazione nei settori critici della sicurezza globale, e della maggiore integrazione dei mercati e degli investimenti, dei sistemi produttivi e delle catene di valore, in particolare delle materie prime e delle materie prime critiche, favorendo per questa via pace e sviluppo sostenibile.
(6-00041)(Testo modificato nel corso della seduta) «Braga, De Luca, Provenzano, Amendola, Boldrini, Iacono, Letta, Madia, Porta, Quartapelle Procopio».


   La Camera,

   premesso che:

    1) il Consiglio europeo del 29 e 30 giugno avrà nuovamente al centro della discussione le evoluzioni del conflitto in Ucraina, il ruolo dell'Unione europea in questo scenario e più in generale la capacità di sicurezza e di difesa dell'Unione europea;

    2) la riunione del Consiglio europeo dovrebbe concentrarsi sulla situazione economica dell'Unione anche per quanto riguarda le modalità di rafforzamento della sicurezza e della resilienza economica nel contesto della conclusione del semestre europeo 2023;

    3) la presidenza del Consiglio e la Commissione europea informeranno il Consiglio europeo sui progressi compiuti nell'attuazione delle recenti conclusioni sulla migrazione;

    4) ribadisce la propria ferma condanna dell'aggressione russa in Ucraina che si pone in palese violazione del diritto internazionale e ha aperto uno scenario angosciante di insicurezza globale;

    5) prende atto del fatto che la fornitura di equipaggiamento militare all'Ucraina era stata considerata come uno strumento volto a determinare migliori condizioni negoziali. Guarda però con estrema preoccupazione al fatto che oggi di negoziato non si parli più. La ripetuta indisponibilità della Russia, così come l'inverosimile prospettiva che la soluzione del conflitto sia consegnata esclusivamente alla dimensione della vittoria militare agitata da più parti, richiede oggi più di prima una iniziativa diplomatica che metta al centro il ruolo politico attivo dell'Unione europea nella costruzione del cessate il fuoco e dell'avvio di un vero processo di pace, guarda invece con speranza all'iniziativa di pace promossa da Papa Francesco e affidata al cardinale Matteo Maria Zuppi e auspica che riceva il massimo sostegno internazionale;

    6) sottolinea la drammaticità della rimozione della parola «pace» dal discorso pubblico prevalente delle istituzioni europee e nota con preoccupazione che a questa corrisponde una sostanziale insufficienza degli sforzi diplomatici profusi fin qui dall'unione;

    7) ritiene che l'Unione europea debba invece assumere l'onere di una grande iniziativa diplomatica convocando una conferenza multilaterale per la pace e la sicurezza. Ricorda infatti che l'articolo 21 del Trattato sull'Unione europea definisce il compito di promuovere «soluzioni multilaterali ai problemi comuni, in particolare nell'ambito delle Nazioni unite», indicando anche l'obiettivo di «preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, conformemente agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite, nonché ai principi dell'Atto finale di Helsinki»;

    8) considera importante valorizzare e sostenere ogni sforzo diplomatico perseguito da diversi Paesi terzi, ritiene che il necessario impegno europeo per un percorso di pace debba essere incardinato all'interno della rilegittimazione dei luoghi multilaterali dove poter ricercare soluzioni più avanzate e condivise che garantiscano un'effettiva sicurezza globale;

    9) considera che l'Unione europea debba costruire e rafforzare la propria autonomia strategica e che questa è determinata innanzitutto dalla capacità di una propria e autonoma iniziativa politica nelle relazioni internazionali ma anche dalla costruzione di un sistema di difesa europeo. Sottolinea a tal proposito che la decisione di aumentare la spesa militare al 2 per cento del PIL nel quadro di un impegno NATO oltre ad alimentare una ulteriore e pericolosa corsa agli armamenti, muove in una direzione opposta all'autonomia strategica dell'Unione e ad un sistema di difesa comune che, al contrario, dovrebbe comportare una razionalizzazione e riduzione della spesa militare complessiva;

    10) considera che l'implementazione dello Strategic Compass non risulta corrispondere alla costruzione di un sistema autonomo di sicurezza e difesa europeo, sia per carenza di reale autonomia politica sullo scenario geopolitico globale sia per il prevalere di una dimensione prettamente intergovernativa nella governance e nazionale nelle ricadute operative;

    11) valuta come particolarmente pericolosa la proposta della Commissione Act in Support of Ammunition Production (ASAP). Considera in particolare assai grave la possibilità per gli Stati membri di utilizzare risorse dei fondi di coesione o del PNRR per finanziare la produzione di missili e munizioni e ritiene inammissibile e indecente che ai fini della produzione di armamenti si possa derogare alle normative Ue in materia di orario di lavoro, di sicurezza e ambiente. Tale proposta risulta inoltre in palese violazione dell'articolo 41 del Trattato sull'Unione europea e lesivo degli obbiettivi e delle ambizioni politiche definite nel Quadro Finanziario Pluriennale dell'Unione europea e in Next Generation EU;

    12) considera insufficiente la proposta di riforma del Patto di Stabilità e Crescita proposta dalla Commissione europea. Constata infatti che l'attuale sistema di governance economica europea risulta inadeguato a fornire le risposte economiche necessarie in fasi di crisi. In particolare considera necessario prevedere lo scorporo dal calcolo degli investimenti strategici per la transizione ecologica e le politiche sociali. Ritiene urgente quindi lavorare per una riforma profonda della governance economica che superi anche l'impianto attuale, in modo da poter sostenere le necessarie politiche sociali, favorire scelte espansive e anticicliche e investimenti strategici;

    13) sottolinea che i livelli attuali e le previsioni di inflazione generano un quadro complessivamente allarmante che sta già colpendo in maniera consistente il potere di acquisto e le condizioni di vita di milioni di cittadini europei. La strategia della BCE di un costante rialzo dei tassi, da ultimo portati al 4 per cento al fine di raffreddare l'inflazione, si è rivelata inefficace e ha prodotto un aumento considerevole dei tassi di interesse su famiglie e imprese, rischiando di contribuire ad una fase di recessione economica senza riuscire ad abbassare sensibilmente l'inflazione. Ritiene, pertanto, che la risposta a questa situazione non può essere affidata alle sole politiche monetarie della Banca Centrale Europea ed evidenzia l'urgenza di azioni volte a incrementi sostanziali di salari e pensioni;

    14) esprime infatti profonda preoccupazione per il crescere esponenziale della povertà in Europa. Ricorda che nel 2021 erano 95.4 milioni (il 21.7 per cento della popolazione) le persone a rischio povertà ed esclusione sociale in Europa;

    15) constata di contro che a partire dal 2020 l'1 per cento più ricco della popolazione si è accaparrato quasi i due terzi della ricchezza prodotta. Deplora la diffusione di pratiche elusive dei doveri fiscali, agevolate spesso da accordi e politiche di ribasso fiscale messe in campo da diversi Paesi. Considera quindi urgente introdurre un'imposta progressiva sulle grandi ricchezza volta a ridurre le disuguaglianze e finanziare gli investimenti necessari per la transizione ecologica e le politiche sociali;

    16) considera che l'accordo raggiunto in Consiglio Affari interni sul «Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo» contiene misure ancora largamente insufficienti ed errate, queste si concentrano infatti principalmente sulla riduzione dell'arrivo dei migranti in Europa e sulla facilitazione dei ritorni nei loro paesi d'origine, mentre sarebbe fondamentale rafforzare e definire canali sicuri e legali per la migrazione. Ritiene urgente mettere in campo un nuovo approccio basato sui principi di solidarietà e di responsabilità condivisa;

    17) ritiene che i naufragi e le morti di migranti nel Mar Mediterraneo siano una tragedia epocale alla quale abbiamo la responsabilità di porre fine: ricorda che il salvataggio in mare è un obbligo legale ai sensi del diritto internazionale, in particolare ai sensi dell'articolo 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che richiede l'assistenza a qualsiasi persona in pericolo in mare; ritiene che sia necessaria una risposta permanente, solida ed efficace dell'Unione nelle operazioni di ricerca e salvataggio in mare, anche attraverso una missione dedicata dell'Unione europea al fine di prevenire ulteriori perdite di vite umane tra i migranti che tentano di attraversare il Mar Mediterraneo;

    18) sottolinea che l'esistenza di vie di accesso sicure e legali all'Ue è l'unica alternativa alla migrazione irregolare e deplora la mancanza di tali opportunità, anche per i richiedenti asilo e i rifugiati. Ritiene che un approccio basato su misure a breve termine per rafforzare il controllo delle frontiere e ridurre gli arrivi di migranti in Europa abbia portato a una drastica riduzione delle opportunità di migrazione legale, spingendo i migranti verso rotte più pericolose;

    19) ritiene che qualsiasi accordo con i Paesi di origine e di transito di migranti debba garantire la piena protezione delle vite umane, della dignità e dei diritti umani. Esprime profonda vergogna per il fatto che queste garanzie minime non siano effettivamente rispettate e che i migranti e i rifugiati debbano affrontare condizioni disumane di trasferimento e detenzione. Condanna gli abusi e le violazioni sistematiche dei diritti umani che colpiscono un gran numero di migranti e ricorda in particolare l'inaccettabile situazione nei centri di detenzione in Libia dove migliaia di persone sono sistematicamente sottoposte a detenzione arbitraria in condizioni disumane, torture e altri abusi, tra cui stupri, uccisioni e sfruttamento;

    20) ricorda che il rimpatrio dei migranti può avvenire solo in condizioni di sicurezza, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e procedurali dei migranti interessati e solo se il Paese in cui i migranti stanno per essere rimpatriati è considerato sicuro. Evidenzia da questo punto di vista eclatanti anomalie ad esempio per quanto riguarda il caso della Tunisia che vive oggi una clamorosa degenerazione delle garanzie democratiche e del rispetto dei diritti umani che non consentono di considerarla un partner affidabile;

    21) sarebbe opportuno e urgente che il prossimo Consiglio europeo affrontasse anche il tema della transizione ecologica, dello stato di avanzamento e di implementazione delle proposte dell'European Green Deal e anche in vista della prossima Conferenza UN sul Cambiamento Climatico, sul ruolo europeo nel ricercare soluzioni e impegni globali più stringenti. Ricordi infatti che gli impegni assunti finora rischiano di non essere sufficienti, che i cambiamenti climatici sono tra i principali fattori responsabili del degrado ambientale e producono effetti negativi sulla sicurezza alimentare e idrica e sull'accesso alle risorse naturali e danneggiano la salute umana. Sottolinea inoltre che la carenza idrica, le inondazioni e la siccità rappresentano rischi fondamentali per l'Europa e che la crisi climatica e quella della biodiversità rappresentano una delle principali minacce per l'umanità e che tutti i governi e gli attori a livello mondiale devono fare del proprio meglio per superarle urgentemente;

    22) constata che i cambiamenti climatici minacciano in maniera diretta o indiretta il pieno esercizio dei diritti umani, compresi i diritti alla vita, all'acqua e alle strutture igienico-sanitarie, al cibo, alla salute e all'abitazione che la capacità delle persone di adattarsi ai cambiamenti climatici è indissolubilmente legata al loro accesso ai diritti umani fondamentali e alla salute degli ecosistemi dai quali dipendono la loro sussistenza e il loro benessere. Ricorda che, secondo l'organizzazione internazionale per le migrazioni, oltre 200 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare a causa dell'impatto dei cambiamenti climatici e che la portata della migrazione climatica interna sarà maggiore nelle regioni più povere e più vulnerabili dal punto vista climatico,

impegna il Governo:

   1) a lavorare nell'ambito del Consiglio europeo per una forte iniziativa diplomatica dell'Unione per la richiesta di un cessate il fuoco e l'avvio di un processo di pace in un contesto multilaterale e ad investire quindi su un nuovo protagonismo dell'Unione europea per la pace, nel quadro di una sua effettiva autonomia strategica;

   2) a sospendere la fornitura nazionale di equipaggiamento militare ed evidenziare in Consiglio la necessità di interrompere anche il ricorso all'European Peace Facility a questo fine;

   3) a respingere la proposta Act in Support of Ammunition Production (ASAP) o in subordine ad eliminare ogni possibilità di utilizzo di fondi di coesione e dei PNRR e tutte le deroghe a normative fondamentali presenti nella proposta;

   4) a negoziare una più ambiziosa riforma del Patto di Stabilità e Crescita e della governance economica europea;

   5) ad avanzare in Consiglio europeo l'urgenza di una tassazione europea sulle grandi ricchezze volta a finanziare investimenti necessari per la lotta alla povertà e la transizione ecologica e sociale;

   6) ad adottare iniziative per rivedere profondamente l'accordo sul Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo e di lavorare per un nuovo approccio alle politiche migratorie basato sui principi di solidarietà e di responsabilità condivisa, per la creazione di vie legali sicure per la migrazione, per la creazione di una missione UE di salvataggio nel Mediterraneo e per la chiusura immediata di tutti gli accordi sulla gestione integrata delle frontiere con paesi terzi che non forniscono garanzie sufficienti sul rispetto dei diritti umani;

   7) ad adottare iniziative per interrompere urgentemente tutti gli accordi e le

relative missioni finalizzate al controllo dei flussi migratori in assenza delle opportune garanzie circa il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale;

   8) a porre in discussione al Consiglio europeo il tema della transizione ecologica, della necessità di accelerare l'avanzamento sulle previste dell'European Green Deal e di costruire un rafforzato impegno globale nella lotta al cambiamento climatico.
(6-00042) «Zanella, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Dori, Evi, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative relative al voto di condotta, anche al fine di tutelare l'autorevolezza del corpo docente e di ricomporre il patto educativo scuola-famiglia – 3-00493

   SASSO, MOLINARI, ANDREUZZA, ANGELUCCI, BAGNAI, BARABOTTI, BELLOMO, BENVENUTO, DAVIDE BERGAMINI, BILLI, BISA, BOF, BORDONALI, BOSSI, BRUZZONE, CANDIANI, CAPARVI, CARLONI, CARRÀ, CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, COIN, COMAROLI, CRIPPA, DARA, DI MATTINA, FORMENTINI, FRASSINI, FURGIUELE, GIACCONE, GIAGONI, GIGLIO VIGNA, GUSMEROLI, IEZZI, LATINI, LAZZARINI, LOIZZO, MACCANTI, MARCHETTI, MATONE, MIELE, MINARDO, MONTEMAGNI, MORRONE, NISINI, OTTAVIANI, PANIZZUT, PIERRO, PIZZIMENTI, PRETTO, RAVETTO, STEFANI, SUDANO, TOCCALINI, ZIELLO, ZINZI e ZOFFILI. — Al Ministro dell'istruzione e del merito. — Per sapere – premesso che:

   l'aumento degli episodi di violenza e bullismo di cui gli insegnanti e il personale scolastico sono vittime, da parte degli alunni e persino delle loro famiglie, rende urgente e necessaria una ferma risposta da parte delle istituzioni;

   con nota dell'8 febbraio 2023 inviata ai dirigenti scolastici e agli uffici scolastici regionali, il Ministro interrogato ha preso atto del fenomeno, anche nel corso delle lezioni, e ha sottolineato come questi episodi costituiscano «atti illeciti intollerabili, suscettibili di provocare danni fisici e psicologici alle vittime, ledendo l'autorità e l'autorevolezza dei docenti, nonché la dignità di tutto il personale e compromettendo seriamente la qualità dei servizi, con pregiudizio del fondamentale diritto allo studio»;

   tali episodi, infatti, non determinano soltanto una lesione dei diritti del personale aggredito, ma colpiscono al cuore la vita collettiva nella scuola, l'autorevolezza e il prestigio del corpo docente, minano il patto di fiducia tra le famiglie e gli insegnanti e, in ultima analisi, incidono negativamente sul diritto allo studio delle giovani generazioni;

   grande clamore ha suscitato la notizia di uno studente che l'11 ottobre 2023 ha colpito con una pistola a gommini, in classe, una docente, mentre un compagno riprendeva la scena, prontamente pubblicata sui social. La docente ha atteso tre mesi per depositare la querela, confidando, invano, che potessero arrivare delle scuse da parte degli alunni e delle loro famiglie;

   le istituzioni devono contrastare senza indugio tali fenomeni, restituendo centralità e autorevolezza alla figura del docente, assicurando agli insegnanti e a tutto il personale scolastico la possibilità di svolgere le rispettive funzioni in un contesto lavorativo sereno, individuando modalità per riconoscere e contrastare situazioni di disagio psicologico sociale e culturale degli studenti e i connessi fenomeni di dispersione scolastica;

   si resta, dunque, colpiti dalla decisione del consiglio di classe dei ragazzi in questione, appresa dalla stampa, di promuoverli alla classe successiva con 9 in condotta, come se l'aggressione occorsa non avesse avuto alcun peso, alcuna gravità;

   pur nel pieno rispetto dell'autonomia di insegnamento dei docenti e quindi anche degli interventi da mettere in atto e delle valutazioni prodotte nei confronti degli studenti, e ferma restando la priorità del ruolo educativo della scuola, gli interroganti si chiedono se tale decisione non lanci un evidente messaggio di discredito dell'intera comunità scolastica –:

   quali misure il Ministro interrogato intenda attuare per restituire significato al voto di condotta, garantire autorevolezza ai docenti e ricomporre il patto educativo scuola-famiglia.
(3-00493)


Elementi e iniziative con riferimento alla mancata assegnazione di risorse finanziarie alle scuole paritarie in relazione all'orientamento per l'anno scolastico 2023-2024 – 3-00492

   LUPI, CAVO, BICCHIELLI, BRAMBILLA, CESA, ALESSANDRO COLUCCI, PISANO, ROMANO, SEMENZATO e TIRELLI. — Al Ministro dell'istruzione e del merito. — Per sapere – premesso che:

   il Ministero dell'istruzione e del merito ha avviato l'attuazione delle «Linee guida per l'orientamento» relative alla riforma 1.4 della missione 4, componente 1, del Piano nazionale di ripresa e resilienza;

   il decreto ministeriale n. 328, firmato il 22 dicembre 2022, individua i criteri di ripartizione e le modalità di utilizzo delle risorse finanziarie destinate alle istituzioni scolastiche statali del II ciclo per la valorizzazione del personale docente che svolgerà la funzione di tutor e di orientatore;

   in data 5 aprile 2023, il decreto ministeriale n. 63 ha definito i criteri di ripartizione e le modalità di utilizzo delle risorse finanziarie ai fini della valorizzazione dei docenti chiamati a svolgere la funzione di tutor e di orientatore;

   il 5 aprile 2023, inoltre, il Ministero dell'istruzione e del merito, in particolare il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione e il Dipartimento per le risorse umane finanziarie e strumentali, hanno diramato la nota protocollo n. 958 avente ad oggetto le prime indicazioni per l'avvio delle iniziative propedeutiche all'attuazione delle linee guida sull'orientamento per l'anno scolastico 2023-2024;

   all'interno della nota viene, altresì, valorizzata in 150 milioni di euro la copertura per la formazione dei docenti tutor ed orientatori;

   in data 15 maggio 2023, ad integrazione della nota del 5 aprile 2023, è stata diramata una nota integrativa dal Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, avente ad oggetto le prime indicazioni per le scuole paritarie per l'avvio delle iniziative propedeutiche all'attuazione delle linee guida sull'orientamento per l'anno scolastico 2023-2024;

   all'interno della nota viene riportato non solo che l'iscrizione dei docenti interessati provenienti dalle scuole paritarie dovrà avvenire manualmente, ma anche che: «l'assegnazione delle risorse finanziarie, disposta con decreto ministeriale n. 63 del 5 aprile 2023, è destinata alle sole istituzioni scolastiche statali»;

   in una intervista rilasciata al mensile Tempi a gennaio 2023, il Ministro interrogato ha dichiarato: «ritengo che le scuole paritarie debbano avere un'effettiva pari dignità. Insomma, che si debba creare un contesto in cui non ci sia differenza di trattamento tra la scuola statale e quella non statale» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della disparità di trattamento riferita alle scuole paritarie in merito ai fondi di cui al decreto ministeriale n. 328 del 2022 e quali iniziative intenda adottare per garantire un'effettiva parità scolastica.
(3-00492)


Iniziative in relazione a recenti dichiarazioni del prefetto di Ravenna in merito alla scelta del commissario per la gestione dei danni conseguenti ai tragici eventi alluvionali che hanno colpito l'Emilia-Romagna – 3-00489

   FOTI, MESSINA, MONTARULI, ANTONIOZZI, GARDINI, RUSPANDINI, URZÌ, DE CORATO, KELANY, MICHELOTTI, MURA, SBARDELLA, DI MAGGIO e PIETRELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   come riportato da alcuni quotidiani, nel suo intervento durante un confronto sui danni dell'alluvione organizzato dalla Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa (Cna), il prefetto di Ravenna, Castrese De Rosa, avrebbe dichiarato che «la logica vorrebbe fosse Bonaccini ad essere nominato commissario, ma il buon senso non è sempre di questo mondo», attaccando, dunque, in maniera diretta l'operato del Governo in merito alla scelta del commissario per la gestione dell'emergenza in Emilia-Romagna;

   ai sensi di legge il prefetto, in quanto titolare dell'ufficio territoriale del Governo, rappresenta il Governo sul territorio e ad esso sono attribuite tutte le funzioni esercitate dallo Stato a livello periferico;

   appare, pertanto, del tutto irrituale che un prefetto non sostenga le decisioni del Governo relative al proprio territorio e, anzi, le critichi apertamente, soprattutto in una fase tanto delicata quale è quella in cui versa l'Emilia-Romagna dopo i tragici eventi alluvionali del mese di maggio 2023, nella quale deve essere profuso ogni sforzo, da parte di tutte le istituzioni, per agire in modo rapido ed efficace a sostegno dei territori e delle popolazioni colpite –:

   se sia a conoscenza delle dichiarazioni del prefetto De Rosa di cui in premessa e quali iniziative intenda assumere in merito.
(3-00489)


Iniziative di competenza volte a valorizzare il polo giurisdizionale del Tribunale unificato dei brevetti istituito a Milano – 3-00490

   BARELLI, ORSINI, ROSSELLO, BATTILOCCHIO, CATTANEO, MARROCCO e CASASCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nelle scorse settimane sono stati avanzati, dai media e in alcuni settori del Parlamento, dubbi sull'assegnazione a Milano di una delle sezioni della divisione centrale del Tribunale unificato dei brevetti. In particolare, a seguito della decisione del Presidium del Tribunale dell'8 maggio 2023 di assegnare le cause nelle classi brevettuali A e C (già di competenza della decaduta sezione di Londra) alle sole sedi di Parigi e Monaco di Baviera era sorto il timore che fosse sfumata la possibilità di ospitare a Milano la sezione della divisione centrale originariamente assegnata a Londra;

   il Ministro interrogato aveva annunciato il 18 maggio 2023 che un accordo era stato raggiunto con Germania e Francia per l'istituzione della sezione di Milano del Tribunale unificato dei brevetti;

   un emendamento all'Accordo sul Tribunale unificato dei brevetti, che recepisce l'intesa trilaterale tra Italia, Francia e Germania, era stato presentato e discusso alla sessione del Comitato amministrativo del Tribunale unificato dei brevetti il 2 giugno 2023;

   il Comitato amministrativo del Tribunale unificato dei brevetti ha formalizzato il 26 giugno 2023 l'istituzione a Milano di una sezione della divisione centrale;

   la divisione locale italiana del Tribunale unificato dei brevetti a Milano ha cominciato a lavorare il 1° giugno 2023, contestualmente all'entrata in vigore dell'accordo –:

   quali implicazioni avrà tale decisione e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per valorizzare il polo giurisdizionale del Tribunale unificato dei brevetti di Milano rappresentato dalla sede locale e da quella centrale del Tribunale unificato dei brevetti nel quadro del sistema brevettuale europeo.
(3-00490)


Orientamenti in ordine alla ratifica del Trattato che modifica il Meccanismo europeo di stabilità – 3-00491

   DELLA VEDOVA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   l'Italia è l'unico Paese dell'Eurogruppo a non aver ratificato la riforma sottoscritta nel 2020 dal Governo Conte II del Meccanismo europeo di stabilità, che prevede, tra l'altro, che il Meccanismo europeo di stabilità fornisca una rete di sicurezza finanziaria al Fondo di risoluzione unico nell'ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie, a salvaguardia in caso di crac bancario;

   nonostante le barricate alzate negli anni dai partiti dell'attuale maggioranza per impedire la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità, il Ministro leghista dell'economia e delle finanze Giorgetti ha recentemente sostenuto che è «ovviamente lo strumento più a portata di mano per la creazione del backstop da attivare in caso di grandi crisi bancarie» e il suo capo di gabinetto ha trasmesso alla Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati una lettera in cui chiarisce che la sua ratifica non comporta alcun rischio per il nostro Paese. La strada appare quindi tracciata;

   la maggioranza è evidentemente divisa: prevalgono le pronunce negative – in continuità con gli attacchi politici violenti e demagogici al Meccanismo europeo di stabilità e alle altre strutture dell'Unione europea – che hanno caratterizzato negli anni passati le principali forze dell'attuale maggioranza e la Presidente Meloni non è stata ancora in grado di assumere una posizione chiara circa la volontà di ratificare oppure no la riforma del Meccanismo europeo di stabilità, ratifica che gli altri partner attendono impazienti;

   la scorsa settimana in Commissione affari esteri e comunitari il Governo, e segnatamente il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ad avviso dell'interrogante in modo irrituale e politicamente incomprensibile – se non per l'incapacità o l'impossibilità politica di esprime un parere sul provvedimento – non si è presentato alla seduta in cui è stato adottato il testo base per la ratifica parlamentare della riforma del Meccanismo europeo di stabilità previsto in Aula il 30 giugno 2023 –:

   se non ritenga che l'interesse nazionale sarebbe meglio tutelato evitando perduranti, inutili e irrazionali temporeggiamenti, per quanto di competenza, sulla ratifica, vanificando gli sforzi profusi in questi anni dall'Italia stessa per recuperare credibilità presso partner e mercati e indebolendo la reputazione del nostro Paese a livello internazionale – con effetti negativi in termini economici e di rating –, anche perché ad avviso dell'interrogante ricorrere ad eventuali tecniche dilatorie per avviare presunte trattative su altri tavoli rappresenta per un grande Paese la peggiore postura per acquisire autorevolezza in Europa.
(3-00491)


Intendimenti del Governo in relazione all'attuazione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza riguardanti la realizzazione delle case e degli ospedali di comunità – 3-00494

   CASTIGLIONE, RUFFINO, BONETTI, GADDA, ENRICO COSTA, DEL BARBA, GRIPPO, MARATTIN e SOTTANELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il Piano nazionale di ripresa e resilienza, nell'ambito della missione 6 salute, destina 2 miliardi di euro per il potenziamento dell'assistenza sanitaria di prossimità e la riduzione delle ospedalizzazioni non urgenti tramite l'attivazione di 1.350 case della comunità;

   al fine di rafforzare l'assistenza sanitaria intermedia, viene inoltre destinato 1 miliardo di euro – di cui il 40 per cento per le regioni del Sud – per la realizzazione di 400 ospedali di comunità, con uno standard di un ospedale per circa 158.000 abitanti, rivolte a pazienti che necessitano di interventi sanitari a bassa intensità clinica, ma che necessitano di assistenza e sorveglianza sanitaria infermieristica continuativa non erogabile a domicilio;

   dopo la pandemia la parola d'ordine è stata riformare la medicina territoriale e il punto di snodo di questa riforma è stato individuato proprio nella realizzazione di tali strutture;

   come riportato anche dall'Ufficio parlamentare di bilancio, è fondamentale destinare ulteriori risorse per dotare tali strutture di adeguate risorse umane, necessità che si scontra con la difficoltà di reperire il personale – in particolare infermieri e alcune categorie di medici – e la perdita di attrattività del Servizio sanitario nazionale;

   gli interventi adottati finora dal Governo sono stati volti ad avviso degli interroganti a tamponare l'emergenza, piuttosto che ad affrontare le problematiche del Servizio sanitario nazionale in un'ottica di lungo periodo, in primis con adeguata programmazione, incremento dell'offerta formativa, adozione di misure volte a restituire attrattività al lavoro nel Servizio sanitario nazionale;

   ne è ulteriore conferma la notizia che l'intenzione del Governo – per evitare il rischio che case e ospedali di comunità non risultino operativi alla scadenza del 2026, con conseguente perdita dei fondi – sarebbe quella di espungere tali strutture dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, spostando i costi per la loro realizzazione o ristrutturazione sulle risorse già previste per l'edilizia sanitaria, ma senza chiarire come intenda risolvere il nodo del personale, con il rischio che restino scatole vuote;

   emblematico il caso della Sicilia, che a causa dei ritardi sui bandi rischia di perdere gli 800 milioni di euro stanziati; solo in nove regioni le nuove strutture risultano in parte avviate e in alcuni casi operative;

   il fatto che il capitolo salute si collochi sul fondo della classifica delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza impiegate – appena lo 0,7 per cento di quelle disponibili – dimostra una volta in più ad avviso degli interroganti che la riorganizzazione e il potenziamento del Servizio sanitario nazionale non sono ritenuti prioritari per il Governo –:

   quali siano gli intendimenti del Governo sulle case e sugli ospedali di comunità e, in particolare, come intenda garantire che a tali strutture siano assegnate le necessarie risorse umane.
(3-00494)


Iniziative a favore del Servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento all'azzeramento delle liste di attesa, all'assunzione di personale medico sanitario e all'attuazione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza in materia di case e ospedali di comunità – 3-00495

   FURFARO, CIANI, GIRELLI, MALAVASI, STUMPO, CASU, FERRARI, FORNARO e GHIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 24 giugno 2023 si è svolta a Roma la manifestazione nazionale «per la difesa e il rilancio del Servizio sanitario nazionale, pubblico e universale» e del diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro;

   diritto alla salute, Servizio sanitario nazionale pubblico, solidale e universale; adeguate risorse economiche, umane e organizzative; recupero liste di attesa; valorizzazione assistenza territoriale; piano straordinario di assunzioni di tutte le professioni sanitarie che vada oltre la stabilizzazione e il turnover, superando la precarietà e valorizzando le professionalità; sostegno alle persone non autosufficienti; tutela della salute e sicurezza sul lavoro sono solo alcuni degli slogan che hanno caratterizzato la manifestazione;

   le criticità emerse dopo la pandemia vanno affrontate anche grazie alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, guardando al territorio e alle esigenze di una medicina di prossimità che sia adeguata alle prossime sfide;

   il ricorso alla spesa privata, in costante aumento, è incompatibile con un sistema universalistico, così come sancito dall'articolo 32 della nostra Costituzione;

   non è accettabile che chi può permetterselo ricorra alla sanità privata a causa delle lunghe liste di attesa e gli altri, la maggior parte, rinuncino a curarsi;

   per allinearsi al livello degli altri Paesi europei di riferimento, in Italia mancano all'appello 30.000 medici e 250.000 infermieri e non è una questione di numero chiuso per accedere alla facoltà di medicina o di mancanza di borse di specializzazione, ma di poca attrattività della professione, visto che i medici italiani guadagnano in media il 6 per cento in meno dei colleghi europei e gli infermieri il 40 per cento in meno;

   senza risorse e senza personale sanitario è impossibile recuperare le liste d'attesa, pur sapendo che il 65 per cento di prestazioni sono andate perse durante la pandemia;

   è necessario riportare al centro dell'agenda e del dibattito pubblico la sanità quale sistema universalistico di tutela della salute di ogni cittadino, a partire dall'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza con le case e gli ospedali di comunità, con i decreti attuativi della legge delega sulla non autosufficienza, con la ricerca di risorse necessarie ed urgenti per il Servizio sanitario nazionale –:

   alla luce dei fatti sopra esposti quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda porre in essere per azzerare le liste di attesa, per procedere all'assunzione di personale medico e sanitario rendendo maggiormente attrattive tali professioni, nonché per attuare nei tempi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza le case e gli ospedali di comunità evitando così di perdere i fondi previsti.
(3-00495)


Iniziative volte a salvaguardare il Servizio sanitario nazionale e a rendere maggiormente attrattivo il lavoro nel relativo comparto – 3-00496

   QUARTINI, DI LAURO, MARIANNA RICCIARDI e SPORTIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 24 giugno 2023, a Roma, si è svolta una rilevante manifestazione organizzata dalla Cgil e alla quale hanno aderito, oltre che molti cittadini, una vasta rete di associazioni con il prioritario obiettivo di salvaguardare il diritto alla salute delle persone e per rilanciare il Servizio sanitario nazionale, pubblico e universale;

   è stato sottolineato come sia necessario garantire risorse economiche, umane e organizzative adeguate, affinché il nostro Servizio sanitario nazionale sia sostenuto da un numero congruo di professionisti che siano in grado di assicurare il diritto alla cura e all'assistenza a tutti gli individui che ne hanno bisogno;

   per le risorse umane occorre superare i tetti di spesa, adeguare gli stipendi e la consistenza alla media europea e, soprattutto, alle necessità sempre più complesse dei territori;

   la manifestazione è nata con il l'obiettivo di «contrastare il continuo indebolimento della sanità pubblica, recuperare i divari nell'assistenza effettivamente erogata, a partire da quella territoriale e dalle liste d'attesa, e valorizzare il lavoro di cura»;

   è stata sottolineata la necessità di «un piano straordinario pluriennale di assunzioni che vada oltre le stabilizzazioni e il turnover, superi la precarietà della cura e di chi cura, per garantire la salute e la dignità delle persone non autosufficienti, per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, rilanciando il ruolo dei servizi della prevenzione, ispettivi e di vigilanza»;

   per una sanità pubblica e universalistica che garantisca effettivamente le cure a tutti gli individui e in tutto il Paese è necessario ripensare il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, stabilendo che l'incidenza della spesa sanitaria sul prodotto interno lordo non sia in ogni caso inferiore all'8 per cento e introducendo un meccanismo di distribuzione delle risorse che tenga conto della deprivazione dei diversi territori;

   occorre intervenire sull'appropriatezza affinché l'aggiornamento e il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza e i raggruppamenti omogenei di diagnosi (drg) rispondano a più efficaci esiti di salute e sull'accreditamento delle strutture sanitarie e sulla sanità integrativa per arrestare la fuga di utenti e professionisti dalle strutture pubbliche; l'intramoenia non può e non deve essere una scelta obbligata per cittadini esasperati da insostenibili liste di attesa –:

   alla luce della significativa manifestazione a salvaguardia del Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico, se intenda sostenere le azioni o soluzioni proposte nell'ambito della manifestazione, talune descritte in premessa, finalizzate a salvaguardare il nostro Servizio sanitario nazionale e a contenere la fuga di utenti e professionisti dalle strutture pubbliche.
(3-00496)


Iniziative volte a garantire un Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico e ad ovviare alla carenza di medici e infermieri – 3-00497

   ZANELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la Cgil ha promosso una manifestazione nazionale il 24 giugno 2023 a Roma per il diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro, nonché per la difesa e il rilancio del Servizio sanitario nazionale, pubblico e universale;

   è necessario recuperare i divari territoriali nell'assistenza effettivamente erogata e nelle liste d'attesa, con un piano straordinario pluriennale di assunzioni che vada oltre le stabilizzazioni e turnover, che superi la precarietà della cura e di chi cura;

   delle 20 milioni di prestazioni arretrate nel 2022 ne è stato recuperato il 65 per cento, mentre il 35 per cento, pari a 7 milioni, sono «saltate» e nessuna regione ha raggiunto, per tutte le prestazioni, le quote di recupero previste dai piani operativi regionali;

   Anaao Assomed ha stimato che entro il 2024 sono previsti 40 mila medici in meno nel Servizio sanitario nazionale. Secondo l'ultimo rapporto Agenas, in Italia dal 2019 al 2021 i medici di famiglia sono diminuiti di 2.178 unità;

   la carenza di infermieri supera le 250 mila unità rispetto ai parametri dell'Unione europea e per il Piano nazionale di ripresa e resilienza ne servirebbero 40-80.000 in più, considerando il numero di pensionati all'anno: circa 9 mila, un numero irraggiungibile perché la propensione a intraprendere la professione per motivi economici di carriera è un terzo che nei Paesi dell'Unione europea;

   i medici italiani guadagnano in media il 6 per cento in meno e gli infermieri in media il 40 per cento in meno dei colleghi europei; senza risorse e personale è impossibile recuperare le prestazioni perse durante la pandemia;

   in data 8 marzo 2023 il Governo si è impegnato, accogliendo una mozione del Gruppo Alleanza Verdi e Sinistra, in sede di discussione di mozioni sul Servizio sanitario nazionale: a garantire che il Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico sia tale, ad adottare iniziative volte a un finanziamento del Fondo sanitario nazionale in linea con la media delle risorse stanziate nell'Unione europea; ad assicurare un livello di risorse che garantiscano l'effettiva erogazione dei livelli essenziali di assistenza uniforme su tutto il territorio nazionale e la loro ulteriore implementazione; ad aggiornare i livelli essenziali di assistenza, assicurando progetti di assistenza individualizzati; ad individuare le necessarie risorse da destinare al rinnovo del contratto nazionale di lavoro del personale sanitario 2022-2024 –:

   quali iniziative intenda assumere per garantire nel nostro Paese un Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico e, in particolare, come intenda colmare la grave carenza di medici ed infermieri anche per fermare ogni forma di privatizzazione diretta e indiretta dalla salute, ottemperando all'articolo 32 della Costituzione.
(3-00497)


DISEGNO DI LEGGE: S. 685 – CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 4 MAGGIO 2023, N. 48, RECANTE MISURE URGENTI PER L'INCLUSIONE SOCIALE E L'ACCESSO AL MONDO DEL LAVORO (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 1238)

A.C. 1238 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,

   premesso che:

    i processi di digitalizzazione hanno profondamente innovato sia il mondo del lavoro che il nostro modo di vivere e lavorare, rendendo quanto mai evidente che la produttività del lavoro non è determinata da vincoli di orario o di luogo, quanto da un'efficiente organizzazione per fasi, cicli e obiettivi;

    l'autogestione di una parte dell'orario di lavoro da parte dei lavoratori dipendenti in molti settori produttivi del terziario e dei servizi è oggi una realtà concreta, che contribuisce peraltro al benessere del lavoratore, a una migliore conciliazione tra impegni professionali e familiari, a una più efficiente distribuzione del tempo libero e del tempo di lavoro;

    durante il periodo pandemico, l'adozione della disciplina emergenziale sul lavoro agile ha mostrato come – dopo le inevitabili difficoltà iniziali – molte imprese e molti lavoratori si siano non solo adattati allo «smartworking», ma abbiano innovato e reso più efficienti i loro processi produttivi;

    in termini sociali e ambientali, il lavoro agile ha dimostrato di poter rappresentare una leva per la modernizzazione dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali, nonché un contributo alla riduzione della mobilità urbana e dunque dei costi di trasporto e delle emissioni inquinanti;

    l'ulteriore proroga alla disciplina transitoria sul lavoro agile, prevista dall'articolo 42, comma 3-bis, del provvedimento in esame, introdotto in sede di conversione dal Senato, fino al 31 dicembre 2023, si limita a estendere di qualche mese le modalità emergenziali introdotte per la pandemia, peraltro riducendo significativamente la platea dei potenziali beneficiari,

impegna il Governo

a provvedere, anche attraverso futuri interventi normativi, al superamento della logica emergenziale e all'adozione di una disciplina organica e universale che riconosca un vero diritto al lavoro agile, determinabile in una quota del tempo di lavoro mensile o annuale per i lavoratori dei settori dei servizi, o comunque lavoratori le cui mansioni consentono lo svolgimento a distanza dal luogo di lavoro, da incorporare e dettagliare nei contratti collettivi nazionali delle diverse categorie.
9/1238/1. Magi, Della Vedova.


   La Camera,

   premesso che:

    il 30 marzo 2023 il Parlamento europeo ha approvato la direttiva 2023/970 – a sua volta approvata dal Consiglio dell'Unione europea il 10 maggio 2023 – volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e i relativi meccanismi di applicazione;

    nonostante questo, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 48, recante misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro (A.C. 1238), non reca misure volte a ridurre il differenziale retributivo di genere, né più in generale affronta problematiche relative all'inclusione delle donne nel mercato del lavoro;

    la Costituzione della Repubblica Italiana, all'articolo 37, recita: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore»;

    l'articolo 11 della Convenzione delle Nazioni Unite, del 18 dicembre 1979, sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, sancisce che gli Stati devono adottare tutte le misure appropriate per assicurare il diritto alla parità di retribuzione e alla parità di trattamento per un lavoro di pari valore, nonché alla parità di trattamento nella valutazione della qualità del lavoro;

    l'articolo 157, paragrafo 1, TFUE pone l'obbligo per ciascuno Stato membro di assicurare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore;

    la Corte di giustizia dell'Unione europea in diverse sentenze (30 aprile 1994, 7 gennaio 2004, 27 aprile 2006, 26 giugno 2018) ha stabilito che l'ambito di applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne si applica anche alle discriminazioni derivanti dal cambiamento di sesso;

    i dati Eurostat del 2021 attestano per l'Italia un divario retributivo di genere medio del 5 per cento, a fronte di una media europea del 12,7 per cento. La stessa analisi specifica che per l'Italia il divario retributivo di genere più basso rispetto alla media va letto essenzialmente come effetto della strutturale minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro;

    la pandemia di COVID-19 ha avuto un impatto negativo molto elevato sull'occupazione femminile, rendendo ancora più impellenti misure specifiche volte a contrastare il divario retributivo di genere e l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro;

    nelle premesse della direttiva europea succitata si sottolinea che «l'applicazione del principio della parità di retribuzione è ostacolata da una mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi, da una mancanza di certezza giuridica sul concetto di lavoro di pari valore e da ostacoli procedurali incontrati dalle vittime di discriminazione. I lavoratori non dispongono delle informazioni necessarie per presentare un ricorso in materia di parità di retribuzione che abbia buone possibilità di successo e, in particolare, delle informazioni sui livelli retributivi delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Dalla relazione è emerso che una maggiore trasparenza consentirebbe di rivelare pregiudizi e discriminazioni di genere nelle strutture retributive di un'impresa o di un'organizzazione. Consentirebbe inoltre ai lavoratori, ai datori di lavoro e alle parti sociali di intervenire adeguatamente per garantire l'applicazione del diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore»;

    la stessa direttiva chiarisce che «la discriminazione retributiva basata sul genere, in cui il genere della vittima svolge un ruolo cruciale, può assumere forme diverse nella pratica. Può implicare un'intersezione di vari assi di discriminazione o disuguaglianza qualora il lavoratore appartenga a uno o più gruppi protetti contro la discriminazione fondata sul sesso, da un lato, e la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale»,

impegna il Governo:

   1) a promuovere nel minor tempo possibile il recepimento della direttiva 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 maggio 2023 volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e i relativi meccanismi di applicazione;

   2) come previsto dall'articolo 5/1 della succitata direttiva, a garantire che i candidati a un impiego ricevano, dal potenziale datore di lavoro, informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla relativa fascia da attribuire alla posizione in questione, sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, che tali informazioni siano fornite in modo tale da garantire una trattativa informata e trasparente, già nell'avviso di posto vacante pubblicato o prima del colloquio di lavoro;

   3) come previsto dall'articolo 5/2 della succitata direttiva, a stabilire il divieto per i datori di lavoro di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro;

   4) come previsto dall'articolo 7/1 della succitata direttiva, a garantire che i lavoratori possano richiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore;

   5) come previsto dall'articolo 7/5 della succitata direttiva, a stabilire il divieto di clausole contrattuali che impediscano ai lavoratori di divulgare informazioni sulla loro retribuzione o di chiedere informazioni in merito ad essa;

   6) come previsto dall'articolo 18 della succitata direttiva, a garantire che spetti alla parte convenuta provare l'insussistenza della discriminazione retributiva diretta o indiretta ove i lavoratori che si ritengono lesi dalla mancata osservanza nei propri confronti del principio della parità di retribuzione abbiano prodotto dinanzi a un'autorità competente o a un organo giurisdizionale elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta;

   7) come previsto dall'articolo 11 della succitata direttiva, a garantire il sostegno necessario alle piccole imprese e alle microimprese per facilitare il rispetto degli obblighi derivanti previsti dalla stessa direttiva.
9/1238/2. Della Vedova, Magi.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge n. 51 del 2023 reca misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro;

    in particolare, le disposizioni del Capo I – Nuove misure di inclusione sociale e lavorativa dando seguito a quanto già previsto con la Legge di Bilancio 2023 abrogano il Reddito di Cittadinanza, quale misura di contrasto alla povertà universale e di reddito minimo presente in tutti i paesi dell'Unione europea e introducono a partire dal 1° gennaio 2024 l'assegno di inclusione;

    col varo del decreto cosiddetto «Lavoro», l'Italia è diventata ufficialmente l'unico paese europeo senza una misura di contrasto alla povertà basata sul principio dell'universalismo selettivo, ovvero una misura accessibile a tutte le persone bisognose con determinati requisiti di residenza, reddito e patrimonio indipendentemente dalle loro caratteristiche individuali o familiari (come, ad esempio, l'età o la presenza di minori nel nucleo);

    da questo punto di vista, il nostro paese torna indietro nel tempo, esattamente al primo gennaio 2018, quando il nuovo sostegno nazionale contro la povertà appena varato dal Governo Gentiloni, il Reddito di Inclusione (Rei), era appunto rivolto a delle categorie specifiche di poveri: le famiglie con almeno un minore, un figlio disabile, una donna in gravidanza o un disoccupato ultra 55enne anni senza Naspi;

    come nella prima fase di attuazione del Rei (fino alla sua modifica in senso non categoriale avvenuta il primo luglio 2018), anche la nuova misura dell'Assegno di inclusione lavorativa (Adi), identifica le famiglie povere «meritevoli» di sostegno – le famiglie con almeno un minore, un over 60, un disabile o un invalido civile – ed esclude tutti gli altri;

    per i poveri a cui viene negato l'accesso all'Adi, la riforma prevede una indennità chiamata Sostegno per la formazione e il lavoro (Sfl), erogata solo in caso di partecipazione a corsi di formazione o a lavori socialmente utili. La durata dell'indennità, pari a 350 euro al mese, dipende dalla durata del corso di formazione e non può essere comunque superiore a 12 mesi,

impegna il Governo

ad assicurare il diritto a un'esistenza dignitosa a chiunque sia in uno stato di povertà, come avviene nel resto dell'Unione europea dove chi si trova in condizioni d'indigenza (con risorse economiche inferiori ad una determinata soglia di povertà) è titolato a ricevere un sostegno pubblico con continuità.
9/1238/3. Stumpo.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge n. 51 del 2023 reca misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro;

    in particolare, le disposizioni del Capo I – Nuove misure di inclusione sociale e lavorativa dando seguito a quanto già previsto con la Legge di Bilancio 2023 abrogano il Reddito di Cittadinanza, quale misura di contrasto alla povertà universale e di reddito minimo presente in tutti i paesi dell'unione Europea e introducono a partire dal 1° gennaio 2024 l'assegno di inclusione;

    l'Assegno di inclusione è riconosciuto, a richiesta di uno dei componenti del nucleo familiare, a garanzia delle necessità di inclusione dei componenti di nuclei familiari con disabilità, come definita ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, nonché dei componenti minorenni o con almeno sessant'anni di età;

    il diritto a una protezione continuativa è riconosciuto solo, quindi, alle famiglie che presentano alcune caratteristiche demografiche particolari (presenza di minori, di over 60enni, di persone con disabilità e con invalidità) e che hanno specifici carichi di cura legati a questa composizione;

    queste famiglie potranno fare domanda e ricevere l'Assegno di inclusione a partire dal 1° gennaio 2024 per 18 mesi, rinnovabili per altri 12 e così via, dopo l'interruzione di un mese ogni volta, se, ovviamente, rientrano nei requisiti di reddito previsti;

    per i nuclei familiari nella fascia 18-59 anni vi è la misura del Supporto per la formazione e il lavoro, un contributo di 350 euro per una persona sola a cui, si aggiungono altri 175 euro se si è in coppia, senza ulteriori supplementi per l'affitto sempre che la persona partecipi a percorsi di formazione e riqualificazione professionale;

    il requisito anagrafico (tra i 18 e i 59 anni) non è di per sé un criterio di occupabilità, cioè di maggiore probabilità di trovare un lavoro, in quanto non si considera che in questa fascia di popolazione potrebbero trovarsi persone che hanno fragilità e vulnerabilità tali da render necessari interventi di supporto psico-sociale specifici piuttosto che di attivazione al lavoro (si pensi alle persone senza dimora o a persone single molto lontane dal mercato del lavoro);

    al termine del periodo di formazione tali persone non riceveranno nessun aiuto da parte dello Stato,

impegna il Governo

a predisporre misure volte a favore dei disoccupati che non siano stati ancora presi in carico dai centri per l'impiego, che siano stati presi in carico ma non siano stati ancora avviati a un corso di formazione oppure che abbiano terminato la fruizione del nuovo Sfl, e che risulterebbero privi di qualunque sostegno pubblico non avendo il diritto di accedere all'Adi né ad altri programmi di inclusione e attivazione.
9/1238/4. Girelli.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge n. 51 del 2023 reca misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro;

    in particolare dal 1° gennaio 2024 la misura dell'Assegno di inclusione, quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro, sostituirà la misura del reddito di cittadinanza;

    i soggetti tra 18 e 59 anni di età non disabili e non impegnati in lavoro di cura sono esclusi dalla nuova misura, a meno che non siano anagraficamente conviventi con soggetti non in grado di lavorare. A favore di questi ultimi è stato introdotto il Supporto per la formazione e il lavoro (SFL), un sostegno monetario della durata massima di 12 mesi condizionato alla partecipazione a progetti di formazione, di orientamento e di accompagnamento al lavoro; secondo la relazione del ufficio di Bilancio Parlamentare, presentata lo scorso 20 giugno, dei quasi 1,2 milioni di nuclei beneficiari di reddito di cittadinanza, circa 400.000 (il 33,6 per cento) saranno esclusi dall'Adl perché al loro interno non sono presenti soggetti tutelati. Dei restanti circa 790.000 nuclei in cui sono presenti soggetti tutelati, circa 97.000 (poco più del 12 per cento) risulterebbero comunque esclusi dalla fruizione dell'Adi per effetto dei vincoli di natura economica. Nel complesso, dunque, i nuclei beneficiari dell'Adl risulterebbero circa 740.000, di cui 690.000 già beneficiari di reddito di cittadinanza e 50.000 nuovi beneficiari per via della modifica del vincolo di residenza;

    in altre parole 400mila famiglie saranno escluse dall'Adl perché al loro interno non sono presenti soggetti tutelati;

    si tratta di una pesante ingiustizia e di una vergognosa discriminazione che tende a classificare la povertà, a maggior ragione se guardiamo alla realtà del Paese e all'emergenza sociale che le famiglie devono affrontare tra disoccupazione, precarietà, costo della vita, affitti, mutui,

impegna il Governo

a predisporre adeguate misure contro la povertà volte a garantire il diritto a una protezione adeguata per chiunque sia in uno stato di povertà (ovvero non sia in grado di vivere dignitosamente) e per tutto il tempo in cui persiste tale la condizione di bisogno.
9/1238/5. Malavasi.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 40 prevede, limitatamente al periodo d'imposta 2023 e a determinate condizioni, una disciplina più favorevole in materia di esclusione dal computo del reddito imponibile del lavoratore dipendente per i beni ceduti e i servizi prestati al lavoratore medesimo;

    il suddetto regime transitorio più favorevole consiste nell'elevamento del limite di esenzione da 258,23 euro, per ciascun periodo d'imposta, disposto ai sensi dell'articolo 51, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, a 3.000 euro;

    si prevede altresì l'inclusione nel regime di esenzione delle somme erogate o rimborsate al medesimo dal datore di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell'energia elettrica e del gas naturale;

    tale regime di significativa misura di esenzione fiscale è tuttavia riconosciuto esclusivamente per i lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico;

    si tratta di una sperequazione molto ampia che non sembra pienamente giustificata e che, come sottolineato anche da sottolineato dall'Aiwa, l'associazione che riunisce i provider di welfare aziendale italiani, rischia di creare molteplici problemi applicativi per le imprese con un organico molto eterogeneo per fasce di età, che dovrebbero approntare piani di benefit per una minoranza della forza lavoro escludendo il resto dei dipendenti;

    peraltro, se la finalità della misura è quella di favorire la natalità, non può non evidenziarsi come risulti del tutto inadeguata una sua durata transitoria di soli 7 mesi, se invece l'idea è aiutare i lavoratori che hanno già figli attraverso un meccanismo di premialità, il welfare aziendale delineato dalla contrattazione collettiva già prevede interventi con finalità specifiche come i bonus per asilo nido e baby-sitting;

    la soglia dei 258 euro – a parte alcune fasi transitorie legate alla pandemia e al contrasto dell'aumento dei costi energetici – è ferma da oltre 30 anni e necessiterebbe un adeguamento agli attuali livelli salariali,

impegna il Governo

ad avviare un tempestivo confronto con le parti sociali al fine di definire misure strutturali e non transitorie di sostegno del welfare aziendale, in linea con i tempi e che non ingeneri ingiustificate discriminazioni tra categorie di lavoratori, nonché problemi applicativi per le imprese.
9/1238/6. Laus, Scotto, Gribaudo, Fossi, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 40 prevede, limitatamente al periodo d'imposta 2023 e a determinate condizioni, una disciplina più favorevole in materia di esclusione dal computo del reddito imponibile del lavoratore dipendente per i beni ceduti e i servizi prestati al lavoratore medesimo;

    il suddetto regime transitorio più favorevole consiste nell'elevamento del limite di esenzione da 258,23 euro, per ciascun periodo d'imposta, disposto ai sensi dell'articolo 51, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, a 3.000 euro;

    si prevede altresì l'inclusione nel regime di esenzione delle somme erogate o rimborsate al medesimo dal datore di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell'energia elettrica e del gas naturale;

    tale regime di significativa misura di esenzione fiscale è tuttavia riconosciuto esclusivamente per i lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico;

    si tratta di una sperequazione molto ampia che non sembra pienamente giustificata e che, come sottolineato anche da sottolineato dall'Aiwa, l'associazione che riunisce i provider di welfare aziendale italiani, rischia di creare molteplici problemi applicativi per le imprese con un organico molto eterogeneo per fasce di età, che dovrebbero approntare piani di benefit per una minoranza della forza lavoro escludendo il resto dei dipendenti;

    peraltro, se la finalità della misura è quella di favorire la natalità, non può non evidenziarsi come risulti del tutto inadeguata una sua durata transitoria di soli 7 mesi, se invece l'idea è aiutare i lavoratori che hanno già figli attraverso un meccanismo di premialità, il welfare aziendale delineato dalla contrattazione collettiva già prevede interventi con finalità specifiche come i bonus per asilo nido e baby-sitting;

    la soglia dei 258 euro – a parte alcune fasi transitorie legate alla pandemia e al contrasto dell'aumento dei costi energetici – è ferma da oltre 30 anni e necessiterebbe un adeguamento agli attuali livelli salariali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di avviare un confronto con le parti sociali al fine di definire, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, misure di sostegno del welfare aziendale, in linea con i tempi e che non ingenerino ingiustificate discriminazioni tra categorie di lavoratori.
9/1238/6. (Testo modificato nel corso della seduta)Laus, Scotto, Gribaudo, Fossi, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi vent'anni nel Sud Italia sono aumentate le sperequazioni territoriali e le disuguaglianze sociali, allontanando le regioni meridionali dalla media dell'Unione europea;

    secondo l'analisi elaborata dall'Istat sulla «mancata convergenza» tra le regioni italiane classificate come «meno sviluppate» (quasi tutto il Mezzogiorno), ovvero che hanno continuato a crescere molto meno della media dei Paesi dell'Unione europea a 27, deve considerarsi l'insuccesso delle «politiche di coesione» degli ultimi 20 anni;

    su questo squilibrio hanno pesato le due crisi economiche del 2008-2009 e del 2011-2013, con la lunga stagione dell'austerità, determinando una crescita del prodotto interno lordo del Mezzogiorno inferiore sia al dato europeo, sia a quello nazionale;

    il valore che maggiormente determina tale divario è rappresentato dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali, cui si somma un livello della produttività di 9 punti percentuali inferiore alla media Ue27;

    se a livello nazionale, nel 2021 la quota di lavoratori dipendenti impegnati in lavori a termine da almeno 5 anni (che include quelli con contratto a tempo determinato e i collaboratori) si è attestata al 17,5 per cento del totale dei lavoratori a termine, nelle regioni del Mezzogiorno si raggiunge il valore massimo di quasi un lavoratore su 4 (23,8 per cento), quasi 11 punti in più del valore che si registra al Nord (13 per cento) e di oltre 7 punti del valore del Centro;

    tali valori fanno del Mezzogiorno l'area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell'Europa occidentale, con oltre 19 milioni di cittadini coinvolti;

    a fronte di un tale quadro socio-economico che riguarda un terzo del Paese, le misure del presente provvedimento, cancellando di fatto il sostegno economico di contrasto alla povertà per i cosiddetti «occupabili» che non abbiano nel proprio nucleo familiare minori, componenti con disabilità o di età superiore ai sessanta anni, rischiano di aumentare il bacino dei disoccupati e del disagio sociale; al contrario, appare necessaria una strategia di rilancio della buona e stabile occupazione in tutto il Paese e, soprattutto, nelle regioni con i più alti tassi di disoccupazione e di precarietà del lavoro,

impegna il Governo

ad avviare un confronto con le parti sociali, anche in vista della definizione della prossima manovra di bilancio, per la definizione di una strategia di rilancio della buona e stabile occupazione, avendo a riferimento prioritario la situazione delle regioni del Mezzogiorno.
9/1238/7. Sarracino, Scotto, Gribaudo, Fossi, Laus.


   La Camera,

   premesso che:

    sempre più frequenti sono le pronunce dei tribunali, da ultimo quello di Milano sul caso di una lavoratrice della società di vigilanza padovana Civis, che dichiarano l'illegittimità di retribuzioni che, violando l'articolo 36 della Costituzione, non assicurino un'esistenza libera e dignitosa per i lavoratori;

    il Governo ha affrontato il tema del potere di acquisto dei lavoratori solo con misure di carattere fiscale, per il momento solo transitorie, motivando tale orientamento con l'esigenza di contribuire alla moderazione della crescita salariale, per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi;

    l'intervento sul cuneo contributivo previsto dal provvedimento in oggetto, alla luce delle limitate disponibilità finanziarie e degli effetti fiscali, produrrà un incremento medio delle retribuzioni di gran lunga inferiore rispetto al solo andamento dell'inflazione e solo per i periodi di paga dal 1° luglio 2023 al 31 dicembre 2023;

    secondo gli economisti della Banca Centrale Europea, non sarebbe in corso alcuna pericolosa spirale salari- prezzi, tanto più nel caso italiano, ma ad alimentare la corsa dei prezzi innescata da ripresa post Covid e dalla guerra in Ucraina il fattore più incisivo sono i profitti nell'Eurozona;

    alla proposta del PD di introdurre il salario minimo e una norma sulla rappresentatività delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro, con la conseguente estensione erga omnes dei contratti stipulati dalle medesime organizzazioni, la maggioranza ha saputo contrappone solo un diniego aprioristico;

    sempre più frequenti sono le pronunce dei tribunali che dichiarano l'illegittimità di retribuzioni che, violando l'articolo 36 della Costituzione, non assicurino un'esistenza libera e dignitosa per i lavoratori;

    uno dei fattori che maggiormente condizionano l'adeguatezza delle retribuzioni, soprattutto alla luce dell'impennata dei prezzi al consumo, è rappresentato dal mancato rinnovo dei contratti collettivi che, in alcuni casi, risultano scaduti da molti anni;

    nel provvedimento in oggetto, della questione dei rinnovi dei contratti collettivi non vi è traccia e non vi sono misure volte a indurre le parti sociali a sbloccare la situazione, soprattutto in particolari settori;

    secondo il CNEL, nel 2022, sui 955 contratti collettivi allora vigenti, ne risultavano scaduti ben 591, pari a 6,8 milioni di lavoratori;

    il prolungato mancato rinnovo dei contratti costituisce un'ingiustificabile forma di squilibrio nella distribuzione della ricchezza prodotta, a tutto svantaggio dei lavoratori, soprattutto in una fase di forte pressione sui prezzi, mancando per di più ogni forma di adeguamento di salari e stipendi all'inflazione,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative al fine di favorire il rinnovo dei contratti collettivi scaduti, anche attraverso la previsione di apposite misure di premialità laddove il rinnovo intervenga entro la scadenza o di penalizzazione nel caso il rinnovo si protragga oltre i termini fisiologici.
9/1238/8. Scotto, Laus, Guerra, Fossi, Gribaudo, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    sempre più frequenti sono le pronunce dei tribunali, da ultimo quello di Milano sul caso di una lavoratrice della società di vigilanza padovana Civis, che dichiarano l'illegittimità di retribuzioni che, violando l'articolo 36 della Costituzione, non assicurino un'esistenza libera e dignitosa per i lavoratori;

    il Governo ha affrontato il tema del potere di acquisto dei lavoratori solo con misure di carattere fiscale, per il momento solo transitorie, motivando tale orientamento con l'esigenza di contribuire alla moderazione della crescita salariale, per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi;

    l'intervento sul cuneo contributivo previsto dal provvedimento in oggetto, alla luce delle limitate disponibilità finanziarie e degli effetti fiscali, produrrà un incremento medio delle retribuzioni di gran lunga inferiore rispetto al solo andamento dell'inflazione;

    nel dettaglio, con l'articolo 39 si incrementa la percentuale di esonero stabilita dalla legge di bilancio per il 2023 di 4 punti percentuali per il periodo 1° luglio 2023 – 31 dicembre 2023, senza ulteriori effetti sui ratei di tredicesima erogati, portando l'esonero complessivo pari a: sei punti percentuali rispetto al limite retributivo mensile di 2,692 euro e a sette punti percentuali per le retribuzioni pari o inferiori a 1.923 euro mensili;

    nulla si dispone per quanto concerne i periodi di paga successivi alla suddetta data del 31 dicembre 2023, per i quali le previsioni indicano un percorso di rientro dell'inflazione, favorito dalla discesa dei prezzi dei beni energetici e dalle politiche restrittive attuate dalle banche centrali, che dovrebbe comunque attestarsi al 2,6 per cento, qualora si consolidino le ipotesi favorevoli sul percorso di riduzione dei prezzi nei prossimi mesi e sulla attuazione del piano di investimenti pubblici programmati nel biennio;

    secondo gli economisti della Banca Centrale Europea, non sarebbe in corso alcuna pericolosa spirale salari- prezzi, tanto più nel caso italiano, ma ad alimentare la corsa dei prezzi innescata da ripresa post Covid e dalla guerra in Ucraina il fattore più incisivo sono i profitti nell'Eurozona;

    per di più, alla proposta del PD di introdurre il salario minimo e una norma sulla rappresentatività delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro, con la conseguente estensione erga omnes dei contratti stipulati dalle medesime organizzazioni, la maggioranza ha saputo contrapporre solo un diniego aprioristico,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative al fine di individuare le necessarie risorse finanziarie per rendere strutturale la misura di riduzione del cuneo contributivo a carico dei lavoratori, così favorendo parzialmente il recupero del potere di acquisto di salari e stipendi, in vista di un intervento più organico di disciplina delle retribuzioni minime applicabili.
9/1238/9. Guerra, Scotto, Gribaudo, Laus, Fossi, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    durante la drammatica fase della pandemia lo Stato ha dovuto predisporre un'ampia gamma di misure straordinarie di sostegno dell'economia, in larga parte paralizzata dall'esigenza di prevenire la diffusione del COVID-19, con il dispiegamento di ingenti risorse finanziarie a carico del bilancio pubblico;

    come emerse anche nelle prime fasi di attuazione di tali misure straordinarie, non mancarono deplorevoli casi di utilizzo improprio, se non addirittura fraudolento, di dette provvidenze;

    in particolare, molte segnalazioni riguardarono il beneficio della cassa straordinaria Covid, ovvero quello strumento che consentì di tutelare in parte i redditi dei lavoratori delle imprese costrette a sospendere le attività, scongiurando il rischio di disastrosi licenziamenti ed assicurando, altresì, quel patrimonio di professionalità che consentì alle imprese di essere pronte alla ripresa delle attività e che ha prodotto un importantissimo rimbalzo del nostro PIL nel 2022;

    diverse imprese utilizzarono la cassa straordinaria Covid anche senza aver avuto contrazioni delle attività e altre, addirittura, utilizzarono la cassa continuando ad impiegare i propri dipendenti nello svolgimento ordinario delle loro prestazioni lavorative;

    secondo quanto riportato in alcuni articoli di giornale dello scorso novembre e secondo quanto emerso dalla recente inchiesta giornalistica realizzata dal programma televisivo Report, tra le imprese che avrebbero impropriamente percepito la cassa straordinaria Covid, senza averne diritto e continuando a far lavorare il proprio personale, rientrerebbe anche la «Visibilia Editore», società quotata in Borsa, a suo tempo controllata con il 48,6 per cento delle azioni dalla Senatrice Santanchè;

    secondo alcuni documenti raccolti da un'apposita inchiesta della Consob, risulterebbe che diversi lavoratori, anche con ruoli apicali, non sarebbero mai stati informati della loro collocazione in cassa integrazione, addirittura a zero ore, e non avrebbero mai smesso di lavorare;

    qualora confermate, tali vicende evidenzierebbero condotte gravemente lesive dei diritti dei lavoratori e un sostanziale uso illegittimo degli strumenti straordinari di sostegno del reddito dei lavoratori durante la pandemia;

    secondo uno studio dell'ufficio parlamentare di bilancio nell'anno 2020 la percentuale di ore utilizzate per Covid, senza cali di fatturato, era stimato pari al 27 per cento, corrispondenti a circa 2,7 miliardi di euro di spesa che si sarebbe potuta risparmiare in presenza di comportamenti corretti,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile al fine di potenziare i controlli sull'utilizzo appropriato della cassa straordinaria Covid, così come delle altre provvidenze previste durante la fase della pandemia, e per sanzionare gli operatori che ne avessero usufruito in maniera fraudolenta, recuperando con la massima sollecitudine gli importi illecitamente percepiti.
9/1238/10. Gribaudo, Scotto, Fossi, Laus, Sarracino, Scarpa.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame prevede «misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro»;

    le delocalizzazioni delle imprese rappresenta attualmente una delle maggiori problematiche relative alla salvaguardia ed alla promozione dei posti di lavoro;

    Istat ed Eurostat hanno infatti certificato che nel periodo più recente esaminato, tra 2018 e il 2020, 594 aziende italiane con più di 50 addetti hanno delocalizzato;

    nello specifico il Rapporto sulle imprese 2021 l'Istat ha certificato che tra le imprese con più di 250 lavoratori il 14,6 per cento ha scelto di delocalizzare, dato che scende al 7 per cento per quelle che impiegano da 50 a 249 addetti, fino al 2 per cento delle piccole imprese. Delle aziende che delocalizzano, il 40 per cento si dirige all'interno dell'Unione europea;

    secondo il database Erm (Enterprise Risk Management), da gennaio 2002 a marzo 2022 in Italia si sono verificati 53 casi di delocalizzazione con oltre 12.500 licenziamenti, quasi interamente nel settore manifatturiero, a fronte di nessun posto di lavoro guadagnato;

    in molti casi le delocalizzazioni hanno portato a licenziamenti immediati, unilaterali, lesivi dei diritti dei lavoratori. Emblematico, ad esempio, è il caso dei 422 operai della sede toscana della Gkn Driveline annunciato dalla multinazionale londinese il 9 luglio 2021 con una email e senza alcun confronto preventivo, in violazione dell'accordo siglato nel 2020 con le rappresentanze sindacali; in questi ultimi anni sono state introdotte norme specifiche per evitare che i processi di delocalizzazione nascondano specifiche strategie produttive perseguite soprattutto da alcune multinazionali straniere le quali, spesso, decidono di aprire un'attività in Italia per il tempo necessario ad usufruire di alcune agevolazioni per poi, dopo breve tempo, chiudere lo stabilimento con pesanti ricadute sul tessuto occupazionale e produttivo;

    tali norme sono state inserite nella legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di Bilancio per il 2022) e successivamente modificate con il decreto-legge 23 settembre 2022, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 novembre 2022, n. 175 (cosiddetto Aiuti ter);

    il precedente governo ha introdotto norme per contrastare la delocalizzazione delle imprese ed in particolare con i commi da 224 a 238 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2022 (legge 30 dicembre 2021, numero 234), e con l'articolo 7, comma 2, del decreto-legge numero 144 del 2022;

    appare evidente come norme che disincentivano la delocalizzazione delle imprese possano non solo promuovere il lavoro e la salvaguardia dei livelli occupazionali delle imprese ma ridurre i trattamenti di integrazione salariale e quindi portare consistenti benefici alla finanza pubblica;

    sarebbe infatti opportuno, coerentemente con la legislazione vigente ed in relazione a quanto citato in precedenza, impedire alle imprese che cessano definitivamente l'attività produttiva o una parte significativa della stessa per strategie di delocalizzazione, la possibilità di procedere alla rimozione dei macchinari, dei materiali e delle produzioni fino alla completa restituzione degli incentivi pubblici ricevuti;

    sarebbe altrettanto necessario modificare le citate norme presenti nella legge di Bilancio 2022 rendendo maggiormente stringenti tali disposizioni e disincentivando, compatibilmente con le norme e gli indirizzi comunitari, le delocalizzazioni improvvise e non concertate: esponenti dell'attuale governo e dell'attuale maggioranza si sono sempre espressi ed in molteplici occasioni a favore di ulteriori norme condivise in grado di disincentivare la delocalizzazione delle imprese,

impegna il Governo:

   ad introdurre, già a partire dal prossimo provvedimento utile, ulteriori norme atte a disincentivare la delocalizzazione delle imprese ed in parti colar modo di quelle che hanno ricevuto finanziamenti;

   pubblici al fine di promuovere il lavoro, nei termini di cui in premessa, e così salvaguardare i livelli occupazionali e ridurre conseguentemente gli oneri per l'erogazione degli ammortizzatori sociali.
9/1238/11. Fossi, Scotto, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame prevede «misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro»;

    le delocalizzazioni delle imprese rappresenta attualmente una delle maggiori problematiche relative alla salvaguardia ed alla promozione dei posti di lavoro;

    Istat ed Eurostat hanno infatti certificato che nel periodo più recente esaminato, tra 2018 e il 2020, 594 aziende italiane con più di 50 addetti hanno delocalizzato;

    nello specifico il Rapporto sulle imprese 2021 l'Istat ha certificato che tra le imprese con più di 250 lavoratori il 14,6 per cento ha scelto di delocalizzare, dato che scende al 7 per cento per quelle che impiegano da 50 a 249 addetti, fino al 2 per cento delle piccole imprese. Delle aziende che delocalizzano, il 40 per cento si dirige all'interno dell'Unione europea;

    secondo il database Erm (Enterprise Risk Management), da gennaio 2002 a marzo 2022 in Italia si sono verificati 53 casi di delocalizzazione con oltre 12.500 licenziamenti, quasi interamente nel settore manifatturiero, a fronte di nessun posto di lavoro guadagnato;

    in molti casi le delocalizzazioni hanno portato a licenziamenti immediati, unilaterali, lesivi dei diritti dei lavoratori. Emblematico, ad esempio, è il caso dei 422 operai della sede toscana della Gkn Driveline annunciato dalla multinazionale londinese il 9 luglio 2021 con una email e senza alcun confronto preventivo, in violazione dell'accordo siglato nel 2020 con le rappresentanze sindacali; in questi ultimi anni sono state introdotte norme specifiche per evitare che i processi di delocalizzazione nascondano specifiche strategie produttive perseguite soprattutto da alcune multinazionali straniere le quali, spesso, decidono di aprire un'attività in Italia per il tempo necessario ad usufruire di alcune agevolazioni per poi, dopo breve tempo, chiudere lo stabilimento con pesanti ricadute sul tessuto occupazionale e produttivo;

    tali norme sono state inserite nella legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di Bilancio per il 2022) e successivamente modificate con il decreto-legge 23 settembre 2022, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 novembre 2022, n. 175 (cosiddetto Aiuti ter);

    il precedente governo ha introdotto norme per contrastare la delocalizzazione delle imprese ed in particolare con i commi da 224 a 238 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2022 (legge 30 dicembre 2021, numero 234), e con l'articolo 7, comma 2, del decreto-legge numero 144 del 2022;

    appare evidente come norme che disincentivano la delocalizzazione delle imprese possano non solo promuovere il lavoro e la salvaguardia dei livelli occupazionali delle imprese ma ridurre i trattamenti di integrazione salariale e quindi portare consistenti benefici alla finanza pubblica;

    sarebbe infatti opportuno, coerentemente con la legislazione vigente ed in relazione a quanto citato in precedenza, impedire alle imprese che cessano definitivamente l'attività produttiva o una parte significativa della stessa per strategie di delocalizzazione, la possibilità di procedere alla rimozione dei macchinari, dei materiali e delle produzioni fino alla completa restituzione degli incentivi pubblici ricevuti;

    sarebbe altrettanto necessario modificare le citate norme presenti nella legge di Bilancio 2022 rendendo maggiormente stringenti tali disposizioni e disincentivando, compatibilmente con le norme e gli indirizzi comunitari, le delocalizzazioni improvvise e non concertate: esponenti dell'attuale governo e dell'attuale maggioranza si sono sempre espressi ed in molteplici occasioni a favore di ulteriori norme condivise in grado di disincentivare la delocalizzazione delle imprese,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di introdurre ulteriori norme atte a disincentivare la delocalizzazione delle imprese ed in particolar modo di quelle che hanno ricevuto finanziamenti pubblici al fine di promuovere il lavoro, nei termini di cui in premessa, e così salvaguardare i livelli occupazionali e ridurre conseguentemente gli oneri per l'erogazione degli ammortizzatori sociali.
9/1238/11. (Testo modificato nel corso della seduta)Fossi, Scotto, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    nel mercato del lavoro italiano la condizione della donna sconta ancora molte penalizzazioni che compromettono le loro legittime aspettative e che impoveriscono complessivamente il nostro sistema economico e sociale;

    secondo quanto emerge, da ultimo, dal rapporto della Banca d'Italia che illustra i risultati del progetto «Le donne, il lavoro e la crescita economica», le lavoratrici italiane percepiscono mediamente retribuzioni più basse dell'11 per cento rispetto ai colleghi uomini, un dato che risulta ancora più ampio all'ingresso nel mercato del lavoro: il 16 per cento tra i diplomati, il 13 per cento tra i laureati;

    l'Italia, è ultima in Europa per occupazione femminile, pari solo al 51,1 per cento, che risulta inferiore di oltre 18 punti percentuali rispetto agli uomini, nella fascia d'età tra i 15 e i 64 anni;

    anche la maternità continua a rappresentare un fattore penalizzante, tanto che nei due anni successivi alla nascita del primo figlio le madri occupate hanno una probabilità quasi doppia rispetto alle donne senza figli, di non avere più un impiego e, a quindici anni dal parto, le loro retribuzioni medie sono circa la metà, rispetto alle loro colleghe senza figli;

    (considerando le madri che continuano a lavorare). Un dato che era già stato messo in evidenza da precedenti studi ripresi dalla stessa Bankitalia, che lega esplicitamente questo enorme divario alla carenza di servizi;

    inoltre, per le lavoratrici sono molto più diffusi i rapporti di lavoro di tipo temporaneo, così come quelli part time, non sempre volontario;

    le loro carriere risultano particolarmente lente e discontinue e anche la loro maggiore presenza nelle società quotate «non ha indotto significativi cambiamenti nella composizione dei vertici delle società sottoposte alla normativa sulle quote di genere»;

    è di tutta evidenza come le iniziative normative sin qui adottate, alcune anche molto lodevoli, abbiano inciso in maniera molto marginale su tali dati;

    ovviamente non possono giovare le norme che ampliano la precarietà del lavoro, condizione che vede maggiormente coinvolte proprio le donne, insieme ai giovani;

    quella che sinora è mancata nell'opera riformatrice è stato un disegno organico e di costante attenzione alle esigenze delle donne, nel quale si potesse individuare una strategia coerente e sistematica di superamento, o meglio di rimozione, degli ostacoli che condizionano le potenzialità delle donne nella società, nel lavoro, nelle istituzioni;

    per superare la suddetta azione frammentaria e carsica di innovazione ordinamentale e amministrativa sin qui registrata, il Partito Democratico ha depositato, anche in questa legislatura, una specifica proposta di legge volta ad istituire la legge annuale per la parità di genere e la valorizzazione del ruolo delle donne nella società e nelle istituzioni. Una legge che, in analogia con quanto previsto dal nostro ordinamento per il mercato e la concorrenza, attivi un'apposita sessione parlamentare dedicata al perseguimento di migliori standard di parità di genere e alla valorizzazione del ruolo delle donne nella società e nelle istituzioni,

impegna il Governo

tenuto conto di quanto illustrato in premessa in merito alle condizioni del mercato del lavoro italiano, ad adoperarsi, per quanto di competenza, per favorire un rapido e condiviso esame della citata iniziativa parlamentare, finalizzata alla istituzione della legge annuale per la parità di genere e la valorizzazione del ruolo delle donne nella società e nelle istituzioni.
9/1238/12. Marino, Scotto, Gribaudo, Fossi, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    nel mercato del lavoro italiano la condizione della donna sconta ancora molte penalizzazioni che compromettono le loro legittime aspettative e che impoveriscono complessivamente il nostro sistema economico e sociale;

    secondo quanto emerge, da ultimo, dal rapporto della Banca d'Italia che illustra i risultati del progetto «Le donne, il lavoro e la crescita economica», le lavoratrici italiane percepiscono mediamente retribuzioni più basse dell'11 per cento rispetto ai colleghi uomini, un dato che risulta ancora più ampio all'ingresso nel mercato del lavoro: il 16 per cento tra i diplomati, il 13 per cento tra i laureati;

    l'Italia, è ultima in Europa per occupazione femminile, pari solo al 51,1 per cento, che risulta inferiore di oltre 18 punti percentuali rispetto agli uomini, nella fascia d'età tra i 15 e i 64 anni;

    anche la maternità continua a rappresentare un fattore penalizzante, tanto che nei due anni successivi alla nascita del primo figlio le madri occupate hanno una probabilità quasi doppia rispetto alle donne senza figli, di non avere più un impiego e, a quindici anni dal parto, le loro retribuzioni medie sono circa la metà, rispetto alle loro colleghe senza figli;

    (considerando le madri che continuano a lavorare). Un dato che era già stato messo in evidenza da precedenti studi ripresi dalla stessa Bankitalia, che lega esplicitamente questo enorme divario alla carenza di servizi;

    inoltre, per le lavoratrici sono molto più diffusi i rapporti di lavoro di tipo temporaneo, così come quelli part time, non sempre volontario;

    le loro carriere risultano particolarmente lente e discontinue e anche la loro maggiore presenza nelle società quotate «non ha indotto significativi cambiamenti nella composizione dei vertici delle società sottoposte alla normativa sulle quote di genere»;

    è di tutta evidenza come le iniziative normative sin qui adottate, alcune anche molto lodevoli, abbiano inciso in maniera molto marginale su tali dati;

    ovviamente non possono giovare le norme che ampliano la precarietà del lavoro, condizione che vede maggiormente coinvolte proprio le donne, insieme ai giovani;

    quella che sinora è mancata nell'opera riformatrice è stato un disegno organico e di costante attenzione alle esigenze delle donne, nel quale si potesse individuare una strategia coerente e sistematica di superamento, o meglio di rimozione, degli ostacoli che condizionano le potenzialità delle donne nella società, nel lavoro, nelle istituzioni;

    per superare la suddetta azione frammentaria e carsica di innovazione ordinamentale e amministrativa sin qui registrata, il Partito Democratico ha depositato, anche in questa legislatura, una specifica proposta di legge volta ad istituire la legge annuale per la parità di genere e la valorizzazione del ruolo delle donne nella società e nelle istituzioni. Una legge che, in analogia con quanto previsto dal nostro ordinamento per il mercato e la concorrenza, attivi un'apposita sessione parlamentare dedicata al perseguimento di migliori standard di parità di genere e alla valorizzazione del ruolo delle donne nella società e nelle istituzioni,

impegna il Governo

tenuto conto di quanto illustrato in premessa in merito alle condizioni del mercato del lavoro italiano, fermo restando le prerogative del Parlamento, a valutare l'opportunità di adoperarsi, per quanto di competenza, per favorire un rapido e condiviso esame della citata iniziativa parlamentare, finalizzata alla istituzione della legge annuale per la parità di genere e la valorizzazione del ruolo delle donne nella società e nelle istituzioni.
9/1238/12. (Testo modificato nel corso della seduta)Marino, Scotto, Gribaudo, Fossi, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    i commi 1 e 2 dell'articolo 17 istituiscono un Fondo per il riconoscimento di una misura di sostegno economico in favore dei familiari degli studenti, ivi compresi quelli universitari o dei percorsi di istruzione e formazione professionale, deceduti a seguito di infortuni occorsi durante le attività formative;

    la dotazione del Fondo è pari a 10 milioni di euro per il 2023 e, a decorrere dal 2024, a 2 milioni di euro annui;

    l'esperienza dell'alternanza scuola-lavoro prima e dei PCTO poi, ha evidenziato negli anni numerose criticità e proprio sul piano della sicurezza, troppe volte si è assistito a tragedie che si sarebbero potute evitare se la normativa sui luoghi di lavoro fosse stata adeguatamente applicata e rispettata;

    è fondamentale impedire che si ripetano fatti dolorosi e inaccettabili come le morti dei giovani;

    le richieste emerse dai vari confronti con gli studenti, impongono una maggiore attenzione su come funziona l'alternanza scuola-lavoro nel nostro Paese,

impegna il Governo

a prevedere, in fase di approvazione del primo provvedimento utile, risorse adeguate ad incrementare la dotazione del fondo di cui all'articolo 17, commi 1 e 2, prevedendo altresì, al fine di garantire un piano di sicurezza sui luoghi di lavoro, che le istituzioni scolastiche, di concerto con le aziende e le Parti coinvolte nella progettazione, si impegnino a promuovere percorsi strutturali di apprendimento nell'ambito dei quali gli studenti e le studentesse, coinvolti attivamente, possano operare esclusivamente in affiancamento o in supervisione del personale qualificato individuato allo scopo dall'azienda.
9/1238/13. Manzi, Orfini, Berruto, Scotto, Gribaudo, Fossi, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    i commi 1 e 2 dell'articolo 17 istituiscono un Fondo per il riconoscimento di una misura di sostegno economico in favore dei familiari degli studenti, ivi compresi quelli universitari o dei percorsi di istruzione e formazione professionale, deceduti a seguito di infortuni occorsi durante le attività formative;

    la dotazione del Fondo è pari a 10 milioni di euro per il 2023 e, a decorrere dal 2024, a 2 milioni di euro annui;

    l'esperienza dell'alternanza scuola-lavoro prima e dei PCTO poi, ha evidenziato negli anni numerose criticità e proprio sul piano della sicurezza, troppe volte si è assistito a tragedie che si sarebbero potute evitare se la normativa sui luoghi di lavoro fosse stata adeguatamente applicata e rispettata;

    è fondamentale impedire che si ripetano fatti dolorosi e inaccettabili come le morti dei giovani;

    le richieste emerse dai vari confronti con gli studenti, impongono una maggiore attenzione su come funziona l'alternanza scuola-lavoro nel nostro Paese,

impegna il Governo

a reperire risorse adeguate finalizzate a prevedere, nella fase formativa e informativa degli studenti sulla progettazione dei percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento, l'intervento di un formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
9/1238/14. Orfini, Manzi, Berruto, Scotto, Gribaudo, Fossi, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori, come quello sportivo, dove le condizioni economiche e normative sono già meno forti;

    il Governo, tra i primi interventi approvati sullo sport, all'articolo 1, comma 3, della legge 24 febbraio 2023, n. 14, cosiddetto milleproroghe, ha previsto lo slittamento di 2 mesi dei termini per l'adozione delle disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi attuativi della legge 86/2019 (recante «Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione»), facendo slittare l'entrata in vigore della legge al 1° luglio 2023;

    abbiamo da subito mostrato preoccupazione circa il rinvio della piena attuazione della riforma del lavoro sportivo;

    si tratta di una legge attesa da decenni da milioni di persone che finalmente vedranno riconosciute alcune tutele e diritti fondamentali e la propria dignità di lavoratrici e lavoratori del settore;

    decine e decine di sentenze della Corte di cassazione si sono più volte espresse, in maniera univoca, sul tema invitando fortemente a rispettare i tempi stabiliti di approvazione;

    in più occasioni il ministro ha confermato il 1° luglio quale la data di entrata in vigore della riforma e come accennato ha previsto un decreto correttivo della riforma;

    il decreto correttivo, sembrerebbe proporre alcuni cambiamenti di rilievo, come l'esclusione dell'agevolazione Inail, prevista in un primo momento, in favore dei collaboratori sportivi con compenso fino ai 5.000 mila euro annui;

    riteniamo necessaria la previsione dell'agevolazione Inail anche in virtù del fatto che la disciplina dell'obbligo assicurativo è comunque già prevista per i soggetti tesserati alle federazioni o agli enti di promozione sportiva;

    l'associazionismo sportivo, rappresentato per lo più da piccole società, oltre a svolgere una funzione sociale, permettendo ai giovani di dedicarsi ad un'attività sportiva e di maturare quelle attitudini, non solo fisiche ma anche umane, educative e di aggregazione, svolge un importante ruolo imprenditoriale con alto tasso occupazionale,

impegna il Governo

a prevedere – per la piena attuazione della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante «Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione» – l'agevolazione Inail in favore dei collaboratori sportivi con compenso fino ai 5.000 mila euro annui.
9/1238/15. Berruto, Andrea Rossi, Manzi, Orfini.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori, come quello sportivo, dove le condizioni economiche e normative sono già meno forti;

    il settore sportivo italiano negli ultimi anni, prima per affrontare l'emergenza sanitaria e dopo i costi di gestione legati al costo dell'energia, è stato fortemente penalizzato;

    la conseguente crisi ha inevitabilmente colpito il movimento sportivo di base;

    l'associazionismo sportivo, rappresentato per lo più da piccole società, oltre a svolgere una funzione sociale straordinaria per la presenza di migliaia di volontari, permettendo ai giovani di dedicarsi ad un'attività sportiva e di maturare quelle attitudini, non solo fisiche ma anche umane, educative e di aggregazione, svolge un importante ruolo economico con la presenza di migliaia di lavoratori sportivi;

    con l'approvazione dei decreti correttivi, il primo luglio entrerà in vigore il decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36 in attuazione della legge 8 agosto 86/2019 (recante «Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione» che interviene anche sul lavoro sportivo;

    si tratta di una riforma attesa, che coinvolge migliaia di lavoratori, che finalmente vedranno riconosciuti alcune tutele e diritti fondamentali e la propria dignità di lavoratrici e lavoratori dello sport;

    con l'attuazione della riforma necessitano ulteriori interventi finalizzati ad agevolare i costi di gestione che l'associazionismo sportivo dilettantistico dovrà inevitabilmente sostenere,

impegna il Governo:

  anche al fine di tutelare le lavoratrici e i lavoratori dello sport:

   a reperire risorse adeguate finalizzate ad accompagnare la riforma per non gravare ulteriormente su le realtà associative, già fortemente penalizzate dal contesto economico di questi anni;

   a rendere strutturale interventi di sostegno da parte dei soggetti privati in favore dell'associazionismo sportivo, anche attraverso forme di agevolazioni fiscali quali il credito di imposta sulle sponsorizzazioni.
9/1238/16. Andrea Rossi, Berruto.


   La Camera,

   premesso che:

    i commi 1 e 2 dell'articolo 17 istituiscono un Fondo per il riconoscimento di una misura di sostegno economico in favore dei familiari degli studenti, ivi compresi quelli universitari o dei percorsi di istruzione e formazione professionale, deceduti a seguito di infortuni occorsi durante le attività formative;

    la dotazione del Fondo è pari a 10 milioni di euro per il 2023 e, a decorrere dal 2024, a 2 milioni di euro annui;

    l'esperienza dell'alternanza scuola-lavoro prima e dei PCTO poi, ha evidenziato negli anni numerose criticità e proprio sul piano della sicurezza, troppe volte si è assistito a tragedie che si sarebbero potute evitare se la normativa sui luoghi di lavoro fosse stata adeguatamente applicata e rispettata;

    è fondamentale impedire che si ripetano fatti dolorosi e inaccettabili come le morti dei giovani;

    le richieste emerse dai vari confronti con gli studenti, impongono una maggiore attenzione su come funziona l'alternanza scuola-lavoro nel nostro Paese;

    riteniamo opportuno che venga garantito un maggiore studio della sicurezza e del rispetto delle tutele e dell'efficacia dei Tirocini, anche attraverso l'introduzione di un osservatorio nazionale composto anche dalle rappresentanze dei sindacati studenteschi riconosciuti e dalle consulte scolastiche,

impegna il Governo

al fine di garantire un maggiore studio della sicurezza e del rispetto delle tutele e dell'efficacia dei Tirocini, a tenere traccia degli infortuni, raccogliere i dati sui Tirocini e tenere conto delle strutture che garantiscono la sicurezza richiesta, ad introdurre un osservatorio nazionale composto anche dalle rappresentanze dei sindacati studenteschi riconosciuti e dalle consulte scolastiche.
9/1238/17. Zingaretti, Manzi, Berruto, Orfini, Scotto, Gribaudo, Fossi, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il Capo III del disegno di legge in oggetto prevede «Ulteriori interventi urgenti in materia di politiche sociali e di lavoro», nello specifico all'articolo 27 «Incentivi all'occupazione giovanile», all'articolo 34 «Modifiche alla disciplina dei contributi per il settore dell'autotrasporto merci e persone» e all'articolo 36 «Disposizioni in materia di lavoro marittimo»;

    la carenza di personale per il settore dei trasporti, sia merci che passeggeri, come evidenziato sia dall'associazione internazionale IRU (International Road Transport Union) che dalle Associazioni di categoria del settore trasporto e logistica nazionale, è un fenomeno con importanti ricadute negative comuni sia all'Italia che a diversi Stati europei;

    per ciò che concerne l'autotrasporto su gomma, negli ultimi vent'anni, secondo dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si è registrato un notevolissimo calo di conseguimento di patenti di tipo D (destinate alla guida di autobus superiori ai 9 passeggeri): dalle circa 35.000 del 2001, alle poco più di 4.500 del 2021;

    in Italia su una dotazione organica di circa 90.000 unità per il settore passeggeri, la carenza di conducenti nel 2021 è risultata pari a circa 7.000 unità. Un dato aumentato nel 2022, con il 13 per cento di posizioni di autista non coperte (rispetto all'8 per cento della media UE). Si prevede inoltre che la carenza aumenterà progressivamente, con un effetto moltiplicatore fino a nove volte nel 2026;

    relativamente al settore marittimo, invece, secondo i dati del 2022 presentati dalle associazioni di categoria e dai sindacati di settore all'allora direttore generale del MIMS, la carenza di marittimi comunitari e italiani disponibili all'imbarco sulle navi traghetto che svolgono servizi di cabotaggio ammonta a circa 1100 unità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, anche alla luce dei dati sopra riportati, misure urgenti per il lavoro atte a incrementare e riqualificare la figura professionale degli autisti del settore dell'autotrasporto sia merci che passeggeri e quella dei lavoratori marittimi disponibili all'imbarco.
9/1238/18. Volpi, Giovine.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori dove le condizioni economiche e normative già offrono meno garanzie;

    l'Unione calcola che, nel 2022 i lavoratori le cui prestazioni sono organizzate dalle piattaforme elettroniche raggiungevano gli oltre 28 milioni – molto vicini a quelli dell'industria manifatturiera. Una coorte destinata a crescere esponenzialmente, per raggiungere i 43 milioni di operatori nel 2025;

    per predisporre una risposta aggiornata e appropriata per questa realtà così importante, lo scorso 12 e 13 giugno si è riunito in Lussemburgo il Consiglio dell'Unione europea dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, attraverso la definizione di una nuova direttiva finalizzata a determinare il corretto status occupazionale delle persone che lavorano per le piattaforme digitali, nonché per aumentare la trasparenza dell'uso degli algoritmi da parte delle piattaforme digitali, garantendo la supervisione umana sulle decisioni chiave che interessano i lavoratori e la protezione dei loro dati personali;

    al contrario, con l'articolo 26 del presente provvedimento, sotto l'etichetta della «Semplificazioni in materia di informazioni e di obblighi di pubblicazione in merito al rapporto di lavoro», ci si prefigge di ridurre i margini di informazione dei lavoratori delle piattaforme;

    alla luce delle nuove disposizioni, modificando il cosiddetto «decreto trasparenza» (decreto legislativo n. 104 del 2022), i lavoratori dovranno essere informati dal datore di lavoro o dal committente sull'uso di sistemi decisionali o di monitoraggio, solo se questi sono integralmente automatizzati, mentre si escludono obblighi informativi con riferimento ai sistemi che risultino protetti dal segreto industriale;

    una soluzione che sembra in contraddizione rispetto alle previsioni del Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali (regolamento UE 679/2016) che, in quanto norma comunitaria ha prevalenza sulla disciplina nazionale, riconosce agli interessati il diritto di conoscere l'esistenza di un processo decisionale automatizzato e le informazioni significative sulla logica utilizzata, sull'importanza e sulle conseguenze previste da tale trattamento dei dati,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di riconsiderare, sin dal primo provvedimento utile, la soluzione individuata dal presente decreto-legge per quanto concerne l'accesso alle informazioni relative all'esistenza di processi decisionali automatizzati nei rapporti di lavoro, in linea con i nuovi indirizzi che stanno emergendo in ambito comunitario e con quanto già disposto dal regolamento UE 679/2016, anche al fine di scongiurare il possibile proliferare di contenziosi giurisdizionali.
9/1238/19. Orlando, Scotto, Gribaudo, Guerra, Fossi, Laus, Sarracino, Mari, Scarpa.


   La Camera,

   premesso che:

    all'articolo 22 si prevede una modifica quanto all'Assegno Unico ed Universale;

    tale beneficio, da normativa vigente, non è, di fatto, concesso nel caso i figli risiedano all'estero; basandosi sull'ISEE, infatti, il riconoscimento della misura, si richiede il requisito della convivenza;

    è evidente che tale previsione grava pesantemente soprattutto sui lavoratori stranieri che vivono nel nostro Paese e che spesso mantengono i figli residenti nel Paese d'origine, ma anche su tutti quei cittadini italiani che hanno i figli che vivono e lavorano all'estero;

    va segnalato, peraltro, che nel Regolamento n. 883 del 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (del 29 aprile 2004) relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, ed in particolare all'articolo 67, rubricato «Familiari residenti in un altro Stato membro», si riconosce il diritto alle prestazioni familiari per i familiari che risiedano in uno Stato membro diverso da quello competente a erogare tali prestazioni, come se risiedessero in quest'ultimo Stato membro. Norma, tuttavia, evidentemente disattesa, anche rispetto a diverse pronunce della Corte di giustizia sul punto, in quanto, in relazione all'Assegno Unico ed Universale – come segnalato – i figli residenti all'estero, non convivendo con il richiedente, non fanno parte dello stesso nucleo familiare ai fini ISEE e, pertanto, sono irrilevanti in relazione al rispetto dei requisiti per la sua concessione;

    la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l'Italia anche contro l'Assegno Unico Universale, a febbraio scorso, con particolare riguardo al requisito della residenza biennale che viola il diritto dell'UE, «in quanto non trattano i cittadini dell'UE in modo paritario, il che si qualifica come discriminazione. Inoltre, il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come gli assegni familiari.»;

    al fine di sanare tale previsione discriminatoria, non conforme alle disposizioni comunitarie in materia di riconoscimento delle prestazioni sociali, nonché in palese contrasto con l'articolo 3 della Costituzione,

impegna il Governo

ad intervenire per introdurre, in tempi celeri, una modifica normativa tesa a sanare la discriminazione illustrata in premessa, in particolare finalizzata a prevedere una misura di compensazione per i cittadini italiani, nonché per i lavoratori stranieri, che vivono e lavorano nel nostro Paese, ma che hanno i figli residenti all'estero.
9/1238/20. Soumahoro.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge n. 51 del 2023 contiene secondo il titolo «misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro» ma, nella realtà nonostante tale titolo e la presentazione mediatica che ha preceduto la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, accanto a poche disposizioni, peraltro non strutturali, che stanziano risorse in favore dei lavoratori, l'impostazione del provvedimento è volta ad aumentare la precarietà e a ridurre la protezione sociale;

    in particolare, le disposizioni del Capo I – Nuove misure di inclusione sociale e lavorativa – dando seguito a quanto già previsto con la Legge di Bilancio 2023 abrogano il Reddito di Cittadinanza, unica misura di contrasto alla povertà universale, misura per altro presente in tutti i paesi dell'Unione europea;

    in alternativa al reddito di cittadinanza viene introdotta una misura categoriale che discrimina le famiglie in condizione di bisogno in base a criteri che prescindono dalla situazione reddituale e patrimoniale affermando così una nuova frontiera della disuguaglianza nel nostro Paese: l'adozione di politiche ineguali verso persone in uguale condizione di difficoltà economica;

    le due misure previste, rivolte a diverse categorie di beneficiari, da un lato l'Assegno d'inclusione (Adi) per i «non occupabili», dall'altro il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) per gli occupabili contraddicono i principi fondanti di un sistema di welfare universale, come affermato a gennaio dalla Raccomandazione approvata dal Consiglio dell'Unione europea, nonché come riportato nella Risoluzione sul reddito minimo adottata a marzo dal Parlamento europeo in cui si sottolinea come sia necessario aumentare gli sforzi per sostenere «le persone che non dispongono di risorse sufficienti»;

    in particolare, la raccomandazione del Consiglio europeo del 30 gennaio 2023 pone come obiettivo, nell'ottica di garantire una vita dignitosa in tutte le fasi della vita, combattere la povertà e l'esclusione sociale promuovendo un adeguato sostegno al reddito, in particolare mediante un reddito minimo, e un accesso effettivo ai servizi abilitanti ed essenziali per le persone che non dispongono di risorse sufficienti, e favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di chi può lavorare, in linea con l'approccio di inclusione attiva;

    la sostituzione del Reddito di Cittadinanza con l'Assegno all'inclusione, una misura categoriale rivolta esclusivamente alle famiglie con minori, anziani o disabili e il Supporto per la formazione e il lavoro, per le altre famiglie costituisce una profonda e preoccupante novità rispetto al criterio di universalità selettiva che aveva caratterizzato le due precedenti misure nazionali di contrasto alla povertà, prima il Rei e poi il reddito di cittadinanza;

    secondo il rapporto dell'ufficio di bilancio Parlamentare (UPB) presentato lo scorso 20 giugno il 42 per cento dei percettori del reddito di cittadinanza non accedono alla misura dell'assegno di inclusione. I nuclei percettori passeranno da 1,2 milioni a 740mila, parliamo di circa 400mila famiglie escluse perché al loro interno non sono presenti soggetti che secondo il Governo andrebbero tutelati;

    la creazione di un doppio binario che distingue chi è ritenuto meritevole di ricevere un sostegno economico e di essere preso in carico per l'attivazione di percorsi di inclusione sociale e lavorativa, da chi è ritenuto colpevole della propria condizione di povertà e, pertanto, è sostenuto in misura minore ed esclusivamente se partecipa ad attività di formazione e per un tempo limitato, non tiene in alcuna considerazione le caratteristiche della povertà come fenomeno complesso, che richiede una pluralità di risposte e di interventi, né tiene in alcuna considerazione l'esistenza del lavoro povero;

    il sistema delineato dalle due nuove misure esclude i lavoratori poveri, tra i 18 e i 59 anni che non appartengano a famiglie con minori, disabili o over 60. Un giovane precario di 30 anni, pur in possesso dei requisiti richiesti, non riceverà alcun sostegno;

    a questa distinzione discriminatoria di fondo, si aggiungono modalità di attivazione lavorativa rivolte ai beneficiari di entrambe le misure, che denotano sia la totale noncuranza verso la qualità del lavoro che si vuole promuovere, sia l'ulteriore riduzione del perimetro pubblico del sistema di attivazione lavorativa con una pluralità di disposizioni che promuovono l'attività di soggetti privati per l'intermediazione e per la formazione;

    in definitiva, quindi, le nuove misure introdotte danno seguito all'inaccettabile retorica della povertà come colpa individuale e non come responsabilità collettiva della società che l'ha generata e cui spetta il dovere di mettere in campo un'azione integrata di politiche pubbliche per rimuoverla,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi della disciplina in esame, al fine di adottare ulteriori iniziative normative, volte a promuovere politiche pubbliche che, partendo dalla definizione di una vera misura universale di contrasto alla povertà ,prendano in carico tutta la popolazione in condizione di vulnerabilità – superando, quindi, il doppio binario proposto dal decreto – attraverso un idoneo sostegno economico e l'attivazione di tutti gli interventi e i servizi pubblici (abitativi, educativi, assistenziali) necessari a rimuovere le cause della povertà così come stabilito dalla Raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 30 gennaio 2023;

   a incrementare le risorse previste per la lotta alla povertà al fine di potenziare anche la rete dei servizi pubblici dei territori, a partire dalle dotazioni organiche.
9/1238/21. Furfaro.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame prevede «misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro»;

    tra i temi trattati nelle norme del provvedimento vi è la sicurezza nei posti di lavoro e la disciplina dei contratti di lavoro dipendente a tempo determinato nel settore privato;

    una delle figure professionali attualmente con maggiore precarietà e rischi di incolumità sul lavoro è quella dei rider;

    la figura professionale del «ciclofattorino» (rider) comincia a comparire nel nostro paese nel corso del 2015; secondo gli ultimi dati delle associazioni di categoria i rider attualmente in Italia sono oltre 60 mila;

    si tratta di numeri in crescita e che si inseriscono nell'aumento complessivo delle «consegne a domicilio» registrato negli ultimi anni anche nel nostro paese ed incentivato non solo dalla pandemia ma da nuovi modelli di vita e di società;

    gli acquisti online soltanto per il food delivery valgono infatti 1,8 miliardi di euro (aumento del 20 per cento rispetto al 2021). Gli ordini complessivi sono poco più di 65 milioni (erano 54 milioni nel 2021);

    anche la composizione sociale dei rider sta mutando rapidamente: nata come occupazione part time sta diventando un impiego da reddito principale;

    la normativa nazionale attribuisce ai rider tutele differenziate a seconda che la loro attività sia riconducibile alla nozione generale di etero organizzazione, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo numero 81 del 2015, ovvero a quella di lavoro autonomo di cui all'articolo 47-bis del medesimo decreto legislativo, ferma restando la possibilità che l'attività sia invece qualificabile quale prestazione di lavoro subordinato ai sensi dell'articolo 2094 del codice civile;

    vi sono quindi attualmente in Italia due modelli contrattuali:

     il 16 settembre 2020 è stato stipulato il contratto collettivo nazionale tra Assodelivery (Confindustria) ed Ugl Rider qualificando la prestazione dei rider come autonoma;

     a marzo 2021 viene firmato l'accordo tra Just Eat (uscito quindi da Assodelivery) con Cgil, Cisl e Uil e che riconosce i rider come lavoratori dipendenti inserendoli in una sezione appositamente creata del comparto della logistica;

    il 90 per cento del servizio del food delivery rimane attualmente svolto nella forma della collaborazione autonoma, come da contratto collettivo nazionale del 16 settembre 2020;

    sulla illegittimità del contratto collettivo nazionale tra Assodelivery (Confindustria) ed Ugl Rider si sono espressi alcuni tribunali:

    il 30 giugno 2021 il Tribunale di Bologna che ha intimato a Deliveroo Italy di astenersi dall'applicarlo ai propri rider;

    il 24 novembre 2021 il Tribunale di Firenze ha riconosciuto che tale accordo mina le fondamenta del contratto collettivo perché sottoscritto da una sigla sindacale non rappresentativa;

    il 29 novembre 2022 il Tribunale del lavoro di Milano ha obbligato Glovo ad assumere un lavoratore appena licenziato e con un contratto a condizioni migliori;

    in questo contesto va aggiunto che la Corte di cassazione, con la sentenza 24 gennaio 2020, numero 1663, aveva già riconosciuto come la disciplina del lavoro subordinato vada estesa ai rider;

    anche alla luce della suddetta giurisprudenza, andrebbe verificata attentamente la piena legittimità dei rapporti di lavoro applicati a larga parte degli attuali rider;

    tale settore è quindi ancora caratterizzato da un elevatissimo livello di precarietà che si ripercuote non solo dei diritti dei lavoratori ma anche sulla stessa sicurezza di tali addetti;

    negli ultimi mesi sono sei i rider deceduti in incidenti stradali: William De Rose a Livorno, Giuseppe Cannavacciuolo ad Angri (provincia di Salerno), Roman Emiliano Zapata a Preganziol (in provincia di Treviso), Sebastian Galassi a Firenze, Muralidharan Abhishek a Roma; Elvis Munyi Kiiru a Roma;

    per quanto riguarda diritti e tutele sono in aumento i casi di soprusi denunciati dai sindacati ai danni dei lavoratori: soltanto nei giorni scorsi (a fine gennaio 2023) a Livorno un rider è stato licenziato con un SMS dopo tre anni di collaborazioni e la motivazione sarebbe la contestazione unilaterale da parte dell'azienda (Deliveroo);

    il decreto legislativo numero 81 del 2015 ha inoltre istituito anche un Osservatorio permanente presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, presieduto dal Ministro o da un suo delegato e composto da rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale;

    tra le funzioni di tale Osservatorio vi è anche quella di proporre revisioni alla normativa vigente in base all'evoluzione del mercato del lavoro e della dinamica sociale (articolo 3 del decreto ministeriale n. 131 del 2020);

    il 12 giugno scorso i ministri del Lavoro e i paesi Ue hanno raggiunto l'accordo sulle nuove regole a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme come Uber, Deliveroo e Glovo. Tra i punti principali della posizione comune vi è l'inquadramento, secondo determinati criteri, dei lavoratori della gig economy come dipendenti, e non più come autonomi,

impegna il Governo

a promuovere la revisione alla normativa vigente, coinvolgendo le associazioni sindacali e le imprese del settore, al fine di aggiornare l'attuale disciplina nazionale sui rider rendendola compatibile con le indicazioni della giurisprudenza e garantire conseguentemente ai lavoratori coinvolti stipendi proporzionati al costo della vita, maggiori diritti e tutele e una sicurezza adeguata nello svolgimento delle loro mansioni.
9/1238/22. Vaccari, Fossi, Grimaldi.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori dove le condizioni economiche e normative sono già meno forti;

    nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento è stata introdotta una misura che non sembra trovare precedenti nel nostro ordinamento, in base alla quale si prevede il riconoscimento di «una somma a titolo di trattamento integrativo speciale, che non concorre alla formazione del reddito, pari al 15 per cento delle retribuzioni lorde corrisposte in relazione al lavoro notturno e alle prestazioni di lavoro straordinario, ai sensi del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, effettuato nei giorni festivi»;

    tale trattamento integrativo speciale sarebbe giustificato dalla necessità di «garantire la stabilità occupazionale e di sopperire alla eccezionale mancanza di offerta di lavoro nel settore turistico»;

    molte inchieste giornalistiche hanno dimostrato che, tutte le volte che le offerte di lavoro ricalcano correttamente i termini della contrattazione collettiva del settore, in realtà non ci sarebbe alcuna eccezionale mancanza di offerta di lavoro;

    il trattamento in questione viene riconosciuto ai lavoratori dipendenti del settore privato titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore, nel periodo d'imposta 2022, a euro 40.000;

    peraltro, con altra disposizione del provvedimento in oggetto si prevede l'innalzamento da 10.000 a 15.000 euro dell'importo massimo spendibile da un'impresa per la totalità dei collaboratori occasionali di cui si avvale, qualora gli utilizzatori operino nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento, nonché l'innalzamento da 10 fino a 25 lavoratori subordinati a tempo indeterminato la soglia dimensionale delle imprese che possono utilizzare i voucher. Va ricordato come, con riferimento ad analoga disposizione, contenuta nell'ultima legge di bilancio, la stessa relazione tecnica proposta dal MEF evidenziasse che: «ferma restando la domanda di lavoro, il maggior ricorso ai CPO sottrarrà, verosimilmente, contratti di altra natura (lavoro a tempo determinato, lavoro stagionale)». Tesi ribadita anche nelle schede di lettura al presente provvedimento dagli uffici del Senato;

    il contratto collettivo nazionale del settore del turismo già prevede specifiche maggiorazioni per il lavoro straordinario e notturno,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile volta a chiarire che il suddetto trattamento integrativo speciale non può in nessun caso essere considerato sostitutivo degli obblighi contrattuali a carico del datore di lavoro per quanto concerne le maggiorazioni previste dalla contrattazione collettiva nazionale, nonché per assicurare la massima vigilanza relativamente al rispetto di tali istituti contrattuali.
9/1238/23. Curti.


   La Camera,

   premesso che:

    il nostro mercato del lavoro appare ancora «intrappolato nella precarietà»: dei nuovi contratti attivati nel 2021, sette su dieci sono a tempo determinato, il part time involontario coinvolge l'11,3 per cento dei lavoratori (contro una media Ocse del 3,2 per cento) e solo il 35-40 per cento dei lavoratori atipici passa nell'arco di tre anni ad impieghi stabili;

    le nuove norme contro la precarietà nel mercato del lavoro che il Governo spagnolo ha introdotto lo scorso marzo, in accordo con industriali e sindacati, stanno generando una fortissima crescita dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, con un aumento di oltre il 230 per cento;

    anziché affrontare questi nodi che pregiudicano la condizione dei lavoratori e che indeboliscono il nostro sistema economico, la legge di bilancio 2023 ingiustificatamente amplia l'accesso delle aziende alla possibilità di utilizzo del contratto di prestazione occasionale per il lavoro occasionale ed elimina il divieto vigente per il settore agricolo;

    i cosiddetti voucher sono già previsti per i lavoratori agricoli e sono già previsti dal nostro ordinamento, ma con gli opportuni vincoli volti a garantire i diritti dei lavoratori e le imprese sane. Le modifiche introdotte rischiano, come abbiamo già visto in passato, di offrire maggiori spazi ai caporali o a chi vuole sfruttare i lavoratori;

    nel settore dell'agricoltura la flessibilità è già assicurata da un sistema di leggi e contratti collettivi che consentono assunzioni anche di brevissima durata (perfino di 1 giorno solo). Ampliare la platea di lavoratori che possono essere retribuiti con contratti di prestazione occasionale ed innalzare il limite economico di utilizzo finisce per destrutturare il lavoro in agricoltura, precarizzandolo ulteriormente senza alcun motivo e riducendo i diritti contrattuali e previdenziali dei lavoratori e delle lavoratrici più fragili in un settore dove già è forte la presenza di lavoro irregolare e illegalità; la sostituzione dei rapporti di lavoro regolari previsti dalla contrattazione collettiva con le prestazioni occasionali in agricoltura significa perdere le tutele in caso di maternità, malattie e infortuni, così come l'indennità di disoccupazione agricola;

    con tali misure si aumenta la precarietà di giovani e di donne, soprattutto nel Mezzogiorno;

    la stessa relazione tecnica alla legge di bilancio evidenzia che «ferma restando la domanda di lavoro, il maggior ricorso ai CPO sottrarrà, verosimilmente, contratti di altra natura (lavoro a tempo determinato, lavoro stagionale)»,

impegna il Governo:

   ad adottare una strategia per il contrasto della precarietà del lavoro, eliminando le forme che maggiormente riducono le tutele per i lavoratori e pregiudicano una sana competitività del nostro sistema economico, con particolare riguardo ai contratti di prestazione occasionale;

   ad informare periodicamente il Parlamento sugli effetti sull'occupazione conseguenti all'entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di prestazioni occasionali.
9/1238/24. Casu, Scotto, Laus, Gribaudo, Fossi, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    ben lontano dagli annunci di alcuni esponenti di Governo che vantavano misure volte a scongiurare il ritorno alla legge Fornero, le misure in materia previdenziale varate sinora si caratterizzano per l'irrilevanza sostanziale delle soluzioni prospettate per assicurare forme di flessibilità di uscita pensionistica e per i tagli che vengono applicati agli assegni di milioni di pensionati che si vedranno decurtare gli adeguamenti all'inflazione;

    in questa opera demolitoria di distinguono le misure che hanno modificato l'istituto di «Opzione donna». Una misura che, a suo tempo introdotta dall'allora Ministro Maroni con l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004, e che è sempre stata prorogata da tutti i governi che si sono succeduti a decorrere da quella data;

    le modifiche apportate hanno ridotto drasticamente la platea delle lavoratrici che teoricamente possono accedere a tale forma di uscita flessibile, rispetto alle 17.000 previste dalla legge di bilancio 2022;

    con tali misure si intende far cassa sulla condizione delle lavoratrici che aspirano a poter accedere alla pensione, seppure con l'applicazione del metodo contributivo per tutto l'arco della vita lavorativa, magari per finanziare misure che accentuano il divario sociale o l'ingiustizia fiscale;

    anche l'ipotesi che la soglia anagrafica per l'accesso ad Opzione donna possa essere modulato in ragione della presenza di figli ha sollevato condivisibili dubbi di legittimità costituzionale;

    la condizione della donna nel nostro mondo del lavoro sconta il protrarsi del gender gap per quanto concerne i livelli salariali, le prospettive di carriere, le storie contributive – spesso brevi e frammentate –, nonché lo squilibrio del carico delle responsabilità familiari;

    sebbene le donne rappresentino il 52 per cento dei percettori di trattamenti pensionistici, gli uomini percepiscono il 56 per cento dei redditi pensionistici: l'importo medio dei redditi percepiti dalle donne e infatti inferiore rispetto a quello degli uomini del 27 per cento (16.501 contro 22.598 euro) nel corso dei quasi 20 anni trascorsi dall'entrata in vigore del citato l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004, con l'istituto di Opzione donna si è offerto un parziale e misurato indennizzo per le lavoratrici del nostro Paese che, su base volontaria, potevano utilizzare una opportunità di uscita flessibile dal lavoro, possibilità attualmente, di fatto, preclusa per la gran parte di esse,

impegna il Governo

a rivedere, già a partire dal prossimo provvedimento utile, le norme che disciplinano l'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «opzione donna», secondo le regole previgenti la legge di bilancio 2023, senza ulteriori penalizzazioni o condizioni aggiuntive.
9/1238/25. Ghio, Ghirra.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori dove le condizioni economiche e normative sono già meno forti;

    il Governo ha più volte enunciato l'intenzione di riduzione il carico fiscale a carico di cittadini e imprese e nel presente provvedimento compaiono solo alcuni parziali e temporanei interventi, come nel caso della riduzione del cuneo contributivo a carico dei lavoratori o la riproposizione di misure di decontribuzione per l'instaurazione di nuovi contratti di lavoro per i giovani;

    tra gli interventi che si attendevano nel presente provvedimento vi era anche quello volto ad incrementare gli importi deducibili per i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, relativi ai rapporti di lavoro per gli addetti ai servizi domestici e all'assistenza personale o familiare, attualmente fermo a 1.549,37 annui;

    una misura che avrebbe favorito l'emersione dei rapporti di lavoro in tale particolare e delicata tipologia di lavoro, a tutela dei lavoratori in questione, così come dei redditi delle famiglie che si avvalgono di tali servizi,

impegna il Governo

a prevedere, nel primo provvedimento utile, un apposito intervento volto ad incrementare gli importi deducibili per i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, relativi ai rapporti di lavoro per gli addetti ai servizi domestici e all'assistenza personale o familiare.
9/1238/26.Roggiani.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori dove le condizioni economiche e normative già offrono meno garanzie;

    i dati rilevati dall'Istat evidenziano ad aprile una crescita dell'occupazione che riguarda l'intero primo quadrimestre del 2023, di pari passo con la crescita economica;

    tuttavia, come evidenziato dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nelle ultime Considerazioni finali del suo mandato, presentate il 31 maggio «Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un'occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate. In molti casi il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate: la quota di giovani ancora precaria dopo cinque anni resta al 20 per cento»;

    con riferimento ai dati del mese di aprile, gli occupati crescono di 48 mila unità, con un aumento dei contratti a tempo indeterminato pari a 74mila unità e una diminuzione dei contratti a termine pari a 31 mila unità;

    tali valori che evidenziano un parziale consolidamento della buona e stabile occupazione si sono registrati in un contesto normativo precedente l'entrata in vigore del presente provvedimento che, invece, ha reintrodotto norme che ampliano gli spazi della precarietà, sia per quanto concerne la disciplina dei contratti a termine, sia per quanto riguarda l'ulteriore estensione dell'utilizzo dei voucher, dopo quelle già previste nell'ultima legge di bilancio; il fenomeno dei contratti a termine in Italia interessa oltre 3 milioni di lavoratori; secondo i dati forniti nelle note trimestrali sulle tendenze dell'occupazione realizzate da Istat, Ministero del Lavoro e Inps, relative al terzo trimestre 2022, tra i nuovi contratti a tempo determinato oltre il 31 per cento delle nuove posizioni prevedeva una durata lavorativa fino a un mese; è di tutta evidenza come rapporti di tale natura e durata non possano essere considerati una reale opportunità di occupazione su cui costruire la propria indipendenza economica ed esistenziale; compito delle istituzioni dovrebbe essere quello di vigilare attentamente, prevenire e scoraggiare un uso improprio di tali contratti di brevissima durata;

    ai sensi dell'articolo 2, comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92 è previsto per i contratti a tempo determinato il pagamento di un contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, pari all'1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Contributo addizionale che è aumentato di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione;

    tuttavia, la suddetta disposizione non opera alcuna distinzione in ragione della durata dei relativi contratti a tempo determinato, di fatto, non scoraggiando tali prassi,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, sin dal prossimo provvedimento utile, volta alla revisione della citata disposizione che dispone un contributo addizionale sui contratti a termine, introducendo aliquote aggiuntive per i contratti di breve e brevissima durata.
9/1238/27. Toni Ricciardi.


   La Camera,

   premesso che:

    con l'articolo 17, commi 1-3 si provvede a istituire Fondo per il riconoscimento di una misura di sostegno economico in favore dei familiari degli studenti, ivi compresi quelli universitari o dei percorsi di istruzione e formazione professionale, deceduti a seguito di infortuni occorsi, successivamente al 1° gennaio 2018, durante le attività formative;

    poche settimane dopo l'emanazione di tale disposizione, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sono state, invece, tagliati gli indennizzi previsti dal Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

    il suddetto Fondo era finanziato con 9,8 milioni di euro nel 2022, mentre come si evince dalle premesse del citato decreto ministeriale «le risorse complessivamente disponibili per l'esercizio finanziario 2023 a valere sul corrispondente capitolo di bilancio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, destinato alle finalità innanzi richiamate, pari ad euro 5.479.421,00»;

    sulla base di tali stanziamenti, in caso di decesso del lavoratore componente di un nucleo familiare di due persone l'importo del contributo scende da 11.400 euro a 7.500 euro, se il nucleo familiare è di tre componenti il contributo scende da 16.800 euro a 11.000 euro, se il nucleo è di più di tre componenti il contributo si riduce dai 22.400 euro a 14,500;

    dopo le giuste rimostranze delle organizzazioni sindacali, di tanti osservatori e degli organi di stampa, il Governo ha dovuto porre rimedio a tale errore, con un emendamento che si limita a ripristinare solo in parte, con 5 milioni di euro per il solo 2023, la cifra del suddetto Fondo nella misura prevista per l'anno 2022;

    nessuna cifra potrà mai risarcire una perdita o la menomazione grave di una persona cara, ma sicuramente un aiuto alle famiglie in difficoltà è un fatto assolutamente doveroso;

    va rilevato come continui ad essere ancora drammaticamente alto il numero dei decessi e dei gravi incidenti sul lavoro e come nel 2022 e ancora nel 2023 si siano registrati tassi di inflazione altissimi che hanno già decurtato il valore reale di detti contributi,

impegna il Governo

tenuto conto dell'andamento dell'inflazione e della drammatica circostanza per la quale non sembrano diminuire il numero dei decessi e dei gravi incidenti sul lavoro, ad adottare, sin dal primo provvedimento utile, le opportune misure per incrementare significativamente e in forma permanente gli stanziamenti del Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 1187, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 rispetto a quelli già previsti per l'anno 2022, solo parzialmente e transitoriamente ripristinati dal presente provvedimento.
9/1238/28. Morassut.


   La Camera,

   premesso che:

    la legge numero 46 del 2021 ha introdotto nel nostro ordinamento l'assegno unico quale strumento universale di sostegno economico alle famiglie attribuito per ogni figlio a carico fino al compimento del ventunesimo anno di età (al ricorrere di determinate condizioni) e senza limiti di età per i figli disabili il cui importo varia in base all'Isee tenuto conto dell'età, del numero dei figli nonché di eventuali situazioni di disabilità di quest'ultimi;

    il decreto legislativo numero 230 del 2021, attuativo della legge all'articolo 4, comma 8, prevede che, nel caso in cui entrambi i genitori siano lavoratori, sia prevista una maggiorazione per ciascun figlio pari a 30 euro mensili. Tale importo spetta in misura piena per un Isee pari o inferiore a 15.000 euro. Per livelli di Isee superiori, esso si riduce gradualmente fino ad annullarsi per un Isee pari a 40.000 euro;

    fino alla pubblicazione del messaggio numero 1714 del 20 aprile 2022 l'Inps pagava tale maggiorazione anche in caso di genitori separati o divorziati, ovviamente, entrambi lavoratori; con tale messaggio, infatti, l'Inps specificava che la maggiorazione per i genitori lavoratori non poteva essere richiesta nel caso di domanda presentata per un nucleo composto da un solo genitore anche se lavoratore, andando ben oltre il tenore letterale della legge n. 46 del 2021 che non menziona il «nucleo familiare», ma solo la contemporanea condizione lavorativa di entrambi i genitori;

    l'Inps ha quindi ritenuto che la maggiorazione ex articolo 4, comma 8, non spettasse in caso di genitori separati o divorziati, sospendendo così a partire da tale data il pagamento della maggiorazione e a quanto costa predisponendo i provvedimenti di recupero delle maggiori somme corrisposte;

    la posizione assunta dall'Inps non è conforme alle previsioni legislative poiché l'assegno unico e universale per i figli a carico, come si legge nell'articolo 1 comma 1, «costituisce un beneficio economico attribuito ... ai nuclei familiari sulla base della condizione economica del nucleo, in base all'Isee»; il successivo articolo 2 precisa che «l'assegno di cui all'articolo 1 spetta, nell'interesse del figlio, in parti uguali a chi esercita la responsabilità genitoriale, salvo quanto previsto all'articolo 6, commi 4 e 5»;

    quindi, per espressa previsione di legge, l'assegno unico è corrisposto nell'interesse dei figli a carico e non già dei loro genitori, sicché a fronte del requisito per così dire «oggettivo» dato dalla presenza di due genitori entrambi lavoratori, pare irrilevante che gli stessi costituiscano o meno un unico nucleo familiare, risultando così soddisfatto il requisito di cui all'articolo 4, comma 8;

    ciò è avallato non solo dalla successiva modifica introdotta dall'articolo 22, comma 1, del decreto legislativo 4 maggio 2023 numero 48, che specifica che la maggiorazione con effetto dal 1° giugno 2023 è riconosciuta anche nel caso di unico genitore lavoratore al momento della presentazione della domanda, ove l'altro risulti deceduto, ma anche dallo stesso decreto legislativo n. 230 del 2021, ove all'articolo 5 dispone, con riguardo ai nuclei familiari con Isee inferiore a 25.000 euro, che per appartenenti al nucleo familiare si intendono entrambi i genitori, inclusi quelli separati o divorziati o comunque non conviventi;

    in sostanza al momento chi ha due stipendi e non è separato prende la maggiorazione e chi è invece solo e in maggiore difficoltà è penalizzato;

   valutato che:

    il provvedimento in esame «Conversione in legge del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro» prevede all'articolo 22 norme relative all'«Assegno unico e universale per i figli a carico»;

    l'articolo 22 modifica la disciplina dell'assegno unico e universale per i figli a carico, di cui al decreto legislativo 29 dicembre 2021, n. 230. La novella concerne la maggiorazione

    specifica dell'assegno attribuita per i casi in cui entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro estendendola però ai casi in cui vi sia un solo genitore lavoratore e l'altro sia deceduto;

    tale modifica continua ad escludere però i nuclei familiari lavoratori monogenitoriali in cui un genitore non sia deceduto inclusi quindi quelli separati o divorziati o comunque non conviventi,

impegna il Governo

ad inserire, nel prossimo provvedimento utile, una norma che assegni la maggiorazione di cui all'articolo 4, comma 8, del decreto legislativo n. 230 del 2021 a tutti i nuclei familiari di lavoratori monogenitoriali inclusi quindi quelli separati o divorziati o comunque non conviventi.
9/1238/29. Forattini, Furfaro, Fossi.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori dove le condizioni economiche e normative sono già meno forti;

    nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento è stata introdotta una misura che non sembra trovare precedenti nel nostro ordinamento, in base alla quale si prevede il riconoscimento di «una somma a titolo di trattamento integrativo speciale, che non concorre alla formazione del reddito, pari al 15 per cento delle retribuzioni lorde corrisposte in relazione al lavoro notturno e alle prestazioni di lavoro straordinario, ai sensi del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, effettuato nei giorni festivi»;

    tale trattamento integrativo speciale sarebbe giustificato dalla necessità di «garantire la stabilità occupazionale e di sopperire alla eccezionale mancanza di offerta di lavoro nel settore turistico»;

    molte inchieste giornalistiche hanno dimostrato che, tutte le volte che le offerte di lavoro ricalcano correttamente i termini della contrattazione collettiva del settore, in realtà non ci sarebbe alcuna eccezionale mancanza di offerta di lavoro;

    l'originalità della misura si sostanzia in un intervento pubblico, con oneri a carico del bilancio dello Stato, nelle dinamiche di mercato tra domanda e offerta di lavoro in determinati settori economici; sinora sono stati posti a carico del bilancio pubblico interventi straordinari di sostegno del reddito di lavoratori, anche al di fuori del sistema degli ammortizzatori sociali, che hanno perduto o ridotto la loro occupazione in conseguenza di straordinarie situazioni di emergenza, come nel caso della pandemia e delle calamità naturali, da ultima quella delle alluvioni che hanno colpito principalmente l'Emilia-Romagna e parte delle Marche;

    una siffatta misura potrebbe costituire un particolare precedente a cui potrebbero legittimamente aspirare anche altri settori, con effetti imprevedibili sul bilancio dello Stato e con possibili rilievi circa la conformità con le regole comunitarie in materia di aiuti di Stato,

impegna il Governo

a procedere, prima dell'erogazione del suddetto trattamento integrativo speciale, alla previa autorizzazione, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, della Commissione europea.
9/1238/30. Madia.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori dove le condizioni economiche e normative già offrono meno garanzie;

    i dati rilevati dall'Istat evidenziano ad aprile una crescita dell'occupazione che riguarda l'intero primo quadrimestre del 2023, di pari passo con la crescita economica;

    tuttavia, come evidenziato dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nelle ultime Considerazioni finali del suo mandato, presentate il 31 maggio «Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un'occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate. In molti casi il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate: la quota di giovani ancora precaria dopo cinque anni resta al 20 per cento»;

    con riferimento ai dati del mese di aprile, gli occupati crescono di 48mila unità, con un aumento dei contratti a tempo indeterminato pari a 74mila unità e una diminuzione dei contratti a termine pari a 31 mila unità;

    tali valori che evidenziano un parziale consolidamento della buona e stabile occupazione si sono registrati in un contesto normativo precedente l'entrata in vigore del presente provvedimento che, invece, ha reintrodotto norme che ampliano gli spazi della precarietà, sia per quanto concerne la disciplina dei contratti a termine, sia per quanto riguarda l'ulteriore estensione dell'utilizzo dei voucher, dopo quelle già previste nell'ultima legge di bilancio;

    inoltre, se in base ai suddetti rilevamenti dell'Istat emerge che il tasso di occupazione ha raggiunto il 61 per cento, corrispondente a 23 milioni e 446mila lavoratori occupati, non può non essere denunciato il dato che vede il tasso dell'occupazione maschile raggiungere il 69,8 per cento, mentre quello delle donne si attesta ad appena il 52,3 per cento;

    è di tutta evidenza come, anche prima dell'adozione delle nuove misure del presente provvedimento, fosse necessario un progetto complessivo per rafforzare la buona e stabile occupazione e la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro;

    al contrario, le nuove norme sui contratti a termine e sull'ulteriore estensione dei voucher vanno nella direzione opposta, dequalificando i rapporti di lavoro, ampliando la precarietà e condannando alla marginalità il nostro sistema economico. Una ricetta che peggiora la condizione dei lavoratori e condanna alla arretratezza il nostro sistema delle imprese,

impegna il Governo

a monitorare costantemente gli effetti derivanti dall'introduzione delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato al fine di verificarne la diffusione nei diversi settori economici, con particolare riferimento alla condizione dei giovani lavoratori.
9/1238/31. Lai.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    è nota la cronica carenza organizzativa dei centri per l'impiego che, nonostante le previsioni del Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, adottato con decreto ministeriale n. 74 del 2019 e aggiornato con successivo decreto ministeriale n. 59 del 2020, che dispone l'assunzione di 11.535 di unità di personale su tutto il territorio nazionale;

    al 31 dicembre 2022, rispetto al suddetto contingente massimo risultavano in pianta organica 4.327 unità di personale assunto e finanziato;

    alla medesima data, alcune regioni come la Basilicata, la Calabria, il Molise e la Sicilia non avevano comunicato nessuna assunzione di personale per il potenziamento dei centri per l'impiego;

    ma anche altre regioni che pure avevano avviato il percorso di assunzioni di detto personale risultavano ampiamente lontani dal raggiungimento degli obiettivi previsti dal richiamato Piano, come nel caso dell'Abruzzo che rispetto alle 255 unità di personale ne aveva assunti solo 13, del Friuli Venezia Giulia con solo 46 assunzioni rispetto alle 165 previste, delle Marche con solo 71 assunzioni rispetto alle 194 previste, del Piemonte con solo 206 assunzioni rispetto alle 716 previste, o dell'Umbria con solo 35 assunzioni rispetto alle 129 previste,

impegna il Governo

al fine di non compromettere la reale operatività del nuovo strumento di contrasto della povertà, ad adottare, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile al fine di favorire il più sollecito completamento delle procedure per l'assunzione del personale previsto dal Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, con particolare riguardo per quanto concerne la situazione della regione Campania.
9/1238/32. Graziano, Scotto, Fossi, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    è nota la cronica carenza organizzativa dei centri per l'impiego che, nonostante le previsioni del Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, adottato con decreto ministeriale n. 74 del 2019 e aggiornato con successivo decreto ministeriale n. 59 del 2020, che dispone l'assunzione di 11.535 di unità di personale su tutto il territorio nazionale;

    al 31 dicembre 2022, rispetto al suddetto contingente massimo risultavano in pianta organica 4.327 unità di personale assunto e finanziato;

    alla medesima data, alcune regioni come la Basilicata, la Calabria, il Molise e la Sicilia non avevano comunicato nessuna assunzione di personale per il potenziamento dei centri per l'impiego;

    ma anche altre regioni che pure avevano avviato il percorso di assunzioni di detto personale risultavano ampiamente lontani dal raggiungimento degli obiettivi previsti dal richiamato Piano, come nel caso dell'Abruzzo che rispetto alle 255 unità di personale ne aveva assunti solo 13, del Friuli Venezia Giulia con solo 46 assunzioni rispetto alle 165 previste, delle Marche con solo 71 assunzioni rispetto alle 194 previste, del Piemonte con solo 206 assunzioni rispetto alle 716 previste, o dell'Umbria con solo 35 assunzioni rispetto alle 129 previste,

impegna il Governo

al fine di non compromettere la reale operatività del nuovo strumento di contrasto della povertà, ad adottare, per quanto di competenza, fatte salve le competenze regionali, ogni iniziativa utile al fine di favorire il più sollecito completamento delle procedure per l'assunzione del personale previsto dal Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, con particolare riguardo per quanto concerne la situazione della regione Campania.
9/1238/32. (Testo modificato nel corso della seduta)Graziano, Scotto, Fossi, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    è nota la cronica carenza organizzativa dei centri per l'impiego che, nonostante le previsioni del Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, adottato con decreto ministeriale n. 74 del 2019 e aggiornato con successivo decreto ministeriale n. 59 del 2020, che dispone l'assunzione di 11.535 di unità di personale su tutto il territorio nazionale;

    al 31 dicembre 2022, rispetto al suddetto contingente massimo risultavano in pianta organica 4.327 unità di personale assunto e finanziato;

    alla medesima data, alcune regioni come la Basilicata, la Calabria, il Molise e la Sicilia non avevano comunicato nessuna assunzione di personale per il potenziamento dei centri per l'impiego;

    ma anche altre regioni che pure avevano avviato il percorso di assunzioni di detto personale risultavano ampiamente lontani dal raggiungimento degli obiettivi previsti dal richiamato Piano, come nel caso dell'Abruzzo che rispetto alle 255 unità di personale ne aveva assunti solo 13, del Friuli Venezia Giulia con solo 46 assunzioni rispetto alle 165 previste, delle Marche con solo 71 assunzioni rispetto alle 194 previste, del Piemonte con solo 206 assunzioni rispetto alle 716 previste, o dell'Umbria con solo 35 assunzioni rispetto alle 129 previste,

impegna il Governo

al fine di non compromettere la reale operatività del nuovo strumento di contrasto della povertà, ad adottare, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile al fine di favorire il più sollecito completamento delle procedure per l'assunzione del personale previsto dal Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, con particolare riguardo per quanto concerne la situazione della regione Basilicata.
9/1238/33. Amendola, Scotto, Fossi, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    è nota la cronica carenza organizzativa dei centri per l'impiego che, nonostante le previsioni del Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, adottato con decreto ministeriale n. 74 del 2019 e aggiornato con successivo decreto ministeriale n. 59 del 2020, che dispone l'assunzione di 11.535 di unità di personale su tutto il territorio nazionale;

    al 31 dicembre 2022, rispetto al suddetto contingente massimo risultavano in pianta organica 4.327 unità di personale assunto e finanziato;

    alla medesima data, alcune regioni come la Basilicata, la Calabria, il Molise e la Sicilia non avevano comunicato nessuna assunzione di personale per il potenziamento dei centri per l'impiego;

    ma anche altre regioni che pure avevano avviato il percorso di assunzioni di detto personale risultavano ampiamente lontani dal raggiungimento degli obiettivi previsti dal richiamato Piano, come nel caso dell'Abruzzo che rispetto alle 255 unità di personale ne aveva assunti solo 13, del Friuli Venezia Giulia con solo 46 assunzioni rispetto alle 165 previste, delle Marche con solo 71 assunzioni rispetto alle 194 previste, del Piemonte con solo 206 assunzioni rispetto alle 716 previste, o dell'Umbria con solo 35 assunzioni rispetto alle 129 previste,

impegna il Governo

al fine di non compromettere la reale operatività del nuovo strumento di contrasto della povertà, ad adottare, per quanto di competenza, fatte salve le competenze regionali, ogni iniziativa utile al fine di favorire il più sollecito completamento delle procedure per l'assunzione del personale previsto dal Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, con particolare riguardo per quanto concerne la situazione della regione Basilicata
9/1238/33. (Testo modificato nel corso della seduta)Amendola, Scotto, Fossi, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    se il potenziamento dei centri per l'impiego registra notevoli ritardi, con solo 4.327 unità di personale assunto e finanziato al 31 dicembre 2022, rispetto al contingente complessivo di 11.535 unità di personale a livello nazionale, anche sul fronte dell'organizzazione e dell'operatività dei servizi sociali i dati risultano largamente inadeguati a garantire prestazioni qualificate e tempestive in larga parte del territorio nazionale;

    tutte le domande per il nuovo Assegno di inclusione dovranno essere prese in carico ed analizzate dai servizi sociali dei comuni;

    secondo un report della Banca Mondiale risulta che tra i 888.820 nuclei beneficiari del reddito di cittadinanza nel 2022, il 59 per cento non ha mai completato l'Analisi Preliminare, per un lavoro arretrato di 525.561 nuclei senza almeno un'Analisi Preliminare, o che dei nuclei beneficiari senza carichi di cura, il 58 per cento non ha mai completato l'Analisi Preliminare (225.341) e il 79 per cento non ha mai sottoscritto un Patto per l'Inclusione sociale (303.180);

    in base al citato studio, la principale causa di tali ritardi è dovuta alla scarsità di operatori disponibili rispetto al numero di beneficiari;

    secondo il presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali (Cnoas), risulta ancora lontano l'obiettivo fissato nel 2020 di un assistente sociale ogni 4.000 abitanti;

    dei 630 milioni del Fondo povertà istituito nel 2017 anche per potenziare i servizi sociali territoriali di ciascuna Regione in funzione del Rdc, ci sono regioni che non sono riuscite a spendere più del 30 per cento dei fondi loro destinati, con il risultato che ancora oggi abbiamo territori dove il rapporto tra residenti e assistenti sociali supera quello di 1 a 12.000,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile affinché, in vista dell'entrata in vigore del nuovo strumento di contrasto della povertà, siano tempestivamente potenziati i servizi sociali dei comuni su tutto il territorio nazionale, assicurando ovunque il target di un assistente sociale ogni 4.000 abitanti, intervenendo prioritariamente nelle regioni dove si registrano le più alte percentuali di presenza di cittadini in condizione di povertà.
9/1238/34. D'Alfonso.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    se il potenziamento dei centri per l'impiego registra notevoli ritardi, con solo 4.327 unità di personale assunto e finanziato al 31 dicembre 2022, rispetto al contingente complessivo di 11.535 unità di personale a livello nazionale, anche sul fronte dell'organizzazione e dell'operatività dei servizi sociali i dati risultano largamente inadeguati a garantire prestazioni qualificate e tempestive in larga parte del territorio nazionale;

    tutte le domande per il nuovo Assegno di inclusione dovranno essere prese in carico ed analizzate dai servizi sociali dei comuni;

    secondo un report della Banca Mondiale risulta che tra i 888.820 nuclei beneficiari del reddito di cittadinanza nel 2022, il 59 per cento non ha mai completato l'Analisi Preliminare, per un lavoro arretrato di 525.561 nuclei senza almeno un'Analisi Preliminare, o che dei nuclei beneficiari senza carichi di cura, il 58 per cento non ha mai completato l'Analisi Preliminare (225.341) e il 79 per cento non ha mai sottoscritto un Patto per l'Inclusione sociale (303.180);

    in base al citato studio, la principale causa di tali ritardi è dovuta alla scarsità di operatori disponibili rispetto al numero di beneficiari;

    secondo il presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali (Cnoas), risulta ancora lontano l'obiettivo fissato nel 2020 di un assistente sociale ogni 4.000 abitanti;

    dei 630 milioni del Fondo povertà istituito nel 2017 anche per potenziare i servizi sociali territoriali di ciascuna Regione in funzione del Rdc, e ci sono regioni che non sono riuscite a spendere più del 30 per cento dei fondi loro destinati, con il risultato che ancora oggi abbiamo territori dove il rapporto tra residenti e assistenti sociali supera quello di 1 a 12.000,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile affinché, in vista dell'entrata in vigore del nuovo strumento di contrasto della povertà, siano tempestivamente potenziati i servizi sociali dei comuni su tutto il territorio nazionale, assicurando ovunque il target di un assistente sociale ogni 4.000 abitanti, intervenendo nelle aree interne e montane.
9/1238/35. Scarpa.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    se il potenziamento dei centri per l'impiego registra notevoli ritardi, con solo 4.327 unità di personale assunto e finanziato al 31 dicembre 2022, rispetto al contingente complessivo di 11.535 unità di personale a livello nazionale, anche sul fronte dell'organizzazione e dell'operatività dei servizi sociali i dati risultano largamente inadeguati a garantire prestazioni qualificate e tempestive in larga parte del territorio nazionale;

    tutte le domande per il nuovo Assegno di inclusione dovranno essere prese in carico ed analizzate dai servizi sociali dei comuni;

    secondo un report della Banca Mondiale risulta che tra i 888.820 nuclei beneficiari del reddito di cittadinanza nel 2022, il 59 per cento non ha mai completato l'Analisi Preliminare, per un lavoro arretrato di 525.561 nuclei senza almeno un'Analisi Preliminare, o che dei nuclei beneficiari senza carichi di cura, il 58 per cento non ha mai completato l'Analisi Preliminare (225.341) e il 79 per cento non ha mai sottoscritto un Patto per l'inclusione sociale (303.180);

    in base al citato studio, la principale causa di tali ritardi è dovuta alla scarsità di operatori disponibili rispetto al numero di beneficiari;

    secondo il presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali (Cnoas), risulta ancora lontano l'obiettivo fissato nel 2020 di un assistente sociale ogni 4.000 abitanti; dei 630 milioni del Fondo povertà istituito nel 2017 anche per potenziare i servizi sociali territoriali di ciascuna Regione in funzione del Rdc, e ci sono regioni che non sono riuscite a spendere più del 30% dei fondi loro destinati, con il risultato che ancora oggi abbiamo territori dove il rapporto tra residenti e assistenti sociali supera quello di 1 a 12.000,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile affinché, in vista dell'entrata in vigore del nuovo strumento di contrasto della povertà, siano tempestivamente potenziati i servizi sociali dei comuni su tutto il territorio nazionale, assicurando ovunque il target di un assistente sociale ogni 4.000 abitanti, intervenendo nei grandi centri urbani.
9/1238/36. Di Biase.


   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi vent'anni nel Sud Italia sono aumentate le sperequazioni territoriali e le disuguaglianze sociali, allontanando le regioni meridionali dalla media dell'Unione europea;

    secondo l'analisi elaborata dall'Istat sulla «mancata convergenza» tra le regioni italiane classificate come «meno sviluppate» (quasi tutto il Mezzogiorno), ovvero che hanno continuato a crescere molto meno della media dei Paesi dell'Unione europea a 27, deve considerarsi l'insuccesso delle «politiche di coesione» degli ultimi 20 anni;

    su questo squilibrio hanno pesato le due crisi economiche del 2008-2009 e del 2011-2013, con la lunga stagione dell'austerità, determinando una crescita del prodotto interno lordo del Mezzogiorno inferiore sia al dato europeo, sia a quello nazionale;

    il valore che maggiormente determina tale divario è rappresentato dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali, cui si somma un livello della produttività di 9 punti percentuali inferiore alla media Ue27;

    se a livello nazionale, nel 2021 la quota di lavoratori dipendenti impegnati in lavori a termine da almeno 5 anni (che include quelli con contratto a tempo determinato e i collaboratori) si è attestata al 17,5 per cento del totale dei lavoratori a termine, nelle regioni del Mezzogiorno si raggiunge il valore massimo di quasi un lavoratore su 4 (23,8 per cento), quasi 11 punti in più del valore che si registra al Nord (13 per cento) e di oltre 7 punti del valore del Centro;

    tali valori fanno del Mezzogiorno l'area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell'Europa occidentale, con oltre 19 milioni di cittadini coinvolti;

    è di tutta evidenza che problemi strutturali di tale natura non possono essere affrontati con ricette che ripropongono la scorciatoia della precarietà lavorativa o, peggio ancora, con deflagranti progetti autonomistici che accentuerebbero tali squilibri sociali ed economici;

    lo Svimez ha calcolato che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l'incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all'8,6 per cento, con forti eterogeneità territoriali: + 2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro. In valori assoluti si stimano 760 mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud;

    a fronte di un tale quadro socio-economico che riguarda un terzo del Paese, le misure del presente provvedimento che hanno, di fatto, cancellato il sostegno economico di contrasto alla povertà per i cosiddetti «occupabili» che non abbiano nel proprio nucleo familiare minori, componenti con disabilità o di età superiore ai sessanta anni, riconoscendogli solo un «Supporto per la formazione e il lavoro quale misura di attivazione al lavoro» di 350 euro al mese, per dodici mesi non rinnovabili, appaiono del tutto decontestualizzate e incapaci di rappresentare una misura davvero efficace ed equa,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, sin dai prossimi provvedimenti utili e in vista della prossima scadenza del 1° settembre, affinché nella determinazione della durata del citato Supporto per la formazione e il lavoro, si tengano nella dovuta considerazione i dati strutturali che caratterizzano le regioni del Mezzogiorno, con particolare riguardo per la situazione socio-economica della Puglia.
9/1238/37. Lacarra.


   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi vent'anni nel Sud Italia sono aumentate le sperequazioni territoriali e le disuguaglianze sociali, allontanando le regioni meridionali dalla media dell'Unione europea;

    secondo l'analisi elaborata dall'Istat sulla «mancata convergenza» tra le regioni italiane classificate come «meno sviluppate» (quasi tutto il Mezzogiorno), ovvero che hanno continuato a crescere molto meno della media dei Paesi dell'Unione europea a 27, deve considerarsi l'insuccesso delle «politiche di coesione» degli ultimi 20 anni;

    su questo squilibrio hanno pesato le due crisi economiche del 2008-2009 e del 2011-2013, con la lunga stagione dell'austerità, determinando una crescita del prodotto interno lordo del Mezzogiorno inferiore sia al dato europeo, sia a quello nazionale;

    il valore che maggiormente determina tale divario è rappresentato dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali, cui si somma un livello della produttività di 9 punti percentuali inferiore alla media Ue27;

    se a livello nazionale, nel 2021 la quota di lavoratori dipendenti impegnati in lavori a termine da almeno 5 anni (che include quelli con contratto a tempo determinato e i collaboratori) si è attestata al 17,5 per cento del totale dei lavoratori a termine, nelle regioni del Mezzogiorno si raggiunge il valore massimo di quasi un lavoratore su 4 (23,8 per cento), quasi 11 punti in più del valore che si registra al Nord (13 per cento) e di oltre 7 punti del valore del Centro;

    tali valori fanno del Mezzogiorno l'area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell'Europa occidentale, con oltre 19 milioni di cittadini coinvolti;

    è di tutta evidenza che problemi strutturali di tale natura non possono essere affrontati con ricette che ripropongono la scorciatoia della precarietà lavorativa o, peggio ancora, con deflagranti progetti autonomistici che accentuerebbero tali squilibri sociali ed economici;

    lo Svimez ha calcolato che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l'incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all'8,6 per cento, con forti eterogeneità territoriali: +2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro. In valori assoluti si stimano 760 mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud;

    a fronte di un tale quadro socio-economico che riguarda un terzo del Paese, le misure del presente provvedimento che hanno, di fatto, cancellato il sostegno economico di contrasto alla povertà per i cosiddetti «occupabili» che non abbiano nel proprio nucleo familiare minori, componenti con disabilità o di età superiore ai sessanta anni, riconoscendogli solo un «Supporto per la formazione e il lavoro quale misura di attivazione al lavoro» di 350 euro al mese, per dodici mesi non rinnovabili, appaiono del tutto decontestualizzate e incapaci di rappresentare una misura davvero efficace ed equa,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, sin dai prossimi provvedimenti utili e in vista della prossima scadenza del 1° settembre, affinché nella determinazione della durata del citato Supporto per la formazione e il lavoro, si tengano nella dovuta considerazione i dati strutturali che caratterizzano le regioni del Mezzogiorno, con particolare riguardo per la situazione socio-economica della Sicilia.
9/1238/38. Iacono, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi vent'anni nel Sud Italia sono aumentate le sperequazioni territoriali e le disuguaglianze sociali, allontanando le regioni meridionali dalla media dell'Unione europea;

    secondo l'analisi elaborata dall'Istat sulla «mancata convergenza» tra le regioni italiane classificate come «meno sviluppate» (quasi tutto il Mezzogiorno), ovvero che hanno continuato a crescere molto meno della media dei Paesi dell'Unione europea a 27, deve considerarsi l'insuccesso delle «politiche di coesione» degli ultimi 20 anni;

    su questo squilibrio hanno pesato le due crisi economiche del 2008-2009 e del 2011-2013, con la lunga stagione dell'austerità, determinando una crescita del prodotto interno lordo del Mezzogiorno inferiore sia al dato europeo, sia a quello nazionale;

    il valore che maggiormente determina tale divario è rappresentato dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali, cui si somma un livello della produttività di 9 punti percentuali inferiore alla media Ue27;

    se a livello nazionale, nel 2021 la quota di lavoratori dipendenti impegnati in lavori a termine da almeno 5 anni (che include quelli con contratto a tempo determinato e i collaboratori) si è attestata al 17,5 per cento del totale dei lavoratori a termine, nelle regioni del Mezzogiorno si raggiunge il valore massimo di quasi un lavoratore su 4 (23,8 per cento), quasi 11 punti in più del valore che si registra al Nord (13 per cento) e di oltre 7 punti del valore del Centro;

    tali valori fanno del Mezzogiorno l'area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell'Europa occidentale, con oltre 19 milioni di cittadini coinvolti;

    è di tutta evidenza che problemi strutturali di tale natura non possono essere affrontati con ricette che ripropongono la scorciatoia della precarietà lavorativa o, peggio ancora, con deflagranti progetti autonomistici che accentuerebbero tali squilibri sociali ed economici;

    lo Svimez ha calcolato che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l'incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all'8,6 per cento, con forti eterogeneità territoriali: +2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro. In valori assoluti si stimano 760 mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud;

    a fronte di un tale quadro socio-economico che riguarda un terzo del Paese, le misure del presente provvedimento che hanno, di fatto, cancellato il sostegno economico di contrasto alla povertà per i cosiddetti «occupabili» che non abbiano nel proprio nucleo familiare minori, componenti con disabilità o di età superiore ai sessanta anni, riconoscendogli solo un «Supporto per la formazione e il lavoro quale misura di attivazione al lavoro» di 350 euro al mese, per dodici mesi non rinnovabili, appaiono del tutto decontestualizzate e incapaci di rappresentare una misura davvero efficace ed equa,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, sin dai prossimi provvedimenti utili e in vista della prossima scadenza del 1° settembre, affinché nella determinazione della durata del citato Supporto per la formazione e il lavoro, si tengano nella dovuta considerazione i dati strutturali che caratterizzano le regioni del Mezzogiorno.
9/1238/39. Barbagallo, Aiello, Tucci, Caramiello, Carmina, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    I commi 1 e 2 dell'articolo 17 istituiscono un Fondo per il riconoscimento di una misura di sostegno economico in favore dei familiari degli studenti, ivi compresi quelli universitari o dei percorsi di istruzione e formazione professionale, deceduti a seguito di infortuni occorsi durante le attività formative;

    la dotazione del Fondo è pari a 10 milioni di euro per il 2023 e, a decorrere dal 2024, a 2 milioni di euro annui;

    l'esperienza dell'alternanza scuola-lavoro prima e dei PCTO poi, ha evidenziato negli anni numerose criticità e proprio sul piano della sicurezza, troppe volte si è assistito a tragedie che si sarebbero potute evitare se la normativa sui luoghi di lavoro fosse stata adeguatamente applicata e rispettata;

    è fondamentale impedire che si ripetano fatti dolorosi e inaccettabili come le morti dei giovani;

    le richieste emerse dai vari confronti con gli studenti, impongono una maggiore attenzione su come funziona l'alternanza scuola-lavoro nel nostro Paese,

impegna il Governo

a prevedere, in fase di approvazione del primo provvedimento utile, risorse adeguate ad incrementare la dotazione del fondo di cui all'articolo 17. Commi 1 e 2,.
9/1238/40. Porta, Manzi, Berruto, Orfini, Scotto, Gribaudo, Fossi, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   in fase di conversione del decreto-legge n. 48 recante misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro;

   premesso che:

    l'articolo 17, commi 4-5, del provvedimento in esame, integrano con ulteriori disposizioni la vigente disciplina relativa ai percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento (PCTO), contenuta nei commi da 784 a 787 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145 del 2018);

    il comma 4, stabilisce il principio per cui la progettazione dei PCTO deve essere coerente con il piano triennale dell'offerta formativa (PTOF) e con il profilo culturale, educativo e professionale in uscita dei singoli indirizzi di studio offerti dalle istituzioni scolastiche e a tal fine, impone alle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione l'individuazione, nell'ambito dell'organico dell'autonomia e avvalendosi delle risorse disponibili a legislazione vigente, del docente coordinatore di progettazione;

    è fondamentale che i percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento rispondano all'intento di valorizzare le attitudini personali dei ragazzi e delle ragazze nell'ambito di un progetto formativo ed educativo di qualità, compatibile con l'imprescindibile ruolo educativo svolto dalla scuola e sempre nel rispetto dei valori costituzionali;

    è necessario che si avvia un monitoraggio sui Percorsi per le competenze trasversali e l'orientamento (PTCO);

    le richieste emerse dai vari confronti con gli studenti, impongono una maggiore attenzione su come funziona l'alternanza scuola-lavoro nel nostro Paese,

impegna il Governo

ad avviare un monitoraggio capillare sul territorio nazionale sul funzionamento dei percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento e a darne riscontro alle Camere.
9/1238/41. Di Sanzo, Manzi, Berruto, Orfini, Scotto, Gribaudo, Fossi, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori dove le condizioni economiche e normative già offrono meno garanzie;

    i dati rilevati dall'Istat evidenziano ad aprile una crescita dell'occupazione che riguarda l'intero primo quadrimestre del 2023, di pari passo con la crescita economica;

    tuttavia, come evidenziato dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nelle ultime Considerazioni finali del suo mandato, presentate il 31 maggio «Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un'occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate. In molti casi il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate: la quota di giovani ancora precaria dopo cinque anni resta al 20 per cento»;

    con riferimento ai dati del mese di aprile, gli occupati crescono di 48 mila unità, con un aumento dei contratti a tempo indeterminato pari a 74 mila unità e una diminuzione dei contratti a termine pari a 31 mila unità;

    tali valori che evidenziano un parziale consolidamento della buona e stabile occupazione si sono registrati in un contesto normativo precedente l'entrata in vigore del presente provvedimento che, invece, ha reintrodotto norme che ampliano gli spazi della precarietà, sia per quanto concerne la disciplina dei contratti a termine, sia per quanto riguarda l'ulteriore estensione dell'utilizzo dei voucher, dopo quelle già previste nell'ultima legge di bilancio;

    inoltre, se in base ai suddetti rilevamenti dell'Istat emerge che il tasso di occupazione ha raggiunto il 61 per cento, corrispondente a 23 milioni e 446 mila lavoratori occupati, non può non essere denunciato il dato che vede il tasso dell'occupazione maschile raggiungere il 69,8 per cento, mentre quello delle donne si attesta ad appena il 52,3 per cento;

    è di tutta evidenza come, anche prima dell'adozione delle nuove misure del presente provvedimento, fosse necessario un progetto complessivo per rafforzare la buona e stabile occupazione e la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro;

    al contrario, le nuove norme sui contratti a termine e sull'ulteriore estensione dei voucher vanno nella direzione opposta, dequalificando i rapporti di lavoro, ampliando la precarietà e condannando alla marginalità il nostro sistema economico. Una ricetta che peggiora la condizione dei lavoratori e condanna alla arretratezza il nostro sistema delle imprese,

impegna il Governo

a monitorare costantemente gli effetti derivanti dall'introduzione delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato al fine di verificarne la diffusione nei diversi settori economici, con particolare riferimento alla condizione nelle aree territoriali della regione Puglia.
9/1238/42. Stefanazzi.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori dove le condizioni economiche e normative già offrono meno garanzie;

    i dati rilevati dall'Istat evidenziano ad aprile una crescita dell'occupazione che riguarda l'intero primo quadrimestre del 2023, di pari passo con la crescita economica;

    tuttavia, come evidenziato dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nelle ultime Considerazioni finali del suo mandato, presentate il 31 maggio «Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un'occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate. In molti casi il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate: la quota di giovani ancora precaria dopo cinque anni resta al 20 per cento»;

    con riferimento ai dati del mese di aprile, gli occupati crescono di 48 mila unità, con un aumento dei contratti a tempo indeterminato pari a 74 mila unità e una diminuzione dei contratti a termine pari a 31 mila unità;

    tali valori che evidenziano un parziale consolidamento della buona e stabile occupazione si sono registrati in un contesto normativo precedente l'entrata in vigore del presente provvedimento che, invece, ha reintrodotto norme che ampliano gli spazi della precarietà, sia per quanto concerne la disciplina dei contratti a termine, sia per quanto riguarda l'ulteriore estensione dell'utilizzo dei voucher, dopo quelle già previste nell'ultima legge di bilancio;

    inoltre, se in base ai suddetti rilevamenti dell'Istat emerge che il tasso di occupazione ha raggiunto il 61 per cento, corrispondente a 23 milioni e 446 mila lavoratori occupati, non può non essere denunciato il dato che vede il tasso dell'occupazione maschile raggiungere il 69,8 per cento, mentre quello delle donne si attesta ad appena il 52,3 per cento;

    è di tutta evidenza come, anche prima dell'adozione delle nuove misure del presente provvedimento, fosse necessario un progetto complessivo per rafforzare la buona e stabile occupazione e la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro;

    al contrario, le nuove norme sui contratti a termine e sull'ulteriore estensione dei voucher vanno nella direzione opposta, dequalificando i rapporti di lavoro, ampliando la precarietà e condannando alla marginalità il nostro sistema economico. Una ricetta che peggiora la condizione dei lavoratori e condanna alla arretratezza il nostro sistema delle imprese,

impegna il Governo

a monitorare costantemente gli effetti derivanti dall'introduzione delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato al fine di verificarne la diffusione nei diversi settori economici, con particolare riferimento alla condizione dell'occupazione femminile.
9/1238/43. Boldrini.


   La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi vent'anni nel Sud Italia sono aumentate le sperequazioni territoriali e le disuguaglianze sociali, allontanando le regioni meridionali dalla media dell'Unione europea; secondo l'analisi elaborata dall'Istat sulla «mancata convergenza» tra le regioni italiane classificate come «meno sviluppate» (quasi tutto il Mezzogiorno), ovvero che hanno continuato a crescere molto meno della media dei Paesi dell'Unione europea a 27, deve considerarsi l'insuccesso delle «politiche di coesione» degli ultimi 20 anni;

    su questo squilibrio hanno pesato le due crisi economiche del 2008-2009 e del 2011-2013, con la lunga stagione dell'austerità, determinando una crescita del prodotto interno lordo del Mezzogiorno inferiore sia al dato europeo, sia a quello nazionale;

    il valore che maggiormente determina tale divario è rappresentato dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali, cui si somma un livello della produttività di 9 punti percentuali inferiore alla media Ue27;

    se a livello nazionale, nel 2021 la quota di lavoratori dipendenti impegnati in lavori a termine da almeno 5 anni (che include quelli con contratto a tempo determinato e i collaboratori) si è attestata al 17,5 per cento del totale dei lavoratori a termine, nelle regioni del Mezzogiorno si raggiunge il valore massimo di quasi un lavoratore su 4 (23,8 per cento), quasi 11 punti in più del valore che si registra al Nord (13 per cento) e di oltre 7 punti del valore del Centro;

    tali valori fanno del Mezzogiorno l'area più vasta e popolosa di arretratezza economica dell'Europa occidentale, con oltre 19 milioni di cittadini coinvolti;

    è di tutta evidenza che problemi strutturali di tale natura non possono essere affrontati con ricette che ripropongono la scorciatoia della precarietà lavorativa o, peggio ancora, con deflagranti progetti autonomistici che accentuerebbero tali squilibri sociali ed economici;

    lo Svimez ha calcolato che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l'incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all'8,6 per cento, con forti eterogeneità territoriali: + 2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro. In valori assoluti si stimano 760 mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud;

    a fronte di un tale quadro socio-economico che riguarda un terzo del Paese, le misure del presente provvedimento che hanno, di fatto, cancellato il sostegno economico di contrasto alla povertà per i cosiddetti «occupabili» che non abbiano nel proprio nucleo familiare minori, componenti con disabilità o di età superiore ai sessanta anni, riconoscendogli solo un «Supporto per la formazione e il lavoro quale misura di attivazione al lavoro» di 350 euro al mese, per dodici mesi non rinnovabili, appaiono del tutto decontestualizzate e incapaci di rappresentare una misura davvero efficace ed equa,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, sin dai prossimi provvedimenti utili e in vista della prossima scadenza del 1 ° settembre, affinché nella determinazione della durata del citato Supporto per la formazione e il lavoro, si tengano nella dovuta considerazione i dati strutturali che caratterizzano le regioni del Mezzogiorno, con particolare riguardo per la situazione socio-economica della Calabria.
9/1238/44. Carè.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in oggetto presenta una pluralità di misure, non sempre coordinate tra loro e con un impianto di fondo che tende a diminuire le tutele per i lavoratori, soprattutto per le categorie più fragili come i giovani e le donne e in settori dove le condizioni economiche e normative già offrono meno garanzie;

    i dati rilevati dall'Istat evidenziano ad aprile una crescita dell'occupazione che riguarda l'intero primo quadrimestre del 2023, di pari passo con la crescita economica;

    tuttavia, come evidenziato dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nelle ultime Considerazioni finali del suo mandato, presentate il 31 maggio «Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un'occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate. In molti casi il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate: la quota di giovani ancora precaria dopo cinque anni resta al 20 per cento»;

    con riferimento ai dati del mese di aprile, gli occupati crescono di 48 mila unità, con un aumento dei contratti a tempo indeterminato pari a 74 mila unità e una diminuzione dei contratti a termine pari a 31 mila unità;

    tali valori che evidenziano un parziale consolidamento della buona e stabile occupazione si sono registrati in un contesto normativo precedente l'entrata in vigore del presente provvedimento che, invece, ha reintrodotto norme che ampliano gli spazi della precarietà, sia per quanto concerne la disciplina dei contratti a termine, sia per quanto riguarda l'ulteriore estensione dell'utilizzo dei voucher, dopo quelle già previste nell'ultima legge di bilancio;

    inoltre, se in base ai suddetti rilevamenti dell'Istat emerge che il tasso di occupazione ha raggiunto il 61 per cento, corrispondente a 23 milioni e 446 mila lavoratori occupati, non può non essere denunciato il dato che vede il tasso dell'occupazione maschile raggiungere il 69,8 per cento, mentre quello delle donne si attesta ad appena il 52,3 per cento;

    è di tutta evidenza come, anche prima dell'adozione delle nuove misure del presente provvedimento, fosse necessario un progetto complessivo per rafforzare la buona e stabile occupazione e la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro;

    al contrario, le nuove norme sui contratti a termine e sull'ulteriore estensione dei voucher vanno nella direzione opposta, dequalificando i rapporti di lavoro, ampliando la precarietà e condannando alla marginalità il nostro sistema economico. Una ricetta che peggiora la condizione dei lavoratori e condanna alla arretratezza il nostro sistema delle imprese,

impegna il Governo

a monitorare costantemente gli effetti derivanti dall'introduzione delle nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato al fine di verificarne la diffusione nei diversi settori economici, con particolare riferimento alla condizione delle aree territoriali interne.
9/1238/45. Mauri.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    è nota la cronica carenza organizzativa dei centri per l'impiego che, nonostante le previsioni del Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, adottato con decreto ministeriale n. 74 del 2019 e aggiornato con successivo decreto ministeriale n. 59 del 2020, che dispone l'assunzione di 11.535 di unità di personale su tutto il territorio nazionale;

    al 31 dicembre 2022, rispetto al suddetto contingente massimo risultavano in pianta organica 4.327 unità di personale assunto e finanziato;

    alla medesima data, alcune regioni come la Basilicata, la Calabria, il Molise e la Sicilia non avevano comunicato nessuna assunzione di personale per il potenziamento dei centri per l'impiego;

    ma anche altre regioni che pure avevano avviato il percorso di assunzioni di detto personale risultavano ampiamente lontani dal raggiungimento degli obiettivi previsti dal richiamato Piano, come nel caso dell'Abruzzo che rispetto alle 255 unità di personale ne aveva assunti solo 13, del Friuli Venezia Giulia con solo 46 assunzioni rispetto alle 165 previste, delle Marche con solo 71 assunzioni rispetto alle 194 previste, del Piemonte con solo 206 assunzioni rispetto alle 716 previste, o dell'Umbria con solo 35 assunzioni rispetto alle 129 previste,

impegna il Governo

al fine di non compromettere la reale operatività del nuovo strumento di contrasto della povertà, ad adottare, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile al fine di favorire il più sollecito completamento delle procedure per l'assunzione del personale previsto dal Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, con particolare riguardo per quanto concerne la situazione della regione Emilia-Romagna.
9/1238/46. Bakkali, Scotto, Fossi, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    è nota la cronica carenza organizzativa dei centri per l'impiego che, nonostante le previsioni del Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, adottato con decreto ministeriale n. 74 del 2019 e aggiornato con successivo decreto ministeriale n. 59 del 2020, che dispone l'assunzione di 11.535 di unità di personale su tutto il territorio nazionale;

    al 31 dicembre 2022, rispetto al suddetto contingente massimo risultavano in pianta organica 4.327 unità di personale assunto e finanziato;

    alla medesima data, alcune regioni come la Basilicata, la Calabria, il Molise e la Sicilia non avevano comunicato nessuna assunzione di personale per il potenziamento dei centri per l'impiego;

    ma anche altre regioni che pure avevano avviato il percorso di assunzioni di detto personale risultavano ampiamente lontani dal raggiungimento degli obiettivi previsti dal richiamato Piano, come nel caso dell'Abruzzo che rispetto alle 255 unità di personale ne aveva assunti solo 13, del Friuli Venezia Giulia con solo 46 assunzioni rispetto alle 165 previste, delle Marche con solo 71 assunzioni rispetto alle 194 previste, del Piemonte con solo 206 assunzioni rispetto alle 716 previste, o dell'Umbria con solo 35 assunzioni rispetto alle 129 previste,

impegna il Governo

al fine di non compromettere la reale operatività del nuovo strumento di contrasto della povertà, ad adottare, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile al fine di favorire il più sollecito completamento delle procedure per l'assunzione del personale previsto dal Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, con particolare riguardo per quanto concerne la situazione della regione Toscana.
9/1238/47. Gianassi, Scotto, Fossi, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    è nota la cronica carenza organizzativa dei centri per l'impiego che, nonostante le previsioni del Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, adottato con decreto ministeriale n. 74 del 2019 e aggiornato con successivo decreto ministeriale n. 59 del 2020, che dispone l'assunzione di 11.535 di unità di personale su tutto il territorio nazionale;

    al 31 dicembre 2022, rispetto al suddetto contingente massimo risultavano in pianta organica 4.327 unità di personale assunto e finanziato;

    alla medesima data, alcune regioni come la Basilicata, la Calabria, il Molise e la Sicilia non avevano comunicato nessuna assunzione di personale per il potenziamento dei centri per l'impiego;

    ma anche altre regioni che pure avevano avviato il percorso di assunzioni di detto personale risultavano ampiamente lontani dal raggiungimento degli obiettivi previsti dal richiamato Piano, come nel caso dell'Abruzzo che rispetto alle 255 unità di personale ne aveva assunti solo 13, del Friuli Venezia Giulia con solo 46 assunzioni rispetto alle 165 previste, delle Marche con solo 71 assunzioni rispetto alle 194 previste, del Piemonte con solo 206 assunzioni rispetto alle 716 previste, o dell'Umbria con solo 35 assunzioni rispetto alle 129 previste,

impegna il Governo

al fine di non compromettere la reale operatività del nuovo strumento di contrasto della povertà, ad adottare, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile al fine di favorire il più sollecito completamento delle procedure per l'assunzione del personale previsto dal Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, con particolare riguardo per quanto concerne la situazione della regione Piemonte.
9/1238/48. Fornaro, Scotto, Fossi, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto individua il nuovo assegno per l'inclusione; una misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa;

    uno strumento che per la sua reale operatività vede come centrale la funzione dei servizi sociali dei comuni e dei centri per l'impiego;

    è nota la cronica carenza organizzativa dei centri per l'impiego che, nonostante le previsioni del Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, adottato con decreto ministeriale n. 74 del 2019 e aggiornato con successivo decreto ministeriale n. 59 del 2020, che dispone l'assunzione di 11.535 di unità di personale su tutto il territorio nazionale;

    al 31 dicembre 2022, rispetto al suddetto contingente massimo risultavano in pianta organica 4.327 unità di personale assunto e finanziato;

    alla medesima data, alcune regioni come la Basilicata, la Calabria, il Molise e la Sicilia non avevano comunicato nessuna assunzione di personale per il potenziamento dei centri per l'impiego; ma anche altre regioni che pure avevano avviato il percorso di assunzioni di detto personale risultavano ampiamente lontani dal raggiungimento degli obiettivi previsti dal richiamato Piano, come nel caso dell'Abruzzo che rispetto alle 255 unità di personale ne aveva assunti solo 13, del Friuli Venezia Giulia con solo 46 assunzioni rispetto alle 165 previste, delle Marche con solo 71 assunzioni rispetto alle 194 previste, del Piemonte con solo 206 assunzioni rispetto alle 716 previste, o dell'Umbria con solo 35 assunzioni rispetto alle 129 previste,

impegna il Governo

al fine di non compromettere la reale operatività del nuovo strumento di contrasto della povertà, ad adottare, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile al fine di favorire il più sollecito completamento delle procedure per l'assunzione del personale previsto dal Piano di potenziamento dei Centri per l'impiego, con particolare riguardo per quanto concerne la situazione della regione Lombardia.
9/1238/49. Quartapelle Procopio, Scotto, Fossi, Gribaudo, Laus, Sarracino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame reca, all'articolo 36, disposizioni in materia di lavoro marittimo;

    lo scorso 2 marzo il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in risposta all'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-00454 Cangiano: Adozione del decreto di aggiornamento dei titoli professionali del diporto, in particolare per la nuova figura dell'ufficiale di navigazione di seconda classe, affermava che l'aggiornamento dei titoli professionali del diporto nautico previsto dalla legislazione vigente costituisce una priorità che il Ministero si è impegnato a realizzare accogliendo una richiesta del settore attesa da anni;

    oggi in Italia ci sono oltre 1.400 imbarcazioni cabinate che effettuano attività di noleggio per una media di 20 settimane l'anno e che gli operatori preposti non hanno un titolo dedicato, se non i titoli marittimi maggiori, pensati per il naviglio mercantile;

    secondo le stime di Confindustria Nautica vi è la possibilità di creare immediatamente 4.000 posti di lavoro conseguentemente all'adozione del decreto di aggiornamento dei titoli professionali del diporto,

impegna il Governo

ad attuare ogni utile iniziativa per l'adozione del decreto di aggiornamento dei titoli professionali del diporto, con particolare riferimento alla nuova figura dell'ufficiale di navigazione di seconda classe.
9/1238/50. Cangiano, Frijia.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67, recante «Accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma dell'articolo 1 della legge 4 novembre 2010, n. 183», prevede la possibilità, in deroga a quanto previsto all'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 243, come modificato dall'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247, di esercitare, a domanda, il diritto per l'accesso al trattamento pensionistico anticipato, fermi restando il requisito di anzianità contributiva non inferiore a trentacinque anni e il regime di decorrenza del pensionamento vigente al momento della maturazione dei requisiti agevolati, alcune tipologie di lavoratori dipendenti impegnati in mansioni considerate usuranti;

    la categoria professionale del ceramista, riconosciuta come «gravosa» merita anch'essa di essere inserita tra i lavori usuranti con particolare riferimento ai lavoratori che entrano in contatto con la silice cristallina, di cui al codice ATECO 23.42.00 – Fabbricazione di articoli sanitari in ceramica,

impegna il Governo

a valutare, in sede di eventuale riordino complessivo del sistema pensionistico, misure volte a considerare l'inserimento della categoria professionale dei ceramisti nell'elenco dei lavori considerati particolarmente usuranti, ove ne sussistano le condizioni concrete.
9/1238/51. Battistoni.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge oggetto di conversione all'articolo 2 definisce la platea dei beneficiari dell'assegno di inclusione, individuando i requisiti necessari per l'accesso al beneficio. In particolare, il comma 2 prevede in merito a tali requisiti che devono essere presenti al momento della presentazione della richiesta e per tutta la durata di fruizione del beneficio;

    tra i requisiti di cui sopra rileva quello della residenza e di soggiorno: la lettera a), n. 2) del comma 2 dispone che al momento della presentazione della richiesta, il richiedente deve essere residente in Italia per almeno cinque anni, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo;

   considerato che:

    ogni cittadino che si trovi in condizioni di indigenza o comunque al di sotto di una determinata soglia ha diritto ad un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura, cui fa da contraltare il compimento di ogni sforzo, da parte del beneficiario e da parte delle istituzioni pubbliche, per uscirne;

    lo smantellamento del Reddito di Cittadinanza, unica ed effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione, risponde ad una logica governativa tutta orientata verso l'iniquità soprattutto con riferimento alla categorizzazione dei soggetti beneficiari delle nuove misure per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro tale per cui la platea appare decisamente ristretta, con la quasi certezza di aver creato un forte elemento di debolezza nel nostro sistema di welfare;

    stante quanto descritto, le persone indigenti senza fissa dimora non avrebbe diritto di accesso al beneficio di cui in premessa;

   considerato, altresì, che:

    il fenomeno della povertà estrema e dei senza fissa dimora è sempre più accentuato nel nostro Paese. Recenti dati ISTAT rilevano che le persone iscritte nelle anagrafi comunali alla fine del 2021 ammontano a 96.197 unità, e quasi il 38 per cento di esse è di nazionalità straniera. Troviamo una prevalenza maschile, soprattutto tra le persone con background migratorio. L'età media è di quasi 42 anni ma varia molto in base alla nazionalità: 45 per gli italiani e 35 per le altre popolazioni. Le persone senza fissa dimora iscritte nelle anagrafi dei comuni, risultano concentrate per lo più in soli 6 comuni. Troviamo oltre il 23 per cento a Roma, circa il 9 per cento a Milano e poi Napoli, Torino, Genova e Foggia. In questi comuni si trova una componente estremamente alta di persone con background migratorio: Roma, Milano e Firenze superano il 60 per cento, mentre solo l'8,6 per cento a Napoli, che però vede una forte presenza femminile (circa 3000 donne, che equivalgono al 50 per cento dei senza fissa dimora in città e al 10 per cento dell'intera popolazione del Paese). Tali dati riguardano esclusivamente le persone registrate all'anagrafe,

impegna il Governo

ad adottare ogni utile iniziativa normativa volta a non applicare ai soggetti senza fissa dimora che risultino residenti presso la Casa Comunale quanto previsto all'articolo 2, comma 2, lettera a), n. 2) del presente decreto-legge in conversione, al fine di sostenere le forme più estreme di povertà.
9/1238/52. Gubitosa, Pellegrini, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame reca misure volte a sostenere l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro;

    la regione Basilicata con la legge regionale 18 agosto 2014, n. 26 ha istituito il Reddito minimo di inserimento (RMI) per aiutare le «fasce deboli» e affrontare in maniera strutturata ed organica il problema della povertà e del disagio sociale, nonché con delibera della giunta regionale n. 260 del 2016 i Tirocini finalizzati all'inclusione sociale (TIS);

    il progetto in premessa era stato istituito per creare uno strumento in grado di offrire un sostegno economico ai soggetti maggiormente svantaggiati che vivono sul territorio regionale, ed in particolare, ai soggetti fuoriusciti dalla platea degli ammortizzatori sociali, ai disoccupati di lunga durata e agli inoccupati che vivono in una situazione di grave deprivazione materiale per l'adesione alle attività di pubblica utilità e alle iniziative di inserimento sociale ed occupazionale;

    i beneficiari del Programma, che si trovano in età e capacità lavorativa, a fronte dell'indennità percepita a titolo di rimborso forfetario omnicomprensivo per la partecipazione al Programma, vengono impegnati in progetti di Pubblica Utilità proposti da soggetti pubblici e privati con sede o uffici periferici sul territorio della regione Basilicata;

   considerato che:

    in Basilicata risultano circa 1000 persone percettori del RMI e 800 persone di TIS, ricevendo un sussidio che varia tra i 400 e i 500 euro al mese;

    tali soggetti sono spesso impiegati impropriamente dai Comuni e dalle Pubbliche amministrazioni, in quanto svolgono funzioni volte a sopperire le gravi carenze di organico degli enti interessati, con orari e mansioni assimilabili al lavoro dipendente pur tuttavia non essendo loro riconosciuti i principali diritti dei lavoratori,

impegna il Governo

ad adottare nel prossimo provvedimento utile le opportune iniziative di carattere normativo volte a prevedere procedure di stabilizzazione tramite concorso pubblico, all'uopo prevedendo una riserva di posti per i soggetti di cui in premessa ovvero l'attribuzione di un punteggio aggiuntivo.
9/1238/53. Lomuti, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza (RdC) – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

    si noti che, diversamente denominato, ogni Stato europeo – anche l'Ungheria dal 1993 – prevede un RdC: ogni cittadino che si trovi in condizioni di indigenza o comunque al di sotto di una determinata soglia ha diritto ad un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura, cui fa da contraltare il compimento di ogni sforzo, da parte del beneficiario e da parte delle istituzioni pubbliche, per uscirne;

    nel nostro Paese con lo smantellamento del RdC, «si cancella il diritto di ogni cittadino — quali che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro – a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei, e l'Italia diventerà l'unico a non prevederlo più. Difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta» (Cristiano Cori, «Alleanza contro la povertà»);

    tra l'altro, l'accanimento del Governo contro il RdC e il sistema di inclusione lavorativa, motivato con la «sindrome del divano» che avrebbe procurato ai suoi beneficiari, è smentito dalle recentissime analisi e dai dati diramati dall'Ufficio parlamentare di bilancio dai quali si riscontra, al contrario, come l'integrazione tra il sussidio e le politiche attive del lavoro funzionasse: nonostante l'avvio difficoltoso, causato anche dalla concomitante pandemia, oltre il 30 per cento dei beneficiari complessivamente gestiti dai Centri per l'impiego ha attivato un rapporto di lavoro durante la fruizione della misura e a questo sarebbe dovuta la riduzione dei beneficiari del sussidio, diminuiti dalla fine della pandemia di oltre il 25 per cento;

   considerato che:

    con riferimento al Capo I, relativo a nuove misure di inclusione sociale e lavorativa, il provvedimento in esame innova profondamente la disciplina in materia di inclusione sociale e accesso al mondo del lavoro, prevedendo l'istituzione dell'Assegno di inclusione (Adi), indicandone la natura, le finalità e la relativa decorrenza;

    dalla scelta compiuta a monte da parte del Governo – lo smantellamento del RdC, effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione — emerge chiaramente una illogicità e iniquità nella categorizzazione dei soggetti beneficiari delle nuove misure per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro tale per cui la platea appare decisamente ristretta;

    gli strumenti di sostegno al reddito svolgono un ruolo centrale soprattutto nei momenti di crisi economica in quanto possono mitigarne l'impatto sui redditi delle famiglie, prevenire l'aumento della povertà e dell'esclusione sociale promuovendo allo stesso tempo una ripresa sostenibile e inclusiva;

    il Rapporto sulla politica di bilancio dell'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), pubblicato il 20 giugno 2023, esamina le tendenze recenti e le prospettive dell'economia italiana e della finanza pubblica e contiene approfondimenti tematici che riguardano il nuovo quadro di governance europea, la riforma delle misure di contrasto alla povertà e l'impatto distributivo dell'inflazione sulle famiglie,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disciplina in esame, al fine di adottare ogni iniziativa, anche di carattere normativo, affinché, nel prossimo provvedimento utile, sia ripristinato il RdC come misura di contrasto alla povertà universale, ove necessario corretta nelle criticità della disciplina abrogata dal 1° gennaio 2024, come sollevate dal Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza nel 2021 e dall'Alleanza contro la Povertà.
9/1238/54. Auriemma, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi e dei precetti che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le sedicenti misure in materia di contrasto alla povertà e di inclusione nonché di accesso al mondo del lavoro disposte dal provvedimento in titolo, che ben possono così sintetizzarsi: smantellamento del reddito di cittadinanza – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani, sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul sistema Paese;

    i dati e le rilevazioni sulle giovani generazioni fotografano una condizione nazionale di forte svantaggio: tra gli under 35 l'incidenza dei contratti a tempo determinato è doppia rispetto ai lavoratori maturi (23,5 per cento contro il 10,7); scorrendo gli annunci, ad esempio, il 14 per cento fa riferimento a contratti a tempo determinato, il 12 per cento a tirocini o stage (generalmente della durata di 6 mesi e nella gran parte dei casi sottopagati o non pagati), l'8 per cento a collaborazioni occasionali (rapporto INAPP 2022);

    la situazione si aggrava se si prendono a riferimento i dati relativi ai cosiddetti «NEET» – giovani fino a 29 anni che non studiano, non lavorano e non frequentano un corso di formazione;

    l'articolo 27, dedicato all'occupazione giovanile, introduce un incentivo per i datori di lavoro che tra il giugno e il dicembre dell'anno in corso assumono «NEET»;

    nell'ambito del PNRR, con il quale sono disposte misure dirette e indirette in tema di riduzione del divario generazionale, la Missione 5, Componente 1, Riforma Politiche attive del lavoro e formazione prevede il raggiungimento di specifici target, tra i quali un tasso di partecipazione pari al 75 per cento tra donne, disoccupati di lunga durata, persone di età inferiore ai 30 o persone con disabilità tra tutti i destinatari dei programmi e, in particolare, tra gli 800 mila partecipanti alle attività di formazione previste;

    tra gli indicatori-chiave comuni concernenti i giovani, adottati dalla Commissione europea con il regolamento 2021/2106, ad integrazione del regolamento istitutivo del Next generation EU e, segnatamente relativi alla riduzione del divario generazionale, figura l'indicatore n. 14 – «numero di giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che ricevono sostegno» (dalle misure, dirette e indirette, del PNRR e dallo strumento React EU);

    preso atto dell'assenza di una mappatura relativa alla presenza di NEET per aree del territorio nazionale e di un'analisi delle condizioni di necessità in cui versano, dell'assenza di una valutazione ex ante degli effetti attesi derivanti dalle misure a sostegno dell'occupazione giovanile di cui al provvedimento in titolo in generale e dell'articolo 27,

impegna il Governo

a predisporre, entro il mese di dicembre dell'anno in corso, e a trasmettere alle Camere le risultanze dell'impatto generato, alla predetta data, dalle misure, dirette e indirette, attuative del PNRR nonché delle misure e delle azioni inerenti alle risorse del programma ReactEU, volte a ridurre il divario generazionale e ad incrementare la formazione e l'occupazione giovanile, sulla base degli indicatori-chiave comuni di cui al regolamento indicato in premessa.
9/1238/55. Alfonso Colucci, Auriemma, Penza, Riccardo Ricciardi, Barzotti, Aiello, Carotenuto, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi e dei precetti che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le sedicenti misure in materia di contrasto alla povertà e di inclusione nonché di accesso al mondo del lavoro disposte dal provvedimento in titolo, che ben possono così sintetizzarsi: smantellamento del reddito di cittadinanza – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani, sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul sistema Paese;

    i dati e le rilevazioni sulle giovani generazioni fotografano una condizione nazionale di forte svantaggio: tra gli under 35 l'incidenza dei contratti a tempo determinato è doppia rispetto ai lavoratori maturi (23,5 per cento contro il 10,7); scorrendo gli annunci, ad esempio, il 14 per cento fa riferimento a contratti a tempo determinato, il 12 per cento a tirocini o stage (generalmente della durata di 6 mesi e nella gran parte dei casi sottopagati o non pagati), l'8 per cento a collaborazioni occasionali (rapporto INAPP 2022);

    la situazione si aggrava se si prendono a riferimento i dati relativi ai cosiddetti «NEET» – giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano, non lavorano e non frequentano un corso di formazione;

    l'articolo 27, dedicato all'occupazione giovanile, introduce un incentivo per i datori di lavoro che tra il giugno e il dicembre dell'anno in corso assumono «NEET»;

    la misura non pare sostenuta da una mappatura e da un'analisi in ordine alla consistenza del fenomeno dei NEET, alla sua distribuzione geografica e alle necessità di interventi sulla base della sua composizione anagrafica;

    dal 2010 l'Unione europea ha scelto di utilizzare il tasso dei NEET come indicatore principale per rappresentare all'interno di un territorio lo «spreco» delle energie e intelligenze delle nuove generazioni; tra gli indicatori-chiave comuni concernenti i giovani, adottati dalla Commissione europea con il regolamento 2021/2106, ad integrazione del regolamento istitutivo del Next generation EU e, segnatamente relativi alla riduzione del divario generazionale, figura l'indicatore n. 14 — «numero di giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che ricevono sostegno» (dalle misure, dirette e indirette, del PNRR e dallo strumento React EU);

    disaggregando il dato anagrafico dei NEET per classi d'età più ridotte, emerge che nel nostro Paese 1 giovane su 3 fra i 20 e i 24 anni rientra nella definizione di NEET, mentre tra i giovanissimi (15-19 anni) 1 su 10 è fuori dal mondo della scuola e del lavoro; inoltre, nella fascia di età scolare (15-19 anni) i NEET italiani sono il 75 per cento in più della media europea; nella fascia di età universitaria (20-24 anni) i NEET italiani sono il 70 per cento in più della media europea; la percentuale non muta per la fascia di età cosiddetta post-universitaria (25-29);

    il fenomeno ha forti ricadute di carattere socio-economico e culturale anche sui territori dove si presenta in modo massiccio e richiede un forte intervento politico;

    nel corso del precedente mandato di Governo, con decreto congiunto dei Ministri per le politiche giovanili e del lavoro e delle politiche sociali è stato adottato il «Piano di emersione e orientamento giovani inattivi», avviato con il processo di mappatura territoriale nel marzo 2022;

    il Piano prevede una strategia e un percorso in tre fasi, guidati dal livello centrale delle politiche giovanili con il coinvolgimento di tutti gli attori, istituzionali e non, territoriali, in un'ottica di co-progettazione, con l'obiettivo di arrivare a coinvolgere tutti i giovani NEET nel loro territorio, in particolare quelli che non riescono ad essere raggiunti da offerte formative, lavorative o assistenziali, avviando percorsi personalizzati di attivazione e inserimento lavorativo e individuando soluzioni personalizzate in ragione dei differenti contesti in cui i giovani vivono e delle loro diverse condizioni economico-sociali,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile, anche legislativa, volta alla alla riduzione del numero dei NEET nazionali, considerando la strategia, le misure e le azioni previste dal «Piano di emersione e orientamento giovani inattivi» di cui al decreto interministeriale 19 gennaio 2022 esposto in premessa, ai fini del loro coinvolgimento in programmi di recupero, orientamento, formazione e attivazione.
9/1238/56. Penza, Alfonso Colucci, Auriemma, Riccardo Ricciardi, Barzotti, Aiello, Carotenuto, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi e dei precetti che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le sedicenti misure in materia di contrasto alla povertà e di inclusione nonché di accesso al mondo del lavoro disposte dal provvedimento in titolo, che ben possono così sintetizzarsi: smantellamento del reddito di cittadinanza – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani, sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul sistema Paese;

    nonostante il largo nonché, ad avviso dei firmatari, minaccioso, anticipo con il quale è stata preannunciata l'adozione delle misure recate dal provvedimento in titolo, esso è privo dell'analisi di impatto della regolamentazione;

    nel caso del provvedimento in titolo, la mancanza della predetta istruttoria e delle sue risultanze è aggravata dal contenuto, che smantella l'universalità delle misure di contrasto alla povertà, di inclusione e protezione sociale, categorizzandole e settorializzandole, al pari dell'autonomia differenziata, che smantella l'unitarietà economica e sociale della Repubblica, in assenza di un'approfondita e limpida analisi degli effetti sociali conseguenti che il Governo avrebbe avuto l'obbligo di mostrare ai fini di un'adeguata istruttoria parlamentare e del più ampio confronto;

    si stigmatizza, pertanto, l'ennesimo caso in cui ha prevalso la pervicace volontà del Governo di non perdere tempo e di incidere gravemente sull'ordinamento sociale con lo strumento della decretazione d'urgenza, anche su un provvedimento quale quello in esame, delicato e complesso al pari della materia che affronta, il lavoro – tema evidentemente centrale nella vita di ogni individuo e cardine della struttura di ogni società e, segnatamente, nella nostra, in forza dell'interesse e dello spazio che ad esso e alle sue sfaccettature rivolge la nostra Costituzione e sul quale si fonda la nostra Repubblica;

    preso atto che, ai sensi del combinato disposto di cui ai commi 1 e 5-bis dell'articolo 11, le Camere potranno ricevere il rapporto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali sull'attuazione dell'Assegno di inclusione unitamente alla valutazione del suo impatto, dall'anno 2025,

impegna il Governo

a trasmettere tempestivamente alle Camere tutti gli elementi utili al fine di conoscere il percorso logico e l'istruttoria normativa svolte dall'amministrazione competente e che consentano, altresì, di valutare anche l'analisi ex ante compiuta in ordine agli impatti sociali attesi dalle misure adottate dal provvedimento in titolo.
9/1238/57. Riccardo Ricciardi, Alfonso Colucci, Auriemma, Penza, Barzotti, Aiello, Carotenuto, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il Capo IV del provvedimento in esame reca «Misure a sostegno dei lavoratori e per la riduzione della pressione fiscale»;

    l'articolo 40 prevede, limitatamente al periodo d'imposta 2023 e a determinate condizioni, una disciplina più favorevole in materia di esclusione dal computo del reddito imponibile del lavoratore dipendente per i beni ceduti e i servizi prestati al lavoratore medesimo;

    in particolare, si eleva da 258,23 euro (per ciascun periodo d'imposta) a 3.000 euro il limite di esenzione dei cosiddetti fringe benefit con l'inclusione anche delle somme erogate o rimborsate al lavoratore per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell'energia elettrica e del gas naturale;

   considerato che:

    nella dichiarata ottica di sostenere le famiglie e la natalità, l'innalzamento del limite dei cosiddetti fringe benefit riguarda solo i dipendenti con figli a carico, limitazione ad oggi non prevista dalla disciplina ordinaria;

    da considerare inoltre che il limite di esenzione dei fringe benefit è stato più volte oggetto di modificazioni in aumento e in diminuzione;

    da rilevare altresì che sono state introdotte disposizioni limitate a soltanto ad alcune specifiche tipologie di beni e servizi, con trattamenti differenziati rispetto alla disciplina ordinaria: è il caso da ultimo previsto dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 14 gennaio 2023, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 marzo 2023, n. 23, con riferimento al valore dei buoni benzina o di analoghi titoli per l'acquisto di carburanti;

    è necessario garantire certezza e stabilità al regime fiscale applicabile al welfare aziendale nonché uniformità di trattamento anche al fine di evitare incertezze applicative ai danni dei lavoratori;

    inoltre, con particolare riferimento alla concessione di finanziamenti ai dipendenti, l'aumento dei tassi di interesse BCE ha generato squilibri in merito al criterio di determinazione forfetaria del reddito in caso di concessione di finanziamenti a tasso fisso con pesanti penalizzazioni per i dipendenti, che richiedono urgenti correttivi,

impegna il Governo:

   ad estendere il beneficio fiscale di cui in premessa anche ai lavoratori privi di figli a carico al fine di garantire l'equità di accesso alla misura e l'offerta dei benefit alla generalità dei dipendenti;

   a riordinare la disciplina dei fringe benefit al fine di semplificare l'erogazione dei benefit, uniformando il trattamento fiscale delle diverse categorie di erogazioni e favorendo quelle connotate dalle particolari finalità di formazione, assistenza sociale, miglioramento della vita privata del lavoratore;

   ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere un graduale incremento del limite di esenzione fino a stabilizzare a regime l'attuale valore di 3000 euro annui con l'obiettivo di incentivare il welfare aziendale da parte dei datori di lavori e ridurre la pressione fiscale sui lavoratori, anche attraverso l'introduzione di soglie decrescenti all'aumentare del reddito;

   ad assumere in ogni caso iniziative, anche normative, finalizzate all'introduzione dei necessari correttivi al criterio di determinazione forfetaria del reddito in caso di concessione di finanziamenti a tasso fisso ai dipendenti, in conseguenza dell'aumento del tasso ufficiale di riferimento della Bce.
9/1238/58. Fenu, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il Capo IV del provvedimento in esame reca «Misure a sostegno dei lavoratori e per la riduzione della pressione fiscale»;

   considerato che:

    al fine di agevolare i lavoratori fuori sede, ai lavoratori dipendenti che hanno trasferito la propria residenza nel comune di lavoro o in uno di quelli limitrofi è riconosciuta, a determinate condizioni, una detrazione forfetaria, rapportata al numero dei giorni nei quali l'unità immobiliare è stata adibita ad abitazione principale;

    la detrazione spettante ammonta a euro 991,60 se il reddito complessivo non supera euro 15.493,71; la detrazione scende a euro 495,80 se il reddito complessivo supera euro 15.493,71, ma non euro 30.987,41;

    il beneficio fiscale spetta esclusivamente ai lavoratori dipendenti e, pertanto, restano esclusi i percettori di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, come chiarito dall'Agenzia delle entrate con la circolare 12.06.2002 n. 50 (risposta 6.2);

    è necessario altresì il trasferimento della residenza nel comune di lavoro o in uno di quelli limitrofi (con distanza di almeno 100 chilometri dal comune di provenienza e comunque situato in un'altra regione) che deve avvenire nei tre anni precedenti a quello in cui si richiede la detrazione;

    in assenza del trasferimento della residenza, trova applicazione la detrazione ordinaria per gli inquilini nei casi di abitazione principale, la cui entità massima non supera i 300 euro;

   ritenuto che:

    la crescita dell'inflazione e l'aumento dei tassi di interessi costituiscono le principali cause del caro affitti;

    il fenomeno interessa l'intero territorio nazionale, con forte peggioramento nei grandi centri urbani e universitari già colpiti dalla bassa disponibilità di alloggi;

    secondo le analisi condotte dagli operatori del settore immobiliare, il rapporto tra reddito mensile e canone di locazione non dovrebbe superare il 30 per cento: in sostanza, un lavoratore con reddito di 1500 euro netti al mese (corrispondente a un lavoratore con un reddito lordo non superiore a 25.000 euro), dovrebbe corrispondere un canone di locazione non superiore a 450 euro al mese ai fini dell'equilibrio del bilancio familiare mensile;

    sulla base dei delle dichiarazioni fiscali 2022, nel 2021 circa il 50 per cento dei 21 milioni di lavoratori dipendenti dichiarano redditi da lavoro dipendente inferiori a 30.000 annui;

    di contro, il valore medio mensile dei canoni di locazione nei comuni ad alta intensità abitativa è di circa 700 euro mensili per una abitazione non superiore a 80 mq, raggiungendo nelle grandi città anche valori pari a quasi il doppio;

    il raffronto dei dati esposti dimostra come, senza tener conto dell'effetto dell'inflazione, il rapporto tra reddito personale e canone di locazione è già ben oltre la percentuale sopra riportata, arrivando nei centri urbani di maggiore dimensione anche a coprire oltre il 70 per cento del reddito mensile;

    il peggioramento della situazione di precarietà economica dei lavoratori con riguardo al tema affitti richiede interventi urgenti di rafforzamento degli strumenti di sostegno sul reddito al fine di preservare il potere di acquisto,

impegna il Governo:

   ad adottare ulteriori iniziative normative volte a introdurre misure di potenziamento della detrazione di cui in premessa, al fine di sostenere il potere di acquisto dei lavoratori e contenere gli effetti del caro affitti, anche attraverso:

    l'estensione della detrazione anche ai percettori di redditi assimilati a quelli da lavoratore dipendente pur non avendo un contratto da lavoro dipendente, con particolare riferimento ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;

    l'eliminazione del vincolo temporale minimo di 3 anni;

   a riordinare le vigenti detrazioni sull'affitto per rimuovere ogni incertezza applicativa e di regime applicabile nonché valorizzare il diritto ad abitare sotto il profilo sostanziale, anche attraverso l'introduzione, in via strutturale, di un unico regime di detrazione sulle locazioni che tenga conto del rapporto tra canone di locazione e reddito, favorendo comunque le categorie a basso reddito e i casi di locazione fuori sede.
9/1238/59. Alifano, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il Capo IV del provvedimento in esame reca «Misure a sostegno dei lavoratori e per la riduzione della pressione fiscale»;

    l'articolo 40 prevede, limitatamente al periodo d'imposta 2023 e a determinate condizioni, una disciplina più favorevole in materia di esclusione dal computo del reddito imponibile del lavoratore dipendente per i beni ceduti e i servizi prestati al lavoratore medesimo;

    in particolare, si eleva da 258,23 euro (per ciascun periodo d'imposta) a 3.000 euro il limite di esenzione dei cosiddetti fringe benefit con l'inclusione anche delle somme erogate o rimborsate al lavoratore per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell'energia elettrica e del gas naturale;

   considerato che:

    il maggiore beneficio fiscale è una misura di carattere transitorio, prevista per il solo anno 2023, e che trova esclusiva applicazione ai lavoratori dipendenti con figli a carico;

    ai fini del riconoscimento del regime di favore, la disposizione non richiede esplicitamente che il figlio sia a carico intero di un genitore, potendosi dunque ritenere entrambi i genitori lavoratori ammessi al beneficio per l'intero limite di esenzione previsto dalla norma;

    sarebbe tuttavia auspicabile un chiarimento sul punto e rimuovere ogni incertezza circa l'ambito di applicazione della disposizione,

impegna il Governo

a valutare gli effetti della disposizione al fine di chiarire e confermare, con il primo provvedimento utile, anche di natura interpretativa, che il beneficio di cui all'articolo in esame possa essere riconosciuto a ciascuno genitore anche nei casi in cui il figlio sia a carico ripartito tra i coniugi, essendo la misura finalizzata alla riduzione del carico fiscale del lavoratore e alla promozione del welfare aziendale.
9/1238/60. Lovecchio, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il Capo IV del provvedimento in esame reca «Misure a sostegno dei lavoratori e per la riduzione della pressione fiscale»;

    l'articolo 40 prevede, limitatamente al periodo d'imposta 2023 e a determinate condizioni, una disciplina più favorevole in materia di esclusione dal computo del reddito imponibile del lavoratore dipendente per i beni ceduti e i servizi prestati al lavoratore medesimo;

    in particolare, si eleva da 258,23 euro (per ciascun periodo d'imposta) a 3.000 euro il limite di esenzione dei cosiddetti fringe benefit con l'inclusione anche delle somme erogate o rimborsate al lavoratore per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell'energia elettrica e del gas naturale;

   considerato che:

    il comma 1 dell'articolo in esame si pone in deroga esclusivamente alla prima parte dell'articolo 51, comma 3, terzo periodo, del citato testo unico delle imposte sui redditi (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986);

    per tale motivo, come precisato dalla circolare dell'INPS n. 49 del 31 maggio 2023, qualora il valore dei beni o dei servizi forniti risulti complessivamente superiore al limite in oggetto, l'intero valore rientra nell'imponibile fiscale e contributivo,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione, al fine di rafforzare ulteriormente la misura prevedendo, con il prossimo provvedimento utile, il riconoscimento del beneficio fiscale fino a concorrenza del limite di esenzione, limitando l'imponibilità alla sola parte eccedente, al fine di favorire il welfare aziendale e la riduzione della pressione fiscale a beneficio dei lavoratori.
9/1238/61. Raffa, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge oggetto di conversione all'articolo 2 definisce la platea dei beneficiari dell'assegno di inclusione, individuando i requisiti necessari per l'accesso al beneficio. In particolare, il comma 1 prevede il riconoscimento, a richiesta di uno dei componenti del nucleo familiare, del beneficio a garanzia delle necessità di inclusione dei componenti di nuclei familiari con disabilità, nonché dei componenti minorenni o con almeno sessant'anni di età ovvero dei componenti in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione;

   considerato che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza (RdC) – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani, sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

    si noti che, diversamente denominato, ogni Stato europeo – anche l'Ungheria dal 1993 – prevede un RdC: ogni cittadino che si trovi in condizioni di indigenza o comunque al di sotto di una determinata soglia ha diritto ad un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura, cui fa da contraltare il compimento di ogni sforzo, da parte del beneficiario e da parte delle istituzioni pubbliche, per uscirne;

    nel nostro Paese con lo smantellamento del RdC, «si cancella il diritto di ogni cittadino – quali che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro – a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei, e l'Italia diventerà l'unico a non prevederlo più. Difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta» (Cristiano Gori, «Alleanza contro la povertà»);

    tra l'altro, l'accanimento del Governo contro il RdC e il sistema di inclusione lavorativa, motivato con la «sindrome del divano» che avrebbe procurato ai suoi beneficiari, è smentito dalle recentissime analisi e dai dati diramati dall'ufficio parlamentare di bilancio dai quali si riscontra, al contrario, come l'integrazione tra il sussidio e le politiche attive del lavoro funzionasse: nonostante l'avvio difficoltoso, causato anche dalla concomitante pandemia, oltre il 30 per cento dei beneficiari complessivamente gestiti dai Centri per l'impiego ha attivato un rapporto di lavoro durante la fruizione della misura e a questo sarebbe dovuta la riduzione dei beneficiari del sussidio, diminuiti dalla fine della pandemia di oltre il 25 per cento;

   considerato, altresì, che:

    dalla scelta compiuta a monte da parte del Governo – lo smantellamento del RdC, effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione – emerge chiaramente una illogicità e iniquità nella categorizzazione dei soggetti beneficiari delle nuove misure per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro tale per cui la platea appare decisamente ristretta,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa di carattere normativo affinché, nel prossimo provvedimento utile, la platea di beneficiari della nuova misura di Assegno di inclusione citata in premessa (articolo 2, comma 1) sia estesa anche ai nuclei in cui sono presenti persone maggiorenni che frequentano un percorso di studi, in ogni caso fino al compimento del ventiseiesimo anno di età.
9/1238/62. Baldino, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza (RdC) – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

    si noti che, diversamente denominato, ogni Stato europeo – anche l'Ungheria dal 1993 – prevede un RdC: ogni cittadino che si trovi in condizioni di indigenza o comunque al di sotto di una determinata soglia ha diritto ad un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura, cui fa da contraltare il compimento di ogni sforzo, da parte del beneficiario e da parte delle istituzioni pubbliche, per uscirne;

    nel nostro Paese con lo smantellamento del RdC, «si cancella il diritto di ogni cittadino – quali che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro – a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei, e l'Italia diventerà l'unico a non prevederlo più. Difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta» (Cristiano Gori, «Alleanza contro la povertà»);

    tra l'altro, l'accanimento del Governo contro il RdC e il sistema di inclusione lavorativa, motivato con la «sindrome del divano» che avrebbe procurato ai suoi beneficiari, è smentito dalle recentissime analisi e dai dati diramati dall'ufficio parlamentare di bilancio dai quali si riscontra, al contrario, come l'integrazione tra il sussidio e le politiche attive del lavoro funzionasse: nonostante l'avvio difficoltoso, causato anche dalla concomitante pandemia, oltre il 30 per cento dei beneficiari complessivamente gestiti dai Centri per l'impiego ha attivato un rapporto di lavoro durante la fruizione della misura e a questo sarebbe dovuta la riduzione dei beneficiari del sussidio, diminuiti dalla fine della pandemia di oltre il 25 per cento;

   considerato che:

    con riferimento al Capo I, relativo a nuove misure di inclusione sociale e lavorativa, il provvedimento in esame innova profondamente la disciplina in materia di inclusione sociale e accesso al mondo del lavoro, prevedendo l'istituzione dell'Assegno di inclusione (Adi), indicandone la natura, le finalità e la relativa decorrenza;

    dalla scelta compiuta a monte da parte del Governo – lo smantellamento del RdC, effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione – emerge chiaramente una illogicità e iniquità nella categorizzazione dei soggetti beneficiari delle nuove misure per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro tale per cui la platea appare decisamente ristretta;

    gli strumenti di sostegno al reddito svolgono un ruolo centrale soprattutto nei momenti di crisi economica in quanto possono mitigarne l'impatto sui redditi delle famiglie, prevenire l'aumento della povertà e dell'esclusione sociale promuovendo allo stesso tempo una ripresa sostenibile e inclusiva;

    il Rapporto sulla politica di bilancio dell'ufficio parlamentare di bilancio (UPB), pubblicato il 20 giugno 2023, esamina le tendenze recenti e le prospettive dell'economia italiana e della finanza pubblica e contiene approfondimenti tematici che riguardano il nuovo quadro di governance europea, la riforma delle misure di contrasto alla povertà e l'impatto distributivo dell'inflazione sulle famiglie;

    il predetto rapporto reca un approfondimento proprio su RdC e AdI che il provvedimento all'esame istituisce e rappresenta che «dei quasi 1,2 milioni di nuclei beneficiari di RdC, circa 400.000 (il 33,6 per cento) sono esclusi dall'AdI perché al loro interno non sono presenti soggetti tutelati. Dei restanti 790.000 nuclei in cui sono presenti soggetti tutelati, circa 97.000 (il 12,1 per cento) risulterebbero comunque esclusi dalla fruizione dell'AdI per effetto dei vincoli di natura economica. Nel complesso, dunque, i nuclei beneficiari dell'AdI risulterebbero poco più di 690.000, circa il 58 per cento degli attuali beneficiari del RdC.»;

    in termini di individui, i soggetti non beneficiari dell'AdI sarebbero circa 823.000 (un terzo circa dei percettori del RdC), di cui 553.000 per effetto dell'esclusione dei nuclei senza tutelati e 270.000 appartenenti a nuclei tutelati ma esclusi per effetto dei vincoli di carattere economico;

    l'Adi, a differenza del RdC, concentra l'azione di contrasto alla povertà sui soli soggetti che, per ragioni anagrafiche o per disabilità, non sono in grado di partecipare attivamente al mercato del lavoro; i soggetti tra 18 e 59 anni di età non disabili e non impegnati in lavoro di cura sono esclusi dalla misura fatta eccezione per alcuni limitati casi; con queste modifiche circa 400.000 nuclei di soli adulti precedentemente tutelati dal RdC (circa il 34 per cento) sono esclusi dalla misura indipendentemente dalle loro condizioni economiche;

    la Raccomandazione del Consiglio della UE del 30 gennaio 2023 relativa a un adeguato reddito minimo che garantisca l'inclusione attiva (2023/C 41/01) sottolinea la necessità dell'attivazione lavorativa dei beneficiari, assicurando che i requisiti di attivazione forniscano sufficienti incentivi a rientrare nel mercato del lavoro, ma che allo stesso tempo la rete di sostegno raggiunga tutte le persone che non dispongono di risorse sufficienti,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi della disciplina citata in premessa, al fine di adottare ogni iniziativa, anche di carattere normativo, affinché, nel prossimo provvedimento utile, la nuova misura di AdI sia modificata nella sua natura e, pertanto, resa strumento universale di integrazione e sostegno al reddito, in particolare garantendo il diritto di ogni cittadino e cittadina ad un sostegno socio-economico che consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura.
9/1238/63. Francesco Silvestri, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino, Auriemma.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame dispone l'abrogazione dell'istituto del reddito di cittadinanza, a decorrere dal 1° gennaio 2024 e la sua sostituzione, da un lato, con l'assegno di inclusione in favore dei nuclei familiari in cui vi sia almeno un soggetto minorenne o avente almeno sessanta anni di età o disabile e, dall'altro, mediante l'introduzione di strumenti di attivazione al lavoro per i cosiddetti occupabili;

    il provvedimento modifica in particolare la disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato in relazione ai presupposti di ammissibilità per i contratti di durata superiore a dodici mesi, proseguendo l'opera di smantellamento del sistema di tutele poste a garanzia dei diritti dei lavoratori introdotto con il Governo Conte I riformulando l'articolo 15 del decreto legislativo 81 del 2015, come modificato dal decreto-legge n. 87 del 2018 (decreto Dignità), consentendo di superare il limite dei 12 mesi per i contratti a tempo determinato;

    un'altra scelta in controtendenza con gli esecutivi precedenti, e che finirà per aumentare la precarietà, è l'estensione dell'utilizzo dei voucher. L'estensione riguarda soprattutto il turismo, un settore strategico per la ripresa economica, e in particolare il settore dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento, ma anche quello dell'agricoltura. Non si prevede solo un generico ritorno dei voucher, peraltro già operato durante la legge di bilancio, ma se ne estende l'utilizzabilità per un massimo di 15.000 euro e se ne consente l'utilizzo alle imprese che hanno fino a 25 dipendenti subordinati a tempo indeterminato, in un settore da sempre caratterizzato da lavoro povero, precario e irregolare;

    esistono forme contrattuali che includono le fattispecie dei lavori saltuari e stagionali e che tengono fermi i diritti e le tutele per i lavoratori, come ferie, malattia pagata e indennità di disoccupazione. Il Governo sceglie invece di impoverire ulteriormente il lavoro, ridurre i diritti e favorire forme di sfruttamento;

    l'esperienza ha inoltre dimostrato che l'utilizzo delle prestazioni occasionali è assolutamente inadeguato a far emergere il lavoro sommerso mentre, al contrario, diventa uno strumento di agevolazione di forme di lavoro irregolare;

    per quanto riguarda il settore agricolo, in particolare, nessun intervento viene posto in essere in questo provvedimento, pur essendo, come noto, un settore molto particolare, con caratteristiche e peculiarità che andrebbero affrontate concretamente e non ignorate, come nel caso di specie;

    la tutela dei lavoratori agricoli, la necessità di garantire loro gli stessi diritti degli altri settori, appare quanto mai necessaria, e non solo al fine di arginare gli spazi di «nero» e irregolarità che ancora lo caratterizzano, ma anche e soprattutto per dare a questo comparto il valore che merita; se si parla di lavoro agricolo, sostegno al reddito e ammortizzatori sociali, però, non si può dimenticare il settore della pesca, i cui lavoratori appaiono oggi ancor più penalizzati degli stessi agricoltori;

    i lavoratori della pesca, ad esempio, non possono ancora usufruire – nonostante nella passata legislatura ci sia stato un primo passo verso la sua estensione al settore – della Cassa integrazione salariale operai agricoli, CISOA;

    tale ammortizzatore sociale, esteso formalmente ai pescatori con la legge di bilancio n. 234 del 2021, manca ancora della definizione, concordata insieme alle parti sociali coinvolte, delle norme regolamentative, in modo da renderlo concretamente efficace a tutela dell'occupazione in un settore messo duramente alla prova dalle continue restrizioni dell'attività lavorativa dovute, anche, alle politiche comunitarie,

impegna il Governo

a convocare al più presto le parti sociali firmatarie dei Contratti nazionali del lavoro di riferimento per la pesca, al fine di proseguire il confronto già avviato in merito all'estensione della CISOA ai pescatori, avviata con la legge 30 dicembre 2021, n. 234, e definire gli interventi correttivi di tipo legislativo che consentano di dotare finalmente il settore di un meccanismo di sostegno al reddito in grado di assicurare al personale imbarcato un ammortizzatore sociale efficace e tempestivo, in linea con gli altri strumenti previsti dalla legislazione sociale in genere.
9/1238/64. Caramiello, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame dispone l'abrogazione dell'istituto del reddito di cittadinanza, a decorrere dal 1° gennaio 2024 e la sua sostituzione, da un lato, con l'assegno di inclusione in favore dei nuclei familiari in cui vi sia almeno un soggetto minorenne o avente almeno sessanta anni di età o disabile e, dall'altro, mediante l'introduzione di strumenti di attivazione al lavoro per i cosiddetti occupabili;

    un'altra scelta in controtendenza con gli esecutivi precedenti, e che finirà per aumentare la precarietà, è l'estensione dell'utilizzo dei voucher. L'estensione riguarda soprattutto il turismo, un settore strategico per la ripresa economica, e in particolare il settore dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento, nonché dell'agricoltura. Non si prevede solo un generico ritorno dei voucher, peraltro già operato durante la legge di bilancio, ma se ne estende l'utilizzabilità per un massimo di 15.000 euro e se ne consente l'utilizzo alle imprese che hanno fino a 25 dipendenti subordinati a tempo indeterminato, in un settore da sempre caratterizzato da lavoro povero, precario e irregolare;

    esistono forme contrattuali che includono le fattispecie dei lavori saltuari e stagionali e che tengono fermi i diritti e le tutele per i lavoratori, come ferie, malattia pagata e indennità di disoccupazione. Il Governo sceglie invece di impoverire ulteriormente il lavoro, ridurre i diritti e favorire forme di sfruttamento;

    per quanto riguarda il settore agricolo, ad esempio, il problema non è la mancanza di manodopera – come questo Governo ha più volte sottolineato – quanto la garanzia dell'applicazione di contratti collettivi regolari – che non possono essere sostituiti da misure occasionali, ancorché di breve durata –, essendo la stagionalità una delle caratteristiche predominanti del lavoro nei campi;

    la scarsa attrattiva per il mondo agricolo è legata all'assenza di regolarità unita al basso reddito – la retribuzione media in agricoltura, da contratto, sarebbe di 60 euro al giorno per 6 ore e 30 minuti; tra i mille e 1.300 euro mensili –, nonché alle condizioni deprimenti e spesso svilenti che allontanano, chi può permetterselo, da questa scelta;

    senza contare il problema del lavoro nero e del caporalato, che non sono certo fenomeni prerogativa dei soli immigrati; in agricoltura, secondo il sesto Rapporto agromafie e caporalato, c'è un bacino di 230 mila persone nell'area della sofferenza occupazionale, le quali, pur lavorando, vivono in condizioni di quasi indigenza, sfiorando i confini dello schiavismo, a causa di un sistema spesso controllato dalle organizzazioni criminali;

    l'esperienza ha inoltre dimostrato che l'utilizzo delle prestazioni occasionali è assolutamente inadeguato a far emergere il lavoro sommerso mentre, al contrario, diventa uno strumento di agevolazione di forme di lavoro irregolare;

    è evidente che le criticità e le esigenze del lavoro agricolo sono ben diverse da banali slogan sul legame tra «la sindrome del divano» e il campo; il lavoro agricolo necessita della certezza nell'applicazione dei contratti, della certezza nella retribuzione, nonché dello studio di un sistema efficace e trasparente di incontro tra domanda e offerta che possa anche essere un ostacolo al fenomeno dello sfruttamento del lavoro,

impegna il Governo

a attivare strumenti finalizzati a garantire tutele concrete e diritti al mondo del lavoro agricolo, in particolare attraverso lo studio di un sistema efficace e trasparente di incontro tra domanda e offerta che possa anche essere un ostacolo al fenomeno dello sfruttamento del lavoro.
9/1238/65. Sergio Costa, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 33 del decreto-legge oggetto di conversione stanzia ingenti risorse, pari a 14,5 milioni di euro, volte al finanziamento straordinario dell'Agenzia Industrie Difesa allo scopo di promuovere l'occupazione in settori ad alta intensità tecnologica e di interesse strategico, incrementare le competenze già esistenti e consentire l'apertura di nuove filiere produttive attraverso la realizzazione di interventi di ammodernamento;

    la ratio della norma risponderebbe alla crescente domanda del mercato nel settore del munizionamento, diretta conseguenza del conflitto in atto in Ucraina. Infatti il protrarsi della cessione di materiali d'armamento alle autorità governative ucraine sta comportando un aumento della produzione in questo settore;

   considerato che:

    il 21 marzo scorso al Senato la Presidente del Consiglio dei ministri, durante le Comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2023, ha definito: «puerile la propaganda di chi racconta che l'Italia starebbe spendendo soldi per mandare armamenti in Ucraina sottraendoli di fatto alle tante necessità dei nostri concittadini.», sottolineando che: «L'Italia sta inviando all'Ucraina materiali e componenti già in suo possesso, che, per fortuna, noi non abbiamo necessità di utilizzare e che inviamo agli ucraini anche per prevenire la possibilità di doverli un giorno utilizzare noi.»;

    le affermazioni della Presidente, ossia che l'invio di armi in Ucraina non sottrarrebbe risorse al bilancio dello Stato, appaiono palesemente in contrasto con quanto sostenuto dal Ministro della difesa lo scorso 25 gennaio in audizione presso le commissioni riunite Difesa Camera ed Esteri e Difesa Senato sulle linee programmatiche del suo dicastero. In tale sede, il Ministro ha dichiarato che: «L'aiuto che abbiamo dato in questi mesi all'Ucraina è un aiuto che in qualche modo ci impone di ripristinare le scorte che servono per la difesa nazionale.»;

   tenuto conto che:

    la norma descritta in premessa sottrae risorse al bilancio pubblico per aumentare la produzione di munizioni confermando la dissonanza delle affermazioni sopra riportate della Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della difesa,

impegna il Governo

a riconsiderare l'opportunità della disposizione di cui in premessa, all'uopo intraprendendo iniziative di carattere normativo volte a una graduale diminuzione delle spese per i sistemi di armamento, che insistono sul bilancio dello Stato, considerata la grave crisi economica e sociale atto, al fine di non distrarre le risorse finanziarie necessarie a sostenere il tessuto sociale ed economico del Paese e a garantirne la ripresa.
9/1238/66. Pellegrini, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   Premesso che:

    l'articolo 27 del citato decreto-legge riconosce un incentivo ai datori di lavoro privati per le nuove assunzioni, effettuate dal 1° giugno 2023 al 31 dicembre 2023, a tempo indeterminato, anche a scopo di somministrazione, o con contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere, di giovani al di sotto dei trenta anni che risultino NEET e registrati al Programma Operativo Nazionale «Iniziativa Occupazione Giovani», con conseguente esclusione degli studenti universitari e dei neo-laureati, che rappresentano circa 2,6 milioni di giovani cittadini;

   considerato che:

    uno dei principali meccanismi per favorire l'inserimento di studenti e giovani laureati nel mondo del lavoro sono i tirocini curriculari ed extracurriculari, in quanto essi rappresentano percorsi essenziali al fine di facilitare l'acquisizione di esperienze prima di trovare un'occupazione stabile, facilitando la transizione dall'istruzione o dalla formazione professionale al mercato del lavoro;

    la pandemia di COVID-19 ha causato la sospensione di molte occasioni di formazione e lavoro, creando pertanto ostacoli all'acquisizione di competenze, colpendo in maniera sproporzionata soprattutto la transizione da scuola a lavoro di giovani provenienti da contesti svantaggiati. Inoltre, la situazione bellica in Ucraina, e la conseguente inflazione, hanno determinato un aumento esponenziale del costo della, richiedendo, quindi, un intervento nel mercato del lavoro al fine di adeguare i salari;

    i tirocini curriculari non sono retribuiti e i tirocini extracurriculari prevedono una retribuzione che oscilla tra i 350 euro e gli 800 euro a seconda della regione in cui si svolge la prestazione, gli studenti universitari o neolaureati che intraprendono un percorso di tirocinio devono necessariamente fare affidamento sulle garanzie economiche delle rispettive famiglie in quanto, le retribuzioni attualmente previste sono sufficienti esclusivamente per pagare l'affitto di una stanza;

   valutato che:

    la previsione di un responso economico adeguato allo svolgimento di tirocini, curriculari o extra curriculari, potrebbe rappresentare un importante strumento mediante il quale favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, accrescendo la qualità del capitale umano e, dall'altro lato, contrastando fenomeni quali lo sfruttamento, la denatalità e l'esodo dei giovani verso paesi esteri;

    i tirocini retribuiti potrebbero contribuire al conseguimento degli obiettivi sociali dell'Agenda europea 2030, che prevedono almeno il 60 per cento di tutti gli adulti partecipi ogni anno ad attività di formazione e che almeno l'80 per cento della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni abbia un lavoro, riducendo la percentuale di persone senza lavoro e che non seguono corsi di istruzione o formazione (NEET) al 9 per cento, in linea con l'agenda 2023 dell'Unione europea;

    secondo i dati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali all'interno della «I nota trimestrale 2023 sulle Comunicazioni Obbligatorie» il primo trimestre del 2023 ha visto la registrazione di soli 70mila contratti di tirocinio extracurriculare, il 14 per cento in meno rispetto al primo trimestre del 2021,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative, anche di natura normativa, atte a prevedere, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, un rimborso spese minimo necessario per i tirocini curriculari, al fine di garantire un tenore di vita dignitoso e che disincentivi pratiche di sfruttamento;

   ad intervenire, anche mediante iniziative normative, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, al fine di garantire un'indennità di partecipazione ai tirocini extracurriculari omogenea sull'intero territorio nazionale, che assicuri un tenore di vita dignitoso e che disincentivi pratiche di sfruttamento.
9/1238/67. Todde, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in titolo reca disposizioni urgenti per l'inclusione sociale;

    l'articolo 39 prevede misure finalizzate all'esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti;

   considerato che:

    il gender gap nell'accesso al sistema pensionistico e nel quantum di prestazione assistenziale risulta in crescita costante: il divario tra i generi inevitabilmente riflette la minore e più complicata partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, i cui elementi principali attengono a differenze salariali, discriminazioni e ostacoli nella carriera, storie contributive brevi e frammentate, nonché variabili ulteriori quali quelle legate ai percorsi lavorativi individuali e alle situazioni personali e familiari;

    le più recenti elaborazioni statistiche diffuse da Inps e Istat certificano che le pensionate sono più numerose dei coetanei a riposo (8,8 contro 7,2), ma in media percepiscono cifre inferiori, mentre più profondo è il solco tra gli importi destinati alle ex lavoratrici e quelli erogati agli ex lavoratori;

    nel primo semestre 2021, il gender gap pensionistico è salito a 498 euro al mese e gli assegni sono diventati più leggeri, per tutte e tutti. L'importo tipo delle 389.924 nuove pensioni con decorrenza gennaio-giugno è di 1.155 euro, con 931 euro in media per le donne (215.124 le new entry), 1.429 per gli uomini (174.800 posizioni) e 498 euro di differenza (pari al –34,8 per cento, oltre un terzo in meno);

    si attendeva quantomeno un ulteriore intervento normativo volto a prorogare la disciplina dell'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «opzione donna», secondo le regole di cui all'articolo 16, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, nel testo vigente al 31 dicembre 2022, ossia le regole previgenti la manovra economica;

    la fruizione dell'opzione, infatti, come a suo tempo introdotta dall'allora Ministro Maroni (articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243), è sempre stata prorogata da tutti i Governi che si sono succeduti a decorrere da quella data, e consentiva, su domanda, di accedere all'assegno pensionistico con requisiti anagrafici più favorevoli rispetto a quelli in vigore, optando per il sistema di calcolo contributivo dell'intero trattamento pensionistico, senza ulteriori penalizzazioni o condizioni aggiuntive come invece introdotte da ultimo con la legge di bilancio 2023 (articolo 1, comma 227, della legge 29 dicembre 2022, n. 197);

   rilevato che:

    con i più recenti interventi normativi da parte del Governo, tra l'altro, per la prima volta l'età della pensione è stata collegata alla presenza o meno di figli: una novità che, anche se declinabile quale riconoscimento del lavoro di cura più spesso svolto dalle donne, presenta non pochi problemi dal punto di vista dell'equità e della razionalità del sistema previdenziale, e non affronta il problema del gap di genere nelle pensioni. La differenza nei livelli retributivi delle pensioni delle donne rispetto agli uomini, infatti, è maggiore di quella salariale, e questo deriva dal fatto che le donne non solo hanno stipendi più bassi, ma hanno spesso carriere discontinue, con interruzioni e periodi senza contributi, oltre ad essere maggiormente presenti nei lavori precari e dunque con contribuzione bassa o nulla;

    sebbene in definitiva la misura sia suscettibile di migliorie volte a limitarne il conseguente effetto di ostacolo alla chiusura del divario pensionistico di genere, sta di fatto che il Governo ha invero ridotto così drasticamente la platea delle lavoratrici che teoricamente avrebbero potuto accedere a tale forma di uscita flessibile, e che di fatto ha trasformato questa disciplina, pure costruita come favor per le donne in uscita dal mercato del lavoro, in una «opzione cassa» volta a finanziare misure altre di cui non si ha ancora contezza;

    risale al 13 febbraio 2023 lo svolgimento più recente del cosiddetto tavolo tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, condotto dal Sottosegretario leghista Claudio Durigon e alla presenza dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil;

    mentre in quell'occasione è stato esplicitamente chiesto al Governo di avere una risposta sul tema, tra gli altri, della flessibilità in uscita, entro il 12 aprile 2023, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, martedì 11 aprile 2023 ha approvato il Documento di economia e finanza 2023, da cui parrebbe non derivare alcuna prospettiva di risoluzione della questione,

impegna il Governo

a prevedere iniziative mirate a ridurre il gap pensionistico, a partire dal ripristino dell'istituto della cosiddetta «opzione donna» nei termini previgenti la legge di bilancio 2023.
9/1238/68.Appendino, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino, Ghirra.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per l'inclusione sociale al fine di garantire a quanti sono a rischio di povertà e di emarginazione sociale di fruire delle opportunità e delle risorse necessarie per partecipare pienamente alla vita economica, sociale e culturale e di godere di un tenore di vita e di un benessere considerati normali nella società in cui vivono;

    la crisi economica e gli incrementi dei livelli dei prezzi dell'energia negli ultimi anni hanno comportato in numerose famiglie difficoltà nell'accesso all'impiego di bisogni fondamentali ponendoli in una condizione di povertà energetica;

    secondo l'elaborazione dell'ufficio studi della CGIA sui dati del Rapporto OIPE 2020, si stima che in Italia ci siano 4 milioni di nuclei in condizione di povertà energetica. Famiglie che si trovano nell'impossibilità di procurarsi un paniere minimo di beni e servizi energetici: ovvero il riscaldamento, il raffrescamento, l'illuminazione, l'utilizzo di elettrodomestici, e altro;

    per far fronte a tali aspetti nell'ordinamento nazionale sono stati introdotti i cosiddetti bonus sociali elettrico, gas e idrico, una misura volta a ridurre la spesa sostenuta per la fornitura di energia elettrica, di gas naturale e idrica dai nuclei familiari in condizioni di disagio economico o fisico;

    dall'audizione del 23 maggio 2023 tenuta da ARERA sulla povertà energetica nelle Commissioni riunite VIII Ambiente, territorio e lavori pubblici e X Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati è emerso che la platea dei beneficiari (nuclei familiari) dei bonus sociali nel 2021, sono stati poco meno di 2,5 milioni per il bonus elettrico e poco più di 1,5 milioni per quello gas. Nel 2022, sono ulteriormente aumentati, rispettivamente, a oltre 3,7 e 2,4 milioni di nuclei familiari. Per l'anno 2023, l'Autorità stima che i beneficiari dei bonus sociali elettrico e gas potrebbero ammontare a circa 5 milioni di nuclei familiari;

    nel complesso, nel 2022, per il bonus sociale, sono stati necessari 2.001 milioni di euro per il bonus elettrico e 1.830 milioni di euro per il bonus gas;

   considerato che:

    con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale europea del regolamento 2023/955 (che modifica il 2021/1060), l'Unione europea istituisce un Fondo sociale per il clima, per un importo massimo di 65 miliardi di euro, con l'impegno di supportare gli Stati, le piccole imprese e le persone fisiche che dovranno apportare cambiamenti per contribuire a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050;

    il Fondo dovrà sostenere finanziariamente gli Stati membri nelle loro politiche intese a mitigare l'impatto sociale dell'introduzione del sistema di scambio di quote di emissioni per gli edifici e il trasporto su strada sulle famiglie vulnerabili, sulle microimprese vulnerabili e sugli utenti vulnerabili dei trasporti;

    gli Stati membri devono presentare conseguentemente alla Commissione un piano sociale per il clima entro il 30 giugno 2025 affinché possano essere esaminate le misure e gli investimenti destinati in particolare alle famiglie in condizioni di povertà energetica o di vulnerabilità;

    per il regolamento, i clienti attivi, le comunità energetiche dei cittadini e gli scambi tra pari di energia rinnovabile possono aiutare gli Stati membri a conseguire gli obiettivi del presente regolamento attraverso una metodologia dal basso verso l'alto avviata dai cittadini. Essi responsabilizzano e coinvolgono i consumatori e consentono a determinati gruppi di clienti civili di partecipare a misure e investimenti in materia di efficienza energetica, di sostenere l'utilizzo dell'energia rinnovabile da parte delle famiglie e, nel contempo, di contribuire alla lotta contro la povertà energetica. Gli Stati membri dovrebbero pertanto promuovere il ruolo delle comunità energetiche dei cittadini e delle comunità di energia rinnovabile e considerarle beneficiarie ammissibili del Fondo;

   valutato altresì che:

    affinché si realizzi un modello sociale in cui l'accesso all'energia possa definirsi democratico, equo e sostenibile, risulta cruciale implementare misure strutturali e sistemiche capaci di coniugare benessere e inclusione sociale, all'interno di una cornice in cui il processo di transizione energetica si sviluppi a livello collettivo;

    il contrasto alla povertà e la promozione dell'inclusione sociale e lavorativa, infatti, devono necessariamente passare dalla lotta alla povertà energetica attraverso misure dall'impatto sociale rilevante, come ad esempio la diffusione delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER),

impegna il Governo

ad adottare, per i soggetti in condizione di povertà energetica o cosiddetti vulnerabili, misure volte al superamento graduale del meccanismo del bonus sociale elettrico e del gas mediante l'introduzione di interventi più funzionali, capaci di generare maggiori vantaggi ed opportunità, a parità di risorse impegnate, attraverso la partecipazione degli stessi nelle comunità energetiche rinnovabili.
9/1238/69. Cappelletti, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza (RdC) – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

    si noti che, diversamente denominato, ogni Stato europeo – anche l'Ungheria dal 1993 – prevede un RdC: ogni cittadino che si trovi in condizioni di indigenza o comunque al di sotto di una determinata soglia ha diritto ad un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura, cui fa da contraltare il compimento di ogni sforzo, da parte del beneficiario e da parte delle istituzioni pubbliche, per uscirne;

    nel nostro Paese con lo smantellamento del RdC, «si cancella il diritto di ogni cittadino – quali che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro – a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei, e l'Italia diventerà l'unico a non prevederlo più. Difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta» (Cristiano Gori, «Alleanza contro la povertà»);

    tra l'altro, l'accanimento del Governo contro il RdC e il sistema di inclusione lavorativa, motivato con la «sindrome del divano» che avrebbe procurato ai suoi beneficiari, è smentito dalle recentissime analisi e dai dati diramati dall'ufficio parlamentare di bilancio dai quali si riscontra, al contrario, come l'integrazione tra il sussidio e le politiche attive del lavoro funzionasse: nonostante l'avvio difficoltoso, causato anche dalla concomitante pandemia, oltre il 30 per cento dei beneficiari complessivamente gestiti dai Centri per l'impiego ha attivato un rapporto di lavoro durante la fruizione della misura e a questo sarebbe dovuta la riduzione dei beneficiari del sussidio, diminuiti dalla fine della pandemia di oltre il 25 per cento;

   considerato che:

    dalla scelta compiuta a monte da parte del Governo – lo smantellamento del RdC, effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione – emerge chiaramente una illogicità e iniquità nella categorizzazione dei soggetti beneficiari delle nuove misure per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro tale per cui la platea appare decisamente ristretta,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa di carattere normativo affinché, nel prossimo provvedimento utile, la platea di beneficiari della nuova misura di Adi citata in premessa (articolo 2, comma 1) sia estesa anche ai nuclei in cui sono presenti persone fragili quali le donne vittime di violenza sole o anche in presenza di figli maggiorenni sino all'età di 25 anni, i neomaggiorenni che fuoriescono da percorsi di tutela disposti dall'autorità giudiziaria per la durata del prosieguo amministrativo, le persone senza dimora che aderiscano a percorsi di fuoriuscita dall'emarginazione estrema, certificati dai servizi sociali o sociosanitari competenti.
9/1238/70. Pavanelli, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, comma 292, della legge 29 dicembre 2022 n. 197 (cosiddetta legge di bilancio 2023) è intervenuto sull'articolo 16 del decreto-legge n. 4 del 2019, modificando i criteri di accesso alla pensione anticipata cosiddetta opzione donna;

    in particolare, la modifica statuisce che: «Il diritto al trattamento pensionistico di cui al comma 1 si applica nei confronti delle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2022 hanno maturato un'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e un'età anagrafica di almeno sessanta anni, ridotta di un anno per ogni figlio nel limite massimo di due anni, e che si trovano in una delle seguenti condizioni:

    a) assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i settanta anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;

    b) hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento;

    c) sono lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d'impresa di cui all'articolo 1, comma 852, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Per le lavoratrici di cui alla presente lettera la riduzione massima di due anni del requisito anagrafico di sessanta anni di cui all'alinea del presente comma si applica a prescindere dal numero di figli»;

   rilevato che:

    la norma in esame si applica alle lavoratrici che, entro il 31 dicembre 2022, abbiano maturato un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un'età anagrafica di almeno 60 anni, e che si trovino in una delle condizioni indicate nella stessa norma;

    il requisito anagrafico di 60 anni è ridotto di un anno per figlio nel limite massimo di due anni. La riduzione massima di due anni si applica in favore della categoria di lavoratrici di cui alla lettera c) del comma 1-bis dell'articolo 16 del decreto-legge n. 4 del 2019, introdotto dalla norma in esame, anche in assenza di figli;

   atteso che:

    la citata legge di bilancio, ha contratto i requisiti di accesso alla previdenza pensionistica, lasciando altresì nell'incertezza più di 30.000 donne lavoratrici che non potranno in tal modo accedere all'uscita anticipata e rispetto ai requisiti stringenti introdotti e che comportano una disuguaglianza sostanziale tra lavoratori e donne lavoratrici con posizioni oggettive e soggettive diverse,

impegna il Governo

ad adottare, nel prossimo provvedimento utile, ogni iniziativa, anche di carattere normativo, volta al ripristino della disciplina sull'uscita pensionistica denominata «opzione donna» in conformità alle regole vigenti sino al 31 dicembre 2022 nonché alla proroga della stessa anche per tutto il 2023, al fine di rimuovere ogni ostacolo di natura sostanziale e formale a garanzia del principio di uguaglianza in tutti i regimi professionali nel mondo del lavoro.
9/1238/71. Morfino, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Ghirra.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 14 del provvedimento in esame reca un complesso di modifiche alla disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;

    dalla sezione «Open data» del sito Inail si apprende che le denunce di infortunio presentate all'istituto entro il mese di aprile 2023 sono state 187.324, in calo rispetto alle 254.493 del primo quadrimestre 2022 (-26,4 per cento), in aumento rispetto alle 171.870 del 2021 (+9,0 per cento) e alle 172.319 del 2020 (+8,7 per cento), e in riduzione rispetto alle 210.720 del 2019 (-11,1 per cento);

    mentre si osservano decrementi degli infortuni in occasione di lavoro in quasi tutti i settori produttivi, alcuni settori del comparto manifatturiero, sono in controtendenza, come quelli delle bevande (+23,7 per cento) e dell'abbigliamento (+12,3 per cento);

    con riferimento agli infortuni sul lavoro con esito mortale i dati rilevati evidenziano, per il primo quadrimestre 2023 rispetto al pari periodo 2022, un decremento solo dei casi mortali in itinere, scesi da 70 a 57, mentre quelli avvenuti in occasione di lavoro passano da 191 a 207;

    i dati confermano che la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, riconosciuta come principio imprescindibile del nostro ordinamento, e come tale rinvenibile in numerose fonti normative, non risulta, ancora oggi, effettiva e diffusa in modo uniforme sul territorio nazionale;

    occorre pertanto dare assoluta priorità alle misure di prevenzione, volte alla rimozione dei fattori di rischio per i lavoratori, al potenziamento delle attività di vigilanza e controllo ispettivo, mediante lo stanziamento di risorse aggiuntive da destinare anche al finanziamento di progetti di investimento e formazione, in particolare per le piccole, medie e micro imprese, e la previsione di agevolazioni fiscali che incentivino la redazione e l'adeguamento dei documenti di valutazione dei rischi e dei piani di sicurezza,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile volta a garantire la piena ed effettiva tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, assicurando risorse adeguate da destinare alle piccole, medie e micro imprese per il finanziamento di progetti di investimento e formazione.
9/1238/72. Ilaria Fontana, L'Abbate, Morfino, Santillo, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 14 del provvedimento in esame reca un complesso di modifiche alla disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;

    l'articolo 19 incrementa, nel periodo di programmazione 2021-2027 della politica di coesione europea, la dotazione del Fondo nuove competenze, al fine di finanziare le intese sottoscritte a decorrere dal 2023 volte a favorire l'aggiornamento della professionalità dei lavoratori a seguito della transizione digitale ed ecologica;

   considerato che:

    numerose attività lavorative possono comportare il rischio di esposizione a polveri e fibre di amianto, quali la manutenzione, la rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto, lo smaltimento e il trattamento dei relativi rifiuti, nonché la bonifica delle aree interessate;

    anche la sola esecuzione dell'attività di censimento dei materiali contenenti amianto rappresenta un'attività rischiosa e delicata che richiede specifiche competenze; è, infatti, sufficiente una non corretta individuazione dei materiali, per compromettere l'adeguatezza e l'efficacia di tutte le azioni successive, tra le quali la messa in sicurezza, la valutazione del rischio, la bonifica, e lo smaltimento;

    il 21 aprile scorso è stata pubblicata la norma Uni 11903:2023, «Attività professionali non regolamentate – Addetto al censimento dei materiali contenenti amianto – Requisiti di conoscenza, abilità, autonomia e responsabilità»;

    la rimozione dell'eternit/amianto sui tetti, rappresenta oggi un'attività di particolare rilievo, funzionale in molti casi alla contestuale installazione di pannelli ad energia solare. In questo settore, strettamente attinente alla transizione ecologica, lo stesso PNRR ha previsto una linea di investimento apposita, nell'ambito della misura M2C1.2, con l'obiettivo di realizzare un Parco agrisolare,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, volta alla formazione di competenze professionali adeguate a garantire il corretto svolgimento delle attività di censimento dei materiali contenenti amianto, la conseguente valutazione del rischio e l'adozione delle misure di prevenzione e protezione idonee a salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
9/1238/73. Santillo, Ilaria Fontana, L'Abbate, Morfino, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 42, comma 3-bis del provvedimento in esame, introdotto in sede referente, prevede la proroga al 31 dicembre 2023 di alcune disposizioni in materia di lavoro agile (smart working), per il settore del lavoro privato, relative in particolare a genitori con figli di età inferiore a quattordici anni e a soggetti fragili;

   considerato che:

    dalla possibilità di usufruire del lavoro agile fino al 31 dicembre 2023, rimangono esclusi i lavoratori fragili, sia dipendenti pubblici che lavoratori privati, nonché i genitori e prestatori di assistenza cosiddetti caregiver, giacché tale diritto scadrà il prossimo 30 giugno;

    come evidenziato dalla direttiva UE 2019/1158, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare, occorre agevolare la conciliazione tra lavoro e vita familiare per i genitori e lavoratori con responsabilità di assistenza, attraverso il ricorso allo smart working nei confronti dei genitori con figli fino a 12 anni di età, e senza alcun limite di età se con figli disabili, e dei caregiver che assistono persone non autosufficienti;

   ritenuto che,

    è quanto mai necessario garantire alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica, così da evitare qualsiasi forma di discriminazione,

impegna il Governo

ad adottare, con sollecitudine, un provvedimento volto a rendere strutturale il ricorso al lavoro agile cosiddetto smart working, per tutti i lavoratori con disabilità che possono svolgere mansioni a distanza, nonché per i genitori con figli disabili gravi (a prescindere dall'età anagrafica del figlio) e per i cosiddetti caregivers conviventi con persone disabili non autosufficienti.
9/1238/74. L'Abbate, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 42, comma 3-bis del provvedimento in esame, introdotto in sede referente, prevede la proroga al 31 dicembre 2023 di alcune disposizioni in materia di lavoro agile (smart working), per il settore del lavoro privato, relative in particolare a genitori con figli di età inferiore a quattordici anni e a soggetti fragili;

   considerato che:

    dalla possibilità di usufruire del lavoro agile fino al 31 dicembre 2023, rimangono esclusi i lavoratori fragili, sia dipendenti pubblici che lavoratori privati, nonché i genitori e prestatori di assistenza cosiddetti caregiver, giacché tale diritto scadrà il prossimo 30 giugno;

    come evidenziato dalla direttiva UE 2019/1158, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare, occorre agevolare la conciliazione tra lavoro e vita familiare per i genitori e lavoratori con responsabilità di assistenza, attraverso il ricorso allo smart working nei confronti dei genitori con figli fino a 12 anni di età, e senza alcun limite di età se con figli disabili, e dei caregiver che assistono persone non autosufficienti;

   ritenuto che,

    è quanto mai necessario garantire alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica, così da evitare qualsiasi forma di discriminazione,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, nell'ambito di una complessa revisione dell'istituto del lavoro agile, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili e nel rispetto del principio dell'inclusione lavorativa delle persone con disabilità, di adottare iniziative volte a disciplinare il ricorso al lavoro agile cosiddetto smart working, per tutti i lavoratori con disabilità che possono svolgere mansioni a distanza, nonché per i genitori con figli disabili gravi (a prescindere dall'età anagrafica del figlio) e per i cosiddetti caregivers conviventi con persone disabili non autosufficienti.
9/1238/74. (Testo modificato nel corso della seduta)L'Abbate, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in titolo reca disposizioni urgenti per l'inclusione sociale;

    in particolare, l'articolo 2 delinea la platea dei beneficiari dell'Assegno per l'inclusione, individuando una serie di requisiti, il cui possesso consente l'accesso alla misura di sostegno al reddito;

   considerato che:

    tra i requisiti per l'accesso al beneficio devono concorrere – al momento della presentazione della richiesta e per tutta la durata di fruizione del beneficio – congiuntamente diverse condizioni, tra le quali rileva, in particolare, quello della residenza (comma 2);

    più nello specifico, il richiedente, deve, cumulativamente: al momento della presentazione della richiesta, essere residente in Italia per almeno cinque anni, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo (comma 2, lettera a), n. 2).Tali condizioni, inoltre, devono permanere per tutta la durata del beneficio;

    con riferimento al profilo della residenza in Italia, il comma 10 precisa che, ai soli fini del presente decreto, la continuità della residenza si intende interrotta nella ipotesi di assenza dal territorio italiano per un periodo pari o superiore a 2 mesi continuativi, ovvero nella ipotesi di assenza dal territorio italiano per un periodo pari o superiore a 4 mesi anche non continuativi nell'arco di 18 mesi;

    considerare interrotta la continuità della residenza in caso di assenza dal territorio per un periodo così breve potrebbe determinare effetti distorsivi e discriminatori nei confronti di quei soggetti stranieri già regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, che, tuttavia, possano avere l'esigenza di rientrare nel proprio territorio di origine temporaneamente, per esigenze familiari;

    al riguardo, appare utile rammentare quanto stabilito di recente dalla Corte costituzionale (sent. 77 del 2023), la quale, richiamando precedenti arresti di simile contenuto (n. 44 del 2020; n. 7 del 2021; n. 199 del 2022) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una legge regionale nella parte in cui prevede il requisito di residenza o attività lavorativa nella regione di almeno 5 anni per l'accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica;

    secondo il Giudice delle Leggi, «se la residenza costituisce un requisito ragionevole al fine d'identificare l'ente pubblico competente a erogare una certa prestazione, non è invece possibile che l'accesso alle prestazioni pubbliche sia escluso per il solo fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza»; che «il radicamento nel territorio nel passato non è garanzia di futura stabile permanenza in un determinato ambito territoriale»; che, comunque, la prospettiva di stabilità non può «assumere un'importanza tale da escludere il rilievo dello stato di bisogno, potendo semmai risultare più appropriato ai fini della formazione di graduatorie e criteri preferenziali»,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti dell'applicazione della disposizione esposta in premessa, relativamente al requisito della continuità della residenza nel territorio italiano, per escludere effetti penalizzanti e discriminatori nei confronti di quegli stranieri che, sebbene regolarmente stabiliti nel territorio, si assentino per un periodo superiore ai due mesi, allo scopo di visitare i propri affetti nel proprio Paese di origine, salvo poi tornare stabilmente in Italia.
9/1238/75. D'Orso, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in titolo reca disposizioni urgenti per l'inclusione sociale;

    in particolare, esso prevede l'istituzione dell'Assegno di inclusione, quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli, attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro;

    l'articolo 24 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, in materia di Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, riconosce alle lavoratrici dipendenti, vittime di violenza di genere, oltre al diritto ad un congedo per motivi connessi al percorso di protezione per un periodo massimo di tre mesi, il diritto a percepire altresì un'indennità durante il periodo di congedo, corrispondente all'ultima retribuzione erogata dall'INPS, oltre ad una serie di ulteriori garanzie;

    nell'alveo dei beneficiari dello strumento di sostegno previsto dal provvedimento in esame, tuttavia, non appaiono contemplate le donne lavoratrici autonome che abbiano subito violenza; né può dirsi applicabile a queste ultime l'indennità erogata dall'INPS per le lavoratrici dipendenti dal richiamato decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80;

    i più recenti casi di cronaca ci restituiscono una realtà sempre più allarmante, che impone un'attenzione maggiore da parte di questo Governo, per impedire che si verifichino nuovamente episodi di follia omicida a danno delle donne, attraverso interventi più efficienti ed efficaci, in un'ottica di maggiore prevenzione e deterrenza;

    secondo i dati forniti dal Viminale – dal report «Donne vittime di violenza» – aumentano i casi di omicidio nel 2022, con 319 persone uccise. Ma cresce ancora di più il numero delle vittime donne (125) con un +12 per cento rispetto al 2019. Anche in ambito familiare-affettivo, a una diminuzione dell'8 per cento degli omicidi commessi, corrisponde un aumento del 10 per cento di quelli con vittime di genere femminile. Preoccupante anche la crescita esponenziale dei casi di violenza sessuale, +91 per cento;

    il Dossier del Viminale dello scorso 15 agosto 2022, ha riportato un trend decisamente in peggioramento rispetto all'anno precedente: sono state infatti uccise 125 donne (nei 12 mesi precedenti erano state 108), in media più di una ogni 3 giorni: 108 omicidi sono stati compiuti in ambito familiare o affettivo, e ben 68 donne sono state uccise da un partner o ex partner. Sono donne, inoltre, il 39,2 per cento del totale delle vittime di omicidio volontario;

    appare opportuno, al fine di non creare ulteriori discriminazioni tra le tutele riconosciute alle lavoratrici dipendenti e a coloro che svolgono un'attività di carattere autonomo, garantire a tutte le donne pari diritti, individuando uno strumento che equivalga ad una indennità anche alle lavoratrici autonome, per le quali, in caso di violenza, risulterebbe anche psicologicamente più difficile riprendere il normale svolgimento dell'attività lavorativa,

impegna il Governo

in occasione dell'adozione di provvedimenti successivi idonei allo scopo, ad introdurre uno strumento di sostegno economico a favore delle lavoratrici autonome che abbiano subito violenza, che produca effetti simili all'assegno di inclusione, per un periodo non superiore ai tre mesi.
9/1238/76. Cafiero De Raho, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino, Fornaro, Dell'Olio, Piccolotti.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in titolo reca disposizioni urgenti per l'inclusione sociale;

    in particolare, l'articolo 26 introduce semplificazioni in materia di informazioni e di obblighi di pubblicazione in merito al rapporto di lavoro, che devono essere adempiuti dal datore di lavoro o dal committente in favore dei lavoratori;

    per effetto delle modifiche proposte agli articoli 1 e 1-bis del decreto legislativo n. 152 del 1997, l'onere informativo del datore di lavoro relativo alla comunicazione di determinati elementi del rapporto di lavoro può ritenersi assolto con l'indicazione del riferimento normativo o della contrattazione collettiva, anche aziendale, che ne disciplina le materie;

    trattasi, nella specie, degli elementi relativi: alla durata del periodo di prova, del congedo per ferie nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore; al diritto dei lavoratori a ricevere la formazione; alla procedura, alla forma e ai termini del preavviso in caso di recesso del datore di lavoro o del lavoratore; all'importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l'indicazione del periodo e delle modalità di pagamento; se il contratto di lavoro prevede un'organizzazione dell'orario di lavoro in tutto o in parte prevedibile, alla programmazione dell'orario normale e straordinario di lavoro, compresi i cambiamenti di turno, e alla sua retribuzione; se il rapporto di lavoro non prevede un orario normale di lavoro programmato, alle informazioni riguardanti la variabilità della programmazione del lavoro, l'ammontare minimo delle ore retribuite garantite, la retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantite, le ore e i giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative, il periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell'inizio della prestazione lavorativa e, ove ciò sia stato pattuito, il termine entro cui il datore di lavoro può annullare l'incarico; agli enti e agli istituti che ricevono i contributi previdenziali ed assicurativi dovuti dal datore di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso;

    [ai fini della semplificazione di tutti gli adempimenti informativi cui è tenuto il datore di lavoro ai sensi del richiamato articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 1997, il datore di lavoro è tenuto a consegnare o a mettere a disposizione del personale, anche mediante pubblicazione sul sito web, i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali, nonché gli eventuali regolamenti aziendali applicabili al rapporto di lavoro (comma 1, lett. b))];

    la suddetta previsione è stata oggetto di modifica in sede referente al Senato, ove è stato precisato che tale semplificazione non opera relativamente alle informazioni riguardanti il rapporto di lavoro caratterizzato da modalità organizzative in gran parte o interamente imprevedibili che non prevede un orario normale di lavoro programmato (di cui alla lettera p) dell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 1997;

    in questi casi, tale onere continua dunque ad essere assolto mediante la consegna al lavoratore, alternativamente, del contratto individuale di lavoro redatto per iscritto o della copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro resa all'ispettorato del lavoro in base alla normativa vigente (comma 1, lettera a));

    le richiamate modifiche introdotte relative alla eliminazione di alcuni obblighi informativi che vengono – per effetto dell'intervento normativo – affidati alla contrattazione collettiva e sottratti alla responsabilità di informativa dei singoli datori di lavoro è un arretramento non condivisibile;

    le medesime informazioni non possono essere fornite in modo altrettanto adeguato dalla contrattazione collettiva, in quanto non possono che attenere al contratto individuale;

    sotto altro profilo, per quanto riguarda l'obbligo di informazione gravante sul datore di lavoro o il committente pubblico e privato relativo all'utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio nella gestione del rapporto di lavoro, il provvedimento in esame specifica che tale obbligo sussiste quando i predetti sistemi siano integralmente automatizzati. Ad ogni modo, tali obblighi non si applicano ai sistemi protetti da segreto industriale e commerciale;

    anche la testé richiamata modifica normativa che impone gli obblighi informativi solo in presenza di sistemi «integralmente» automatizzati e specifica che tali obblighi non si applicano ai sistemi protetti da segreto industriale e commerciale desta preoccupazione. Tali obblighi erano stati introdotti con il cosiddetto Decreto Trasparenza n. 104 del 2022, in fase di recepimento della Direttiva Europea sulle condizioni di lavoro eque, trasparenti e prevedibili e aprivano nella direzione della trasparenza obbligatoria nel caso di utilizzo di sistemi di monitoraggio automatizzati, attribuendo una valenza importante al concetto di trasparenza algoritmica, fermi restando i vincoli dell'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. La norma aveva permesso l'avvio anche di contestazioni per inadempimenti, come avvenuto per il ricorso contro Uber Eats Italy;

    le novità introdotte dal provvedimento descritto in premessa rappresenta un rilevante passo indietro in termini di garanzie dei diritti dei lavoratori, rispetto ad una realtà in cui, invece, è sempre più diffuso l'utilizzo di sistemi algoritmici e l'Europa stessa si muove per rendere la trasparenza l'elemento cardine del loro utilizzo,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti dell'applicazione delle disposizioni esposte in premessa, relativamente agli obblighi informativi in capo al datore di lavoro, per verificare che l'intento di semplificazione introdotto dal provvedimento in esame non si traduca in un allentamento dei presidi nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti di interesse, sotto il profilo della trasparenza.
9/1238/77. Giuliano, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in titolo reca disposizioni urgenti per l'inclusione sociale;

    in particolare, esso prevede l'istituzione dell'Assegno di inclusione, quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli, attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro;

    l'endometriosi è una patologia dell'età riproduttiva, che può esordire già dalla prima mestruazione ed accompagnare la donna fino alla menopausa. Attualmente almeno 190 milioni di persone nel mondo sono affette dalla malattia durante l'età fertile, sebbene alcune di esse possano soffrirne anche oltre la menopausa;

    in Italia è affetto da endometriosi circa il 10-15 per cento delle donne in età riproduttiva e nel 30-50 per cento dei casi si associa ad infertilità;

    l'endometriosi è identificata come malattia invalidante e può causare l'inabilità allo svolgimento delle attività di vita quotidiane;

    la patologia influisce negativamente sull'attività lavorativa in quanto, durante le mestruazioni, spesso si è impossibilitati a recarsi sul luogo di lavoro o si è costretti ad allontanarsi a causa del dolore insopportabile;

    al fine di garantire il diritto alla salute dei soggetti affetti da endometriosi (dal primo al quarto stadio), in attuazione del principio di cui all'articolo 32 della Costituzione, nonché di promuovere la loro piena integrazione anche nel lavoro,

impegna il Governo

a garantire maggiori tutele lavorative alle donne affette dalla patologia, in particolare attraverso il riconoscimento del congedo mestruale per dismenorrea, la previsione di specifici accordi con le associazioni imprenditoriali per favorire l'accesso al telelavoro e al lavoro agile o a forme di lavoro maggiormente compatibili con la loro condizione di salute psicofisica, il diritto di usufruire dei permessi retribuiti previsti dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, nel caso in cui la persona assistita non sia più idonea all'attività lavorativa, l'inserimento del ginecologo specializzato in endometriosi nella commissione medico-legale INPS.
9/1238/78. Ascari, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto dispone, tra le altre previsioni normative, l'abrogazione dell'istituto del reddito di cittadinanza a decorrere dal 1° gennaio 2024, con conseguente drastica riduzione delle tutele assicurate dalle misure per il contrasto alla povertà;

    ogni Stato europeo prevede un «reddito di cittadinanza»: ogni cittadino che si trovi in condizioni di indigenza o comunque al di sotto di una determinata soglia ha diritto ad un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura, cui fa da contraltare il compimento di ogni sforzo, da parte del beneficiario e da parte delle istituzioni pubbliche, per uscirne;

    nel nostro Paese con lo smantellamento «del reddito di cittadinanza, si cancella il diritto di ogni cittadino – quali che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro – a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei, e l'Italia diventerà l'unico a non prevederlo più»;

    l'abolizione del reddito di cittadinanza si inserisce nel contesto preoccupante dei cd. working poor – lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa, un fenomeno drammaticamente in crescita nel nostro Paese, così come è crescente la distanza che li separa dal resto dei lavoratori dell'Unione europea;

    secondo quanto riferito dal rapporto Eurostat «In-work poverty in the EU», in Italia circa l'11,7 per cento dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, dato ben al di sopra della media dell'Unione europea, che si attesta al 9,6 per cento;

    tra i «goals» dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sono ricompresi anche gli obiettivi di «Sconfiggere la povertà» e quello di un assicurare un «Lavoro dignitoso e crescita economica»;

    la garanzia di una retribuzione dignitosa e adeguata per tutti i lavoratori favorirebbe senz'altro la realizzazione di un mercato del lavoro più inclusivo, equo e paritario, abbattendo le disuguaglianze, anche in termini di divario retributivo di genere (gender pay gap),

impegna il Governo

ad adottare con urgenza tutte le misure – anche normative – necessarie ad assicurare, in mancanza delle tutele garantite dal Reddito di cittadinanza (RdC), conseguente alla sua abolizione, uno stile di vita dignitoso a coloro che, pur essendo titolari di un rapporto di lavoro, percepiscono un trattamento economico che non consente loro di superare la soglia di povertà.
9/1238/79. Bruno, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto dispone, tra le altre previsioni normative, l'abrogazione dell'istituto del reddito di cittadinanza a decorrere dal 1° gennaio 2024, con conseguente drastica riduzione delle tutele assicurate dalle misure per il contrasto alla povertà;

    nel nostro Paese con lo smantellamento del reddito di cittadinanza si cancella il diritto di ogni cittadino – quali che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro – a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei, e l'Italia diventerà l'unico a non prevederlo più;

    l'abolizione del reddito di cittadinanza si inserisce in un quadro preoccupante che vede a carico del nostro Paese l'apertura di una serie di procedure di infrazione per mancato corretto recepimento di norme europee in materia di lavoro;

    in particolare, la Commissione Ue ha di recente avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per non aver pienamente recepito la direttiva comunitaria sui lavoratori stagionali, volta ad assicurare condizioni di vita e di lavoro dignitose, pari diritti e una tutela sufficiente dallo sfruttamento. A questa procedura si aggiungono poi i rilievi di Bruxelles in merito alle condizioni di lavoro discriminatorie nel settore pubblico e all'abuso dei contratti a tempo determinato, che sta peraltro mettendo a rischio l'esecuzione nei tempi previsti dei progetti del PNRR;

    secondo le valutazioni della Commissione europea, la normativa italiana «non previene né sanziona in misura sufficiente l'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico», inclusi «insegnanti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole pubbliche, operatori sanitari, lavoratori del settore dell'educazione artistica, musicale e coreutica superiore, personale dell'opera, personale degli istituti pubblici di ricerca, operatori forestali e personale volontario del corpo nazionale dei vigili del fuoco brigata»;

    alcuni di questi lavoratori avrebbero anche condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, il che costituisce una discriminazione ed è contrario al diritto dell'Ue,

impegna il Governo

ad adottare con urgenza tutte le misure – anche normative – necessarie a contrastare il lavoro precario, limitando proroghe e rinnovi di contratti a termine e incentivando economicamente le stabilizzazioni con investimenti in capitale umano, soprattutto per le assunzioni di giovani.
9/1238/80. Scerra, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto dispone, tra le altre previsioni normative, l'abrogazione dell'istituto del Reddito di cittadinanza a decorrere dal 1° gennaio 2024, con conseguente drastica riduzione delle tutele assicurate dalle misure per il contrasto alla povertà;

    ogni Stato europeo prevede un «reddito di cittadinanza», pur diversamente denominato, ogni cittadino che si trovi in condizioni di indigenza o comunque al di sotto di una determinata soglia ha diritto ad un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura, cui fa da contraltare il compimento di ogni sforzo, da parte del beneficiario e da parte delle istituzioni pubbliche, per uscirne;

    nel nostro Paese con lo smantellamento del reddito di cittadinanza, si cancella il diritto di ogni cittadino – quali che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro – a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei, e l'Italia diventerà l'unico a non prevederlo più;

    tale previsione si inserisce nel contesto preoccupante dei cosiddetti working poor – lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa, un fenomeno drammaticamente in crescita nel nostro Paese, così come è crescente la distanza che li separa dal resto dei lavoratori dell'Unione europea;

    tra i «goals» dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sono ricompresi anche gli obiettivi di «Sconfiggere la povertà» e quello di un assicurare un «Lavoro dignitoso e crescita economica»;

    tra le fasce della popolazione maggiormente colpite dal fenomeno del lavoro povero ci sono le donne, il cui lavoro è troppo spesso sottovalutato e sottopagato e che scontano nel nostro Paese, a parità di lavoro, un divario retributivo di genere tra i più alti in Europa;

    il principio della parità di retribuzione è sancito dall'articolo 157 TFUE. Nonostante ciò, in tutta l'Unione europea il divario retributivo di genere persiste e si attesta intorno al 13 per cento e negli ultimi dieci anni è diminuito solo in minima misura;

    la garanzia di una retribuzione dignitosa e adeguata per tutti i lavoratori favorirebbe senz'altro la realizzazione di un mercato del lavoro più inclusivo, equo e paritario, abbattendo le disuguaglianze, anche in termini di divario retributivo di genere (gender pay gap),

impegna il Governo

ad assumere con urgenza, tutte le iniziative, anche normative finalizzate – nell'ottica della strategia europea volta all'uguaglianza di genere – alla riduzione del gender pay gap, comprese quelle mirate alla trasparenza salariale, affinché non sia mai più tollerato alcun tipo di discriminazione retributiva di genere.
9/1238/81. Scutellà, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento all'esame, all'articolo 17, commi 4 e 5, integra la vigente disciplina relativa ai percorsi in alternanza scuola-lavoro, ridenominati percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento (PCTO) dall'articolo 1, comma 784 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019);

    in particolare, il comma 4 stabilisce che la progettazione di tali percorsi debba essere coerente con il piano triennale dell'offerta formativa e con il profilo culturale, educativo e professionale in uscita dei singoli indirizzi di studio offerti dalle istituzioni scolastiche;

    in merito a ciò, si impone alle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione di individuare, nell'ambito dell'organico dell'autonomia e avvalendosi delle risorse disponibili a legislazione vigente, il docente coordinatore di progettazione;

    tale figura, così come annunciato dal Ministro Valditara il 15 maggio 2023, in occasione della quarta puntata della video rubrica «Il Ministro risponde», avrà la responsabilità di coordinare i vari profili educativi dei singoli indirizzi scolastici affinché il percorso scelto sia coerente con le esigenze dello studente;

    tale responsabilità non è, però, accompagnata da un adeguato incremento di risorse che dovrebbero essere conseguenti all'introduzione di una nuova funzione per il docente designato, il quale dovrà dedicare ulteriore tempo ed energie per espletare al meglio il nuovo compito;

    la relazione tecnica fornita dal Governo prevede che la nuova figura dei docenti coordinatori di progettazione venga remunerata a valere delle risorse del Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa, che è assegnato ogni anno a ciascuna istituzione scolastica;

    va evidenziato, tuttavia, che in tal modo si provvede a coprire l'onere per una figura di nuova istituzione, non presente dunque al momento dell'approvazione della legge di bilancio 2023, attraverso delle risorse già stanziate a legislazione vigente;

    a tal fine, bisognerebbe fornire un quadro di sintesi degli emolumenti medi annui lordi ipotizzabili per tali funzioni a titolo di compensi per l'incarico, nonché una quantificazione della platea prevista, al fine di dimostrare la compatibilità tra l'onere previsto e le risorse disponibili nel Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa;

    è infatti ormai nota la difficoltà degli istituti scolastici nel far fronte alle nuove funzioni richieste ai docenti senza la previsione di un aumento delle risorse umane ed economiche necessarie al loro efficace espletamento,

impegna il Governo:

   a verificare la compatibilità delle risorse disponibili nel Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa con la spesa prevista per l'istituzione della figura del docente coordinatore di progettazione dei percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento (PCTO);

   ad adottare tutte le iniziative necessarie atte a reperire le ulteriori risorse finalizzate a garantire un'adeguata retribuzione per l'espletamento di tali attività.
9/1238/82. Cherchi, Caso, Amato, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento all'esame, ai commi 4 e 5 dell'articolo 17, integra la vigente disciplina relativa ai percorsi in alternanza scuola-lavoro, ridenominati percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento (PCTO) dall'articolo 1, comma 784 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019);

    in particolare, il comma 4 stabilisce che la progettazione di tali percorsi debba essere coerente con il piano triennale dell'offerta formativa e con il profilo culturale, educativo e professionale in uscita dei singoli indirizzi di studio offerti dalle istituzioni scolastiche;

    sempre il comma 4 citato prevede l'integrazione del documento di valutazione dei rischi (DVR) da parte delle imprese iscritte nel registro nazionale per l'alternanza con un'apposita sezione con l'indicazione delle misure specifiche di prevenzione dei rischi e dei dispositivi di protezione individuale (DPI) da adottare per gli studenti nei PCTO (nuovo comma 784-quater); per effetto di una modificazione apportata dal Senato, si specifica che la sezione integrativa del DVR deve indicare altresì «ogni altro segno distintivo utile ad identificare gli studenti»;

    secondo le linee guida adottate dal Ministero dell'istruzione e del merito ai sensi dell'articolo 1, comma 785 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, gli studenti durante i PCTO acquisiscono lo status di lavoratori e, pertanto, sono soggetti, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 agli adempimenti previsti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro che si traducono, in particolare, nella frequentazione di un corso di formazione in materia di sicurezza e cultura della prevenzione nella scuola;

    inoltre, la Carta dei diritti e dei doveri emanata ai sensi dell'articolo 1, comma 37, della legge 13 luglio 2015, n. 107 prevede che gli studenti ricevano una formazione generale preventiva, non inferiore a 4 ore, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e una formazione specifica all'ingresso nell'eventuale struttura ospitante;

    tuttavia, molti studenti lamentano una trascuratezza negli aspetti relativi alla sicurezza e la carenza di adeguate misure in materia di assicurazione e prevenzione antinfortunistica;

    in particolare, dichiarano di essersi presentati sul luogo di lavoro senza aver svolto il corso apposito sulla sicurezza erogato online dal Ministero dell'istruzione e del merito e senza aver beneficiato di ulteriori approfondimenti sul luogo di lavoro;

    lo sviluppo di una vera cultura della prevenzione va dunque promossa a partire dai banchi di scuola, attraverso azioni mirate di formazione, informazione e sensibilizzazione,

impegna il Governo

ad implementare adeguatamente le misure in materia di prevenzione antinfortunistica e ad adottare tutte le iniziative necessarie affinché i corsi di formazione sull'educazione alla sicurezza e ai diritti e doveri degli studenti-lavoratori vengano obbligatoriamente frequentati dagli studenti prima di attivare un percorso per le competenze trasversali e per l'orientamento (PCTO).
9/1238/83. Amato, Cherchi, Caso, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 24 del provvedimento all'esame interviene in materia di contratti di lavoro dipendente a termine e somministrazioni di lavoro;

    si evidenzia che il part time ciclico verticale, definibile anche come orario multi-periodale, si distingue dagli altri contratti di lavoro a tempo parziale verticale per il fatto che l'orario di lavoro dei dipendenti è articolato su base annua anziché su base settimanale; dunque le lavoratrici e i lavoratori, pur se assunti a tempo indeterminato, prestano attività soltanto in alcuni mesi dell'anno a seconda delle esigenze dei datori di lavoro, mentre nei restanti periodi rimangono inattivi, anche se il loro contratto di lavoro rimane ancora in essere a tempo indeterminato;

    tale particolare tipologia contrattuale è utilizzata con una certa frequenza, ad esempio, dalle società appaltatrici operanti nel settore della ristorazione scolastica, per evitare di retribuire i mesi estivi durante i quali il servizio di mensa è temporaneamente sospeso e così risparmiare sul costo del lavoro;

    nei mesi di inattività, però, lavoratrici e lavoratori, oltre a non percepire la retribuzione, sono del tutto privi di sostegno al reddito, in quanto risultano occupati, anche se la loro prestazione lavorativa di fatto non è erogata. Non compete loro, quindi, alcuna forma di cassa integrazione, posto che nei mesi di inattività non si è in presenza di una sospensione o di una riduzione di orario (già programmata a zero ore nel contratto individuale di lavoro), né compete loro la nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego (NASpI) in quanto, almeno formalmente, il loro stato di disoccupazione non è involontario, bensì predeterminato ex ante in un contratto di assunzione volontariamente sottoscritto (anche se l'adesione a tale tipologia contrattuale non è quasi mai frutto di una libera scelta, quanto piuttosto determinata dalla necessità di reperire un'occupazione a condizioni non negoziabili);

    una prima tutela della condizione di queste lavoratrici e di questi lavoratori è venuta dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che ha incluso i periodi non lavorati nell'anzianità contributiva utile per accedere al trattamento pensionistico. Questo diritto è stato riconosciuto dalla nostra giurisprudenza di legittimità in applicazione del principio generale di parità di trattamento tra dipendenti a tempo pieno e dipendenti a tempo parziale, principio non solo affermato dal nostro ordinamento interno ma anche dal diritto europeo;

    tuttavia la suddetta tutela è del tutto insufficiente, posto che: 1) da una lato, i contributi annui complessivi versati vengono semplicemente «spalmati» sull'intero anno e non invece riconosciuti, sia pure figurativamente, per i periodi non lavorati, e quindi valgono per la data di accesso alla pensione ma non incidono sul suo ammontare; 2) dall'altro, rimane a monte del tutto irrisolto il problema della copertura reddituale per i periodi di inattività, mediante un ammortizzatore sociale che perlomeno riduca lo stato di disagio economico e sociale di una fascia di manodopera retribuita con salari medi a livelli tali da non riuscire a garantire una vita libera e dignitosa;

    con l'articolo 2-bis, inserito in sede di conversione in legge del Decreto Aiuti n. 50 2022, si è provato a dare sostegno ai lavoratori con part time ciclico verticale attraverso l'erogazione di una indennità Una Tantum di importo pari a 550 euro, per l'anno 2022;

    la politica dei «bonus» risponde essenzialmente a logiche emergenziali, come è accaduto nel periodo della pandemia, mentre per l'annosa problematica del part time ciclico verticale vanno trovate soluzioni strutturali che diano serenità e dignità ai lavoratori,

impegna il Governo

a prevedere, nel prossimo provvedimento utile, il riconoscimento della NASpI anche alle lavoratrici e ai lavoratori titolari di un contratto di lavoro a tempo parziale ciclico verticale che preveda periodi di lavoro non interamente lavorati.
9/1238/84. Caso, Cherchi, Amato, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 31 reca misure inerenti le attività liquidatorie dell'Alitalia;

    il settore del trasporto aereo rappresenta una modalità di trasporto cruciale per il nostro Paese, anche per la conformazione geografica dello stesso;

    il trasporto aereo è inoltre un settore di importanza strategica per lo sviluppo economico e sociale perché contribuisce ad aumentare il traffico di passeggeri e merci e quindi la competitività del Paese e garantisce ai cittadini il diritto alla mobilità in tutto il mondo, previsto costituzionalmente anche in ambito europeo;

    tra le attività istituzionali di cui si occupa il Ministero in questo ambito c'è la sottoscrizione ogni tre anni degli accordi di programma tra lo Stato e l'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile (ENAC) e lo Stato e la società ENAV S.p.A. (Ente Nazionale di Assistenza al Volo);

    a gennaio 2022 l'ENAC ha comunicato l'avvio dei lavori per la revisione del Piano Nazionale Aeroporti, a seguito del mandato ricevuto dal Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS) per la revisione del precedente Piano del 2015;

    la bozza di piano è stata predisposta dall'ENAC e posta in consultazione il 19 ottobre 2022, fino al 21 novembre 2022;

    la bozza del Piano Nazionale Aeroporti (PNA), è un documento di indirizzo per lo sviluppo del trasporto aereo e del sistema aeroportuale, che disegna il perimetro dell'aviazione civile fino al 2035, in linea con le tematiche di sostenibilità ambientale, digitalizzazione e innovazione tecnologica previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR),

impegna il Governo

a provvedere con urgenza all'adozione del Piano Nazionale Aeroporti dando particolare rilievo alle proposte presentate dall'ENAC, al fine di valorizzare le risorse previste dal PNRR, al fine anche di aumentare gli occupati nel settore aeroportuale.
9/1238/85. Cantone, Iaria, Fede, Traversi, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 35, prevede l'esonero dal versamento del contributo per il funzionamento dell'autorità di regolazione dei trasporti da parte delle imprese dell'autotrasporto;

    l'Autorità di regolazione nel settore dei trasporti è stata istituita dall'articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 come modificato dall'articolo 36 del successivo decreto-legge n. 1 del 2012;

    essa è competente nel settore dei trasporti e dell'accesso alle relative infrastrutture. Tra i suoi compiti rientrano anche la definizione delle condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto e dei contenuti minimi dei diritti degli utenti nei confronti dei gestori dei servizi e delle infrastrutture di trasporto;

   considerato che:

    all'articolo 35, comma 1, il Governo ammette che le misure poste in essere per mitigare gli effetti derivanti dagli aumenti di carburante sia necessario l'esonero dal contributo dovuto per il finanziamento dell'autorità di regolazione dei trasporti,

impegna il Governo

al fine di mitigare gli effetti economici derivanti dagli aumenti eccezionali dei prezzi dei carburanti e dei prodotti energetici, per l'esercizio finanziario 2023, ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che le imprese del settore portuale titolari di concessioni demaniali marittime rilasciate ai sensi degli articoli 16 e 18 della legge 28 gennaio 1994 o per la gestione di stazioni marittime e servizi di supporto a passeggeri, non siano tenute al versamento del contributo per il funzionamento dell'autorità di regolazione dei trasporti.
9/1238/86. Traversi, Iaria, Cantone, Fede, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 35, prevede l'esonero dal versamento del contributo per il funzionamento dell'autorità di regolazione dei trasporti da parte delle imprese dell'autotrasporto;

    la patente professionale consente di guidare automezzi non inclusi nella categoria B. La patente C permette di condurre macchine operatrici eccezionali e autoveicoli destinati al trasporto di cose e di merci la cui massa complessiva, a pieno carico, sia superiore alle 3,5 tonnellate;

    i costi per l'ottenimento della patente professionale – circa mille euro – nonché i tempi per averla sono divenuti nel tempo insostenibili. Per questa ragione, attraverso il decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 era stato previsto il cosiddetto bonus patenti;

    la misura, ritenuta efficace è stata poi reintrodotta con modifiche dall'articolo 10, commi da 3-terdecies a 3-quinquies del Decreto Milleproroghe, gestito dal MIT di concerto con le partecipate SOGEI e CONSAP ed è operativo da febbraio 2023 con l'avvio della piattaforma apposita utile all'adesione di autoscuole e utenti,

impegna il Governo

a sostenere gli autisti e conducenti professionali di mezzi pesanti rendendo detraibili i costi e le spese documentate per il conseguimento della patente, dei titoli professionali e delle abilitazioni professionali (CQC) per la guida dei veicoli destinati all'esercizio dell'attività di autotrasporto di persone e di merci nonché per la partecipazione agli esami, per la frequenza ai corsi obbligatori di aggiornamento e formazione iniziale e periodica finalizzati al rinnovo e al conseguimento delle certificazioni obbligatorie CQC.
9/1238/87. Fede, Iaria, Cantone, Traversi, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il settore del trasporto collettivo di persone mediante noleggio con conducente di cui alla legge 11 agosto 2003, n. 218, conta nel suo complesso un totale di circa 3.800 imprese, 22 mila posti di lavoro, altrettanti bus che viaggiano sulle strade e autostrade italiane ed estere, che genera 2.5 miliardi annui di fatturato, 1.7 miliardi di chilometri percorsi ogni anno, 450 milioni di litri di carburante consumato nonché 100 milioni di euro di ticket bus versati direttamente ai comuni;

    il volume dell'attività del settore nell'ultimo periodo è cresciuto ma la carenza di personale viaggiante che colpisce tale categoria, stimata nell'ordine delle 6700 unità, non permette alle aziende di offrire per qualità e quantità il servizio che vorrebbero;

    le imprese di bus turistici oggi si ritrovano a vivere il paradosso di non riuscire a garantire tutti i servizi di cui l'utenza avrebbe necessità e al contempo di dover lasciare parcheggiati i propri mezzi nelle rimesse per la mancanza di autisti,

impegna il Governo

a prevedere interventi volti a contrastare la carenza di autisti di bus turistici delle imprese operanti nel settore del trasporto collettivo di persone mediante noleggio con conducente di cui alla legge 11 agosto 2003, n. 218.
9/1238/88. Iaria, Fede, Traversi, Cantone, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 35, prevede l'esonero dal versamento del contributo per il funzionamento dell'autorità di regolazione dei trasporti da parte delle imprese dell'autotrasporto;

    il settore è stato fortemente riformato da una serie di disposizioni europee nell'ambito del pacchetto mobilità. Di particolare interesse il regolamento (UE) 2020/1054 sui tempi di guida e riposo dei conducenti e sul tachigrafo digitale;

    il monitoraggio corretto delle ore di guida e dei periodi di riposo dei conducenti di mezzi pesanti è fondamentale per una efficace gestione della flotta, nonché per aumentare la sicurezza sul lavoro e su strada e garantire un ambiente lavorativo regolato in modo uniforme;

    la moderna tecnologia mette a disposizione strumenti sofisticati ed efficienti per la gestione delle risorse umane da qualsiasi luogo e in qualunque momento; gli organi di vigilanza hanno già approvato diversi sistemi digitali per la rilevazione delle presenze, software personalizzabili e progettati per fornire ottime prestazioni;

    l'utilizzo scorretto del tachigrafo digitale installato sui veicoli pesanti è una conseguenza della sua mancata equiparazione ad altri strumenti di rilevazione presenze dei conducenti, che ne permettano una rilevazione certa degli impegni da retribuire per la reale prestazione lavorativa;

    l'alterazione del tachigrafo digitale è da una parte un modo per far lavorare di più il camionista contenendo i costi, dall'altro è un espediente rischioso perché mette in pericolo le prestazioni e la vita del camionista stesso. Sempre più frequenti sono i casi di denunce in seguito a controlli che riscontrano la manomissione dei tachigrafi;

    poiché i numeri della oramai consueta e triste strage delle morti in strada sono noti: secondo quanto riferisce la Polizia Stradale, Specialità della Polizia di Stato, analizzando le attività svolte nel corso dell'anno 2022, sulle strade italiane, sono stati segnalati 1.362 incidenti mortali con un totale di 1.489 decessi, in aumento rispettivamente del 7,8 per cento e dell'11,1 per cento rispetto al 2021;

    alla luce di tale strage, si noti che quanto riportato in merito all'alterazione del tachigrafo digitale non solo costituisce reato, ma è contrario alla sicurezza stradale, fondamentale per tutti coloro che viaggiano su 2 e 4 ruote, ma anche per i pedoni,

impegna il Governo

ad equiparare il tachigrafo digitale al rilevatore di presenze, nonché ad adottare ogni iniziativa utile affinché, in attuazione dei regolamenti (CE) n. 561/2006, (UE) n. 165/2014 e della direttiva 2022/15/CE relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, gli organi preposti al rispetto dei periodi di guida e riposo ed al corretto uso del tachigrafo nel settore dell'autotrasporto siano gli organi delle forze di polizia di cui all'articolo 16, della legge 1° aprile 1981, n. 121.
9/1238/89. Carotenuto, Aiello, Barzotti, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

   considerato che:

    con riferimento non solo al Capo I, relativo a nuove misure di inclusione sociale e lavorativa, il provvedimento in esame innova profondamente la disciplina in materia di inclusione sociale e accesso al mondo del lavoro, continuando a riconoscere ad ANPAL numerosi compiti di notevole rilevanza;

    in particolare, l'articolo 4 prevede l'istituzione dell'Assegno di inclusione (Adi), indicandone la natura, le finalità e la relativa decorrenza e, in tale ambito, molti e diversi sono i compiti attribuiti ad ANPAL e, secondo quanto ivi previsto, si precisa che ANPAL svolge, tra gli altri, i seguenti compiti: recepisce dalle Regioni gli elenchi dei soggetti che non rispettano l'obbligo di frequenza ai fini della percezione del Reddito di cittadinanza (RdC); autorizza le cosiddette agenzie per il lavoro ovvero operatori per l'offerta di servizi di incontro tra domanda e offerta di lavoro, iscritti ad apposito Albo; gestisce la cosiddetta procedura di accreditamento mediante la quale l'ANPAL, insieme a Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, riconosce a un operatore, pubblico o privato, l'idoneità ad erogare servizi per il lavoro, nonché la partecipazione attiva alla rete dei servizi per le politiche del lavoro; è sentita, insieme al Garante per la protezione dei dati personali, ai fini dell'azione di uno o più decreti del Ministro del lavoro, previa intesa in sede di Conferenza unificata, per la previsione delle modalità di richiesta della misura di Adi, di sottoscrizione del patto di attivazione digitale, del patto di inclusione e del patto di servizio personalizzato;

    in virtù di quanto poi previsto all'articolo 5 del provvedimento in esame, ANPAL è ancora soggetto coinvolto nell'ambito della predisposizione di un piano tecnico di attivazione e interoperabilità delle piattaforme per il Sistema informativo per l'inclusione sociale e lavorativa (SIISL);

    altresì con riguardo all'istituendo Osservatorio sulle povertà, nonché coordinamento, monitoraggio e valutazione dell'Adl e del Supporto per la formazione e il lavoro, l'articolo 11 prevede che l'ANPAL sia sentita per l'annuale predisposizione degli interventi da parte del Ministero del lavoro;

    rispetto all'articolo 12 del provvedimento in esame che istituisce, dal 1° settembre 2023, il Supporto per la formazione e il lavoro (SpFL), si prevede ancora che il Ministro del lavoro, sentita ANPAL, adotti un decreto di individuazione delle misure per il coinvolgimento, nei percorsi formativi e di attivazione lavorativa, dei soggetti accreditati ai servizi per il lavoro e alla formazione e la loro remunerazione, nonché per il monitoraggio della misura, ancora anche con il coinvolgimento di ANPAL e Anpal Servizi S.p.A. (comma 11). Stesso coinvolgimento di ANPAL è previsto per la definizione delle modalità di trasmissione delle liste di disponibilità dei beneficiari del SpFL – nonché dell'Adi, della NASPI e di eventuali altre forme di sussidio o di misure per l'inclusione attiva (comma 13);

    all'articolo 27 del provvedimento in esame che riconosce un incentivo ai datori di lavoro privati per le nuove assunzioni, si autorizza altresì l'ANPAL a riprogrammare le misure relative agli incentivi riconosciuti dalla normativa vigente per le assunzioni effettuate nel biennio 2021-2022 di giovani e donne e per quelle effettuate nel medesimo biennio nelle regioni del Sud, in relazione al mancato assorbimento da parte di tali misure delle risorse ad esse assegnate. In particolare, la ripartizione regionale delle risorse previste a sostegno della misura richiamata è demandata ad apposito decreto adottato da ANPAL (comma 5-bis, lett. a)),

impegna il Governo

al fine di garantire l'efficace coordinamento dei servizi e delle politiche attive del lavoro, incluso quello relativo all'utilizzo delle risorse europee e all'effettivo raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), a garantire la continuità di ANPAL, a tal fine individuando le modalità più idonee a valorizzare la sua preziosa attività e l'expertise raggiunto.
9/1238/90. Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

   considerato che:

    l'articolo 28-bis – inserito dal Senato – e il comma 3 – anch'esso inserito dal Senato – dell'articolo 42, sulla scia di proposte emendative M5S, recano proroghe di alcune norme transitorie in materia di lavoro agile. In particolare, l'articolo 28-bis proroga dal 30 giugno 2023 al 30 settembre 2023 la norma transitoria sul diritto al ricorso al suddetto istituto da parte dei dipendenti, pubblici e privati, rientranti nelle situazioni di fragilità di cui al decreto ministeriale 4 febbraio 2022;

    il comma 3-bis dell'articolo 42 invece proroga dal 30 giugno 2023 al 31 dicembre 2023 altre disposizioni transitorie, relative sia al diritto di alcune categorie di lavoratori al ricorso a tale istituto sia alla possibilità di svolgimento della prestazione in modalità agile anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente;

   valutato che:

    l'odierna conformazione del mercato del lavoro rende quantomai necessario il ricorso a modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non in presenza, genericamente ricondotte al lavoro agile, finora oggetto di limitate sperimentazioni e timidi tentativi di attuazione;

    anche a causa della pandemia da COVID-19, diverse realtà hanno fatto ricorso, in quella fase emergenziale, a modelli organizzativi di lavoro disciplinati già da tempo nel nostro ordinamento, scoprendone tuttavia punti di forza e di debolezza che sono stati messi al centro di un ampio e diffuso dibattito tuttora in corso;

    tra i fattori imprescindibili del lavoro agile rivestono un ruolo strategico la «cultura organizzativa» e le «tecnologie digitali» in una logica di «cambio di gestione», ovvero di gestione del cambiamento organizzativo per valorizzare al meglio le opportunità rese disponibili dalle nuove tecnologie;

    le tecnologie digitali sono fondamentali per rendere possibili nuovi modi di lavorare, sono da considerarsi, quindi, un fattore indispensabile del lavoro agile. Il livello di digitalizzazione permette di creare spazi di lavoro digitali virtuali, nei quali la comunicazione, la collaborazione e la socializzazione non dipendono da orari e luoghi di lavoro,

impegna il Governo

ad adottare, nel primo provvedimento utile, ogni iniziativa volta a prevedere adeguate risorse da destinare alla promozione del lavoro agile, nonché completare i piani di intervento pubblico per la connettività ultraveloce, ove necessario.
9/1238/91. Barzotti, Aiello, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alcune delle misure del provvedimento in esame sostanzialmente liberalizzano il ricorso ai contratti a termine e nulla dispongono rispetto alla urgente necessità di fissare una soglia minima sotto cui nessun contratto collettivo deve mai scendere;

   considerato che:

    il sistema di Alta formazione artistica e musicale (AFAM) è costituito dai Conservatori statali, dalle Accademie di Belle Arti (statali e non statali), dagli Istituti musicali ex pareggiati promossi dagli enti locali, dalle Accademie statali di Danza e di Arte Drammatica, dagli Istituti Statali Superiori per le Industrie Artistiche, nonché da ulteriori istituzioni private autorizzate dal Ministero al rilascio di titoli aventi valore legale;

    i titoli AFAM hanno valore legale equiparato ai titoli universitari;

    valutato che:

    da circa 20 anni, le assunzioni in ruolo dei docenti AFAM sono avvenute esclusivamente mediante lo scorrimento delle graduatorie nazionali dopo aver maturato almeno tre anni accademici di insegnamento e, stante ciò, in data 29 marzo 2023 è stato emanato il decreto ministeriale n. 180, che sancisce una nuova procedura di reclutamento dei docenti AFAM attraverso l'istituzione dei concorsi di sede, senza prevedere una tutela ad hoc (seppur transitoria) per i docenti precari che hanno già maturato tre anni di servizio e non inseriti nella precedente graduatoria 205-bis;

    si tratta tra l'altro di docenti precari che hanno acquisito un'esperienza professionale sul campo, svolgendo efficacemente il servizio in condizioni di indescrivibile difficoltà durante il durissimo periodo della pandemia;

    tale modo di procedere crea inevitabilmente una discriminazione dei docenti precari AFAM rispetto agli omologhi colleghi che, inseriti nella graduatoria 205-bis, sono stati gradualmente stabilizzati con un contratto a tempo indeterminato;

    dal citato scorrimento ne è altresì derivato che molte graduatorie nazionali sono ormai attualmente esaurite sicché, al fine di garantire la continuità didattica, nei Conservatori di Musica e nelle Accademie, sono stati stipulati contratti di lavoro a tempo determinato, per la copertura dei posti vacanti, con l'utilizzo delle graduatorie d'istituto cui si è acceduto sulla base di regolari bandi per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e modalità di svolgimento di concorsi estremamente selettive, con rigorosa valutazione dei titoli di studio, didattici, culturali, artistici e professionali;

   ritenuto che:

    il summenzionato decreto ministeriale n. 180 è suscettibile di determinare una forte disparità di trattamento e una grave discriminazione tra gli attuali precari AFAM che hanno maturato tre anni di servizio e coloro che, con il medesimo requisito dei 3 anni di servizio, hanno ottenuto un contratto a tempo indeterminato, mediante l'inserimento in una graduatoria nazionale;

    inoltre, il decreto n. 180 non pare tener conto delle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea che invitano lo Stato italiano a dare applicazione per tutto il pubblico impiego alla sanzione della riqualificazione a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a termine successivi che hanno superato i tre anni di servizio, anche non continuativi, richiamando la clausola dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e il principio comunitario di non discriminazione, clausola e principio di diretta applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, affinché sia garantita l'apertura di una finestra temporale per l'inserimento in una graduatoria nazionale finalizzata al ruolo (205-ter) dei docenti AFAM aventi tre anni di servizio ovvero una prima sessione di concorsi di sede per soli titoli, con una procedura riservata, finalizzata al ruolo di quei docenti AFAM aventi tre anni di servizio e già in servizio presso un'istituzione, con conseguente stabilizzazione nella sede di lavoro dei docenti già selezionati da quella istituzione attraverso le graduatorie di Istituto.
9/1238/92. Torto, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

   considerato che:

    le misure previste a favore delle donne nel mercato del lavoro previste nell'ambito del provvedimento in esame risultano decisamente inadeguate e insufficienti;

    nonostante molto sia cambiato negli ultimi decenni, diversi fenomeni mostrano una pervicacia anacronistica disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro;

    il nuovo rapporto di Save the children, Equilibriste, la maternità in Italia, fotografa condizioni note legate alla scarsa partecipazione e alle difficili condizioni lavorative delle donne, ma anche a come si trasformano le scelte e i costumi per non soccombere a una vita troppo lontana da desideri e aspettative;

    basti solo ricordare che nel 2022, per gli uomini di età compresa tra i 25 e i 54 anni il tasso di occupazione totale è dell'82,7 per cento e varia dal 76,1 per cento dei senza figli, crescendo a 90,4 per cento per chi ha un figlio minore, e al 90,8 per cento per chi ne ha due «spiega il rapporto. Per le donne la dinamica è inversa: il tasso di occupazione totale è più basso, 62 per cento, con il picco massimo (67 per cento) tra le donne senza figli, e il picco minimo 56,1 per cento tra quelle con due figli minori». Nel mezzo ci sono le donne con un figlio minore;

    la fotografia è chiara: gli uomini partecipano maggiormente al marcato lavoro, con percentuali crescenti se il nucleo familiare si allarga, nella accezione tradizionale per cui è il padre di famiglia a procacciare il reddito; viceversa, le donne sono meno occupate e lo sono sempre meno se optano per la maternità;

    il divario nella partecipazione al mercato del lavoro fra uomini e donne assume poi caratteristiche nette lungo le differenze geografiche e lungo il livello di istruzione. Nel Mezzogiorno, infatti, l'occupazione femminile è ferma al 35,3 per cento; mentre in Italia nel 2021 le donne con al più la licenza media era occupata per il 30,5 per cento, contro il 70 per cento delle laureate, per gli uomini le percentuali erano rispettivamente del 64 per cento e del 71 per cento,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, al fine di aumentare le tutele per le lavoratrici – con particolare attenzione per la maternità – riducendo l'incidenza della precarietà, costruendo una efficiente rete di servizi pubblici e di welfare, eliminando le disparità salariali che sono una delle prime molle – insieme a forme contrattuali instabili – che inducono le donne alla fuoriuscita dal mondo del lavoro.
9/1238/93. Orrico, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei princìpi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza (RdC) – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

    si noti che, diversamente denominato, ogni Stato europeo – anche l'Ungheria dal 1993 – prevede un RdC: ogni cittadino che si trovi in condizioni di indigenza o comunque al di sotto di una determinata soglia ha diritto ad un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura, cui fa da contraltare il compimento di ogni sforzo, da parte del beneficiario e da parte delle istituzioni pubbliche, per uscirne;

    nel nostro Paese con lo smantellamento del RdC, «si cancella il diritto di ogni cittadino – quali che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro – a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei, e l'Italia diventerà l'unico a non prevederlo più. Difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta» (Cristiano Gori, «Alleanza contro la povertà»);

    tra l'altro, l'accanimento del Governo contro il RdC e il sistema di inclusione lavorativa, motivato con la «sindrome del divano» che avrebbe procurato ai suoi beneficiari, è smentito dalle recentissime analisi e dai dati diramati dall'Ufficio parlamentare di bilancio dai quali si riscontra, al contrario, come l'integrazione tra il sussidio e le politiche attive del lavoro funzionasse: nonostante l'avvio difficoltoso, causato anche dalla concomitante pandemia, oltre il 30 per cento dei beneficiari complessivamente gestiti dai Centri per l'impiego ha attivato un rapporto di lavoro durante la fruizione della misura e a questo sarebbe dovuta la riduzione dei beneficiari del sussidio, diminuiti dalla fine della pandemia di oltre il 25 per cento;

   considerato che:

    dalle audizioni svolte nel corso dell'esame al Senato del provvedimento in esame, nonché dalle elaborazioni più recenti, emerge il profilo dei non aventi diritto alla nuova misura «nazionale» contro la povertà denominata «Assegno di inclusione» (Adi), in quanto considerati «occupabili» e pertanto destinatari del Supporto per la formazione e il lavoro (SFL) – un sostegno monetario «di attivazione al lavoro» per un massimo di 12 mesi subordinato alla partecipazione a progetti di formazione, orientamento e accompagnamento al lavoro – ed emerge, segnatamente, l'illogicità delle predette categorizzazioni basate su criteri valoriali;

    l'assunto oggettivo di base, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge in titolo è il seguente: tutti coloro tra i 18 e i 59 anni di età, non disabili e non impegnati nella cura di persone che siano inabili o inadatti al lavoro (anziani o persone inserite in programmi certificati di cura e di assistenza dei servizi socio-sanitari, minorenni o persone con disabilità), perderanno il RdC e non rientreranno nella categoria dei beneficiari del nuovo Assegno di inclusione;

    è opportuno ricordare che i tassi di povertà più bassi in Italia si registrano nei nuclei con anziani, i quali rientreranno nella categoria dei beneficiari dell'ADI, mentre i tassi di povertà più alti si registrano nei nuclei con capofamiglia tra i 45 e i 54 anni;

    gli «occupabili» costituirebbero, ai sensi del provvedimento in esame, la categoria di soggetti con maggiori probabilità di riuscire a trovare un lavoro e per questo non avrà diritto al nuovo Adi: in realtà, come rilevato anche dall'ISTAT, non risulterebbe molto «occupabili», in quanto solo il 30 per cento ha una istruzione superiore alla scuola dell'obbligo, il 65,5 per cento vive nel Mezzogiorno, nella gran parte dei casi è «non più giovane», il 60 per cento ha oltre 40 anni;

    la categoria degli «occupabili» risulta essere dunque composta da «persone sole o di coppie senza figli, non più giovani, con bassi livelli di istruzione e residenti nel Mezzogiorno, dove la domanda di lavoro è molto bassa»;

   valutato che:

    l'illogicità e l'iniquità della categorizzazione emerse sono la conseguenza della scelta compiuta a monte dal Governo: il criterio individuato alla base della categorizzazione non può essere in grado di selezionare chi, tra gli attuali percettori di RdC, abbia la maggiore possibilità di vicinanza con il mercato del lavoro perché non tiene conto delle condizioni personali, ma di quelle anagrafiche o familiari, senza alcuna connessione con la formazione scolastica, le competenze o la storia lavorativa;

    l'occupabilità non ha nulla a che vedere con la persona e, come rilevato anche in sede di audizioni, «nessun altro Paese adotta una definizione di occupabilità priva di qualunque riferimento alle caratteristiche dei soggetti interessati»,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare ogni iniziativa di carattere normativo affinché, nel prossimo provvedimento utile, la nuova misura di Adi sia modificata nella sua natura e, pertanto, resa strumento universale di integrazione e sostegno al reddito, conseguentemente trasformando il nuovo SFL quale ulteriore possibilità a disposizione dei soggetti tra i 18 e i 59 anni.
9/1238/94. Tucci, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza (RdC) – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

    si noti che, diversamente denominato, ogni Stato europeo – anche l'Ungheria dal 1993 – prevede un RdC: ogni cittadino che si trovi in condizioni di indigenza o comunque al di sotto di una determinata soglia ha diritto ad un sostegno economico che gli consenta una vita dignitosa, a prescindere dalle sue condizioni anagrafiche o dalla composizione del nucleo familiare, per tutto il tempo in cui la necessità perdura, cui fa da contraltare il compimento di ogni sforzo, da parte del beneficiario e da parte delle istituzioni pubbliche, per uscirne;

    nel nostro Paese con lo smantellamento del RdC, «si cancella il diritto di ogni cittadino – quali che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro – a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei, e l'Italia diventerà l'unico a non prevederlo più. Difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta» (Cristiano Gori, «Alleanza contro la povertà»);

    tra l'altro, l'accanimento del Governo contro il RdC e il sistema di inclusione lavorativa, motivato con la «sindrome del divano» che avrebbe procurato ai suoi beneficiari, è smentito dalle recentissime analisi e dai dati diramati dall'Ufficio parlamentare di bilancio dai quali si riscontra, al contrario, come l'integrazione tra il sussidio e le politiche attive del lavoro funzionasse: nonostante l'avvio difficoltoso, causato anche dalla concomitante pandemia, oltre il 30 per cento dei beneficiari complessivamente gestiti dai Centri per l'impiego ha attivato un rapporto di lavoro durante la fruizione della misura e a questo sarebbe dovuta la riduzione dei beneficiari del sussidio, diminuiti dalla fine della pandemia di oltre il 25 per cento;

   considerato che:

    dalla scelta compiuta a monte da parte del Governo – lo smantellamento del RdC, effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione – emerge chiaramente una illogicità e iniquità nella categorizzazione dei soggetti beneficiari delle nuove misure per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro tale per cui la platea appare decisamente ristretta,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa di carattere normativo affinché, nel prossimo provvedimento utile, la platea di beneficiari della nuova misura di AdI citata in premessa (articolo 2, comma 1) sia estesa anche ai nuclei in cui non sono presenti persone con disabilità o componenti minorenni o con almeno sessant'anni di età.
9/1238/95. Donno, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

   considerato che:

    le misure previste a favore delle donne nel mercato del lavoro previste nell'ambito del provvedimento in esame risultano decisamente inadeguate e insufficienti;

    nonostante molto sia cambiato negli ultimi decenni, diversi fenomeni mostrano una pervicacia anacronistica disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro;

    il nuovo rapporto di Save the children, Equilibriste, la maternità in Italia, fotografa condizioni note legate alla scarsa partecipazione e alle difficili condizioni lavorative delle donne, ma anche a come si trasformano le scelte e i costumi per non soccombere a una vita troppo lontana da desideri e aspettative;

    basti solo ricordare che nel 2022, per gli uomini di età compresa tra i 25 e i 54 anni il tasso di occupazione totale è dell'82,7 per cento e varia dal 76,1 per cento dei senza figli, crescendo a 90,4 per cento per chi ha un figlio minore, e al 90,8 per cento per chi ne ha due spiega il rapporto. Per le donne la dinamica è inversa: il tasso di occupazione totale è più basso, 62 per cento, con il picco massimo (67 per cento) tra le donne senza figli, e il picco minimo 56,1 per cento tra quelle con due figli minori. Nel mezzo ci sono le donne con un figlio minore;

    la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro contribuisce a tenere ancora le donne in scacco: il 74 per cento del lavoro di cura ricade su di loro con 5 ore e 5 minuti di lavoro non retribuito su base giornaliera, oltre 3 ore al giorno in più degli uomini per cui il computo è di 1 ora e 48 minuti;

    fare figli espone alla povertà, a fronte di politiche inadeguate rivolte alle famiglie, servizi educativi per l'infanzia insufficienti e maldistribuiti sul territorio. Infatti, nelle famiglie con un maggior numero di componenti l'incidenza della povertà assoluta è più alta. Le carenze sistemiche e il sovraccarico di cura che ricade sulle spalle delle donne spostano spesso sui nonni il peso della compensazione, al punto che nelle graduatorie scolastiche la vicinanza al domicilio dei nonni compare come un requisito per le ammissioni, o viceversa porta il 74,6 per cento delle donne che si sono dimesse nel 2021 a indicare come motivazione l'assenza di parenti di supporto. Un tema che apre a possibili considerazioni sul benessere delle anziane e degli anziani, spesso supplenti estensivi nella cura familiare, e sulla piena emancipazione sociale e culturale fra generazioni;

    in questo scenario molte coppie – a forza di posporre la scelta della genitorialità – si trovano costrette a valutare o percorrere le tecniche di procreazione medicalmente assistita con alterne vicende. Oppure, a rinunciare ai propri desideri in un'ottica di sopravvivenza economica, lavorativa e sociale. Non a caso, il nostro è un paese in cui la fecondità desiderata è molto distante dalla fecondità realizzata. Ci sono figli e figlie desiderati che non nascono perché il prezzo da pagare per le donne, come abbiamo visto, è troppo alto,

impegna il Governo

anche tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro in Italia, con specifico riguardo al lavoro femminile, ad adottare ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, al fine di attuare pienamente e celermente l'impegno preso con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per l'allargamento dei servizi pubblici rivolti alla fascia 0-2 anni del 33 per cento entro il 2027 per poi arrivare al 45 per cento entro il 2030 come previsto dagli obiettivi di Barcellona, anche avvalendosi della co-progettazione dei servizi con la comunità educante, come già è avvenuto di recente nella città di Roma.
9/1238/96. Carmina, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    alla luce dei principi che fondano l'ordinamento costituzionale repubblicano, è evidente la torsione cui occorre sottoporli al fine di volgerli, forzosamente, a ricomprendere la visione, gli obiettivi e la prospettiva che informano le misure in materia di sedicente contrasto alla povertà e di inclusione, nonché di accesso al mondo del lavoro, disposte dal provvedimento in esame e che possono così riassumersi: smantellamento del reddito di cittadinanza – effettiva misura universale di contrasto alla povertà e di inclusione –, categorizzazione valoriale all'interno della stessa soglia di povertà, liberalizzazione dei contratti a termine – che sprigionerà tutta la sua forza distruttrice in particolare sui giovani sui loro progetti di vita e sul loro futuro ricadendo, dunque, sul nostro sistema Paese;

   considerato che:

    le misure previste a favore delle donne nel mercato del lavoro previste nell'ambito del provvedimento in esame risultano decisamente inadeguate e insufficienti;

    nonostante molto sia cambiato negli ultimi decenni, diversi fenomeni mostrano una pervicacia anacronistica disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro;

    il nuovo rapporto di Save the children, Equilibriste, la maternità in Italia, fotografa condizioni note legate alla scarsa partecipazione e alle difficili condizioni lavorative delle donne, ma anche a come si trasformano le scelte e i costumi per non soccombere a una vita troppo lontana da desideri e aspettative;

    basti solo ricordare che la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro contribuisce a tenere ancora le donne in scacco: il 74 per cento del lavoro di cura ricade su di loro con 5 ore e 5 minuti di lavoro non retribuito su base giornaliera – oltre 3 ore al giorno in più degli uomini per cui il computo è di 1 ora e 48 minuti;

    fare figli espone alla povertà, a fronte di politiche inadeguate rivolte alle famiglie, servizi educativi per l'infanzia insufficienti e maldistribuiti sul territorio. Infatti, nelle famiglie con un maggior numero di componenti l'incidenza della povertà assoluta è più alta. Le carenze sistemiche e il sovraccarico di cura che ricade sulle spalle delle donne spostano spesso sui nonni il peso della compensazione, al punto che nelle graduatorie scolastiche la vicinanza al domicilio dei nonni compare come un requisito per le ammissioni, o viceversa porta il 74,6 per cento delle donne che si sono dimesse nel 2021 a indicare come motivazione l'assenza di parenti di supporto. Un tema che apre a possibili considerazioni sul benessere delle anziane e degli anziani, spesso supplenti estensivi nella cura familiare – e sulla piena emancipazione sociale e culturale fra generazioni;

    in questo scenario, però, qualcosa si muove. È confutata dai fatti la credenza per cui le donne hanno come principale aspirazione quella di mettere su famiglia e realizzarsi come madri. L'Italia, al contrario, conferma il trend europeo per cui là dove le donne lavorano, nascono più bambini e bambine – dimostrando come le donne non siano affatto votate al compromesso fra il pane e le rose;

    dal canto loro, i padri del nuovo millennio non rispondono più al modello anni Cinquanta: stanno cambiando con tutta calma, ma con costanza. Sono maggiormente protagonisti della cura e a volte anche delle rinunce; segnano un cambiamento culturale importante disegnando una nuova presenza affettiva. Inoltre, affrontano mansioni un tempo inimmaginabili e partecipano in maniera più convinta anche ai congedi di paternità ridisegnati di recente. Nel 2013 ad esempio la quota di padri che aveva usufruito del congedo di paternità era al 19,23 per cento, mentre nel 2021 è salita al 57,6 per cento;

    è dunque fondamentale incentivare una maggiore condivisione del lavoro di cura nella primissima infanzia, ma anche mettere in moto un cambiamento culturale e sociale intorno ai ruoli genitoriali, riducendo la concezione sacrificale e santificata della madre, e dando ai padri il giusto e legittimo peso nella vita dei figli. Sulla lunga distanza ciò significa anche redistribuire il lavoro di cura in maniera equa,

impegna il Governo

a estendere da 10 a 15 giorni il congedo di paternità a tutte le categorie di lavoratori, anche autonomi e iscritti alla Gestione Separata, in forma obbligatoria, non cedibile e retribuibile al 100 per cento.
9/1238/97. Dell'Olio, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 22 del decreto-legge oggetto di conversione modifica la disciplina dell'assegno unico e universale per i figli a carico, di cui al decreto legislativo 29 dicembre 2021, n. 230;

    il decreto legislativo 29 dicembre 2021, n. 230, in attuazione della legge 1 aprile 2021, n. 46 recante «Delega al Governo per riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l'assegno unico e universale.», ha istituito, a decorrere dal 1° marzo 2022, l'assegno unico e universale per i figli a carico con l'obiettivo di semplificare gli interventi in favore della genitorialità e della natalità e di procedere ad una complessiva riorganizzazione del welfare familiare;

    di fatto l'assegno unico e universale, dunque, sostituisce i benefici che erano previsti per i genitori lavoratori, tra i quali le detrazioni per i figli a carico e l'assegno per il nucleo familiare;

    tuttavia, nella scorsa legislatura, in diverse sedi, è stato rilevato un vuoto normativo; in particolare, durante l'esame dello schema di decreto legislativo recante istituzione dell'assegno unico e universale per i figli a carico (A.G.333), la XII Commissione della Camera, in sede di parere ha espresso la seguente osservazione: «Sempre in riferimento ai requisiti soggettivi del richiedente, si segnala la condizione di alcuni cittadini italiani residenti all'estero. I cosiddetti “non residenti Schumacker” possono attualmente fruire delle detrazioni per carichi di famiglia, e quindi anche per i figli a carico, in quanto producono più del 75 per cento del loro reddito complessivo in Italia e a patto che non usufruiscano di analoghi benefici dal Paese di residenza. Inoltre, alcuni soggetti residenti all'estero, anche non cittadini italiani, tra i quali anche i lavoratori a contratto operativi presso la rete del MAECI, ottengono oggi prestazioni, come gli assegni al nucleo familiare, in applicazione sia della normativa italiana in materia che di accordi bilaterali e multilaterali (regolamenti comunitari) di sicurezza sociale stipulati dall'Italia, cioè di strumenti giuridici sovranazionali che si impongono sulle legislazioni nazionali. Si ritiene pertanto opportuno prevedere le necessarie disposizioni affinché si salvaguardi anche con l'assegno unico e universale il valore di tali benefici a favore dei soggetti di cui sopra, i quali diversamente non potrebbero fruirne, in assenza del requisito di residenza e domicilio in Italia.»;

    sempre durante la scorsa legislatura, in sede di esame del decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2022, n. 122 (cosiddetto decreto semplificazioni), la III Commissione della Camera, in sede consultiva, con riferimento all'articolo 38 del provvedimento, concernente misure di sostegno alle famiglie con figli con disabilità in materia di assegno unico e universale per i figli a carico, segnalava l'opportunità di individuare misure di sostegno per il nucleo familiare da destinare al personale a contratto in servizio presso la rete estera;

    ad oggi tale vulnus normativo, che esclude dal beneficio delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia i figli minori di 21 anni del personale a contratto negli uffici all'estero del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, non risulta colmato;

    durante l'esame della Legge di bilancio 2023, nella seduta del 23 dicembre 2022, è stato accolto come raccomandazione l'ordine del giorno n. 9/00643-bis-AR/182 Lomuti che sollevava la questione sopra descritta, impegnando il Governo: «ad adottare le opportune iniziative normative volte a prevedere l'estensione del diritto alle detrazioni per carichi di famiglia anche ai figli minori di 21 anni del personale a contratto negli uffici all'estero del MAECI, al fine di garantire e sostenere la genitorialità.»;

    il decreto-legge in esame sarebbe stata la sede opportuna per apportare le modifiche normative necessarie a dare seguito all'ordine del giorno citato,

impegna il Governo

a dare urgentemente seguito all'impegno dell'ordine del giorno n. 9/00643-bis AR/182, integralmente richiamato in premessa.
9/1238/98. Onori, Lomuti, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento all'esame prevede l'istituzione dell'Assegno di inclusione, indicandone la natura, le finalità e la relativa decorrenza; tale misura, prevista dal 1° gennaio 2024, rappresenta una misura di contrasto alla povertà, di sostegno economico e di inclusione sociale e lavorativa e intende sostituirsi al reddito di cittadinanza che viene abolito dal 1° gennaio 2024;

    il Rapporto sulla politica di bilancio dell'ufficio parlamentare di bilancio (UPB), pubblicato il 20 giugno 2023, esamina le tendenze recenti e le prospettive dell'economia italiana e della finanza pubblica e contiene approfondimenti tematici che riguardano il nuovo quadro di governance europea, la riforma delle misure di contrasto alla povertà e l'impatto distributivo dell'inflazione sulle famiglie;

    il predetto rapporto reca un approfondimento proprio sul Reddito di cittadinanza (RdC) e sull'Assegno di inclusione (AdI) che il provvedimento all'esame istituisce e rappresenta che «dei quasi 1,2 milioni di nuclei beneficiari di RdC, circa 400.000 (il 33,6 per cento) sono esclusi dall'AdI perché al loro interno non sono presenti soggetti tutelati. Dei restanti 790.000 nuclei in cui sono presenti soggetti tutelati, circa 97.000 (il 12,1 per cento) risulterebbero comunque esclusi dalla fruizione dell'AdI per effetto dei vincoli di natura economica. Nel complesso, dunque, i nuclei beneficiari dell'AdI risulterebbero poco più di 690.000, circa il 58 per cento degli attuali beneficiari del RdC.»;

    in termini di individui, i soggetti non beneficiari dell'AdI sarebbero circa 823.000 (un terzo circa dei percettori del RdC), di cui 553.000 per effetto dell'esclusione dei nuclei senza tutelati e 270.000 appartenenti a nuclei tutelati ma esclusi per effetto dei vincoli di carattere economico;

    l'AdI, a differenza del RdC, concentra l'azione di contrasto alla povertà sui soli soggetti che, per ragioni anagrafiche o per disabilità, non sono in grado di partecipare attivamente al mercato del lavoro; i soggetti tra 18 e 59 anni di età non disabili e non impegnati in lavoro di cura sono esclusi dalla misura fatta eccezione per alcuni limitati casi; con queste modifiche circa 400.000 nuclei di soli adulti precedentemente tutelati dal RdC (circa il 34 per cento) sono esclusi dalla misura indipendentemente dalle loro condizioni economiche;

    la Raccomandazione del Consiglio della UE del 30 gennaio 2023 relativa a un adeguato reddito minimo che garantisca l'inclusione attiva (2023/C 41/01) sottolinea la necessità dell'attivazione lavorativa dei beneficiari, assicurando che i requisiti di attivazione forniscano sufficienti incentivi a rientrare nel mercato del lavoro, ma che allo stesso tempo la rete di sostegno raggiunga tutte le persone che non dispongono di risorse sufficienti,

impegna il Governo

ad individuare misure idonee per sostenere tutte le persone che si collocano intorno alla fascia di età 50/60 anni che non dispongono di risorse e strumenti sufficienti per entrare o rientrare nel mercato del lavoro e che la misura sostitutiva del reddito di cittadinanza lascia senza alcuna protezione sociale.
9/1238/99. Di Lauro, Quartini, Sportiello, Marianna Ricciardi, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento all'esame prevede l'istituzione dell'Assegno di inclusione (AdI), indicandone la natura, le finalità e la relativa decorrenza; tale misura, prevista dal 1° gennaio 2024, rappresenta una misura di contrasto alla povertà, di sostegno economico e di inclusione sociale e lavorativa e intende sostituirsi al Reddito di cittadinanza (RdC) che viene abolito dal 1° gennaio 2024;

    il RdC è una misura di sostegno al reddito affiancata da interventi per l'attivazione sul mercato del lavoro e per l'inserimento sociale dei beneficiari e l'erogazione è soggetta a condizionalità relative sia alla situazione economica sia alla cittadinanza;

    con l'introduzione del RdC, l'Italia si è allineata alla maggioranza dei paesi europei che prevedono strumenti universalistici di contrasto della povertà;

    a differenza dell'AdI, il RdC è stato riconosciuto nell'ordinamento nazionale come livello essenziale delle prestazioni (LEP);

    il RdC è stato il punto di approdo delle differenti misure di contrasto alla povertà susseguitesi negli ultimi venti anni e si è contraddistinto per le maggiori risorse (circa 7,3 miliardi a regime, contro 2,1) che hanno permesso di aumentare significativamente sia la platea dei beneficiari;

    come rilevato dall'ufficio Parlamentare di Bilancio nel rapporto sulle politiche di bilancio del 20 giugno 2023, le analisi condotte sul periodo di applicazione del RdC hanno evidenziato criticità strutturali legate sia alle difficoltà della macchina amministrativa (Centri per l'impiego e Servizi sociali comunali) sia alle scarse qualifiche professionali dei destinatari delle politiche di sostegno che dovevano essere inseriti nel mercato del lavoro;

    quanto alle difficoltà della macchina amministrativa l'UPB rileva che rispetto al complesso dei sottoscrittori del Patto per il lavoro (725.000), solo il 46,2 per cento (335.000 individui) è stato effettivamente preso in carico dai Servizi per il lavoro, con incidenze maggiori nel Centro e nel Nord rispetto al Mezzogiorno. Tra questi, 134.000 hanno sottoscritto il Patto di servizio secondo quanto definito nel Programma Garanzia occupabilità dei Lavoratori (GOL);

    il Programma GOL è una riforma prevista nel PNRR (Missione 5, Componente 1) con lo scopo di favorire, con percorsi personalizzati, l'ingresso o il reinserimento nel mercato del lavoro; la finalità dell'intervento è quella di introdurre un'ampia riforma delle politiche attive e della formazione professionale, supportando i percorsi di riqualificazione professionale e di reinserimento di lavoratori in transizione e disoccupati, nonché definendo, in stretto coordinamento con le Regioni, livelli essenziali di attività formative per le categorie più vulnerabili,

impegna il Governo

a riorganizzare la formazione dei lavoratori in transizione e disoccupati, mediante il rafforzamento del sistema della formazione professionale, portando a termine la riforma prevista nel PNRR e accompagnando al lavoro tutti quegli occupabili che l'assegno di inclusione lascia fuori da qualsiasi protezione sociale.
9/1238/100. Marianna Ricciardi, Di Lauro, Quartini, Sportiello, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento all'articolo 28 introduce, in via transitoria, un incentivo all'assunzione, da parte di enti del Terzo settore e di altri enti ad essi assimilabili, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, di soggetti con disabilità e di età inferiore a trentacinque anni;

    le predette assunzioni devono essere o essere state effettuate nel periodo 1° agosto 2022-31 dicembre 2023 per lo svolgimento di attività conformi allo statuto del datore di lavoro e riguardare soggetti con disabilità rientranti nell'ambito di applicazione del cosiddetto collocamento obbligatorio, di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68;

    l'incentivo è ammesso nell'ambito delle risorse complessive di un apposito Fondo – risorse in ogni caso non superiori a 7 milioni di euro per il 2023 e la definizione della misura è demandata ad un decreto attuativo;

    dal momento storico dell'approvazione della legge 12 marzo 1999 n. 68 («Norme per il diritto al lavoro dei disabili.»), l'istituto del «collocamento mirato» per persone con disabilità psichica (all'epoca etichettati come «disabili psichici» secondo un approccio di labeling oramai ampiamente superato) ha subito le profonde trasformazioni connesse al valore che, da una parte, il lavoro stesso possiede in sé per sviluppare e valorizzare le potenzialità e le capacità di relazione della persona con difficoltà psichiche, nonché all'importanza che, dall'altra, il lavoratore con disabilità psichica ha per l'azienda stessa;

    una serie di progetti sviluppati nel corso degli anni ha avvalorato la tesi, condivisa in letteratura, secondo la quale il lavoro è un efficace «strumento riabilitativo impiegato nella psichiatria dei servizi, al fine di promuovere il reinserimento nel corpo sociale degli utenti. L'attività lavorativa infatti, oltre all'aspetto puramente reddituale ed economico, rappresenta, attraverso l'acquisizione del controllo della propria vita e la partecipazione attiva nella società, uno degli strumenti principali per soddisfare i bisogni materiali e sociali degli individui nel mondo occidentale» (Costa M, et al. Provider perspectives on employment for people with serious mental illness. Int J Soc Psychiatry. 2017 Aug);

    questo porta a risultati di una «aumentata autostima e sensazione di benessere, la riduzione dei sintomi psichici e dell'uso dei servizi di salute mentale» stessi. Il principio di un «supported employment», accompagnando la persona all'interno del mondo del lavoro (quale parte del mondo inteso come nucleo di relazioni sociali e professionali), ha mostrato come un percorso guidato e partecipato dalla «rete» integrata dei servizi (i vari attori sociali, sanitari, formazione/lavoro, istruzione), unita al terzo settore, possa permettere alle persone con disabilità psichica di dare il loro contributo reale all'accrescimento sociale e professionale della loro realtà, realizzando anche un miglioramento del sé;

    si tratta certamente di un percorso complesso, difficile, complice anche un notevole e persistente «stigma» sociale, riscontrato anche dagli studi effettuati; l'idea di «progetti personalizzati», con operatori formati a fare da «coach» alle persone, meccanismi e clausole premianti negli appalti pubblici e in generale verso chi assume anche al di fuori dall'obbligatorietà hanno certamente affinato e migliorato l'intero processo; il principio cardine è adesso quello del «collocamento attivo della persona nella costruzione del percorso personalizzato» con un vero e proprio responsabile del processo a seguirne le tappe, interagendo con chi occorra.;

    la stessa valutazione della persona con disabilità, transitata adesso sotto un'ottica bio-psico-sociale che supera il sistema quasi matematico ed alienante del passato, e mostra, con la valutazione degli «accomodamenti ragionevoli», paradossalmente come occorra compiere un ulteriore fondamentale passaggio nella revisione delle radici del sistema;

    infatti, secondo la procedura di cui all'articolo 9 comma 4 della legge n. 68 del 1999, l'avviamento dei disabili psichici avviene essenzialmente con la possibilità di contatto diretto (o di richiesta nominativa) della persona da coinvolgere, prediligendo l'utilizzo di convenzioni, dettagliate nell'articolo 11 della legge; tali convenzioni, stipulate fra uffici competenti e datori di lavoro, e finalizzate a determinare un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla legge del 1999, contenevano quindi anche la facoltà della scelta nominativa ma, di fatto, costituiscono oggi un passaggio da considerarsi secondario se non decisamente superato,

impegna il Governo

nell'ottica della nuova visione del «collocamento mirato» delle persone con disabilità di tipo specificamente psichico, considerando la particolare loro fragilità anche sociale e, proprio per questo, la necessità di un inserimento lavorativo che massimizzi la loro soddisfazione e, attraverso un percorso di «coaching», anche il contributo all'attività del datore di lavoro, a rivedere la normativa in modo da poter permettere, per tali persone, l'assunzione diretta e mirata.
9/1238/101. Quartini, Sportiello, Marianna Ricciardi, Di Lauro, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento all'esame prevede l'istituzione dell'Assegno di inclusione (Adi), indicandone la natura, le finalità e la relativa decorrenza; tale misura, prevista dal 1° gennaio 2024, rappresenta una misura di contrasto alla povertà, di sostegno economico e di inclusione sociale e lavorativa e intende sostituirsi al Reddito di cittadinanza (RdC) che viene abolito dal 1° gennaio 2024;

    l'Assegno di Inclusione riduce sensibilmente la platea dei destinatari e rischia di tenere fuori quei nuclei con componenti in particolari condizioni di grave disagio psicosociale in carico ai servizi sociosanitari che risultano di difficile immediato inserimento nel mondo del lavoro;

    quindi, una ampia platea di persone adulte e fragili, a breve, rimarrà priva di protezione sociale e con il rischio concreto che diventi ancor più esclusa e vittima potenziale di sfruttamento o di comportamenti devianti;

    è doveroso garantire l'accesso per le persone in condizioni di fragilità sociale e comunque non escludere tutte le persone in condizioni di fragilità sociale e che devono essere tutelate, in particolare: i neomaggiorenni che escono da una comunità o concludono percorsi di affidamento dopo anni fuori famiglia (care leavers) e le persone che soffrono di disturbi mentali o di dipendenza, anche da gioco, le persone senza dimora e tutte le persone che attraversano periodi di crisi psicologica e familiare dovuti a lutti o separazioni o che si trovano ad affrontare una malattia improvvisa;

    l'articolo 2 del provvedimento all'esame, come modificato al Senato, prevede che l'Assegno di inclusione è riconosciuto, a richiesta di uno dei componenti del nucleo familiare, a garanzia delle necessità di inclusione dei componenti di nuclei familiari con disabilità, nonché dei componenti minorenni o con almeno sessant'anni di età ovvero dei componenti in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione,

impegna il Governo

ad assicurare che tra i componenti in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione siano inclusi tutti i soggetti in condizioni di fragilità sociale e di disagio psicosociale, anche per transitori problemi di salute fisica e mentale, nonché coloro che escono da una comunità o concludono percorsi di affidamento dopo anni fuori famiglia (care leavers) e le persone che soffrono di disturbi mentali o di dipendenza, anche da gioco, le persone senza dimora e tutte le persone che attraversano periodi di crisi psicologica e familiare dovuti a lutti o separazioni o che si trovano ad affrontare una malattia improvvisa.
9/1238/102. Sportiello, Marianna Ricciardi, Di Lauro, Quartini, Aiello, Barzotti, Carotenuto, Orrico, Tucci, Morfino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, prevede diverse disposizioni di modifica della disciplina in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro oltreché l'incremento della dotazione di differenti fondi a sostegno del settore lavoro, fra cui in particolare il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro;

    il comma 278 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 istituisce presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo per le vittime dell'amianto, in favore degli eredi dei soggetti deceduti in seguito a patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto nell'esecuzione delle operazioni portuali attuate per realizzare la cessazione dell'impiego dell'amianto, di cui alla legge 27 marzo 1992, n. 257, che concorre al pagamento di quanto spettante ai superstiti a titolo di risarcimento del danno;

    tali misure, inizialmente previste per gli anni 2016-2018, sono state estese fino al 2022 e con il decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2021, n. 156, si è stabilito che delle risorse del predetto fondo possono avvalersi anche le Autorità di sistema portuale soccombenti in sentenze esecutive, o comunque parti debitrici in verbali di conciliazione giudiziale, aventi a oggetto risarcimenti liquidati in favore di superstiti di coloro che sono deceduti per patologie asbesto-correlate, compresi coloro che non erano dipendenti diretti delle cessate organizzazioni portuali;

    tuttavia, suddetto Fondo non è stato ulteriormente rinnovato determinando un grave problema anche per alcune compagnie portuali che negli anni se ne sono avvalse, emblematico è il caso della «Compagnia portuale CULP Savona S.c. Pippo Rebagliati». Pertanto, se da un lato si deve doverosamente rispondere alle vittime e ai loro eredi, dall'altro si deve tener conto di una serie di fattori caratterizzanti le compagnie e valutare le conseguenze del mettere in discussione alcune di esse compromettendo l'operatività dei porti in cui svolgono le loro attività in modo efficace ed efficiente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere l'operatività delle disposizioni previste dal comma 278 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 rendendole strutturali, al fine di venire incontro alle esigenze sia degli eredi delle vittime sia delle compagnie portuali, nella tutela degli interessi di entrambe le parti e dell'operatività dei porti italiani.
9/1238/103. Pastorino.


   La Camera,

   premesso che:

    il comma 1 dell'articolo 2 dispone che l'Assegno di inclusione è riconosciuto, a richiesta di uno dei componenti del nucleo familiare, a garanzia delle necessità di inclusione dei componenti di nuclei familiari con disabilità, come definita ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;

    la formulazione del decreto-legge in esame prevede, quindi, che per il componente con disabilità l'accesso del suo nucleo familiare di riferimento alla misura dell'assegno di inclusione avviene secondo quanto stabilito dal solo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;

    il comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge in esame, prende, quindi in considerazione esclusivamente le persone con «disabilità media o grave o persone non autosufficienti», definite tali rispetto all'Allegato 3 del medesimo decreto, ma in tale decreto non rientrano le persone con certificazione ex articolo 3, comma 1, della legge n. 104 del 1992, persone che presentano «una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale e di emarginazione»,

impegna il Governo:

   a prevedere, attraverso ulteriori iniziative normative, l'accesso all'Assegno di inclusione oltre che per i nuclei famigliari sulla base del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 anche ai nuclei famigliari con persone che rientrano nella certificazione di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 104 del 1992;

   a garantire che la partecipazione a progetti di pubblica utilità da parte di soggetti beneficiari dell'Assegno di inclusione avvenga su base volontaria e laddove questi siano offerti anche a soggetti fragili non occupabili che questo avvenga solo dopo una valutazione multidimensionale dei bisogni da parte dei servizi sociali comunali.
9/1238/104. Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 2 al comma 1 indica i requisiti che devono possedere i nuclei famigliari, sia al momento della richiesta che per tutta la durata dell'erogazione, per accedere all'Assegno di inclusione di cui al comma 1, altre disposizioni sono previste dall'articolo 3, commi 1, 5, 6, 7;

    non è prevista dal decreto-legge in esame alcuna indicizzazione delle soglie ISEE, reddituali e patrimoniali indicate all'articolo 2, lettera b), numeri 1), 2), 3) e 4), nonché all'articolo 3, commi 1, 5, 6 e 7, così come all'articolo 12, comma 2, questo significa in particolare che in presenza di una inflazione elevata il beneficio economico derivante dall'Assegno di inclusione subisce una effettiva erosione in termini reali riducendo di fatto il sostegno economico,

impegna il Governo

ad adeguare annualmente alle variazioni dell'indice del costo della vita le soglie reddituali e patrimoniali contenute nel decreto-legge in riferimento all'accesso all'Assegno d'inclusione, nonché l'importo mensile indicato al comma 7 dell'articolo 12 del decreto-legge in esame.
9/1238/105. Bonelli, Zanella, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    con l'articolo 5 è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Sistema informativo per l'inclusione sociale e lavorativa-SIISL, realizzato dall'INPS. Il Sistema informativo consente l'interoperabilità di tutte le piattaforme digitali dei soggetti accreditati al sistema sociale e del lavoro;

    il comma 2 dell'articolo 5 prevede che i beneficiari della misura attivabili al lavoro, secondo quanto previsto dall'articolo 4, comma 5, attraverso la registrazione sulla piattaforma, possono accedere a informazioni e proposte su offerte di lavoro, corsi di formazione, tirocini di orientamento e formazione, progetti utili alla collettività e altri strumenti di politica attiva del lavoro adeguati alle proprie caratteristiche e competenze, nonché a informazioni sullo stato di erogazione del beneficio e sulle attività previste dal progetto personalizzato;

    il sistema digitale in Italia, pur segnalando progressi negli ultimi anni, rimane fanalino di coda per il digital device e per il gap digitale soprattutto dei giovani adulti. Il rapporto BES 2021 evidenzia che il divario digitale tende a sommarsi alle disuguaglianze socio-culturali ed economiche e questo accentua la vulnerabilità e la fragilità di soggetti già in condizione di povertà educativa;

    potrebbe rivelarsi controproducente il disposto di cui all'articolo 5, secondo cui la piattaforma dovrebbe agevolare la ricerca di lavoro tenendo conto delle esperienze educative, formative, delle competenze professionali pregresse dei beneficiari che potranno autonomamente accedervi e scegliere i percorsi proposti e le occasioni professionali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative atte a fornire una adeguata formazione agli operatori e ai beneficiari che accederanno al servizio, dedicata, in particolare alla sicurezza sul lavoro, alla definizione del progetto di sviluppo professionale, all'utilizzo della piattaforma;

   a introdurre una misura che preveda la possibilità per i beneficiari della misura attivabili al lavoro di presentare domande anche presso i Centri di assistenza fiscale al fine di facilitare le persone richiedenti, tenuto conto che questi devono già rivolgersi presso i citati centri per l'ISEE.
9/1238/106. Borrelli, Zanella, Bonelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    le misure in materia di lavoro nel decreto-legge in fase di conversione sono varie ma non si riscontrano come un intervento coerente e adeguato rispetto alla necessità di contrasto alla precarizzazione del mercato del lavoro che ha certamente rallentato la crescita del Paese negli ultimi anni, oltre che indebolito la condizione dei lavoratori;

    in particolare la normativa di riforma del contratto a termine sembra solo corrispondere alle pressanti richieste di flessibilità delle imprese, mentre sarebbe necessario intervenire con una stretta sulle forme di lavoro precario quali ad esempio il lavoro a chiamata o il lavoro autonomo occasionale o ricondurre i tirocini extracurriculari a esperienze esclusivamente formative, limitate nella possibilità di utilizzo, contrastando gli abusi;

    l'intervento sui contratti a termine contiene due previsioni negative della normativa già esistente: la causale al 12° mese, anziché all'inizio del contratto, e nessun riferimento all'obbligo di stabilizzazione, negando in questo modo anche il reiterato richiamo europeo alla necessaria temporaneità e limitatezza dei contratti a termine, arrivando a sopprimere le causali per legge e la loro definizione viene rinviando la definizione delle causali alla contrattazione collettiva di cui all'articolo 51;

    appare gravissima la previsione per la quale in assenza della contrattazione le causali possono essere definite fra le parti, che costituisce in sostanza una vera e propria liberalizzazione dei contratti a termine fino a 24 mesi, a una individualizzazione del rapporto che nei fatti sminuisce se non pregiudica la stessa efficacia della contrattazione,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di reintrodurre, nel primo provvedimento utile, la normativa previgente sul contratto a termine prevedendo che la causale al 12° mese, sia introdotta all'inizio del contratto, e prevedendo l'obbligo di stabilizzazione nel rispetto delle prescrizioni europee sulla temporaneità e limitazione dei contratti a termine.
9/1238/107. Mari, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    la legge di conversione in esame interviene in materia di contratti a termine riformando la normativa attuale ed estendendo tale tipologia contrattuale sia in termini di causalità che in termini di durata;

    non viene tuttavia affrontata la problematica della precarietà dei lavoratori e delle lavoratrici impiegati nelle pubbliche amministrazioni;

    uno dei problemi più rilevanti presenti nella pubblica amministrazione è infatti costituito dal cosiddetto «precariato storico» che rappresenta un freno all'efficienza e al buon andamento della pubblica amministrazione e al contempo svilisce le professionalità di lavoratori e lavoratrici che operano da anni, a vario titolo, al servizio delle pubbliche amministrazioni;

    con il dichiarato fine di superare il precariato nelle pubbliche amministrazioni era stato introdotto l'articolo 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 che, prevedeva la facoltà limitata in un triennio, per le amministrazioni, di procedere alla stabilizzazione del personale non dirigenziale in possesso di determinati requisiti consentendo allo stesso tempo, alle amministrazioni interessate di bandire procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al 50 per cento dei posti disponibili, per l'assunzione a tempo indeterminato di personale non dirigenziale in possesso di determinati requisiti;

    lo strumento così individuato non ha risolto definitivamente il problema del precariato nelle pubbliche amministrazioni né quello correlato, della pubblicazione di nuovi concorsi per posizioni occupate dai lavoratori e dalle lavoratrici precarie, e in taluni casi del mancato scorrimento delle graduatorie di idonei;

    nel contesto attuale sarebbe importante permettere alle amministrazioni pubbliche di poter continuare le azioni virtuose intraprese per contrastare il precariato e procedere alle stabilizzazioni del personale che ha già contribuito negli anni con le loro competenze e professionalità a sostenere l'azione della pubblica amministrazione e rafforzare i servizi pubblici, anche in considerazione della mole di investimenti collegati alle risorse del PNRR, del Fondo Complementare e della programmazione europea 21-27, nonché alla luce delle gravi carenze di organico che interessano trasversalmente molte amministrazioni pubbliche;

    è improrogabile la necessità di proseguire e completare l'azione di stabilizzazione del precariato «storico»,

impegna il Governo

a prorogare i termini entro cui è possibile maturare i requisiti di 36 mesi alle dipendenze della pubblica amministrazione per accedere alle procedure di stabilizzazione del personale a tempo determinato avente un contratto in essere con le stesse amministrazioni e ad attuare nuovi dispositivi giuridici finalizzati a razionalizzare e completare il virtuoso processo di assorbimento del personale precario previsto dal decreto legislativo n. 75 del 2017.
9/1238/108. Zaratti, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti.


   La Camera,

   premesso che:

    la legge di conversione in esame interviene in materia di contratti a termine riformando la normativa attuale ed estendendo tale tipologia contrattuale sia in termini di causalità che in termini di durata;

    nulla è stato disposto in materia di lavoratori alle dipendenze del Ministero della giustizia, cui è demandato il delicatissimo compito di rendere efficiente il sistema giudiziario nazionale, già oggetto di numerose sentenze di condanna per le lungaggini che lo contraddistinguono;

    in particolare più volte l'Italia è stata condannata per violazione del «principio della ragionevole durata del processo» oggetto di due importanti precetti sovraordinati: l'articolo 111, comma 2, della Costituzione secondo cui la «La legge [...] assicura la ragionevole durata [del processo]» e l'articolo 6, paragrafo 1, Cedu in base al quale «Ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un Tribunale indipendente e imparziale costituito per legge»;

    per ovviare a queste criticità, anche in funzione degli obiettivi delineati dal PNRR, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, è stata creata una struttura organizzativa finalizzata allo smaltimento dell'arretrato presso i tribunali ordinari e presso le corti d'appello;

    in quest'ambito è stato assunto un primo scaglione di 8.171 di addetti all'ufficio del processo, ammesso in servizio a febbraio 2022, con contratto a tempo determinato della durata massima di due anni e sette mesi (non prorogabile), e quindi fino a settembre del 2024, al termine dei quali la suddetta norma prevede l'assunzione di un secondo scaglione di pari unità, e quindi a sostituzione del primo contingente, con contratto a tempo determinato della durata di due anni;

    al 30 novembre 2022, gli addetti in servizio risultavano essere pari a 6590 unità, che sono diminuiti a causa della «fuga» di molti lavoratori verso impieghi a tempo indeterminato, la prospettiva di una drastica riduzione degli addetti UPP, che in questi mesi hanno acquisito importanti competenze, tanto da migliorare sensibilmente le statistiche relative all'efficienza ed ai tempi di risposta della Giustizia, confligge con la necessità, da molti condivisa, di preservare detti livelli di performance dell'ufficio per il processo, sottolineati a più riprese dallo stesso Ministero di giustizia, nonché dai presidenti delle corti d'appello nei loro discorsi di apertura dell'anno giudiziario;

    inoltre, a seguito dell'interrogazione del 17 gennaio 2023, proposta dall'onorevole Devis Dori alla Camera, lo stesso Sottosegretario di Stato alla giustizia, ha espressamente dichiarato che: «[...] al di là dell'orizzonte temporale del PNRR, sarà compito di questo governo adottare iniziative, anche di natura normativa, per prevedere e disporre la stabilizzazione dei contratti degli addetti presso l'Ufficio per il Processo attualmente in servizio»,

impegna il Governo:

   a definire le modalità, anche attraverso le dovute interlocuzioni con l'Unione europea, attraverso le quali integrare i posti attualmente vacanti;

   a procedere alla stabilizzazione del contingente attualmente in servizio, eventualmente integrato dai nuovi assunti, o in subordine alla proroga degli attuali contratti in corso fino al termine del PNRR, ovvero fino al 2026 con la necessaria trasformazione dei contratti a termine prorogati in contratti a tempo indeterminato, evitando la dispersione delle professionalità acquisite.
9/1238/109. Dori, Zanella, Bonelli, Borrelli, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in fase di conversione regolamenta la decontribuzione, nel senso anticipato già nel DEF 2023: per ridurre il cuneo contributivo, stanzia circa 3,5 miliardi derivanti dal minor deficit previsto per il 2023 rispetto a quanto programmato nella scorsa legge di bilancio;

    la misura è temporanea, con effetti da luglio a dicembre del corrente anno, con la necessità in futuro di procedere al rifinanziamento rivelandosi in sostanza un provvedimento non strutturale;

    il provvedimento, avrà l'effetto di incrementare il reddito netto di 18 milioni di lavoratori dipendenti risultando comunque un intervento settoriale e poco efficace in quanto la redistribuzione della ricchezza non può essere operata pervia fiscale in quanto non produce effetti strutturali ma solo transitori;

    nel DEF 2023 la misura recata dal decreto-legge in esame viene motivata dal fatto che unitamente ad analoghe misure contenute nella legge di bilancio, sarebbe diretta a tutelare il potere d'acquisto dei lavoratori e, al contempo, alla moderazione salariale per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi quindi questo taglio d'imposta è effettuato per evitare che crescano i salari;

    l'Italia è l'unico paese europeo in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990, l'unico dell'area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale reale è diminuito (-2,9 per cento) a fronte di aumenti di oltre il 30 per cento in Francia e Germania e che il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tempo pieno) rappresenta l'83 per cento delle nuove attivazioni con un aumento del 34 per cento negli ultimi 12 anni;

    le ripercussioni di questa situazione, aggravata da molteplici elementi di incertezza, come la guerra, ma anche i rischi legati all'attuazione del PNRR comporta l'erosione del potere di acquisto degli stipendi e pone in condizioni di seria difficoltà i lavoratori e le lavoratrici soprattutto dei ceti bassi e medi;

    un esempio virtuoso viene dal CCNL dei lavoratori metalmeccanici che ha introdotto un meccanismo denominato «clausola di garanzia» che consente di compensare gli effetti dell'inflazione con un aumento proporzionale del salario che ha già portato un aumento medio sui salari di tutti i livelli del 6,6 per cento,

impegna il Governo

a introdurre nel primo provvedimento utile un meccanismo diretto a contrastare la critica perdita del potere d'acquisto dei salari che produca effetti similari a quelli riscontrati in relazione alla cosiddetta «clausola di garanzia» contenuta nel CCNL dei metalmeccanici.
9/1238/110. Fratoianni, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    all'articolo 26 si dispone al comma 1 in relazione al rapporto di lavoro aggiunge il comma 5-bis, all'articolo 1 del decreto legislativo 26 maggio 1997 n. 152, stabilendo che le informazioni di cui al comma 1, lettere h), i), l), m), n), o), p) e r), possono essere comunicate al lavoratore, e il relativo onere ritenersi assolto, con l'indicazione del solo riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie;

    in particolare la lettera p) citata dal comma 5-bis inserito all'articolo 1 del decreto legislativo 26 maggio 1997 n. 152, dispone che se il rapporto di lavoro, caratterizzato da modalità organizzative in gran parte o interamente imprevedibili, non prevede un orario normale di lavoro programmato, il datore di lavoro è tenuto ad informare il lavoratore circa: 1) la variabilità della programmazione del lavoro, l'ammontare minimo delle ore retribuite garantite e la retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantite; 2) le ore e i giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative; 3) il periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell'inizio della prestazione lavorativa e, ove ciò sia consentito dalla tipologia contrattuale in uso e sia stato pattuito, il termine entro cui il datore di lavoro può annullare l'incarico;

    tali obblighi informativi di cui alla lettera p) su quanto concerne il rapporto di lavoro sono stati inseriti a seguito del recepimento della direttiva europea sulle condizioni di lavoro eque trasparenti e prevedibili. Il punto della prevedibilità all'atto della stipula del contratto di lavoro e i conseguenti obblighi informativi hanno l'obiettivo dell'aperto contrasto ai cosiddetti contratti a «zero ore» che si caratterizzano per un obbligo in termini di disponibilità del lavoratore senza vincoli per il datore di lavoro sulla entità e durata della prestazione lavorativa e dei conseguenti obblighi retributivi;

    l'esclusione della lettera p) dalle modifiche introdotte dal decreto-legge in esame si rende necessaria in quanto le informazioni sulle possibili variazioni in gran parte o interamente imprevedibili del normale orario di lavoro programmato vadano formalmente comunicate all'atto della stipula del contratto per l'incidenza che si determinano sulle condizioni di lavoro e non meramente comunicato con il solo riferimento ad un per il datore di lavoro da ritenersi assolto, con l'indicazione del solo riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di provvedere nel prossimo provvedimento successivo a quello in esame alla soppressione della lettera p) di cui al comma 5-bis recato dall'articolo 26, comma 1, del decreto-legge in esame riproponendo così che le possibili variazioni in gran parte o interamente imprevedibili del normale orario di lavoro vadano formalmente comunicate all'atto della stipula del contratto.
9/1238/111. Piccolotti, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    all'articolo 1 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, i commi da 342 a 354 prevedono:

     a) interventi sull'innalzamento dei limiti di utilizzo, della dimensione d'impresa e sul superamento delle specifiche per il settore del turismo e della ristorazione e la possibilità di utilizzo delle prestazioni occasionali alle attività lavorative svolte nell'ambito delle attività di discoteche, sale da ballo, night club e simili di cui al codice Ateco 93.29.1;

     b) in agricoltura si è provveduto a introdurre per il biennio 2023-2024, una nuova disciplina di prestazioni occasionali a tempo determinato con alcune limitazioni qualitative e quantitative estendendo così la precarietà visto anche il venire meno dei limiti economici previsti per il lavoro occasionale e allargando la possibilità di utilizzare il lavoro accessorio a tutte le imprese del settore primario. Inoltre, la durata massima prevista di quarantacinque giorni non giustifica l'occasionalità del rapporto di lavoro, che dovrebbe rimanere circoscritto ad esigenze eccezionali, l'aver introdotto nei fatti una nuova tipologia contrattuale può solo generare competizione al ribasso verso l'ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato e stagionale che normalmente viene attivato in agricoltura;

    con tutta evidenza questi interventi non corrispondono a logiche che prevedano la strada maestra del diritto ad un lavoro stabile e dignitoso, questo in un ambito di interventi del Governo previsti anche dal decreto-legge in esame con i quali si continua a sostenere il lavoro precario e non prevede alcuna una stretta sui contratti a termine,

impegna il Governo

a procedere alla soppressione dei commi da 342 a 354, dell'articolo 1 della legge 29 dicembre 2022, n. 197.
9/1238/112. Evi, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame, approvato dal Governo il 1° maggio e annunciato significativamente come «Decreto lavoro», in realtà, non apporta alcun miglioramento alle condizioni lavorative dei lavoratori e delle lavoratrici, ma, oltre a incentivare il precariato con misure che ampliano le possibilità di utilizzo di contratti a termine e voucher, abroga il Reddito di Cittadinanza, quale misura di contrasto alla povertà universale, e introduce di una misura categoriale che discrimina le persone in condizione di bisogno in base a criteri che prescindono dalla situazione reddituale e patrimoniale, affermando così una nuova frontiera della disuguaglianza attraverso l'adozione di politiche ineguali verso persone in uguale condizione di difficoltà economica;

    la creazione di un doppio binario che distingue chi è ritenuto meritevole di ricevere un sostegno economico e di essere preso in carico per l'attivazione di percorsi di inclusione sociale e lavorativa, da chi è ritenuto colpevole della propria condizione e, pertanto, è sostenuto in misura minore ed esclusivamente se partecipa ad attività di formazione e per un tempo limitato, non tiene in alcuna considerazione le caratteristiche della povertà come fenomeno complesso, che richiede una pluralità di risposte e di interventi, né tiene in alcuna considerazione l'esistenza del lavoro povero;

    il sistema delineato dalle due nuove misure esclude i lavoratori e le lavoratrici povere, tra i 18 e i 59 anni che non appartengano a famiglie con minori, disabili od over 60: di conseguenza, ad esempio, una giovane precaria di 30 anni, pur in possesso dei requisiti richiesti, non riceverà alcun sostegno;

    nessuna delle misure contenute nel provvedimento affronta e tenta la soluzione del profondo divario di genere esistente nel mondo del lavoro in Italia; eppure la parità di genere è un valore fondamentale dell'Unione europea, è un motore riconosciuto per la crescita economica: il principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, o per uno di pari valore, è sancito dai Trattati, a partire da quello di Roma del 1957, ed è previsto oggi dagli articoli 2 e 3 del Trattato dell'Unione europea e dagli articoli 8, 155 e 157 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

    nell'ultima edizione del Gender equality index, il rapporto annuale dell'Istituto europeo per la gender equality (relativa al 2022), emerge come l'Italia si collochi al quattordicesimo posto della classifica, con 65 punti su 100, sotto la media europea che si attesta a 68,6 punti; fra gli indicatori, i peggiori riguardano proprio il lavoro: l'Italia è infatti ultima in Europa per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,2, contro una media europea di 71,76, e un livello di partecipazione femminile al lavoro tra i più bassi (68,1 contro 81,3);

    a rafforzare queste evidenze contribuisce anche il Gender Policies Report 2022, la pubblicazione dell'istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, che ogni anno monitora le differenze di genere nel mondo del lavoro; le statistiche evidenziano che il divario uomo-donna resti immutato nel tempo e sempre sbilanciato sulla componente maschile, perché la partecipazione femminile è ancora oggi ostaggio di criticità strutturali: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici;

    l'ultimo report dell'Istat ha confermato l'effetto devastante che il periodo pandemico ha avuto per le donne, avendo creato un divario che non si è mai più risanato: i dati riportano che su 334 mila occupati in più registrati in un anno (dicembre 2021 vs 2022), 296 mila sono uomini (oltre l'88 per cento) e solo 38 mila le donne; con un tasso di occupazione femminile che si attesta al 51,3 per cento, cioè soltanto lo 0,5 per cento in più rispetto a un anno prima, i tassi di occupazione di uomini e donne continuano a restare distanti (rispettivamente 69,5 per cento e 51,4 per cento), con un gap di genere che sembra immutabile al 18 per cento;

    l'occupazione femminile è particolarmente bassa nel Mezzogiorno e nelle isole, con il 32,2 per cento e il 33,2 per cento: un dato significativo, perché tra le cinque regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono proprio nel Sud Italia;

    anche i dati sul tasso di disoccupazione vedono un divario importante: quella femminile è al 9,2 per cento contro il 6,8 per cento degli uomini, forbice che aumenta per i giovani fra i 15 e i 24 anni con tassi del 32,8 per cento per le ragazze e il 27,7% per i ragazzi; stesso discorso vale per la sfera della non partecipazione che vede ancora penalizzate le donne con un tasso di inattività del 43,3 per cento contro il 25,3 per cento degli uomini;

    pessimi anche i numeri relativi al differenziale retributivo di genere, che ad esempio è più ampio tra i laureati (18 per cento), con una retribuzione media oraria di 19,6 euro per le donne e di 23,9 euro per gli uomini, ma anche tra i dipendenti con un'istruzione primaria (15 per cento), sebbene su livelli retributivi orari decisamente più bassi (10,8 euro le donne e 12,7 euro per gli uomini); più contenuto (10,4 per cento) il GPG associato all'istruzione secondaria – titolo più diffuso sia tra gli uomini che tra le donne – in corrispondenza di retribuzioni orarie di 13,8 euro per le diplomate e di 15,4 euro per i diplomati;

    il gap salariale tende inoltre ad aumentare tra le professioni in cui vi è una minore presenza femminile: tra i dirigenti è pari al 27,3 per cento; tra gli artigiani e operai specializzati è del 18,5 per cento, a fronte di retribuzioni orarie pari a 10,1 euro per le donne e 12,4 euro per gli uomini; per le forze armate è del 18,8 per cento;

    inoltre, una donna italiana occupata su tre (il 32,4 per cento, cioè più di 3 milioni di lavoratrici) ha un impiego part time per potersi occupare dei compiti di cura familiare (figli, anziani); nel caso degli uomini questa percentuale si riduce all'8,5 per cento: il lavoro a tempo parziale è subito per mancanza di alternative da circa 2 milioni di lavoratrici (è involontario per il 60,2 per cento delle donne che hanno un impiego part-time);

    a tutto questo si aggiunge che la cura dei minori, dei familiari anziani, malati o disabili e di altre persone a carico, rappresentano un lavoro supplementare o talvolta a tempo pieno, gratuito e non riconosciuto, quasi esclusivamente delle donne;

   considerato che:

    il diritto alla parità di retribuzione tra donne e uomini per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore è sancito dall'articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dalla direttiva 2006/54/CE sulla parità di retribuzione;

    la trasparenza retributiva basata sul genere è stata inclusa tra le priorità fondamentali della strategia dell'Unione europea per la parità di genere 2020-2025 e il 4 marzo 2021 la Commissione ha pubblicato la sua proposta di direttiva: il Parlamento europeo e il Consiglio, sotto la presidenza ceca, hanno raggiunto un accordo politico il 15 dicembre 2022,1 Parlamento europeo ha adottato la direttiva nella plenaria del 30 marzo 2023;

    il nostro Paese è al quattordicesimo posto in Europa per l'uguaglianza tra i generi e solo il 28 per cento dei manager nel nostro paese è donna, la quota si riduce al 19 per cento se si considera chi ha un contratto da dirigente; l'incremento annuo è bassissimo, pari allo 0,3 per cento: se il trend non cambia la parità di genere effettiva arriverebbe tra 80 anni,

impegna il Governo:

  nel prossimo provvedimento utile, ad adottare concrete e specifiche misure dirette a colmare il grave divario di genere presente nel mondo del lavoro del nostro Paese:

   a colmare l'attuale vuoto normativo riconoscendo il lavoro di cura di minori, familiari anziani, malati o disabili e di altre persone a carico (caregiver);

   a recepire la direttiva europea n. 2021-0050 dell'11 aprile 2023 sulla trasparenza retributiva, adeguando la legislazione nazionale per includere le nuove norme estendendole anche alle aziende con meno di 100 dipendenti.
9/1238/113. Ghirra, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    lo sviluppo della tecnologia, di internet e delle piattaforme digitali ha permesso la creazione di una nuova tipologia di servizi online, accessibili con strumenti informatici e telefonici generando nuove opportunità per imprenditori e consumatori, importanti ricavi per le piattaforme e i prestatori di servizio e l'introduzione di significative trasformazioni nel mondo del lavoro;

    con la digitalizzazione si sono diffuse anche pratiche che hanno sfruttato l'evoluzione tecnologica al fine di accrescere diseguaglianze e sfruttare il lavoro e così, accanto alla sharing economy o economia della condivisione, è nata la «gig economy» che ha stravolto la natura di molte attività lavorative;

    in questo settore, la crescita dei servizi prestati ai clienti è andata purtroppo di pari passo alla diminuzione di salario e tutele nei confronti dei lavoratori, introducendo nuovi rischi sociali causati dalla mancanza di tutele minime che sono alla base di un rapporto di lavoro che possa essere definito dignitoso;

    la gig economy è stata definita come un sistema di lavoro apparentemente free lance, facilitato dalla tecnologia, una forma efficiente di impresa capitalistica, su lavori che scontano flessibilità e intermittenza, come nel caso dei rider;

    il modello di business molto spesso si basa su un vantaggio competitivo ottenuto mettendo sotto pressione il costo del lavoro, con condizioni di lavoro precarie e senza diritti;

    i sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati basati su algoritmi stanno sostituendo man mano funzioni quali l'assegnazione dei compiti e delle istruzioni, la valutazione del lavoro e l'imposizione di sanzioni;

    in questo quadro, la digitalizzazione costringe da un lato a individuare nuovi diritti della persona e dall'altro a declinare in maniera diversa stessi diritti già in capo ai lavoratori, al fine di garantire la tutela della dignità della persona che lavora e l'accesso ai diritti applicabili in materia di lavoro e protezione sociale;

    la piattaforma, se è impresa, deve essere fatta rientrare, dunque, nella fattispecie del datore di lavoro, con la regolamentazione che ne consegue;

    nella gig economy la piattaforma digitale cessa di essere un mero intermediario che eroga solo il servizio della società dell'informazione, per fornire essa stessa il servizio che ne dipende grazie ai prestatori di manodopera che, a loro volta, sono di fatto suoi dipendenti;

    dopo la pandemia, i lavoratori delle piattaforme sarebbero addirittura 570 mila a dimostrazione che si tratta di un mercato in continua espansione, ancor di più in seguito alla crisi Covid;

    quest'attività lavorativa si colloca in una zona grigia tra il lavoro da freelance e quello da dipendente nonostante siano numerosi gli elementi di subordinazione, dall'obbligo di indossare l'uniforme aziendale, all'orario di lavoro concordato, turni prestabiliti, luoghi di partenza prefissati, compensi stabiliti unilateralmente dalla piattaforma, un rapporto di lavoro spesso continuativo, senza trascurare l'elemento del controllo a distanza operato mediante la geolocalizzazione costante e in tempo reale dell'operatore. Tutti elementi che evidenziano che i lavoratori sono sottoposti a una organizzazione del lavoro stabilita dall'azienda;

    per i lavoratori rider vengono meno tutta una serie di tutele economico-normative previsti sia dalla disciplina legale a livello nazionale e sia dai contratti collettivi nazionali del lavoro, per esempio: tutele in materia di salario, orario di lavoro, controllo, libertà sindacali, sciopero, indennità di lavoro e di malattia, sussidi di disoccupazione, congedi parentali e di maternità, invalidità, pensione, copertura per infortuni sul lavoro e indennità per malattie professionali;

    la mancata previsione di un orario di lavoro e la scelta, ricadente sul prestatore del se e quando lavorare e, perfino, di farsi sostituire in caso di impossibilità sopravvenuta per l'esercizio della prestazione di lavoro, non preclude la sussistenza del vincolo di subordinazione, che può essere sempre accertato, dato che, come ha ritenuto la Corte di cassazione, «la predisposizione e l'assoggettamento sono la descrizione del contenuto del rapporto, nel suo materiale svolgimento»;

    l'autodeterminazione del lavoratore di se e quando lavorare o di farsi sostituire non elimina il vincolo di subordinazione se, nel momento dell'esercizio dell'attività di lavoro, è accertata l'eterodirezione e l'etero-organizzazione della parte datoriale;

    inoltre l'app è di per se stessa uno strumento di eterodirezione nella disponibilità del titolare della piattaforma digitale;

    occorre dunque incentivare la contrattazione, anche con riferimento all'individuazione di salari e compensi equi, dignitosi e regolarmente corrisposti da prevedere in contratti e tariffari standardizzati e riconoscendo ai rider le stesse spettanze e tutele dei lavoratori subordinati anche in tema di malattia, ferie, maternità/paternità e accesso ai servizi di previdenza sociale,

impegna il Governo:

  nell'ambito dei percorsi di superamento del precariato e delle forme di lavoro flessibili ad avviare un percorso con le parti sociali finalizzato a definire lavoro subordinato, ai sensi dell'articolo 2094 del codice civile, la prestazione di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici della «gig economy», prevedendo contemporaneamente il divieto di retribuire a cottimo, in tutto o in parte, le prestazioni di lavoro svolte tramite piattaforme, applicazioni e algoritmi elaborati dal datore di lavoro:

   a incentivare la contrattazione collettiva nazionale e decentrata, anche con riferimento all'individuazione di salari e compensi equi, dignitosi e regolarmente corrisposti da prevedere in contratti e tariffari standardizzati e riconoscendo ai rider le stesse spettanze e tutele dei lavoratori subordinati anche in tema di malattia, ferie, maternità/paternità e accesso ai servizi di previdenza sociale.
9/1238/114. Grimaldi, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Mari, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame si propone di intervenire in maniera strutturale sulle politiche attive del lavoro per aumentare stabilmente l'occupazione, diminuire gli effetti dell'inflazione sulle buste paga di tutti i lavoratori;

    in particolare, l'articolo 39-bis si rivolge al settore turistico e alberghiero e introduce nuove misure di detassazione del lavoro notturno e festivo per i dipendenti di questo comparto, al fine di rafforzare l'occupazione anche grazie agli incentivi per aziende che assumono;

    questa disposizione evidenzia ancora una volta l'importanza strategica per l'economia e la società della nostra Nazione di tutti i lavoratori e i professionisti che operano quotidianamente e con grande impegno e fatica nei settori della ricezione, della ristorazione, del turismo;

    è doveroso quindi porre l'attenzione proprio sull'impegno e la fatica fisica e psicologica di figure che operano in questi settori come quelle dei cuochi e dei camerieri;

    da anni, oramai, le ricerche relative alle ripercussioni del lavoro sulle condizioni di salute di cuochi e camerieri dimostrano che c'è una evidente correlazione tra l'insorgere di alcune malattie professionali e il lavoro in cucina e nelle sale;

    quelle dei cuochi e dei camerieri sono categorie di lavoratori che rientrano tra i cosiddetti standing workers, ossia tra coloro che lavorano in posizione eretta, con conseguenti problemi di circolazione sanguigna, dolore agli arti inferiori, dolori muscolari diffusi, mal di schiena, rigidità al collo e alle spalle, ipertensione, a forte rischio di coaguli, trombi. Alla fine del turno di lavoro si registra spesso un'aumentata concentrazione di ROS (reactive oxygen species), agenti in grado di ossidare le membrane cellulari, danneggiare i vasi sanguigni e aumentare la permeabilità vascolare, oltre che a determinare un'insufficienza venosa cronica e una maggiore incidenza di cardiopatia ischemica e arteriosclerosi;

    come anche evidenziano recenti ricerche, quasi la metà dei cuochi e dei camerieri, ha riportato almeno due o più problemi di salute nella vita lavorativa, e la relazione tra le variabili lavorative e lo stato di salute è mediata dagli alti livelli di stress professionale presenti in una percentuale tra il 14 per cento e il 25 per cento. Elementi, questi, predittivi di malattie organiche importanti e pericolose;

    bisogna riconoscere che tutti questi fattori concorrono a fare delle professioni di cuoco e cameriere dei lavori palesemente usuranti;

    è quindi urgente avviare una riflessione sull'esigenza di riconoscere l'esistenza e l'incidenza che tali elementi hanno sulla vita dei lavoratori, per ristabilire la dignità del lavoro sia dal punto di vista economico che sociale, per rendere sostenibile un lavoro che è molto duro e sacrificante, perché proprio il sacrificio, il lavoro e la passione possano essere tradotti in termini di assistenza, previdenza e politiche attive,

impegna il Governo

a proporre l'inserimento, nel primo provvedimento utile, delle professioni di cuoco e di cameriere tra i lavori usuranti riconosciuti anche al fine di favorire l'accesso anticipato al trattamento pensionistico.
9/1238/115. Trancassini, Caretta, Ciaburro.


   La Camera,

   premesso che:

    fin dall'inizio del suo mandato il Governo ha espresso la volontà di rimettere al centro dell'azione politica il lavoro e in coerenza con questa impostazione il decreto-legge n. 48 del 2023 in esame reca misure urgenti per favorire l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro, con particolare riferimento al contrasto alla povertà e al sostegno all'inclusione attiva;

    massima attenzione viene attribuita verso le politiche attive per il lavoro nell'ottica di incentivare l'accesso nel mondo del lavoro del maggior numero di persone possibili, privilegiando altresì un'impostazione proattiva e non assistenziale;

    in quest'ottica annoveriamo, fra gli altri, gli incentivi ai datori di lavoro privati che assumono i beneficiari dell'Assegno di inclusione e del Supporto per la formazione e il lavoro con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o stagionale, pieno o parziale, ai quali è riconosciuto, per ciascun lavoratore (come specificato al Senato), l'esonero dal versamento del 50 per cento dei complessivi contributi previdenziali a loro carico (con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all'Inail);

    il citato richiamo al contratto di lavoro stagionale è un elemento importante in questo provvedimento dal momento che l'Italia è il Paese per antonomasia per le attività stagionali: dall'agricoltura al turismo, dal commercio all'igiene ambientale, sono molteplici gli ambiti ed i settori economici in cui il contratto stagionale è la forma tipica di assunzione;

    legandosi al ciclo delle stagioni e alle aperture periodiche e frazionate delle aziende, il contratto di lavoro stagionale si connota come un contratto a tempo determinato con una presenza sul posto di lavoro spesso limitata a pochi mesi l'anno, generando un forte precariato e una scarsa sicurezza nei soggetti impiegati in termini di riassunzione;

    i contratti stagionali tendono ad influire, in modo fortemente incisivo, anche sui valori occupazionali: generalmente il rapporto tra assunzioni e cessazioni di rapporti cresce in modo progressivo nella prima metà dell'anno, con un picco all'inizio del periodo estivo, coincidente in linea generale con il mese di giugno, mentre nei mesi successivi la maggior parte dei contratti attivati arrivano alla naturale scadenza, generando una netta contrazione dei livelli occupazionali, per poi registrare una ripresa in concomitanza con il mese di settembre e un secondo picco nel mese di dicembre;

    per garantire una sorta di continuità presso lo stesso datore di lavoro e nello svolgimento delle stesse mansioni, anche ai fini di una migliore e crescente professionalità, il lavoratore stagionale gode del diritto di precedenza per le future assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro e per le stesse attività stagionali, in realtà, però in un contesto frammentato e denso di precariato come quello delle attività stagionali, sarebbe necessario intervenire in modo più incisivo, con degli strumenti che possano mettere al sicuro i dipendenti stagionali e garantire continuità e professionalità anche alle stesse realtà aziendali;

    in tale contesto risulta di indubbia utilità la possibilità di condividere risorse umane e relative conoscenze e competenze, mettendole al servizio di altri datori di lavoro nei momenti in cui l'azienda presso cui hanno operato in precedenza i lavoratori stagionali è chiusa o comunque non necessita di ulteriori risorse;

    sulla base di questo ragionamento si fonda il concetto di rete di impresa e di co-datorialità, con lo scopo di creare una condivisione di risorse umane durante tutto l'arco dell'anno;

    in tal modo, ad esempio, le aziende ad apertura invernale potrebbero sopperire all'assunzione di quei lavoratori impiegati in aziende con tipica apertura estiva, offrendo loro continuità e stabilità, per tornare ad essere impiegati nell'azienda di origine una volta tornata l'esigenza. Il meccanismo può funzionare in tutte quelle aziende che presentano un'alternanza tra attività e inattività lavorativa dovuta al ciclo delle stagioni, indipendentemente dal settore in cui operano;

    sono innegabili i benefici che produrrebbe l'introduzione dello strumento della co-datorialità nei rapporti di lavoro stagionale, tra i quali la continuità lavorativa e stabilità, la maggior certezza dei rapporti di lavoro, l'ottimizzazione dei tempi e costi di ricerca, selezione ed assunzione, nonché un positivo impatto in termini di riduzione della spesa pubblica relativa al pagamento di cassa integrazione e disoccupazione;

    strumento indispensabile per la realizzazione dello strumento della co-datorialità sopra citato una volta costituita la rete, l'interscambio di risorse andrebbe regolamentato attraverso la creazione di una piattaforma telematica, in forma di banca dati digitale o portale informatizzato, che permetta l'incontro tra domanda e offerta, rispondente ai criteri di semplificazione, efficacia ed efficienza;

    ricadute positive si avrebbero anche in relazione alla difficoltà di assunzione che le imprese in cui l'attività stagionale è preminente hanno riscontrato nel post pandemia e che tutt'ora in alcuni comparti, come quello del turismo, incide pesantemente,

impegna il Governo

ad intraprendere tempestive iniziative, anche di carattere normativo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, al fine di mitigare le sopraesposte criticità delle attività di carattere stagionale attraverso l'introduzione di un sistema di co-datorialità, prevedendo altresì in tale contesto la creazione di una piattaforma telematica, in forma di banca dati digitale, che permetta l'incontro tra domanda e offerta, rispondente ai criteri di semplificazione, efficacia ed efficienza.
9/1238/116. Zucconi, Caretta, Ciaburro, Almici.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 23 del decreto-legge 48 del 2023, nella formulazione approvata dal Senato in sede di conversione, modifica la norma dell'articolo 2, comma 1-bis, del decreto-legge n. 463 del 1983, che disciplina le sanzioni amministrative pecuniarie per l'omissione di versamento dei contributi di previdenza e assistenza sociale da parte dei datori di lavoro per un importo non superiore a 10.000 euro. La novella interviene sui limiti minimi e massimi delle sanzioni (a legislazione previgente previsti rispettivamente in 10.000 e 50.000 euro), commisurandoli all'importo omesso (rispettivamente 150 per cento e 400 per cento) (comma 1);

    per le violazioni riferite ai periodi di omissione dal 1° gennaio 2023, gli estremi della violazione devono essere notificati entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell'annualità oggetto di violazione (comma 2). La disposizione prevede una deroga a quanto disposto dall'articolo 14 della legge n. 689 del 1981, che individua i tempi della notifica in massimo 90 giorni dall'accertamento in caso di contestazione non immediata e in 360 giorni nel caso di soggetti residenti all'estero. Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica;

    la relazione tecnica afferma che le disposizioni in esame intendono mitigare la sanzione amministrativa da irrogare in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali di importo fino a euro 10.000 annui applicando una sanzione amministrativa pecuniaria da una volta e mezzo l'importo omesso fino a quattro volte il medesimo importo. Dai dati forniti dalla DC entrate dell'istituto risulta che le omissioni fino a tutto il 2019, notificate ma non sanate nei tre mesi successivi e non superiori a 10.000 euro, sono circa 1.035.000;

    l'importo medio omesso risulta di circa 465 euro;

    la relazione tecnica evidenzia, inoltre, che l'attuale regime sanzionatorio particolarmente severo rende poco probabile l'incasso di importi consistenti soprattutto in periodi di difficoltà economica, diversamente con sanzioni più moderate si renderebbe più esigibile il credito con effetti finanziari migliorativi;

    pertanto, si ritiene che la disposizione non produca effetti negativi per la finanza pubblica in termini di minori entrate. Il Governo, con Nota presentata durante l'esame al Senato, ha affermato che la mitigazione della sanzione amministrativa risponde anche alla necessità di superare le criticità in materia di proporzionalità delle sanzioni amministrative, rispetto alla condotta contestata, come già evidenziato dalla stessa Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenza 8 marzo 2022, causa C-205/20). In tale contesto è stata sottolineata l'esigenza di garantire un'effettiva graduazione della sanzione amministrativa rispetto alla «gravità della violazione», specie nei casi in cui l'omissione contributiva sia di esiguo valore;

    l'assenza di graduazione ha costituito fin qui oggetto di contestazione e valutazione sfavorevole nei confronti dell'INPS in sede di giudizi di opposizione alle ordinanze ingiunzione, al punto da far sollevare ai giudici del lavoro di Verbania e di Brescia questioni, ritenute rilevanti e non manifestamente infondate, di legittimità costituzionale della disposizione previgente, per contrarietà all'articolo 3 della Costituzione. L'assenza di graduazione è tale che la sanzione amministrativa pecuniaria per l'omesso versamento di ritenute previdenziali da parte del datore di lavoro (anche se minimo), vale non meno di 10.000 euro a prescindere dalla misura dell'inadempimento contributivo, che potrebbe essere anche di solo di 100 euro;

    pertanto, per una piccola azienda tali somme possono essere dirimenti al fine del mantenimento o della liquidazione dell'attività con scarsissima probabilità di effettivo recupero del debito da parte dell'istituto. Attualmente le omissioni sotto i 500 euro rappresentano circa il 70 per cento del totale e il loro recupero è stato minimo il che dimostra che l'attuale disciplina delle sanzioni amministrative non favorisce il recupero dei contributi e delle sanzioni;

    la norma, pertanto, introduce una opportuna disciplina di graduazione delle sanzioni amministrative prevedendo quale elemento di commisurazione il parametro dell'importo omesso, con l'effetto anche di ridurre il contenzioso amministrativo e giurisdizionale in materia con conseguenti risparmi;

    la norma però non è precisa nel prevedere anche una sua applicazione retroattiva di tale disciplina sanzionatoria, pur indicando nella relazione il richiamo al principio sancito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 193 del 6-20 luglio 2016 di retroattività del regime sanzionatorio più favorevole in specifici ambiti ma richiamando la necessità di meglio precisare ed esplicitare tale principio in un successivo intervento normativo,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di inserire nel prossimo provvedimento utile, inerente la materia previdenziale, una norma che espliciti la retroattività della norma di cui all'articolo 23 del decreto-legge n. 48 del 2023, così come indicato in premessa.
9/1238/117. Coppo, Comba, Schifone, Volpi, Giovine, Zurzolo, Mascaretti, Malagola, Ambrosi, Amich, Caretta, Ciaburro, Almici.


   La Camera,

   premesso che:

    sono quasi 90 mila lavoratori transfrontalieri italiani che lavorano nella vicina Svizzera;

    il protocollo aggiuntivo siglato congiuntamente all'Accordo tra il Governo italiano e la Confederazione elvetica relativo alle imposizioni fiscali dei lavoratori frontalieri e che ne è parte integrante, prevede:

     a) al punto 2, che al lavoratore frontaliere è consentito di non rientrare quotidianamente al proprio domicilio per 45 giorni all'anno;

     b) al punto 3 che «in relazione a un potenziale ulteriore sviluppo del telelavoro, gli Stati contraenti si consulteranno periodicamente se si rendono necessarie modifiche al punto 2» e che «resta salva la facoltà di concordare con procedura di amichevole composizione dell'interpretazione o dell'applicazione dell'accordo in relazione al telelavoro»;

    il ricorso generalizzato al cosiddetto «telelavoro» è stato introdotto durante la pandemia come una misura di carattere emergenziale, ma il mondo del lavoro è cambiato e si è evoluto in sintonia con questa innovazione, tanto che anche la legislazione eurounitaria si sta muovendo nella stessa direzione;

    nel periodo pandemico, un accordo amichevole firmato da Svizzera e Italia ha effettivamente permesso maggiore flessibilità per i lavoratori e le imprese, consentendo di usufruire del telelavoro e questo ha comportato anche una modifica dei flussi di lavoro e dell'organizzazione interna delle imprese, che in oltre due anni e mezzo si sono consolidati ed efficientati;

    il 22 dicembre 2022 i rappresentanti dei due paesi hanno convenuto di non rinnovare questo accordo amichevole oltre il 31 gennaio 2023, e un emendamento governativo al provvedimento in esame si è limitato a prevedere una piccola proroga fino al 30 giugno 2023;

    in data 1 febbraio 2023 il Ministro Giancarlo Giorgetti, rispondendo all'atto di sindacato ispettivo n. 3/00142, ha affermato che la controparte elvetica avrebbe manifestato «la propria disponibilità al dialogo per definire a breve la possibilità di utilizzare a regime la nuova modalità di prestazione dell'attività lavorativa sperimentata durante il periodo della pandemia anche dopo la cessazione del periodo emergenziale», dichiarandosi altresì «fiducioso che questo dialogo, nella più ampia cornice delle misure a tutela dei lavoratori previste dall'accordo del 2020. consentirà di giungere, in tempi rapidi, alla regolazione anche delle prestazioni di lavoro da remoto»;

    effettivamente, il 20 aprile scorso la consigliera federale Karin Keller-Sutter e il Ministro delle finanze italiano Giancarlo Giorgetti hanno firmato una dichiarazione politica sul fatto che l'Italia avrebbe tolto la Svizzera dalla cosiddetta black list del 1999 e che si era trovata «una soluzione transitoria in merito all'imposizione del telelavoro per i lavoratori frontalieri valida fino al 30 giugno 2023», che corrisponde esattamente al contenuto del citato emendamento governativo;

    la relazione che accompagna l'emendamento ribadisce l'intenzione di risolvere la questione in modo permanente, riconoscendo quindi l'impatto minimale della disposizione, almeno per quel che riguarda gli interessi della parte italiana;

    eppure, in sede di conversione del cosiddetto decreto proroga termini, il Governo aveva dato parere favorevole all'ordine del giorno n. 9/888/5 che impegna il Governo a «introdurre con la massima urgenza disposizioni atte a garantire il ripristino delle disposizioni cessate il 1° febbraio 2023, al fine di tutelare i lavoratori transfrontalieri»,

impegna il Governo

a mettere in atto ogni iniziativa che consenta di sottoscrivere un nuovo accordo amichevole, che, in applicazione di quanto previsto dal punto 3 del protocollo aggiuntivo di cui in premessa, possa dare concretezza ai numerosi impegni già assunti e ripristinare senza scadenza temporale le disposizioni sul telelavoro dei transfrontalieri.
9/1238/118. Gadda.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 39 del presente decreto-legge prevede «per i periodi di paga dal 1° luglio 2023 al 31 dicembre 2023, l'esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore, determinato ai sensi dall'articolo 1, comma 281, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 è incrementato di 4 punti percentuali, senza ulteriori effetti sul rateo di tredicesima»;

   considerato che il taglio dei contributi a carico dei lavoratori viene originariamente introdotto dalla legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di Bilancio 2022) la quale, all'articolo 1, comma 121, esclude tassativamente i rapporti di lavoro domestico;

   considerato che il lavoro subordinato domestico è l'unica tipologia di lavoro subordinato esclusa da tale beneficio, essendo tutte le altre comprese nell'esonero;

   considerato che i lavoratori domestici regolari nel 2022 sono 894.299, in diminuzione di 76.548 unità rispetto all'anno 2021, probabilmente in gran parte confluiti nel lavoro nero;

   considerato che la scorretta competizione tra lavoro nero e lavoro regolare si basa anche sulla differenza tra le retribuzioni nette percepite in entrambi i casi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di includere il settore del lavoro domestico nell'abbattimento del cuneo fiscale e previdenziale.
9/1238/119. Del Barba.


   La Camera,

   premesso che:

    il settore del lavoro domestico, secondo l'ultimo Report dell'Osservatorio INPS sui lavoratori domestici presentato il 21 giugno 2023, nel 2022 ha subito un decremento rispetto al 2021 pari a – 7,9 per cento, registrando 894.299 lavoratori domestici contribuenti all'INPS (-76.548 rispetto all'anno precedente);

    considerato che circa il 70 per cento dei lavoratori è di origine extracomunitaria ma, nonostante ciò, il settore del lavoro domestico viene escluso da 12 anni dai Decreti Flussi;

    considerato che le famiglie non sono imprese e non possono rivolgersi ai centri per l'impiego dato che questi non sono gli enti preposti al collocamento in questo settore, considerando che è l'INPS a gestire le assunzioni dei lavoratori domestici;

    considerato l'invecchiamento della popolazione ed il conseguente aumento del fabbisogno di manodopera aggiuntiva, che secondo lo studio «Il fabbisogno aggiuntivo di manodopera straniera nel comparto domestico. Stima e prospettive» a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS per Assindatcolf, corrisponde a 23mila nuovi lavoratori non comunitari l'anno, 68 mila nel triennio 2023- 2025,

impegna il Governo

a considerare la possibilità di introdurre una disciplina dei rapporti di lavoro domestico che consenta un migliore incrocio tra la domanda e l'offerta di tale prestazione lavorativa, anche in rapporto ai lavoratori di origine straniera, venendo così incontro alla domanda delle famiglie, largamente superiore rispetto all'offerta disponibile nel mercato del lavoro interno.
9/1238/120. Bonetti, Gadda.