ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00688

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 723 del 11/07/2022
Abbinamenti
Atto 1/00681 abbinato in data 12/07/2022
Atto 1/00684 abbinato in data 12/07/2022
Atto 1/00689 abbinato in data 12/07/2022
Atto 1/00692 abbinato in data 12/07/2022
Firmatari
Primo firmatario: SAPIA FRANCESCO
Gruppo: MISTO-ALTERNATIVA
Data firma: 11/07/2022
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BARONI MASSIMO ENRICO MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
VOLPI LEDA MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
CABRAS PINO MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
COLLETTI ANDREA MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
CORDA EMANUELA MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
FORCINITI FRANCESCO MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
GIULIODORI PAOLO MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
MANIERO ALVISE MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
RADUZZI RAPHAEL MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
SPESSOTTO ARIANNA MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
TRANO RAFFAELE MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
VALLASCAS ANDREA MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022
VIANELLO GIOVANNI MISTO-ALTERNATIVA 11/07/2022


Stato iter:
IN CORSO
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO PARLAMENTARE 12/07/2022
Resoconto GEMMATO MARCELLO FRATELLI D'ITALIA
Resoconto PAOLIN GIUSEPPE LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto FURGIUELE DOMENICO LEGA - SALVINI PREMIER
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 12/07/2022

DISCUSSIONE IL 12/07/2022

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 12/07/2022

Atto Camera

Mozione 1-00688
presentato da
SAPIA Francesco
testo presentato
Lunedì 11 luglio 2022
modificato
Martedì 12 luglio 2022, seduta n. 724

   La Camera,

   premesso che:

    la legge 8 novembre 2000, n. 328, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, sottolinea il principio di coordinamento ed integrazione con gli interventi sanitari, precisa la necessità di una concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali che partecipano alla realizzazione della rete di servizi (Asl) per le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria comprese nei livelli essenziali del Ssn e comuni, titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali). Ai comuni spetta l'esercizio delle attività di programmazione, organizzazione della rete dei servizi e quindi provvedono al rilascio delle autorizzazioni e dell'accreditamento;

    il decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 308, è il regolamento concernente i «requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell'articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328» indicando le 4 tipologie di strutture socio assistenziali;

    negli ultimi decenni si è assistito ad un progressivo allungamento della speranza di vita con conseguente aumento della popolazione con più di 65 anni. Questa ampia fascia di popolazione esprime bisogni assistenziali differenziati e complessi che richiedono la necessità che i servizi sociali, assistenziali, sanitari e socio sanitari si colleghino e integrino tra di loro per fornire risposte articolate e differenziate, adeguate a ciascuno anziano. È sempre più evidente come la risposta a questi bisogni così articolati non possa più essere rappresentata dal ricovero presso strutture di tipologia riconducibile al classico presidio ospedaliero che ha rappresentato, e ancora viene ritenuto impropriamente da gran parte della popolazione il principale punto di riferimento e di risposta ai bisogni di salute. A questo proposito, è necessario e non più rinviabile darsi quale obiettivo principale il perseguimento di obiettivi consistenti nello sviluppare uno strutturato sistema di servizi territoriali e di prossimità rivolti agli anziani, rafforzando l'autonomia individuale allo scopo di prevenire la non autosufficienza, mantenendo il più possibile la persona nel proprio contesto famigliare, nella propria abitazione, assicurando quando necessario, l'assistenza qualificata nel luogo più appropriato: a domicilio;

    è importante distinguere le differenze esistenti tra le diverse forme di assistenza partendo da che cosa sia una casa di riposo, che è quella struttura che accoglie ospiti almeno parzialmente autosufficienti, che abbiano bisogno di un'assistenza non continua. Trattandosi di ospiti parzialmente autosufficienti, il personale medico non è presente 24 ore su 24, ma si può contare sulla presenza del personale infermieristico. Nelle case di riposo, infatti, è garantita l'assistenza tutelare e infermieristica, così come l'eventuale somministrazione di farmaci. Una sostanziale differenza tra casa di riposo e residenze sanitarie assistenziali è visibile nella sistemazione. La gestione della casa di riposo può essere privata (con pagamento a carico totale o parziale dell'ospite) o pubblica, con accesso tramite la richiesta presso l'ufficio dei servizi sociali del comune. Le Rsa sono strutture socio-sanitarie dedicate ad anziani non autosufficienti, che necessitano di assistenza medica, infermieristica o riabilitativa, generica o specializzata. Nelle Rsa è prevista la presenza di un medico 24 ore su 24, un terapista ogni 40 ospiti e un infermiere ogni 5. Proprio perché gli ospiti della Rsa non sono autosufficienti, è necessaria la costante presenza medica e infermieristica, oltre che un aiuto continuativo per garantire lo svolgimento delle attività quotidiane, come per l'igiene personale. Per quanto riguarda la retta, nel caso della Rsa privata, il pagamento è totalmente a carico dell'ospite o dei familiari; nel caso di struttura pubblica, è possibile concordare l'accesso con l'ufficio dei servizi sociali del comune. Vi è un ulteriore differenza tra casa di riposo, Rsa e case di cura, le quali ospitano anziani parzialmente autosufficienti affetti da patologie acute. Trattandosi di residenze private, il pagamento delle case di cura è sempre a carico dell'ospite o dei familiari;

    è recente l'appello della «Società italiana di gerontologia», il quale indica la necessità di promuovere una cultura e un approccio geriatrico presso i medici di medicina generale e nei servizi domiciliari e nelle Rsa. Purtroppo, nella maggior parte delle case di riposo, dove la presenza di persone anziane con quadri clinici di morbilità e di polipatologie croniche è ormai prevalente, si registra una carenza strutturale di personale infermieristico, mediamente del 30 per cento con punte percentuali preoccupanti che mettono in crisi la gestione dei servizi e la qualità delle cure, così come un'organizzazione sanitaria non continuativa e poco efficace, laddove la stessa si articola intorno ai medici di medicina generale, in luogo del medico fisso di struttura e del direttore sanitario. Nell'appello si auspica che la proposta del geriatra vada nella direzione di una qualificazione e continuità delle cure mediche all'interno delle Rsa, che potrebbe rendere tali strutture maggiormente attrattive anche per gli infermieri. Naturalmente, le problematiche delle cure e dell'assistenza dell'invecchiamento della popolazione sono più complesse e l'introduzione della figura del geriatra, per quanto utile, da sola non può essere risolutiva, in particolare modo a livello territoriale. Qui devono invece trovare piena realizzazioni i nuovi modelli e strumenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ovverosia le Cot, le Case della comunità e gli Ospedali della comunità che sono strutture a bassissima intensità medica e ad alta intensità assistenziale infermieristica. Ciò potrebbe produrre una reale presa in carico del paziente fragile e anziano, in particolare da parte del medico di medicina generale e del distretto sanitario, veri snodi decisivi della piattaforma di riforme da adottate con il Pnrr. In questa prospettiva, sempre secondo l'appello, il medico di medicina generale diventerebbe il responsabile clinico del paziente, supportato da una serie ormai ineludibile di professionalità, oltre a quella del geriatra, ovvero cardiologi, diabetologi, pneumologi, neurologi, riabilitatori. Tutto ciò deve essere completato dalla rete dei servizi sociali dei comuni. Solo così, secondo la «Società italiana di gerontologia», diminuiranno gli accessi in pronto soccorso, non saranno occupati posti letto ospedalieri, ci sarà maggiore turn over nei servizi intermedi territoriali e più assistenza a domicilio. In questo modo sarebbe possibile preservare più a lungo l'autonomia delle persone e la loro permanenza a domicilio;

    la questione delle case di riposo, delle Rsa e delle Ra, necessita di una profonda riflessione che non può più essere rimandata per ciò che attiene alla riorganizzazione delle strutture e all'avvio di controlli più serrati che disincentivino situazioni di maltrattamento al punto di violare, in alcuni casi, i diritti umani di chi vi alloggia. Purtroppo, per gli anziani il passaggio da una condizione di autonomia, ad una di forte dipendenza avrebbe in sé la miccia del maltrattamento che si articola in diverse forme, ossia da quello fisico a quello psicologico-emotivo, da quello economico (come i furti) fino ad arrivare all'incuria e all'abbandono dell'assistito. Il rischio di essere esposti al maltrattamento ha a che fare profondamente con il processo di re-istituzionalizzazione delle strutture preposte e con la conseguente «banalizzazione» dell'assistenza, a detta di Luca Fazzi, docente di sociologia e ricerca sociale presso l'Università di Trento, il quale si riallaccia all'analisi del sociologo canadese Erving Goffman; costui affermava che: «...bisogna fare attenzione a quello che ogni istituzione totale porta con sé che è rappresentato dal "dramma del self"». Fazzi afferma che: «...se noi consideriamo la giornata tipo di un anziano, all'interno di una struttura, ciò che accade sono una serie di episodi che si ripetono, provocando una grossa frattura tra il prima e il dopo. Questo comporta una riorganizzazione della propria identità in condizioni estremamente precarie di salute fisica e cognitiva...». Vi sono alcuni indicatori di rischio maltrattamento, che sono: l'assenza di monitoraggio degli eventi sentinella; operatori privi di formazione e a rischio burnout (stress); numeri di piani assistenziali non aggiornati sul totale; elevati tassi di entrata, nonché il numero di ospiti senza visite familiari. «Oggi molti direttori sanitari continuano a limitare le visite, nonostante le vaccinazioni. Il risultato è che da due anni un gran numero di anziani è in condizioni di assoluta esposizione a rischio maltrattamento», evidenziando «non solo la forte dismissione delle politiche sociali, ma anche il carattere più organizzativo che individuale del maltrattamento». Gli standard delle strutture, dunque, sono diventati così meccanicizzati da perdere di vista le persone con i loro bisogni: «(...) Il lavoro per compiti va per la maggiore, ma non è efficiente: chi gestisce le RSA, infatti, spesso e volentieri ha delle competenze parziali,» osserva Fazzi, «bisognerebbe invece investire al massimo sulla capacità di auto osservazione e riflessività: concetti che vengono sempre meno in organizzazioni pensate come erogatori di assistenza (...)»;

    al fine di contrastare il maltrattamento, secondo Fazzi, la formazione è importante ma non basta, perché si dovrebbe puntare su piani di intervento integrati, che funzionino con il coinvolgimento attivo del personale, il quale deve essere trattato in maniera adeguata. Tant'è che chi lavora in queste strutture «(...) fa un lavoro duro, in condizioni di stress fortissimo e ha salari estremamente bassi. Quando si toglie valore alle persone, queste si sviliscono e tendono a svilire anche gli altri, intenzionalmente o meno (...)». La proposta del docente è dunque quella di «(...) portare la focalizzazione sul fattore umano attraverso la ricerca e l'advocacy. Nei prossimi anni il tema del maltrattamento diventerà esplosivo per una serie di motivi e allora sarà necessario intervenire (...)»;

    da alcuni anni il sistema sanitario e sociosanitario italiano si era orientato principalmente per affrontare quella che sembrava la sfida prevalente: la presa in carico delle persone affette da patologie croniche. La progressiva e costante diminuzione dei posti letto in ospedale e la conversione degli stessi in strutture dedicate all'emergenza e alle acuzie non rispondeva soltanto ad esigenze di tenuta dei conti pubblici, da ottenere peraltro con misure che hanno messo sotto stress il sistema dei servizi in modo eccessivo, soprattutto per quanto riguarda il blocco delle assunzioni e gli investimenti, ma aveva anche delle basi epidemiologiche e demografiche; il necessario rifinanziamento del fondo sanitario non avrebbe cambiato l'orientamento generale del sistema;

    questo insieme di certezze è stato fortemente messo in discussione se non del tutto travolto dalla pandemia. Due dei pilastri assistenziali del modello, gli ospedali per acuti e le specialistiche e le residenze per gli anziani non autosufficienti, hanno dovuto affrontare una crisi imprevista. Improvvisamente, è appalesata la carenza dei posti letto in ospedale, non solo di terapia intensiva, ma anche ordinari, dovendo organizzare gli spazi e l'assistenza in modo da separare bene i pazienti affetti dal virus dai restanti reparti di degenza; altrettanto improvvisamente ci si è trovati di fronte alle difficoltà di contrastare efficacemente e prontamente il diffondersi del virus nelle strutture residenziali per anziani, strutturalmente meno modificabili sia dal punto di vista degli spazi che organizzativo;

    le residenze per anziani rappresentano una offerta di servizio relativamente recente e che è diventata sempre più rilevante a causa dei profondi cambiamenti sociali in atto ormai da diversi anni con un progressivo allentamento della capacità della risposta familiare, nonostante l'assistenza domiciliare rappresenti sempre la prima opzione da prendere in considerazione. In Italia esistono molte strutture residenziali per anziani al punto che non è possibile racchiuderle tutte nel modello Rsa per la loro forte differenziazione in termini di organizzazione di spazi, setting assistenziale, target di persone potenzialmente coinvolte, tipo di gestione, che va dal privato puro all'interamente pubblico, passando da molte altre forme;

    durante la fase più acuta della pandemia, sono state proprio le residenze per anziani ad essere più colpite; vi si è registrato, infatti, un numero elevatissimo di contagi e di decessi; in alcune strutture il virus si è diffuso fino ad infettare quasi tutti i ricoverati e moltissimo del personale impegnato nell'assistenza, il che interroga fortemente sul modello, o forse sarebbe meglio dire sui modelli di residenzialità per le non autosufficienze, così come li abbiamo conosciuti nel corso degli ultimi anni e sulla loro capacità di adattarsi in fretta al mutare del contesto sanitario, come invece, sia pure con difficoltà, è stato fatto nelle strutture ospedaliere;

    lo scenario epidemiologico delineato a livello italiano ed europeo in relazione alla diffusione del COVID-19, mette in primo piano la fragilità e i rischi della fascia di popolazione rappresentata da persone anziane e affette da gravi patologie neurologiche, croniche e fortemente invalidanti, residenti presso le strutture sociosanitarie;

    lo studio condotto dall'Istituto superiore di sanità (Iss) nell'aprile del 2020 in circa mille Rsa italiane riporta che dal primo febbraio al 14 aprile ci sono state in totale 6.773 persone decedute: di queste 364 erano risultate positive al tampone e 2.360 avevano presentato sintomi simil-influenzali. In sintesi, il 40,2 per cento del totale dei decessi ha interessato gli ospiti con riscontro di infezione da SARS-CoV-2 o con manifestazioni simil-influenzali;

    questa allarmante situazione di emergenza sanitaria ha reso necessaria una riflessione sulle strategie intraprese a livello nazionale e regionale per la prevenzione e il controllo dell'epidemia nelle Rsa, ovvero i contesti maggiormente esposti al rischio di infezione da Coronavirus, poiché gli anziani ospiti, oltre ad avere i fattori di rischio sopra riportati, sono generalmente più vulnerabili alle infezioni rispetto alla popolazione generale;

    i dati disponibili sulla condizione delle persone anziane nel nostro Paese, sono frastagliati e non aggiornati agli eventi a strascico della pandemia, non si possono e si devono dimenticare i migliaia di meno giovani morti in queste strutture, in totale solitudine, qual è stata la solitudine del morente, che rappresenta il tema centrale del dibattito che dovrebbe aprirsi nel nostro Paese, a cominciare dal vivere la longevità in maniera differente e del non istituzionalizzare queste strutture che vanno superate con un approccio «basagliano». Sarebbe importante che il Governo avviasse delle indagini socio-conoscitive al fine di avere il quadro nazionale del fenomeno dell'invecchiamento della popolazione (non riferendosi soltanto ai dati statistici dei numeri), per soffermarsi poi sui livelli e sulle dinamiche che hanno portato all'ospedalizzazione, e in particolare sullo schema di presa in carico delle persone anziane con problemi di salute. Si stima che le persone all'interno di queste strutture siano intorno alle 300 mila;

    è necessario intervenire, a seguito di una fotografia aggiornata, sui bisogni della longevità e della non autosufficienza, per costruire dei modelli sociali e organizzativi che superino tale impostazione istituzionalizzata del tema come sta avvenendo in alcuni Paesi del Nord Europa, dove si è capovolto lo schema, ossia non più tempi cadenzati come quelli ospedalieri ma la partecipazione attiva nell'organizzare la quotidianità del sociale condividendo desideri (farli propri e realizzarli), abitudini strutturate in anni di vita, gusti e sapori (si è centralizzato il cibo con cucine e cibi standardizzati), rispettare i ritmi e i tempi nella ricchezza delle differenti percezioni del tempo e dello spazio in cui si vive, dando vita a forme organizzative di co-housing. Oggi le strutture per anziani vengono gestite in base a economie di scala che ragionano sui grandi numeri e sui tagli alle spese, con l'aggravante che, accorpando queste grandi strutture, le persone che ci lavorano diventano sempre meno;

    nell'accogliere un anziano bisognerebbe accogliere la sua storia prima di tutto, chi era, cosa faceva, cosa vuol fare, prendere le singole specificità di ognuno rendendolo partecipe di una logica di comunità e non di separazione/segregazione. L'anziano viene gestito nella sua metodica fisiologica, cioè nei cambi per l'igiene intima come una cadenza temporale fissa e ripetitiva; avviene il livellamento della sua personalità, delle sue ricche spigolosità che consentirebbero la conoscenza del soggetto; bisognerebbe cercare di mantenere il più possibile la sua autonomie avvicinandolo ad uno spirito di famiglia e alla gioia degli abbracci;

    le stanze di queste strutture sono anonime, standardizzate ad una semantica visiva e funzionale che è l'anticamera della depressione, della negazione dell'individuo che anticipa la proiezione del fine vita. Sarebbe fondamentale capire quanti sono coloro che si sono lasciati andare via nella loro solitudine interiore, del sentirsi degli oggetti reietti, del lasciarsi morire, perché rifiutano il cibo insapore e senza anima. Una società che invecchia, come la nostra, deve trovare dei modi alternativi di vivere la longevità e di gestire la non autosufficienza. Bisogna favorire delle soluzioni che rendano possibile la vita autonoma, il più a lungo possibile nel proprio territorio, a casa propria, nel proprio contesto familiare. Si tratta di trovare una serie di soluzioni che servano a superare questa dicotomia tra: «sono a casa mia, in salute e perfettamente autosufficiente» e «finisco in una struttura»;

    ci sono però modelli alternativi che si vedono all'estero o nel nostro territorio in alcune buone pratiche, quali ad esempio, le varie forme di co-housing, di condomini assistiti, forme di vita che consentano anche una socialità ricca, in quei periodi in cui non si è completamente autosufficienti, in cui si ha un bisogno maggiore di essere tutelati nella propria salute. Si possono creare dei condomini con delle forme di assistenza da parte di medici e infermieri e una serie di servizi che possono essere erogati all'occorrenza, singoli appartamenti che dovranno essere concepiti in maniera diversa, all'interno del quale la persona sa che può essere seguita da remoto, monitorata, in modo che la rete familiare o un caregiver possa intervenire. La domotica e le forme alternative di vita come il co-housing potrebbero essere la risposta. A ciò si aggiunge la necessità di investire sulla qualificazione professionale di queste persone, e anche degli assistenti familiari, uscendo anche da questo universo disordinato delle badanti non qualificate e in nero. Tutto ha origine nella mancanza di investimento di risorse nella non autosufficienza, che andrebbe completamente rimodulato all'origine. Le persone che si occupano di una persona non autosufficiente sono sole, e possono disporre solo di uno strumento obsoleto come un'incapiente indennità mensile;

    è fondamentale adottare una norma che dia un timing per il superamento di queste strutture che, da case di riposo o Rsa, dovranno essere trasformate in case d'accoglienza privilegiando quei modelli che, come illustrato, riportino al centro l'individuo nella sua socialità, stabilendo anche che non ci debbano essere più di 15 persone, avere una cucina in condivisione con gli altri ospiti della struttura e un rapporto non istituzionalizzato tra gli ospiti e gli operatori. Quello che sta avvenendo è che, per esempio, la crisi del settore alberghiero sta inducendo molti imprenditori a trasformare gli alberghi in residenze per anziani, con 40-50 camere, andando verso strutture da 100 persone. Questa tendenza compromette seriamente il superamento delle Rsa che rischiano di diventare il fulcro del nostro sistema di assistenza (o meglio di pseudo-assistenza), lasciando invece debole e disarticolato il territorio e la prossimità degli affetti. Servono strutture che siano in grado di tenere in equilibrio strutture più aperte, capaci di dialogare col territorio, smettendo di concepire la terza età come un compartimento stagno,

impegna il Governo:

1) a porre in essere tutte le opportune e necessarie iniziative di competenza al fine di:

  a) ridurre sempre più il ricorso alle strutture illustrate in premessa ad opera delle famiglie, promuovendo forme di assistenza domiciliare e di prossimità e attivando un vero modello di welfare locale congiuntamente ai comuni;

  b) de-istituzionalizzare i modelli assistenziali per la terza età, prendendo quale spunto i modelli del co-housing e dei condomini assistiti, affinché nel corso di 5/7 anni si possa giungere al superamento dell'attuale approccio, si come si è fatto per gli orfanotrofi e i manicomi (legge Basaglia);

  c) mappare il reale numero delle strutture con le diverse funzioni;

  d) fotografare, ad oggi, i reali bisogni della longevità e della non autosufficienza, affinché si possa avere un quadro che dia contezza della reale situazione e dello stato di salute della terza età e degli effetti a strascico della pandemia;

  e) avviare una profonda revisione dei modelli formativi del personale sanitario e non, che rispondano alle evoluzioni della gestione dell'assistenza, così come sta avvenendo in altri Paesi del nord Europa, valorizzando il personale anche da un punto di vista retributivo;

  f) aumentare le risorse economiche per promuovere effettivamente i servizi territoriali e di prossimità in favore della terza età non solo col Pnrr, ma prevedendo una cadenza costante di risorse adeguate anche dopo il 2026;

  g) promuovere modelli sperimentali sulla base delle buone pratiche presenti in Italia, operate solitamente dalle reti di solidarietà territoriale, per addivenire a modelli differenti da quelli attuali e de-istituzionalizzati;

  h) rivedere la normativa di riferimento prevedendo, per esempio, l'impossibilità del cambio di destinazione d'uso degli alberghi in strutture di assistenza, che rischiano di diventare degli immensi alveari-cronicari;

  i) avviare un'indagine amministrativa che monitori le condizioni di salute psicofisica della popolazione residente in dette strutture e l'inadeguatezza degli operatori che vi lavorano.
(1-00688) «Sapia, Massimo Enrico Baroni, Leda Volpi, Cabras, Colletti, Corda, Forciniti, Giuliodori, Maniero, Raduzzi, Spessotto, Trano, Vallascas, Vianello».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

malattia

attrezzatura sociale

diritti umani