ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00285

scarica pdf
Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 256 del 11/11/2019
Abbinamenti
Atto 1/00090 abbinato in data 12/11/2019
Atto 1/00249 abbinato in data 12/11/2019
Atto 1/00282 abbinato in data 12/11/2019
Firmatari
Primo firmatario: CARFAGNA MARIA ROSARIA
Gruppo: FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 11/11/2019
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PRESTIGIACOMO STEFANIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
GELMINI MARIASTELLA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
APREA VALENTINA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
BARONI ANNA LISA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
BARTOLOZZI GIUSI FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
BERGAMINI DEBORAH FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
BIANCOFIORE MICHAELA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
BRAMBILLA MICHELA VITTORIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
CALABRIA ANNAGRAZIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
CRISTINA MIRELLA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
FASCINA MARTA ANTONIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
FERRAIOLI MARZIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
FIORINI BENEDETTA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
FITZGERALD NISSOLI FUCSIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
LABRIOLA VINCENZA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
MARROCCO PATRIZIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
MAZZETTI ERICA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
MILANATO LORENA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
POLIDORI CATIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
POLVERINI RENATA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
PORCHIETTO CLAUDIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
RAVETTO LAURA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
RIPANI ELISABETTA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
ROSSELLO CRISTINA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
RUFFINO DANIELA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
SACCANI JOTTI GLORIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
SANTELLI JOLE FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
SAVINO ELVIRA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
SAVINO SANDRA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
SIRACUSANO MATILDE FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
SPENA MARIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
TARTAGLIONE ANNAELSA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
TRIPODI MARIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
VERSACE GIUSEPPINA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
VIETINA SIMONA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019
ZANELLA FEDERICA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 11/11/2019


Stato iter:
12/11/2019
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 12/11/2019
Resoconto MALPEZZI SIMONA FLAVIA SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 12/11/2019
Resoconto ROSTAN MICHELA LIBERI E UGUALI
Resoconto ANNIBALI LUCIA ITALIA VIVA
Resoconto VARCHI MARIA CAROLINA FRATELLI D'ITALIA
Resoconto ROTTA ALESSIA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto PRESTIGIACOMO STEFANIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto TATEO ANNA RITA LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto SCUTELLA' ELISA MOVIMENTO 5 STELLE
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 12/11/2019

ATTO MODIFICATO IN CORSO DI SEDUTA IL 12/11/2019

ACCOLTO IL 12/11/2019

PARERE GOVERNO IL 12/11/2019

DISCUSSIONE IL 12/11/2019

APPROVATO IL 12/11/2019

CONCLUSO IL 12/11/2019

Atto Camera

Mozione 1-00285
presentato da
CARFAGNA Maria Rosaria
testo presentato
Lunedì 11 novembre 2019
modificato
Mercoledì 13 novembre 2019, seduta n. 257

   La Camera,
   premesso che:
    la violenza contro le donne rappresenta la manifestazione più grave e brutale della disparità storica nei rapporti di forza tra i generi, nonché una evidente violazione dei diritti umani;
    seppur il nostro Paese abbia firmato e ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ovvero la cosiddetta Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l'11 maggio del 2011, ancora oggi vi sono evidenti fattori che ostacolano l'Italia ad una corretta applicazione della medesima Convenzione;
    benché non esista un sistema di raccolta dati disaggregato e coordinato, gli ultimi dati Istat fotografano una situazione allarmante: quasi 7 milioni di donne italiane, dai 16 ai 70 anni, hanno subìto almeno una volta nella vita una forma di violenza (20,2 per cento violenza fisica, 21 per cento violenza sessuale con casi nel 5,4 per cento di violenze sessuali gravi, come stupro e tentato stupro). Numeri sconvolgenti se si considera che a praticare le violenze siano stati partner o ex partner: nel dettaglio, su 3 milioni di donne, la violenza è avvenuta nel 5,2 per cento dei casi dall'attuale partner e nel 18,9 per cento dei casi da un ex partner;
    seppur la volontà di riscatto e difesa da parte delle vittime di violenza sia altissima, se si considera che il 41,7 per cento delle donne ha lasciato il proprio compagno proprio in seguito alle violenze subite, non esiste un sistema integrato di informazione in merito ai diversi servizi di supporto disponibili e sulle misure legali che le stesse possano richiedere;
    eccezion fatta per rarissimi casi virtuosi, ove sia consolidato un lavoro integrato con i servizi specialistici, le donne che subiscono violenza si rivolgono, in prima battuta, ai servizi generali, tra i quali servizi sanitari e il servizio sociale del territorio e solo di rado ricevono informazioni adeguate sui servizi specializzati, pur essendo espressamente previsto dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, approvata dal Governo Berlusconi IV;
    le procure e le forze di polizia, il più delle volte, adottano strumenti informativi per le vittime che si traducono, nella maggior parte dei casi, in una mera riproduzione del contenuto normativo, di difficile comprensione per le vittime, raramente fruibili in una lingua diversa dall'italiano e, ove presenti, disponibili solo nel caso in cui la vittima decide di presentare denuncia/querela;
    ancora oggi, in Italia, le donne trovano ancor troppi ostacoli sia con le forze dell'ordine, che con professionisti/e dell'ambito sociale e sanitario, dovuti ancora ad una scarsa preparazione e formazione sul fenomeno della violenza, ma soprattutto al substrato culturale italiano, caratterizzato da profondi stereotipi sessisti e diseguaglianze tra i generi, oltre che pregiudizi nei confronti delle donne che denunciano situazioni di violenza, cui ancora si tende a non credere;
    ancora oggi, secondo i dati Svimez 2019, la condizione femminile in Italia segna una forte differenza con l'Europa: nel 2018 per il nostro Paese aumenta la distanza nel tasso di occupazione femminile dalla media europea, che passa da 11,5 a 13,8 punti percentuali;
    la scarsa partecipazione femminile è legata in buona parte all'incapacità delle politiche italiane di welfare e del lavoro di conciliare i tempi della vita lavorativa e familiare, causando anche incertezza economica e una modifica dei comportamenti sociali: si è innescato un circolo vizioso per cui la conciliazione lavoro e vita privata è complicata e il reddito medio delle famiglie non è adeguato per domandare servizi privati per l'infanzia, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la «divisione del lavoro» all'interno delle famiglie è fortemente dicotomica per genere e la partecipazione femminile al mercato del lavoro patologicamente bassa;
    la situazione assume contorni ancora più preoccupanti per le donne con problemi di salute o disabilità: ha subito violenze fisiche o sessuali il 36 per cento di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6 per cento di chi ha limitazioni gravi, a fronte dell'11,3 per cento della popolazione femminile generale;
    il rischio di subire stupri o tentati stupri è doppio (10 per cento contro 4,7 per cento delle donne senza problemi) e, in questi casi, le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti, amici o conoscenti;
    molto spesso, purtroppo, sono proprio gli uomini che si prendono cura di queste donne ad approfittare di loro. Per questo motivo e per la difficoltà delle donne con disabilità psichica/intellettiva non solo a denunciare, ma persino a riconoscere come tali le violenze subite in ambiente domestico, la violenza domestica sulle donne con disabilità, e in particolare disabilità psichica o intellettiva, non viene quasi mai denunciata (solo nel 10 per cento dei casi);
    ancora oggi in Italia uno dei problemi principali rimane l'atteggiamento culturale degli operatori/trici del diritto, del sociale, della sanità che mette ancora costantemente in questione la credibilità delle donne; anche se viene sporta denuncia si tende a vedere tale strumento come intento manipolatorio per altri fini (p.e. vantaggi nella separazione) e tanto meno credibili vengono ritenute le donne con disabilità, spesso ritenute «incapaci di intendere» e inattendibili;
    per di più le donne con disabilità psichica/intellettiva con maggiori necessità di sostegno possono essere soggette agli istituti giuridici della tutela o della curatela;
    dall'indagine Istat 2015 sono emersi segnali di miglioramento rispetto alla situazione fotografata nel 2006, ma le violenze rilevate si sono manifestate con forme più gravi ed è aumentato il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014);
    lo strumento della denuncia a disposizione della donna vittima è spesso svuotato del suo significato di rimedio per la tutela dei propri diritti, in quanto gli strumenti previsti dal diritto interno sono raramente applicabili entro un termine ragionevole, oltre ad essere di difficile accesso per l'estrema tecnicità e per l'impreparazione culturale di chi dovrebbe applicarli;
    a ciò si aggiunga che le informazioni sui propri diritti e lo strumento della denuncia sono praticamente inaccessibili alle donne con disabilità psico-sociali, oltre che a quelle con disabilità intellettive o sensoriali che utilizzano forme di comunicazione alternative;
    il rischio di vittimizzazione secondaria nel tentativo di uscire dalla violenza da parte della donna, e ancor più della donna con disabilità, è alto e riguarda più di un attore coinvolto nei percorsi di uscita dalla violenza, dai servizi sociale e sanitario, alle forze dell'ordine e al sistema giudiziario;
    dal momento in cui una donna trova la forza per denunciare la violenza subita deve poter contare su un'adeguata assistenza da parte dello Stato che in questa partita gioca un ruolo cruciale;
    purtroppo, per carenza di adeguati finanziamenti, in Italia non tutti i centri antiviolenza dispongono di case rifugio: rispetto ai 258 rifugi citati dal Dipartimento per le pari opportunità, secondo i dati raccolti dalle Ong, ce ne sono 78 (di cui 50 della rete associativa nazionale D.i.Re) per un totale di 627 posti letto;
    si tratta di un numero distribuito in maniera piuttosto disomogenea sul territorio nazionale e inadeguato per rispondere ai bisogni e alla sicurezza delle donne che subiscono violenza e in totale violazione della raccomandazione (EG-TFV (2008) 6) che indica come parametro numerico adeguato di alloggi sicuri in rifugi per donne specializzati, disponibili in ogni regione, un posto letto per 10.000 abitanti: secondo la ricerca di Wave, in Italia sarebbero necessari 6.078 posti letto, ne mancano ben 5.451;
    a tal proposito, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per non aver protetto una donna e suo figlio dal marito violento, in quanto non c'erano più fondi per ospitarla nella struttura in cui si era rifugiata (Corte EDU, Sezione Prima, sentenza Talpis c. Italia, 2 marzo 2017, ric. n. 41237/14);
    nel caso appena citato il dirigente dei servizi sociali di Udine negò i necessari fondi per permettere all'associazione che ospitava la signora Talpis di tenerla presso il rifugio o almeno fornirle una soluzione alternativa di accoglienza con un evidente «rimbalzo» di responsabilità per questioni meramente burocratico-formali tra vari servizi pubblici, tanto che la Corte europea ha affermato che le autorità italiane non hanno assicurato alla signora Talpis una protezione effettiva, favorendo un contesto di impunità nel quale si trovava il marito. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa in data 7 giugno, nella procedura di supervisione delle decisioni della Cedu ha chiesto ulteriori misure individuali e generali;
    è opportuno rilevare, altresì, che in molti territori il problema si rileva nella messa in protezione delle donne adulte non accompagnate da figli/e minorenni, o perché non hanno figli/e o per età (troppo piccole, fascia 18-25 anni, o troppo grandi, con figli/e maggiorenni) per le quali gli enti locali non rispondono economicamente creando situazioni di oggettivo rischio per tale target di violenza basata sul genere;
    la violenza sulle donne assume diverse sfaccettature e, in Italia, si continua ad ignorare la gravità e l'entità della violenza assistita e delle sue conseguenze, tendendo a colpevolizzare la madre (vittima di violenza), imputandole una responsabilità di cosiddetta «alienazione parentale» quando la stessa cerca dopo la separazione di difendersi dall'ex partner e padre dei figli/e violento;
    la violenza assistita non è riconosciuta come reato autonomo, ma inizia ad essere considerata dalla giurisprudenza come reato di maltrattamenti a danno dei/lle minori, ovvero può essere considerata ai sensi della legge n. 119 del 2013, come circostanza aggravante dell'articolo 572 del codice penale a carico dell'autore di violenza quando gli atti sono commessi «in presenza di minore degli anni diciotto»; si tratta evidentemente di previsione insufficiente, di aspetto meramente repressivo, di nessuna rilevanza sul piano civilistico;
    ancora oggi da parte dei servizi sociali o dei tribunali l'obiettivo principale è salvaguardare e conservare «il rapporto con la prole», ovvero il legame genitore-figlio/a, sulla base del presupposto che conservare un legame affettivo con un genitore biologico sia di per sé produttivo di effetti benefici, e che agire con violenza nei confronti del proprio partner all'interno di una relazione sentimentale non sia un comportamento indicativo di scarse competenze genitoriali;
    spesso l'uomo che ha posto atteggiamenti violenti e aggressivi contro l'ex moglie, a cui è stata addebitata la separazione, non perde l'affidamento dei figli ma soltanto nel caso in cui le condotte lesive siano poste anche nei riguardi dei bambini;
    ove esistenti, i centri antiviolenza specializzati e gestiti da Ong di donne offrono interventi e sostegno ai/lle minori vittime in famiglia di violenza assistita e/o diretta. Nella maggior parte dei casi però il sostegno e l'assistenza è demandata ai servizi di supporto generale, che hanno scarsa o nessuna formazione in tema di violenza contro le donne e che interpretano il loro mandato con un presunto «approccio neutro» che comporta mettere sempre – anche nei casi di violenza – i genitori sullo stesso piano, lasciando così ampio spazio al genitore violento di continuare ad agire la sua violenza su figli/e e madre;
    in tale contesto, sono purtroppo tanti i/le bambini/e uccisi/e dal padre maltrattante solo per vendetta nei confronti della donna e/o assieme alla donna o in un suicidio allargato: esempio emblematico è il caso di Federico Barakat, ucciso dal padre durante un incontro protetto all'interno della Asl di San Donato Milanese nonostante le ripetute denunce di maltrattamento e stalking presentate dalla madre, accusata peraltro di ostacolare i rapporti tra il padre e il figlio (il caso è all'esame della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo);
    dal punto di vista economico, il monitoraggio operato da Actionaid sui fondi antiviolenza nazionali ripartiti tra le regioni per le annualità 2015-2016 e per il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere 2015-2017 ai sensi della legge 15 ottobre 2013, n. 119, mostra evidenti ritardi nella programmazione ed erogazione delle risorse, mettendo a rischio la possibilità concreta per le donne di accedere ai servizi fondamentali per uscire da situazioni di violenza;
    benché i fondi antiviolenza per il triennio 2015-2017 ammontino a circa 85,7 milioni euro circa risulterebbero erogati soltanto il 35,9 per cento, pari a circa 30,8 milioni di euro;
    analoghi ritardi si registrano sul fronte delle regioni, tanto che, dei fondi destinati ai centri antiviolenza e le case-rifugio (annualità 2015-2016), ad oggi le regioni hanno liquidato infatti solo il 25,9 per cento delle risorse: nello specifico, è stato erogato il 30,6 per cento dei fondi destinati al potenziamento dei centri antiviolenza, delle case rifugio esistenti e degli interventi regionali già operativi e il 17 per cento dei fondi per l'istituzione di nuove strutture;
    in merito ai centri antiviolenza, la rilevazione dell'Istat pubblicata il 28 ottobre 2019 e relativa al 2017, evidenzia che si sono rivolte ai centri 43.467 donne (15,5 ogni 10 mila donne); il 67,2 per cento ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza (10,7 ogni 10 mila) e tra queste il 63,7 per cento ha figli, minorenni nel 72,8 per cento dei casi;
    nel 2017 i fondi pubblici per i centri antiviolenza sono stati 12 milioni di euro, che, se divisi per il numero delle donne accolte secondo l'Istat, ammontano a 76 centesimi: una cifra inadeguata che evidenzia il massiccio ricorso al volontariato da parte dei centri antiviolenza senza il cui supporto sarebbe difficile garantirne il funzionamento;
    dal punto di vista legislativo, in passato sono state poste in essere diverse iniziative positive e meritorie nella direzione del rafforzamento delle misure di tutela contro la violenza sulle donne; non ci si può esimere, a tal riguardo, dal dare atto di quanto realizzato durante il IV Governo Berlusconi, quando, per la prima volta, è stato posto in essere un piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, finanziato con oltre 18 milioni di euro e teso a realizzare una strategia di contrasto su scala nazionale, con l'obiettivo di ottenere una positiva collaborazione tra i centri antiviolenza delle regioni, il numero verde 1522 e le diverse professionalità esistenti nelle fila delle forze dell'ordine;
    con la tipizzazione del reato di stalking, avvenuta nel 2009, il Governo e il Parlamento hanno dimostrato un adeguato livello di attenzione all'individuazione di strategie di contrasto e di prevenzione della violenza, realizzando un importante passo in avanti nel sistema legislativo;
    seppur il 14 novembre 2018 la Camera abbia approvato all'unanimità varie mozioni sul contrasto della violenza di genere, ancora oggi mancano interventi concreti volti a dare concreta attuazione a tutti gli impegni profusi nella mozione citata;
    per quanto riguarda più propriamente gli interventi di natura legislativa, il gruppo di Forza Italia, pur condividendo la linea ispiratrice, ha condotto una vera e propria battaglia durante l'esame del cosiddetto codice rosso (legge 19 luglio 2019, n. 69) al fine di apportare dei miglioramenti alla proposta di legge d'iniziativa del Movimento 5 Stelle adottata come testo base dalla Commissione giustizia;
    tra le novità introdotte in tema di violenza domestica e di genere sono state recepite importanti proposte avanzate da Forza Italia, che già il 25 luglio 2018, aveva presentato una proposta di legge in materia di tutela e informazione delle vittime di reati violenti e in gran parte recepita dalla legge 19 luglio 2019, n. 69;
    il cosiddetto codice rosso (legge 19 luglio 2019, n. 69) è intervenuto sulla necessità di velocizzare l'instaurazione del procedimento e, conseguentemente, accelerare l'eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime attraverso modifiche puntuali al codice penale che risultano fondamentali per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere: a fronte di notizie di reato a delitti di violenza domestica e di genere, la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, riferisce immediatamente al pubblico ministero e quest'ultimo, entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, assume informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato;
    in tale contesto, particolare menzione meritano le proposte di Forza Italia e delle altre forze politiche di tutto l'arco parlamentare approvate in sede parlamentare, tra le quali: l'introduzione di una nuova fattispecie penale, ovvero, l'articolo 612-ter, in materia di diffusioni di immagini o video sessualmente espliciti (sexting e revenge porn); l'introduzione di una fattispecie specifica di reato, diretta a punire la «costrizione o induzione al matrimonio mediante coercizione»; l'aumento della pena di cui all'articolo 609-quater del codice penale se il compimento degli atti sessuali con il minore che non abbia compiuto gli anni quattordici avviene in cambio di denaro o altra utilità, anche solo promessi; l'applicazione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (braccialetti elettronico) nei casi di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; la previsione che in caso di condanna per reati sessuali, la sospensione della pena viene subordinata alla partecipazione a percorsi di recupero ad hoc;
    oltre alle proposte appena citate, la battaglia di Forza Italia è andata ben oltre, attraverso l'approvazione dell'emendamento con cui è stato previsto lo stanziamento di una quota pari a 3 milioni di euro per l'anno 2019 e 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020 da destinare a misure di sostegno e di aiuto economico in favore delle famiglie affidatarie degli orfani per crimini domestici;
    proprio in merito allo stanziamento delle risorse in favore degli orfani per crimini domestici (previsto dalla legge n. 4 del 2018), ad oggi non è stato ancora emanato il regolamento volto a stabilire i criteri e le modalità per l'utilizzazione delle risorse in favore degli orfani per crimini domestici e al finanziamento di iniziative di orientamento, di formazione e di sostegno per l'inserimento dei medesimi nell'attività lavorativa, svuotando di significato i molteplici interventi in favore degli orfani di crimini domestici lasciandoli, di fatto, senza alcuna tutela effettiva;
    a ciò si aggiunga che, a seguito dell'approvazione del cosiddetto codice rosso, l'aumento delle denunce delle vittime di violenza di genere, ha fatto crescere in maniera altrettanto esponenziale il lavoro delle procure senza che siano stati forniti i mezzi e le risorse necessarie per far fronte sia in maniera qualitativa sia quantitativa al nuovo carico di lavoro;
    purtroppo, ancora oggi, in troppi casi, accade che un procedimento penale scaturito da una denuncia per violenza domestica proceda completamente staccato dal procedimento civile di separazione e si disponga l'affido condiviso dei figli e/o si impongano diritti di visita che mettono a repentaglio i diritti e la sicurezza della vittima o dei minori;
    con particolare riferimento alla risoluzione di conflitti intra familiari, dai dati Istat su separazioni e divorzi in Italia si evince che nel 2005 (prima dell'emanazione della legge n. 54 del 2006) i figli/e affidati alla madre erano l'80,7 per cento nelle separazioni e l'82,7 per cento nei divorzi, mentre, dopo l'entrata in vigore della legge, nel 2009 solo il 12,2 per cento di figli/e è stato affidato alla madre contro un 86,2 per cento in affido condiviso; nel 2015 solo l'8,9 per cento dei figli/e è stato affidato alla madre contro un 89 per cento in affido condiviso;
    nei casi di «grave pregiudizio» per il figli/o, l'articolo 330 del codice civile prevede che possa essere dichiarata la decadenza e/o limitata la responsabilità genitoriale del genitore abusante e l'articolo 337-quater del codice civile stabilisce che «il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore»;
    la formulazione generica delle disposizioni del codice civile appena citate, che non menzionano espressamente l'ipotesi di violenza nelle sue più diverse forme possibili, ha portato ad una generale disapplicazione di tali previsioni nei casi di violenza assistita, tanto che l'attenzione del giudicante ai fini dell'adozione dei provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità, è rivolta alla sola violenza diretta sul/la minore (con il frequente limite che si tende a non vedere la violenza diretta psicologica) e in più si verifica una «impermeabilità» alla violenza agita da un genitore ai danni dell'altro della quale i/le minori sono stati testimoni (cosiddetta violenza assistita);
    in tale contesto, la violenza viene dunque ignorata e ogni richiesta di limitazione della responsabilità genitoriale o di affidamento esclusivo è ritenuta infondata e illegittima: i padri accusati di aver commesso violenza domestica hanno la stessa probabilità dei padri non violenti di ottenere l'affidamento dei figli/e, poiché si dà scarso valore alla violenza agita in ambito domestico, pronosticando che nel futuro saranno superate tali problematiche (con sottovalutazione dei potenziali pericoli sia per le madri che per i figli/e nella futura gestione dei rapporti), nell'idea che la figura paterna non possa mai venir meno;
    molto spesso non si individua il pericolo che questo genitore rappresenta e si attua una forma occulta di mediazione e/o conciliazione, davanti ai/le giudici o ai servizi sociali, tesa a trovare comunque un accordo sui diritti e tempi di incontro tra il padre violento e i minori, ed a definire consensualmente il procedimento di separazione: in questo modo si obbliga, implicitamente, la donna a definire il procedimento con una conciliazione, denegando giustizia anche nei casi in cui sia espressamente richiesta l'adozione di provvedimenti giudiziali, con implicita violazione del divieto di mediazione obbligatoria previsto all'articolo 48 della Convenzione;
    nel momento in cui le madri sollevano la questione della violenza subita per chiedere protezione anche per i figli/e dal padre violento, rischiano di essere penalizzate venendo considerate come alienanti, vendicative o alla ricerca di vantaggi economici;
    nel sistema italiano manca il raccordo tra procedimento penale e procedimento civile, se non limitato alla mera comunicazione dell'esistenza del procedimento penale alla Procura minorile ai sensi dell'articolo 609-decies del codice penale: se da una parte, infatti, tali comunicazioni vengono effettuate, e sono rilevanti ai fini della notizia dell'esistenza di un procedimento penale, dall'altra raramente segue da parte dei tribunali per i minorenni l'emanazione di provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, così come avviene anche nei procedimenti avanti al giudice ordinario;
    tutto ciò è stato rilevato anche dal Consiglio superiore della magistratura, organo di governo della magistratura che, con risoluzione del 9 maggio 2018, ha individuato la necessità di cooperazione tra magistratura ordinaria, sia penale che civile, e minorile qualora sia pendente un giudizio di separazione o divorzio, per evitare la possibilità di vittimizzazione processuale sul coniuge o sui minori vittime di violenza diretta o assistita con possibile adozione di provvedimenti inconciliabili che riguardano le medesime persone;
    di particolare rilevanza vi è il fatto che quando viene attivato un procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni, a seguito di segnalazione di condotte violente agite da un genitore ai danni dell'altro ed in presenza dei figli/e minori comuni, vengano di prassi adottati provvedimenti che dispongono l'affidamento del figlio/a minore al servizio sociale, anziché al genitore non violento;
    ciò nell'immaginario comune inevitabilmente induce a sollevare dubbi sull'adeguatezza della capacità genitoriale della vittima, che viene limitata nei suoi poteri e nella gestione dei figli/e, costretta ad interagire con soggetti istituzionali terzi per le varie decisioni relative ai figli/e, nella costante valutazione da parte di soggetti istituzionali con la conseguenza di una sua vittimizzazione secondaria;
    le consulenze tecniche d'ufficio disposte dai/lle magistrati/e, unitamente alle verifiche richieste ai servizi sociali in caso di «grave conflittualità», molto spesso, non considerano le violenze esercitate da un genitore sull'altro, così come non tengono conto della violenza assistita dai minori: si opera secondo il principio che il minore debba comunque mantenere relazioni significative con entrambe le figure genitoriali;
    le conseguenze di tale condizione sono devastanti per le donne cui è richiesto di tenere un profilo indifferente verso la violenza domestica vissuta, mantenendo un rapporto continuo e corretto con i padri dei/lle minori che le hanno maltrattate: se i/le minori si schierano a difesa della madre o dichiarano di avere paura del padre, la responsabilità ricade quasi sempre sulla madre che viene ritenuta portatrice di negatività verso il padre che trasferisce ai figli/e;
    l'attuale disciplina sull'affido condiviso, non prevedendo esplicitamente che nei casi di maltrattamento, abuso dei mezzi di correzione, violenze sessuali, violenze fisiche, debba escludersi tale affido, da un lato viola i diritti dei/lle minori a una vita libera da ogni forma di violenza, dall'altro non tutela le donne vittime di violenza domestica ed anzi le espone ad un incremento del rischio di violenza da parte dell'ex partner a causa della gestione condivisa dei/lle minori imposta dalla legge;
    partendo dal presupposto che solo con un profondo mutamento culturale si potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno della violenza di genere, è necessario mettere in campo iniziative, anche in sede legislativa, volte a porre un freno all'incontenibile fenomeno di violenze che, purtroppo, ancora oggi molte donne sono costrette a subire,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere le opportune iniziative al fine di prevedere un sistema integrato di rilevazione dei dati, anche giudiziari, che, superando la frammentarietà e la parzialità delle informazioni, generi flussi strutturati d'informazioni fruibili a livello nazionale e locale per le finalità proprie di tutti gli attori istituzionali, politici e sociali, anche disaggregati per le diverse condizioni, in particolare per presenza di disabilità;

2) a valutare l'opportunità di prevedere forme di coordinamento e di coerenza tra interventi nazionali e regionali, coinvolgendo le associazioni di donne che offrono servizi specialistici, con allocazione di risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate e stabili nel tempo per un'attuazione sistematica ed efficace delle azioni, il monitoraggio e la valutazione del loro impatto;

3) a continuare a prevedere opportune iniziative volte a promuovere percorsi di assistenza e di supporto psicologico per le donne che hanno subito una violenza e per i parenti delle vittime di femminicidio, nonché specifiche iniziative per incentivare l'inserimento delle vittime di violenza nel mondo del lavoro;

4) ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza, intesa soprattutto quale strumento di inclusione sociale;

5) a intraprendere le opportune iniziative al fine di dotare gli uffici giudiziari dei mezzi e delle risorse idonee per rendere efficaci le misure previste dalla legge 19 luglio 2019, n. 69;

6) ad assumere le opportune iniziative al fine di stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, chiamato ad interagire con le donne che hanno subito maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima;

7) a valutare l'opportunità di effettuare una ricognizione sul numero degli ordini di allontanamento e degli ordini di protezione applicati annualmente dai tribunali in Italia e, in particolar modo, sui tempi di attuazione;

8) ad assumere iniziative al fine di sviluppare e attuare, anche in collaborazione con le associazioni di donne esperte sul tema e dei centri antiviolenza e case rifugio, azioni di formazione specifiche per gli operatori dei servizi generati e, nello specifico, competenze per individuare le donne con disabilità, in particolare con disabilità intellettiva o con difficoltà maggiori di comunicazione, vittime di violenza domestica e che necessitano di protezione per evitare la vittimizzazione secondaria;

9) ad intraprendere le opportune iniziative al fine di prevedere un sistema integrato di informazione a disposizione delle donne in merito alle diverse tipologie di servizi di supporto disponibili e in merito alle misure legali che possono richiedere;

10) ad adottare iniziative per assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente siano erogati regolarmente senza ritardi per permettere ai servizi specializzati di operare conformemente agli standard internazionali e nazionali in materia di diritti umani, con meccanismi di imputazione delle responsabilità pubbliche rispetto al sostegno e alla protezione forniti alle donne vittime di violenza;

11) a valutare l'opportunità di assumere le iniziative di competenza al fine di rendere omogenea la normativa in tema di procedure per l'accesso e l'ospitalità nelle case rifugio delle donne vittime di violenza, indipendentemente da questioni di reddito delle stesse;

12) a valutare l'opportunità di assumere iniziative al fine di rivedere ed adeguare i meccanismi di finanziamento statali, garantendo su tutto il territorio nazionale una presenza delle case rifugio sufficiente in linea con i parametri internazionali, privilegiando quelle che possono con sicurezza garantire la qualità dei servizi e la loro competenza di genere e sui diritti umani, oltre alla qualità professionale;

13) a valutare l'opportunità di assumere iniziative legislative al fine di prevedere nel codice civile la fattispecie di reato riferita alla violenza intra-familiare come causa di esclusione di affidamento condiviso e la violenza assistita come causa di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale;

14) a valutare l'opportunità di assumere iniziative legislative volte a prevedere agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale il concetto di discriminazione fondata sul genere;

15) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per prevedere percorsi costanti di formazione obbligatoria sulla violenza assistita e di genere agli operatori/trici sociali, sanitari e di giustizia;

16) a valutare l'opportunità di assumere le opportune iniziative al fine di promuovere attività di prevenzione della violenza contro le donne attraverso l'attivazione di corsi di difesa personale e di arti marziali, anche in collaborazione con le associazioni operanti nel settore;

17) a valutare l'opportunità di assumere iniziative legislative volte a prevedere nel codice civile la «violenza domestica e violenza assistita» come requisito per definire la contrarietà all'interesse del minore, al fine dell'adozione di provvedimenti di affido esclusivo e provvedimenti di limitazione/decadenza della responsabilità genitoriale;

18) a valutare l'opportunità di intraprendere le opportune iniziative al fine di emanare tempestivamente il decreto recante il regolamento con cui sono stabiliti i criteri e le modalità per l'utilizzazione delle risorse destinate all'erogazione di borse di studio in favore degli orfani per crimini domestici e al finanziamento di iniziative di orientamento, di formazione e di sostegno per l'inserimento dei medesimi nell'attività lavorativa, ai sensi dell'articolo 11 della legge 11 gennaio 2018, n. 4.
(1-00285)
 «Carfagna, Prestigiacomo, Gelmini, Aprea, Anna Lisa Baroni, Bartolozzi, Bergamini, Biancofiore, Brambilla, Calabria, Cristina, Fascina, Ferraioli, Fiorini, Fitzgerald Nissoli, Labriola, Marrocco, Mazzetti, Milanato, Polidori, Polverini, Porchietto, Ravetto, Ripani, Rossello, Ruffino, Saccani Jotti, Santelli, Elvira Savino, Sandra Savino, Siracusano, Spena, Tartaglione, Maria Tripodi, Versace, Vietina, Zanella».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

violenza sessuale

violenza

diritti umani