XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Mercoledì 4 marzo 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Stumpo Nicola , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE DELL'ACCESSO DEI CITTADINI AI SERVIZI EROGATI DAL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Audizione di rappresentanti di Assobiomedica – Confindustria Dispositivi Medici
Stumpo Nicola , Presidente ... 2 
Faltoni Fabio , Consigliere Associazione ... 2 
Terranova Lorenzo , Direttore degli Affari Istituzionali di Confindustria Dispositivi Medici ... 6 
Stumpo Nicola , Presidente ... 7 
Taricco Mino  ... 7 
De Toma Massimiliano (Misto)  ... 7 
Stumpo Nicola , Presidente ... 8 
Faltoni Fabio , Consigliere Associazione ... 8 
Stumpo Nicola , Presidente ... 9 

ALLEGATO: Documentazione depositata dai rappresentanti di Assobiomedica – Confindustria Dispositivi medici ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
NICOLA STUMPO

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Assobiomedica – Confindustria Dispositivi Medici

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno della seduta odierna prevede il proseguimento del programma di audizioni dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione dell'accesso dei cittadini ai servizi erogati dal Servizio Sanitario Nazionale. In tale ambito avrà luogo oggi l'audizione del direttore degli affari istituzionali di Confindustria Dispositivi Medici, Lorenzo Terranova, e del consigliere dell'associazione Home&Digital Care di Confindustria Dispositivi Medici, Fabio Faltoni. La Commissione è interessata ad acquisire ulteriori elementi di conoscenza in relazione al rafforzamento e allo sviluppo di una rete di assistenza e di cura capillare sul territorio attraverso servizi erogabili da remoto rivolti, in particolare, ai cosiddetti «pazienti cronici», che esprimono una parte consistente della domanda di salute dei prossimi anni. La continuità di assistenza e di cura che va garantita ai predetti pazienti richiede sicuramente un forte impegno, in termini di risorse umane ed economiche, ma anche una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali. In quest'ambito è quindi necessario pensare a servizi che, a partire dalle nuove tecnologie digitali, permettano ai cittadini, a prescindere dal luogo in cui risiedono, di accedere facilmente ai servizi sanitari e di percepire quella continuità di cura di cui avvertono il bisogno. In queste giornate, potrei aggiungere anche che, noi avevamo pensato a questa audizione in condizioni normali, ma nella straordinarietà in cui viviamo in queste ore, essa cade, come si direbbe, proprio a proposito, perché proprio in questi momenti il Governo e le autorità tutte dicono ai malati cronici e agli over 65 di avere una particolare attenzione. È del tutto evidente che un paziente cronico che ha bisogno di cure difficilmente può farne a meno, mentre grazie alla tecnologia potremmo utilizzare appieno tutte le possibilità che ci danno le autorità sanitarie anche in una modalità di garanzia per il paziente e per i familiari. Ringrazio quindi gli auditi per aver prontamente accolto il nostro invito e do loro la parola per la relazione, ricordando che, al termine degli interventi, è previsto un breve spazio per le domande dei deputati e dei senatori presenti. Prego.

  FABIO FALTONI, Consigliere Associazione Home&Digital Care di Confindustria Dispositivi Medici. Buongiorno. Grazie alla Commissione per la convocazione. Velocemente: rappresentiamo quel settore all'interno di Confindustria, Confindustria Dispositivi Medici, che raggruppa l'insieme, la rete di tutte le aziende che operano nel settore dei dispositivi medici in sanità. È escluso il farmaco dal nostro settore, però andiamo dalla siringa fino alla TAC, al robot chirurgico, comprendendo le protesi e tutti gli altri dispositivi impiantabili, fino ai dispositivi domiciliari, che sono comunque apparecchiature che richiedono, come Pag. 3vedremo, una particolare gestione nell'utilizzo e nella diffusione e anche servizi. Tra le nostre aziende ci sono, infatti, anche società e aziende che producono piattaforme informatiche e anche dispositivi per la gestione di servizi a domicilio e nel territorio. In particolare, all'interno del comparto Confindustria Dispositivi Medici l'associazione che io rappresento nel comitato di presidenza, la Home&Digital Care, è un'associazione molto recente, nata a inizio anno proprio per raggruppare e rappresentare questo settore, che è fondamentale nello sviluppo della sostenibilità del sistema sociosanitario – poi introdurrò anche questo termine – per capire quali sono le tematiche comuni a tutto il mondo industriale che ruota attorno a questo comparto.
  Il tema della domiciliarità è in forte evoluzione, in quanto si sta allargando la fascia della cronicità, che sta aumentando ogni dieci-quindici anni. L'ultima rilevazione fissa a 84 anni e mezzo l'aspettativa di vita della nostra popolazione, ma un altro dato importante che deve fare riflettere è che si è abbassata di quattro anni anche la soglia di entrata in cronicità dei nostri cittadini, scesa a 53 anni, facendo supporre che nell'arco dei prossimi quindici anni la popolazione con malattie croniche supererà, di fatto, la popolazione sana. Altro elemento importante è rappresentato dal fatto che l'aumento dell'aspettativa di vita comporta altre conseguenze, la prima delle quali riguarda i giovani, quindi i cinquantatreenni che iniziano ad assumere la pillola per la pressione o hanno il diabete in una fase iniziale. Se non c'è un adeguato controllo, questa popolazione tende, nell'arco di una decina di anni, a diventare cronica e quindi a premere sulle strutture sanitarie ospedaliere. Gestire bene l'assistenza a domicilio e, quindi, prevenire e mettere in atto meccanismi di medicina preventiva e predittiva significa spostare in avanti la soglia di cronicità grave per questi pazienti e, quindi, l'accesso nella struttura sanitaria. Si tratta di un tema che sta coinvolgendo e interessando tutti i settori del mondo industriale, in particolare chi produce dispositivi, dai pannoloni fino ai cateteri domiciliari, fino al controllo dei parametri. Quindi è un tema importante che riguarda il nostro mondo industriale ma anche, dall'altro lato, tutto il mondo dei pazienti o, direi più, dei cittadini, delle persone fragili, perché non sempre sono pazienti con patologie da ricovero ospedaliero. Quindi, più che di sistema sanitario, andando nel territorio, al domicilio, si deve parlare di sistema sociosanitario.
  Conseguentemente, il termine «fascicolo sanitario elettronico», di cui tutti sentiamo parlare, è comunque superato, fermo restando che il sistema non è decollato a livello nazionale se non in pochissime realtà, in quanto l'accesso al fascicolo sanitario elettronico è limitato a pochissime parti di alcune regioni. Tale sistema, non solo non è diffuso, nonostante se ne parli da molti anni, ma direi che è anche superato, in quanto è necessario correlare tutta una serie di informazioni cliniche relative a patologie croniche alle condizioni di vita ambientali del cittadino, dall'abitazione – dicevo prima – in una comunità montana, quindi distante «X» chilometri dal presidio sanitario, ai servizi più vicini; in questo caso, infatti, pur avendo la stessa patologia di un altro cittadino che abita in città, è comunque necessaria una gestione delle cronicità che richiede un investimento e un approccio completamente diversi. Quindi, primo elemento: il concetto del socioassistenziale è un elemento fondamentale, perché c'è una grossa – ci tornerò dopo – carenza nella raccolta e nella circolazione delle informazioni, che impedisce, per esempio, di censire correttamente la popolazione nel Piano nazionale della cronicità.
  Secondo le linee del Piano nazionale della cronicità, ogni regione dovrebbe, per determinare il fabbisogno economico e quindi anche di budget richiesto dalla propria popolazione, andare a censire la popolazione in base alla cronicità e alle multicronicità, perché uno più invecchia... Prima si soffriva di scompenso cardiaco e si moriva di scompenso cardiaco, per problemi cardiaci. Oggi, aumentando la speranza di vita, allo scompenso cardiaco si aggiungono, per esempio, il diabete, la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BCPO), problemi respiratori e altre multipatologie che Pag. 4richiedono una modifica anche dei percorsi clinici, per garantire accessi alla popolazione di tipo qualificato e uniforme sul territorio nazionale.
  Fatte queste premesse, come Confindustria Dispositivi Medici noi abbiamo identificato – lo troverete nella relazione che depositeremo agli atti della Commissione, quindi vado per sommi capi – due temi fondamentali, più un terzo, che è quello tecnologico che tratterò alla fine del mio intervento, che più che una problematica è proprio una capacità, una possibilità di accedere, in molti casi, alla tecnologia che viene offerta.
  Il primo tema è quello organizzativo-gestionale, che è un tema che oggi limita moltissimo la possibilità di accesso dei pazienti alle innovazioni del mondo tecnologico che portano risparmi al Servizio Sanitario Nazionale sia alle tasche del cittadino, perché la spesa privata sta crescendo notevolmente, in quanto se non si ha la possibilità di accedere gratuitamente alle prestazioni tramite il Servizio Sanitario Nazionale, si ricorre alle proprie disponibilità personali. L'altro tema è quello dei meccanismi istituzionali. Sul primo tema, che riguarda l'aspetto organizzativo-gestionale, la relazione si sofferma in maniera più ampia... Io riassumo brevemente per lasciare anche spazio a vostre domande. Ho fatto alcuni esempi. Abbiamo portato esempi di dispositivi. Per esempio, oggi sono disponibili sul mercato dei dispositivi per la riabilitazione, sia motoria, sia neurologica, quindi logopedia o altre situazioni, a domicilio senza dover portare il paziente in ospedale, con la stessa efficacia, come dimostrano gli studi di validità, validazione, condotti anche al di fuori del nostro Paese. Pensiamo – l'altro esempio che abbiamo portato – ai pacemaker, quindi a tutti i cittadini che hanno applicato un pacemaker, a quelli affetti da diabete che fanno il controllo della glicemia a domicilio, pensiamo alla ventiloterapia domiciliare. Sono tutti dispositivi che oggi sono dotati o possono essere dotati di elementi di comunicazione e trasferimento delle informazioni, che però non vengono utilizzati. Addirittura, nelle gare di acquisto di questi dispositivi, in moltissimi casi non viene neanche richiesta la dotazione della trasmissione delle informazioni. Dall'altro lato, ci sono delle problematiche di tipo organizzativo e gestionale nel territorio che persistono pur dopo anni e che non consentono di gestire questa serie di informazioni e di dati. Quindi è un dato di fatto che, pur essendoci tecnologia e disponibilità di informazioni, queste non vengono utilizzate, continuando a fare i controlli del pacemaker in ospedale, a fare il controllo della glicemia del paziente ogni due o tre mesi, quando un allarme glicemico potrebbe essere verificato in tempi e basi istantanee da opportuni dispositivi e centrali o elementi di controllo anche automatici, cambiando notevolmente anche la gestione della patologia e la terapia. Altro elemento importante è quello della trasmissione di questi dati. Ci sono molti dati, raccolti sia dai dispositivi, sia da operatori al domicilio. Si pensi a tutto il mondo dell'assistenza domiciliare integrata, quindi gli operatori del mondo delle cooperative, che hanno un ruolo importante nella gestione dei pazienti domiciliari e di altre situazioni. Questo sistema non prevede una comunicazione. Oggi sembra assurdo, ma il sistema di raccolta delle informazioni dei medici di medicina generale non dialoga con i sistemi di raccolta informazioni, per esempio, del mondo cooperativo comunale o regionale, le cui informazioni, molto spesso, sono raccolte anche su formato cartaceo, e non dialoga con i sistemi informativi del Sistema Sanitario Nazionale. Quindi, questa rete di banche dati è isolata nel territorio nazionale, senza una possibilità di collegamento e di comunicazione. Per quanto riguarda invece i meccanismi – è il secondo tema – istituzionali, noi abbiamo fatto un anno e mezzo fa uno studio a livello nazionale con una società di ricerca (ISIMM Ricerche) sul sistema di gestione dei servizi domiciliari o della territorialità delle cure e quindi sulla cronicità. È stato evidenziato, anche analizzando le quattro-cinque regioni pilota, che hanno adottato criteri, regolamenti e regole interne nonché modelli di gestione delle cronicità, che sono modelli totalmente diversi l'uno dall'altro e, addirittura, direi Pag. 5– siccome i regolamenti previsti dal Piano nazionale della cronicità sono stati adottati da un anno o poco più – anche diversi da quello che è previsto dal Piano nazionale cronicità. Questo, oltre che offrire ai cittadini livelli di accesso ai servizi diversi a livello delle regioni, ma sostanzialmente diversi in molti casi – perché se la regione non ha organizzato un servizio, io non ce l'ho e non ne posso usufruire –, sta generando anche nel mondo industriale molta confusione, perché ogni regione ci sta chiedendo quel dispositivo, quel modello, quel servizio adeguato al proprio modello. Ora è chiaro che il modello regionale ha dei pregi, perché risponde al territorio, alla storia, alle necessità di quella regione, però manca fortemente un coordinamento centrale, perché quello che noi vendichiamo è la possibilità di dire: «Definiamo a livello centrale due o tre modelli, partendo dai quali poi le regioni possano plasmare quello che si adatta alle proprie esigenze». Oggi siamo all'opposto. Siamo a situazioni e regioni che partono con indicazioni e organizzazioni proprie, mentre la regione accanto sta facendo una cosa totalmente diversa. Questo, ovviamente, è un elemento che, da un punto di vista istituzionale, sta rallentando fortemente... ma rallentando soprattutto quello che è alla base della «medicina delle 4P»: personalizzata, preventiva, partecipativa e, soprattutto, predittiva. Parlando di cronicità, la raccolta e l'interpretazione delle informazioni è basilare. Avendo a livello nazionale sistemi diversi in venti regioni e nelle province autonome, è ovvio che queste informazioni non si parlano, dal momento che ogni regione raccoglie una serie di informazioni che possono essere diverse o fondate su criteri diversi rispetto a quelle raccolte dalla regione accanto. Abbiamo visto anche in questi giorni come, invece, su tutta una serie di problematiche nazionali sia necessario avere uniformità di dati. Quindi, anche su questo punto le proposte sono molto semplici, sembrano banali, ma purtroppo non lo sono, perché definire degli standard, dei formati comuni di raccolta delle informazioni è per noi basilare, perché significa definire uno standard secondo il quale si raccolgono le informazioni in modo identico per lo scompensato cardiaco, dalla Val d'Aosta a Caltanissetta, e, quindi, per l'industria. Faccio un esempio banale: vent'anni fa o forse più, noi, come mondo industriale, abbiamo definito, e ci abbiamo messo pochissimo, degli standard per la trasmissione delle immagini, per chi è un pochino più addentro, l'HL7, che è uno standard europeo/mondiale di trasmissione delle immagini. Oggi una radiografia, un'immagine fatta in Italia può essere vista in America, in Cina, perché questo standard è diventato mondiale. È ovvio che il mondo industriale con le sue ramificazioni ha potuto in questo caso gestire questi standard, perché riguardavano aspetti tecnologici, quindi di comunicazione tra le macchine.
  Nei casi ora in discussione, oltre a questa componente, c'è anche una importante componente rappresentata dai dati del cittadino. Pertanto, la mancanza di una legislazione adeguata, che deve essere urgente – qui tutto il tema della privacy è fondamentale – sta rallentando drasticamente la raccolta delle informazioni da parte dell'industria, cioè sta impedendo la definizione di questi modelli. Quindi, l'industria o qualunque uomo di buona volontà non riesce a dire: «Bene, mettiamoci lì e facciamo uno standard». Questo è il primo elemento.
  Secondo elemento: usciamo dai nostri confini, poniamo il tema a livello europeo, perché comunque la comunità e la trasmissione di queste informazioni ha bisogno di un respiro più ampio, in quanto non possiamo essere autarchici e gestire le nostre casistiche di patologie. Il mondo dell'informazione è ormai aperto, quindi noi dobbiamo ragionare e definire questi standard e porre il problema anche a livello europeo, come stiamo facendo con le nostre organizzazioni a Bruxelles, sebbene la discussione sia stagnante da anni. Io ormai ho una certa età. Sono trent'anni che sono in Confindustria e sono cinque-dieci anni che non vedo movimento nonostante la gravità della situazione. Quindi la raccolta delle informazioni, l'elaborazione dell'informazione è basilare e fondamentale, perché consente, grazie a una mole sempre maggiore Pag. 6 di dati e di informazioni, di elaborare dei percorsi predittivi su un singolo paziente con una certa patologia, perché, grazie all'informatica, le informazioni, che sono anche epidemiologiche, quindi di tipo generale, possono essere mirate anche al singolo cittadino, per sapere, cioè, che patologie sta sviluppando. Mettendo insieme informazioni di varie patologie, oggi esistono algoritmi elaborati dalle nostre università, da centri di ricerca molto interessanti e importanti, che stanno sviluppando proprio questi algoritmi di ricerca. Il problema è poi alimentare questi «cervelloni» di informazioni per arrivare a questo risultato.
  L'ultimo tema importante è quello dei percorsi. Accennavo prima al settore sociosanitario. Oggi il Servizio Sanitario Nazionale gestisce ancora le patologie croniche a domicilio «a silos», quindi, se un paziente ha lo scompenso cardiaco, il diabete e la BCPO, tre patologie croniche che sono molto diffuse oggi, si adottano tre protocolli separati e tre modalità di rimborso delle prestazioni. Quindi, sullo stesso paziente si può arrivare al fatto che molto spesso si sovrappongono questi piani assistenziali, senza dialogare uno con l'altro. Io ero in una regione, senza fare nomi, parlavo con l'assessore regionale che mi diceva che, proprio perché tra gli infermieri dei distretti, gli infermieri delle cooperative, quindi gli operatori sociosanitari delle cooperative, i medici di famiglia – mi accennava a un'altra situazione – non c'è organizzazione, il povero paziente a domicilio si trova in una settimana quattro o cinque persone che vanno ad accudirlo e poi c'è un mese e mezzo di buio totale in cui non vede più nessuno del sistema, proprio perché manca un'organizzazione da questo punto di vista. Quindi, è necessario superare questo sistema «a silos» e andare verso una presa in carico della patologia per il singolo paziente. Questi sono elementi importanti.
  Chiudo, dicendo che un aspetto sottovalutato nell'utilizzo della tecnologia, ma che noi consideriamo anche come problema del mondo industriale, è quello della formazione. La formazione al corretto utilizzo e impiego ma anche alla gestione di una tecnologia biomedica è indirizzata da tanti anni al mondo ospedaliero, ma rivolgersi a tale mondo è molto semplice. È un ambiente ristretto. Tu hai un certo numero di infermieri, di primari, di attori, per cui tu riesci a formare e anche a gestire un trasferimento delle informazioni. Quando vai a domicilio, sul territorio, oltre agli operatori, che sono una categoria ancora ristretta, ma che si sta allargando, ci sono anche i medici di medicina generale, ci sono gli operatori delle cooperative, c'è un problema anche di caregiver, quindi c'è la badante, c'è il problema del familiare che assiste quel paziente. Quindi, anche se la macchina ha una complessità minore di quella ospedaliera, se vogliamo, ha comunque una complessità tale che ti pone di fronte a una popolazione che ha un grado di formazione, di cultura, di abilità totalmente diverse da quello che puoi trovare all'interno dell'ospedale, nelle differenze tra medici o infermieri. Quindi questo problema è, paradossalmente, proprio il limite maggiore alla diffusione della tecnologia, cioè c'è una tecnologia che, per i motivi che ho detto prima, stenta a partire, ma dall'altro lato, attenzione, che poi, portata al domicilio, c'è il grande rischio che non venga utilizzata. Scusate se mi sono dilungato. Grazie per l'attenzione.

  LORENZO TERRANOVA, Direttore degli Affari Istituzionali di Confindustria Dispositivi Medici. Solo un punto: io mi rendo conto che diverse opportunità per i sistemi sociosanitari regionali hanno dei costi leggermente superiori, però purtroppo va registrata tutta una serie di atteggiamenti che si traducono, per esempio, in gare che fanno perdere queste opportunità, che sono opportunità che, nel medio-lungo periodo, portano a vantaggi considerevoli. Faccio l'esempio banale che era già stato accennato dall'ingegner Faltoni del pacemaker wireless: molte regioni acquistano il pacemaker senza la modalità wireless, costringendo poi il paziente ad andare periodicamente in ospedale per il controllo e in generale per valutare il funzionamento dello stesso peacemaker. Questi sono strumenti che hanno costi abbastanza contenuti, che però purtroppo, in una logica di controllo Pag. 7estremamente marcato dei costi, vengono a perdersi. Quindi, ritornando proprio al tema di semplificazione o meno, noi siamo di fronte al fatto che lo stesso strumento, se utilizzato in un certo modo, è uno strumento di facilitazione della semplificazione, che semplifica, quindi, la vita a dei cittadini, del corpo sanitario e via dicendo. Allo stesso tempo, lo stesso strumento può essere invece causa di complicanze per il cittadino stesso. Questo è un esempio, ma nella memoria è riportata tutta un'altra serie di esempi che danno la misura di questa complessità.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione della documentazione depositata, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Ci sono delle domande? Prego senatore Taricco.

  MINO TARICCO (PD) Solo una domanda: il quadro che ci avete rappresentato in parte è speculare a quello che ci è stato rappresentato da chi ha la responsabilità, sul fronte del servizio pubblico, di mettere in campo risposte che devono fare i conti, da una parte, con le risorse disponibili e, dall'altra parte, con un processo di innovazione che è assolutamente in divenire. Da questo punto di vista, cogliamo le osservazioni che avete fatto, perché sono strettamente correlate a quell'altro quadro. La domanda che volevo fare è questa: io credo che il fatto che ci siano delle regioni che partono prima sia inevitabile, nel senso che, nel quadro di un'innovazione continua, meno male che c'è qualcuno che parte prima, perché altrimenti rischieremmo di non partire proprio. Quanto, secondo il vostro punto di vista, è fisiologico e quindi legato a questa naturale evoluzione, il fatto che, in determinate situazioni, ci sono determinate peculiari esigenze e parta prima una riflessione su quei temi, che poi dopo può essere allargata a tutti, perché in effetti può essere allargata a tutti, e quanto invece sarebbe possibile governarlo, prevenendo le questioni. Faccio un esempio banale: avete citato la questione dei pacemaker wireless o non wireless. È abbastanza evidente che dentro una struttura burocratica dove fino a ieri si usava il pacemaker in un certo modo, ci sia lentezza nell'entrare in un ordine di idee per cui magari oggi quel tipo di pacemaker non serve, ma se ha quella tecnologia, domani lo si potrà collegare. Magari oggi non serve, perché magari quella struttura ASL o quella regione non sono strutturate per utilizzare il servizio wireless, quindi si dice: «Per me oggi è uno spreco, nel senso che tanto poi non lo uso», ma sarebbe opportuno entrare in una logica in base alla quale è vero che oggi non si usa, ma magari fra un anno e mezzo sì. Quindi se si comincia a dotare tutti di quello strumento... Questo è un esempio banale, ma quanto secondo voi, invece, si potrebbe intervenire per andare oltre la contingenza della realtà a cui si fa riferimento, da una parte, e, dall'altra? Il fatto che l'innovazione avvenga inevitabilmente a macchia di leopardo, è perché è sempre stato così? Cioè, secondo voi, c'è un salto di qualità che potrebbe essere fatto e come potrebbe essere stimolato?

  MASSIMILIANO DE TOMA (MISTO) Innanzitutto grazie per quello di cui ci avete portato a conoscenza, che dimostra come ci sia una realtà diversa, nel senso che voi ci esponete delle considerazioni emerse da uno studio che viene dalla parte non pubblica, perché, in un certo senso, si legge anche attraverso il vostro documento la necessità di portare avanti quei processi che sono stati iniziati e poi magari, come ho letto velocemente, in certe realtà non sono stati portati avanti. Quindi si studia, ma non si applica. In un certo senso, c'è bisogno di vedere concretamente realizzato il processo iniziale, che ovviamente, è un investimento, perché molte regioni effettivamente in questo caso sono state più brave rispetto ad altre, ma, in ogni caso, dalle audizioni nell'ambito di questa indagine conoscitiva sta sempre di più emergendo la necessità di portare a compimento tale processo a causa anche di un'emergenza come quella che stiamo vivendo; perché, oggi come oggi, se avessimo degli strumenti adatti, potremmo informare il paziente o, viceversa, il paziente potrebbe informare la struttura, perché attraverso la digitalizzazione e l'innovazione si potrebbe evitare Pag. 8anche quell'assalto alle strutture, visto che, come risulta dalle notizie che apprendiamo, gli ospedali sono in difficoltà, anche perché a volte ci sono casi di comunicazione errata. Però questa considerazione mi porta a pensare che ciò che stiamo facendo noi in questa Commissione bicamerale è corretto. Soprattutto, deve essere portato avanti in modo che, effettivamente, si arrivi alla conclusione che l'innovazione, oltre che avere effetti positivi sul piano occupazionale, perché dietro a questo c'è tutto un lavoro, può portare le strutture sia pubbliche, sia private finalmente a collaborare e a evitare quello che ho visto nella mancanza di comunicazione, cioè un corto circuito: si creano mancanze o, più che altro, tutte le informazioni non si sa da dove arrivino e come vengano gestite. Quindi, sarebbe opportuna una cabina di regia unica, che per come la vedo io, sia effettivamente di collegamento fra pubblico e privato. Soprattutto, dobbiamo mettere al centro il paziente, il paziente nella sua cronicità. La cronicità, ormai è chiaro, è il problema che supererà tutti gli altri, anche perché lei prima giustamente ha citato un giovane cinquantatreenne: io sono un giovane cinquantaquattrenne che utilizza da poco la pillola per la pressione. Oggi ho letto un articolo che parla della legge sui caregiver e lo dico proprio velocemente: dovevano esserci delle audizioni in Senato, invece non ci sono per questa problematica che stiamo vivendo e, tutto sommato, si potevano prevedere delle audizioni a distanza, ormai abbiamo il web e il computer, per poter fare in modo che le cose vadano avanti comunque, a prescindere. Quindi, da questo punto di vista, la domanda è la stessa del collega, quindi non la ripeto, perché la vostra considerazione è che ormai c'è effettivamente la necessità di arrivare al punto in cui bisogna fare il salto e collegare queste due realtà. Grazie.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre domande di intervento, do la parola agli auditi per la replica.

  FABIO FALTONI, Consigliere Associazione Home&Digital Care di Confindustria Dispositivi Medici. Per rispondere alla domanda: è naturale e ovvio che in alcune regioni sono sempre esistiti i punti di eccellenza, le situazioni che vanno avanti, però il problema fondamentale che stiamo vivendo e a cui un po' ho accennato prima è la mancanza di una regolamentazione. Faccio un esempio molto banale: un elettrocardiogramma, quindi una visita cardiologica che prevede un elettrocardiogramma, oggi è riconosciuta dal sistema ed è tariffata dal sistema sanitario se viene fatta presso l'ambulatorio del medico; quindi, il paziente si sposta, va in ambulatorio, poliambulatorio, ospedale e quella visita viene riconosciuta come prestazione. Se lo stesso medico agisce attraverso un sistema di telemedicina che ha la stessa funzione, anzi la semplifica, perché «visita» il paziente con calma la sera, senza che si affacciano dieci persone in fila, e via dicendo, quella prestazione non viene riconosciuta oggi dal Servizio Sanitario Nazionale. Questo è il primo elemento ostativo. Poi ci sono regioni che hanno più coraggio, più intraprendenza, che partono e superano questa problematica, che non è banale, perché se non c'è tariffazione, non c'è vendita, quindi la superano all'interno di un contesto regionale di un certo tipo. Tantissime altre regioni, pur avendone l'esigenza, perché io sono un imprenditore da quarant'anni, quindi giro l'Italia in lungo e largo, parlo con assessori e vi assicuro che, dalla Calabria alla Lombardia, il problema è sentito, perché è un problema diffuso, non affrontano la questione. La problematica riguarda le modalità di attuazione, quindi ci sono le regioni capofila che fanno un po' da apripista. Oggi il grosso del problema è che arrivano i fondi a livello regionale per gestire la cronicità e non ci sono modelli. Il grande rischio è quello di dire: «Prendo un modello di un'altra regione», però mi accorgo che ci sono una serie di difficoltà oppure di caratteristiche che sono proprie di quel Sistema sanitario regionale che non posso essere adattate al mio. Oppure la peggior cosa è, parlando di Health Technology assessment (HTA), che io vado a fare il mio piano regionale, metto i miei consulenti regionali e comincio a studiare il mio Pag. 9modello. Questo non è che non sia corretto, per carità, ma sta generando un problema strategico, perché è vero quello che diceva lei, cioè che la spesa sta andando per il 70-75 per cento verso la cronicità e verso la domiciliarità, quindi negli ultimi dieci-quindici anni si è capovolta la spesa nel settore sanitario e noi non possiamo lasciare libero arbitrio di spendere quei pochissimi soldi, perché non ci sono grandi investimenti su questo. Noi abbiamo apprezzato la Commissione nazionale per l'aggiornamento dei LEA e la promozione dell'appropriatezza nel Servizio Sanitario Nazionale che ha aperto, ha cambiato... però anche lì ci sono delle criticità- ne parlavamo con il dott. Andrea Urbani, direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute proprio recentemente in Confindustria – sulla possibilità di accreditare: noi siamo i primi a dire che non vogliamo essere autoreferenziali e che vogliamo accreditare i nostri processi come si fa per il farmaco, facendo, quindi, trial clinici, soluzioni per certificare questo e non semplicemente dire: «Dottore, guardi che questo funziona. Lei risparmia. Stia tranquillo.», però tutto questo abbisogna a monte di un sistema che consenta di agire nei confronti dell'operatore pubblico locale e consenta al mondo dell'industria di avere un quadro chiaro su cui incominciare a investire e andare avanti. Il richiamo che vi facciamo è che in telemedicina in questo Paese negli ultimi quindici anni sono stati fatti dai 6.000 agli 8.000 progetti, tutti promossi da un primario ospedaliero, animato da spirito anche positivo, ma che poi è franato, tutti di durata di otto, dieci mesi, un anno, un anno e mezzo. Non sono andati oltre un anno e mezzo, con investimenti da parte dell'industria, della ricerca, e con l'utilizzo dei fondi di ricerca, ma sono morti, o, come dico io, «sono rimasti là», perché non c'è a monte un coordinamento nazionale, quindi, anche se si parte con finanziamenti europei, i progetti sono regionali fuori da un contesto nazionale di coordinamento. Dicevo prima della standardizzazione delle informazioni: sembra una sciocchezza, ma se noi codifichiamo le patologie e le metodologie o il tipo di raccolta in maniera diversa, le informazioni non si leggono, non comunicano tra loro. È inutile. Questa sembra una banalità, ma è una cosa importantissima e i tempi sono strettissimi, perché il mondo comunque va avanti e rischiamo di perdere, perché poi anche il mondo dell'industria – noi lo vediamo con le multinazionali – se il Paese non risponde... cioè non è che non abbiamo gli investimenti, ma noi vediamo che si spostano, cioè tutta una serie di sperimentazione di nuovi prodotti, il che vuol dire crescita di tutto il Sistema- Paese e della sanità, vengono dirottati su altri Paesi, cioè è inutile. Questo è normale da questo punto di vista.

  PRESIDENTE. Se non c'è nessun altro intervento, io vorrei dire due cose velocemente: anzitutto per ringraziarvi, non solo per la presenza, ma anche per l'esposizione che ci avete fatto, che sicuramente arricchisce questo nostro percorso e questa nostra indagine conoscitiva. Noi stiamo lavorando soprattutto con la parte «medica», se posso dire, delle varie associazioni e la vostra audizione serviva anche a completare il quadro d'insieme e infatti sono emerse alcune situazioni, alcuni «link», da cui risultano evidenti alcune problematiche. Quella del fascicolo sanitario: tra le prime cose che noi abbiamo fatto c'era la verifica se un paziente veneto possa essere accolto nello stesso modo nelle strutture lombarde confinanti. All'inizio c'era sembrato di no, oggi rappresentanti del Servizio Sanitario Nazionale ci hanno spiegato che questa modalità di trasmissione è diventata una trasmissione unica, per cui esiste un modello nazionale, ma non c'è ancora l'interagibilità tra le regioni e questo è motivo di preoccupazione. Quindi, il tema è come, anziché spezzettare anche le risorse e gli investimenti, pensare a un sistema complessivo. Giustamente, rispondendo a una delle domande precedenti, diceva che è bene che ci siano dei capifila. Sicuramente, forse sarebbe bene avere dei capifila per un progetto unico e non dei capifila che partono, a prescindere dagli altri, come stiamo vedendo anche in questi giorni di difficoltà del sistema sanitario. Io vengo da una delle regioni citate, dalla Calabria, e noi siamo Pag. 10quelli nella parte finale della fila, non soltanto dal punto di vista geografico, sul fascicolo sanitario, ma in genere anche sui LEA, su tutto quello che è il sistema sanitario, però una riflessione che voi oggi ci avete consegnato, che credo sia fondamentale, è il passaggio al futuro, perché non soltanto c'è un tema di informatica, ma bisogna anche tener conto sempre del campo in cui si gioca e siccome questo è un Paese, anche se non il solo, in cui, a parte quelli in espansione, si invecchia di più e aumenta l'età media, è chiaro che alcuni dei progetti di cui abbiamo parlato saranno oggettivamente o campi d'azione del futuro o, inevitabilmente, il punto di declino della nostra società, perché una società che non riesce a guardare e a curare se stessa inevitabilmente non potrà farcela. Per questo io credo che sia utile un lavoro comune tra le parti, come la Confindustria, che spingono verso un impianto innovativo culturale attraverso l'industria, attraverso la ricerca e il mondo complessivo pubblico, se così possiamo definirlo, anche se in questo campo, ormai, pubblico e privato sempre più iniziano ad avere punti di contatto. Non è una domanda, ma una semplice riflessione.
  Vi ringrazio ancora della vostra partecipazione e se vi può essere utile, porgo alla vostra attenzione un ulteriore elemento: questa Commissione è nata con l'intento di avere anche un'operabilità esterna, nel senso che noi oggi stiamo facendo questa indagine conoscitiva sulla digitalizzazione dei servizi della sanità. Ne faremo una sulla pubblica amministrazione successivamente, per cui inevitabilmente si intrecceranno le cose, proprio perché tra di noi, in modo molto trasversale, è nata l'idea di dare un contributo alla modernizzazione del Paese, a prescindere dalle appartenenze, proprio perché pensiamo che questo sia il modello di sviluppo che il Paese deve avere. Grazie.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.

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ALLEGATO

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