XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 4 dicembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Stumpo Nicola , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE DELL'ACCESSO DEI CITTADINI AI SERVIZI EROGATI DAL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Audizione di Tiziana Frittelli, Presidente di Federsanità-ANCI.
Stumpo Nicola , Presidente ... 3 
Frittelli Tiziana , Presidente di Federsanità-ANCI ... 3 
Stumpo Nicola , Presidente ... 8 
Lacarra Marco (PD)  ... 8 
Stumpo Nicola , Presidente ... 9 
Taricco Mino  ... 10 
Adelizzi Cosimo (M5S)  ... 10 
Frittelli Tiziana , Presidente di Federsanità-ANCI ... 11 
Stumpo Nicola , Presidente ... 11 
Taricco Mino  ... 12 
Frittelli Tiziana , presidente di Federsanità-ANCI ... 12 
Stumpo Nicola , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
NICOLA STUMPO

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Tiziana Frittelli, Presidente di Federsanità-ANCI.

  PRESIDENTE. Nella seduta odierna riprendiamo lo svolgimento dell'indagine conoscitiva in corso sulla semplificazione dell'accesso ai cittadini ai servizi erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, e in tale ambito avrà luogo l'audizione della dottoressa Tiziana Frittelli, presidente di Federsanità-ANCI, che ringrazio per aver prontamente accolto la richiesta di partecipare ai nostri lavori.
  È di particolare interesse per la Commissione ascoltare la voce di Federsanità, soggetto istituzionale che rappresenta le esigenze di Aziende sanitarie locali e ospedaliere ed enti locali, al fine di migliorare i percorsi di integrazione sociosanitaria e socioassistenziale.
  Come abbiamo già avuto modo di ascoltare nel corso delle precedenti audizioni, la sfida posta dalle nuove tecnologie digitali in ambito sanitario apre scenari molto promettenti, per certi versi affascinanti dal punto di vista della facilità di accesso dei cittadini alle cure, del rafforzamento della rete territoriale di assistenza, oltre che della semplificazione della gestione dei processi amministrativi sanitari.
  Il punto di vista e la prospettiva di lavoro che attori fondamentali come aziende sanitarie e comuni intendono portare avanti in questo processo di cambiamento riveste un'importanza decisiva per capire anche il possibile apporto che il legislatore può dare a sostegno di interventi, che vanno a incidere su un bene primario quale è la salute dei cittadini.
  Do quindi la parola alla dottoressa Frittelli, riservando – come di consueto – uno spazio alla fine della relazione ai colleghi che desidereranno intervenire.

  TIZIANA FRITTELLI, Presidente di Federsanità-ANCI. Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione per la sensibilità dimostrata nel voler ascoltare i vari organismi attivi sul campo.
  Prima di svolgere il mio intervento, preferirei mostrarvi un breve video che abbiamo creato, che secondo noi dovrebbe dare l'idea della direzione verso la quale si deve muovere la sanità per facilitare i percorsi di presa in carico soprattutto dei soggetti più fragili, sia dal punto di vista sanitario che sociale.
  Federsanità è un soggetto istituzionale che ha come mission il raccordo tra mondo delle aziende sanitarie e amministrazioni locali, per facilitare i percorsi di integrazione sociosanitaria e socioassistenziale e diffondere sani stili di vita, per prevenire l'insorgenza di malattie croniche e delle dipendenze. È una rete attiva sul territorio costituita da Federsanità stessa e ANCI regionali che, in raccordo con le ANCI di riferimento, promuovono buone pratiche di prevenzione sul territorio. A livello nazionale la Confederazione dialoga e collabora con il Coordinamento nazionale ANCI Salute, da poco costituito, con l'obiettivo di Pag. 4mettere al centro temi, contenuti e iniziative per rispondere meglio, in termini di qualità e prossimità, ai bisogni dei cittadini. Con ANCI stiamo cercando di fare un discorso integrato sulla nozione di quello che oggi viene definito l'ecosistema salute, in maniera che ci sia un allineamento tra politiche della sanità e politiche ambientali, per esempio produttive – e vediamo purtroppo dalle cronache quali possono essere i problemi che si creano – in modo di andare tutti verso un'unica direzione, nella logica del «one health»: salute sia degli individui che di tutto l'ambiente agroalimentare, e soprattutto passare da una visione di presa in carica della sanità a quella della salute in senso più ampio.
  Il punto di osservazione qui rappresentato parte proprio dal ruolo istituzionale dell'Associazione che mette assieme esigenze e punti di vista di Aziende sanitarie ed enti locali, sottolineando la lettura che tali enti fanno del tema dell'accessibilità del cittadino ai servizi sanitari e allargandolo ai servizi integrati sociosanitari. Nel documento si affrontano alcuni dei problemi di accessibilità e si propongono soluzioni, anche tenendo conto di alcune esperienze attive tra gli associati. Noi abbiamo alcune Federazioni regionali che sicuramente sono più avanti su questo tipo di tematiche, anche collegate al filmato che abbiamo visto.
  L'accesso al servizio sanitario presenta problemi e richiede approcci organizzativi diversi in base alle caratteristiche del cittadino e alla tipologia di accesso richiesto. Sulla base delle caratteristiche del cittadino si possono identificare le seguenti tipologie: accesso occasionale, quando il cittadino ha necessità di una singola prestazione e, in questo caso, sarà importante la facilità con cui è possibile identificare modalità e luogo dove ottenere la prestazione più appropriata e i relativi tempi di attesa; accessi ripetuti per lo stesso problema: è il caso tipico di persone con una patologia o più patologie croniche di lunga durata che richiede la necessità di programmare più accessi in maniera semplificata, per evitare la ripetizione inutile di pratiche burocratiche e per rispettare il calendario dei controlli richiesto dagli specialisti; accessi ripetuti per problemi di diversa natura, categoria nella quale rientrano le persone con più patologie o con un insieme di problemi sanitari e sociali o socioassistenziali (si tratta in molti casi di persone anziane per le quali è necessario programmare l'accesso a più servizi specialistici, in alcune situazioni anche organizzare servizi di trasporto e assistenza, servizi a domicilio, compresi i pasti e pulizia); accessi di persone affette da gravi forme di disabilità o patologie di tipo psichiatrico e, in questo caso, le difficoltà all'accesso sono dovute principalmente alle difficoltà delle persone stesse nella comprensione dell'organizzazione del servizio, nella resistenza a entrare in luoghi poco familiari, o alla scarsa familiarità di molti operatori sanitari all'approccio con persone che hanno questa tipologia di problemi, soprattutto per i problemi psichiatrici.
  Oltre al problema più conosciuto e trattato, quello dei tempi di attesa per ottenere la prestazione, su cui vi sono stati interventi normativi anche recenti (Piano nazionale di Governo delle liste di attesa per il triennio 2019/2021), esistono altre aree che meritano attenzione e interventi migliorativi.
  Mi riferisco, in primo luogo, all’Urban rural divide. La carenza di personale del Servizio sanitario nazionale, in particolare di quello medico, sta concentrando sempre di più nelle aree urbane servizi e professionalità, lasciando in grave sofferenza ampie zone del territorio, in particolare quello montano. Si pensi ad esempio alla grave carenza di medici di medicina generale, che si aggraverà ulteriormente nei prossimi anni, per la quale sempre più sindaci segnalano problemi e disagi. Vi porto un piccolo esempio dell'ospedale che dirigo, il Policlinico di Tor Vergata. Ho fatto di recente un concorso a Roma in un policlinico universitario per medicina d'urgenza: dei trentasei vincitori nessuno ha accettato. Ed è stata molto positiva l'innovazione normativa che ha consentito agli specializzandi dell'ultimo anno di poter partecipare, perché sto aspettando che si specializzino, in Pag. 5quanto sono gli unici ad aver accettato l'impiego.
  In secondo luogo mi riferisco alla molteplicità di servizi e benefici. Per alcune tipologie di problemi, ad esempio non autosufficienza e disabilità, i servizi e i benefici disponibili sono numerosi ed erogati da enti diversi. Per i cittadini non è sempre facile conoscere tutti i servizi disponibili e le modalità di accesso. Il cittadino quindi rischia di non ottenere prestazioni a cui ha diritto.
  In terzo luogo faccio riferimento alla moltiplicazione degli accessi. Talvolta per ottenere un beneficio, ad esempio l'esenzione del ticket per patologia, il cittadino, pure in possesso della documentazione disponibile, deve comunque ripetere la procedura o visite presso altri uffici o servizi. Anche qui porto un piccolo esempio personale. Mia sorella e io abitiamo entrambe a Roma; mio padre, che è mancato da poco, aveva un Alzheimer grave, quindi avevamo trovato una persona, che aveva bisogno però della macchina. Nonostante avesse anche l'accompagno con una invalidità del 100 per cento, abbiamo dovuto accompagnarlo a fare un'ulteriore visita per poter avere i benefici previsti dalla legge n. 104, comma 3, che consente di poter acquistare una macchina con benefici. Questo per dire le duplicazioni alle quali spesso i pazienti sono assoggettati.
  Infine, con riferimento al tema delle disuguaglianze, esiste ormai una consolidata letteratura scientifica che ha dimostrato che l'accesso ai servizi sanitari, dalla prevenzione alla cura, è ampiamente condizionata da reddito, titolo di studi e residenza (Nord e Sud in particolare). Questo comporta anche importanti conseguenze sullo stato di salute e sugli esiti.
  Passo ora all'ipotesi di intervento di miglioramento. In linea generale si possono identificare almeno cinque aree di intervento di carattere generale.
  La prima è riassumibile con uno slogan: «One shot one goal». Sviluppo diffuso dei punti unici di accesso. È necessario che il cittadino abbia un riferimento semplice e unico da cui accedere ai servizi. Questo punto unico può essere fisico, telefonico o informatico. Le Aziende o insieme di Aziende e servizi degli enti locali devono innanzitutto rendere esplicita e trasparente la propria organizzazione, quindi metterla a disposizione del cittadino; i punti di accesso devono garantire l'informazione alle persone e famiglie sull'intera gamma degli interventi e supporti che potrebbero essere utili, erogabili non solo dal Servizio Sanitario Nazionale o dai servizi sociali locali ma anche da altre amministrazioni e soggetti del territorio, quali agevolazioni fiscali nei trasporti, nella riduzione delle barriere architettoniche, nei congedi a familiari del disabile o non autosufficiente, nelle prestazioni erogabili dall'INPS. La famiglia del non autosufficiente dovrebbe incontrare in un unico luogo un'informazione e agevolazione all'accesso non solo per gli interventi per quel front office attivo (ad esempio la prenotazione nel punto unico di accesso), ma su tutto ciò che offre il welfare. Sarebbe utile che i punti di accesso potessero anche favorire l'accesso alle diverse prestazioni, anche di diverse amministrazioni, sino all'eventuale accompagnamento nel caso di persone che non potrebbero accedervi senza tale risorsa. È necessario poi che l'informazione sulla natura, localizzazione e funzione dei punti di accesso sia veicolata con continuità a cura delle aziende sanitarie e degli enti gestori dei servizi sociali verso tutti i soggetti che ne possono, a loro volta, informare persone e famiglie, tra i quali: i medici di medicina generale; gli ospedali; le strutture sanitarie di ricovero post ospedaliero; le strutture residenziali per non autosufficienti; gli uffici relazioni con il pubblico delle aziende sanitarie e dei comuni; i servizi di continuità assistenziale delle aziende sanitarie; i patronati sindacali; le associazioni e fondazioni di tutela e supporto di disabile non autosufficiente. Insieme al Coordinamento ANCI Salute pensiamo, per l'anno 2020, di lanciare una campagna di questo genere, per cercare di diffondere questa cultura dei punti unici di accesso tra più amministrazioni.
  La seconda area riguarda i meccanismi di incentivazione per mobilità a tempo, équipe itineranti. Presso le zone rurali, montane, di provincia sarebbero opportuni meccanismi Pag. 6 di incentivazione a mobilità a tempo, équipe itineranti previsti nel prossimo contratto collettivo della dirigenza e nell'accordo sui medici di medicina generale. Un aiuto potrebbe derivare dall'infermiere di comunità collegato a un medico di un’équipe itinerante e alla farmacia dei servizi. Federsanità ha organizzato una serie di convegni nell'ambito del recente Forum Risk di Firenze, che si è tenuto pochi giorni fa, e una delle tematiche è stata proprio quella di verificare con tutti gli esperti del settore quali fossero gli impatti organizzativi del contratto collettivo della dirigenza e dei medici di medicina generale. Dopo dieci anni si è chiusa la tornata contrattuale sia per la dirigenza che per i medici di medicina generale, era presente al convegno, invitato da noi, anche il presidente dell'ARAN. Funziona così: il Governo dà delle indicazioni al Comitato di settore, il quale lo trasmette all'ARAN. Tuttavia abbiamo rilevato che spesso il contratto viene vissuto come una tutela dei dipendenti (sacrosanto), anche se il contratto collettivo della dirigenza e dei medici di medicina generale ha un impatto incredibile sull'organizzazione. Vi ho raccontato le difficoltà di Tor Vergata, che pure è un ospedale bellissimo a Roma, seppure in una zona molto povera, e vi invito a fare una visita. A Latina, a Frosinone, a Viterbo la situazione spesso è ancora più difficile, figuriamoci nelle zone montane. Il nostro collega della ASL 3 di Genova ci ha mostrato un esperimento che ci è piaciuto tantissimo: nel suo territorio di competenza ci sono zone nelle quali vi sono sei abitanti per chilometro quadrato, sono zone montane; c'era un centro con duecento abitanti e nessun medico di medicina generale ci voleva andare, quindi hanno individuato la figura dell'infermiere di comunità, hanno attrezzato la farmacia come una farmacia di servizi, seppure in piccolo, per esempio hanno lasciato lì farmaci salvavita, adrenalina, hanno formato alcuni volontari, perché, se non facciamo squadra tutti insieme, davvero non ce la possiamo fare, per esempio nell'utilizzo del defibrillatore, anche con le scuole. Il medico di medicina generale va lì una volta a settimana, c'è il raccordo con l'infermiere di comunità, c'è questa piccola farmacia che funge da farmacia dei servizi e sono riusciti ad assicurare una certa assistenza. Se poi c'è un'urgenza, devono andare con l'elicottero, tuttavia è una piccola comunità che viene assistita. Quello che è emerso da quel convegno è la disponibilità del presidente dell'ARAN ad ascoltare le varie associazioni, tra le quali si è proposta anche Federsanità, per dare indicazioni nel prossimo contratto collettivo di incentivi per esempio alla dirigenza medica o ai medici di medicina generale. Soprattutto noi vorremmo un'osmosi tra Nord e Sud. Il grande professionista che vive a Roma potrebbe benissimo accettare, per una settimana al mese o anche tre giorni, di recarsi in una zona del Sud priva di certe specializzazioni. Prima parlavamo di radiologia interventistica: è successo un recente caso a una persona che conosco. È capitato in un ospedale del Sud dove non c'è radiologia interventistica, cinquantenne, costretta alla disabilità perché non esiste una rete tempo-dipendente con specializzazioni elevate come per esempio c'è nell'ospedale di Tor Vergata. Una forma di incentivi contrattuali potrebbe aiutare, data dall'indicazione al Comitato di settore, per una osmosi professionale nelle varie zone del Paese.
  Un'altra area di intervento si potrebbe chiamare «alla ricerca del tempo perduto», ovvero semplificazione delle procedure. Le aziende dovrebbero intraprendere un progetto alla ricerca del tempo perduto, analizzando, in collaborazione con le associazioni dei cittadini e con gli enti istituzionali preposti, tutte le procedure complesse, ripetute, ridondanti, inutili ed efficaci in atto che fanno perdere inutilmente tempo ai cittadini e agli operatori. Per esempio proprio in questi giorni la Regione Lazio ha elaborato un protocollo tra INPS e ospedali – è partita dall'ospedale oncologico di Roma (IFO) – per la certificazione dell'invalidità, in maniera tale che il malato oncologico, senza fare tanti giri, possa avviare la certificazione di invalidità presso l'ospedale stesso. In questo capitolo rientra anche la pessima pratica delle istituzioni di chiedere più volte ai cittadini informazioni che sono già in loro possesso. Si pensi ad Pag. 7esempio alla già citata esenzione ticket per patologia, per ottenere la quale oggi è spesso necessario fare due o tre passaggi. In alcune realtà, ad esempio in Friuli-Venezia Giulia, si è concesso ai medici di medicina generale di produrre la documentazione necessaria all'esenzione per ipertensione e diabete, risparmiando così decine di migliaia di visite inutili e una gran quantità di tempo al cittadino.
  La quarta area di intervento potrebbe essere definita «Green Access», abolizione degli spostamenti evitabili. Esistono ancora molti esempi in cui il cittadino e l'operatore sono costretti a spostarsi fisicamente in auto o con mezzi pubblici per fare una pratica, ritirare un referto, fare una prenotazione. Alcune aziende hanno calcolato il grande impatto ambientale dell'informatizzazione di alcune di queste pratiche, oltre che ovviamente di miglioramento dell'accessibilità: ad esempio la possibilità di poter vedere on line i referti di esami di laboratorio o di diagnostica per immagini fa risparmiare ogni anno decine di migliaia di viaggi in auto. Per esempio presso il mio ospedale c'è un grande servizio, è una cosa piccola che non costa, ma è un grande servizio per il paziente.
  L'ultima area di intervento si può sinteticamente riassumere nelle parole «un diritto, un accesso». Per i cittadini con alcune situazioni complesse, qual è la grave non autosufficienza o disabilità, Stato e regioni prevedono numerosi benefici con accessi a enti e commissioni in luoghi diversi. La numerosità dei benefici può superare anche la decina, come rilevato da alcuni dei nostri associati sempre in Friuli-Venezia Giulia. Questo numero ha due implicazioni: da un lato, la difficoltà del singolo cittadino ad attivare tutte le procedure; dall'altro, la possibilità che il cittadino che ne ha diritto non ne venga a conoscenza, quindi non usufruisca del beneficio. Sarebbe quindi utile attivare norme e procedure per la semplificazione e unificazione di tali benefici. Si pensi, ad esempio, a benefici simili con ISEE diversi. Sarebbe necessario che l'Agenzia delle entrate, l'INPS e l'INAIL, sotto il coordinamento del Ministero della Salute e del Ministero del Lavoro e politiche sociali, producano una mappa articolata delle rispettive prestazioni e agevolazioni per le persone non autosufficienti e le loro famiglie, da aggiornare con scadenze almeno semestrali. Tale mappa ha lo scopo di informare in modo chiaro e completo sia le famiglie che i diversi servizi della rete delle cure di tutte le opportunità, pertanto dovrebbe essere resa disponibile sui siti web delle amministrazioni citate e fornita alle Regioni con modalità che consentano a Regioni, ASL ed enti gestori dei servizi sociali di integrarla con le prestazioni locali.
  Gli interventi proposti hanno effetto generale sul miglioramento dell'accessibilità, ma non sono sufficienti. È necessario, a nostro parere, adottare anche misure ad hoc per problemi specifici quali quelli elencati nei paragrafi precedenti. Di seguito si analizzano alcuni di questi, suggerendo le relative proposte di miglioramento.
  Partiamo dall'accesso ai servizi delle persone con patologie croniche o punti problematici. Questo è, e sarà il punto più critico del Servizio Sanitario Nazionale: richiede, quindi, uno sforzo programmatico di medio-lungo termine. Un approccio corretto e proattivo può modificare in misura rilevante qualità della vita ed esiti di salute. È necessario che, una volta presa in carico la persona e condivisi con lei e con la famiglia obiettivi e percorso, l'accesso ai servizi sia agevole e programmato in anticipo. È inoltre necessario che il monitoraggio della situazione sia continuo, tempestivo e in grado di fornire le informazioni per aggiustare rapidamente il programma intrapreso sulla base delle nuove necessità. Va prevista la figura del case manager di raccordo tra ospedale e territorio, medici di medicina generale appositamente formati. Potrebbe essere un infermiere o un assistente sociale o comunque una persona che abbia evidenza dello stato del programma e che si occupi di tutti gli appuntamenti e delle scadenze. Il modello è un pochino quello dei percorsi diagnostici e terapeutici assistiti (PDTA), però ci deve essere qualcuno che governa questo percorso, altrimenti il cittadino è costretto ad Pag. 8andare qua e là come una pallina impazzita. In questo ambito ha anche un grande ruolo l'informatico, per permettere un contatto costante tra cittadini e servizi.
  Vi è poi l'accesso ai servizi di persone affette da gravi disabilità o patologie di tipo psichiatrico. È noto che la mortalità per patologie diverse da quella specifica è molto più elevata della popolazione generale nelle persone con patologia psichiatrica o con gravi disabilità. Questo deriva da un'attenzione ai problemi principali che comportano spesso il trascurare altre malattie (ipertensione e diabete). In questi casi è dimostrato che un'organizzazione attenta e dedicata può influire in maniera rilevante sugli esiti e sulla gestione della malattia. A questo proposito si ritiene di suggerire lo sviluppo di modelli consolidati ai servizi quali il Disabled Advanced Medical Assistance (DAMA) presenti ed attivi in alcune realtà italiane (Pordenone, Milano, Trento).
  Un altro intervento riguarda lo sviluppo degli amministratori di sostegno. Questo è un tema cruciale. L'amministrazione di sostegno, istituita con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004, è una figura importante di tutela e sostegno delle persone fragili ed essenziali, quando vi siano frequenti contatti con il Servizio Sanitario Nazionale. Noi in ospedale abbiamo contatti tutto il giorno. Nel territorio di competenza del tribunale di Pordenone si è sviluppata un'interessante esperienza di forte coinvolgimento del volontariato e degli enti locali: a differenza di altre realtà, dove questo compito è stato affidato ad avvocati – immaginate che cosa un avvocato possa capire del Sistema Sanitario Nazionale –, in questo caso la maggioranza degli amministratori sono volontari costituiti in associazioni e sanno quello di cui si parla. Questa scelta ha comportato almeno due effetti molto positivi: la sottolineatura del ruolo di aiuto e lo stimolo che gli amministratori hanno dato al miglioramento dei servizi quali case manager della persona.
  Passo adesso a trattare del ruolo delle tecnologie informatiche per il miglioramento dell'accesso. Federsanità, anche attraverso le iniziative di alcuni associati, sta lavorando attivamente sulla riflessione del ruolo delle tecnologie informatiche per il miglioramento della vita delle persone e dell'efficienza ed efficacia dei servizi. Si ricorda, a tal proposito, la redazione della carta di San Vito al Tagliamento sulla promozione e sviluppo della robotica e della domotica – è stata presentata pochi giorni fa – nel nuovo paradigma di integrazione tra ospedale e territorio, in cui sono stati sintetizzati alcuni principi guida operativi. L'abbiamo vista, quindi leggo velocemente: teleconsulto, intelligenza artificiale, monitoraggi a distanza, app personali.
  In conclusione, Federsanità mette a disposizione la propria esperienza e le competenze sul campo dei propri associati per qualsiasi iniziativa sia in grado di migliorare l'accessibilità del cittadino al Servizio Sanitario Nazionale. Inoltre, Federsanità ritiene che l'accesso sia uno dei temi di primaria importanza per favorire l'equità e l'universalità dei servizi sulla base dei criteri definiti dallo European Patients’ Forum nel 2016. Per migliorare l'accessibilità, il Servizio Sanitario Nazionale deve essere adeguato, accessibile, sostenibile, appropriato e disponibile.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.

  MARCO LACARRA. Ringrazio la dottoressa Frittelli per la relazione, della quale condivido quasi la totalità dell'impianto, salvo – a difesa della mia categoria – la considerazione sugli avvocati.
  Faccio una riflessione. Fino a qualche decennio fa, anche per l'impossibilità di utilizzare strumenti diagnostici come accade oggi, era assai diffuso il fenomeno della cosiddetta «medicina difensiva». Penso che l'utilizzo degli strumenti diagnostici anche in patologie che un tempo venivano facilmente individuate dai medici di base, che erano il front office, e sono quelli che hanno la conoscenza approfondita e più chiara del paziente e sono in grado, quindi, di raccontarne anche la storia clinica, abbia in questi anni determinato la perdita del patrimonio costituito da queste risorse di competenze e di grande preparazione Pag. 9che erano i medici di base. Lei ha fatto una riflessione in ordine alla difficoltà di reperire medici di base. Questo deriva anche dal fatto che sono considerati medici di serie B perché sono chiamati soltanto a fare la ricetta, a fare la prescrizione, a consentire di andare in farmacia a prendere il farmaco. Io penso che il lavoro che si debba fare è soprattutto quello di formare una nuova classe competente che torni ad avere quel ruolo, che non è solo tecnico ma anche sociale e che i medici di base hanno rivestito per anni.
  Per una deospedalizzazione – noi sappiamo che i costi maggiori si hanno nell'ospedale – il lavoro che si deve fare, e che si sta già facendo, ma non è ancora sufficiente, è quello di potenziare la medicina del territorio, investire sulle competenze dei medici di famiglia e trasferire gran parte delle competenze ospedaliere sulla medicina del territorio. E questo avverrà, se ci sarà un maggiore affidamento al medico di base; se il paziente riterrà, come accadeva un tempo, di potersi fidare della diagnosi immediata e più semplice, perché il medico di base è a dieci metri da casa nostra, quindi può essere il primo punto di riferimento. Io penso che sia indispensabile investire, e questo ha un riflesso anche sulla rete dei pronto soccorso perché oggi vi si recano moltissimi codici non rossi che finiscono per ingolfare l'attività e causano al paziente attese anche di otto/dieci ore. Significa che anche su questo un lavoro della medicina territoriale può servire. Io riporto la mia esperienza: sono stato otto ore in attesa di una puntura di un Toradol per un banalissimo mal di denti. Le farmacie notturne si rifiutavano, perché ovviamente questi malesseri capitano di notte e il Sabato Santo, quindi è normale che si debba ricorrere alle prestazioni del pronto soccorso. In quel caso la guardia medica chiusa, le farmacie si rifiutano di dare farmaci, a quel punto è chiaro che si finisce per ingolfare l'attività del pronto soccorso. Quindi io credo che sia indispensabile lavorare culturalmente, ma soprattutto è necessario investire risorse.
  Noi abbiamo degli esempi di aggregazione dei medici territoriali molto positivi in Puglia, che creano i famosi PDTA, oltre alle «case della salute» che stiamo realizzando. Molti comuni hanno sostituito le strutture ospedaliere, perché con il decreto del Ministro della Salute n. 70 del 2015 è stata imposta la razionalizzazione del sistema, che non è una razionalizzazione economica, ma di efficienza delle strutture ospedaliere. Quindi, nel momento in cui abbiamo chiuso alcuni ospedali, abbiamo provato a costruire dei punti di riferimento sanitari che possono comunque far sentire il paziente meno privo, come in realtà si sente, di risposte alla domanda di salute.
  Culturalmente bisogna investire, costruire una nuova classe medica che sia vicina ai cittadini. Questo ci farà risparmiare moltissimi soldi sulla deospedalizzazione, ed è su questo che credo sia opportuno lavorare.

  PRESIDENTE. Voglio ringraziare la dottoressa per il suo punto di vista sull'indagine conoscitiva che stiamo conducendo. Guardando la sanità dal punto di vista territoriale, quindi da una prospettiva diversa rispetto a quella classica, ci è stato spiegato l'andamento dello sviluppo della sanità digitale che, secondo me, ha dei chiaroscuri: una progettualità futura di assoluta rilevanza; una praticità attuale che è quella che lei ci ha detto. In alcuni punti sembra di essere ritornati nel film «Alla conquista del West»: nei comuni con sei cittadini per chilometro quadrato arriva l'infermiere con il calesse. Quindi il digitale sarebbe la risposta moderna del dottore che arrivava una volta, sperando di trovare il paziente ancora in vita. È chiaro che c'è bisogno di un punto di vista come questo per entrare in profondità.
  Vorrei aggiungere due considerazioni. Non serve più pensare se il punto digitale vada fatto oppure no: è l'unica prospettiva reale che c'è, ma ci sono alcune questioni che lei ha sottolineato e che vorrei capire, anche perché la nostra Commissione non è mossa soltanto dallo spirito di fare queste audizioni, ma anche dalla voglia di provare a collaborare e a legiferare, in quanto composta da parlamentari, deputati e senatori, contribuendo a realizzare quello che qui ci viene rappresentato come migliorie da fare. Pag. 10Le faccio alcuni esempi delle cose che lei ci ha detto per semplificare la vita dei cittadini. Invalidità, oggi il percorso di un cittadino per arrivare a ottenere l'invalidità è un percorso a ostacoli. Il primo ostacolo deriva dal fatto che quel cittadino deve sapere di avere quel diritto. Nel momento in cui una persona si trova nelle condizioni di essere invalida al 100 per cento, i familiari non pensano all'invalidità: pensano al problema del loro caro. Da questo punto di vista, siccome la procedura attuale prevede che un cittadino debba essere informato, fare delle domande, quelle domande devono essere valutate da più settori della pubblica amministrazione, e poi quel cittadino invalido deve presentarsi per fare più controlli e dimostrare di essere invalido. Il tutto dopo essere stato ricoverato probabilmente in un ospedale pubblico e rilasciato attraverso la firma di un primario, che in quel momento ha certificato l'uscita: è possibile pensare secondo lei a una semplificazione per cui il modello si inverte? È chiaro che ci sarà sempre bisogno di verifiche, ma nel momento in cui un cittadino ha avuto un problema ed esce dall'ospedale con la certificazione di invalidità, perché non è possibile considerarlo già invalido e sei mesi dopo, un anno o un anno e mezzo dopo, a seconda della gravità, fa il controllo con modalità anche più urbane? Chi conosce il nostro territorio, sa che cittadini che non hanno più la possibilità di spostarsi, devono fare cento, centocinquanta chilometri in macchina per potersi recare presso la commissione provinciale.
  Ho citato questo modello di semplificazione, ma ci sono tutti gli altri di cui lei ha parlato: quelli delle condizioni specifiche, come per il diabete, quelli per avere l'esenzione del ticket, dove il digitale dovrebbe provare a dare una mano. Anche in questo caso, poiché il medico di base certifica, attraverso le analisi, la condizione dell'assistito, non comprendo quale sia la necessità di doversi recare successivamente in un centro dove si timbra una carta, che poi si porta da un'altra parte, che poi deve essere vistata da un'altra parte, che poi dà l'autorizzazione fino a sei mesi, perché ogni sei mesi devi ritornare per fare il piano sanitario. È una modalità ottocentesca in una società che non consente più a nessuno di poter vivere nell'Ottocento.
  Voi fate questo con la praticità di chi vive le vicende attraverso i comuni; occorre provare a migliorare il servizio togliendo le burocrazie e rendendo più efficiente il rapporto tra i cittadini e le amministrazioni. Io parto sempre dal presupposto che la sanità deve essere efficiente al punto tale che ogni cittadino avrebbe diritto di non doverla incontrare, però, quando la si incontra, si deve avere la possibilità di non ammalarsi una seconda volta per colpa della burocrazia che vessa i cittadini.

  MINO TARICCO. Sottopongo alcune considerazioni in maniera rapida. La prima è questa. Credo che una delle cose che voi, come mondo ANCI, e noi, come istituzioni, dovremmo fare è creare meccanismi di circuitazione generale delle buone prassi, perché tanti modelli organizzativi, a cui lei anche faceva riferimento, probabilmente richiedono meno risorse e più pensiero. Il pensiero è una di quelle poche cose che possono essere date senza perdere. Io posso darlo a cento senza rimetterci nulla.
  La seconda considerazione è che, se vogliamo che questo mondo di oggi funzioni realmente bene, serve una piattaforma, un'infrastruttura informatica funzionante. Vivo in una provincia che ha duecentocinquanta comuni, di cui duecentodieci sono sotto i duemila abitanti, e ce ne sono almeno cento che sono sotto i cinquecento abitanti: il problema è che in quelle zone internet arriva con la manovella. La velocità di trasmissione delle informazioni è la potenzialità di trasmissione, perché determinati file non si riescono a trasportare. Adesso c'è l'intervento di copertura delle zone bianche. Questo credo sia uno dei temi che il futuro ci consegna in modo drammaticamente cogente, perché senza l'infrastruttura di internet, quella che stiamo facendo è tutta filosofia.

  COSIMO ADELIZZI. Ho solo una curiosità. Ho visto l'ultima parte del filmato e mi Pag. 11chiedo, come diceva il collega Taricco, proprio nell'ottica di far girare le informazioni, se ci fosse la possibilità di ricevere quel filmato e, magari, poterlo diffondere.

  TIZIANA FRITTELLI, Presidente di Federsanità-ANCI. Assolutamente! Riteniamo, come Associazione, che il problema del nuovo ruolo dei medici di medicina generale sia essenziale. Uno dei convegni a Firenze è stato proprio sul nuovo ruolo dei medici di medicina generale, perché ci sono due importanti novità: la prima, riguarda una decisione presa in Conferenza Stato-Regioni che non è stata attuata su un numero unico di chiamata per le prestazioni non urgenti nei confronti dei medici di medicina generale, sul quale intendiamo riaprire un dibattito; la seconda è che nella legge di bilancio passi la proposta di destinare una somma di circa 230/250 milioni, non ricordo l'esatta cifra, per le piccole attrezzature da destinare ai medici di medicina generale. Quindi parliamo di holter, di elettrocardiogramma, di piccole attrezzature per la capacità polmonare. Questo però mette al centro di tutto la discussione su quale debba essere il ruolo, perché ovviamente la Federazione italiana medici di medicina generale (FIMMG) rilancia dicendo che, se questo è lo studio, la regione deve mettere l'infermiere. La strada è quella che lei ha detto dell'unità di cure complesse, secondo noi già tracciata nel 2012 dal decreto Balduzzi. È una convinzione mia di operatore della sanità che attualmente il sistema di finanziamento, tracciato dal decreto legislativo n. 502 del 1992, ritoccato dalla riforma Bindi nel 1999, e poi modificato lievemente nel 2012 da Balduzzi, non sia correttamente tarato perché il finanziamento delle ASL che gestiscono gli accordi territoriali è per quota capitaria, nel senso che non c'è, come per esempio avviene per gli ospedali, un pagamento di remunerazione sulla base delle prestazioni effettuate. Bisogna quindi stare attenti perché ci possono essere effetti distorsivi e va studiato bene il sistema. Di fatto, attualmente il pagamento e la remunerazione avvengono a prescindere da quello che si fa. Noi abbiamo grande fiducia nel nuovo sistema di garanzia che entrerà in vigore per il monitoraggio dei LEA dal 1° gennaio 2020, che ha introdotto per la distrettuale (l'assistenza territoriale) dei nuovi riferimenti che prima non c'erano. Però, e qui veniamo alla criticità che lei denuncia, alcuni elementi di monitoraggio del territorio in alcune regioni non possono essere proprio avviati, perché non c'è un collegamento e un flusso informativo importante. Quindi noi crediamo che attualmente ci sia bisogno di riflettere su una nuova riforma, e partire da questo tipo di tematica è fondamentale. Quindi il medico di medicina generale diventa una figura centrale di raccordo. Però dobbiamo essere allineati. Il prossimo Comitato di settore, sia per l'ARAN sia per la SISAC (l'organismo che tratta con la medicina convenzionata, quindi i pediatri di libera scelta, medici di medicina generale e specialisti che sono sul territorio), deve dire qual è l'organizzazione che noi vogliamo.
  Lei mi parla di cose di contesto. Ho letto che il Ministero dell'Economia e delle finanze ha accettato di alzare il tetto per lo sblocco del turnover per quanto riguarda l'acquisizione del personale, ma la domanda è: per farci cosa? Noi in Italia abbiamo molti più medici che in Europa e abbiamo molti meno infermieri; non possiamo prescindere dal tipo di organizzazione che vogliamo realizzare.

  PRESIDENTE. Lei pone una domanda giusta: «per farci cosa»? Abbiamo una sanità a macchia di leopardo, nel senso che ci sono alcune regioni dove mancano sia i medici che gli infermieri, e lo sblocco dovrebbe servire per consentire ad alcune regioni di poter utilizzare per le nuove assunzioni fino al 15 per cento e non fino al 5. Tuttavia, a livello centrale, esiste la possibilità di dire fin dove si può arrivare in tutte le regioni, per evitare che ci siano alcune regioni che fanno incetta di figure di basso livello magari, per cui hanno riempito quel 5 per cento senza fare i concorsi, ma non elevando la qualità della sanità di quel territorio. Occorre dare la possibilità di fare assunzioni ad alcune regioni, che poi sono quelle che hanno i LEA più bassi, che avranno anche il nuovo modello più basso e che hanno la spesa maggiore di Pag. 12evasione, nel senso che i cittadini vanno a curarsi in altre regioni, per fare assunzioni mirate in quei centri, in quegli ospedali dove si chiudono i reparti per mancanza di personale. Quindi occorre alzare tale percentuale al 15 per cento, però la qualità della spesa va controllata perché altrimenti il rischio diventa che si faccia incetta di personale che alla fine ingolfa gli ospedali e non ne qualifica l'aspetto sanitario.

  MINO TARICCO. Ammetto che non sono un esperto del settore, quindi prendete con le pinze le cose che dico, però sul territorio ci vivo e vedo come funziona. Il passare – come diceva lei – da un'erogazione di risorse sulla base di quota capitaria o comunque di una fotografia della realtà sociale a un'erogazione sulla base di prestazioni o di qualità di prestazioni, richiede molta attenzione, perché il rischio è che sia accentrante su chi funziona bene e dato che noi abbiamo un territorio nazionale disomogeneo – e lo dico contro il mio interesse, provengo da una zona dove la sanità funziona benissimo – il rischio è che chi già funziona bene prenda più risorse, quindi che sia un avvitamento che marginalizza chi è già indietro.
  Se iniziassimo a dare risorse con un parametro che riconosca (indirettamente, perché poi ci sono i trasferimenti interregionali e via discorrendo) chi eroga le prestazioni, il rischio è che le risorse siano erogate su cinque o sei poli del Nord Italia. Lo dico come tema generale. Credo che il tema esista ed è capire come innestare politiche virtuose laddove non ci sono; questa è la vera scommessa. Per i territori fortunati che già hanno una sanità efficiente va bene, ma il problema è come trasferire determinati modelli funzionali laddove, per i più vari motivi, non ci sono livelli elevati.
  Quando si visitano alcuni territori ci si chiede quale nesso ci sia tra le varie realtà. Una va in Ferrari e l'altra va in bicicletta. I cittadini, però, sono italiani sia in quelle realtà efficienti, che in quelle meno. Perché un cittadino italiano deve avere l'obbligo di andarsene in bici e un altro deve poter andare in Ferrari? Il tema vero credo sia come incidere su determinati modelli comportamentali, organizzativi e funzionali.

  TIZIANA FRITTELLI, presidente di Federsanità-ANCI. Condivido le sue preoccupazioni, tanto che le debbo dire che questo aspetto è quello che mi preoccupa di più dell'autonomia differenziata, perché i due ambiti specifici sui quali inciderà di più sono l'istruzione, che pure è importante, ma – se mi consente – mi preoccupa di più la sanità, per accentuare ancora di più le due, tre velocità che abbiamo in Italia. Quindi, concordo pienamente.
  La questione è di trovare un elemento che spinga le aziende sanitarie a fare quella determinata attività per poter poi ottenere i risultati. Le porto un piccolo esempio. A parte la quota capitaria e i DRG con i quali vengono pagati gli ospedali, le regioni hanno un unico strumento di politica sanitaria: quello di utilizzare il finanziamento per funzioni, previsto dall'articolo 8-sexies, del decreto legislativo n. 502 del 1992, nel quale sono indicate le varie forme di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale. Io opero in una zona poverissima anche di posti letto. Sarebbe per me un grandissimo onore se voleste vedere il mio ospedale, perché è l'ospedale più bello della città nella zona più povera. Questo è il nostro orgoglio, quindi siamo davvero un punto di riferimento sociale per questa città. È proprio bellissimo, però abbiamo pochi posti letto: siamo al di sotto di 2 posti letto per mille abitanti, mentre la normativa stabilisce 3 posti letto per mille abitanti. Abbiamo un intasamento del pronto soccorso pazzesco, un po’ perché la zona è povera, un po’ perché ci sono pochi posti letto. Lo scorso anno la Regione Lazio ha deciso di utilizzare la forma delle funzioni per incoraggiare le strutture accreditate sul territorio, gestite dalla ASL con contratti di committenza, per incoraggiare i trasferimenti dei pronto soccorso. Fino a quel momento, non avendo nessun impegno specifico, le accreditate preferivano prendersi il paziente più semplice che ha bisogno di meno farmaci, meno antibiotici, meno specialisti. Quelli devono fare lucro, c'è poco da fare. Tutto questo magicamente ha fatto sì che si rimuovessero i trasferimenti dai Pag. 13pronto soccorso verso le Case di cura accreditate, liberando il pronto soccorso da una situazione di sovraffollamento incredibile. Sa perché, secondo me, la telemedicina non sta decollando in Italia? La telemedicina – questa è una cosa assurda – non è tariffata. Noi siamo stati chiamati al tavolo dall'Istituto superiore di sanità sulla tariffazione della telemedicina. Lì c'è proprio una direzione specifica, ed è una cosa incredibile. È possibile che in Italia la telemedicina non sia tariffata? Io sono orgogliosa, perché nel nostro ospedale abbiamo il migliore Centro di trattamento della stroke unit in Italia; quello che fa il più alto numero di trombectomie (interventi sul cervello), perché abbiamo una filiera oltre che di neurologi molto bravi, di posti di terapia intensiva neurologica, una radiologia interventistica di livello, per cui abbiamo deciso, insieme alla Regione Lazio, di agire in telemedicina. Siamo un hub, il Centro superiore di trattamento, poi ci sono gli spoke che stanno in giro, dove magari non c'è nemmeno il neurologo, e quel medico neurologo che sta dietro la telecamera lo devo pagare. Quindi il costo non è il collegamento che costa zero ma il costo del professionista. Possibile che non sia tariffata? Questo per dire che ha ragione, le sue osservazioni le condivido pienamente. È possibile trovare una semplificazione? Secondo me va trovata. Però, va trovata con tavoli inter-istituzionali come abbiamo suggerito. Anzi, le dico che siete stati per noi uno stimolo incredibile, perché abbiamo fatto tutto un po’ di fretta e abbiamo preparato questi sei convegni per il Forum di Firenze, dove ho saputo dell'esperienza della ASL 3, perché l'ultima giornata l'abbiamo dedicata alle vetrine delle esperienze regionali, le migliori esperienze di integrazione socioassistenziale. Noi siamo piccoli, però cerchiamo tra di noi di aiutarci molto per raccogliere queste esperienze, che, presidente, se mi consente, le farò avere perché magari possono servire in Italia. Questa esperienza della ASL 3 di Genova, che ci ha illustrato il direttore generale Carlo Bottaro, per me è stata importante, e ho avuto anche modo di riferirla oggi a voi. Quindi, secondo me, la semplificazione va fatta. Per noi voi siete stati uno stimolo, perché, chiusa Firenze il 29 novembre, abbiamo messo insieme un po’ di idee. Questo documento non ce l'avevamo pronto ovviamente, però abbiamo deciso proprio su questo di lanciare un'iniziativa a livello comunale. Mi riserverò comunque di portarvi i risultati per vedere qualche esperienza avanzata – ad esempio il Friuli è molto avanti su queste esperienze, sia di teleconsulto che di domotica, ma anche di semplificazione – che possa essere un suggerimento anche per noi su come fare a livello nazionale.
  Ultimo punto, lei mi ha chiesto se c'è un modo. Vengo dall'area del personale, facevo il direttore del personale prima al San Camillo e poi a Tor Vergata, prima di diventare direttore generale con un'esperienza presso un ente religioso (ACISMOM), che è l'ente sanitario dell'Ordine di Malta e che mi ha dato uno spaccato sulla sanità religiosa, e sono stata per due anni consulente per la materia del personale del SiVeAS, che è l'organismo della cabina di regia del Ministero della Salute per le Regioni in piano di rientro. Quella normativa che risale al dicembre 2004, sulla quale si è messa mano soltanto con il decreto-legge Calabria (e molto giustamente), prevedeva una cosa terribile: che non appena si fosse realizzata una situazione di default finanziario – prima era il 7 – oltre il 5 per cento di deficit, c'era il blocco automatico del turnover. Le faccio l'esempio ancora una volta di operatore del settore. Io sono arrivata a Tor Vergata nel 2014, quando la struttura aveva un deficit di 74 milioni. Ho chiuso il 2018 a –19, con un recupero di 55 milioni in quattro anni e mezzo. Io ho speso 10 milioni in più sul personale in questi anni, quindi tutta la manovra è stata su gare e su razionalizzazione dell'organizzazione di beni e servizi, perché sul personale è difficile risparmiare. Secondo me si deve investire. Lì c'era una tara, per questo è bene lo sblocco: è chiaro che, se noi dobbiamo spostare più sul territorio, magari ci serviranno più infermieri, per percorrere l'esperienza del collega Bottaro alla ASL Genova 3, piuttosto che medici. Pag. 14
  Una cosa importante. Ancora non abbiamo validato, ci sta lavorando la Conferenza delle Regioni, le dotazioni organiche necessarie per poter far fronte per esempio al decreto ministeriale n. 70. Se noi non sappiamo cosa fare, rischiamo di lasciare in mani discrezionali l'acquisizione di unità di personale senza un disegno organico. Quindi, lo sblocco è necessario, soprattutto in realtà come la sua, nella quale abbiamo avuto il blocco automatico del turnover. Ma si rende conto che dramma? Dopo di che, però, secondo me, bisognerebbe cominciare ad interrogarsi su quale riforma vogliamo per la sanità, portando al centro il medico di medicina generale, vedere come collocare l'infermiere di comunità.
  La cosa fondamentale di cui discutiamo oggi in sanità è quale sia il raccordo tra professioni sanitarie. La legge Lorenzin ha trasformato gli infermieri in Ordine, ed è stata una cosa molto positiva: comunque c'è un innalzamento di professioni. Però oggi che le professioni stanno discutendo, anche a seguito del contratto collettivo che c'è stato lo scorso anno, tra competenze avanzate degli infermieri quali debbano essere in relazione a quelle mediche, dobbiamo davvero fare chiusura su un sistema, perché altrimenti rischiamo di parlare a vuoto. Bisogna deospedalizzare, spostare sul territorio. Però, se non pensiamo a qualcosa davvero di rilevante, rischiamo di disperdere risorse preziose.
  Mio figlio ha frequentato per un anno il liceo in America e, essendosi rotto un legamento, ha rischiato di non essere assistito perché non trovava il certificato assicurativo. Ha proprio ragione il Ministro, quando dice «difendiamo con le unghie questo sistema», però il suo sistema passa attraverso la sostenibilità.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Frittelli. Posso dirlo, a nome di tutti, una visita all'ospedale di Tor Vergata la farei volentieri, perché conosco l'ospedale, essendo romano d'adozione da molti anni, e credo sia utile perché si può vedere la modalità per cui si può far nascere dal nulla un ospedale in una zona non semplice. Quando andremo, vedrete anche la modalità contorta per arrivarci, con vie e viuzze, però dentro sembra di stare in una sorta di clinica americana, non nei classici ospedali italiani, con eccellenze che conosco e che penso sia utile andare a visitare. Su questo magari ci metteremo d'accordo con modalità e tempi dopo la legge di bilancio, perché altrimenti sarebbe una promessa vacua quella che facciamo oggi.
  Nel ringraziarla, ricordo che nelle prossime settimane faremo l'audizione del ministro Speranza, l'audizione della ministra Dadone, e prima delle vacanze potremo avere un punto finale per questa nostra parte. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.45.