XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 23 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Stumpo Nicola , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE DELL'ACCESSO DEI CITTADINI AI SERVIZI EROGATI DAL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Audizione del dottor Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità.
Stumpo Nicola , Presidente ... 3 
Gabbrielli Francesco , direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità ... 3 
Stumpo Nicola , Presidente ... 10 
D'Attis Mauro (FI)  ... 10 
Adelizzi Cosimo (M5S)  ... 11 
Taricco Mino  ... 11 
Piarulli Angela Anna Bruna  ... 11 
Garruti Vincenzo  ... 11 
Buratti Umberto (PD)  ... 11 
Stumpo Nicola , Presidente ... 12 
Gabbrielli Francesco , direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità ... 13 
Stumpo Nicola , Presidente ... 15 
Gabbrielli Francesco , direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità ... 15 
Stumpo Nicola , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal dottor Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità ... 17

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
NICOLA STUMPO

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di semplificazione dell'accesso dei cittadini ai servizi erogati dal Servizio sanitario nazionale, l'audizione del dottor Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità, incaricato di condurre, promuovere e coordinare la ricerca e la governance di sistema per le applicazioni sociali e sanitarie nell'ambito delle nuove tecnologie informatiche della telemedicina. Si tratta di nuove frontiere di assistenza e di cura che, come è noto, assumono particolare rilevanza per fronteggiare le criticità connesse alla gestione delle malattie croniche che, anche per ragioni demografiche, rappresentano una delle principali sfide a cui il Servizio sanitario nazionale sarà chiamato a dare risposta nel prossimo futuro.
  Do quindi la parola al dottor Gabbrielli riservando, come di consueto, uno spazio alla fine della relazione ai colleghi che desidereranno intervenire. Lo ringrazio, prima di dargli la parola, anche per il documento che ha consegnato che può essere utile, per chi è riuscito a leggerlo prima della seduta, per comprendere meglio la relazione odierna e per ulteriori successivi approfondimenti.

  FRANCESCO GABBRIELLI, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità. Grazie, Presidente. Vi ringrazio anche da cittadino per il lavoro che state facendo su questo tema, su questo argomento che è, a mio parere, estremamente importante e interessante.
  Cercherò di rappresentarvi nel più breve tempo possibile, ma anche in maniera piuttosto esaustiva, quali sono in questo momento gli ostacoli che abbiamo di fronte affinché si possa sviluppare in maniera diffusa su tutto il territorio nazionale un insieme di servizi sanitari che hanno come caratteristica una novità epocale, che non c'è mai stata prima nella storia della medicina, cioè quella di utilizzare le tecnologie digitali. Non c'è mai stata, perché non c'erano le tecnologie digitali prima. Quindi abbiamo da affrontare una sfida nuova. Questo è il primo punto su cui dobbiamo riflettere, che ha delle conseguenze che vedremo nel corso di questa presentazione.
  Comincerei quindi con una slide che faccio vedere molto spesso anche nei congressi, perché è un riassunto di quelli che sono i punti di partenza da cui dobbiamo iniziare il ragionamento. Ci sono cinque conseguenze dell'innovazione digitale del mondo, sono cinque conseguenze che, non sono le uniche, ma, sono quelle che più interessano la pratica quotidiana della sanità. Pag. 4 La prima riguarda il realizzarsi di una comunità digitale globale. Questo significa che gli effetti di quello che capita nel cyberspazio sono globali, se è globale la comunità. Quindi così come un'azione che noi provochiamo in un certo luogo nel cyberspazio, quindi luogo virtuale nel cyberspazio, poi si diffonde in maniera globale, è vero anche il contrario: gli effetti globali hanno una ricaduta nella nostra località, nel nostro luogo. Ed è vero anche che il cyberspazio è virtuale, ma è vero che ha degli effetti pratici nella vita di tutti i giorni.
  C'è poi un'evoluzione dell'attitudine digitale di tutta la popolazione, pensiamo adesso però soltanto all'Italia, per restringere un po’ il campo della nostra osservazione. Alcuni anni fa avevamo il cliché dell'anziano signore in difficoltà nell'usare il telefonino per fare una semplice telefonata; questo cliché adesso non ha più ragione di esistere, non è più così: la maggior parte della popolazione è in grado perfettamente di utilizzare le tecnologie mobile messe a disposizione. Questo per tanti motivi. In parte perché le tecnologie software sono diventate sempre più sofisticate e hanno raggiunto la capacità di essere utilizzate facilmente dall'utente finale. Questo è un punto fondamentale. Ciò che è facile utilizzare per l'utente finale, non è assolutamente facile da costruire: è difficile da costruire. C'è un aforisma che sintetizza questo, «Tanto più facile per l'utente, tanto più difficile per chi costruisce». Questo è un punto fondamentale che vale per tutti i sistemi che utilizzano tecnologie digitali. Quindi anche quelli che vogliamo utilizzare in sanità.
  C'è l'alta velocità di diffusione di turnover dei prodotti digitali, che ci impone alcuni cambiamenti, soprattutto in ambito sanitario, di mentalità. Faccio un esempio molto semplice. Se il sistema che io utilizzo in un dato momento per fare un trial clinico dura cinque anni, se so in partenza che, per avere risultati scientificamente validati, ho bisogno di cinque anni di trial clinico, il sistema software che utilizzo in partenza fra cinque anni sarà obsoleto, quindi i risultati che io ottengo dal trial clinico potrebbero – non è detto – non essere così significativi come mi aspetto all'inizio, perché poi non potrò utilizzare più il software con cui sono partito. Ce ne sarà un altro con altre caratteristiche, che in quel momento non posso immaginare, perché l'evoluzione è veramente molto rapida. Alcuni anni fa il 5G non era nelle nostre menti, invece adesso si sta realizzando.
  C'è un problema sottovalutato in generale, che riguarda l'iperproduzione di dati. Noi abbiamo delle stime secondo cui nei prossimi anni avremo alcune decine di zettabyte di dati all'anno che, per dare un'immagine concreta, significa riempire una pila di dvd da qui alla luna ogni anno, grossomodo. Questi dati devono essere conservati in ambito sanitario anche a lungo, devono essere disponibili a lungo, quindi ci vuole una ragionevole programmazione di come nei prossimi dieci anni utilizzeremo questi dati, come li conserveremo, come riusciremo a estrarli, ad averli a disposizione all'occorrenza, magari fra qualche anno. Quindi, questo è un punto importante anche per la facilitazione, per la semplificazione di accesso alle informazioni da parte dei cittadini.
  Poi c'è la super convergenza delle tecnologie, che è qualcosa a cui noi siamo abituati, non ci facciamo caso ma esiste, l'ha concettualizzata un collega americano, Eric Topol, alcuni anni fa, ma sono sicuro che tutti noi ci abbiamo pensato intuitivamente senza razionalizzarlo almeno una volta: il fatto che nei nostri attuali device abbiamo una fusione di macchine che un tempo erano separate. La macchina da scrivere, la calcolatrice, la fotocamera, le abbiamo tutte nello smartphone. Questo processo di convergenza che caratterizza le tecnologie digitali è una caratteristica che si verifica anche all'interno della medicina. Vi spiegherò meglio questo aspetto.
  Questo è un esempio di quanto siano globali gli effetti di cui vi parlavo. Questo è un sito che monitorizza h24 gli attacchi informatici nel nostro pianeta, ve ne sono in continuazione. Gli attacchi hacker non sono delle persone ormai, sono delle macchine che in continuazione, h24, attaccano Pag. 5altre macchine: ci sono attacchi molto semplici, facilmente neutralizzabili, ce ne sono altri invece più difficili. Della cyber-security parleremo dopo, ma questo aspetto è utile per corroborare quello che dicevo prima rispetto alla globalizzazione degli effetti che possiamo osservare.
  C'è poi da considerare il tema della convergenza e della super convergenza: questo è lo schema tratto dalla pubblicazione famosa di Eric Topol: qual è la cosa interessante, dal mio punto di vista di medico, di questo schema? Che la super convergenza mi trasforma la medicina, è destinata, cioè, a trasformare il modo in cui io esercito la mia professione medica, perché prende tanti dati da tante fonti diverse e fa in modo che esistano nuove possibilità di cura per questa ragione. Questa è la novità a cui accennavo all'inizio; è una novità che non c'è mai stata prima nella storia dell'uomo.
  Tuttavia l'innovazione più importante che abbiamo, quella che utilizziamo maggiormente è l'interoperabilità, che in concreto significa far dialogare tra di loro macchine diverse. Questo è molto utile. Questo dialogo presuppone il concetto di interoperabilità, il concetto che i dati e il modo in cui gestiamo gli stessi all'interno di una macchina sia compatibile con il modo in cui facciamo la stessa cosa in un'altra macchina, che parlino la stessa lingua, per dirla con uno slogan. La difficoltà, sottovalutata talvolta, in questo discorso dell'interoperabilità la esemplifico con l'esempio dei binari. Immaginate di costruire un treno e cominciare la vostra rete ferroviaria e distribuirla progressivamente in varie città, in vari paesi; ad un certo punto arrivate al confine con un'altra nazione, a quel punto vorrete andare con il vostro treno in un'altra nazione, ma, se vi accorgete solo in quel momento, arrivati al confine, che la distanza dei binari della rete che sta nell'altra nazione è diversa dalla vostra, la prima cosa che succede è che voi il viaggio non lo completate, vi fermate lì; la seconda cosa è che cominciate probabilmente a discutere con l'altro sistema per chi dei due deve smontare tutti i binari e rifarli con la misura dell'altro. Questo esempio rende – mi pare – abbastanza evidente quale sia il problema rispetto all'interoperabilità dei sistemi software: bisogna progettare l'interoperabilità fin dall'inizio, altrimenti siamo costretti innanzitutto a non poter completare quello che vogliamo, quando ci serve, il dialogare con qualcun altro o scambiare informazioni, ci dobbiamo fermare lì e, oltretutto, dobbiamo investire tantissimo denaro, tantissime risorse per adattarci agli altri. Solo perché non l'abbiamo pensato fin dall'inizio.
  Le innovazioni digitali non sono soltanto delle grosse macchine o degli avveniristici software e computer, alle volte l'innovazione tecnologica è molto piccola ed è anche molto semplice. Questo è un cerotto adesivo, che trovate sulla rivista scientifica pubblicata alla fine dell'anno scorso, con dei sensori: questi sono dei sensori che comunicano i parametri dell'individuo, ma la novità è che questo cerotto non ha una batteria. Utilizza corrente elettrica, perché i sensori vanno a corrente elettrica, ma la corrente elettrica se la produce da solo attraverso una cellula fotovoltaica molto piccola, che però, siccome la corrente necessaria è molto piccola, è sufficiente ad alimentarlo la luce ambientale. Voi capite bene quanto una innovazione di questo tipo possa avere grande successo e grande importanza, perché può avere utilizzi in tantissimi campi.
  Un'innovazione può essere anche qualcosa di non materiale. Questa per esempio è un'applicazione di intelligenza artificiale, un algoritmo di una macchina prodotta dal MIT negli Stati Uniti che, data una qualunque superficie ondulata e dati alcuni parametri, calcola il percorso migliore per andare da un punto all'altro, in base ai parametri che gli abbiamo dato. Qualunque essi siano. È fantascienza? Se ci pensate bene, no: qualcosa di molto più elementare noi ce l'abbiamo già, lo usiamo tutti i giorni sul nostro smartphone, quando utilizziamo le mappe per trovare rapidamente la strada per muoverci all'interno della città o da un luogo a un altro.
  Questo comporta dal punto di vista della scienza medica quel cambiamento radicale, Pag. 6che aveva anticipato Eric Topol in quello schema, che qui è stato sviscerato da alcuni studiosi di Houston che hanno cominciato a mettere ordine in quello che sta accadendo a livello della ricerca, ordine nel senso concettuale del termine, hanno cominciato a concettualizzare che esiste un cambiamento del modo anche di fare ricerca medica, sanitaria verso dei sistemi che sono data driven – come dicono loro – cioè guidati dalla gestione dei dati, guidati dalla possibilità di gestire nuovi dati che prima non avevamo. I nuovi dati non sono la cartella clinica, perché quella ce l'avevamo anche prima: è l'interazione dei dati sanitari con altri tipi di dati: le abitudini di vita, i sensori attaccati al corpo che riescono a darci la pressione durante la giornata costantemente, la stessa attività della persona su internet può darci delle informazioni sulle sue abitudini di vita. Qui naturalmente si aprono tutte problematiche anche di tipo etico ovviamente, ma sono delle prospettive di sviluppo estremamente interessanti.
  Tutto questo non è affatto facile da realizzare, perché presuppone tanti dati presi da luoghi diversi e fatti convogliare tutti in macchine, software, in grado di lavorare su questi dati e produrre dei risultati. Non è che, se io ho dei dati, ho anche dei risultati collegati a quei dati, devo trovare il modo di lavorarci sopra, altrimenti restano lì. È come una mela su un albero: se non la colgo, la lavo e la sbuccio, non mangio la mela. Resta sull'albero. Per farlo – questo è uno studio australiano – occorre un lavoro di gruppo, un lavoro multidisciplinare che è anche questo un po’ una novità in sanità, perché i medici sono abituati a collaborare con altri professionisti sanitari, un po’ meno sono abituati a farlo con professionisti di estrazione professionale completamente diversa; in questi gruppi di lavoro è necessario invece avere a che fare oltre che con medici, infermieri, tecnici sanitari, anche con informatici, con ingegneri, anche avvocati alle volte, a seconda delle problematiche da risolvere. E vedete quanto può essere complessa l'organizzazione del gruppo che ha condotto questo trial clinico in Australia. Vi dà un'idea di quanto può essere complesso gestire lo stesso servizio all'interno di un ospedale: anziché essere una sperimentazione, noi dobbiamo prevedere l'interazione di più professionalità contemporaneamente.
  C'è anche un altro aspetto sintetizzato da questa frase: «I servizi di telemedicina si cuciono addosso ai pazienti nei loro territori, ma con metodi validati e modelli coerenti». La telemedicina è territoriale: non ha senso fare telemedicina tra il piano di sopra e il piano di sotto dello stesso ospedale, devo rivolgermi a un territorio. Per farlo devo però stare dentro a quel territorio. I territori sono diversi e le persone sono diverse, quindi io devo cucire addosso il servizio di telemedicina alle persone sul loro territorio. Questo comporta però un problema: il fatto che, se ognuno fa questo lavoro indipendentemente da tutti gli altri, torniamo al problema dei binari. Io non posso relazionarmi, non posso comunicare e ho difficoltà anche a valutare quello che viene fatto, perché non sono uniformi. Quindi ci vuole questo adattamento territoriale, ma ci vogliono anche dei metodi e dei modelli validati e coerenti tra di loro. Coerenti in senso logico. Non significa che debbano essere per forza uguali, ma devono essere coerenti nella gestione dei dati, altrimenti non riesco a capire che cosa sta succedendo in un luogo piuttosto che in un altro, perché non li posso confrontare scientificamente. Questo è qualcosa che gli studi internazionali hanno dimostrato ampiamente. Molti studi hanno dimostrato che non si riesce a dare delle valutazioni, neanche di benchmarking non solo economico ma anche organizzativo, dei servizi, se non c'è una capacità di avere un modello di riferimento che può essere utilizzato per paragonarli tra di loro.
  Ad esempio questo è uno studio che ci porta una ipotesi di modello, e qui andiamo a una delle prime problematiche che abbiamo, che sono anche degli ostacoli alla diffusione della telemedicina e quindi all'accesso a questi servizi: sono problematiche organizzative derivate dalla natura stessa delle innovazioni digitali, che necessitano di fare una progettazione a monte. Detta in Pag. 7maniera anche qui sintetica, la telemedicina è una innovazione terapeutica e assistenziale che usa le tecnologie digitali; non si può fare il contrario: non si possono prendere innovazioni digitali – per quanto bellissime – e semplicemente inserirle nel vecchio modo di lavorare che abbiamo in un reparto, in un ospedale o in un servizio sanitario qualsiasi; occorre reingegnerizzare i processi, perché questo ci consente di ottimizzare l'uso delle tecnologie e, nello stesso tempo, di fare in modo che si parta dalle esigenze concrete dei cittadini.
  Il Centro che dirigo sta cercando da diverso tempo di arrivare a un modello italiano, perché altri Paesi lo hanno fatto, ma sono Paesi dove prevale una sanità privata. Quando noi proviamo ad applicare quei modelli alla nostra realtà, abbiamo difficoltà a farli funzionare, perché la nostra realtà di servizio pubblico è completamente diversa: non funzionano gli stessi meccanismi, per cui dobbiamo costruircelo da noi il nostro sistema. Anche perché di esempi come il nostro di sistema pubblico al mondo non ce ne sono, siamo rimasti quasi gli unici. Quindi non abbiamo molto da imparare dagli altri, perché hanno altri sistemi. Dobbiamo trovarcelo da soli, ovviamente facendo tesoro di tutta l'esperienza scientifica degli altri Paesi, ma dobbiamo costruircelo da noi. Quindi stiamo ragionando e lavorando in questo senso.
  C'è un altro tema di cui volevo parlare: gli aspetti normativi. Queste in sintesi le norme attualmente vigenti: ci sono le linee di indirizzo del 2014, c'è il Patto per la sanità digitale del 2016; spesso ai colleghi devo dire che non è vero che non ci sono norme, perché la norma che introduce il Patto per la sanità digitale dice «Costituisce piano strategico, unitario e condiviso attraverso l'impiego sistematico dell'innovazione digitale in sanità», quindi non è vero – come spesso sento dire – che non ci sono norme di riferimento. Si dice che la telemedicina non si può fare, perché non ci sono norme. Non è proprio esatto, qualche norma c'è anche a livello nazionale. C'è anche il Piano nazionale della cronicità, su cui adesso non mi dilungo perché prenderebbe troppo tempo, che si occupa esplicitamente della telemedicina come elemento per portare migliori cure ai pazienti cronici, che sono il problema più importante che abbiamo in sanità, perché sono una minoranza della popolazione che assorbe attualmente la maggioranza delle risorse economiche del sistema. Quindi dobbiamo migliorare il servizio, ma dobbiamo trovare il modo di renderlo sostenibile.
  Molto spesso sento i colleghi dire che non riescono a far partire i servizi, perché dall'altra parte, dal punto di vista amministrativo, si dice che non ci sono norme adeguate per poter sostenere questa attività. Le norme riguardano non solo la responsabilità medico-legale nell'esercizio di questi atti a distanza, che è comunque una questione che va approfondita anche a livello giuridico; ci sono problemi che riguardano anche gli approvvigionamenti e la costruzione dei servizi con le norme per gli appalti, che non tengono in considerazione tutte quelle particolarità nuove di cui vi ho detto adesso, in particolare il fatto che c'è un turnover rapido, che io devo arrivare rapidamente a fare un servizio che fa leva su alcune innovazioni tecnologiche e poi devo, altrettanto rapidamente, cambiarlo, senza che questo diventi però consumerismo a danno del sistema stesso. Quindi c'è da ragionare su tutti questi aspetti. Poi ci sono anche alcune problematiche che sono emerse rispetto al fatto: che cosa succede, se il medico lavora a distanza, fuori dalla sua sede di lavoro, l'ospedale? Anche qui non ci sono norme consolidate rispetto a questi problemi, perché stiamo cominciando ad averli solo adesso. Non sono emersi fino adesso, perché abbiamo sempre fatto ricerca. I servizi di telemedicina, la maggior parte di quelli sviluppati negli ultimi anni, sono sempre all'interno dell'alveo della ricerca, per cui il problema rispetto alle norme del personale era secondario, ma, se vogliamo creare dei servizi lunghi e duraturi, dobbiamo anche affrontare queste problematiche. Non so come, perché non è materia mia, però ci sono queste problematiche.
  Ci sono problematiche anche organizzative. È importante capire che, quando io introduco un'innovazione digitale in un servizio, Pag. 8 devo modificare, reingegnerizzare l'organizzazione del lavoro, quindi i processi, e le stesse procedure, perfino quelle mediche, nell'erogare il servizio. Questo perché altrimenti non sfrutto quello che mi viene dall'innovazione digitale. Non ha senso spendere i soldi per queste macchine, se poi non faccio fare loro un lavoro che mi dà qualcosa in più. Continuo a farlo con la carta e la penna, che costa meno. È importante questo aspetto soprattutto nell'allocazione delle risorse, quindi bisogna stare attenti a come allocare le risorse, quando si fanno queste modificazioni del servizio, questo change management dei servizi, perché molto spesso – e questo è stato documentato anche dagli studi norvegesi che hanno condotto nella loro realtà – quando le risorse per i nuovi servizi di innovazione digitale sono messe al di fuori del normale bilancio di un'organizzazione, le stesse persone che operano all'interno di quell'organizzazione tendono a considerare quel servizio come esterno alla loro realtà, quindi lo trattano in maniera tale che si autolimita: non è destinato a proseguire in un servizio, perché non viene percepito come dentro l'organizzazione ma a lato della stessa.
  Valutazione e correzione delle esperienze pratiche. È importantissimo che i processi organizzativi, l'analisi e lo studio in fase di progettazione ci diano la possibilità di fare le valutazioni. Di questo ne abbiamo parlato anche prima. Poi il rapporto tra le prassi sanitarie locali e gli indirizzi nazionali. La necessità di dover reingegnerizzare le organizzazioni, quindi i processi, all'interno di aree territoriali dove distribuire la telemedicina è un'occasione importantissima per ripensare a questo rapporto tra ciò che avviene localmente e gli indirizzi nazionali condivisi.
  Problematiche operative delle reti collaborative a distanza. Intanto bisogna mettere a disposizione dell'intera rete che si costruisce le professionalità e le conoscenze specifiche. La rete può essere una rete di ospedali o di servizi e c'è la necessità di fornire in modo puntuale l'accesso a distanza a una o più prestazioni specialistiche, specialmente nelle malattie croniche. Bisogna fare in modo che il sistema regga nel tempo, non che oggi soltanto io posso avere il teleconsulto, ad esempio, con uno specialista che sta in un altro ospedale: devo poter sapere che ce l'ho ogni volta che mi serve. Altrimenti non mi fido del sistema. Questo succede psicologicamente agli stessi sanitari, che finiscono per non usarlo, perché non si fidano.
  C'è un altro aspetto che riguarda i pazienti. Noi tutti siamo abituati a non occuparci della sanità – noi tutti cittadini intendo – fino a quando non ne abbiamo bisogno, per una convinzione molto profonda nelle nostre menti: noi sappiamo che esistono dei luoghi h24 dove, quando abbiamo un problema, c'è qualcuno che ci aiuta. Magari non saranno perfetti, saranno migliorabili, però abbiamo questa sicurezza. Questo fa sì che non ce ne occupiamo prima. Mentre invece nel servizio di telemedicina il paziente deve occuparsi prima di agganciarsi a quel servizio, quando magari non è malato, perché non esiste alcun sistema che può arruolare all'improvviso una persona non conosciuta, perché il computer ha bisogno di identificarla in maniera univoca. È vero che lo si può fare in ospedale, nel pronto soccorso, ma, se immaginiamo dei servizi domiciliari per cronici, dobbiamo immaginare che ci sia una preparazione all'interazione uomo/macchina. Altrimenti non sarà facile per la persona aderire nel momento in cui sta male, perché noi dobbiamo chiedere a una persona, in un momento di difficoltà, di mettersi a fare il login, mettere la password, ricordarsi l'accesso a un sistema che ha bisogno di identificarlo. Ho fatto un esempio banale, ma spero di essere stato sufficientemente chiaro.
  Ci sono problemi sui trial clinici, a cui ho accennato prima; i problemi medico-legali e la mancanza di sistemi di remunerazione di specifiche prestazioni; la cyber-security. Vedete: «In ambito tecnologico e normativo occorrono ulteriori sviluppi che mirino a ottimizzare il sistema di sicurezza». È importantissimo, perché all'improvviso, quando non ve lo immaginate, succede questo: il vostro computer si spegne, non è più utilizzabile e appare una finestra come questa che vi dice «Tutti i Pag. 9dati sono criptati, non li puoi più leggere, a meno che non mi paghi un riscatto in bitcoin. Ti colleghi al link che ti ho dato e, quando verifico che i soldi sono arrivati, ti do accesso al tasto in fondo a destra che ti consente di tornare a decriptare i tuoi dati, quindi tornare ad averli leggibili». Questa è la finestra di un attacco mondiale, «I wanna cry» – «Voglio piangere», lanciato nel 2017, che ha colpito diversi ospedali in Inghilterra bloccando i computer, noi siamo stati sfiorati per altri motivi tecnici. Quindi noi dobbiamo proteggerci da questi eventi. Dobbiamo proteggere le nostre Aziende sanitarie, i nostri ospedali da questo. Qui all'Istituto abbiamo fondato, insieme al Centro di innovazione tecnologica che raduna i nostri ingegneri all'Istituto, un gruppo di studio nazionale di cyber-security per la sanità, a cui abbiamo chiamato a partecipare i massimi esperti e, in appoggio, anche la Polizia postale. Lo scopo è quello di studiare dei documenti di indirizzo per facilitare il lavoro di chi deve proteggere quotidianamente i nostri ospedali. Questo è il 2017, sono tutti gli attacchi significativi, tra cui vedete anche «I wanna cry 2.0», che non è stato l'unico in quell'anno. Quindi è un problema considerato spesso lontano, in realtà è molto vicino a noi e dobbiamo affrontarlo.
  Tariffario delle prestazioni. Questo è un problema importante. La prestazione in telemedicina è una prestazione simile a quella non in telemedicina, ma bisogna tenere conto del fatto che presuppone prima un investimento non solo nell'acquisto delle macchine, ma un investimento nel realizzare il sistema, con tutte le difficoltà cui ho accennato prima. Quindi deve essere una tariffa in grado di fare questo. Secondo qualcuno in telemedicina la tariffa deve essere inferiore rispetto a quella della prestazione normale: è vero, però non dobbiamo dimenticare che occorrono degli investimenti per arrivare a svolgere il servizio. E occorrono ogni volta, perché, se dobbiamo cucire addosso al territorio, dobbiamo farli ogni volta, non basta farlo una volta sola.
  L'infrastruttura di interoperabilità è l'altro aspetto collegato a quello che dicevo all'inizio. Noi dobbiamo avere un'infrastruttura generale sicura, stabile, efficace, coerente sul territorio nazionale, che non significa avere un unico database in tutta la nazione per tutte le attività sanitarie pubbliche e private. Diventa estremamente difficile da fare. Non impossibile, perché qualcuno lo ha fatto: hanno qualcosa di simile in Estonia, però si tratta di un Paese molto piccolo. Noi siamo un Paese con una popolazione molto numerosa e quindi farlo diventa difficile. Oltretutto noi abbiamo una sanità regionalizzata, quindi giustamente le regioni vogliono fare il loro database. La cosa importante è che ci sia la possibilità di collaborare insieme, di lavorare insieme, che si proceda in modo tale che ci sia una coerenza a livello nazionale.
  Questo è soltanto per farvi vedere cosa stiamo facendo nel nostro Centro. Abbiamo iniziato quasi due anni e mezzo fa a lavorare, stiamo affiancando le ASL e le Aziende ospedaliere per realizzare i servizi di telemedicina con architetture coerenti tra di loro, quindi stiamo cercando di portare avanti un modello italiano di sviluppo. I pilastri nazionali su cui stiamo lavorando, perché sono i punti fondamentali, sono: la cyber-security; la valutazione economica; la valutazione sulle normative e le linee guida mediche di specialità. Questi quattro pilastri ci aiuteranno a costruire una piattaforma di lavoro comune a livello italiano, che dovrebbe poi facilitare lo sviluppo locale dei vari servizi. Questo è il nostro scopo.
  Abbiamo già fatto alcuni progetti. Ad esempio cito il progetto con la ASL Toscana sud-est per la realizzazione di una rete di presìdi ospedalieri in telemedicina, che consente di portare lo specialista anche nei piccoli presìdi senza dovercelo mandare fisicamente. Più recentemente abbiamo proposto, è in corso di valutazione, quindi non è operativo, un progetto al ministero in cui cerchiamo di affrontare un argomento piuttosto difficile: portare l'innovazione tecnologica e digitale all'interno dell'assistenza domiciliare integrata, che non è solo sanità, ma è anche assistenza sociale. Per questo è particolarmente complesso far interagire Pag. 10questi professionisti tra di loro con i sistemi digitali.
  Questi sono progetti di ricerca nazionale. Il Telemectron study è uno studio approvato che riguarda alcune regioni: è il primo esempio di collaborazione tra più regioni, sia pure in questo ambito sperimentale; auspicabilmente potrebbe essere un modo di lavorare anche per il futuro. Poi c'è il Telediabt: il primo trial clinico nazionale che riguarda i pazienti diabetici in telemedicina, che è cominciato da pochissimo, avendo passato un lungo periodo per le diverse approvazioni necessarie, e durerà ancora un paio di anni prima di avere qualche risultato significativo.
  Questi sono i gruppi di studio: il gruppo nazionale di studio cyber-security in sanità; lo studio della valutazione economica, con economisti e aziendalisti di fama nazionale e internazionale; i gruppi nazionali di studio per la telemedicina di specialità, che vanno in modo verticale ad affrontare singoli elementi, singole problematiche per arrivare a delle linee guida che non abbiamo ancora nel settore della specialità. Ci sono soltanto delle linee di indirizzo nazionali, ma non abbiamo delle linee guida mediche sulle varie discipline, quindi ci dobbiamo arrivare progressivamente.
  Il primo gruppo di studio ad essere partito – ve lo cito, perché è molto particolare – è il gruppo di studio per la telemedicina nei penitenziari, che è un problema del tutto particolare, che ha a che fare, in realtà, con tante specialità mediche, ed è veramente molto particolare per il tipo di popolazione e di situazione.
  Abbiamo fatto una ricognizione delle attività di telemedicina in Italia dal 2014 al 2017, che stiamo ulteriormente sviluppando, che ci è stata richiesta dal Ministero della Salute per ulteriori sviluppi, insieme alla Cabina di regia NSIS; la ricognizione sulle normative nazionali in merito alla telemedicina, su cui stiamo lavorando; e poi stiamo cercando di fare un glossario italiano di sanità digitale, perché abbiamo visto che molto spesso le traduzioni da termini inglesi in italiano generano degli equivoci, quindi occorre fare chiarezza affinché ci si possa intendere sulle parole. Cerchiamo di affacciarci anche sul panorama internazionale per avere delle partnership di ricerca, però in questo momento non è prioritario nella nostra azione, perché abbiamo molto da lavorare in casa.
  Vi ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie per questa relazione, che ci ha dato spunti interessanti sotto diversi aspetti.
  Cedo ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  MAURO D'ATTIS. Grazie intanto per la lezione che ci ha fatto e che ovviamente ci mette nelle condizioni di preoccuparci pure sull'uso del telefonino, con tutti questi attacchi. Usciamo indifesi da questa audizione.
  Io ho ascoltato con grande interesse, sono state illustrate più le criticità che riguardano l'applicazione pratica della telemedicina, mi fa un po’ impressione questo paragone con il resto del mondo: che il nostro sistema sanitario sia rimasto – riprendo le sue parole – quasi unico al mondo così, e questo paradossalmente per questa materia pare essere quasi un gap importante. Questa è una riflessione che forse bisogna estendere al discorso dell'organizzazione del servizio sanitario in generale.
  Sentivo pure prima il collega – mentre lei parlava – che faceva riferimento alle regioni, perché poi di questo non abbiamo parlato, dell'organizzazione territoriale della sanità, però, al netto di questo che non è materia che possiamo affrontare nella discussione odierna, mi interessa molto la parte di economia sanitaria che ovviamente non è stata tracciata, perché lei giustamente ci doveva dare prima la cornice e poi alla fine ci ha dato degli spunti sui gruppi di lavoro; sarebbe quindi interessante se fosse possibile – anche in una fase successiva – informarci più in dettaglio rispetto alle valutazioni economiche, cioè agli step di lavoro che stanno svolgendo i gruppi specifici, come il gruppo nazionale di studio della valutazione economica.
  La domanda che mi faccio io, che ho una mentalità più economica che giuridica, Pag. 11è se c'è un rapporto che dimostra, anche dal punto di vista economico, oltre che del servizio ovviamente, che non è di valutazione economica ma più sanitaria, la convenienza dell'applicazione della telemedicina. Se sì, quanto conviene quindi invertire o modificare gli investimenti in sanità? Noi questo possiamo fare anche come Parlamento: decidere che la politica nazionale stabilita in manovra investa X milioni di euro in più sulla telemedicina anziché sulla medicina tradizionale, per esempio, e, quindi, con che impatto economico e con che break-even possiamo lavorare.

  COSIMO ADELIZZI. Mi soffermo anch'io sulla parte economica ma dall'altro lato, dal lato del paziente. Ho ascoltato il passaggio che riguardava il tariffario delle prestazioni, quindi la mia curiosità è la seguente: in base alla vostra esperienza e agli studi che state portando avanti, il tariffario, tenendo presente le necessità di investimenti iniziali, ma anche gli investimenti periodici di cui necessiterà questa innovazione, anche per adattarla ai territori, è ipotizzabile che possa essere in qualche modo equo con le tariffe delle prestazioni standard? Io ritengo che per il paziente, anche a parità di costo, possa essere conveniente utilizzare questo tipo di prestazioni. Ma direi di più, forse anche a un costo leggermente superiore, perché ci sono dei costi e dei rischi connessi agli spostamenti e tutte le difficoltà che possiamo immaginare e tutti i vantaggi che la telemedicina può portare, quindi l'ideale sarebbe che costasse di meno, ma pure a parità di costo o a un costo leggermente superiore potrebbe essere comunque conveniente: secondo voi il tariffario dove deve andare a posizionarsi?
  Questi sono gli elementi sui quali si è concentrata la mia curiosità.

  MINO TARICCO. Anch'io ringrazio per l'analisi che ci è stata offerta, molto interessante. Al di là dell'innovazione che il processo sta portando avanti, a me veniva da pensare alle applicazioni pratiche. Sicuramente potrebbe essere un complemento di risposta per tutta una serie di aree più distanti dai centri ospedalieri. Io vivo in una regione dove ci sono anche sessanta, ottanta, novanta chilometri di vallate prima di arrivare all'ospedale, per cui uno strumento del genere, in linea teorica, potrebbe essere in molti casi una risposta. È stato immaginato già un ragionamento di questa natura?
  Al di là dello scambio di dati, dell'accesso alla comunicazione e via discorrendo, vorrei quindi capire meglio se c'è già qualche ipotesi che va nella direzione di immaginarlo come strumento per arrivare dove fisicamente è più complicato arrivare.

  ANGELA ANNA BRUNA PIARULLI. Io faccio sempre questa domanda ai vari soggetti che vengono in audizione, perché ho sentito che lei ha parlato di telemedicina nelle carceri, io sono un ex direttore di carcere e non ho compreso ancora quale sia la motivazione che ne impedisce l'applicazione. È stato detto anche dagli altri colleghi, sappiamo benissimo che la telemedicina comporta una riduzione di costi ed è necessaria proprio per motivi di sicurezza, quindi, vorrei che lei mi indicasse la motivazione che ancora oggi non permette di concretizzarla.

  VINCENZO GARRUTI. Si evince, da quello che ha detto, che si cerca di creare una medicina intorno al paziente, quello che mi interesserebbe sapere è se ci sono degli studi che comprovano la risposta del paziente rispetto alla telemedicina, se un contesto familiare di cura possa essere esso stesso un ausilio a una degenza migliore per il paziente.

  UMBERTO BURATTI. Anche in questa audizione, come nelle altre che sono state svolte, sono emersi elementi che poco alla volta ci hanno portato all'interno di un pianeta sanità che comunque – come diceva il collega prima –, se è vero che è un sistema forse unico al mondo, però – come ricordava in un bel libro il compianto Edmondo Berselli – se qualcuno si sente male per strada, viene condotto in una struttura sanitaria: cosa che da altre parti non sempre accade. Pag. 12
  Io prenderei alcuni flash dalle sue considerazioni. Intanto abbiamo visto anche alcune norme, fra le quali c'è il Patto per la sanità digitale. Dalle considerazioni emerse nelle altre audizioni emerge che nonostante vi sia una norma che prevede un Patto per la sanità digitale, però poi assistiamo a una serie di ritardi, perché non tutte le regioni hanno lavorato allo stesso modo. Tant'è che nell'ultima o nella penultima audizione ci è stato detto che è dovuto intervenire il Sistema sanitario nazionale per far attivare determinate strutture a livello anche di servizio informatico. Quindi questa interoperabilità del sistema, dalle considerazioni fatte anche nelle altre audizioni, credo che venga un po’ a mancare in tutto il nostro Paese.
  Nella sua esposizione – per come ho compreso io – noi dobbiamo acquisire tutta una serie di informazioni; abbiamo compreso anche l'importanza della protezione dei dati che sono all'interno, dati che in telemedicina servono e che possono essere acquisiti attraverso non solo le conoscenze sanitarie del paziente, ma anche tutta una serie di altre informazioni; e l'aspetto per cui un medico può intervenire su un paziente a distanza in un'altra struttura, che ovviamente consenta questo tipo di intervento. Questo è sicuramente un mondo che guarda al futuro.
  Lei ha citato anche le problematiche legate agli appalti, per cui non verrà bandita una gara su un lavoro come può essere la costruzione di un fabbricato, ma ci sarà bisogno di una struttura con una sua evoluzione, che andrà seguita nel tempo.
  Fatte queste considerazioni, io le chiedo di evidenziarci gli aspetti sui quali noi come Parlamento potremmo sostenere quelle azioni che ritiene necessarie e magari sulle quali, negli ultimi mesi o anni, non c'è stata quell'attenzione che Governo e Parlamento stesso avrebbero dovuto dare a questo settore così importante. Siamo qui per comprendere come Parlamento e per suggerire al Governo come muoverci.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, svolgerei alcune considerazioni, prima di dare la parola al dottor Gabbrielli per la replica.
  Dall'importante relazione che ha svolto, io colgo un doppio binario, utilizzando lo schema che ci forniva lei: uno fa riferimento all'aspetto organizzativo e l'altro invece è relativo all'utilizzo del sistema.
  Le domande che io vorrei porre, ferma restando secondo me un'affermazione generale e cioè che la telemedicina, come e più della medicina in generale, è difficile da poter trattare con un appalto, nel senso che l'evoluzione e la quotidianità fanno sì che non sia possibile in alcun modo stabilire a priori alcune vicende, casi che variano, questioni territoriali e quant'altro: non è schematizzabile tout court e quindi non è possibile utilizzare un metodo chiuso, per cui pongo alcune questioni.
  La prima: sui trial clinici, ad esempio, serve uno studio di cinque anni e il rischio è che dal punto di partenza al punto di arrivo i dati siano vecchi e lo strumento diventi superato. Faccio un esempio per capirci, perché oggi tornando in Aula discuteremo di cyber-security, abbiamo fatto qualcosa sul 5G in questi giorni: qualsiasi progetto nato tre anni fa su metodologia non 5G, finendolo tra quattro anni, ha subito un'evoluzione tale che quei dati potrebbero essere poco utilizzabili. La mia domanda è: se è possibile – e mi auguro che sia così – che tutti gli strumenti che si utilizzano siano aperti, nel senso che, di volta in volta, possono avere quelle modificazioni che servono per essere utilizzati con i nuovi sistemi oppure utilizziamo sistemi per i quali non è più possibile implementarli e, quindi, avere dei dati aggiornati in continuità anche con la tecnologia che avanza? Questo dovrebbe essere il punto sul quale tutti i sistemi di ricerca dovrebbero convergere.
  L'altra questione che vorrei porre parte da una cosa sacrosanta che lei ha detto e cioè che nell'utilizzo della telemedicina il rapporto uomo/macchina è fondamentale; il tema è che va bene per chi si approccia alla telemedicina per una questione di cura momentanea, per cui io che abito a ottanta chilometri trovo più conveniente, al di là degli aspetti economici, utilizzare quel sistema, ma per i malati cronici, la frontiera, secondo me, del rapporto a distanza tra il Pag. 13paziente e una medicina alternativa alla cura non ospedaliera, le modalità da questo punto di vista hanno già dei processi utilizzabili? Immagino di sì, perché esistono dei casi sperimentali, ce ne sono anche alcuni di eccellenza. E quale rapporto c'è tra la quotidianità della telemedicina, quindi di un paziente «occasionale» – se posso usare questo termine – e i malati cronici che hanno necessità di cure magari h24, che utilizzano il proprio domicilio come luogo di cura anziché gli ospedali per varie ragioni?

  FRANCESCO GABBRIELLI, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità. Provo a rispondere con la stessa sequenza alle domande che mi sono state rivolte.
  Siccome più di una persona ha sottolineato il discorso dell'unicità del Servizio sanitario nazionale, chiarisco che quello che ho detto era nel senso positivo: noi dovremmo essere orgogliosi di essere rimasti quasi gli unici ad avere questo tipo di servizio pubblico. L'unicità dipende dal fatto che noi abbiamo un modello – modello Beveridge – che prevede che venga finanziato con la tassazione generale, quindi eroga dei servizi a tutti i cittadini indistintamente dallo stato sociale, dalla condizione economica e quant'altro. Questo dobbiamo decidere se per noi è ancora un valore. Questo è un valore per tante persone. Mi ci metto anch'io – se permettete – perché anche io penso che sia un valore. Noi abbiamo il dovere di fare in modo che questo servizio regga nel tempo dal punto di vista economico.
  Oggi noi abbiamo una pressione sul servizio pubblico derivata dalle condizioni a cui siamo arrivati nell'evoluzione della nostra storia umana: abbiamo pazienti cronici, con più di una patologia contemporaneamente, che hanno bisogno magari di farmaci molto costosi; hanno bisogno di assistenza, oltre ai farmaci, impegnativa e quindi costosa; abbiamo un invecchiamento della popolazione – adesso non sto a ripetere cose che credo siano già note –; abbiamo una condizione in cui dobbiamo preoccuparci di far sì che nei prossimi anni il sistema sia ancora sostenibile economicamente. E qui vengo alla prima domanda: c'è qualche rapporto, documento che dimostra la convenienza della telemedicina? La risposta è che ci sono tanti studi internazionali che dimostrano che in certi esperimenti, in certi trial sperimentali o in certi servizi portati avanti per un periodo di tempo, sempre a fini di osservazione, c'è stata una resa economica positiva: si è erogato un servizio a un costo inferiore a quello tradizionale. Questi studi però sono in larga maggioranza fatti in quei sistemi a sanità privata, di cui dicevo all'inizio del mio intervento, dove le logiche di marketing sono completamente diverse dalle logiche di interazione con il cittadino del servizio pubblico. Quindi noi difficilmente riusciremo ad utilizzare quegli stessi metodi di valutazione, e questo è il motivo per cui abbiamo fatto, tra i vari gruppi di studio, quello sulla valutazione economica dei servizi: proprio per arrivare a stabilire qual è il metodo che dobbiamo utilizzare per fare questa valutazione, perché di fatto non esiste qualcosa di sperimentato a livello internazionale che ci possa dire in maniera univoca che, se io valuto economicamente il servizio in quel modo, riesco a capire se conviene o meno.
  Non c'è questa unicità a livello sperimentale, perché i vari gruppi di ricerca che si sono cimentati con questo argomento lo hanno fatto con sistemi che non sono paragonabili tra di loro. Anzi, molti studiosi hanno proprio evidenziato questo limite rilevando, al termine dei loro studi, che il sistema è conveniente, ma con osservazioni che non si possono fare in altri studi simili. Quindi non siamo in grado di dire scientificamente se gli altri sistemi abbiano la stessa convenienza. Quindi questo limite stiamo cercando di superarlo. Il gruppo di valutazione economica dovrebbe riuscire a produrre un documento entro la fine dell'anno, auspicabilmente. Naturalmente sarà messo a disposizione, perché è un'attività fatta all'interno della nostra attività dell'istituto.
  La seconda domanda riguarda il livello della tariffa, se cioè la tariffa può essere maggiore o inferiore a quella del servizio Pag. 14tradizionale. La risposta a questa domanda sta in parte in quell'analisi generale di cui ho parlato adesso, in parte sta nel fatto che, e qui anche una difficoltà di sistemi di valutazione, il servizio deve essere valutato sul territorio dove si svolge. Ad esempio in una regione montuosa dove il paziente deve attraversare valli, con ovvie difficoltà dovute all'inverno, se io riesco a portare un servizio di telemedicina al domicilio del paziente, che io so già che dovrà fare avanti e indietro perché è un cronico, quindi so già che dovrà venire tante volte a fare determinate visite e io riesco a portargliele a casa ed evitare quelle visite, il servizio ha un valore che va al di là del costo per l'Azienda sanitaria. Qui c'è un problema, perché l'Azienda sanitaria valuta quello che costa nell'erogazione del servizio e quindi valuta la remunerazione rispetto a quello che spende realmente, ma il costo che sostiene la famiglia del cittadino, per l'assistenza a casa, per spostarlo da una parte all'altra in continuazione, è un costo che non viene messo dentro all'analisi dei bilanci. Anche questo andrà strutturato, perché non è facilissimo da stabilire in maniera scientificamente valida e accettabile da tutti quanti. Ci sono due componenti nella tariffa che vanno considerate: una che è più facile considerare, ma anche quella con alcune difficoltà metodologiche che riguarda la ASL, l'organizzazione che fornisce il servizio; l'altro è il costo che sostiene la famiglia del paziente. Quindi questo va ancora ben identificato e tenuto in considerazione nello stabilire la tariffa, perché il risparmio non è solo quello della ASL, è anche quello della famiglia. Quindi bisogna fare il balance fra questi due aspetti.
  Quali sono le applicazioni pratiche? Se è stata affrontata sui territori l'applicazione pratica dei servizi di telemedicina? La risposta è sì, è stata affrontata ed è stata affrontata in diverse regioni d'Italia in vario modo, con diversi successi, qualche volta è andata un pochino meglio, qualche volta un pochino peggio, con grande impegno da parte di tutti quelli che ci hanno provato, che spesso hanno provato ad aprire dei servizi territoriali, in territori anche difficili, non avendo esperienze a cui fare riferimento, quindi essendo dei veri e propri apripista su determinati argomenti, quindi anche in condizioni di oggettiva difficoltà. Però di esperienze pratiche ce ne sono e queste vanno riunite. Questo è il motivo per cui abbiamo fatto la prima survey sulle esperienze di telemedicina: perché vanno studiate nel loro complesso e bisogna vedere, una volta che abbiamo dei metodi per poterle comparare, cosa è successo, perché alcune si sono sviluppate e altre meno, chi ha avuto più successo e per quale motivo, in modo da capire in che direzione dobbiamo muoverci.
  Gli studi sulla risposta del paziente alla cura, quando è erogata in telemedicina. Ci sono delle esperienze, ci sono degli studi notevoli al riguardo. I trial clinici sono molto meno di quelli che servirebbero, in realtà, però ne sono stati fatti. E la risposta dei pazienti in termini clinico-assistenziali all'utilizzo della telemedicina è sempre stata più che positiva. Essere assistiti in telemedicina solitamente fa sì che la persona sia assistita meglio, in maniera più continuata nel tempo e con risultati migliori complessivamente. Quindi è un valore anche questo, al di là del discorso economico, e io spesso dico che, come abbiamo fatto – io stesso anche – negli anni passati degli studi più volti a documentare l'economicità della telemedicina, non dobbiamo indulgere troppo in questi studi, perché la telemedicina deve essere un modo per portare sanità migliore, per realizzare cure che prima non si potevano realizzare. Se poi riusciamo anche a risparmiare, ovviamente ne siamo tutti felici. Ma non può essere il risparmio il primo movens.
  Evidenziare aspetti che il Parlamento può sostenere. Su questa domanda sarebbe opportuno che ci fosse una evoluzione della legislazione per la telemedicina. Però su questo punto vorrei sottolineare una differenza importante. La sanità digitale è una cosa, la telemedicina è un pezzo della sanità digitale, però la telemedicina significa curare le persone con le innovazioni tecnologiche, utilizzando le innovazioni tecnologiche nel modo corretto, con i problemi che abbiamo detto prima, quindi sarebbe opportuna probabilmente un'evoluzione Pag. 15 normativa che focalizzi questo aspetto e cioè che l'innovazione tecnologica serve per prenotare dal cellulare la visita, per pagare il ticket con lo smartphone, e quello è un aspetto, ma ci sono dei sistemi per curare le persone a distanza. Questo è un altro scopo, è diverso: è un altro aspetto che andrebbe focalizzato. E se ci dovessero essere delle norme che focalizzino questo aspetto, tenendo in considerazione tutto quello che abbiamo detto, sarebbero probabilmente di grande aiuto.
  È possibile che gli strumenti siano aperti e modificarli strada facendo, perché il trial troppo lungo poi diventa un problema. Questo è un problema squisitamente scientifico su cui non esiste ancora una soluzione: il trial clinico ha bisogno, per essere scientificamente validato, di un tempo e di una numerosità del campione. Se io riduco questo tempo e riduco la numerosità del campione, la validità scientifica del risultato si riduce e viene meno. Questo è un problema su cui stiamo lavorando dal punto di vista scientifico, dobbiamo trovare il modo di essere ugualmente, scientificamente validi, ma facendo dei trial clinici che durino molto poco nel tempo, altrimenti non riusciamo a sfruttare le innovazioni tecnologiche. Questo non è un problema banale. Per questo dobbiamo attendere lo studio.

  PRESIDENTE. Capisco quello che mi ha detto sui tempi, ma io vorrei capire se è ribaltabile il ragionamento: se le macchine che si utilizzano per fare gli studi possano essere implementate a seconda della nuova tecnologia.

  FRANCESCO GABBRIELLI, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'Istituto superiore di sanità. Un tempo avrei risposto di no, perché un tempo le imprese produttrici tendevano a chiudere, blindare i loro sistemi, per ovvi motivi commerciali. Oggigiorno si assiste a una inversione di questa tendenza, che non è uniforme, è progressiva, perché la necessità di interagire con tante macchine contemporaneamente fa sì che un sistema, se è chiuso, ha sempre tante difficoltà, quindi l'utente non è facilitato nel farlo e quindi, anche dal punto di vista del mero marketing, quel prodotto risulta scarsamente valorizzato. Quindi le imprese oggi hanno un atteggiamento un po’ diverso su questo argomento. In effetti tecnologicamente questo è possibile, bisogna capire se è utile a dimostrare, da un punto di vista medico, che il servizio è migliore rispetto al precedente. Questo è un problema di metodologia ancora da esplorare.
  I pazienti cronici e il rapporto quotidiano. La telemedicina si può fare quasi in qualunque specialità medica e chirurgica, è evidente che il vantaggio immediato che potremmo avere applicandola su vasta scala nella nostra situazione sarebbe sul paziente cronico prima di tutto, sulla cronicità, ma anche sulle reti tempo-dipendenti ha un grande impatto positivo, perché abbatte molto il tempo di risposta sanitaria efficace nelle patologie cosiddetto tempo-dipendenti: quelle dove bisogna agire entro un'ora, altrimenti si perdono i benefici.
  Infine la domanda sui penitenziari: perché non si può fare nei penitenziari. Non è che non si può fare, è che è difficile farlo. Ed è difficile farlo prima di tutto perché non sappiamo quali sono le patologie all'interno dei penitenziari. Ho provato a cercarlo, perché l'abbiamo fatto nell'affrontare il nostro studio, e non esistono dei dati nazionali sull'epidemiologia all'interno di penitenziari. Ci sono dei dati, ma non sono complessivi e non sono uniformi. Magari ci sono dei dati sui cardiopatici detenuti in alcune regioni e sui diabetici in altre, ma io poi non riesco a mescolare questi dati avendo un quadro complessivo. Questo è importante perché, se noi dobbiamo costruire dei servizi di telemedicina fruibili all'interno dei penitenziari, dobbiamo utilizzare lo stesso metodo di costruzione, che usiamo per qualunque altro sistema, che parte dalle esigenze dei pazienti. Ma, se non conosciamo le esigenze dei pazienti, le supponiamo, è facile che andiamo a strutturare un servizio in un penitenziario che poi non verrà utilizzato, quindi c'è un discorso di approfondimento e di conoscenza che dobbiamo svolgere. Ci sono anche delle difficoltà nel fatto che la gestione dei dati Pag. 16sanitari dei detenuti riguarda il detenuto ma anche l'organizzazione del penitenziario, anche la sua storia e la sua vicenda giuridica. Quindi sono dati ancora più delicati, se possibile, da trattare rispetto a quelli delle altre persone.
  Noi stiamo cercando di affrontare questi problemi, anche grazie a una certa disponibilità che abbiamo registrato da parte delle autorità che gestiscono i penitenziari e anche del Ministero della giustizia, che speriamo possa portare presto a uno sviluppo anche di progetti specifici; dobbiamo però lavorare prima di tutto per conoscere e poi per elaborare delle strategie di erogazione dei servizi consoni alla situazione. E penso, dall'impressione che abbiamo da questi primi approcci, che il punto più importante sia cercare di utilizzare la telemedicina per fare prevenzione di patologie all'interno dei penitenziari. Oltre a erogare servizi di risposta a una situazione emergente, se si potesse fare della prevenzione, probabilmente avremmo tutta una serie di benefici: prima per le persone e poi per il sistema. Credo di aver risposto a tutte le domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Gabbrielli per il suo contributo, per il materiale che ha depositato agli atti della Commissione, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.05.

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