XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 16 di Giovedì 8 luglio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Stumpo Nicola , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SEMPLIFICAZIONE DELLE PROCEDURE AMMINISTRATIVE CONNESSE ALL'AVVIO E ALL'ESERCIZIO DELLE ATTIVITÀ DI IMPRESA:

Audizione di rappresentanti di ENI SpA.
Stumpo Nicola , Presidente ... 3 
Pistelli Lapo , direttore della funzione Public Affairs (intervento da remoto) ... 3 
Stumpo Nicola , Presidente ... 10 
D'Attis Mauro (FI)  ... 10 
Stumpo Nicola , Presidente ... 12 
Pistelli Lapo , direttore della funzione Public Affairs (intervento da remoto) ... 12 
Stumpo Nicola , Presidente ... 14 
Squeglia Claudia , Responsabile Analisi Normative e Posizionamento Istituzionale Italia (intervento da remoto) ... 14 
Stumpo Nicola , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
NICOLA STUMPO

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di ENI SpA.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione delle procedure amministrative connesse all'avvio e all'esercizio delle attività di impresa, l'audizione di rappresentanti di ENI SpA. Ricordo che, trattandosi di una seduta dedicata allo svolgimento di attività conoscitiva, ai componenti della Commissione è consentita la partecipazione da remoto in videoconferenza, come da modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento. Ricordo, inoltre, che per i componenti che intendono partecipare ai lavori secondo la predetta modalità è necessario che risultino visibili alla Presidenza al momento del loro intervento. Rammento, altresì, che nella seduta odierna proseguirà lo svolgimento dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione delle procedure amministrative connesse alle attività di impresa attraverso l'audizione di rappresentanti di ENI SpA, e in particolare con l'intervento da remoto del dottor Lapo Pistelli, direttore della funzione Public Affairs della società medesima. Fanno parte della delegazione anche la dottoressa Claudia Squeglia, responsabile per le analisi normative e il posizionamento istituzionale Italia, la dottoressa Valentina Garruto, responsabile per l'analisi legislativa su tematiche regolatorie, e il dottor Carlo Barberis, responsabile per i rapporti istituzionali centrali, che ringrazio vivamente per aver aderito all'invito a partecipare ai nostri lavori. Ricordo che la Commissione sta esaminando, con l'indagine conoscitiva in corso, l'evoluzione del quadro normativo e amministrativo relativo alle procedure amministrative per le attività di impresa, nella consapevolezza che solo misure di reale semplificazione e digitalizzazione potranno portare nei prossimi anni a un'efficace ripartenza del sistema italiano. In tale direzione si collocano da ultimo le misure previste nell'ambito dell'Agenda per la semplificazione 2020-2023 e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), cui è stata data una prima attuazione, per tali profili, con il decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, il cosiddetto decreto «Semplificazioni», in corso di conversione presso le Camere. In tale quadro, dare attuazione al principio once only da parte delle amministrazioni nonché assicurare trasparenza ed efficacia all'azione amministrativa potranno costituire i primi tasselli per una reale sinergia tra utente e settore pubblico. Chiederei dunque di sottoporre all'attenzione della Commissione proposte e criticità che, dal punto di vista di ENI SpA e per i settori di rispettiva competenza, possano contribuire a lavorare nella direzione indicata. Cedo quindi la parola al dottor Pistelli, che ringrazio – e non soltanto in maniera formale – per quanto avrà modo di illustrarci.

  LAPO PISTELLI, direttore della funzione Public Affairs (intervento da remoto). Presidente, la ringrazio anzitutto per questa Pag. 4opportunità, che abbiamo colto veramente con favore perché, come lei ha ricordato adesso, ci troviamo davvero in una fase decisamente cruciale. Il tema della semplificazione ha infatti sempre rappresentato una costante delle attività parlamentari non solo degli ultimi anni, bensì degli ultimi decenni. Il periodo che stiamo ora vivendo rende questa materia particolarmente critica e rilevante, avendo l'Italia aderito con convinzione a un percorso non più soltanto italiano, che vede nella facilità del contesto normativo nazionale una delle condizioni assolutamente abilitanti per poter raggiungere gli obiettivi che come Paese, e quindi come sistema pubblico-privato, come aziende e come cittadini, ci siamo prefissati. Potrebbe anche sembrare che io stia approcciando la questione da lontano, ma in realtà arriverò abbastanza rapidamente alla domanda cruciale che il presidente Stumpo ci ha rivolto. Le due pennellate che intendo fornire per posizionare dentro questa sfida competitiva l'azienda che rappresento sono le seguenti: innanzitutto, una fotografia di insieme. Voi sapete che ENI SpA è una compagnia non solo italiana, bensì globale, poiché siamo presenti in poco meno di 70 Paesi nel mondo, non sempre evidentemente con lo stesso peso. In alcuni Paesi siamo il primo operatore energetico, in altri abbiamo attività commerciali.
  Impieghiamo complessivamente, senza considerare molti lavoratori locali presenti nel resto del mondo, circa 30.000 dipendenti e siamo attivi lungo tutta la catena del valore dell'energia, inclusa naturalmente quella di tipo tradizionale, ossia quella relativa al cosiddetto modello Oil and gas dell'idrocarburo, che ha costituito in larga misura il nostro passato e costituisce tuttora il nostro presente, dall'esplorazione alla produzione, al trasporto, alla vendita, alla chimica. Siamo evidentemente però attivi anche in tutto il segmento che costituisce il futuro dell'energia, vale a dire le rinnovabili, che rappresentano il settore più maturo, senza peraltro trascurare quei settori di cui parleremo nel corso di questi pochi minuti e cioè vettori e fonti energetiche che non sono in realtà mercati maturi, e in alcuni casi non sono neanche dei mercati costituiti, ma in cui tuttavia condizioni tecnologiche, da un lato, e condizioni normative, dall'altro, rappresentano i meccanismi abilitanti per fare partire esattamente questa tipologia di nuovi mercati e di nuovi settori.
  Nel mission statement di ENI SpA abbiamo legato la nostra funzione agli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall'Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Come sapete, tra di essi figura un obiettivo specifico, ossia l'accesso all'energia pulita e sostenibile, che è il numero 7, ma a ben guardare ben 12 dei 17 obiettivi della citata Agenda presuppongono, esplicitamente o implicitamente, la disponibilità non solo di energia base, ma anche di energia densa, in altri termini, cioè, di energia adatta non soltanto ad accendere una lampadina, ma anche a sostenere in modo equo lo sviluppo economico. Siamo molto attenti anche al tema della Just Transition, che non è soltanto una questione europea. Sappiamo bene di vivere non soltanto in un mondo che ha oggi responsabilità diverse in termini di contributi emissivi scaricati nell'atmosfera rispetto ai tempi della Rivoluzione industriale, ma anche in un mondo caratterizzato da profonde disparità tra i vari Paesi e all'interno dei Paesi stessi.
  Per quanto riguarda la qualificazione della presenza di ENI SpA in Italia, noi abbiamo un punto di riferimento fondamentale, che adesso è anche in corso di revisione, costituito dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC), con cui l'Italia ha aderito agli obiettivi continentali indicati nel Green Deal. Peraltro, come sapete, da qui a una settimana o forse due avrà luogo l'approvazione preliminare da parte della Commissione europea di un enorme pacchetto normativo che porta il titolo di Fit for 55, cioè essere pronti a ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030, e dunque anche il Piano nazionale energetico dovrà essere in qualche modo adeguato con gli strumenti di implementazione di questo pacchetto, nel cui quadro il principale strumento è ovviamente rappresentato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che è stato oggetto, a partire dall'anno scorso, Pag. 5dell'attività del Governo e del Parlamento lungo tutti gli ultimi mesi e che è stato a questo punto anche formalmente approvato dalla Commissione europea e attende pertanto solo il via libera, che immaginiamo scontato, da parte del Consiglio dell'Unione europea.
  Naturalmente, quando parliamo di l'energia l'altro tema – che rappresenta anche un pilastro della trasformazione europea – è quello della rivoluzione digitale. Tengo a precisarlo perché l'energia non è soltanto trasformazione di materia e di atomi, ma anche una trasformazione che si fa con i bit. La digitalizzazione è una delle armi più importanti che abbiamo per poter rendere efficienti i nostri consumi e la nostra produzione. Come voi sapete, anche in un modello tradizionale di energia la digitalizzazione è molto importante e mi fa veramente piacere ricordare come il principale supercomputer al mondo dell'industria privata, e non soltanto nel settore dell'economia dell'energia, sia proprio il computer che ENI SpA ha in Italia, l'HPC5. Si tratta allo stesso tempo di un'infrastruttura di sicurezza nazionale, che rappresenta – ripeto – il supercomputer dell'industria privata più potente al mondo, attualmente in grado di processare dati con una capacità di 70 Petaflop al secondo. Non so di quanti zeri parliamo, ma si tratta di 70 milioni di miliardi di operazioni matematiche al secondo. Una capacità di calcolo che l'azienda ha anche prestato all'Italia e all'Europa nell'ambito del progetto Exscalate4CoV. Questa piattaforma è stata fondamentale per simulare le interazioni fra molecole, vaccini e virus, con oltre 70 miliardi di simulazioni che hanno permesso la corsa per la realizzazione dei vaccini con i quali speriamo di uscire dalla pandemia. Detto questo, vorrei fare sostanzialmente tre o quattro tipi di considerazioni.
  Presidente, lei ci ha ricordato il decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, cosiddetto «Semplificazioni», che è molto importante. Noi stiamo seguendo e abbiamo seguito fin dall'inizio la stesura di questo provvedimento, che rappresenta veramente la prima leva abilitante per poter raggiungere, tramite il PNRR, gli obiettivi fissati dal PNIEC, in particolar modo mediante la norma cardine che attribuisce alle opere funzionali all'implementazione del PNRR e alla realizzazione del PNIEC carattere di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza. Le norme contenute nel citato decreto-legge prevedono, in particolare, l'introduzione di poteri sostitutivi per l'attuazione delle predette opere, una semplificazione degli iter autorizzativi – ad esempio in materia ambientale, con l'istituzione della Commissione speciale VIA per i progetti inseriti nel PNRR e nel PNIEC e la previsione di un potere sostitutivo in caso di inerzia della Commissione stessa –, nonché una riduzione dei termini e altre misure di semplificazione molto importanti per la installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile o da fonti rinnovabili e del repowering delle fonti esistenti.
  Come voi avrete sentito molte volte, il Ministro della transizione ecologica Cingolani, sia negli interventi svolti in Parlamento, sia nel corso della sua attività pubblica, ha molte volte richiamato, in termini di call to action, questo dato. Da un lato, infatti, noi scriviamo sulla carta la necessità di passare a una capacità di installazione delle rinnovabili a terra, e quindi in maniera non meramente virtuale, di 7 gigawatt, forse 8, se vogliamo ricomprendervi anche la capacità di produrre, nel giro di alcuni anni, idrogeno verde. Dall'altro, vi è un dato di realtà secondo cui le ultime aste FER sono andate sostanzialmente deserte e registriamo pertanto una capacità di installazione che è di 0,8, con un rapporto quindi da 1 a 10 fra quello che facciamo e quello che dovremmo fare per raggiungere quegli obiettivi. Il decreto-legge è ottimo, ma cosa deve essere ulteriormente semplificato o velocizzato? È molto importante, innanzitutto, una cosa: c'è un grande carico di nuove responsabilità che sta in capo al settore pubblico, cioè alla pubblica amministrazione. Pensate ai bandi che dovranno ora essere fatti a valle del PNRR e, in particolare, a come scrivere, innanzitutto, e poi a come valutare e controllare i progetti che corrispondono ai singoli cluster tematici della specifica «missione» dello stesso Pag. 6PNRR relativa alla transizione energetica. Ciò richiede al nostro sistema Paese l'obbligo di rafforzare – in termini di competenza, di persone e di capacità digitale – proprio la pubblica amministrazione, che è garante e motore di questo aspetto. Dovete considerare che i ritardi in termini di competenza, persone e capacità digitale, oltre a incidere in termini di costo per le aziende, determinano di fatto il rischio di una obsolescenza tecnologica dei progetti e quindi, per molti aspetti, rendono in sostanza inefficaci le stesse politiche di sostegno pubblico.
  Come ricordavo prima, nelle ultime aste FER abbiamo assegnato poco più di un terzo della capacità prevista. Penso quindi alla necessità di prorogare le aste del capacity market proprio a causa dei ritardi organizzativi accumulati dalla pubblica amministrazione. In questo senso, ho richiamato in precedenza tre princìpi importanti del decreto-legge n. 77 del 2021: la pubblica utilità, l'indifferibilità e l'urgenza. Mi sento di sottolineare altri princìpi generali: la perentorietà dei termini, in primo luogo, nonché un'applicazione diffusa, quando possibile, dell'istituto del silenzio-assenso. Non dimentichiamo che la nuova direttiva europea – che avrebbe già dovuto essere recepita – stabilisce il rispetto del limite di due anni per tutte le procedure autorizzative degli impianti rinnovabili. Qualora possiate procurarvi – altrimenti la possiamo rendere disponibile noi stessi, poiché è stata un'analisi che ci ha molto colpito – un'indagine condotta dagli operatori delle rinnovabili e dalle loro associazioni – in particolare, il testo cui mi riferisco è quello curato da Elettricità futura – constaterete che il ritardo medio nel nostro Paese raggiunge quasi i sei anni, che si vanno ad aggiungere ai due previsti dalla legge. Da questo punto di vista, proprio per un'inefficacia del funzionamento del sistema della pubblica amministrazione, le imprese italiane nel loro complesso sostengono tra i costi più alti a livello europeo per ottenere l'autorizzazione a un impianto rinnovabile. Il secondo elemento di merito è che sarebbe necessaria una maggiore iniziativa nel campo dell'economia circolare.
  Questo nuovo modo di guardare l'economia, valicando il tradizionale concetto di economia lineare, assume un ruolo molto trasversale in tutti i progetti implicati dal processo di decarbonizzazione. Questo sostanzialmente vuol dire, dal nostro punto di vista, estendere ai progetti che verranno individuati dal Piano nazionale per la gestione dei rifiuti le stesse prerogative che sono state ad oggi riservate agli interventi del PNIEC e del PNRR dal cosiddetto decreto «Semplificazioni», ovvero il carattere di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza. Da questo punto di vista, mi permetto di segnalarvi che sono stati presentati da vari gruppi politici e sono attualmente all'esame delle Commissioni riunite Affari costituzionali e Ambiente della Camera dei deputati alcuni emendamenti che vanno proprio nel senso dell'estensione di questi princìpi ai progetti del Piano nazionale per la gestione dei rifiuti. Sempre in riferimento agli investimenti relativi ai processi di decarbonizzazione – e questa forse è una circostanza che può collocare ENI SpA in modo molto più specifico, stante la presenza diffusa di facilities e di impianti anche nel territorio nazionale – occorre privilegiare il riutilizzo di aree industriali, anche ove esse siano oggetto di bonifica, e il recupero degli asset esistenti. Ciò consentirebbe sostanzialmente di limitare il consumo di suolo non antropizzato e di rilanciare le aree dismesse anche sotto il profilo occupazionale. In molte circostanze, bisogna infatti garantire un futuro ad aree e impianti che, con il modello di transizione che stiamo prevedendo, non hanno più, evidentemente, un futuro molto radioso.
  Da questo punto di vista, ENI SpA potrebbe mettere a disposizione numerose aree industriali dismesse o siti eventualmente da riconvertire. Questo genere di siti, peraltro, si presta a scopi molteplici. Noi possiamo andare verso la produzione di prodotti decarbonizzati, come è avvenuto, ad esempio, a Gela o a Marghera con la conversione ormai ultimata di due raffinerie. Questi siti possono essere utilizzati per l'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, riducendo quindi il consumo di nuovo suolo. Voi peraltro Pag. 7 sapete che uno dei temi che culturalmente stiamo affrontando, come Paese, pur in presenza di un sostegno diffuso alla transizione energetica, è questo drammatico ripetersi della cosiddetta logica NIMBY, ossia del Not In My Back Yard, per cui tutti vogliamo l'energia pulita, ma se si tratta poi di avere un impianto eolico offshore oppure fotovoltaico a terra vicino al luogo in cui si abita o si lavora, scatta una logica di opposizione diffusa sul territorio. Il fatto di poter utilizzare aree industriali dismesse o da riconvertire, ad esempio già utilizzate per impianti produttivi tradizionali, potrebbe ridurre anche l'incidenza della logica NIMBY applicata alle energie rinnovabili.
  Il terzo elemento è che nelle aree industriali dismesse o da riconvertire – che in genere non sono delle isole abbandonate, ma si trovano vicino ad altre aree industriali – noi potremmo anche immaginare di localizzare con più facilità le Hydrogen Valleys, che sono state identificate nel PNRR. In fondo, se si tratta di fare esperimenti diretti alla produzione di idrogeno, di qualsiasi colore esso sia, da fornire alle aziende energivore, è importante che vi sia una prossimità. I siti dismessi possono quindi essere in qualche modo utilizzati anche per fare da incubatore per le Hydrogen Valleys. Vi è poi la questione relativa alla costruzione di impianti per la gestione dei rifiuti di cui, come sapete, soprattutto in alcune zone del nostro Paese, abbiamo ancora veramente un grande bisogno, permanendo un deficit infrastrutturale. Questo si può fare utilizzando anche processi nuovi: non nuovissimi, perché le tecnologie sono già mature, ma nuovi rispetto alla mentalità corrente. Mi riferisco, ad esempio, agli impianti di riciclo chimico delle plastiche che alla fine, per quanto necessario, rispettano sempre un principio di gerarchia dei rifiuti. Come sappiamo, il primo obiettivo è quello di selezionare, differenziare e riciclare, riducendo quindi al massimo, almeno dal punto di vista numerico, la componente finale dei rifiuti che non sono stati trattati in altra maniera e che alla fine inevitabilmente, anche se in percentuali piccole, finiscono in discarica o negli impianti di termovalorizzazione. Sul tema dei rifiuti, in modo particolare, credo che il settore in Italia debba essere in grado, più rapidamente di quanto avviene in altri settori, di mettere in campo una vera e propria rivoluzione, perché, da un lato, i target che l'Unione europea ci ha dato da qui al 2035 e, dall'altro, la saturazione ormai programmata, prevista, di alcune delle nostre discariche nei prossimi due o tre anni – e voi conoscete bene difficoltà e costi dell'export dei rifiuti, che non è esattamente un settore di cui andare fieri – rendono urgente un piano di gestione che preveda veramente passi in avanti molto importanti sul fronte della raccolta differenziata e dei tassi di riciclo e di recupero.
  Per tradurre in realtà questo tipo di interventi è molto importante – ripeto, e torno così al tema della logica NIMBY – adottare una governance integrata in grado di superare le resistenze locali, perché bene o male un'azienda, la nostra come le altre, come potete immaginare, si trova ad avere due diversi livelli di interlocuzione: dall'Italia verso l'alto, tramite quindi la partecipazione ai processi di consultazione, che sono tutti disciplinati da parte dell'Unione europea quando vengono scritti White paper, Green Paper o vengono svolte consultazioni pubbliche sui documenti; ma poi c'è un drammatico effetto di rapporto con il territorio, ossia con i diversi livelli dell'amministrazione sub-nazionale, momento nel quale tante volte anche i migliori propositi del pagamento delle aziende si arenano.
  Per fare ciò e assicurare il rispetto di questi obiettivi – che condividiamo e su cui noi e il Paese intero ci siamo impegnati davanti alla Commissione europea, essendo del resto legati al PNRR, al PNIEC e al Piano nazionale per la gestione dei rifiuti – un principio trasversale ma importantissimo, che può avere molte declinazioni, è quello del burden sharing, cioè della condivisione delle responsabilità, ad esempio sui due punti che ho prima richiamato: gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili e il recupero dei rifiuti.
  Questo può valere anche, in realtà, per altri campi: penso, ad esempio, alla rete delle colonnine di ricarica. Non è sufficiente Pag. 8 infatti che i piani nazionali identifichino il totale degli impianti richiesti per assicurare quell'obiettivo, ma giustamente c'è un tema di loro allocazione e distribuzione sul territorio. Noi sappiamo, ad esempio, che nel campo dei rifiuti abbiamo una parte del Paese, in generale il Centro-Nord, che dimostra una capacità di gestione e di autogestione dei propri rifiuti, di valorizzazione e di recupero, che permette non soltanto di assorbire i rifiuti prodotti da quelle regioni, ma anche di ospitarne di altri; e abbiamo una parte del Paese che invece è in deficit, e quindi o li manda al Nord o addirittura li esporta.
  Sostanzialmente sarebbe molto importante che nella pianificazione di questi interventi si potesse identificare già a livello centrale, quando ciò è possibile, condividendo poi le responsabilità, specifici impegni che ciascuna regione e, a livello sub-regionale, ciascuna provincia deve assumere in termini di disponibilità a ospitare gli impianti, in modo tale che questi ultimi siano ben distribuiti, laddove servono, sul territorio, sulla base di impegni temporalmente definiti e verificabili per step intermedi, come del resto tutti i nostri progetti saranno verificati dall'Unione europea. In tal caso, andrebbe inoltre previsto un potere sostitutivo nazionale da esercitare nelle ipotesi di mancato rispetto degli impegni che da parte dei territori che li hanno assunti, nonché – aggiungo io, considerato che ciò si può fare, in una logica di incentivi e disincentivi – specifiche premialità per le regioni che si rendono più virtuose nel mantenere questo tipo di impegni.
  In questo senso il consiglio, il suggerimento che ci sentiamo di dare è che, se non nel decreto-legge cosiddetto «Semplificazioni», qualora non ve ne fosse più tempo, almeno la legge di recepimento della direttiva RED II potrebbe rappresentare la sede idonea per provare a disciplinare una materia che altrimenti può diventare per noi, intesi come Paese, veramente problematica. Da un lato ci sono gli impegni verbali che assumiamo, dall'altro le difficoltà di messa a terra di questi progetti.
  Un'ultima considerazione che intendevo fare riguarda i nuovi settori. Voi avrete osservato che nel dibattito corrente, così come nel dibattito parlamentare che ha accompagnato in questo ultimo anno tutta questa titanica impresa della transizione, vengono menzionati molti settori, vettori, fonti energetiche, riponendosi grandi aspettative nella loro capacità di surrogare e sostituire il modello energetico esistente. In termini più chiari, sebbene forse più brutali, possiamo dunque affermare che al momento, in alcune circostanze, siamo davanti a ipotesi di mercato in cui non c'è né domanda né offerta. Noi siamo cioè davanti a ipotesi su cui immaginiamo di creare sviluppi importanti anche dal punto di vista economico e con ricadute occupazionali, ma sono settori che vanno disciplinati ex novo, talvolta con normative di primo livello e prevedendo in accompagnamento meccanismi di regolazione di questi futuri mercati, che hanno comunque bisogno di una mano pubblica per orientare sia la domanda che l'offerta: per sostenere l'offerta, laddove essa ancora non abbia la possibilità di stare sul mercato, e per orientare la domanda, laddove uno degli aspetti della transizione energetica è anche l'abitudine del consumatore, il quale deve essere incentivato a fare alcune cose piuttosto che altre proprio perché vi è una ricaduta climatica ed energetica che corrisponde a un obiettivo più generale.
  Ripeto, si tratta di industrie nascenti. Allora, perché dico questo a voi? Perché un conto è semplificare procedimenti e quadri normativi che riguardano realtà esistenti, un conto è immaginare che la nuova normativa sui nuovi settori sia fin dall'inizio semplice, cioè che non abbiamo poi un problema di semplificazione al giorno due dopo che abbiamo disciplinato al giorno uno, magari in modo un po' troppo barocco, queste industrie che hanno veramente bisogno di poche e chiare regole, ma molto orientate.
  Tra i settori più rilevanti c'è evidentemente quello dell'idrogeno, come ben sapete. Questa non è un'audizione sull'energia, quindi evito di addentrarmi in ulteriori dettagli, in ordine a chi lo fa, a chi lo consuma, a come lo si fa e via dicendo. Un altro è quello del biometano, che ad oggi Pag. 9abbiamo utilizzato in settori più perimetrati della nostra attività nazionale, ma che in una strategia di decarbonizzazione del gas naturale assume un'importanza veramente decisiva, costituendo però un modello produttivo totalmente diverso dal gas naturale. Non sono infatti presenti grandi giacimenti e importazioni, né una produzione diffusa, ma tale settore impatta e si coordina con il settore agricolo. È dunque un mondo nuovo, che implica un discorso di adeguamento della rete, di incentivi per i nuovi impianti e via discorrendo.
  Poi c'è il tema dei biocarburanti, che nel nostro caso risulta molto importante per due ragioni. La prima è che l'Italia – in questo caso, devo dire, grazie a ENI SpA – gode di tecnologie proprietarie che ci collocano a livello europeo assolutamente in prima fila, al pari soltanto di un altro Paese della Scandinavia, nella capacità di trasformare in biocarburanti materiali vegetali o animali, grassi animali, residui e via discorrendo.
  Vi è poi una seconda ragione. Scusate se in proposito apro una brevissima parentesi, ma una grandissima e legittima attenzione è stata riposta sulla possibilità di avere, da qui a un certo numero di anni e in presenza di condizioni abilitanti sul costo dell'energia e sulla diffusione delle colonnine, una diffusione massiva della mobilità elettrica leggera, e mi riferisco alle passenger car, le macchine che utilizziamo per spostarci, mentre diverso è il discorso per le heavy duty, per il traffico commerciale pesante, per l'aviazione e il traffico marittimo. Ma non dimentichiamoci mai – perché i numeri hanno una loro rilevanza oggettiva – che in questo momento noi abbiamo un parco circolante di circa 38 milioni di veicoli privati, di cui la parte puramente elettrica è composta da 100.000 mezzi, vi è poi una certa quota di macchine ibride mentre tutte le altre sono motorizzazioni tradizionali a diesel o benzina.
  Considerando che mediamente ogni anno in Italia vengono acquistate poco meno di 2 milioni di automobili – durante l'anno COVID questa cifra è scesa a circa 1,3 milioni – , che anche oggi queste macchine hanno una componente all electric del 3 per cento e che la maggioranza assoluta delle motorizzazioni è ancora a diesel o benzina, mentre la parte residuale – nell'ordine di un 40 per cento – è costituita da auto ibride, noi non possiamo aspettare che a suon di 3 per cento del parco nuovo il parco circolante diventi elettrico, perché così passa un secolo. E non abbiamo neanche presumibilmente un portafoglio così capiente da poter dare incentivi, che sono molto robusti – parliamo di 10.000 euro a mezzo in media, in questo momento – , per far passare tutti all'elettrico, anche i settori sociali francamente più esposti dal punto di vista economico che non se lo possono permettere, e nel frattempo non fare niente sul parco circolante.
  I biocarburanti offrono quindi la possibilità di cominciare a decarbonizzare da subito anche quella parte dei trasporti che non si può permettere il passaggio all'elettrico o che se lo permetterà tra un certo numero di anni, ma nel frattempo possiamo già abbattere in modo consistente le emissioni delle macchine con il motore a endocombustione.
  Il terzo settore è rappresentato dalle rinnovabili off-shore. Il quarto tema – che so essere dibattuto, ma sul quale è indispensabile tornare è costituito dal carbon capture and storage, cioè dalla capacità di catturare le emissioni e fare gli storage di queste emissioni, soprattutto per i settori cosiddetti hard to abate, cioè quei settori che per loro natura – cementifici, acciaierie, carta, vetro, piastrellifici, cemento – hanno bisogno di un'energia molto densa e quindi non possono essere elettrificati. Tecnicamente non sono elettrificabili e quindi hanno bisogno o di un vettore alternativo – e qui l'unico vettore alternativo, ancorché meno denso ma compatibile, è l'idrogeno, ma sappiamo che serve un po' di tempo per poter dare loro idrogeno – oppure della cattura delle emissioni, tema sul quale segnalo tramite voi al Parlamento italiano che, da quando un anno fa il vicepresidente della Commissione europea, Timmermans, individuò nell'ambito dei 22 progetti di carbon capture and storage che sono in questo momento in corso di sviluppo in Europa le tre localizzazioni geologicamente Pag. 10più idonee, una in Norvegia, una in Olanda e una in Italia, quindi fra l'altro Nord, Centro e Sud dell'Europa, durante quest'ultimo anno sull'hub norvegese si è mossa un'attività mostruosa di aziende e Governi. Nel caso della Norvegia essa ha riguardato il Regno Unito. La Norvegia, anche se non fa parte dell'Unione europea, è comunque eligible per i progetti europei, e su quello si è molto organizzata la Germania insieme alla Polonia, alla Svezia e alla Danimarca.
  Sull'hub olandese si sono organizzati, a far baricentro sull'Olanda, la Francia del Nord e il Belgio, e poi ci siamo noi. Noi purtroppo ancora non abbiamo una normativa, nel senso che abbiamo ancora una vecchia direttiva europea non implementata, o meglio, implementata solo provvisoriamente con un decreto del 2011, mentre oggi noi avremmo bisogno di una nuova normativa, integralmente ripensata, definita a partire dalla constatazione che questo settore ormai ha una storia totalmente diversa da quella di dieci anni fa e rappresenta uno degli strumenti con cui possiamo decarbonizzare l'industria più difficile, quella manifatturiera, che è però anche quella in cui l'Italia è molto forte, insieme alla Germania. È un problema che non ha il Portogallo, non ha la Grecia, ma l'Italia ce l'ha perché, come la Germania, ha una componente molto forte di questo tipo di industria, che richiederebbe comunque, se vogliamo rimanere sulla strada tradizionale, di poter implementare quei sei o sette decreti che mancano.
  Analogamente, un simile discorso vale per l'idrogeno, settore nel quale serve costruire una impalcatura normativa concernente aspetti tecnici, standard di sicurezza, regole di mercato e strumenti di incentivazione della domanda e dell'offerta, così come per i settori dei biocarburanti e del biometano, per le ragioni che vi ho in precedenza esposto. Essi possono infatti sostituire o decarbonizzare le fonti fossili tradizionali, ma abbiamo bisogno di valorizzare gli investimenti in tale campo, altrimenti diventa più conveniente lavorare su queste cose in Paesi europei che si sono già dotati di condizioni normative molto più robuste.
  Concludo e chiedo scusa del tempo che ho preso. Cosa potrei pertanto dire, come appello finale, ringraziandovi al tempo stesso per l'opportunità che mi è stata concessa? Noi abbiamo iniziato il processo di trasformazione di ENI SpA nel 2014, giacché – non trattandosi di una realtà di finanza, ma di manifattura, di produzione e di trasformazione, tale processo richiede ovviamente del tempo. Se uno passa dal produrre una cosa al produrne un'altra è tecnologia, reskilling delle persone, cicli produttivi, ma fino a pochi anni fa, diciamo fino a prima dell'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, quello che noi facevamo o quello che un'azienda faceva dipendeva molto dall'inclinazione naturale e dall'idea di cogliere delle nicchie di mercato nuove, ma erano comunque scelte spontanee.
  Oggi il cuore è completamente cambiato, perché tutto quello che noi facciamo si inserisce dentro un copione che noi non scriviamo. Gli obiettivi, i tempi finali, le scelte di policy sono tutti elementi per i quali l'azienda ha bisogno del quadro normativo europeo e italiano. Non è più un'improvvisazione jazzistica, ma è un'orchestra sinfonica. Ogni pezzo di Paese deve fare la sua parte. Noi ci siamo, ci siamo sempre considerati, e siamo, parte del sistema Paese. Quello che vi chiediamo è che ogni pezzo del sistema, nel rispetto delle prerogative proprie ad ogni livello di Governo, si doti di processi autorizzativi e normativi, di regole semplici e chiare, di tempi certi, di poteri sostitutivi e di quanto finora detto, tali da garantire una condivisione vera di responsabilità da parte dei territori e risposte che siano coerenti con i tempi con cui abitualmente un'impresa svolge le proprie attività. Con questo concludo e rimango a vostra disposizione per ogni richiesta di chiarimento.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Pistelli, per l'ampia relazione che ci ha fornito e per gli spunti molto interessanti. Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAURO D'ATTIS(intervento da remoto). Buongiorno, presidente. Il gruppo di Forza Pag. 11Italia – ma in verità l'abbiamo voluto tutti, a cominciare dal presidente – ha fortemente voluto che questa indagine conoscitiva avesse un focus anche sulle grandi imprese di interesse nazionale, in particolare quelle di proprietà dello Stato o a prevalente proprietà dello stesso, tra cui rientra certamente ENI SpA. Proprio per questo, abbiamo richiesto l'audizione di suoi rappresentanti.
  Volevo pertanto ringraziare innanzitutto il dottor Pistelli, perché fortunatamente è andato oltre la discussione sul merito della semplificazione, fornendoci anche un quadro di prospettiva energetica, dal momento che di questo abbiamo prevalentemente parlato. Noi svolgiamo questa indagine conoscitiva in un momento particolare, che è quello del decreto-legge cosiddetto «Semplificazioni», ora all'esame delle Commissioni riunite I Affari costituzionali e VIII Ambiente della Camera dei deputati, e quindi abbiamo ancora il tempo per selezionare, anche grazie all'intervento di questa Commissione bicamerale, gli emendamenti più utili. E mi pare che lei abbia già dato, in proposito, alcune indicazioni importanti.
  La cosa che ci preme sapere – le rivolgo in maniera schietta la domanda – è quanto veramente debba essere cambiato di questo decreto-legge, che è ora sottoposto all'esame delle citate Commissioni riunite della Camera dei deputati. Le chiedo inoltre se la prospettiva che lei ha prefigurato sull'idrogeno e sugli altri nuovi settori possa già essere ricompresa tra alcune delle innovazioni introdotte dal decreto-legge «Semplificazioni».
  Quella dell'idrogeno è senz'altro una materia complessa che comporta scelte importanti, e queste scelte riguardano fondamentalmente i player più importanti, tra i quali figura senz'altro anche ENI SpA, perché non basterà solo semplificare ma servirà un impegno industriale assai rilevante. L'ansia che abbiamo è che potremmo semplificare tutto quanto ma disperdere risorse inutili, destinandole magari al sostegno di una ricerca fine a sé stessa e non già delle sue applicazioni industriali. Mi sembra di aver capito che lei spinge in maniera decisa, e giustamente, per una semplificazione delle autorizzazioni sulle fonti rinnovabili.
  È altresì molto interessante anche la questione delle aree industriali dismesse. Io stesso sono promotore di un emendamento per l'utilizzo delle aree agricole ubicate nei siti di interesse nazionale. Presidente, segnalo in proposito a questa Commissione un'assurdità: ci sono aree agricole su cui grava un decreto di divieto di coltivazione in aree SIN, sulle quali non si può fare nulla perché sono state aree agricole, ma nessuno mai ci potrà piantare un carciofo, e sono di solito ubicate in aree industriali o in aree industriali dismesse.
  Venendo invece alla seconda domanda –, posto che c'è un problema di territorio in quello che lei diceva, perché è interessante il riferimento alle premialità piuttosto che al potere sostitutivo, una questione della quale dovremmo prima o poi occuparci soprattutto in materia di rifiuti – mi chiedo se a questo punto non sia il caso di proporre, magari alla fine della nostra indagine conoscitiva, un testo unico di semplificazione dei nuovi settori. Credo che lei abbia diviso quello che già c'è e che stiamo provando a sistemare con questa nuova semplificazione dei settori da quello che ancora sta partendo, che è da semplificare per farlo partire bene.
  Volevo chiedere dunque se, come Commissione bicamerale per la semplificazione, possiamo prendere spunto dalla sua audizione – lo dico, se mi permettete, più con la pancia che con il cervello – per proporre l'avvio di una disciplina che riguardi unitariamente idrogeno, biometano, rinnovabili off-shore e cattura delle emissioni, che rappresentano i nuovi settori. Dico questo perché non c'è solo l'ansia di un produttore, di un player, quale è ENI SpA, ma anche dell'indotto e della filiera che si può creare, che è un'altra cosa. Ovviamente come classe politica noi contiamo molto su aziende come ENI SpA, perché devono lasciare non solo il profitto allo Stato e all'azienda stessa, ma anche produrre filiera che resti in Italia, compatibilmente con le esigenze di mercato.

Pag. 12

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri colleghi che intendono intervenire, prima di restituire la parola al dottor Pistelli per la replica volevo aggiungere soltanto un paio di considerazioni brevissime. La prima è che il fatto che si possa partire su un terreno sgombro, per quelle che sono le nuove frontiere dell'energia, forse ci consente di parlare realmente di semplificazione, perché la mia preoccupazione da tempo è che noi semplifichiamo sul complesso, con la conseguenza che, tutt'al più, riusciamo a rendere un po' meno complesso quello che invece dovremmo rendere molto più semplificato.
  Una delle mie preoccupazioni, anche di questi giorni, è che manca un titolo, che è la cancellazione di alcuni testi per scriverne di nuovi semplificati. Invece siamo a dover interpretare qualche norma in più, che forse semplifica ma che al tempo stesso ha bisogno di non intralciare campi già arati da questo punto di vista. Rispetto alle questioni che ora richiamava anche l'onorevole D'Attis, questa forse potrebbe essere davvero una scommessa sulla quale provare nei prossimi mesi a compiere un lavoro, nonché una modalità di lavoro, nuovi.
  Volevo aggiungere un'altra cosa. Noi come Commissione bicamerale per la semplificazione stiamo provando a svolgere un lavoro che si ponga fuori dai livelli di partito, istituzionali e d'interesse, come credo si debba sistematicamente fare nell'interesse del Paese. Oltre a ringraziare lei e tutti i suoi colleghi per quanto ci avete detto, saremmo favorevolmente interessati ad avere il documento di cui lei ci ha parlato, quello sulle rinnovabili, in modo tale da poterlo utilizzare anche nel quadro del lavoro che noi vorremmo provare a condurre a termine, speriamo subito dopo l'estate.
  Infine volevo chiedervi, visto che noi naturalmente chiuderemo un primo ciclo di audizioni, se fosse possibile prima della nostra conclusione magari avere un giro di sollecitazioni ulteriore proprio sulla questione delle rinnovabili. Su questo punto magari potrebbe essere utile non soltanto un lavoro successivo, ma anche una discussione ad hoc. Magari subito dopo l'estate proveremo dunque a ricontattarvi per avere una nuova occasione di discussione.
  Io mi fermo qui e do a lei la parola per la replica, dottor Pistelli.

  LAPO PISTELLI, direttore della funzione Public Affairs (intervento da remoto). Grazie, presidente, e grazie anche all'onorevole D'Attis per le considerazioni svolte e per la domanda. Ma grazie anche a tutti gli altri, perché poi questo lavoro è destinato comunque a confluire dentro un collettore che dovrà necessariamente fare sintesi delle tante cose che avete ascoltato anche nel corso delle altre audizioni.
  Vorrei, in seconda battuta, chiamare brevemente in causa la dottoressa Squeglia per una questione più specifica su cui è stata posta una domanda, ma svolgo intanto alcune mie considerazioni molto rapide. Tenete anzitutto conto del seguente elemento. Ovviamente noi abbiamo parlato di semplificazione applicabile al processo di transizione energetica. Chiaramente è il nostro settore, quindi non potevamo parlare di altro. Per rendere la questione nei termini più semplici possibili, dovete immaginare che ci sono tre vertici di un triangolo che devono marciare il più coerentemente possibile fra loro: le tecnologie, le politiche e il mercato. Se uno di questi tre vertici lavora in modo disgiunto dall'altro o non ne diviene condizione abilitante, il giochino si inceppa.
  La cosa molto più semplice, la più evidente che viene in mente, perché molte altre sono decisamente più complesse, è quella a cui ho fatto ampio riferimento, quella cioè della mobilità elettrica urbana. Ho il modello ma non ho le colonnine, e quindi ho le macchine ma non le vendo perché non so come ricaricarle. Oppure ho le colonnine ma non ho le macchine, quindi ho la rete ma non ho il mezzo, o magari ho entrambi ma ho una condizione politica – cioè la regola che deve mettere in connessione tecnologia e mercato – che non mi aiuta, come ad esempio il fatto che il prezzo dell'energia è troppo alto oppure la relativa disciplina ha introdotto determinate limitazioni. A quel punto il gioco si inceppa, e parlo del sistema relativamente più maturo fra quelli che si potrebbero citare. Pag. 13
  In molte altre circostanze, sia sulle politiche, sia sui comportamenti di mercato – cioè come si comportano gli individui –, sia sulle tecnologie disponibili, siamo addirittura molto più indietro. ENI SpA è il primo produttore e consumatore di idrogeno in Italia. Noi produciamo circa 400.000 tonnellate l'anno attraverso gli impianti di steam reforming. Per noi l'idrogeno è un pezzo del processo di raffinazione. Chi è sufficientemente avanti con l'età come me – per fortuna voi no – si ricorderà una delle prime polemiche negli anni Settanta e Ottanta sulle piogge acide provocate dalle benzine, la famosa Foresta Nera che si ingialliva in Germania. Questo accadeva quando le benzine tradizionali avevano una componente solforosa molto importante. Da allora in poi l'industria ha messo una pezza, perché ha cominciato a sottoporre a un processo di idrogenazione le benzine durante la raffinazione e con processo chimico ha eliminato la componente solforosa.
  Noi produciamo idrogeno, ma ci serve dentro un processo di raffinazione nostro. È una componente di un processo, ma evidentemente sappiamo come si fa l'idrogeno. Ce lo produciamo e ce lo consumiamo. L'idrogeno di cui parliamo adesso è un altro mondo, perché è un vettore autonomo, è un buffer per la rete elettrica, perché è un coupler per la rete elettrica; quindi è concepito in tutt'altra maniera. Però se io vi portassi – fatemi scherzare, se è possibile a quest'ora del mattino – una bottiglia con dell'idrogeno dentro e vi dicessi: «Eccolo» la vostra domanda sarebbe: «Ma dove lo metto? Ho una macchina che va a idrogeno? No. Ho un föhn che va a idrogeno? No. Ho una caldaia che va a idrogeno? No». Il convertitore, l'oggetto tecnologico che permette di utilizzare quel vettore e trasformarlo nell'energia che mi serve, in questo momento non c'è, e manca in larga misura in tutti i comparti che ne hanno bisogno. Onorevole D'Attis, le volevo dire questo: io credo che il lavoro che avete fatto sul decreto-legge «Semplificazioni», tanto sul testo originario del provvedimento quanto durante l'esame parlamentare svolto fino ad oggi, sia onestamente molto buono. Noi – ovviamente insieme a tanti altri – possiamo suggerire alcune rifiniture, e su questo se la dottoressa Squeglia volesse dare brevemente alcune rapide indicazioni le cedo volentieri la parola. Però francamente, per i settori che ho citato come settori non regolati ma da regolare in futuro, in questo momento personalmente faccio fatica a immaginare un testo che li metta tutti insieme, perché sono veramente i settori che hanno una maturità di mercato e di tecnologia e un impatto su strutture tecnologiche nuove o adattamento di reti esistenti che sono molto disomogenee tra di loro. Quello che invece vorrei il Parlamento potesse avere chiaro è proprio che tutti questi segmenti sono a loro modo decisivi, ma a condizione che siano tutti insieme considerati, e non uno contro l'altro, per poter raggiungere gli obiettivi su cui il Paese si è impegnato.
  Da questo punto di vista, ritorno a un tema di narrativa, come ripete il Ministro Cingolani, «deideologizzata». Nella transizione non esistono proiettili d'argento, non c'è un silver bullet che ci fa andare a bersaglio. Ciascuna tecnologia impatta su un certo segmento dei settori emissivi e dà un certo tipo di risposte, ma noi abbiamo messo l'asticella, come Europa e come Italia, così alta che abbiamo bisogno di tutte queste soluzioni. Andiamo sostanzialmente a caccia avendo il fucile, la canna da pesca, la rete, la tagliola, tutto ciò che ci serve per prendere la preda. La preda è la decarbonizzazione.
  Il danno peggiore che il Paese potrebbe farsi sparandosi sui piedi è impegnarsi in una diatriba di carattere narrativo-ideologico in cui ci divertiamo a capire quale tecnologia ci piace di più e ci dimentichiamo che alla fine il bersaglio ultimo è la decarbonizzazione, non la prevalenza di un colore sull'altro dell'idrogeno o, non so, l'agricoltura versus l'industria hard to abate.
  Dobbiamo arrivarci vivi alla fine. Non dobbiamo arrivare a una condizione in cui possiamo dire: «L'operazione è riuscita, ma il paziente è morto». Vogliamo decarbonizzare l'Europa e l'Italia, ma vogliamo anche arrivarci tutti vivi e possibilmente non poveri. Questo è un po' il tema. Altrimenti, Pag. 14come dice il Ministro Cingolani – è una battuta brillante che non posso che attribuirgli, perché è sua: «È bello diventare tutti verdi, ma senza rimanere al verde». Mi piace l'idea. Dobbiamo arrivare in fondo, ma salvaguardando l'infrastruttura nazionale, il sistema Paese.
  Detto questo, se la dottoressa Squeglia ha un paio di lampadine accese, volentieri.

  PRESIDENTE. Prego, dottoressa Squeglia.

  CLAUDIA SQUEGLIA, Responsabile Analisi Normative e Posizionamento Istituzionale Italia (intervento da remoto). Buongiorno a tutti. Innanzitutto anch'io voglio ringraziarvi per l'opportunità che ci avete dato di portare il nostro punto di vista su questi temi così importanti per il futuro del Paese e delle aziende che operano nel nostro settore.
  Sul tema più specifico della domanda posta dall'onorevole D'Attis, volevo riprendere gli spunti che ha già trattato il dottor Pistelli. Innanzitutto, sicuramente il decreto-legge «Semplificazioni» ora in fase di conversione presso le Camere è già uno strumento piuttosto potente per realizzare gli obiettivi che ci siamo posti come Paese; quindi anch'io condivido un giudizio molto positivo sulle semplificazioni contenute nel citato provvedimento, nonché sulla riduzione dei tempi, che poi è il grosso problema soprattutto per le aziende che devono programmare investimenti in tempi così brevi, come quelli che abbiamo, per il conseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione.
  Se dovessi suggerire cosa manca nel testo, direi che è proprio il fatto di considerare il Piano nazionale per la gestione dei rifiuti come parte integrante di una politica energetica complessiva. Dobbiamo smettere di pensare che i rifiuti siano un altro tema rispetto all'energia e alla decarbonizzazione, perché invece il concetto di economia circolare e una buona gestione dei rifiuti può portare sia vantaggi in termini di riduzione delle emissioni di CO2 sia opportunità in termini di generazione di prodotti decarbonizzati per usi energetici.
  Sicuramente l'idea di inserire all'interno dell'Allegato 1-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, che reca le tipologie di opere funzionali alla realizzazione del PNIEC, anche tutta una serie di impianti, di opere e di infrastrutture fondamentali per la gestione dei rifiuti può essere un punto di miglioramento. Un altro aspetto da non trascurare – ripeto ancora una volta quanto già detto dal dottor Pistelli, che però è veramente fondamentale – è il burden sharing regionale. Una volta che a livello centrale si è definito un obiettivo e come Italia ci siamo impegnati a conseguirlo, questo va poi calato sulle realtà territoriali.
  Direi che questi sono i due punti sui quali probabilmente il provvedimento potrebbe essere più ambizioso.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Squeglia. Vi ringrazio tutti nuovamente per la qualità delle osservazioni che ci avete fornito e dichiaro conclusa la nostra audizione.

  La seduta termina alle 9.35.