XVIII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 34 di Mercoledì 23 giugno 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zoffili Eugenio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ATTUALITÀ DELL'ACCORDO DI SCHENGEN, NONCHÉ AL CONTROLLO E ALLA PREVENZIONE DELLE ATTIVITÀ TRANSNAZIONALI LEGATE AL TRAFFICO DI MIGRANTI E ALLA TRATTA DI PERSONE

Audizione del presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati ONLUS e componente del direttivo nazionale dell'ASGI (Associazione Studi Giuridici Immigrazione), Gianfranco Schiavone, con particolare riferimento alle riammissioni tra Italia e Slovenia.
Zoffili Eugenio , Presidente ... 3 
Schiavone Gianfranco , presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati ONLUS e componente del direttivo nazionale dell'ASGI ... 3 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 7 
De Falco Gregorio  ... 7 
Galizia Francesca (M5S)  ... 8 
Zuliani Cristiano  ... 9 
Schiavone Gianfranco , presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati ONLUS e componente del direttivo nazionale dell'ASGI ... 9 
Iwobi Tony Chike  ... 10 
Testor Elena  ... 10 
Zuliani Cristiano  ... 11 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 11 
Schiavone Gianfranco , presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati ONLUS e componente del direttivo nazionale dell'ASGI ... 11 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
EUGENIO ZOFFILI

  La seduta comincia alle 14.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione in diretta streaming, con modalità sperimentale, sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati ONLUS e componente del direttivo nazionale dell'ASGI (Associazione Studi Giuridici Immigrazione), Gianfranco Schiavone, con particolare riferimento alle riammissioni tra Italia e Slovenia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento all'attualità dell'Accordo di Schengen, nonché al controllo e alla prevenzione delle attività transnazionali legate al traffico di migranti e alla tratta di persone, del dottor Gianfranco Schiavone presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati ONLUS di Trieste, nonché componente del Consiglio direttivo dell'Associazione per gli Studi Giuridici dell'Immigrazione (ASGI). Ringrazio il dottor Schiavone per la sua disponibilità a prendere parte personalmente ai nostri lavori. L'audizione, richiesta in particolare dai colleghi del gruppo Movimento 5 Stelle, avrà come focus specifico il tema delle riammissioni tra Italia e Slovenia. Si tratta di una questione delicata e attuale, tenuto conto che il primo luglio prossimo la Slovenia assumerà la presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea e avrà quindi un ruolo cruciale per i negoziati sul nuovo Patto per le migrazioni e l'asilo. A lei la parola, dottor Schiavone.

  GIANFRANCO SCHIAVONE, presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati ONLUS e componente del direttivo nazionale dell'ASGI. Grazie. Io tenevo a venire in presenza anche per avere un rapporto diretto, perché via video è un po' difficile. Ci tenevo anche a riprendere un tema che avete già affrontato in altre sedute, ma lo vorrei affrontare da una prospettiva squisitamente giuridica, chiarendo, spero, alcune problematiche e alcuni profili che forse finora non sono stati messi in adeguato rilievo. È una questione di enorme rilevanza per il rispetto dei diritti fondamentali, nel senso di quei diritti che sono costituzionalmente garantiti e occorre fare massima attenzione. Il primo punto che vorrei trattare riguarda il rapporto fra diritto d'asilo, inteso come diritto di accesso alla procedura e le cosiddette riammissioni in un altro Paese dell'Unione europea. C'è bisogno di distinguere due concetti che sono, purtroppo, spesso sovrapposti e ciò può portare a una grande confusione. Il primo è il diritto di accedere alla procedura di asilo, il secondo è l'individuazione del Paese competente per l'esame della domanda di asilo. Il diritto di presentare la domanda di asilo è un diritto fondamentale, tutelato dall'articolo 10, terzo comma della Costituzione che non può subire limitazioni o compressioni. Ricordo che anche Pag. 4 il diritto dell'Unione prevede che le autorità di un Paese dell'Unione europea siano sempre tenute a rispettare la manifestazione di volontà di un cittadino di un Paese terzo che intenda chiedere asilo nel territorio o alla frontiera. In tal senso sono chiarissime le disposizioni sia della direttiva 2013/32/UE, cosiddetta direttiva procedure, contenute negli articoli 3 e 9, e parimenti sono chiarissime le disposizioni del regolamento 604/2013, cioè il cosiddetto regolamento Dublino III, di cui cito in particolar modo l'articolo 3, paragrafo o 1 che recita «Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide sul territorio, compreso alla frontiera e nelle zone di transito». Dal momento della manifestazione di volontà di chiedere asilo, lo straniero va trattato sempre come un richiedente protezione internazionale e ciò comporta precisi obblighi da parte dello Stato, quali il dovere di collocare la persona in una struttura di accoglienza se è privo di mezzi (a tale proposito rinvio alla direttiva 2013/33) e di attivare la procedura per l'individuazione del Paese competente a esaminare la domanda se si ritiene che non sia quello in cui la domanda è stata in quel momento presentata. Le autorità hanno inoltre il dovere di informare il richiedente che questa procedura viene attivata (articolo 4 del regolamento) e il dovere di procedere a un colloquio in una lingua che il richiedente può comprendere e di consegnarne copia del relativo verbale. Solo una volta che l'autorità ritenga di avere accertato quale sia il Paese competente, se non è quello nel quale la domanda è stata presentata, si potrà procedere al trasferimento in un altro Paese. Naturalmente il richiedente – cito di nuovo l'articolo 27 del regolamento – «ha diritto a un ricorso effettivo avverso la decisione di trasferimento o a una revisione della medesima di fronte a un organo giurisdizionale». Quindi nessun trasferimento di un richiedente asilo da uno Stato all'altro dell'Unione europea può avvenire al di fuori delle garanzie previste dal regolamento e la più importante di tale garanzia – oltre a quelle procedurali di cui ho già fatto cenno – è quella contenuta nell'articolo 3, secondo paragrafo, del regolamento Dublino III. Il regolamento dispone che – cito testualmente – «qualora sussistano carenze sistemiche nella procedura di asilo o nelle condizioni di accoglienza dello Stato membro nel quale la persona verrebbe rinviata, questo rinvio non è possibile e la competenza si radica nel territorio del Paese in cui la domanda è stata fatta». Questo ci porta alla prima provvisoria conclusione, cioè che ogni trasferimento di un richiedente asilo verso un altro Stato dell'Unione europea non è mai automatico e non esistono Stati a priori considerati sicuri e altri che a priori non lo sono. Ogni trasferimento va valutato alla luce della situazione concreta sulla base di una procedura individuale che è specifica per ogni persona. La giurisprudenza sulla materia è sterminata, a partire dalla notissima sentenza della Corte europea del 2009 sulla causa MSS contro il Belgio e ricordo che anche l'Italia è stata interessata da questa giurisprudenza perché – come forse ricordate, ma per fortuna da qualche anno la situazione è un po' cambiata – l'Italia è stata ritenuta Paese dove sussistevano disfunzioni sistematiche in passato, tanto da impedire il trasferimento verso l'Italia di richiedenti asilo. In alcuni casi, la più nota è la sentenza Tarakhel contro la Svizzera, del 4 novembre 2014, in relazione al rinvio verso l'Italia. Il trasferimento di un richiedente asilo dunque avviene soltanto attraverso una procedura in cui la domanda di asilo è registrata e avviene sulla base delle garanzie previste dal regolamento. Non c'è spazio per eventuali ulteriori accordi fra gli Stati, perché questa materia è interamente assorbita dal regolamento di Dublino e non c'è una procedura diversa e alternativa a quella prevista dal regolamento. Qui viene in luce un grande equivoco che purtroppo si è generato sul tema dell'accordo bilaterale di riammissione firmato da Roma il 3 settembre 1996 – quindi un accordo di ben lunga data – tra l'Italia e la Slovenia. Questo accordo – non voglio approfondire questo tema, lo cito soltanto – è un accordo mai ratificato dal Parlamento, ai Pag. 5sensi dell'articolo 80 della Costituzione, quindi personalmente ne ritengo assai dubbia la vigenza in toto di un simile accordo. Ma anche ammettendo che essa sia in parte applicabile – e non è l'opinione di chi vi parla – in ogni caso questo accordo non può sostituirsi a una fonte normativa o prevedere modifiche o derogare alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell'Unione europea. L'unico spazio giuridico che riguarda il trasferimento di richiedenti asilo, ovvero di persone che manifestano la volontà di chiedere protezione da un Paese a un altro, è quello disciplinato dalla normativa che vi ho esposto. Sul rispetto di tali norme l'Italia, purtroppo, ha già avuto alcuni problemi, nel senso che la sentenza della CEDU (Corte europea dei diritti dell'uomo) Sharifi contro Italia e Grecia del 9 ottobre 2014 ha affrontato una tematica molto simile. La Corte ha ritenuto sussistente nei confronti dell'Italia la violazione del divieto di espulsioni collettive, quella del diritto del ricorso effettivo e quella dell'articolo 3, ovvero il divieto di rinvio verso territori in cui le persone possono essere esposte a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Perché? Proprio per l'applicazione di procedure non conformi alla normativa dell'Unione europea, in relazione alle riammissioni effettuate tra l'Italia e la Grecia. La Grecia a sua volta – questo rende particolarmente importante questa sentenza – ha rinviato queste persone fuori dall'Unione europea col meccanismo della riammissione a catena, impedendo loro di presentare la domanda di protezione, come aveva fatto l'Italia, senza il rispetto delle procedure corrette che vi avevo esposto. Si è trattato di un caso che oggi bene illumina la situazione del confine orientale. Si è spesso fatto riferimento – lo dico perché penso che anche questa non sia una notizia particolarmente nota, ovviamente più politica che giuridica, anzi decisamente non giuridica – alle riammissioni che si verificano da tempo sul confine italo-francese, notoriamente informali o comunque senza procedure. Devo richiamare il fatto che queste riammissioni sono assolutamente illegittime. Non trova soddisfazione chi ritiene che effettivamente non dovrebbero essere fatte dalla Francia verso l'Italia, ma ritiene legittime quelle effettuate dall'Italia verso la Slovenia, perché tra esse non c'è alcuna differenza. La giurisprudenza francese è stata chiarissima sul punto, ed in particolare la sentenza del Consiglio di Stato, settima Camera, della Repubblica di Francia dell'8 luglio 2020. La questione se sono possibili le riammissioni dei richiedenti asilo tra un Paese europeo e l'altro, senza una procedura di questo tipo che non si chiama riammissione, ma in attuazione di altre procedure, la risposta è sicuramente negativa. Il secondo punto che volevo trattare è la questione dell'informalità delle riammissioni e mi riferisco non solo ai richiedenti asilo, ma a qualunque cittadino straniero. L'articolo 6 di questo accordo – di dubbia vigenza – di riammissione del 1999, fa riferimento alle riammissioni senza formalità. Che cosa vuol dire «riammissione senza formalità»? È pacifico e ben comprensibile a chiunque che ogni decisione e ogni misura messa in atto dalla pubblica amministrazione che incida sui diritti di una persona – cittadino o straniero, ciò è del tutto irrilevante – sia che incida su interessi legittimi, ma tanto più se incide sui diritti soggettivi, non può non essere un'attività provvedimentale, ovvero un'attività che non è solo registrata negli atti della pubblica amministrazione, ma un provvedimento emesso, motivato in fatto e in diritto e notificato alla persona destinataria di quella misura. Si tratta di un fondamento basilare dello Stato di diritto, senza il quale vivremmo in una condizione di arbitrio. La misura può essere immediatamente esecutiva, questo è pacifico. Ci sono molti provvedimenti e misure immediatamente esecutive che possono assumere la forma di atti estremamente semplificati, ancorché sempre individuali e motivati, perché altrimenti si ricadrebbe nelle espulsioni collettive che sono vietate dal quarto protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea sui diritti dell'uomo. È evidente che il destinatario del provvedimento deve averne contezza, pena la violazione dell'articolo 24 della Costituzione che tutela il diritto della difesa, nonché dell'articolo 13 della Convenzione europea dei diritti Pag. 6 dell'uomo e dell'articolo 47 della Carta fondamentale dell'Unione europea. Inoltre, nell'ambito di un provvedimento che incide sulla libertà personale (e tale è l'accompagnamento coattivo alla frontiera), tale misura deve rispettare anche l'articolo 13 della Costituzione, ovvero va sottoposto a convalida da parte dell'autorità giudiziaria. Le riammissioni sono state variamente nominate: restituzioni, riconsegne, riammissioni informali e ne è stata negata la natura di atto che incide sulle libertà fondamentali. È stata persino negata la sussistenza della giurisdizione italiana – devo dire con un certo sconcerto – perché è evidente che la persona è rintracciata in Italia ed è evidente che si applica la giurisdizione italiana. Ciò che è del tutto evidente è che non è possibile derogare al rispetto dei diritti fondamentali in gioco, quali il diritto alla difesa, il diritto di accedere al diritto di asilo, il diritto di non essere rinviato in luoghi dove si potrebbe violare l'articolo 3 della CEDU. Quindi il fatto che non si tratti di un respingimento alla frontiera in senso stretto, in quanto siamo a una frontiera interna, non modifica la necessità del rispetto di queste garanzie, né toglie all'azione messa in atto dall'amministrazione – cioè l'accompagnamento coattivo in altro Stato – la natura di misura che incide sulla libertà personale, perché non esistono zone limbo nell'ordinamento giuridico. Anche a voler ritenere che in realtà non sia da considerarsi un accompagnamento coattivo alla frontiera – ripeto, tesi che io non condivido – è del tutto evidente che anche questa misura non può avvenire senza un provvedimento. È vero che la direttiva 115/2008/CE dell'allora Comunità europea sui rimpatri all'articolo 6, paragrafo 3, prevede la possibilità che uno Stato riammetta in un altro Stato dell'Unione un cittadino in posizione irregolare, senza emettere una decisione di rimpatrio che viene delegata allo Stato che dovrà eventualmente effettuare il rimpatrio, ma questo non esime lo Stato che effettua la riammissione – che si tratti dell'Italia, della Francia o della Slovenia – ad adottare una decisione di riammissione, attraverso un provvedimento che deve essere notificato alla persona e che, come tutti i provvedimenti, è soggetto a controllo. Non vedo quindi nessuna possibilità di individuare procedure informali, se non nel senso della speditezza delle stesse, della velocità, dell'estrema forma succinta dell'atto, ma non certo dell'assenza dell'atto, come purtroppo, però, è stato dichiarato anche in occasioni pubbliche e ufficiali, in sede parlamentare, cioè che l'atto della riammissione non c'è, come se fosse possibile attuare questa misura senza un'attività provvedimentale. L'ultimo punto che sollevo è la questione che trattata anche nell'audizione del prefetto Valenti in questo Comitato: la questione della riattivazione delle pattuglie miste di polizia tra Italia e Slovenia, nella zona di frontiera. Nelle dichiarazioni lo scopo sarebbe quello di contrastare il traffico internazionale di esseri umani, scopo in sé assolutamente condivisibile, ma lo strumento non sembra particolarmente idoneo, in quanto il contrasto al favoreggiamento è un'attività che dovrebbe essere attuata a livello transnazionale, semmai con accordi di intelligence, con scambi di dati, con inchieste congiunte, cioè con attività che hanno veramente poco a che fare con il pattugliamento fisico dell'area di frontiera vicino al confine. Il mero pattugliamento delle aree a immediato ridosso della frontiera italo-slovena – in territorio sloveno quasi sempre, quasi mai in territorio italiano – sembra rispondere a un'altra finalità, quella di intercettare i cittadini stranieri nelle immediate vicinanze della frontiera interna italo-slovena da parte slovena, al fine di impedirne l'attraversamento nella direzione dell'Italia. Se è questa la finalità di tale attività, realizzata con uomini e mezzi messi a disposizione dall'Italia, è pacifica la sussistenza di una responsabilità, non solo politica, ma anche giuridica, da parte del nostro Stato e dobbiamo capire bene se questo si presta a possibili rilievi. Voi sapete che l'articolo 19, comma 1, del Testo unico sull'immigrazione come è stato novellato dalla legge 173/2020, «proibisce tassativamente respingimenti ed espulsioni di una persona verso uno Stato quando esistono fondati motivi di ritenere che essa rischia di essere sottoposta a tortura o a trattamenti disumani Pag. 7o degradanti e nella valutazione di tali motivi si tiene conto, in tale Stato, della violazione sistematica dei diritti umani». È noto che la situazione dell'effettivo rispetto del diritto di asilo in Slovenia in questo periodo è quanto mai critica, le disfunzioni sulla procedura di asilo sono forti e sistemiche e soprattutto la Slovenia – su questo la documentazione internazionale è enorme – attua riammissioni sistematiche verso la Croazia, anch'esse in maniera informale, tra virgolette, impedendo la presentazione della domanda di asilo in Slovenia. Sono riammissioni non solo documentate, ma già vagliate dalla giurisprudenza slovena. Faccio riferimento alla sentenza 1490 del 16 luglio 2020 del tribunale amministrativo della Slovenia, sentenza attualmente in appello, che può essere accostata nelle conclusioni alla giurisprudenza francese che vi ho già citato, nonché di quella italiana, ovvero alla nota ordinanza del tribunale di Roma del 18 gennaio. In realtà non ci sono gli scostamenti fra queste giurisprudenze, in quanto tutte, compresa quella slovena ritengono illegittime, per plurime violazione del diritto dell'Unione, le riammissioni dei richiedenti asilo. In conclusione, io ritengo che in queste circostanze partecipare indirettamente con uomini e mezzi alla realizzazione di prassi di riammissione dei richiedenti asilo dalla Slovenia verso la Croazia e da lì con un meccanismo a catena – anch'esso documentato e tra l'altro con l'uso di violenze anch'esse documentate – verso la Bosnia, crei delle situazioni che non sono conformi al nostro ordinamento. Suggerisco, anche rispetto all'attività di vigilanza di questo Comitato, di assumere informazione precise – anche tramite un eventuale monitoraggio – su quali siano le concrete e specifiche modalità di attuazione di tali pattugliamenti misti, se ci saranno e quali precauzioni intende assumere il Governo italiano al fine di non partecipare di fatto a operazione di riammissione dalla Slovenia alla Croazia dei cittadini stranieri che, fermati dalle pattuglie miste in territorio sloveno – quindi con la partecipazione di uomini e mezzi italiani – poi verrebbero respinti in Croazia e poi in Bosnia attraverso il noto meccanismo a catena di cui ho illustrato i profili di violazione evidenti del diritto UE.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Schiavone. La parola ai parlamentari. Ha chiesto di intervenire il senatore De Falco.

  GREGORIO DE FALCO. Grazie, presidente. Intanto ringrazio il dottore Schiavone per la sua sinteticità. In poche parole, circa 15 minuti, ci ha fatto un quadro molto chiaro della situazione, sostanzialmente passando su tre punti, se ho ben capito. Riammissioni, informalità e pattuglie miste. Voglio riferirmi all'accordo del 1996, perché alcune cose mi sfuggono. Si tratta di un accordo non ratificato dal Parlamento, ai sensi dell'articolo 80, quindi non è da considerarsi un trattato internazionale. La natura giuridica di questo atto va indagata in maniera più approfondita, va verificato quale forza normativa abbia questo strumento, cioè se si tratta di un accordo. Poiché nel frattempo sono intervenute anche norme sovranazionali come la cosiddetta – chiamiamola così perché la conosciamo tutti così – Dublino III che è un regolamento, quindi ha forza cogente, immediata nell'ordinamento di ciascuno degli Stati membri. Allora dobbiamo chiederci, l'accordo del 1996 – l'articolo 6 menzionava anche l'informalità di cui lei parlava, dottore Schiavone, al secondo punto del suo intervento – se non è un trattato, ma è soltanto uno strumento di carattere di natura amministrativa, ha funzione e deve avere funzione operativa. Uno strumento normativo con funzione operativa non deve e non può derogare alcuna norma primaria, né sovranazionale. Le chiedo di approfondire questo aspetto e come sia possibile, particolarmente con riguardo dell'articolo 6 dove si parla di informalità. Questo accordo – come notava lei, dottor Schiavone – deroga non soltanto ai principi fondamentali, ma deroga alla normativa italiana sulla Legge 241/1990, cioè deroga tutto l'assetto del diritto amministrativo italiano. Non è dato un provvedimento se non sia scritto e motivato, ormai dal 1990, dovremmo essere abituati a questo, ma forse non vale per i non cittadini. Tutto questo si Pag. 8ricollega non soltanto alla rotta balcanica, ma anche a tutto quanto accade nel Mediterraneo, quando Frontex, IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) coordinano l'azione esecutiva delle motovedette libiche. In realtà stanno facendo che cosa? Altro se non un respingimento indiscriminato e preventivo, non dando nemmeno la possibilità del diritto di accesso alla domanda d'asilo. Questo è il senso, se ho ben capito. Sul tema delle pattuglie miste, dove stiamo mandando i nostri poliziotti? In territorio straniero a compiere atti illegittimi, è questo il sunto. Stiamo mandando la nostra polizia affianco alla polizia slovena che altrimenti sarebbe, per così dire, forse troppo permeabile, come se fosse una polizia disponibile in un territorio straniero. Torniamo alle origini. La nostra polizia giudiziaria intanto esercita le proprie attribuzioni in quanto le esercita sul territorio della Repubblica e non al di fuori. Questo è importante, perché non c'è accordino che tenga, non esiste senza una norma per lo meno primaria, questo sia chiaro. Quindi che cosa facciamo? Coinvolgiamo la responsabilità di un'istituzione italiana nelle responsabilità di un Paese straniero, quando la Slovenia restituisce, fa riammettere questa povera gente, questi migranti, verso la Croazia. Queste sono le domande che le voglio porre. L'unica obiezione che era stata fatta sino ad adesso era quello del respingimento tra l'Italia e la Francia, però la sentenza francese del settembre 2020 ci toglie qualunque velo di ipocrisia e ci lascia senza protezione. Non possiamo continuare a violare i nostri principi fondamentali, non il diritto di qualcun altro, perché questo è ciò che crea il nostro Paese. Sono principi costituzionali e sono i principi che costruiscono l'Unione europea, senza i quali l'Unione europea diventa un fortino chiuso, assediato e senza senso. Perché l'Unione europea nasce per essere invece inclusiva, non voglio dire solidale, ma per lo meno inclusiva, almeno sotto il profilo egoistico del commercio. Questo è il fallimento dell'Unione europea, oltre che il fallimento è l'abdicazione dal nostro grado di civiltà. Grazie.

  FRANCESCA GALIZIA. Grazie, presidente. Anch'io ringrazio il dottor Schiavone per essere qui oggi, tra l'altro in presenza che è una cosa ben gradita, perché tutti abbiamo vissuto un grande momento di difficoltà in cui non ci siamo potuti guardare negli occhi. Ho ascoltato con grande interesse il suo intervento. Come lei sa, oggi abbiamo avuto il Presidente Draghi in Aula sulla tematica delle migrazioni e devo dirle che il tema delle migrazioni torna nel Consiglio europeo solo perché l'Italia l'ha voluto fare presente. Abbiamo adesso il nuovo Patto sulla migrazione come tematica da portare avanti che presenta notevole criticità. Mi piacerebbe conoscere il suo punto di vista su questo tema compatibilmente con il tempo a disposizione o perlomeno avere qualche spunto. Credo che occorra fare una riflessione, perché oggi tutti i gruppi hanno puntato sul rafforzamento delle frontiere esterne, ma il Presidente Draghi su questo punto è stato abbastanza chiaro: ha detto che, in tema di migrazione, se si deve parlare di rafforzamento delle frontiere esterne, certamente non si deve parlare di respingimenti, ma di politiche più armonizzate in cui bisogna affrontare il tema migratorio come un tema strutturale, vanno quindi avviate politiche di cooperazione e di forti investimenti contro la tratta e di sostegno dei Paesi terzi, una serie di interventi di varia natura, anche come sostegno sanitario. Come lei sa, queste tematiche sono difficili da affrontare nella pratica. Volevo soffermarmi su una questione legata all'ultimo report di Save the Children relativa ai minori che attraversano la rotta balcanica, perché è emerso che ci siano state diverse violazioni dei diritti umani, come riportato anche nelle notizie di cronaca. Mi ha lasciato dubbiosa anche la circolare sul riconoscimento dei minori alla frontiera: a quanto pare il riconoscimento viene fatto a vista, nel senso che basterà guardarli per capire se sono minori o no. Temo che possano verificarsi mancati riconoscimenti di diritti. Come tutti sappiamo, per i minori – anche grazie alla legge Zampa – è prevista una maggiore tutela. Pag. 9Volevo chiederle cosa ne pensa a proposito. Grazie.

  CRISTIANO ZULIANI. Grazie, presidente, grazie, gentile ospite. Mi riallaccio a quello che ha detto la collega poc'anzi relativamente al Presidente Draghi che chiede – secondo me giustamente – dall'Unione europea soluzioni rapide e interventi più incisivi sui rimpatri. Ci sono timide prese di posizione di Paesi europei – tra cui fra l'altro i più piccoli, parliamo di Lituania e Lussemburgo – di cui risulta ridicola la proposta di accoglienza dei richiedenti asilo: per la Lituania dieci posti e per il Lussemburgo meno di dieci posti, situazioni che talvolta capitano in comuni in Italia vicini ai mille abitanti. Tornando alla questione dell'accordo bilaterale italo-slovena (del 3 settembre 1996), in Comitato Schengen c'è un dibattito in cui democraticamente ognuno è libero di interpretare o prendere una posizione, però di fronte a personaggi autorevoli e supportati da uffici legislativi ministeriali – parlo del prefetto Valenti, della Ministra Lamorgese – è stato appurato in sedute precedenti che non si configuri nessun conflitto con gli obblighi costituzionali e internazionali. Spesso in ambito politico, ma anche in ambito delle onlus, assistiamo a delle scene a mio modo di vedere raccapriccianti, perché vediamo spesso degli azzeccagarbugli che sostengono ipotesi pro immigrazione, ma che in realtà nascondono tutto il mondo. Lo vedo nella mia Verona – sono anche sindaco di un comune veronese – dove sono stati appena stilati tre bandi. Il ricollocamento degli attuali richiedenti asilo – attuali, non nuovi, poi vedremo se ne arriveranno ancora – di milioni e milioni di euro. Ci si trincera dietro le ONLUS, ma c'è tutto un mondo collaterale che difende la situazione di migranti, però a volte al proprio interno ci sono titolari di cooperative di società che hanno business legati all'immigrazione. Mi è capitato di vedere in una trasmissione televisiva un consigliere regionale che difendeva i migranti ed era nel contempo titolare di una società, di una cooperativa legata al business dell'immigrazione. Mi auguro che non sia il suo caso, perché immagino lei rivesta solo il ruolo di presidente del Consorzio italiano di solidarietà e di componente dell'ASGI. Spero che anche lei non abbia attività connesse – per carità, la legge non lo impedisce, sono consentite –, ma inopportune, perché comunque nasconderebbe un conflitto di interessi. Grazie.

  GIANFRANCO SCHIAVONE, presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati ONLUS e componente del direttivo nazionale dell'ASGI. Ho espresso valutazioni giuridiche e le confermo, a queste mi attengo e non ad altro. Rispetto ad altri interventi, ognuno si assume la responsabilità di ciò che dice e comunque ricordo che nella risposta al question time alla Camera presentata dall'onorevole Palazzotto il 13 gennaio 2021, la Ministra Lamorgese ha riconosciuto che non ci possono essere le riammissioni informali dei richiedenti asilo. Se sul punto ci fossero ancora dubbi dopo quella audizione, sarebbe importante andare a sondarlo nuovamente, ma così è stata formulata questa domanda ed è stata data questa risposta e non è un caso che da allora – più o meno il periodo coincide, tra il 13 e il 18 gennaio, momento dell'ordinanza del tribunale di Roma – le riammissioni sono cessate. Riguardo alle riflessioni del senatore De Falco che trovo molto condivisibili, io credo che a volte ciò che veramente mi fa pensare è questa sorta di fine delle procedure, quasi come se il problema fossero le procedure, la sostituzione del rigore della procedura con l'informalità, dove l'informalità non è l'informalità nei rapporti fra le persone e neanche nei rapporti politici, ma è l'informalità che non può esistere nei rapporti amministrativi, quella informalità – torno a ripetere – o l'articolo 6 di questo accordo che, come lei dice giustamente, non è una norma, è un accordo operativo che sottostà alle disposizioni. Una volta depurato da tutte le altre costruzioni, rimane un accordo operativo che, però, rispetta le disposizioni internazionali e che quella espressione senza formalità è da considerare illegittima o è da considerare legittima, dandone un'interpretazione che si debba intendere senza appesantimenti burocratici, con speditezza, con snellezza, ma non Pag. 10senza l'atto. Questo è ciò che mi sembra inammissibile, la natura di provvedimento è ineliminabile. Rispetto alle pattuglie miste, io mi pongo come lei le stesse questioni, gli stessi problemi. Noi nell'attuare queste pattuglie abbiamo una responsabilità diretta, bisogna rispondere alle domande di chi le invia, con quale mandato e con quale controllo, posto che sia possibile anche operare all'estero, ma è evidente che debba esserci una disposizione ad hoc per poterlo fare e non un provvedimento amministrativo per cui si invia la polizia italiana a operare al di fuori della Repubblica italiana. Per questo richiamavo la necessità di avere contezza molto precisa di cosa si stia parlando. Al momento non posso dire di più perché nulla è stato presentato e nulla si è letto, però i dubbi ci sono, sicuramente. Sul Patto europeo la nostra associazione di giuristi ha già scritto moltissimo, vi rinvio a quanto abbiamo scritto sul sito e quanto sicuramente faremo. Abbiamo una visione molto critica del Patto europeo, per moltissime ragioni, ma essenzialmente perché non affronta nessuno dei veri nodi che sono sul tappeto e in particolar modo il nodo fondamentale dell'armonizzazione sostanziale del sistema di asilo europeo su cui siamo molto indietro e della redistribuzione delle presenze. La riforma proposta dalla Commissione europea, a nostro avviso – qui non lo posso spiegare per brevità – in realtà non va nella direzione di avere un riequilibro delle presenze, quindi i famosi esempi dei dieci casi verso la Lituania sono perfettamente in linea con le proposte della Commissione, perché la Commissione lascia un'amplissima discrezionalità agli Stati rispetto alla possibilità, nella proposta di patto, di ricollocare o non ricollocare i richiedenti asilo e semmai, al posto del ricollocamento del richiedente asilo, il pagare Paesi terzi perché tengano i richiedenti asilo oppure pagare i rimpatri di cittadini stranieri che stanno in altri Paesi dell'Unione europea. Non è così che si attua la redistribuzione del richiedente asilo, ma non posso approfondire e chiudo invece sui minori. Come ci ricorda l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel rapporto presentato due giorni fa, metà dei rifugiati nel mondo sono minori. La rotta balcanica è piena di minori, quasi tutti gli arrivi anche in Italia corrispondono a persone che sono nella fascia d'età 16- 25 anni e nella fascia 17- 21 anni una gran parte di queste. Si tratta di persone che sono fuggite dai loro Paesi quando erano già minori o appena maggiorenni, quindi la questione dell'accertamento dell'età è fondamentale, così come il rispetto della legge Zampa. La legge Zampa all'articolo 5 – vado a memoria, ma potrei sbagliare – chiarisce che in caso di dubbio sull'età si devono disporre accertamenti medici, quindi il dubbio non può essere risolto con una decisione fatta senza disporre di elementi, quali appunto gli accertamenti medici. Purtroppo questo non è successo al confine triestino per molti mesi, dall'estate dello scorso anno e la fine dell'anno, quindi nessuno di noi può sapere se vi siano stati anche errori clamorosi in questa vicenda, proprio perché non sempre venivano disposti gli accertamenti sanitari in caso di dubbio, come prescrive la legge Zampa.

  TONY CHIKE IWOBI. Sarò molto sintetico, una domanda soltanto. Visti gli impedimenti di trasferimento agli altri Stati dei richiedenti asilo sancito dall'articolo 3 del Dublino III, al di là dell'accordo del 1996 che riguarda solo due Stati, visto anche che l'Italia a questo punto è rimasta isolata, lasciata sola a gestire il fenomeno crescente dell'immigrazione illegale, qui stiamo parlando di immigrazione illegale non di immigrazione in quanto tale. Sono due cose, due mondi diversi. Secondo lei, senza entrare profondamente nel merito, quale azione è giusto intraprendere per arginare questo fenomeno in continua crescita? Non chiedo la soluzione, ma per arginare un po' il fenomeno?

  ELENA TESTOR. Sarò brevissima, perché il collega Iwobi mi ha in parte anticipato. Stiamo parlando di immigrazione irregolare e anche le riammissioni sono previste per questo. Quindi non comprendo come mai si metta in discussione un accordo tra Italia e Slovenia e la collaborazione tra le forze dell'ordine, invece di Pag. 11cercare soluzioni per contrastare l'immigrazione irregolare in relazione alla quale – come diceva prima la collega – il Presidente Draghi, in questo momento, sta cercando di attivare politiche che facciano in modo che le persone non debbano emigrare dai loro Paesi, ma vengano aiutate a casa loro.

  CRISTIANO ZULIANI. Volevo sapere, dottore, se, oltre all'attività in ASGI, ha un'attività lavorativa collegata?

  PRESIDENTE. Io credo che non sia opportuno porre all'audito domande personali e relative ai suoi impieghi. Lei è già intervenuto e ha posto la questione, non credo che sia opportuno andare oltre.

  GIANFRANCO SCHIAVONE, presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati ONLUS e componente del direttivo nazionale dell'ASGI. Posso essere brevissimo, perché di fatto alle domande ho cercato già di rispondere, nel senso che qui parliamo dell'accesso alla procedura d'asilo da parte dello straniero che si presenta alla frontiera. Tutti i richiedenti asilo, o meglio circa il 95% dei richiedenti asilo, in Italia e nel mondo non hanno documenti e non hanno un'autorizzazione preventiva all'ingresso, perché la condizione di una persona che fugge da guerre, da persecuzioni è quella di fuggire come si trova. Per questo motivo, fin dai tempi della Convenzione di Ginevra, è stato chiarito che evidentemente non potrà essere sanzionato lo straniero richiedente asilo che si presenta – senza indugio dice la Convenzione – a chiedere protezione. Non parliamo di immigrazione irregolare, ma parliamo di persone che manifestano l'intenzione di chiedere protezione internazionale la cui domanda deve essere esaminata e alla quale deve essere data una risposta circa la fondatezza. La questione è qual è la procedura per accedere e per quale regione – le rispondo, ho cercato di dirlo prima – non è possibile che l'Italia non registri questa manifestazione di volontà e se ritiene che sia un altro il Paese competente a esaminare la domanda. La normativa esiste, è la normativa prevista dal diritto dell'Unione europea, si applica senza vuoti normativi. La riammissione non supplisce a un vuoto, l'accordo di riammissione del 1996 non può essere applicato in questa materia perché altra è la normativa che va applicata. Questo è il punto.

  PRESIDENTE. Grazie, dottore Schiavone. L'audizione è conclusa.

  La seduta termina alle 14.55.