XVIII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 27 novembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zoffili Eugenio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ATTUALITÀ DELL'ACCORDO DI SCHENGEN, NONCHÉ AL CONTROLLO E ALLA PREVENZIONE DELLE ATTIVITÀ TRANSNAZIONALI LEGATE AL TRAFFICO DI MIGRANTI E ALLA TRATTA DI PERSONE

Audizione del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho.
Zoffili Eugenio , Presidente ... 3 
Cafiero de Raho Federico , procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 3 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 10 
Ravetto Laura (FI)  ... 11 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 11 
Zuliani Cristiano  ... 11 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 12 
Galizia Francesca (M5S)  ... 12 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 13 
Silli Giorgio (Misto-C10VM)  ... 13 
Perconti Filippo Giuseppe (M5S)  ... 13 
De Falco Gregorio  ... 14 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 14 
Cafiero de Raho Federico , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 14 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 15 
Ravetto Laura (FI)  ... 15 
Cafiero de Raho Federico , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 15 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 15 
Cafiero de Raho Federico , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 16 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
EUGENIO ZOFFILI

  La seduta comincia alle 8.40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento all'attualità dell'accordo di Schengen, nonché al controllo e alla prevenzione delle attività transnazionali legate al traffico di migranti e alla tratta di persone, l'audizione del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho, che saluto e ringrazio per aver accettato l'invito di questo Comitato e a cui do la parola.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Grazie, presidente. L'audizione è finalizzata, almeno per la comunicazione che ne ho avuto, a conoscere i dati che riguardano l'accordo Schengen, le valutazioni che riguardano le mafie, in particolare la mafia nigeriana.
  Per quanto riguarda l'audizione odierna la Direzione nazionale ha predisposto una relazione per il Ministro della giustizia, che credo sia stato già audito in questa sede, e la predispose già nel settembre di quest'anno. Una copia la lascerei o, se preferite, ve la invio, perché quella che ho io è quella indirizzata al capo di gabinetto del Ministro della giustizia e riguarda proprio l'audizione del Ministro davanti a questo Comitato.
  Già in quella sede si evidenziava l'importanza dell'accordo Schengen, in linea generale come quell'accordo sia stato utilissimo per controllare le nostre frontiere e, al tempo stesso, per condividere i dati che riguardano la criminalità: sia mafiosa sia terroristica o qualunque altra forma di criminalità. I confini esterni dell'Europa rappresentano il varco presidiato. All'interno dell'Europa non c'è controllo nel passaggio tra una frontiera e l'altra, anche in considerazione della circostanza che i dati dovrebbero peraltro essere condivisi con riferimento alle persone. Devo dire che il sistema d'informazione Schengen, che viene attivato soprattutto alle frontiere, è anche tale da essere consultato dai vari Paesi, quindi avere conoscenza delle persone che hanno precedenti penali o che sono sottoposte a indagini, naturalmente ostensibili. Tutti i dati vengono inseriti nel sistema di informazione Schengen; sistema che, consultato e attivato dalle forze di polizia, è completato dall'altra forma di comunicazione SIRENE (Supplementary Information Request at the National Entries), il sistema informativo per agevolare la cooperazione giudiziaria e la collaborazione di polizia. Attraverso l'inserimento dei dati in questo sistema vengono immediatamente attivate le ricerche e trovano attuazione i provvedimenti che devono essere Pag. 4eseguiti. Un mandato di arresto europeo che viene inserito nel sistema SIRENE consente non solo di attivare ricerche ma anche di intervenire nei controlli in tutto lo spazio europeo. È un sistema che ha avuto anche momenti di sospensione. Le sospensioni sono state in tutto novantotto, da quando il sistema è entrato in funzione. Anche perché va sottolineato come ciascun Paese, per motivi di ordine e sicurezza pubblica (naturalmente devono essere motivi straordinari, eccezionali), può sospendere questo sistema attivando controlli. D'altro canto già il passaggio alle frontiere è distinto a seconda che si tratti di persone che appartengono ai Paesi europei o che provengano da altri Paesi.
  In modo molto sintetico, perché lascio la relazione, devo dire che proprio attraverso il sistema SIRENE si ha immediata conoscenza dei MAE. Altra modalità attraverso la quale si procede ad una stretta collaborazione e cooperazione è oggi, nell'ambito del contrasto alla criminalità, l'ordine di indagine europeo. Questo è l'ulteriore passaggio che si è creato proprio per abbattere le frontiere non solo nello spazio di collaborazione di polizia, ma anche nella materia della cooperazione giudiziaria. Prima di questo meccanismo la richiesta di atti da compiere in altri Paesi, e anche nei Paesi europei, avveniva attraverso la rogatoria. Sapete bene che la rogatoria è la richiesta che un'autorità giudiziaria di un Paese rivolge all'autorità giudiziaria di altro Paese. Attraverso la rogatoria vengono compiuti nel Paese estero gli atti giudiziari necessari. Pensate a un'intercettazione per esempio o anche a una testimonianza o a qualunque altro atto. Questo una volta avveniva anche attraverso il passaggio presso del Ministero della giustizia; oggi, attraverso sistemi molto più rapidi, anche in Paesi diversi dall'Europa, si può contestualmente, sulla base delle convenzioni bilaterali, inviare la rogatoria e, al tempo stesso, trasmettere una copia al Ministero giustizia che verifica – come prevede la legge – che quella richiesta al Paese estero sia conforme ai propri princìpi, quindi alle proprie leggi. In Europa il passaggio in avanti è avvenuto proprio con l'ordine di indagine europeo, che è un abbattimento delle frontiere anche dal punto di vista giudiziario. L'autorità giudiziaria nazionale invia una richiesta di indagine alla corrispondente autorità giudiziaria del Paese in cui quell'atto deve essere compiuto, e questo velocizza il rapporto, lo sviluppa in modo immediato, mettendo in contatto i soggetti giudiziari (per lo più procuratori della Repubblica) che sono interessati come richiedenti o come richiesti dell'esecuzione di un'attività giudiziaria.
  L'ulteriore passo in avanti è l'attuazione delle squadre investigative comuni, che rappresentano – direi – l'ulteriore proiezione di identità degli spazi. È come se ciascun Paese operasse in un unico grande Paese, senza frontiere, senza distinzioni di legislazione, senza distinzione di autorità giudiziarie e di polizia, perché nell'unica squadra si inseriscono esponenti della polizia giudiziaria di un Paese, esponenti della polizia giudiziaria di altro Paese, così come i magistrati delle procure dei diversi Paesi, quindi un unico gruppo che opera in Paesi diversi.
  La squadra investigativa comune rappresenta oggi il meccanismo più rapido, più immediato attraverso il quale svolgiamo indagini in Europa, e non solo in Europa. Nei Paesi balcanici, come l'Albania, sono numerose le squadre investigative comuni istituite. Nei Paesi europei oramai la squadra investigativa comune è diventata la modalità ordinaria attraverso la quale vengono sviluppate indagini nei confronti della criminalità transnazionale. E oggi la criminalità organizzata, per quanto riguarda le nostre (’ndrangheta, mafia, camorra, mafie pugliesi) sono tutte transnazionali e quindi, quando il contrasto si sviluppa nei loro confronti, è evidente che vengono utilizzate squadre investigative comuni. Non solo per queste ma anche per la criminalità nigeriana, alla quale fra poco farò riferimento.
  Devo sottolineare che, proprio in considerazione della transnazionalità della criminalità organizzata ’ndranghetista, mafiosa e camorrista, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo si fa promotrice di rapporti giudiziari di cooperazione con i vari Paesi, in modo da creare anche dei Pag. 5memorandum d'intesa che consentono di agevolare ancor di più i rapporti fra le procure distrettuali e le sezioni distrettuali antiterrorismo con le autorità giudiziarie, anche all'interno della stessa Europa laddove lo scambio informativo a volte è indispensabile e precede addirittura qualunque altra forma di cooperazione giudiziaria, anche quella rapidissima a cui ho fatto riferimento: l'ordine di indagine europeo. Pensate che soprattutto in materia di terrorismo la comunicazione telefonica fra magistrati è la modalità attraverso la quale le notizie urgenti vengono immediatamente passate, per lo più utilizzando il magistrato di collegamento che mette in contatto le autorità giudiziarie, le procure che appartengono ai vari Paesi. Atti di questo tipo (memorandum d'intesa) sono firmati con vari Paesi come il Brasile, l'Argentina, la Colombia, l'Ecuador, il Canada e diversi Paesi africani. Proprio in relazione ai Paesi africani c'è un'attenzione molto particolare in considerazione delle immigrazioni che hanno inondato il nostro Paese e alla riconducibilità alle immigrazioni di reati di tratta delle persone e sfruttamento a fini di prostituzione o a fini lavorativi. Reati di questo tipo vengono compiuti e portati avanti da organizzazioni transnazionali, anche africane. Fra queste quella nigeriana è l'organizzazione sicuramente più forte in questo momento. Ma, andando per ordine, devo sottolineare che le indagini che sono state sviluppate proprio in occasione del traffico di migranti dalle varie procure distrettuali, presso i cui territori sono avvenuti gli sbarchi, hanno consentito di accertare che il migrante diventa una vera e propria merce di scambio. Coloro che dall'Africa intendono raggiungere l'Europa pagano il loro prezzo e vengono accompagnati, almeno fino a poco tempo fa, quasi esclusivamente, se non prevalentemente, dalle organizzazioni sulle coste libiche. Ora è la Tunisia che sta aumentando la propria attività. Comunque quel che è stato accertato è che il migrante, in qualunque Paese dell'Africa si trovasse, entrava in contatto con le organizzazioni criminali del luogo. L'organizzazione criminale del luogo accompagnava poi il migrante in modo da fargli raggiungere le coste libiche. Parlo delle coste libiche, perché questo è il dato che è emerso proprio in quell'indagine, avendo potuto operare soprattutto su quel flusso di migranti: quello che arrivava alle coste libiche e dalle coste libiche raggiungeva il nostro Paese. Quindi il migrante, una volta raggiunto il nostro Paese, veniva sentito, venivano raccolte le sue dichiarazioni, attraverso le quali abbiamo potuto ricostruire questo percorso. Il migrante veniva accompagnato (naturalmente in gruppi di migranti) dal Paese di origine fino alla Libia, quindi fino alle coste laddove vi erano le organizzazioni che procedevano (e in parte ancora oggi procedono) a concentrare i migranti sulle coste.
  Il passaggio ha dimostrato l'esistenza di un legame fra le organizzazioni criminali che operano nei diversi Paesi dell'Africa. È evidente che, quando si parte dal centro dell'Africa, bisogna attraversare diversi Paesi e ciascun Paese ha la propria o le proprie organizzazioni criminali, che sostengono il percorso. È come se ci fosse un grande consorzio fra le organizzazioni criminali che operano in Africa, organizzazioni che sostengono il percorso del migrante, in qualche modo lo agevolano e lo proteggono fino alle coste libiche. È capitato che migranti, i quali avevano pagato un prezzo che non era stato ritenuto congruo, siano stati tenuti sulla costa in uno dei campi di concentramento – perché tali sono quelli che sono stati installati sulle coste libiche – con una richiesta rivolta ai familiari o comunque al territorio di provenienza di pagamento di una integrazione del prezzo. La richiesta partiva dalle coste libiche, dal luogo in cui era stato inserito il migrante e raggiungeva il Paese di origine, dove l'organizzazione criminale di quel Paese avvicinava familiari o altre persone che potevano pagare imponendo il pagamento dell'integrazione. Questo prezzo quindi tornava sulla costa. È evidente che un sistema di questo tipo rende ancora più preoccupante quello che avviene in quei Paesi, laddove il legame e l'accordo fra le organizzazioni criminali, oltre che rendere ancora più ampio lo spazio del commercio sul migrante, agevolano anche la finalizzazione Pag. 6 di alcuni trasferimenti di questo tipo a fini di tratta, a fini di sfruttamento della prostituzione o sfruttamento lavorativo.
  Esistono organizzazioni criminali capaci di accompagnare e tornare sul Paese, quindi di esercitare una costrizione finalizzata, in alcuni casi, al pagamento dell'integrazione del prezzo; in altri casi capaci di minacciare o usare violenza nei confronti dei familiari di coloro che sono arrivati sul nostro territorio. Quindi non ci meravigliamo che alcune organizzazioni, in particolare nigeriana, siano in grado di esercitare una intimidazione, e quindi una violenza, nei confronti dei familiari delle loro vittime. Al di là dei riti magici che costituiscono sicuramente un forte condizionamento della vittima, esistono delle intimidazioni rappresentate dall'eventuale conseguenza di sottrarsi alla costruzione del gruppo in cui la vittima della tratta è stata assoggettata. Ribellarsi al sistema della criminalità nel Paese di destinazione significa, per le vittime, mettere anche a rischio i familiari. Questo lo notiamo non solo per quanto riguarda la criminalità nigeriana, ma anche per quanto riguarda criminalità albanese.
  La criminalità nigeriana è oggi diventata la più forte, perché riesce ad avere articolazioni presenti quasi in tutte le regioni italiane e in tutti i Paesi dell'Europa; ha una proiezione nazionale e internazionale nel nostro Paese, con una base molto forte nel Paese di origine. Questo determina una sorta di occupazione dei territori in cui le organizzazioni nigeriane si pongono. Abbiamo le articolazioni della Black Axe, della Eiye e della Viking (una delle ultime che trovano operatività sul nostro territorio) che, al momento, non sembrano collegate tra loro, per quanto in uno dei casi più recenti, che ancora però sono oggetto di accertamento, possono evidenziare il medesimo vertice, pur operando in modo separato in territori diversi e anche in regioni diverse. Questo è il primo spiraglio che abbiamo di fronte all'ipotesi che esista una struttura verticistica unitaria al di sopra di coloro che operano sui singoli territori. Infatti la modalità operativa è talmente diffusa e molto spesso replicata nei vari territori, da far pensare logicamente a una sorta di unitarietà, che poi vada di volta in volta verificata nelle sue forme. Anche per la ’ndrangheta si era sempre pensato che avesse cosche totalmente autonome, ciascuna cosca con una propria proiezione, una propria attività, e poi nel 2010 con le indagini «Crimine infinito» di Milano e Reggio Calabria arriviamo ad individuare un organismo di vertice unitario, che ha compiti di disciplina e, nello stesso momento, di indirizzo generale. Non è cosa nostra con la commissione provinciale o regionale, ma è un insieme di cosche che, nei momenti in cui devono decidere determinate linee di indirizzo, si riuniscono tutte con i loro capi e decidono. Per esempio nel 1993, subito dopo le stragi di Capaci e di via d'Amelio, quando la ’ndrangheta venne invitata da cosa nostra a partecipare al piano stragista continentale, inizialmente manifestò il proprio consenso attraverso due capi di due cosche particolarmente forti, tradizionali, espositive delle cosche di Reggio centro e della tirrenica, successivamente però, per dare una adesione totale, si riuniscono tutti i capicosca a Nicotera e tutti insieme decidono cosa fare. In quel momento decidono di non proseguire nell'adesione al piano, che già aveva determinato il duplice omicidio di due carabinieri e due duplici tentati omicidi, peraltro con lo stesso mitra proprio per dare il segno che il piano era unitario, e decidono in modo «democratico»: tutti insieme decidono di non aderire più. Quindi si ritirano da quel piano. Pensate peraltro che, quando viene eletto l'organo di vertice unitario, detto il «crimine», all'elezione partecipano anche i capi o i rappresentanti delle cosche canadesi o di quelle australiane o di quelle che sono presenti in altri territori.
  Vi dico questo perché è evidente che, fino a quando non si è scoperto questo, si era stati per circa trent'anni del parere che non esistesse una ’ndrangheta unitaria. Invece c'è. In determinati momenti si riunisce. Questo stesso discorso, come mia esperienza, ve la porto per la mafia nigeriana, che oggi appare con una composizione di articolazioni separate, ma qualche piccolo segnale che ci siano delle unitarietà comincia Pag. 7 ad affiorare. Peraltro, anche logicamente, queste organizzazioni provengono dai cult, da associazioni di studenti, di volontari che si sono costituite in Nigeria, dove addirittura alcune di esse sono registrate. In Nigeria, se taluno costituisce o partecipa ad una associazione e non la registra, commette un reato grave che è passibile di una pena fino a sei anni, se non ricordo male. Quindi è un reato molto grave. Quindi già il non essere registrati consentirebbe di poter avere, nei confronti dei soggetti che operano in associazione, una condanna, indipendentemente dall'attività che svolgono.
  Al di là di questo, in Nigeria le registrazioni delle associazioni di studenti sostengono anche il potere politico e molte di esse sono vicine al potere politico, perciò è evidente che un ritorno nel Paese d'origine ce l'hanno, e ciò determina probabilmente la difficoltà di contrastarle nel Paese d'origine. Quelle associazioni si sono poi proiettate in Italia e in altri Paesi, dove hanno costituito delle articolazioni che operano come articolazioni criminali e che sono finalizzate allo sfruttamento sessuale, allo sfruttamento lavorativo, al traffico di sostanze stupefacenti. Il traffico di sostanze stupefacenti diventa la prima attività criminosa, ma ad essa si associa lo sfruttamento della prostituzione e lo sfruttamento del lavoro.
  Queste organizzazioni, indipendentemente dalla loro denominazione, si muovono con il metodo mafioso: con il metodo dell'intimidazione. L'intimidazione nasce da una violenza replicata in tutti i casi in cui vi è necessità di risolvere la questione non più con un accordo, ma utilizzando gli strumenti che tradizionalmente hanno usato le mafie: omicidi, lesioni, vere e proprie torture, sequestri di persona. Il metodo mafioso viene usato però nei confronti della loro stessa comunità. È difficile, almeno nella nostra esperienza ancora non si è verificato, che il metodo mafioso sia utilizzato all'esterno, nei confronti delle persone del territorio. Se operano a Torino il metodo mafioso non lo esplicano nei confronti dei torinesi ma nei confronti della comunità nigeriana. Ed è questo che contraddistingue la capacità della mafia nigeriana a tenere un controllo strettissimo nei confronti dei soggetti che appartengono alla loro comunità.
  Pensiamo anche al rapporto che hanno con le mafie autoctone. Se andiamo indietro nel tempo, ricordiamo che i primi insediamenti delle organizzazioni nigeriane le abbiamo a Castel Volturno, in provincia di Napoli, e su quel litorale, il litorale Domitio. È lì che quelle organizzazioni esercitano una forza di intimidazione pari alle organizzazioni camorriste, ma all'interno della comunità, perché sono costrette a sviluppare le attività criminose in un territorio che è già controllato da un'organizzazione forte (all'epoca il clan dei casalesi, che tuttora continua ad operare) che impone anche il pagamento di una tangente per poter svolgere le attività criminose. Quindi da un lato vi è una sorta di controllo dell'organizzazione locale; dall'altra vi è invece una operatività dell'organizzazione nigeriana sul territorio di Castel Volturno con il metodo mafioso, con il metodo dell'intimidazione.
  Peraltro, nel momento in cui l'organizzazione nigeriana con alcuni suoi esponenti aveva tentato di raggiungere un'indipendenza totale dal clan dei casalesi, ci fu una strage nel 1990 di diversi extracomunitari, con l'esplosione di colpi di kalashnikov ed altre armi automatiche, ancora una volta perché si desse il segno evidente che sul territorio a comandare era ancora e sempre il clan dei casalesi. Altrettanto è avvenuto a dicembre 2008, quando il clan dei casalesi con Giuseppe Setola sviluppò numerose azioni omicidiarie e anche due stragi proprio nei confronti degli extracomunitari (tra questi anche nigeriani), al fine di dimostrare che, nonostante il clan dei casalesi fosse stato colpito nei suoi vertici, nella sua organizzazione, sia militare che economica e imprenditoriale, continuava a comandare, quindi nessuno si poteva permettere di sottrarsi alle leggi della camorra.
  Diciamo però che, mentre sul litorale Domitio vi è questa operatività dell'organizzazione nigeriana in modo quasi dipendente nell'esercizio dell'attività dai clan camorristici, invece in Sicilia, cosa nostra, Pag. 8con il proprio passato stragista, consente che in alcuni quartieri della città le organizzazioni nigeriane operino svolgendo attività di spaccio di sostanze stupefacenti o anche consentendo l'esercizio della prostituzione. In Sicilia si nota, almeno dagli elementi che sono stati acquisiti attraverso le indagini, una sorta di coesistenza: l'organizzazione nigeriana sviluppa la propria attività criminosa nel cerchio territoriale ristretto di un quartiere o in un'entità territoriale ancora minore del quartiere, ma soltanto in quello; esercita poi la propria intimidazione nei confronti della comunità nigeriana, senza minacciare il potere mafioso. Cosa nostra consente, quindi, alla criminalità nigeriana di operare. È certamente una situazione anche questo oggetto di approfondimenti, anche perché ad una coesistenza sul piano paritario non ci crediamo in molti. Cosa nostra ha un'articolazione talmente ampia, forte, con proiezioni in tutto il territorio nazionale e all'estero, per cui ammettere in casa propria sul piano paritario la presenza di un'organizzazione straniera mi sembra poco plausibile. Però il fatto che non avvengano reati di sangue e che non ci siano scontri dimostra che un accordo c'è stato e, ancora una volta, che la strategia della sommersione che cosa nostra oramai ha adottato da anni finisce per consentire anche a organizzazioni come quella nigeriana di poter operare indisturbata, probabilmente anche sulla base di accordi conclusi.
  Le organizzazioni nigeriane sono però presenti un po’ in tutte le regioni e sul nostro territorio operano con le modalità che abbiamo menzionato poc'anzi. È soprattutto il traffico di stupefacenti quello che viene svolto da queste organizzazioni, le quali importano peraltro eroina soprattutto con il metodo a grappolo o per piccoli quantitativi che vengono posti, a volte, addirittura in zainetti e vengono trasportati per via aerea o attraverso navi, con viaggi di singoli soggetti che sono veri e propri vettori che trasportano a volte pochi chili in valigie, zainetti, a volte ingerendo ovuli anche in quantitativi notevoli. D'altro canto i sequestri ripetuti compiuti in vari aeroporti dimostra che questa è la loro modalità. Questo è un elemento che ci porta a pensare che effettivamente non ci sia un coordinamento unitario nel Paese, altrimenti si muoverebbero come fa la ’ndrangheta con importazioni anche di tonnellate nei container (è della settimana scorsa il sequestro di 1.200 chilogrammi di cocaina nel porto di Gioia Tauro). Il metodo è quello. La ’ndrangheta si è organizzata con delle reti che riescono a recuperare le importazioni di cocaina, vale a dire uomini che sono interni ai porti e, attraverso quegli uomini, riescono a ricevere i quantitativi che provengono dai Paesi produttori. Sono reti, dipendenti di cooperative portuali. Questo a Gioia Tauro, Amsterdam, Rotterdam, Anversa, Genova, Livorno... un po’ dappertutto. Quindi sulla nostra esperienza dobbiamo pensare che i nigeriani ancora si muovono in questo modo slegato e quindi con importazioni per piccoli quantitativi affidati a vettori che, di volta in volta, sono disponibili al trasporto.
  Circa le modalità per il contrasto, i metodi sono innanzitutto quelli delle indagini che solitamente utilizziamo nei confronti della criminalità mafiosa, quindi intercettazioni (telefoniche innanzitutto). I nigeriani ancora usano le comunicazioni telefoniche per comunicare tra loro, mentre invece ’ndrangheta e cosa nostra non le utilizzano più, quindi è ancora più difficile per loro. Con i nigeriani si riescono a intercettare le conversazioni e da quelle conversazioni si riescono a sviluppare indagini complesse. Quel che a volte manca è l'interprete: un soggetto che sia effettivamente capace di conoscere il dialetto che viene parlato. E là dove lo si riesce a trovare, spesso trattasi di soggetto che non svolge proprio il compito di traduttore, ma è persona che si presta e, per il corrispettivo che gli viene fornito secondo le tabelle dei consulenti, svolge quel compito. Quel compito a volte viene anche interrotto, perché costoro spesso, quando si accorgono che il contenuto di quelle conversazioni è grave, temono per la loro stessa incolumità e fanno comprendere come questa mafia (la nigeriana) sia di una violenza e di una capacità di penetrazione sui territori veramente straordinaria, oltre alla capacità di Pag. 9raggiungere i soggetti o, se non loro direttamente, i loro familiari. Ecco perché prima richiamavo la capacità che hanno le organizzazioni criminali di muoversi, comunicare, collegarsi e addirittura gestire insieme gli affari. L'affare del migrante è un affare che le organizzazioni criminali africane gestiscono assieme. È evidente che, se bisogna poi ritornare sul territorio o in altro territorio, per far ricadere una reazione, si ha l'appoggio non solo delle proprie organizzazioni corrispondenti sul territorio nigeriano, ma anche di quelle corrispondenti in altri territori proprio per la capacità che hanno le organizzazioni nigeriane e le diverse organizzazioni africane a muoversi e sviluppare la propria azione sull'intero globo terrestre. Si tratta di indagini di tipo tradizionale, per le quali vi è il problema a volte della traduzione dei testi.
  Sul problema delle vittime dei reati si tratta perlopiù di soggetti che entrano nel nostro territorio e non hanno permessi. Anche la norma prevista nel Testo unico sull'immigrazione che consente, nel caso di dichiarazioni collaborative, di avere dei permessi finalizzati a questo è particolarmente importante, ma questo permesso non si estende ai familiari, pertanto quando una vittima di gravissimi reati delle organizzazioni nigeriane rende dichiarazioni, si preoccupa della famiglia che ancora si trova nel Paese di origine. Qui interviene l'altro problema: come poter sostenere delle dichiarazioni collaborative nei confronti dei familiari, soprattutto quando si trovano all'estero. Possiamo esporci al punto da immaginare una protezione anche per i familiari che si trovano all'estero? Probabilmente andrebbe valutato il contenuto, anche perché è probabilmente indispensabile una collaborazione dall'interno, non solo delle vittime, ma anche di soggetti che operano all'interno delle organizzazioni, quindi occorrerebbe valutare la possibilità di applicare la nostra legge sui collaboratori di giustizia. Laddove non si tratti di collaboratori di giustizia, si tratti di vittime di reato, quali possibilità ulteriori? Questa è una problematica che è stata sollevata da diverse procure e anche su questo probabilmente bisognerà approfondire il tema per arrivare ad una soluzione, anche perché le vittime dei reati di sfruttamento della prostituzione sono donne che molto spesso vengono in modo insidioso invitate in determinati territori, anche su una base affettiva. Molto spesso vi è un rapporto affettivo che le lega a soggetti intranei all'organizzazione, e come un'insidia, finisce per travolgerle, poiché vengono immesse in determinati circuiti e poi costrette a esercitare la prostituzione. In casi come questi come riuscire a scoprire il reato? Qui il problema è anche quello dell'intervento delle nostre autorità, della nostra polizia, della nostra magistratura, un intervento sin dal momento in cui queste donne arrivano in Italia, sulle nostre coste. Quando arrivano, alcuni di loro sanno dove verranno portate, alcune di loro già sono state vendute e quindi sono consapevoli di quello che sarà il loro destino. Riuscire a svolgere un'opera di convincimento, riuscire fin dal primo momento, quando arrivano sulla nostra costa, a comprendere se effettivamente sono state già finalizzate a questo scopo o se invece sono altri gli scopi per cui sono arrivate sul nostro territorio sarebbe fondamentale. Questo determina comunque un ulteriore impegno che non è solo della polizia giudiziaria, è anche delle organizzazioni che accolgono per la prima volta questi soggetti. Quindi spingere il loro impegno anche oltre e pensare che si possa dare un'informazione, pensare che fermare lo sfruttamento di queste ragazze fin dal primo momento è un impegno fondamentale, perché attraverso – credo – l'impedimento di queste attività poi si destruttura anche l'organizzazione. Se riuscissimo a fermare le ragazze, non ci sarebbe più esercizio della prostituzione. È evidente questo. Mi rendo conto che è difficile, è uno sforzo che bisogna necessariamente compiere.
  L'altro aspetto importantissimo nel contrasto alle organizzazioni nigeriane è la cooperazione giudiziaria. Sotto questo profilo credo che in Italia siamo stati i primi a fare un passo enorme in avanti per rendere immediata la cooperazione giudiziaria con la magistrata di collegamento nigeriana, Pag. 10Hajara Yusuf, la quale fino al giugno del 2019 è stata impiegata presso la procura di Catania, presso la procura di Palermo, e da giugno 2019 è stabilmente presente presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, che ha convocato una riunione già nella scorsa estate di tutte le procure distrettuali, rappresentando che da quel momento avrebbero potuto utilizzare, per la cooperazione giudiziaria, la magistrata di collegamento nigeriana presente nel nostro territorio.
  Questo esempio di cooperazione è un esempio direi unico, perché in passato esisteva il magistrato di collegamento. Per la verità esiste il magistrato di collegamento, ma il magistrato di collegamento è il soggetto che collega un'autorità giudiziaria all'altra, quindi è un po’ un porta-informazione, un porta-rogatoria, un porta-richieste, ma in questo caso noi abbiamo un soggetto che è il magistrato di collegamento e ha conservato al tempo stesso le sue funzioni di procuratore generale, sostituto procuratore generale, comunque di soggetto inserito nella Procura nazionale nigeriana. Questo consente di far svolgere allo stesso magistrato i due compiti, perché associa da un lato il compito del collegamento, dall'altro il compito operativo attivo nell'ambito dell'ufficio di appartenenza, quindi non deve rivolgersi ad altri, ma si rivolge a se stessa o comunque all'entità dell'ufficio di cui fa parte. Si tratta di un passo in avanti straordinario, che, se si riuscisse ad applicare nel mondo, sarebbe veramente un'accelerazione senza precedenti.
  Attraverso questa magistrata vengono raccolte le richieste dei vari uffici; la magistrata parte per la Nigeria, raggiunge il proprio ufficio e svolge i compiti che, di volta in volta, le sono richiesti. Quindi ritorna e porta la risposta oppure fa partire l'indagine finalizzata a soddisfare le esigenze che di volta in volta si presentano. Devo dire che questo modello che l'Agenzia delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato e il traffico di droga ci ha consentito – perché la magistrata nigeriana è in Italia grazie al finanziamento, al sostegno economico delle Nazioni Unite – è un modello che si vuole replicare anche in altri territori. La prima nazione che ha da qualche mese preso ad operare con lo stesso metodo è proprio la Spagna. La Spagna peraltro ha problemi analoghi ai nostri, e, da quando c'è stata una restrizione negli arrivi, i migranti, oltre che in Italia, sono andati a sbarcare proprio sulle coste spagnole. Infatti è proprio sulle coste spagnole – come risulterà anche dalla relazione che la Direzione nazionale ha pubblicato a fine luglio, di cui avete copia – i flussi dei migranti si sono via via spostati, si sono ridotti in Italia e sono aumentati in altri Paesi. Fra questi proprio la Spagna è uno dei Paesi che ha accolto il maggior numero di migranti.
  Al momento mi fermerei, risponderei alle domande, mentre consegnerei la relazione.

  PRESIDENTE. Grazie. È preziosissimo il suo contributo al nostro Comitato. Da parte nostra ogni giorno cerchiamo di individuare, da deputati e senatori, il modo migliore, più concreto, più utile possibile per essere anche al suo fianco, ovviamente con altre competenze, per combattere e debellare questi fenomeni e per arrestare questi delinquenti.
  Il sogno e l'obiettivo è vedere un Comitato Schengen del futuro dove il futuro Procuratore antimafia possa arrivare e spiegarci che questi fenomeni nel nostro Paese, e anche negli altri, possano non esistere più. Le siamo veramente vicini.
  Lei può aiutarci a trovare la chiave per essere ancor più utili rispetto alla lotta di questi fenomeni. Per conto nostro cerchiamo di renderci concretamente utili, mantenendo rapporti anche con altri Stati come la Nigeria. Abbiamo approvato una missione anche in Algeria; siamo stati in Sardegna – come le dicevo prima di questa audizione – a studiare la rotta dall'Algeria. Cerchiamo di portare avanti azioni concrete, per quanto di nostra competenza. Il suo lavoro è veramente affascinante, Procuratore. Grazie di cuore, a lei e a tutti i suoi colleghi, a tutti gli uomini delle forze dell'ordine che lavorano con lei: un'eccellenza sul piano internazionale. Sentire queste cose, pensandoci fino in fondo, anche Pag. 11ripercorrendo la storia del nostro Paese, che è stata macchiata ed è ancora purtroppo macchiata da reati, da situazioni criminali legati alle mafie, fa indignare, ma la sua tenacia e la tenacia dei nostri uomini rassicurano sul fatto che si possa arrivare a porre fine a questi fenomeni criminali.
  Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.

  LAURA RAVETTO. Grazie presidente. Grazie, procuratore. Devo dire che in passato questo Comitato, anche in precedenti legislature, aveva ascoltato altri rappresentanti delle procure, ma credo mai in maniera così esplicita sia stata individuata o detto in modo così chiaro che c'è una presenza di organizzazioni criminali straniere organizzate sul nostro territorio, che – mi pare di capire – si articolano anche con le organizzazioni criminali straniere italiane. Questa è la mia prima domanda.
  Lei ci ha spiegato che la mafia nigeriana ha una rappresentanza articolata in ogni regione italiana, se ho capito bene, quindi non solo in Europa ma in ogni regione italiana, e ci ha parlato di connessioni con la criminalità italiana, soprattutto nell'ambito dello sfruttamento della prostituzione e del traffico di stupefacenti. La mia domanda è: può quindi ritenere che ci sia una collaborazione anche nella tratta degli esseri umani? Glielo chiedo perché questa è una domanda che ho fatto ad altri magistrati in passato. A me sembra strano che in un territorio come il nostro, purtroppo controllato, specialmente nelle aree di arrivo di certe regioni del Sud, dalla criminalità organizzata italiana, non ci sia una forma di collaborazione. Lei ci ha spiegato che ci sono dei passaggi da mafia a mafia, mi risulterebbe abbastanza strano non verificare lo stesso sistema quando approdano sul territorio italiano. Quindi la prima domanda per lei è: c'è anche un passaggio formale di questi migranti quando arrivano sul nostro territorio alle nostre organizzazioni criminali, che consentono l'arrivo sul nostro territorio e che quindi ne hanno un'utilità? C'è o non c'è una connessione?
  Lei ha parlato della testa di queste associazioni criminali; nella scorsa legislatura quando interrogai dei magistrati su questo tema mi dissero – e chiedo conferma a lei – che in realtà la testa non è tanto e soltanto in organizzazioni criminali africane, ma anche in organizzazioni dell'Est. Ce lo conferma anche lei o invece siete arrivati a ritenere che la testa sia nel territorio africano?
  Ultime domande, velocissime. Non mi è sfuggito che lei ci ha detto che attualmente c'è un'importante norma nel nostro ordinamento: quella dei permessi premio a coloro che collaborano nella denuncia delle organizzazioni; ci ha detto, inoltre, che c'è un problema rispetto alle parentele. Ha un suggerimento pratico da fare al Parlamento, nel senso di un'estensione di protezione (ma non capisco neanche bene come, perché lei ci ha parlato di parentele che sono nei Paesi di provenienza)? Ci ha anche detto che sarebbe importante, da come ho capito, che le organizzazioni che operano nei centri di accoglienza in qualche modo collaborassero alla denuncia di certe situazioni. Lei si è riferito allo sfruttamento della prostituzione, le chiedo: anche a questo proposito ha dei suggerimenti da darci? Ci sta dicendo che magari le organizzazioni presenti nei centri, come per esempio l'UNHCR, dovrebbero essere responsabilizzate con una forma di controllo, perché la polizia da giudiziaria da sola non può farlo? Anche in questo caso se ci sono suggerimenti sono ben accetti.
  Infine, non ci ha parlato della mafia cinese. Probabilmente non è totalmente attinente, nel senso che noi ci occupiamo di flussi migratori dall'Africa, però mi ha colpito quando ha detto che c'è un radicamento della mafia nigeriana: si può dire lo stesso addirittura della mafia cinese sul nostro territorio?

  PRESIDENTE. Quando abbiamo invitato il Procuratore, abbiamo circoscritto la tematica dell'audizione. È comunque un quesito interessante, onorevole Ravetto.

  CRISTIANO ZULIANI. Ringrazio anch'io il Procuratore per essere qui presente oggi. Sono molto soddisfatto della sua esposizione, che non pensavo fornisse un quadro della situazione così esaustivo. Pag. 12
  In merito all'ordine di lavori, presidente, per l'ennesima volta chiedo se vi sia la presenza di esponenti del gruppo del partito democratico, perché, se vi fosse un'assenza, sarebbe la terza seduta consecutiva nella quale il partito democratico fa registrare la propria assenza. Il partito democratico spesso accusa i parlamentari della Lega di strumentalizzare il tema dell'immigrazione ma, come già ribadito nella seduta precedente, mentre non sappiamo dove siano i loro esponenti, noi siamo qui a lavorare per tutti, insieme agli altri rappresentanti.
  Al Procuratore vorrei rivolgere la seguente domanda. Come ha esposto, le attività delle persone di nazionalità nigeriana, collegate a questo circuito mafioso, investono in altre attività (piccoli negozi, call center, parrucchieri, beauty center, affitto di case, discoteche, money transfer). Faccio parte della V Commissione bilancio del Senato e ho presentato un emendamento che prevedrebbe, se accolto, un'ulteriore tassazione sulle esportazioni attraverso il money transfer di denaro, con una quota a livello intra Europa, extra Europa con una quota superiore. Chiedo un suo parere, ai fini dell'attività investigativa capillare che c'è su più fronti, se potrebbe dare segnali a livello di intelligence, oltre quelli che già ci sono, insieme a quella nazionale, europea, un utilizzo della Guardia di finanza per una tracciabilità delle operazioni compiute da personaggi di origine nigeriana. Vorrei poi sapere quale sia, a livello nazionale, la situazione più difficoltosa sulla gestione della mafia nigeriana. Da veneto chiedo, in particolare nella mia regione, quale provincia risulti più problematica per la presenza di malavita nigeriana.

  PRESIDENTE. Senatore Zuliani, sull'ordine lavori avverto che dobbiamo terminare per le 10.05 massimo, per consentire ai colleghi deputati di poter raggiungere l'aula.
  Onorevole Galizia, prego.

  FRANCESCA GALIZIA. Grazie, presidente. Prima di tutto voglio ringraziare il Procuratore e complimentarmi con lui per la sua esauriente e puntuale relazione. Lo ringrazio perché ci ha dato degli elementi nuovi, molto interessanti, soprattutto sulla questione del controllo sulle famiglie di origine di queste donne che arrivano nel nostro Paese.
  Lei praticamente ci ha detto che, nonostante abbiano fatto un lunghissimo viaggio, quindi abbiano attraversato diversi Stati, il controllo sulla famiglia è molto forte e non viene mai perso, tanto da riuscire a recuperare addirittura somme di denaro, qualora non siano state pagate, direttamente dalla famiglia. Questo ovviamente dà un ulteriore elemento alle donne che sono vittime di questa tratta di comprendere quanto il controllo sulla famiglia sia forte, anche qualora dovessero arrivare in Italia. Non c'è mai libertà per queste donne, perché il controllo sulla famiglia è fortissimo. Questo è un elemento nuovo che noi non avevamo, perché eravamo legati più che altro ai riti voodoo, alle minacce sulla famiglia, ma effettivamente questo controllo reale così pragmatico e forte era un elemento che noi non avevamo.
  Si è parlato di una struttura verticistica dove si pensa che ci sia un'unica testa nell'organizzazione, io mi domando: questa testa, secondo lei, potrebbe essere in Africa dove c'è il controllo sulla famiglia o in un altro Stato europeo? E dato che il controllo sulla famiglia è così forte, si può intervenire nel Paese di origine per annientarlo, per rendere libere le donne che sono qui in Italia e negli altri Paesi europei? Se noi riuscissimo a smantellare il controllo sulla famiglia, riusciremmo a liberare le donne?
  Qui interviene un aspetto importante che lei oggi ha evidenziato: la collaborazione con la magistratura nigeriana. Noi abbiamo in Italia, grazie a un progetto delle Nazioni Unite sulla droga e criminalità, una magistrata nigeriana presente sul nostro territorio per collaborare con noi, mi domando: sarebbe utile andare anche noi in Nigeria? Visto che l'Italia ha un modello legislativo e anche operativo di eccellenza nel contrasto alla mafia, esportare il nostro modello, quindi intrecciarci sempre di più nella collaborazione, cercare di esportare Pag. 13in Nigeria il nostro modello che possa far fronte alla questione della mafia nigeriana sul loro territorio, potrebbe essere utile? Si combatte la mafia nigeriana su tanti fronti, in tanti Stati diversi, ma magari non arriviamo alla testa. Anche da noi in Italia non si è combattuta una guerra efficace finché non si è conosciuta l'organizzazione, se oggi abbiamo questa penetrazione e stiamo cominciando a capire che c'è un modus operandi che ricalca quello della mafia italiana, utilizziamo questa nostra competenza in quel Paese. Sarebbe possibile, secondo lei, avviare un discorso di questo genere?
  Nella relazione del Ministro Bonafede c'erano alcuni elementi di forte criticità legati all'operatività delle forze dell'ordine, legislativa e altro; come lei stesso ci ha indicato, c'è una forte problematica legata all'identificazione delle vittime e alla loro collaborazione, anche legata alle tutele mancanti da un punto di vista legislativo nei confronti sia di queste donne viste come testimoni di giustizia o come vittime, e a questo punto magari potremmo intervenire noi politici per legiferare su questo aspetto, perché manca una disciplina diretta a proteggere la vittima. Su questo da parte nostra ci potrebbe essere una collaborazione. Però c'è anche una questione legata all'esiguità delle risorse, sia in termini di mezzi che di uomini, da destinare alle indagini sulla tratta. Anche su questo dovremmo lavorare noi. Però io le domando: nel caso di Torino c'era la squadra speciale antitratta che si è occupata in un'indagine – «Athenaeum», se non ricordo male – in cui la polizia locale presso la procura di Torino ha svolto un ruolo essenziale. È un corpo specializzato che si occupa di tratta; questo modello potrebbe essere esportato presso altre procure italiane, come per esempio quella di Palermo che vive una situazione particolare legata alla mafia nigeriana? Potrebbe essere un modello da esportare anche a Castel Volturno per poter far fronte a questa problematica? Lei lo ritiene opportuno o conviene, piuttosto, investire non su un corpo speciale e mandare un referente su tutto il territorio nazionale?
  Per quanto riguarda le interpreti, ha delle indicazioni da fornirci?

  PRESIDENTE. Onorevole, mi dispiace interromperla, ma voglio dare spazio anche agli altri. Onorevole Silli.

  GIORGIO SILLI. Sarò velocissimo. Quello del Procuratore è stato un intervento illuminante. Mi associo al presidente che auspica un futuro Comitato Schengen, dove ci verrà a raccontare che certi fenomeni sono stati debellati.
  Signor Procuratore, lei capirà dal mio accento che provengo dalla zona di Prato. Ho trovato delle analogie tra certi comportamenti della mafia nigeriana che lei ci ha raccontato con quelli della mafia cinese. Io ho una sola domanda. Visto che le mafie straniere sul nostro territorio si comportano tutte più o meno nello stesso modo, di fatto taglieggiando e intimidendo i loro connazionali o comunque i non cittadini italiani, questo – come lei ci dice – ci fa ipotizzare una sorta di accordo trasversale o una sorta di accordo di non belligeranza tra le varie mafie: i cinesi si occupano di cinesi, i nigeriani di tratta degli esseri umani nigeriani, eccetera. Secondo lei questo è un equilibrio che può durare ad aeternam oppure a un certo punto, magari vedendo una debolezza delle nostre organizzazioni mafiose italiane, queste mafie straniere potrebbero essere solleticate dalla voglia di scavalcare l'accordo e cercare di intimidire i cittadini italiani o comunque sia i cittadini autoctoni? Questo equilibrio ha tutti i crismi per poter durare oppure si profila all'orizzonte una guerra non più tra mafie italiane ma una guerra, ancora più cruenta, fra tutte le mafie straniere sul nostro territorio?

  FILIPPO GIUSEPPE PERCONTI. Sarò molto sintetico. Ci sono delle tratte che privilegiano l'ingresso della mafia nigeriana e, se è in Italia, quali sono specificatamente? Anche se noi dalla relazione che ha portato abbiamo letto che si preferisce cambiare spesso tratta, per evitare di essere localizzati. Pag. 14
  Il radicarsi della mafia nigeriana in Italia è direttamente proporzionale alla crescita del fondamentalismo islamico, data la presenza di Boko Haram in Nigeria. Dalla relazione del Ministro Bonafede si evince che i proventi delle attività illecite vanno a foraggiare le organizzazioni criminali nigeriane, tra cui i foreign fighters. Questo dato è collegato alla diffusione del fondamentalismo islamico.
  Mi aggiungo anch'io ai complimenti per la relazione esaustiva.

  GREGORIO DE FALCO. Vorrei ringraziare e scusarmi con il Procuratore de Raho per il mio ritardo. Ho perso l'inizio della sua relazione, ma la parte che ho ascoltato è stata di estremo interesse. È chiaro che ogni approfondimento che la magistratura sta compiendo ci porterà a una sempre migliore conoscenza dei fenomeni e quindi alla possibilità di poterci dotare di mezzi di contrasto efficaci e adeguati.
  In particolare ha attirato la mia attenzione la circostanza che la mafia nigeriana, come una sorta di metastasi, si adatta a seconda dell'organismo in cui si innesta. Nelle zone del Casertano e del Napoletano ha assunto un atteggiamento che l'ha portata allo scontro con i Casalesi; differentemente (o forse differentemente) ha raggiunto degli accordi – questo è evidente, come diceva lei, dottor de Raho – in Sicilia. Mi chiedo se tutto questo possa ricondurre questo fenomeno ad unità. Si atteggia in maniera differente a seconda del territorio in cui si innesta, ma è comunque eventualmente riferibile ad una entità unitaria.
  Molto importante quello che lei ci dice sui due problemi che ha evidenziato, che credo siano significativi per tutti noi: la difficoltà di trovare traduttori, quindi di dare attuazione pratica alle attività di indagine e di investigazione classica che ancora si possono svolgere nei confronti di questi soggetti. In questo senso è l'altra questione connessa alla protezione dei collaboratori e delle vittime soprattutto della mafia nigeriana. Secondo lei questi due aspetti possono essere oggetto di risoluzione nell'ambito della collaborazione con l'autorità giudiziaria nigeriana? È possibile che la dottoressa Yusuf o la Procura generale nigeriana possano, analogamente a quello che facciamo noi qui con le vittime e con i collaboratori di giustizia, attuare un programma di protezione in Nigeria, anche su indicazione eventualmente italiana?
  In chiusura la ringrazio per la sua esaustività.

  PRESIDENTE. Abbiamo veramente pochi minuti per le risposte del Procuratore. Io non vorrei abusare della sua cortesia e disponibilità, ma interpreto anche i componenti del Comitato e i capigruppo: a mio avviso si rende necessario un ulteriore aggiornamento di questa audizione, quindi la inviteremo nuovamente, perché i quesiti emersi dai colleghi sono assolutamente interessanti e articolati. Le do la parola nel ricordare che sono iniziati in questo momento i lavori dell'Aula a Montecitorio, e sono previste votazioni. Prego.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. È veramente difficile rispondere di fronte a tante domande. Inizio col dire che la mafia cinese esiste come la mafia nigeriana. Della mafia cinese abbiamo indicazioni chiarissime in Toscana laddove il metodo è sul modello mafioso. Vi era addirittura il capocosca che veniva adorato come un dio, e davanti al luogo in cui permaneva si creavano file di autovetture, i cui conducenti scendevano soltanto per baciargli la mano. Poi vi erano tantissime attività: controllo dei locali notturni, le stesse attività economiche che venivano portate avanti tutte sotto il controllo della mafia cinese.
  Anche qui la proiezione è ancora una volta alla propria comunità. È nei confronti della comunità cinese che si svolgeva quella forza di intimidazione, quindi di controllo anche del settore in cui operava la stessa organizzazione mafiosa cinese. Devo precisare che l'orientamento giurisprudenziale è andato adeguandosi alle realtà mafiose presenti sul nostro territorio. Una volta la Corte di cassazione affermava che era ritenuta connotazione indispensabile per la configurazione dell'associazione mafiosa il territorio, quindi il controllo del territorio Pag. 15era un elemento in mancanza del quale non si poteva configurare un'associazione. Via via che si è andati avanti e ci si è accorti che vi sono organizzazioni che, pur utilizzando lo stesso metodo mafioso, non controllano il territorio, ma soltanto una parte dello stesso, come le comunità. La stessa giurisprudenza della Suprema Corte ha finito per valorizzare maggiormente gli elementi costitutivi dell'associazione mafiosa, vale a dire: intimidazione, assoggettamento e omertà. Questo è quello che contraddistingue l'associazione mafiosa, la distingue da un'associazione per delinquere ordinaria. L'articolo 416-bis enuncia i tre elementi i costitutivi del reato. Si è poi parlato di una «mafia silente» a proposito di una mafia che si occupa di un territorio ristrettissimo, anche quindi delle piccole mafie.
  Per la verità mi sento un po’ in difficoltà, perché vorrei rispondervi in modo esauriente, quindi la cosa migliore è risentirci di modo che ne parliamo con calma.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Ravetto.

  LAURA RAVETTO. La mafia italiana in qualche modo subentra nella circolazione della tratta dei migranti e ne trae degli utili? Sarebbe importante per me avere già oggi una risposta al mio quesito.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Le preciso che è vero che ho parlato di sfruttamento sessuale, ma quella è una finalità che le organizzazioni criminali tendono a conseguire; i comportamenti sono sussumibili nella fattispecie di tratta delle persone laddove si riescono a provare gli elementi costitutivi. Perché il più delle volte, anche nelle registrazioni dei procedimenti penali, negli uffici di procura si leggono tanti reati di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione? Perché è più agevole provarlo, mentre provare il reato di tratta è molto più difficile e complesso. È evidente che queste organizzazioni utilizzano quelle modalità mafiose per conseguire i vari sfruttamenti della persona a seconda delle attività che svolgono. In senso lato è sempre tratta delle persone. La questione è se si possa o meno configurare il reato così come descritto dalla norma, ma è evidente che il fenomeno è quello della tratta delle persone. Quindi tutto quello che avviene, avviene in quella cornice. Poi giuridicamente, per gli elementi che sono acquisiti, per la difficoltà di conseguire una prova piena, si preferisce perseguire una strada che è molto più agevole e molto più semplice, quindi troviamo, anche nelle iscrizioni, tantissimi procedimenti per associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento o al favoreggiamento della prostituzione, così come troviamo reati per lo sfruttamento lavorativo. Per la verità qui meno. Tutto va inserito in quella cornice.
  Per quanto riguarda i centri di accoglienza, dove venivano costituite delle strutture per l'accoglienza dei migranti è là che le mafie si inserivano, perché erano quelle che ancora una volta consentivano di intercettare i flussi della spesa pubblica e le mafie si orientano sempre verso i finanziamenti pubblici, verso la spesa pubblica. Laddove c'è possibilità di guadagno intervengono e, indirettamente o implicitamente, riescono a intimidire e quindi ad acquisire. A volte riescono anche a organizzarsi in modo molto più rapido, quindi sono i primi a rispondere e abbiamo avuto procedimenti penali nei quali soggetti contigui alle mafie o alla ’ndrangheta sono intervenuti mettendo a disposizione le strutture per i centri di accoglienza.
  Tutto questo finisce poi per essere più difficilmente provato laddove si vuole configurare anche quell'attività nell'ambito del programma criminoso dell'organizzazione mafiosa. Quindi a volte riconduciamo il soggetto a un'area mafiosa e non siamo in grado di sostenerne la contestazione. Ma è chiaro che, secondo anche le modalità che ordinariamente utilizza la mafia, la mafia aspira agli appalti pubblici, al finanziamento pubblico, alla spesa pubblica. Laddove ci sono elargizioni pubbliche le mafie trovano il quadro in cui inserirsi più facilmente.
  Io mi fermerei qui.

  PRESIDENTE. La ringrazio, Procuratore. Ci aggiorniamo per definire una nuova Pag. 16data. Proviamo entro la fine dell'anno perché i temi sono veramente importanti e urgenti, anche a fronte di tutti gli episodi che si verificano, anche legati ai flussi.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Se possibile, a quest'ora.

  PRESIDENTE. È rinviato il punto successivo di questo Comitato sulla relazione di Cagliari e l'ufficio di presidenza è convocato per una data da definire della prossima settimana.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.10.