XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 15 di Martedì 6 ottobre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Corda Emanuela , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL PROCESSO DI ATTUAZIONE DEL «REGIONALISMO DIFFERENZIATO» AI SENSI DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE:

Audizione, in videoconferenza, del presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.
Corda Emanuela , Presidente ... 3 
Bonaccini Stefano , presidente della regione Emilia-Romagna ... 3 
Corda Emanuela , Presidente ... 7 
Pella Roberto (FI)  ... 7 
Corda Emanuela , Presidente ... 8 
Rossini Emanuela (Misto-Min.Ling.)  ... 8 
Corda Emanuela , Presidente ... 9 
Piastra Carlo (LEGA)  ... 9 
Corda Emanuela , Presidente ... 9 
Abate Rosa Silvana  ... 9 
Corda Emanuela , Presidente ... 10 
Bonaccini Stefano , presidente della regione Emilia-Romagna ... 10 
Corda Emanuela , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
EMANUELA CORDA

  La seduta comincia alle 8.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, del presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul processo di attuazione del «regionalismo differenziato» ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, l'audizione, in videoconferenza, del Presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Ringrazio il presidente Bonaccini per la sua presenza e gli do immediatamente la parola per lo svolgimento della relazione. Prego, presidente.

  STEFANO BONACCINI, presidente della regione Emilia-Romagna. Ringrazio la Commissione per aver chiesto nuovamente la mia presenza.
  Sono già intervenuto in audizione in diverse Commissioni parlamentari in questi anni dopo che, come regione, avevamo chiesto, ai sensi del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, l'autonomia differenziata per le regioni a statuto ordinario.
  L'indagine ha attraversato, di fatto, più di una legislatura, stimolata dell'avvio concreto delle iniziative di più lungo corso delle regioni Veneto e Lombardia per una parte ed Emilia-Romagna per altra parte. Sapete che le proposte di autonomia non sono coincidenti. La Commissione non ha mancato di acquisire contributi qualificanti di diversa natura; ma poiché, in concreto, la richiesta di vedersi riconosciute ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, nella cornice istituzionale data dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, fa perno sull'iniziativa individuale e specifica della regione interessata- e sulla formulazione in prima istanza di una proposta al Governo – sono stati auditi, in più di un'occasione, sia i componenti dell'Esecutivo delegati agli affari regionali e alle autonomie (dal sottosegretario Bressa, la prima volta, alla Ministra Stefani, fino all'attuale Ministro Boccia), sia i presidenti delle giunte regionali che hanno dato avvio alle rispettive iniziative e, in particolare, credo che il numero più alto di audizioni le abbiamo svolte io, il presidente Zaia e i presidenti prima Maroni e poi Fontana.
  Va subito detto come l'audizione odierna si stia svolgendo in un frangente che vede l'Italia impegnata a fronteggiare una emergenza sanitaria, ma anche sociale ed economica, della quale, per la sua eccezionale gravità, non si rinvengono antecedenti nella storia repubblicana.
  Proprio questa straordinaria ed eccezionale situazione suggerisce, a mio avviso, riflessioni importanti e una nuova consapevolezza sul ruolo che il sistema delle regioni e delle autonomie nel suo complesso può e deve rivestire nel nostro ordinamento e nella concreta azione istituzionale e amministrativa.
  Anche da questo punto di vista ritengo davvero necessario che il Parlamento, il Governo e le istituzioni regionali assumano la responsabilità di iniziative che coniughino Pag. 4 gli interessi dei territori con le esigenze di visione strategica e unitaria del sistema Italia, alla prova di un passaggio di eccezionale complessità.
  Fatte queste premesse, ben si comprende come il percorso di autonomia e gli strumenti per garantire al contempo unità giuridica ed economica della nazione e differenziazione territoriale, debbano essere oggetto di un ulteriore sviluppo proprio in quanto possibili strumenti strategici di rilancio per l'Italia.
  Del resto, nessuna delle iniziative per l'acquisizione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia della Costituzione intraprese dalle regioni esprime esigenze meramente circoscritte ai propri confini territoriali, manifestando piuttosto l'esigenza comune a tutte le regioni di ricercare una nuova e più efficiente concezione del governo regionale medesimo. Certamente questo è il presupposto e questa è la natura dell'iniziativa della regione Emilia-Romagna.
  Ciò contribuisce peraltro a spiegare le ragioni per cui alle iniziative apripista di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna – pur differenti tra loro – abbiano fatto poi seguito quelle di numerose altre regioni a statuto ordinario. Fra queste ricordo Liguria, Piemonte, Basilicata, Lazio, Toscana, Umbria, Campania, sia pure a diversi gradi di elaborazione.
  Una convergenza ampia, dunque, che è stata non a caso ribadita e formalizzata, più di recente, dall'unanime consenso manifestato dai presidenti delle regioni e delle due province autonome sul disegno di legge per l'attuazione dell'autonomia differenziata proposto dall'attuale Ministro per gli affari regionali e le autonomie agli inizi di dicembre 2019.
  Non vi è dubbio che questa fase politica abbia portato una nuova centralità al tema del regionalismo, e con esso a quello del rafforzamento delle sedi della leale collaborazione, nodo ormai ineludibile per costruire nuovi e più efficaci meccanismi di codecisione fra livelli di governo. Tema oggetto, da ultimo, delle riflessioni e delle proposte presentate congiuntamente da tutte le regioni, sia a ordinamento ordinario che a ordinamento speciale, al Capo dello Stato, in occasione dell'incontro ufficiale dello scorso 4 agosto, presso il Quirinale, nel quadro degli eventi istituzionali svolti per il cinquantesimo anniversario delle prime elezioni delle regioni a statuto ordinario.
  Proprio nella prospettiva di un rinnovato patto fra Stato, regioni ed enti locali credo che debba essere collocato, in questa nuova fase, lo stesso percorso dell'autonomia differenziata.
  Se riteniamo che quello appena delineato sia il corretto inquadramento del tema, è giusto anche sottolineare le grandi difficoltà che la trattativa – se così posso definirla – fra regioni e Governo ha incontrato proprio nella fase più strutturata del confronto con i singoli dicasteri sul merito delle proposte, come testimoniato dalle audizioni dei loro vertici, tenutesi proprio in questa sede.
  Guardando a quella fase, non possiamo nasconderci l'emersione di forti resistenze, come pure di concreti snodi problematici che ora è giunto il tempo di affrontare pienamente e dirimere, riaprendo un confronto franco, diretto e il più possibile libero da prese di posizione ideologiche da ogni parte.
  A essere in gioco, infatti, non sono titoli astratti di competenze o rivendicazioni figlie di posizionamenti politici, ma politiche fondamentali per la vita di tutti i cittadini che riguardano interessi primari, come il governo del territorio, dalla sua tutela allo sviluppo, dalla rigenerazione urbana alla difesa dalle calamità naturali, dalla crescita alla tutela dell'occupazione. Per non dire della tutela della salute. Tutte politiche che corrispondono, nel dettato costituzionale e nell'equilibrio dei rapporti fra Stato e regioni, a titoli di competenza amministrativa e, soprattutto, legislativa, in alcuni casi concorrente fra lo Stato e le regioni e, in numerosi altri, esclusiva regionale.
  Né, d'altronde – sempre guardando a questa fase di confronto serrato – si è trovato consenso sull'aggiornamento dei meccanismi finanziari necessari per superare il criterio della spesa storica verso quello più avanzato dei cosiddetti «fabbisogni standard». Pag. 5
  Sullo sfondo si è posta come cruciale la questione della necessaria predeterminazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) come attività assolutamente propedeutica all'avvio di qualsivoglia processo di nuova regolamentazione delle competenze regionali, soprattutto se in termini di accrescimento e differenziazione.
  Questo tema si ripropone in termini ineludibili anche nell'attuale fase. Peraltro, in tutte le audizioni precedenti, anche con il Governo «giallo-verde», indicai questa come una conditio sine qua non per cercare di mettere tutte le regioni, anche quelle che non avessero mai chiesto nella propria storia, né che mai chiederanno, l'autonomia differenziata, nelle condizioni di avere la certezza della quantità di risorse che gli sarebbero state devolute dal Governo centrale.
  Bene si comprende allora come non siano potute maturare le condizioni politiche necessarie affinché si addivenisse quantomeno alla chiusura formale di quella prima fase, che secondo la Costituzione è necessaria per addivenire al riconoscimento di ulteriori forme di autonomia, ossia la sottoscrizione fra regione e Governo di un'intesa sui contenuti.
  Vale appena la pena di ricordare come proprio l'Emilia-Romagna abbia per prima sollevato questa questione, indicando in un percorso concludente di definizione dei LEP uno degli strumenti concreti per rispondere alle necessità poste e per sbloccare lo stallo che si era determinato.
  Parallelamente alla messa a fuoco di tali criticità sui connessi profili della tenuta del sistema di finanza pubblica e della prioritaria determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, iniziava ad affacciarsi con crescente evidenza la questione di quale ruolo assicurare al Parlamento rispetto alla definizione dei termini sostanziali delle richieste di autonomia differenziata, stante l'esiguità del dettato costituzionale sul punto.
  Il tema peraltro è noto: secondo la struttura del testo costituzionale, la legge che approva l'intesa tra lo Stato e la regione interessata è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti. Dunque, il Parlamento, in teoria, viene coinvolto nella formazione dell'atto solo successivamente all'intesa sottoscritta fra gli esecutivi e, secondo alcune ipotesi, senza avere lo strumento dell'emendabilità del testo, secondo il modello dell'intesa con le confessioni religiose. Questa opzione era stata, peraltro, posta a base delle già citate pre-intese del febbraio 2018, quando le firmammo con il Governo Gentiloni.
  Anche questa è una questione tutt'altro che puramente teorica, come confermato dall'attenzione posta su tale aspetto nel corso di questa stessa indagine conoscitiva. Diversi auditi in questa sede hanno evidenziato come il tema del regionalismo differenziato non possa prescindere, nelle determinazioni del legislatore statale, dalla preoccupazione per gli elementi di fragilità e disequilibrio fra aree della nazione. Da qui la richiesta di una contestualizzazione dei percorsi di autonomia differenziata entro un quadro di princìpi e norme di portata generale. Credo sia una preoccupazione non solo legittima, ma dal mio punto di vista anche giusta. Da qui anche la valutazione positiva espressa, a più riprese, dalla regione Emilia-Romagna per una legge cornice che metta in sicurezza, da un lato, le preoccupazioni e le concrete prerogative del Parlamento circa i limiti, i vincoli e la portata complessiva dell'operazione; dall'altro, proprio all'interno di tale cornice, assicuri l'esigibilità dei contenuti concretamente negoziati tra Governo e singola regione.
  Peraltro le regioni non sono presenti come istituzione nei due rami del Parlamento; inoltre i componenti che a maggioranza assoluta devono votare la concessione dell'autonomia differenziata alla singola regione previa intesa con il Governo, per la gran parte, non vivono nel territorio del quale si chiede l'autonomia differenziata.
  Opportunamente, ritengo, è proprio su questi due punti che si è concentrato l'approccio dell'Esecutivo in carica dal 5 settembre 2019.
  Quale scelta politica principale sul tema, il Governo ha da subito optato per la decisione di fondo di definire prioritariamente per via legislativa sia i princìpi sia il Pag. 6procedimento per addivenire al riconoscimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. In altri termini, e con il pieno consenso delle regioni, deve essere una cornice legislativa di natura generale a orientare il processo della stipula delle singole Intese.
  Compiuta questa scelta, è stato inevitabile sospendere temporaneamente l'iter del negoziato già in atto, stante che il perno della ipotizzata legge quadro dovrebbe essere proprio la definizione dei fabbisogni di spesa standard quali precondizioni per la definizione del costo e del successivo riparto delle risorse per il finanziamento di tutte le materie oggetto delle intese e nella definizione preventiva dei livelli essenziali delle prestazioni e degli obiettivi di servizio.
  Sapete che alcune regioni non hanno chiesto, come nel nostro caso, per esempio, tutte le ventitré materie; invece altre regioni hanno chiesto il numero totale di quelle previste dalla Costituzione. Quanto ai LEP in particolare, ribadisco la posizione che in questa sede – già prima che iniziasse a profilarsi l'idea di una legge quadro in materia – ho espresso nell'ultima audizione cui ho partecipato, il 6 giugno 2019. Mi riferisco all'esigenza che essi siano determinati in favore di tutte le regioni, indipendentemente dall'eventuale richiesta di differenziazione. In questo senso e a maggior ragione non posso che giudicare favorevolmente l'ipotesi di una disciplina legislativa di cornice che acceleri il processo, a patto naturalmente che si svolga con opportune garanzie temporali.
  Non vorrei trovarmi a terminare la mia seconda legislatura tra quattro anni e mezzo ed essere ancora al punto di partenza perché faremmo ridere il Paese intero.
  Per le stesse ragioni, non posso che esprimere contrarietà rispetto a soluzioni che vanifichino i progetti di differenziazione regionale.
  Tornando al nodo del ruolo del Parlamento e delle problematicità nascenti dall'essere confinato a valle dell'intero processo, la soluzione offerta dal disegno di legge appare piuttosto nitida, posto che proprio alle Camere verrebbe affidato il compito di approvare norme quadro preventive rispetto a ogni possibile sviluppo.
  Il disegno di legge quadro attuativo dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione, avendo come obiettivo le priorità sopra delineate, ma anche la definizione di meccanismi di governance particolarmente efficaci a presidio dell'intero percorso, ha trovato il pieno consenso delle regioni, anche in ragione della previsione di una tempistica certa e definita degli step da compiere, come pure dei soggetti e delle sedi a ciò deputate, destinati a intersecarsi senza bloccarlo con il parallelo procedimento di approvazione delle intese.
  Spiccano (o, per meglio dire, spiccavano) in tale prospettiva la previsione di una struttura commissariale dedicata specificatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, degli obiettivi di servizio e dei fabbisogni standard, cui si affiancherebbero una struttura tecnica di supporto presso la Conferenza delle regioni, nonché una struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri destinata a interloquire con il commissario.
  Un procedimento destinato comunque a concludersi in ogni caso entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge rinforzata di approvazione dell'intesa. Infatti, a questa data, anche in assenza dei decreti di definizione dei LEP, si sarebbe potuto comunque procedere sulla base delle risorse iscritte a carattere permanente nel bilancio dello Stato a legislazione vigente (articolo 1, comma 1, lettera d), del disegno di legge trasmesso all'approvazione del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2019).
  Come noto, lo schema di disegno di legge veniva incardinato ufficialmente nella seduta del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2019, in vista di una sua approvazione ovvero di una sua trasposizione nella sessione di bilancio.
  È altresì noto che l'iter ipotizzato si è rapidamente affievolito, nonostante il forte e unanime consenso delle regioni (si veda la conferenza straordinaria dell'11 dicembre dello scorso anno) lasciasse addirittura intravedere le premesse per andare oltre la risalente contrapposizione fra nord e sud Pag. 7del Paese e scongiurare, in tal modo, il paventato rischio di acuire il divario territoriale e innescare ulteriori lacerazioni nel tessuto sociale nazionale.
  Di lì a breve, in ogni caso, la dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria e il divampare della crisi pandemica ha comprensibilmente collocato in secondo piano il tema specifico dell'attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione.
  Per altro verso, tuttavia, il diverso manifestarsi dell'emergenza sanitaria sui territori e la corrispondente esigenza di risposte differenziate, nel contesto di una strategia necessariamente nazionale, ha indubbiamente costretto le istituzioni tutte a sviluppare tempestivamente una logica di reciproca complementarità dell'atto di reagire alla crisi e di gestire le mutevoli situazioni emergenziali imposte dalla stessa, manifestando, una volta di più, tanto l'attualità di consentire differenziazioni nell'autonomia, quanto la necessità di rafforzare le sedi di raccordo tra le regioni e tra queste e il Governo, secondo il dettato autentico della Carta costituzionale.
  La grave crisi sanitaria ha indubbiamente riproposto e continua a porre il tema di una forte innovazione nei meccanismi di codecisione, innanzitutto fra lo Stato e le regioni, posto che queste ultime sono titolari di competenze legislative anche su materie come la tutela della salute, la cui ricentralizzazione rischierebbe di danneggiare più che migliorare l'efficienza dei sistemi territoriali. Mi permetto anche in questa sede di sottolineare come proprio la gestione regionale della sanità abbia permesso all'Emilia-Romagna – tra le prime e le più colpite delle regioni – di fronteggiare in modo adeguato l'impatto del COVID-19.
  All'opposto, la pandemia ha evidenziato come proprio instaurando uno spirito collaborativo sia stato possibile offrire soluzioni salde ed efficaci, pienamente compatibili.
  Ricordo al di là di polemiche sui giornali, spesso scritte da chi non capisce nulla né di autonomia né di quello che è accaduto, che il 98 per cento delle centinaia di ordinanze delle regioni e delle province autonome italiane sono state giudicate dal Governo esattamente coincidenti con la natura dei vari decreti del Presidente del Consiglio dei ministri via via proposti.
  Il pericolo è oggi la ricerca di scorciatoie neocentraliste proprio quando le regioni e, fra queste, di certo, la regione che rappresento, hanno dimostrato pienamente di essere al centro della propria comunità territoriale e di poter assolvere efficacemente al ruolo di baricentro del sistema delle autonomie, per intercettare e guidare le dinamiche sociali, economiche e culturali del proprio territorio.
  Alla luce di questi rilievi è estremamente importante che il Governo, a maggior ragione in un quadro di perdurante crisi pandemica sanitaria, faccia emergere un indirizzo che, pur dovendo necessariamente rispondere a situazioni emergenziali, non perda di vista l'obiettivo di un più ambizioso piano di riforme istituzionali. Il tema dei rapporti e della collaborazione fra Stato e regioni è uno degli elementi fondanti del quadro istituzionale; la qual cosa richiede di costruire una forte traiettoria di sviluppo, cruciale al momento di definire la strategia per il piano nazionale di riforma e resilienza per il quale abbiamo chiesto un pieno coinvolgimento della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio, presidente. Adesso direi di far intervenire un parlamentare per gruppo. È iscritto a parlare l'onorevole Pella, prego.

  ROBERTO PELLA. Grazie, Presidente. Grazie anche a lei, presidente Bonaccini, per la schiettezza e la determinazione nel rivendicare le posizioni e le iniziative che le regioni hanno portato avanti, unitariamente su tanti fronti e, in particolare, sull'autonomia differenziata. Ha detto bene lei: questo tema è partito principalmente da due regioni, la Lombardia e il Veneto e poi ha seguito quella presieduta da lei che è l'Emilia-Romagna. Ho apprezzato il suo intervento per la determinazione e anche per la spinta che intende dare a questa Commissione e al Parlamento per giungere a una conclusione veloce. Alla luce di queste considerazioni vorrei porle tre domande. Pag. 8 Questa è la prima. Una settimana fa abbiamo audito, qui presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali, il Ministro Boccia chi ci ha illustrato i due articoli che comporranno il disegno di legge quadro sul regionalismo differenziato che sarà presentato al Parlamento, ma non abbiamo ricevuto risposta precisa sui tempi. Per questo chiedo a lei oggi in quale modo intendete, anche nella sua veste di Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, accelerare questo processo più volte iniziato e altrettante volte sospeso e con Governi differenti come lei giustamente ha evidenziato. Soprattutto voglio chiederle se pensate che i comuni possano avere un ruolo complementare nel perseguimento di questo obiettivo. La seconda domanda invece è sul tema della salute, specie se come spero faremo ricorso alle risorse del meccanismo europeo di stabilità (MES). Proprio per questa ragione chiedo se ritiene che vada ridiscussa la competenza, nel senso di avocare centralmente non solo i momenti di emergenza, ma anche la programmazione e gli investimenti oppure la discussione dovrebbe riguardare un ampliamento dei poteri di programmazione delle regioni in misura ancora maggiore?
  Infine, le chiedo come ritiene che questo si concili con l'esigenza di uniformare i trattamenti e garantire equo accesso alla cura e tutti i cittadini nel nostro Paese. C'è un'ultima questione connessa a questa domanda: proprio ieri l'Eurogruppo ha deciso di rivedere completamente la funzionalità e anche l'utilizzo del MES nella riunione del 30 novembre. Le chiedo se ritiene che sia opportuno che anche la Conferenza delle regioni e delle province autonome possa indicare al Ministro Gualtieri, in quanto sarà di competenza sua come Ministro dell'economia, alcune scelte strategiche non solo di indirizzo sull'utilizzo, ma anche proprio sul funzionamento stesso; speriamo che, finalmente, questa proposta del 30 novembre possa in qualche modo avere una capacità e un utilizzo migliore del MES soprattutto in considerazione del fatto che credo che queste saranno le uniche risorse che probabilmente arriveranno prima del secondo semestre del 2021 alla nostra nazione. Grazie ancora, presidente e soprattutto grazie anche – al di là della domanda che ho voluto formulare perché mi auguro di ricevere la risposta che aspetto- alla sua capacità di dialogare molto concretamente con i comuni perché sinceramente non tutti hanno questa capacità anche di riconoscere e di sapere creare squadra con i comuni stessi, grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola alla deputata Emanuela Rossini, prego.

  EMANUELA ROSSINI. Grazie presidente e grazie governatore Bonaccini per l'intervento nel quale abbiamo trovato conferma della lezione che abbiamo tutti imparato e che ci ha confermato anche nell'audizione il Ministro Boccia: l'intensa concertazione tra Stato e regioni avvenuta durante la pandemia ha rafforzato proprio la consapevolezza che le autonomie non disgregano il Paese, ma anzi lo rafforzano perché aumentano il livello di coordinamento. Partendo da qui, rimangono però alcune criticità da affrontare ovvero: in che modo rafforzare il regionalismo anche a livello di Stato, di lavoro del Parlamento? La prima domanda è questa. Da un lato abbiamo visto l'importanza del fatto che quando si riesce a concertare veramente, le politiche diventano più incisive e nella pandemia si è visto chiaramente. Però abbiamo visto il rischio che possano aumentare i conflitti pretestuali dettati da istanze più politiche. Pertanto le volevo chiedere quali sono dei correttivi o comunque delle misure che possiamo prendere per evitare questo in futuro, per evitare quindi che si possa giocare. La Conferenza Stato-regioni che evoluzione potrebbe avere andandosi a incontrare con una riforma del Parlamento? Il rischio potrebbe essere che se avvengono a diversi livelli le concertazioni con maggioranze politiche diverse in Parlamento, a livello regionale e nello Stato, entriamo in un triangolo delle Bermuda; quindi le chiedo in merito ad un correttivo.
  La seconda domanda riguarda le impugnative. Abbiamo visto che molte leggi regionali sono state accolte, però, come ci ha Pag. 9riferito anche il Ministro, molte delle impugnative da parte del Governo si sono poi rivelate inammissibili e quindi non valide. D'altra parte, anche le regioni nello stesso tempo non hanno ancora rispettato certi impegni. La domanda è la seguente: al fine di evitare costi e conflitti a volte pretestuosi attraverso le attività legislative regionali e le impugnative, si potrebbe pensare a una fase di pre-valutazione senza arrivare né all'impugnativa né a una legge regionale in chiaro conflitto con la Costituzione? Ho diversi casi in mente dove già si sapeva che la legge regionale sarebbe stata bocciata e tuttavia l'attività legislativa in certi momenti della vita politica sembra essere anch'essa uno strumento politico; quindi, in base alla sua esperienza, le chiedo se si possa fare una valutazione in modo tale da evitare che una regione arrivi ad approvare una legge quando già si sa che questa sarà inammissibile. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al deputato Piastra.

  CARLO PIASTRA. Grazie presidente. Come tutti sappiamo la strada per il raggiungimento dell'autonomia non semplice è stata bensì tortuosa, ma la ringrazio perché lei ha dimostrato la sua volontà politica di sostenere, in quanto presidente della regione Emilia-Romagna, i governatori della Lega in questa battaglia importante per chiedere più poteri allo Stato centrale. Ovviamente il tema è il fatto che gli enti locali più virtuosi devono avere la possibilità di gestirsi nella maniera più autonoma possibile. Partendo da quanto già svolto in termini di lavori e di accordi politici, le chiedo a che punto siano le trattative. Mi unisco al collega Pella che chiedeva le tempistiche di questi accordi e le chiedo se pensa che non sia opportuno pensare di intraprendere la strada di una nuova delegazione, per fare un ragionamento su un nuovo percorso con il Governo per trattare questo tema così importante. Le chiedo come pensa verranno salvaguardati gli enti locali e anche se nelle interlocuzioni con il Governo sia stata valutata, proprio in virtù anche di quello che ho detto prima, la possibilità di ragionare in merito alle singole materie di cui si chiede l'attribuzione della competenza esclusiva. Nelle lunghe trattative con il precedente Governo erano già state individuate abbastanza chiaramente, grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Do ora la parola alla senatrice Abate.

  ROSA SILVANA ABATE. Grazie, presidente. Grazie, presidente Bonaccini. L'ho ascoltata con molta attenzione, lei ha tratteggiato il percorso delle autonomie in modo preciso e puntuale; d'altronde i tempi, interrotti anche dalla pandemia come lei ricordava, sono necessari perché si sta parlando di una riforma importante. Se riforma ci deve essere, e presumo ci sarà perché sicuramente la storia o il momento storico lo richiedono, deve essere una riforma apportata nel modo definitivo e più preciso possibile.
  Mi permettano gli altri presidenti di dire che io l'ho sempre individuata come una figura di mediazione in questo percorso di richiesta di autonomia. Lei ancora stamattina ha parlato di autonomia nel rispetto dell'articolo 116 della Costituzione, e ha fatto delle riflessioni reali rispetto a come una regione possa gestire una situazione anche di emergenza come quella che abbiamo vissuto in occasione di questa eccezionale situazione, legata alla diffusione del Covid-19. È proprio su questo punto che vorrei innescare una riflessione.
  Lei ha detto che in questa circostanza si è potuto constatare come in alcune regioni tra cui la sua – e io non ho motivo di contraddirla – ci sia stata questa precisa, puntuale responsabilità da parte del presidente di emanare ordinanze che si sono poi rivelate il più possibile nel solco dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Però così non è avvenuto in altre regioni e potrebbe non avvenire successivamente, anche nella sua regione. Io chiedo, insieme al collega Pella, poiché ci sono delle materie che sono di estrema importanza che investono non solo la storia o la vita di una regione, ma vanno oltre i confini – mi riferisco alla sanità, ma anche all'ambiente e all'istruzione – di trovare un sistema, un Pag. 10meccanismo per il quale in occasione di particolari situazioni straordinarie come quella della pandemia – ma che potrebbero essere altre, perché in un sistema planetario come quello in cui viviamo ormai niente più può essere escluso – determinati poteri possano tornare al Governo centrale con il sistema dell'avocazione oppure con altri sistemi che esperti o che gli stessi presidenti delle regioni potrebbero poi individuare. Questo per fare in modo che le direttive e tutto ciò che viene stabilito possano essere estese a tutto il territorio nazionale, senza creare fratture, ritardi, conflitti di attribuzione e quindi le relative impugnazioni avanti ai tribunali amministrativi regionali da parte delle regioni. La materia è estremamente delicata, perché concedere un'autonomia una regione non significa creare uno Stato a sé, ma significa creare una nuova prospettiva di un'autonomia che deve essere però sempre – come accennava lei – un rafforzamento dell'unità.
  Quindi io chiedo se questa soluzione oppure altre potrebbero essere accettate e approfondite da lei. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Se nessun altro desidera interviene, do la parola al presidente Bonaccini per la replica. Prego, presidente.

  STEFANO BONACCINI, presidente della regione Emilia-Romagna. Proverò a dare una risposta in pochi minuti perché devo scendere in Assemblea legislativa che è convocata oggi dalla mia regione. Provo a dare una risposta complessiva partendo da un dato: stiamo lavorando bene con il Ministro Boccia ed è un fatto noto, l'ho dichiarato più volte, e io, nella veste di Presidente della conferenza delle regioni e delle province autonome avevo lavorato molto bene anche con la Ministra Erika Stefani. Abbiamo lavorato perché in tempi relativamente stretti si possa addivenire anche in Consiglio dei ministri all'adozione di quella cornice quadro nella quale poi innestare il percorso di accelerazione per l'autonomia differenziata concessa – se tutto andrà bene nel percorso che la stessa Costituzione prevede – alle regioni, ad esempio, che per prime l'hanno richiesta. Penso in primo luogo a Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Quindi io mi aspetto – anche se non sono il Governo – un'accelerazione da questo punto di vista. Anche tenuto conto, come ho detto, del fatto che di fronte alla pandemia che stiamo vivendo, non avremmo potuto mettere il tema dell'autonomia davanti all'emergenza sanitaria. Però il percorso, la discussione è comunque andata avanti in questi mesi, in queste settimane. Ripeto, mi aspetto che nelle prossime settimane ci sarà un'accelerazione di tutto il percorso. Peraltro questo ho chiesto anche a nome degli altri miei colleghi presidenti, al Ministro Boccia e credo, conoscendolo, che manterrà fede agli impegni presi. Nell'ambito di quegli impegni, come sapete, il punto sul quale non era stato possibile trovare una mediazione con il Governo «giallo-verde» che credo si potrà invece trovare con il Governo «giallo-rosso», è stato, da un lato, quello relativo al coinvolgimento del Parlamento. Perché, come dicevo già prima, io stesso troverei curioso che un accordo tra Governo e singola regione che chiede l'autonomia venisse stravolto dal Parlamento, non essendo presente la regione stessa. Però troverei anche poco educato che il Parlamento non potesse entrare nel merito della questione, quando la gran parte di coloro che dovrà votare e concedere – mi auguro – alla mia regione, come alle altre, questa autonomia differenziata con un voto a maggioranza qualificata addirittura delle due Camere, non è emiliano-romagnola. Quindi concedere una cosa così importante, persino storica, è in realtà scritto nella Costituzione. A tutti quelli che mi ricordano che abbiamo la Costituzione più bella del mondo e poi mi criticano perché abbiamo chiesto l'autonomia differenziata, dico che non facciamo altro che seguire pedissequamente il percorso che la Costituzione più bella del mondo prevede, seppure mai attuato, perché mai richiesto da singole regioni come invece sta accadendo in questi ultimi anni.
  Dunque da un lato c'è il coinvolgimento del Parlamento, dall'altro c'è la definizione Pag. 11che io – inascoltato nella legislatura precedente – continuavo ad ogni audizione parlamentare a chiedere. Ci sono i testi trascritti. Cioè avere attenzione ai livelli essenziali di prestazione, così come ai fabbisogni standard perché ritenevo – e credo su questo oggi se ne comprenda meglio la ragione – che se avessimo voluto evitare uno scontro tra diverse aree territoriali del Paese, in particolare tra nord e sud, tra aree ritenute più forti e aree ritenute più deboli in ragione del fatto che il timore di chi si sente un po' più debole andasse nella direzione di rafforzare ulteriormente quelli «più forti» – per togliere di mezzo questa discussione che rischierebbe di diventare più ideologica che concreta – io stesso mi sono sempre definito italiano prima che emiliano-romagnolo – è evidente che è necessario dare garanzie di omogeneità e certezza delle risorse che devono essere definite per ciò che lo Stato consegna alle singole regioni. Questo indipendentemente persino dalla richiesta di autonomia differenziata, che, è vero, tante regioni hanno cominciato a chiedere, ma è pur vero che altre regioni non hanno mai chiesto e forse non chiederanno mai.
  Da questo punto di vista il coinvolgimento dei territori- per rispondere alla richiesta dell'onorevole Pella e di altri – credo sia giusto. In questo ho un vantaggio, perché da tempi lontani, per merito di chi c'era prima di me, l'Emilia Romagna è una regione che non gestisce, ma programma. La gestione delle politiche che la regione programma è demandata alle province e soprattutto ai comuni. Vorrei ricordare – l'ho già detto tante volte – che la stessa richiesta di autonomia differenziata che la regione Emilia Romagna portò al Governo Gentiloni, all'allora sottosegretario Bressa – fu non condivisa (attenzione alle mie parole) ma scritta parola per parola dal sottoscritto a nome della giunta regionale, insieme a tutte le parti sociali della mia regione. Sindacati, associazioni economiche, le Camere di commercio, addirittura il forum del terzo settore, i sindaci dei comuni capoluogo, i presidenti delle province a nome di tutti gli altri sindaci. Per dire che l'abbiamo voluta condividere come sistema regionale, proprio in ragione di una svolta che era storica e che al di là di legittime preoccupazioni prefigurava un percorso che andasse – nel nostro caso a differenza di altri – a chiedere un'autonomia che, peraltro, non chiede tutte le ventitré materie, ma circa la metà di esse. Per fare un esempio di avere la promozione del turismo all'estero non mi interessa, poiché è l'Italia che si deve promuovere nel mondo, non certo la singola regione. Di chiedere le politiche energetiche non mi interessa, perché un Paese che non ha una politica energetica nazionale è evidente che non può andare a trattare nelle sedi dove, non avendo noi materie prime, deve concordare come «ottenere energia». Così come sulla scuola noi abbiamo una richiesta di autonomia che è molto differente da quella – peraltro legittima – di Lombardia e Veneto. Noi non vogliamo che gli insegnanti dipendano dalle regioni perché non crediamo a venti scuole regionali, la scuola deve essere una e nazionale. Al tempo stesso però pretendiamo – in quella piccola parte di richiesta sulla scuola – che sia la regione, d'intesa con l'ufficio scolastico regionale, ad esempio a determinare quale sia il fabbisogno di insegnanti, la dotazione. Noi non vogliamo però un neocentralismo nazionale. Ho fatto prima l'esempio della sanità, voglio spiegarlo. È necessario che vi sia un sistema sanitario nazionale, è necessario che vi siano programmazioni, dotazioni finanziarie e decisioni che siano in capo a un Paese, ci mancherebbe altro. Ma la gestione della sanità, avete visto che è demandata alle regioni. Io posso parlare per la mia, non mi permetto di giudicare i miei colleghi. Ma come avrebbe fatto l'Italia – primo Paese occidentale, prima democrazia del mondo dopo l'esperienza cinese travolta dalla pandemia – a diventare oggi uno dei Paesi più sicuri al mondo? Pur dovendo noi stare molto attenti a quello che sta accadendo, perché il virus circola. Abbiamo Paesi di fianco a noi, in Europa, che hanno, due, tre, quattro, cinque, sei volte il numero dei contagi quotidiani che abbiamo noi. Il virus circola e non possiamo dirci ancora vittoriosi finché non avremo il vaccino che sconfiggerà il SARS- Pag. 12CoV-2. Ma certamente – poiché le cose non capitano mai per caso – se siamo passati dall'essere il Paese più drammaticamente colpito a essere uno dei Paesi più sicuri al mondo, vuol dire che a differenza di altri Paesi nei quali chi governa ha persino negato l'esistenza del coronavirus, qui ha funzionato il rapporto tra lo Stato centrale e le regioni. Da questo punto di vista segnalo che le ordinanze regionali impugnate dal Governo si contano sulle dita di una mano, forse anche meno. Sono state centinaia le ordinanze scritte dalle regioni e ad ogni il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la Conferenza delle regioni delle province autonome ha dato alla fine di una discussione – a volte anche robusta, a volte anche notturna – sempre l'unanimità del parere, vuoi dire che se le eccezioni si contano sulle dita di una mano su centinaia di ordinanze, l'eccezione conferma la regola. Dunque abbiamo avuto un rapporto molto lineare. Poi ognuno di noi ha la propria personalità, la propria esigenza, a volte persino sbagliata di visibilità. Questo sta nella natura del dibattito politico e istituzionale, ma certamente se guardo i fatti e non le parole, questi dicono che abbiamo sempre condiviso i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che si sono susseguiti e fino ad oggi le centinaia di ordinanze delle regioni hanno corrisposto esattamente alla natura dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. In qualche caso, come la natura umana prevede, può succedere che qualcosa non sia stato condiviso e ci sia stata l'impugnativa, ma, ripeto, è davvero l'eccezione che conferma la regola.
  Da questo punto di vista penso che dobbiamo continuare a gestire la pandemia in questo modo. Prima dicevo «attenti al neocentralismo nazionale». Ad esempio credo che pur sostenendo che serve un sistema sanitario nazionale ancora più robusto, la mia opinione personale – prendetela come opinione personale, non voglio aprire qui un dibattito o una polemica politica – è da sempre quella, e la testimonianza è quello che sta accadendo, che chi se l'è cavata meglio nel mondo è chi ha un sistema sanitario pubblico di un certo livello. Tra le regioni se la sta cavando meglio chi ha un sistema sanitario pubblico che sia anche territoriale. Allora se dobbiamo andare nella direzione di rafforzarlo, perché abbiamo visto che le categorie più fragili – penso agli anziani, ai disabili – hanno bisogno di essere assistite non solo negli ospedali, servono risorse. Ad esempio, in Emilia Romagna abbiamo più di un centinaio di case della salute che sono una via di metto tra la propria abitazione e l'ospedale pubblico. L'assistenza domiciliare in questo Paese credo curi il quattro per cento delle persone, come ricorda spesso il Ministro Speranza. La media dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico è del 6 per cento. Ci sono Paesi che sono già al nove, dieci per cento. Noi dobbiamo tendere a quel livello e dobbiamo fare tanti investimenti su nuovi e più moderni ospedali, su nuove esperienze. Io cito le case della salute perché penso all'Emilia Romagna, ognuno le chiami come vuole, che siano un primo livello di intervento di cure e di diagnosi delle persone sul territorio tra la casa e l'ospedale e poi l'assistenza domiciliare. Se dobbiamo investire lì, è evidente che servono tante risorse. Da questo punto di vista – anche qui senza voler aprire un dibattito polemico – io confermo, lo sapete, che avrei fatto ricorso al MES già da ieri senza aspettare domani, perché 36 miliardi di euro consegnati immediatamente – con l'unica condizione che debbano essere spesi per la sanità e soprattutto con una condizione che non ha precedenti, cioè che ad esempio a sette anni quel prestito può essere restituito in misura ridotta rispetto a quanto ricevuto – penso sia un'occasione unica, alla luce non di un dibattito ideologico – perché io rispetto tutte le posizioni – ma alla luce del fatto che è arrivata questa pandemia che ci ha travolti, una pandemia che ancora non è terminata. Quando sono necessari investimenti per rafforzare il sistema della sanità pubblica se non ora? Evidentemente oggi, non tra diversi anni, perché non avrebbe quasi nemmeno più senso. Se da parte delle regioni non sarà possibile fare ricorso al MES – perché sul MES io non me la sento di fare Pag. 13esprimere i presidenti su una questione che ha anche attinenza politica e peraltro avete visto che ci sono anche alcuni presidenti che guidano esecutivi di centrodestra, chiamiamoli così, e hanno già detto che sarebbero d'accordo su quello strumento – in ogni caso mi auguro che almeno nel Recovery Fund ci sia una robusta iniezione di investimenti che possano irrobustire il sistema sanitario pubblico.
  Dal punto di vista delle autonomie rafforzate è evidente che vi sono alcune criticità nel Titolo V, l'abbiamo detto e visto. Io sono tra quelli che ha votato favorevolmente all'ultimo referendum, non perché lo ritenessi un referendum in grado di cambiare le sorti del mondo e rispettando anche chi votavano no; ho votato sì per la ragione principale – che era quella che mi augurerei – che quel sì faccia ripartire una serie di riforme istituzionali di cui il Paese ha bisogno.
  Allora – per venire al tema della Conferenza delle regioni – ho consegnato a nome di tutti i miei colleghi all'unanimità, quindi superando ogni differenza territoriale, geografica e soprattutto politica, al Presidente Mattarella, il 4 agosto scorso al Quirinale, quel documento unitario che come regioni abbiamo predisposto, nel quale vi sono alcune proposte, una delle quali prevede la costituzionalizzazione della Conferenza delle regioni e delle province autonome, che come sapete oggi è un organo «volontaristico» nel rapporto tra Stato e regioni. Il sottoscritto, ad esempio, è uno di quelli che pensa – in questo caso non impegno, ovviamente, i miei colleghi e amici precedenti – che bisognerebbe andare verso il superamento del bicameralismo paritario. È nella mia idea e concezione di un rapporto più virtuoso. Tra i territori – arrivo a dire non solo le regioni, ma anche enti locali intesi come comuni e province – ci sarebbe l'idea di una Camera che li rappresenta a differenza dell'altra che rimane l'unica, come dire, legislativa rispetto alle due Camere di oggi che hanno le medesime funzioni.
  Per terminare, con una battuta dico all'esponente della Lega che potrei dire il contrario, e cioè che i due miei colleghi Maroni e Zaia hanno seguito Bonaccini, ma ovviamente ho colto la natura del suo intervento. Vede, per me non c'è un problema di differenza politica, qui stiamo trattando un tema istituzionale che è l'attuazione di una norma prevista dalla Costituzione. Peraltro io non svolsi il referendum come legittimamente hanno svolto altri presidenti. Ricorderete, io dissi che quando qualcuno usava l'elemento e agitava lo slogan del residuo fiscale, era una cosa che sarebbe andata perduta, ma per una ragione. Se chiedo nove decimi di residuo fiscale da trattenere nella mia regione, non è più autonomia, ma diventa secessione. Per fortuna tutto questo si è sciolto e alla fine noi stiamo parlando di una richiesta di autonomia, che per quanto ci riguarda come regione, non chiede più risorse allo Stato. Ve lo ribadisco, non chiedo per l'Emilia Romagna un solo euro in più di quanto già lo Stato oggi ci consegni per quelle materie che vorremmo gestire in autonomia. Anzi, ribadisco, se lo Stato ci desse 98 invece che 101 rispetto ai 100 di oggi a noi andrebbe bene lo stesso, perché presuntuosamente crediamo che da queste parti, per quello che abbiamo dimostrato nel corso della storia, le risorse gestite sul territorio invece che da lontano, da Roma, sappiamo spenderle meglio. Quindi la nostra non è una questione finanziaria, è una richiesta che poggia su due capisaldi. Il primo, quello della certezza della programmabilità delle risorse, perché non si può ogni anno contrattare per le singole materie quanto lo Stato erogherà per l'anno successivo. Il secondo è il tema di una semplificazione dei processi anche burocratici, perché di burocrazia sta morendo questo Paese. Noi vorremmo dare un contributo.
  In ogni caso, per concludere, vi ringrazio moltissimo di questo ulteriore invito a venire a testimoniare. Credo davvero che serva una nuova stagione di riforme che riguardino anche il processo definito «regionalismo» o che era scritto al Titolo V della Costituzione. In ogni caso ritengo che ora – come credo di aver colto dalle vostre parole – con equilibrio e fissati quei paletti che mi pare possano trovare una mediazione nello stesso Parlamento, mi auguro Pag. 14più robusta di prima, si possa procedere, perché è evidente che Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna in primis, l'autonomia differenziata vogliono ottenerla. Il come e il quando si vedrà. Dal Ministro Boccia abbiamo avuto certezza a nome del Governo che questo percorso procederà più speditamente, io per ora mi limito a questo e vi ringrazio molto anche dei vostri suggerimenti e interventi. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, presidente. La ringraziamo per la sua disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.