XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Giovedì 14 novembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Corda Emanuela , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL PROCESSO DI ATTUAZIONE DEL «REGIONALISMO DIFFERENZIATO» AI SENSI DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE

Audizione del Ministro della salute, Roberto Speranza.
Corda Emanuela , Presidente ... 3 
Speranza Roberto (LeU) , Ministro della salute ... 3 
Pella Roberto (FI)  ... 8 
Fregolent Sonia  ... 8 
Drago Tiziana Carmela Rosaria  ... 9 
Corda Emanuela , Presidente ... 9 
Acquaroli Francesco (FDI)  ... 9 
Zardini Diego (PD)  ... 10 
Federico Antonio (M5S)  ... 10 
Mollame Francesco  ... 11 
Corda Emanuela , Presidente ... 11 
Speranza Roberto (LeU) , Ministro della salute ... 11 
Corda Emanuela , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
EMANUELA CORDA

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro della salute, Roberto Speranza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul processo di attuazione del regionalismo differenziato, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, l'audizione del Ministro della salute Roberto Speranza.
  Ringrazio il Ministro Speranza per la sua presenza e gli cedo immediatamente la parola per la sua relazione.

  ROBERTO SPERANZA, Ministro della salute. Grazie, Presidente.
  Desidero in primo luogo esprimere il mio personale apprezzamento per l'indagine conoscitiva che avete inteso avviare sul processo di attuazione del regionalismo differenziato, che – sono certo – fornirà un importante contributo all’iter in corso. Esprimo un sincero ringraziamento per essere stato invitato, già nei primi giorni del mio mandato, a fornire il mio contributo su questo tema, che ritengo molto rilevante per la vita istituzionale e gli equilibri del nostro Paese.
  Come noto, l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione comporta l'attivazione di uno strumento di produzione normativa del tutto innovativo, destinato a incidere direttamente sulla funzione legislativa del Parlamento; quindi è fondamentale, dentro questo percorso, ascoltare con grande attenzione l'opinione del Parlamento su questa materia.
  In base al nuovo iter proposto nei giorni scorsi dal Ministro Boccia, le competenti Commissioni parlamentari saranno chiamate ad esprimersi, in via preventiva, sull'accordo sottoscritto tra il Ministro per gli affari regionali e il presidente della regione interessata e, solo successivamente a tale decisivo passaggio istruttorio, il Governo potrà deliberare sul disegno di legge che recherà i contenuti dell'intesa e che sarà comunque presentato al Parlamento. Inoltre, l'intero procedimento sarà condizionato al rispetto dei princìpi che verranno fissati con una legge-quadro approvata dalle Camere.
  Al riguardo, mi pare ragionevole la proposta di metodo avanzata dal Ministro per gli affari regionali che mira ad assicurare un adeguato e compiuto coinvolgimento dell'organo parlamentare nelle diverse fasi procedurali, ciò nel pieno rispetto del ruolo assolutamente centrale che la Costituzione riserva al Parlamento quale sede principe dell'esercizio della sovranità popolare, su cui si fonda la Repubblica, come indicato in modo particolare dall'articolo 1 della Costituzione.
  Fatta questa doverosa premessa, tengo a evidenziare che, nella veste di Ministro della salute, sono chiamato a confrontarmi quotidianamente con le istanze delle regioni, atteso che la riforma del Titolo V della Costituzione ha ampliato notevolmente l'ambito della loro competenza. Le regioni dal 2001 possono legiferare non soltanto sugli aspetti cosiddetti «assistenziali» ovvero sanitari e ospedalieri (com'era Pag. 4 già previsto nel testo costituzionale originario del 1948), ma, fermi restando i princìpi stabiliti dalla legge dello Stato, anche su ulteriori profili che attengono alla tutela della salute. Peraltro il processo di regionalizzazione del Servizio sanitario nazionale si era già significativamente consolidato con il riordino operato dal decreto legislativo n. 502 del 1992, con il quale sono state poste le basi per una progressiva differenziazione dei modelli regionali, seppure attraverso scelte di natura sostanzialmente e prevalentemente amministrativa.
  Solo per fare un esempio, già poco dopo l'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, con il decreto-legge n. 347 del 2001 è stato aggiunto un nuovo comma all'articolo 19 del decreto legislativo n. 502 del 1992 in forza del quale non costituiscono princìpi fondamentali le norme statali che disciplinano rispettivamente i requisiti che le regioni devono rispettare per proporre la costituzione o la conferma in aziende ospedaliere dei presìdi ospedalieri e i criteri e i requisiti per le sperimentazioni gestionali. Ciò proprio per consentire alle singole regioni di testare modelli organizzativi alternativi rispetto a quello aziendale, cosa che ha trovato di fatto attuazione nella regione Lombardia.
  Del resto, come alcuni acuti costituzionalisti hanno avuto modo di osservare già da tempo, il carattere teleologico funzionale della formula utilizzata dal nuovo articolo 117 della Costituzione («Tutela della salute») valorizza il ruolo delle regioni, poiché, «stante la stretta affinità con la formulazione dell'articolo 32 della Costituzione, induce a considerare rafforzata la competenza riconosciuta alle regioni attuativa di un bene oggetto di tutela da parte della Repubblica», e quindi non solo da parte dello Stato ma anche delle autonomie regionali.
  Pertanto, ormai da un ventennio, il Ministero della salute è parte di un processo di cambiamento che riguarda il ruolo che è chiamato ad interpretare rispetto agli altri attori istituzionali. Infatti lo Stato, attraverso il Ministero di settore, non è più autorizzato a regolamentare nel dettaglio l'assetto organizzativo e gestorio degli enti preposti all'erogazione delle prestazioni sanitarie, ma ha il potere-dovere di dettare i princìpi generali della materia (Corte costituzionale, sentenza n. 120 del 2005 e n. 125 del 2015) e quello di individuare i livelli essenziali di assistenza (LEA), che devono essere uniformemente garantiti sull'intero territorio nazionale.
  Ciò significa che anche all'esito dell’iter che può condurre le regioni interessate ad acquisire ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, lo Stato, attraverso il Ministero della salute, continuerà in ogni caso ad occuparsi di alcune questioni fondamentali: della definizione degli indirizzi generali e del coordinamento del Sistema sanitario nazionale, compreso il coordinamento della prevenzione, diagnosi e cura delle malattie; dell'attività di programmazione tecnico-sanitaria di rilievo nazionale nonché di indirizzo, coordinamento e monitoraggio delle attività tecniche e sanitarie regionali; dell'organizzazione delle professioni sanitarie e dello stato giuridico del personale del Servizio sanitario nazionale.
  Tanto premesso, un primo dato da considerare in relazione agli esiti del processo di differenziazione in esame è sicuramente l'impatto che l'attuazione di tale processo potrebbe avere sul vigente riparto di competenze legislative, così come venutosi a determinare alla luce delle pronunce della Corte costituzionale rese negli ultimi anni. Al riguardo, va considerato che l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione consente di attribuire alle regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia secondo uno specifico procedimento e limitatamente ad alcune materie espressamente previste. Tra tali materie rientrano, tra l'altro, tutte quelle di competenza legislativa concorrente, di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione e, dunque, anche la materia della tutela della salute.
  Al riguardo ritengo essenziale evidenziare che, anche negli ambiti che saranno eventualmente trasferiti alle regioni, all'esito del processo di differenziazione in atto, lo Stato, nell'esercizio della propria competenza legislativa esclusiva, continuerà comunque ad occuparsi della fissazione e del monitoraggio dell'erogazione dei livelli essenziali Pag. 5 di assistenza. A tutela dell'unità giuridica ed economica della Repubblica, lo Stato potrà inoltre comunque intervenire, laddove necessario, in via sostitutiva, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione, sostituendosi alle regioni inerti o inadempienti.
  Ritengo fondamentale precisare inoltre, sempre in via preliminare, che l'eventuale trasferimento di competenze in materia di tutela della salute avverrebbe comunque nell'ambito della competenza legislativa concorrente, fermo restando il rispetto dei princìpi fondanti il nostro Sistema sanitario nazionale.
  In altri termini, le competenze legislative e amministrative trasferite si configureranno comunque quali eccezioni concordate ai princìpi generali della materia, fermi restando: il principio di universalità dei destinatari delle cure, secondo il quale vengono garantite prestazioni sanitarie ad ogni individuo in quanto persona umana; il principio di globalità delle prestazioni, in base al quale viene assicurata non solo l'erogazione dell'assistenza al singolo utente, ma la cura del benessere psico-fisico della persona e della popolazione; il principio di equità nell'accesso ai servizi di assistenza, in virtù dei quali tutti devono avere le stesse possibilità di accedere alle cure in rapporto a uguali bisogni di salute e a prescindere dal luogo in cui si trovino sul territorio nazionale e dallo status socio-economico che rivestano; il principio della razionale distribuzione delle risorse, che tenga conto sicuramente degli indici demografici, ma anche delle reali condizioni sociali ed economiche, nonché degli indici di deprivazione delle diverse aree territoriali. Rimane evidentemente fermo il sistema di finanziamento statale alle regioni, già previsto con il Fondo sanitario nazionale.
  Ciò posto, con il processo di regionalizzazione in questione possono essere trasferiti alle regioni che ne hanno fatto richiesta nuovi ambiti materiali di normazione al fine di affrontare direttamente alcune questioni problematiche, che in realtà sono comuni anche ad altre regioni d'Italia, che pure al momento non sono coinvolte nel processo. Infatti, in sede di stipula del nuovo Patto della salute (oggetto di discussione proprio in queste settimane), si stanno valutando le soluzioni per tentare di assecondare talune condivisibili istanze autonomistiche in materia di salute avanzate da tutte le regioni italiane, non soltanto quindi da quelle che hanno già avviato il procedimento di autonomia differenziata ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione.
  Fatta questa premessa, viste le richieste al momento avanzate dalle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, il Ministro della salute del precedente Governo aveva espresso la disponibilità a confrontarsi e a valutare la possibilità di concedere una maggiore autonomia in determinati settori. L'insediamento del nuovo Governo ha – come è ovvio – reso necessaria una nuova riflessione sulla tematica.
  Allo stato, nel rispetto dei princìpi costituzionali che governano la materia – e che ho già brevemente enunciato – il confronto è aperto sui seguenti ambiti: flessibilità organizzativa del sistema sanitario, vale a dire definizione dell'assetto istituzionale del sistema sociosanitario regionale e dei relativi profili organizzativi, nel rispetto degli standard definiti a livello nazionale; modalità organizzative di erogazione dei servizi ospedalieri e territoriali, al fine di garantire un assetto organizzativo della rete dei servizi e delle strutture di supporto efficiente, integrato e di qualità, tenendo conto degli standard definiti a livello nazionale; ampliamento della rete formativa delle specializzazioni mediche e sanitarie, favorendo il finanziamento regionale della formazione specialistica.
  Ravviso, invece, la problematicità di altre proposte, pure avanzate dalle regioni nel corso del negoziato, che certamente hanno bisogno di ulteriori approfondimenti, a cui evidentemente non ci sottrarremo. In particolare, penso alla possibilità di affidare a una singola regione, in totale autonomia, la determinazione dell'intero sistema tariffario di rimborso e di remunerazione della spesa sanitaria, e ciò per vari ordini di motivi.
  Anzitutto non tutte le regioni, come è evidente dalla realtà che viviamo quotidianamente, Pag. 6 sono in grado di rispondere allo stesso modo ai bisogni dei propri territori. Proprio i dati economici mostrano una differenza nei costi regionali dei singoli livelli di assistenza, che rischia di pregiudicare il diritto alle cure e di minare l'equità del sistema. Da tale urgenza – certamente aggravata dalla crisi economica – muove anche l'iniziativa – che ho avviato fin dal mio insediamento e che è confluita ormai definitivamente nel disegno di legge di bilancio, per come è stato approvato dal Consiglio dei ministri – di adottare una norma finalizzata ad abolire, dal prossimo 1° settembre, la quota fissa di 10 euro per ricetta per prestazioni di specialistica ambulatoriale.
  Sottolineo che si tratta di una misura a regime e quindi di una riforma strutturale del sistema sanitario, in forza della quale nessun cittadino dovrà più pagare nel nostro Paese tale quota aggiuntiva di ticket per accedere alle cure. È oggetto di valutazione l'avvio di ogni ulteriore iniziativa necessaria a rimuovere gli ostacoli che hanno progressivamente limitato l'attuazione del principio di universalità e di parità nell'accesso alle cure, anche attraverso una riforma del sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria, individuando le soluzioni più idonee ad ancorarla alla capacità contributiva degli utenti.
  Viceversa, temo che lasciare esclusivamente alle regioni la completa autonomia in tale ambito porterebbe con sé il rischio di violazione del principio di uguaglianza sostanziale, di cui all'articolo 3 della nostra Costituzione. Si dovrebbe infatti escludere la possibilità di derogare al principio che impedisce, nella remunerazione del singolo erogatore, l'applicazione alle singole prestazioni di livelli di remunerazione complessivi diversi a seconda della residenza del paziente. In ogni caso la rimodulazione regionale del ticket non può incidere sul diritto all'esenzione, fissato a livello nazionale per alcune categorie, né può costituire un ostacolo nell'accesso dei cittadini alle prestazioni sanitarie e sociosanitarie incluse nei livelli essenziali di assistenza, pena la violazione dell'articolo 32 della Costituzione, oltre che dell'articolo 117, comma 2, lettera m) della stessa.
  Per quanto riguarda il problema della carenza dei medici, determinato anche dall'annosa problematica del cosiddetto «imbuto formativo» e dalla cosiddetta «gobba pensionistica» – cioè dal rilevante esodo che si registrerà nei prossimi anni in conseguenza del pensionamento di un consistente numero di medici specializzati attualmente in servizio – le regioni hanno richiesto di acquisire: maggiore elasticità rispetto alle facoltà assunzionali, anche per il tramite di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e altre forme di lavoro flessibile; la facoltà di impiego, sebbene solo in via eccezionale nonché temporanea nell'ambito dell'emergenza-urgenza, di medici in possesso della laurea in medicina e chirurgia in attività di supporto; la possibilità di impiego di laureati in medicina e chirurgia, privi del titolo di specializzazione, anche in altri settori, per scongiurare eventuali rischi di interruzione del pubblico servizio.
  Al riguardo rappresento che a livello statale stiamo valutando l'ipotesi di un intervento di respiro più ampio, che consenta di garantire un'adeguata valorizzazione all'interno delle reti assistenziali degli specializzandi che hanno già svolto buona parte del percorso formativo, coerentemente al grado di conoscenze, competenze e abilità acquisite e anche al fine di facilitarne il successivo inserimento lavorativo, riducendo così i rischi di dispersione dopo il conseguimento della specializzazione. In particolare vorrei ricordare che è stato di recente avviato un tavolo tecnico per dare attuazione, nei tempi più rapidi possibili, all'articolo 12 del decreto-legge cosiddetto "Calabria" (decreto-legge n. 35 del 2019) sull'assunzione degli specializzandi vincitori di concorso.
  Più in generale, per fronteggiare la situazione di grave carenza di personale medico e sanitario nell’iter della prossima legge di bilancio sono allo studio misure per la stabilizzazione del personale precario e per facilitare l'utilizzo delle graduatorie di concorso al fine di poter assumere gli idonei mediante scorrimento. Pag. 7
  Ritengo inoltre opportuno rappresentare che le regioni hanno avanzato anche la richiesta di provvedere, in totale autonomia, alla determinazione del numero di contratti di formazione specialistica al fine di rispondere ai propri fabbisogni. Al riguardo, pur convenendo sulla necessità di garantire l'incremento dei contratti statali di formazione medica specialistica attualmente previsti, preciso che allo stato il processo di definizione del fabbisogno di medici specialisti e la distribuzione del numero dei contratti di formazione specialistica finanziati con risorse statali è piuttosto articolato e coinvolge anche le competenze fondamentali del MIUR.
  Ciò detto e considerato che è comunque già prevista la possibilità per le regioni di finanziare con proprie risorse contratti di formazione medico-specialistica aggiuntivi, credo che sia opportuno conservare uno stretto coordinamento tra la funzione di programmazione sanitaria e quella di programmazione della formazione medico-specialistica. Inoltre, la stima del fabbisogno deve contestualmente raccordarsi con le esigenze del percorso formativo degli specializzandi, che è competenza riservata ad altra amministrazione centrale rispetto al Ministero della salute, ovvero al MIUR.
  Infine, come Ministro della salute, sono propenso a considerare come problematica la richiesta di ampliamento della sfera di autonomia regionale in un settore molto delicato come quello della farmaceutica. Ciò per le seguenti ragioni.
  L'attività di indirizzo nell'appropriatezza terapeutica e prescrittiva è svolta a livello centrale dall'AIFA, secondo quanto previsto dall'articolo 48 della relativa legge istitutiva (decreto-legge n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 dello stesso anno). Tali funzioni si iscrivono nell'ambito della ratio dell'istituzione dell'Agenzia del farmaco, nata per garantire l'unitarietà delle attività in materia di farmaceutica sul presupposto che «il farmaco rappresenta uno strumento di tutela della salute e che i medicinali sono erogati dal Servizio sanitario nazionale in quanto inclusi nei livelli essenziali di assistenza».
  La Corte costituzionale ha affermato che «stabilire il confine tra terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali, è determinazione che investe direttamente e necessariamente i princìpi fondamentali della materia, collocandosi all'incrocio tra due diritti essenziali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni di scienza e di arte medica; e quello ad essere rispettato come persona e, in particolare, nella propria integrità fisica e psichica (sentenza n. 282 del 2002), diritti la cui tutela non può darsi se non in condizione di fondamentale uguaglianza su tutto il territorio nazionale».
  La successiva sentenza n. 274 del 2014 ha ribadito che «decisioni sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non potrebbero nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, bensì dovrebbero prevedere l'elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali e sovranazionali, a ciò deputati, dato l'essenziale rilievo che a questi fini rivestono gli organi tecnico-scientifici» (sentenza n. 282 del 2002).
  In relazione alla possibilità che una singola regione possa esercitare i poteri sostitutivi nel caso in cui l'AIFA non adotti le decisioni sull'equivalenza terapeutica e in materia di payback farmaceutico, rappresento che, da un esame della giurisprudenza in materia, emerge chiaramente come le valutazioni di equivalenza terapeutica di farmaci a base di princìpi diversi, garantendo l'unitarietà della materia farmaceutica, costituiscano espressione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione.
  Il complesso delle disposizioni legislative dedicate a regolare la materia affida all'AIFA competenze che sono state ripetutamente e univocamente qualificate come esclusive dell'Autorità nazionale, sia dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 151 del 2014, n. 8 del 2011 e n. 44 del Pag. 82010) che da quella amministrativa (Consiglio di Stato, Sezione III, 8 settembre 2014; Sezione V, 7 ottobre 2008; Sezione III n. 2229 del 2018). Inoltre, sia per le decisioni sul payback sia per quelle sull'equivalenza terapeutica, la previsione di un potere sostitutivo delle regioni non appare conforme al principio di sussidiarietà verticale, di cui all'articolo 118, comma 1, della Costituzione, oltre che al dettato dell'articolo 120 della Costituzione che contempla il potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni e non viceversa.

  ROBERTO PELLA. Grazie, signor Ministro, per la sua relazione. Mi soffermerei su alcuni temi che sono avvertiti come particolarmente sensibili in questo momento, in modo particolare agli occhi dell'opinione pubblica.
  Alla luce dei più recenti report sugli asili nido e sulle mense scolastiche condotti da Cittadinanzattiva – che lei conosce assai bene –, risulta uno spaccato sempre più disomogeneo dell'offerta di servizi sul territorio nazionale, come emerge anche da quanto lei ci ha appena detto. Io vorrei capire in che modo la riforma sul regionalismo intende affrontare questo problema. E soprattutto, la riforma vuole mettere in luce la spesa storica oppure i costi e i fabbisogni standard? Come lei sa, il metodo che sceglierete influirà molto sugli esiti della riforma, con conseguenze molto gravi, in modo particolare per gli enti locali, come i comuni, dove noi sindaci affrontiamo spese non indifferenti.
  Vorrei anche chiedere come intende coinvolgere gli enti locali in questo processo di riforma, se attraverso un tavolo nell'ambito della Conferenza unificata o in maniera diversa.
  Infine un'ultima questione. Ieri alla Camera abbiamo approvato un'importante mozione sull'obesità, sottoscritta da tutti i gruppi politici e approvata da tutta l'Assemblea; era presente, in sua rappresentanza, la sottosegretaria Zampa, con la quale abbiamo affrontato alcuni temi molto importanti. Al riguardo, vorrei capire quale seguito intende dare a questa mozione, la cui approvazione è stata riconosciuta da tutti i gruppi politici come un momento significativo e storico.
  Anche perché – come lei ben sa – il fenomeno dell'urbanizzazione sta riguardando tutto il Paese e il tema della salute – con riferimento in modo particolare all'obesità e al diabete – è un tema fondamentale. È giusto riaffermare il principio dell'universalismo del servizio nazionale, sicuramente è importante togliere i superticket, ma dobbiamo dare risposte molto forti anche su questo tema.
  I comuni si stanno impegnando molto a questo proposito, in modo particolare attraverso l'attuazione dell’Urban health Rome declaration. Vorrei capire in che modo intende collaborare con le autorità comunali, oltre che regionali, perché, se è vero che le autorità regionali sono fondamentali e hanno voce in capitolo sul servizio sanitario, noi crediamo che oggi, nell'ambito della prevenzione, possa essere utile e fondamentale anche il supporto degli enti locali.

  SONIA FREGOLENT. Ringrazio il Ministro per la sua relazione.
  Con riferimento al tema oggetto dell'audizione odierna, ovvero il regionalismo differenziato, vorrei porre l'accento sul fatto che ad oggi l'utilizzo delle risorse avviene già singolarmente da parte delle regioni all'interno di un quadro nazionale; tuttavia sappiamo tutti perfettamente che l'80 per cento dei bilanci regionali è investito in sanità. È altrettanto vero che, pur avendo ciascuna regione risorse proprie, l'erogazione dei servizi offerti alla cittadinanza tramite del Servizio sanitario nazionale avviene con differenze evidenti e sostanziali sul territorio dello Stato. Non ritiene pertanto che il regionalismo differenziato possa essere un'occasione per ridurre le inefficienze tramite una responsabilizzazione della filiera dirigenziale e della politica stessa?
  Nel caso in cui si dovessero ottenere dei risparmi, io non vedo quale sarebbe il limite o comunque non capisco le difficoltà nel permettere l'utilizzo di quei risparmi per erogare ulteriori prestazioni attualmente escluse dai LEA, tenuto conto che questi ultimi dovevano essere aggiornati, secondo quanto previsto dal DPCM del gennaio Pag. 9 2017 e ad oggi ancora non lo sono stati.
  Noi apprezziamo sicuramente l'abolizione del superticket che lei ha previsto e ha fortemente voluto nella legge di bilancio, ma mi chiedo come pensi di contrastare le inappropriatezze che inevitabilmente l'abolizione del ticket porterà. Se io ho un accesso appropriato, ho anche l'erogazione di un servizio adeguato; diversamente, se non mettiamo in atto anche dei sistemi per evitare un accesso improprio, andremo soltanto ad aggravare i ritardi nell'erogazione delle prestazioni ai cittadini.

  TIZIANA CARMELA ROSARIA DRAGO. Vorrei sottoporre al Ministro tre questioni, che possono essere intese come osservazioni o anche come domande. La prima riguarda, con riferimento alla gestione sanitaria all'interno delle regioni, i punti nascita.
  Oggi il parametro di riferimento per consentire la presenza di un punto nascita in un comune è quello di cinquecento nati annualmente. Visto che in questo momento stiamo vivendo una sorta di preoccupante inverno demografico, non sarebbe forse il caso di prevedere la riduzione di questo parametro? Se considerassimo l'indice europeo medio di natalità che è di 2,1 figli (in Italia siamo a 1,35 circa), dovremmo diminuire questo parametro in proporzione.
  Un'altra questione che vorrei sottoporle, Ministro, riguarda in particolare le regioni del Sud che vivono l'esperienza dell'accoglienza dei migranti, che adesso stiamo organizzando meglio attraverso meccanismi di ridistribuzione. Ritengo che si dovrebbe portare avanti un'accoglienza intelligente, nel senso che gli operatori che si trovano sulle navi e che accolgono in maniera organizzata o emergenziale i migranti che vorrebbero approdare sulle nostre coste spesso sono sprovvisti dell'attrezzatura di sicurezza e del vestiario adeguato. Quando i migranti approdano sulle nostre coste, negli hotspot vengono predisposti dei sistemi di accoglienza adeguati, anche dal punto di vista della sicurezza sanitaria. Il problema riguarda soprattutto il personale di bordo: tenendo conto che prima o poi torneranno a casa – avendo anche loro una famiglia, una vita privata – questo non potrebbe comportare un potenziale rischio pandemico? Ritengo si debba dotare la Guardia costiera, la Guardia di finanza, e gli altri corpi dello Stato coinvolti, di materiali sanitari e di vestiario adeguato, perché io ho visto personalmente cosa indossano e non ritengo – pur nella mia ignoranza in materia, perché non è un campo di cui mi occupo – che possa costituire per loro una protezione significativa (comprese le mascherine, usate solitamente per altre finalità).
  Mi congratulo con l'intenzione, normale e fisiologica, di proseguire il lavoro già fatto in precedenza dalla Ministra Grillo – ha fatto riferimento al decreto-legge «Calabria» e ha sottolineato il discorso dell’«imbuto formativo», come anche di questa emergenza reale di turni massacranti a cui sono soggetti i nostri sanitari – e vengo all'ultima osservazione – forse un po’ generica – che riguarda la figura dei masso-fisioterapisti, che non vengono inquadrati all'interno delle professioni sanitarie presenti in ogni regione. Questo tema non rientra nell'oggetto della nostra indagine conoscitiva, tuttavia colgo l'occasione della sua presenza per sottoporlo alla sua attenzione.

  PRESIDENTE. Cerchiamo di attenerci alle tematiche che riguardano il regionalismo differenziato, perché il discorso dei migranti, ad esempio, appartiene ad un altro ambito.

  FRANCESCO ACQUAROLI. La mia preoccupazione riguardo al processo di regionalismo differenziato riguarda il fatto che vorremmo capire dove arriverà l'autonomia della regione e fino a che punto le norme che oggi regolano i livelli essenziali di assistenza possono essere toccate. Noi abbiamo territori molto diversi l'uno dall'altro e potremmo raggiungere effettivamente livelli di miglioramento, anche nell'assistenza, se dessimo alle regioni la possibilità di operare con maggiore forza, ad esempio per la ristrutturazione delle strutture che in tanti, troppi casi sono obsolete e superate (penso alla questione del risparmio Pag. 10 energetico, argomento che in tante regioni potrebbe riportare alle aziende sanitarie stesse un livello di economicità importante). Queste ristrutturazioni dipendono dalla capacità di immaginare un sistema locale dove le regioni hanno effettivamente spazi importanti in cui muoversi. Vorrei quindi capire quale sia l'intendimento del Governo, se di lasciare maggiore autonomia alle regioni oppure no.

  DIEGO ZARDINI. Anch'io mi associo ai ringraziamenti al Ministro per la sua presenza e per il contributo che ha dato a questa indagine conoscitiva. Colgo anche l'occasione per apprezzare il lavoro che fin dalle prime battute il Ministro sta portando avanti, facendo sì che nel settore della sanità si ponga fine ai tagli che hanno avuto effetti negativi sui servizi per i cittadini. La stessa forte volontà di togliere il superticket va nella direzione giusta per l'universalità dei servizi per i cittadini.
  Per quanto riguarda gli argomenti di oggi, penso che il Governo, nella sua collegialità, abbia imboccato finalmente la strada giusta per arrivare a concludere positivamente le istanze che provengono da alcune regioni, a cui tra l'altro se ne sono aggiunte altre – tra cui anche la mia, il Veneto, finalmente – per cercare di arrivare a un regionalismo differenziato, che deve essere visto, secondo me, come uno strumento e non come un fine, perché dobbiamo usare questo strumento per arrivare a una maggiore efficienza delle istituzioni pubbliche, a un utilizzo più efficace ed efficiente delle risorse per avere servizi migliori. Senza però correre il rischio di violare la Costituzione e senza creare o aumentare le disparità. Il settore della sanità in effetti è quello più avanzato rispetto a un processo di differenziazione regionalizzata e dunque è il settore che può dare la linea alle altre funzioni e competenze che vedranno una differenziazione tra regioni.
  Da questo punto di vista, quindi, il Partito democratico dà il massimo sostegno a questo percorso. Noi crediamo che il suo lavoro possa contribuire enormemente, anche con riferimento al lavoro del Ministro Boccia, a trovare la linea e la soluzione corretta. Ritengo che questa modalità, anche se per qualcuno può sembrare più lenta, sia forse quella più efficace per arrivare a concludere un percorso che rischiava, a mio avviso – e l'avevo detto anche ad alcuni dei presidenti di regione venuti in audizione –, di finire in un vicolo cieco, perché, senza una condivisione unitaria da parte di tutto il Parlamento e di tutte le regioni, le giuste istanze dei cittadini di alcune regioni non potevano trovare soddisfazione. Ritengo, quindi, che dovremmo sostenere tutti questo percorso.

  ANTONIO FEDERICO. Il Sistema sanitario nazionale italiano è un modello di riferimento per tutto il mondo e dobbiamo conservarlo, preservarlo e valorizzarlo quanto più possibile, perché il suo carattere di universalità consente a chiunque di accedere alle cure gratuitamente in tutta Italia. È una cosa per noi scontata ma che non lo è affatto in altri Paesi del mondo, anche del cosiddetto «mondo occidentale».
  Questa è una premessa che apre a un altro ragionamento, quello del regionalismo di cui stiamo parlando. Chi mi ha preceduto e il Ministro stesso hanno sottolineato che forse questa è l'unica vera materia in cui c'è già un'autonomia molto spinta, mi riferisco all'organizzazione e alla gestione del sistema sanitario locale, della rete degli ospedali e dei territori, della rete dell'emergenza, dove è già tutto in capo alle regioni. Le perplessità di capire quale possa essere l'approccio e quali possono essere i rischi riguardano la mobilità attiva e passiva dell'utenza in primis – per cui succede che alcune regioni hanno una forte mobilità passiva, perché non hanno specialità tali da poter rispondere alle necessità dei propri cittadini – e la mobilità del personale medico e infermieristico, che spesso e volentieri (giustamente, peraltro) è più attratto da quei sistemi virtuosi a scapito di quelle realtà che faticano ad attrarre medici, anche nella cosiddetta mobilità interregionale, che non mette le strutture sanitarie regionali in condizione di poter funzionare.
  Infine, anche il Ministro ha fatto riferimento alle sperimentazioni gestionali, che caratterizzano significativamente la gestione Pag. 11 della sanità – soprattutto nel cosiddetto «modello lombardo» – che, seppure all'avanguardia da un punto di vista dell'organizzazione, suscitano perplessità per quanto riguarda i modelli di integrazione particolarmente spinta tra sistema pubblico e sistema privato. Quindi, anche a questo aspetto è importante riservare un'attenzione particolare, perché le sacche di corruttela non solo si vedono nella sanità pubblica ma, ahinoi, anche nei modelli privati.

  FRANCESCO MOLLAME. Grazie, Ministro, per l'ampia e doviziosa esposizione. Vorrei soffermarmi su una questione che, a mio avviso, presenta aspetti di emergenza: per quanto riguarda i concomitanti effetti dell’«imbuto formativo» e della «gobba pensionistica» – lei ha accennato anche a delle soluzioni – anche lì ci sono problemi di carattere differenziato a seconda della latitudine delle regioni o la situazione è difficile un po’ in tutta Italia in modo uniforme?
  Rispetto alle soluzioni da lei illustrate (i co.co.co, gli specializzandi che possono essere coinvolti), possiamo essere ottimisti sulla soluzione?

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro per le risposte.

  ROBERTO SPERANZA, Ministro della salute. Proverò ad essere molto puntuale, rispondendo domanda per domanda, ma certo le domande poste richiederebbero almeno un'altra ora. Mi piacerebbe continuare questa discussione più a lungo e affrontare anche una discussione di natura culturale sul tema dell'autonomia differenziata, perché penso che, come sistema Paese, dovremmo provare a uscire da un atteggiamento «schizofrenico» su una materia molto delicata, atteggiamento che purtroppo pervade la nostra discussione, anche al di là delle distinzioni politiche, come se l'opinione pubblica del Paese oscillasse tra fasi ultra-federaliste e fasi ultra-neocentraliste. Come se fossimo un pendolo, che non riesce mai a fermarsi sul punto che invece serve davvero al Paese.
  Ritengo che l'obiettivo da conseguire è far capire che l'autonomia è un elemento di ricchezza e di forza di tutto il sistema nazionale. Il punto di equilibrio da ricercare è molto delicato, perché in linea di principio l'autonomia può produrre benefìci per i cittadini, per il funzionamento della macchina pubblica, solo se si riesce ad individuare esattamente il punto di questo equilibrio. Basta infatti sbagliare di poco la ponderazione delle misure e da una autonomia che può produrre benessere ci si può trovare di fronte ad un'autonomia che, invece, allarga le diseguaglianze e mina l'unità nazionale.
  Per questa ragione ritengo che il tema necessiti la più ampia riflessione e il più profondo confronto e momenti come quello di stamattina e come l'indagine conoscitiva stessa mi pare vadano nella direzione giusta. Io eviterei un derby tra autonomisti, federalisti e neocentralisti, perché mi pare che non serva a molto al sistema Paese. Il punto è trovare un equilibrio utile al sistema istituzionale.
  Il caso salute è un caso specifico, perché abbiamo a che fare con una materia già profondamente riformata, che ha già costruito condizioni sostanziali di equilibrio e di collaborazione – che io credo tutto sommato virtuosa – tra regioni e Stato. Credo non ci sia altra materia dove c'è un'impostazione di questa natura.
  Non a caso proprio in queste ore stiamo lavorando con la Conferenza delle regioni per approvare il documento fondamentale della programmazione del comparto salute per i prossimi tre anni: il Patto per la salute, che non è un atto unilaterale dello Stato, ma è un atto che viene sottoscritto dal Governo, attraverso il Ministro della salute – e naturalmente attraverso il Ministro dell'economia che garantisce le risorse – e dalle regioni. Quindi siamo già dentro una buona pratica positiva, che potrebbe anche essere guardata con interesse.
  Venendo alle domande più specifiche che mi sono state fatte – poi mi piacerebbe una valutazione più generale anche sul lavoro che abbiamo fatto in queste settimane –, mi pare molto condivisibile l'indicazione espressa dall'onorevole Pella che Pag. 12incontra, tra l'altro, una mia personale sensibilità, anche per la mia storia: io vengo da un'esperienza di amministratore comunale e capisco bene anche il senso della preoccupazione avanzata dai comuni circa il processo di autonomia differenziata. E qual è questa preoccupazione, che autorevolmente anche alcuni sindaci hanno portato alla nostra attenzione? Evitare che il percorso di decentramento di poteri finisca per costruire un neocentralismo regionale. Non risolviamo la questione di un eccesso di centralismo nazionale semplicemente con un nuovo centralismo regionale. L'indicazione che mi pare arrivi autorevolmente dai comuni va nella direzione di una compartecipazione più larga, che riesca anche a coinvolgere il sistema dei comuni. Condivido pienamente questa impostazione.
  Mi pare di poter segnalare una novità, perché all'articolo 1, lettera d) – che ho appena rivisto – della bozza che il Ministro Boccia negli ultimi giorni della passata settimana ha presentato ufficialmente alle regioni – non si tratta quindi di un documento riservato –, si richiamano esplicitamente le funzioni fondamentali di comuni, province e Città metropolitane. Ritengo sia una cosa corretta. Io credo che dentro la legge cornice a cui si sta lavorando sia previsto un ruolo essenziale delle amministrazioni comunali che deve essere valorizzato, esattamente con quello spirito che a me pare particolarmente giusto.
  Così come - onorevole Pella - condivido pienamente l'impianto che ieri è stato assunto all'unanimità, il che mi fa particolarmente piacere; io tiferei per il fatto che sulle questioni relative alla salute il Parlamento si esprima il più possibile all'unanimità, abbassando le bandierine politiche. La mozione approvata ieri è un atto di indirizzo che impegna il Governo, che è molto contento di essere impegnato su questa materia, perché il tema dell'obesità infantile è un tema di estrema rilevanza, su cui l'Esecutivo vuole concentrare il massimo dell'impegno. Stiamo infatti già studiando una campagna, multidisciplinare e variegata, che ci consenta di costruire in tempi brevi una prima risposta a quella che è una vera emergenza in prospettiva del nostro Servizio sanitario nazionale.
  Rispetto alle argomentazioni della senatrice Fregolent, che ritengo degne di attenzione, credo di avere già espresso la mia opinione sulla considerazione più generale: credo che l'autonomia rappresenti un'opportunità e, al tempo stesso, un rischio; il dovere della politica e delle istituzioni nel proprio complesso è trovare il giusto punto di equilibrio per massimizzarne le opportunità e ridurre al minimo i rischi che, ahimè, sono presenti.
  Lei ha posto – e io sono pienamente d'accordo con lei – un tema delicatissimo, che incrocia in modo particolare la mia sensibilità, perché è una delle frontiere della lotta contro le diseguaglianze che credo sia una delle matrici fondamentali della mia identità personale, politica, culturale: il mancato aggiornamento dei LEA, in cui mi sono imbattuto in queste settimane di lavoro. Si tratta di un vulnus reale, che produce disparità tra territori, perché alcuni territori sono in condizioni, proprio per l'autonomia che le regioni hanno su questa materia, di garantire prestazioni extra LEA, mentre alcune regioni, per motivi atavici, storici, non sono in condizioni di garantire determinati LEA. Abbiamo quindi un problema di diseguaglianza reale nel nostro Paese e il tema che lei ha posto richiama totalmente la mia attenzione. Siamo al lavoro in queste ore per capire come si accelera il percorso che lei ha indicato.
  Sulla vicenda del super ticket, un flash. Perché sono convinto che sia una scelta giusta, che mi auguro tutte le forze politiche, al netto delle distinzioni, possono condividere? Perché il super ticket, che era una quota aggiuntiva – io capirei un pezzo della sua preoccupazione, se la proposta del Ministro Speranza fosse stata di abolire in toto il ticket: è evidente che in quel caso la sua preoccupazione sul terreno dell'appropriatezza potrebbe avere un senso – cosa fa? Ad oggi aggiunge 10 euro di tassa in più – ed è una tassa sulla salute, quindi la tassa più brutta che ci può essere la stiamo abolendo – sulle visite specialistiche. Pag. 13
  Alcune regioni – meritoriamente dal mio punto di vista – sono state in grado di costruire forme sostitutive di questi 10,00 euro, quindi ad oggi in Italia ci sono stessi cittadini che per medesima visita specialistica (penso a un'ecografia alla mammella ad esempio), pagano 36,15 euro in determinate aree del nostro Paese e 36,15 euro più 10,00 in altre aree di questo Paese. Io credo che questo crei un elemento di diseguaglianza reale e una discriminazione oggettiva che con questa operazione rimuoviamo, abbassando tra l'altro la diga di accesso a una parte, quella più debole di cittadini italiani che non si curano come dovrebbero per motivi economici. Ed io penso che ogni volta che un cittadino di questo Paese non si cura come dovrebbe, per motivi economici, si è di fronte a una sconfitta dello Stato e a una violazione di fatto dell'universalismo enunciato dall'articolo 32 della nostra Costituzione.
  Per quanto riguarda le preoccupazioni della senatrice Drago, mi permetto di replicare in modo particolare su quelle che sono prevalentemente di mia competenza, ovvero la questione dei punti nascita che è un tema decisivo, oggetto anche di un dibattito, perché in riunione ufficiale con il presidente della Conferenza Stato-regioni questo tema mi è stato posto come una preoccupazione reale che arriva dai territori e dalle regioni. L'argomentazione che viene addotta è di questa natura – ed è la stessa che lei ha riportato qui – con la terminologia (che ritengo affascinante) dell'inverno demografico si segnala una riduzione delle nascite e quindi ci si chiede: il principio delle cinquecento nascite ha ancora senso in una fase di generale riduzione? Questa è una domanda che ci arriva dalle regioni. Rispetto a questa domanda credo che un'interlocuzione con loro sia doverosa, nel rispetto della ratio che ha portato a questo provvedimento, che è quella della salvaguardia e della sicurezza delle persone perché, come è evidente, anche gli istituti internazionali, le grandi organizzazioni internazionali (a partire dall'OMS) ci dicono che sotto una determinata soglia le condizioni di sicurezza sono più problematiche da mantenere e quindi, per essere mantenute, hanno bisogno di determinati standard supplementari. Io penso che questo tema non possa essere sottovalutato perché comunque il Ministero della salute debba avere come primo obiettivo fondamentale la difesa e la tutela dei cittadini. Penso di aver risposto alle altre domande, più generali, dell'onorevole Acquaroli, dell'onorevole Zardini e, in qualche modo, dell'onorevole Federico.
  A quest'ultimo vorrei dire che condivido pienamente questa lettura del nostro Servizio sanitario nazionale. È chiaro che ci sono tante cose da fare e credo e spero che le istituzioni siano all'altezza delle sfide che abbiamo di fronte, ma il mio giudizio, molto netto e molto chiaro, è che il Servizio sanitario nazionale di questo Paese è davvero una pietra preziosa che dobbiamo difendere con tutte le nostre energie.
  Io sono orgoglioso di un Paese che all'articolo 32 della sua Costituzione indica il sistema universale, cioè il diritto alla cura a prescindere dalle condizioni economiche e dalle condizioni di provenienza; io credo che questa sia una ricchezza fondamentale. Nell'ultima riunione dei Ministri della salute del G20 – la prima cui io ho preso parte – ho avuto modo di appurare personalmente come il nostro modello venga apprezzato in tutto il mondo e sia anche uno dei più efficaci, perché noi mettiamo meno soldi di tanti altri Paesi (il livello di investimento delle risorse che c'è stato negli anni è più basso rispetto a tanti altri Paesi del mondo), ottenendo risultati che a me sembrano assolutamente interessanti e positivi. Se penso, ad esempio, alla previsione di durata della vita (uno degli elementi fondamentali per valutare un Sistema sanitario nazionale), noi abbiamo uno dei dati migliori, pur avendo una spesa che in percentuale sul PIL, rispetto ad altri Paesi, è abbastanza bassa.
  Ritengo che abbiamo di fronte due temi di strategia: in primo luogo, come stanziamo più risorse per il Servizio sanitario nazionale, perché c'è un tema enorme che riguarda le risorse. È vero che i risultati sono buoni, nonostante le risorse non siano tantissime, ma dobbiamo stanziare più risorse. Pag. 14 Vorrei costruire un grande patto nazionale su questa sfida.
  In questa legge di bilancio mi pare che il segnale vada nella direzione giusta: 2 miliardi di euro in più sul Fondo sanitario nazionale non erano scontati, erano molti anni che nel DEF si indicava una cifra e poi, quando si arrivava alla stretta della legge di bilancio, quella cifra veniva più o meno dimezzata; segnalo che questa volta rispettiamo fino all'ultimo euro i 2 miliardi in più sul Fondo sanitario.
  In più stanziamo 2 miliardi sull'edilizia sanitaria e sull'ammodernamento tecnologico e, a regime, stanziamo 554 milioni sul superticket. Quindi anche quelli sono soldi che in sostanza vanno al comparto salute.
  In una legge di bilancio non facile, per le ragioni che si conoscono, soprattutto per i 23 miliardi delle clausole di salvaguardia IVA che il Governo ha scelto di disinnescare, un impatto di questa natura sul comparto salute mi pare vada nella direzione giusta e ci aiuti anche ad affrontare la sfida del futuro, perché questa non riguarda solo le risorse, ma anche la riforma del Servizio sanitario nazionale.
  Mi permetto di rispondere velocemente all'ultima domanda fatta dal senatore Mollame, che ha interpretato quello che è un grido di dolore proveniente dai territori. Mi consenta di dire che non è un grido di dolore «regionalizzato», che proviene da tre a quattro territori: io ho ricevuto un documento ufficiale della Conferenza Stato-regioni – quindi di tutte le regioni italiane – che segnala come ci sia un problema enorme che riguarda la carenza di personale. Rispetto a questo problema non c'è la bacchetta magica o un solo provvedimento, ma c'è un lavoro in corso, che mi auguro già in legge di bilancio potrà avere qualche primo reale riscontro risolutivo, ma che sta dentro una lettura nuova che dobbiamo dare del Servizio sanitario nazionale.
  Nei primi anni Duemila il Servizio sanitario nazionale è stato messo a durissima prova. In quegli anni la condizione economico-finanziaria del Servizio sanitario nazionale rischiava di non reggere. Durante quella stagione – non do un giudizio di natura politica, ma di ricostruzione storica – sono state fatte determinate scelte che ancora ci ritroviamo, come quella di organizzare il Servizio sanitario nazionale per silos di spesa e per tetti fermi. Quei tetti, con qualche modifica, ma molto lieve, sono ancora in vigore.
  Se penso ad esempio al personale, la norma fondamentale, modificata in minima parte, dispone che il personale deve essere quello del 2004, meno l'1,4 per cento. Poi c'è stato un meno 0,1 per cento, poi c'è stato il decreto Calabria che ha dato la possibilità di un 5 per cento in più sulla parte aggiuntiva del Fondo sanitario; ma siamo sostanzialmente, con qualche lieve modifica, ancora all'impianto della fase di crisi.
  Quando il legislatore nazionale ha visto che rischiava di saltare il banco, ha messo in campo provvedimenti molto hard. Ora siamo nel 2019, molti anni dopo quella stagione storica e anche dentro un quadro di maggiore compatibilità economico-finanziaria, dinanzi a un cambio radicale della società. I mutamenti degli ultimi anni sono drammatici: si è invertita la piramide demografica (anche per l'inverno cui si faceva riferimento); è cambiato il profilo epidemiologico del Paese (sono aumentate radicalmente le cronicità, anche legate all'inversione della piramide demografica); la ricerca scientifica ha fatto passi enormi, il che è una notizia assolutamente positiva (mali che apparivano incurabili ora sembrano curabili). Ma queste tre cose messe insieme producono una sfida enorme alla tenuta del Servizio sanitario nazionale. Pertanto il punto è: stanziare più risorse, da un lato, e, dall'altro, in piena sinergia con le istituzioni (Stato e regioni) e i soggetti che operano dentro questo campo – penso agli ordini, penso ai sindacati, penso al mondo delle aziende che lavorano in questo settore –, immaginare come si costruisce il Servizio sanitario dei prossimi anni, per farci trovare pronti ad affrontare le sfide che arriveranno.
  Credo di averla fatta fin troppo lunga, ma quello che dico è che dentro questo orizzonte di fondo, questa visione, che ho provato velocemente ad indicare, il rapporto tra Governo e Parlamento è fondamentale Pag. 15 e io ritengo che l'interlocuzione tra organi fondamentali – come noi in qualche modo siamo, anche in questa sede – sia assolutamente decisiva per provare a conseguire l'obiettivo che abbiamo di fronte a noi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro, al quale chiedo se sia possibile trasmettere il testo della sua relazione, in modo da poterla pubblicare sul nostro sito, se è d'accordo. Ringrazio tutti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.