XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Giovedì 6 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Piastra Carlo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL PROCESSO DI ATTUAZIONE DEL «REGIONALISMO DIFFERENZIATO» AI SENSI DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE:

Audizione del presidente della regione
Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.

Piastra Carlo , Presidente ... 3 
Bonaccini Stefano , presidente della regione Emilia-Romagna ... 3 
Piastra Carlo , Presidente ... 7 
Abate Rosa Silvana  ... 7 
Fregolent Sonia  ... 7 
Bonaccini Stefano , presidente della regione Emilia-Romagna ... 7 
Fregolent Sonia  ... 7 
Manca Daniele  ... 8 
Mollame Francesco  ... 9 
Piastra Carlo , Presidente ... 9 
Bonaccini Stefano , presidente della regione Emilia-Romagna ... 9 
Piastra Carlo , Presidente ... 12 
Abate Rosa Silvana  ... 12 
Piastra Carlo , Presidente ... 13 
Campari Maurizio  ... 13 
Fregolent Sonia  ... 13 
Piastra Carlo , Presidente ... 13 
Bonaccini Stefano , presidente della regione Emilia-Romagna ... 14 
Fregolent Sonia  ... 14 
Bonaccini Stefano , presidente della regione Emilia-Romagna ... 14 
Piastra Carlo , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Memoria depositata dal Presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
CARLO PIASTRA

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente della regione
Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul processo di attuazione del «regionalismo differenziato» ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della costituzione, l'audizione del presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, al quale do immediatamente la parola.

  STEFANO BONACCINI, presidente della regione Emilia-Romagna. Grazie, presidente. Abbiamo costruito il progetto di autonomia rafforzata dell'Emilia-Romagna con l'intento di affrontare in modo più adeguato le sfide del governo regionale, della società che è cambiata e sta cambiando.
  L'obiettivo che ci siamo posti è quello di rafforzare la capacità di risposta del sistema regionale ai bisogni dei cittadini e delle imprese, in particolare per spendere meglio e più in fretta le risorse, per avere servizi migliori, più efficaci ed efficienti, per superare le sovrapposizioni burocratiche tra Stato, regioni ed enti locali, per semplificare i procedimenti amministrativi e i processi autorizzativi, per programmare di più e meglio, tanto sul fronte degli investimenti, quanto su quello dei servizi, in un Paese che troppo spesso vive del "giorno per giorno", in cui lo sguardo della politica si è fatto sempre più corto.
  La nostra richiesta di autonomia non parte da un pronunciamento referendario, come avvenuto per altre regioni. Se la domanda fosse stata anche da noi «volete più autonomia?» (questo era il semplice quesito), non ho grossi dubbi su come avrebbero risposto i miei concittadini, perché è come chiedere se vuoi bene ai tuoi genitori. Abbiamo invece scelto la strada della concertazione istituzionale e sociale (risparmiando 20 milioni di euro), con tutti i soggetti che all'inizio del 2015 hanno sottoscritto con noi il Patto per il lavoro della regione Emilia-Romagna: i comuni, le province, le Camere di commercio, le quattro università, tutte le associazioni di categoria economica, tutte le organizzazioni sindacali, i professionisti e addirittura il Forum del terzo settore. Tutti questi soggetti con noi, con me, hanno partecipato alla redazione del progetto, che non è per l'autonomia dell'ente regione – di cui non ci importa nulla –, ma per l'autonomia del sistema regionale dell'Emilia-Romagna. Non vi sembri cosa di poco conto quest'ultima, perché, oltre ad essere previsto dal terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, il coinvolgimento degli enti locali è per noi questione sostanziale, come d'altra parte la concertazione con le parti sociali è nel DNA della nostra regione. Non è un caso che non si sia levata (anche perché l'abbiamo scritta tutti insieme) una sola voce che ci accusi di aver concepito una proposta dirigistica o che paventa il rischio di un centralismo regionale in Emilia-Romagna, non è la nostra storia e non sarebbe il nostro progetto. Pag. 4
  La seconda caratteristica peculiare della proposta dell'Emilia-Romagna, legata però strettamente alla prima, è che nasce individuando nell'autonomia non un obiettivo, ma uno strumento. Non siamo cioè partiti chiedendoci di quanta autonomia avessimo bisogno, ma quali erano gli obiettivi da realizzare e, in forza di questi, quale autonomia servisse.
  Mi permetto di esplicitarne alcuni per titoli per farmi capire meglio:

   1) La programmazione degli investimenti negli ambiti per noi cruciali dell'edilizia scolastica, sanitaria e universitaria, in materia di rigenerazione urbana e messa in sicurezza del territorio rispetto al dissesto idrogeologico e al rischio sismico (dopo aver votato, unici in Italia, un anno e mezzo fa la legge urbanistica Consumo a saldo zero di suolo) e poi in materia di viabilità stradale e ferroviaria.

   2) La programmazione delle politiche di sostegno all'internazionalizzazione, alla ricerca e all'innovazione delle imprese, nonché delle politiche attive del lavoro, partendo dall'orientamento, passando per l'istruzione e la formazione professionale, per arrivare a quella universitaria e post-universitaria. Lo dico nella regione prima per export per quota pro capite, visto che stacchiamo nettamente anche la Lombardia e il Veneto.

   3) Politiche di sviluppo territoriale, con un'attenzione particolare alla montagna, il nostro territorio più fragile, e alle zone economicamente più deboli. A mero titolo di esempio, per vostra informazione oggi non possiamo dimezzare l'IRAP alle imprese della montagna, perché una norma dello Stato ce lo impedisce, pur avendo già stanziato per questo triennio 36 milioni di euro di risorse della regione Emilia-Romagna senza chiedere un solo euro allo Stato. Sarei uno che vuole spaccare l'unità del Paese o dividere le aree più forti da quelli più deboli, perché con i soldi della regione vorremmo, grazie all'autonomia dimezzare l'IRAP alle imprese della montagna?

   4) Politiche di promozione e valorizzazione (si badi bene: non di tutela) del nostro patrimonio storico, artistico, culturale, sia esso statale, regionale o comunale.

   5) Politiche di sviluppo della sanità, rimuovendo i vincoli che ostacolano l'autonoma determinazione della spesa, del personale, del reclutamento (mi riferisco alla possibilità di avere ad esempio più posti di specializzazione), della compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria.

  Vi ricordo e vi segnalo, se non lo sapete, che quest'anno abbiamo dovuto chiedere a una norma dello Stato, peraltro concessa, di autorizzarci a eliminare il superticket fino a 100.000 euro di reddito familiare, con risorse anche in questo caso della regione Emilia-Romagna, senza chiedere un solo euro allo Stato. Sono 35 milioni di euro in meno che entrano da quest'anno nel bilancio della regione, ma che, grazie a un bilancio tra i tre meno indebitati del Paese, ci possiamo permettere senza chiedere nulla a nessun altro.
  Ho fatto questo elenco e potrei continuare, ma ho elencato i cinque cardini della proposta per restituire il senso di due cose importanti, che non ritrovo purtroppo nel dibattito generale sull'autonomia, spesso sentendo discussioni o pareri di persone che secondo me non hanno nemmeno mai letto nulla di ciò di cui parlano.
  1) Non ha alcun senso discutere sul numero di materie richieste. L'articolo 116 indica certamente i titoli delle materie stesse, ma, visto che nessuno ha mai scomposto davvero questi titoli in funzioni, che sono la cosa che realmente conta, se non si entra concretamente nel merito di quali funzioni esattamente si propone il trasferimento, può starci tutto e il contrario di tutto.
  2) Proprio per affrontare questo problema, abbiamo indicato gli obiettivi e di conseguenza le funzioni specifiche che ci servono per poterli realizzare. Faccio un esempio concreto su un tema caldo, che viene costantemente evocato, quello della scuola. È tra le materie che noi abbiamo chiesto, ma se non si precisa di quali funzioni specifiche si stia parlando (peraltro già oggi Stato, regioni, province e comuni hanno diverse funzioni in materia di scuola) si fa solo una discussione astratta, ideologica. Pag. 5 Nel merito, l'Emilia-Romagna non chiede, a differenza di altri, la regionalizzazione della scuola, non vuole occuparsi del reclutamento, dell'inquadramento, della contrattualizzazione del personale scolastico, non chiediamo di regionalizzare neppure il servizio scolastico regionale, non ci interessa. Chiediamo, invece, di poter codeterminare la programmazione degli organici, avendo la presunzione di sapere meglio noi dello Stato quanti ragazzi andranno a scuola l'anno prossimo e dove nel nostro territorio, e credo che nel 2019 non sia accettabile che ancora oggi un nostro figlio o un nostro nipote si iscriva a scuola, inizi l'anno scolastico e per mesi a volte non abbia l'insegnante che dovrebbe essergli dedicato.
  Come vedete, il nostro progetto non ha nulla a che fare con gli insegnanti dipendenti della regione, come qualcuno titola, con graduatorie separate, come si virgoletta, con contratti di lavoro diversi, come qualcuno propone, con la libertà di insegnamento e nemmeno con l'autonomia scolastica, tutte questioni in cui non abbiamo la minima intenzione di entrare. Pensiamo di poter dare una mano a far funzionare ciò che non funziona bene, non di sostituirci allo Stato in compiti, come quello della scuola, che riteniamo per gran parte sia giusto svolga lo Stato. Viceversa, vogliamo poter programmare gli interventi per l'edilizia scolastica. Anche qui, fuori dai luoghi comuni che si leggono nel dibattito, siamo a Giugno e io e gli altri miei colleghi presidenti non sappiamo ancora quanto lo Stato ci metterà a disposizione quest'anno, e siamo a Giugno! In un Paese serio, normale, si stabilisce una cifra adeguata e costante nel tempo, e su quella le regioni e gli enti locali potrebbero programmare gli investimenti e anche prendersi la responsabilità, se la colpa sta in capo a loro, se poi non riescono a farlo.
  Intendiamo, quindi, come autonomia, risorse certe e programmabili per tutte le funzioni di cui parliamo nel progetto. Se si comprendesse questo, si capirebbe altrettanto bene che la controparte per noi non sono le altre regioni d'Italia, ma lo Stato nella sua capacità di organizzare un bilancio di respiro più ampio nel tempo.
  Proviamo a fare così e vorremmo si facesse altrettanto a livello centrale; non chiediamo un euro in più (voglio che questo sia chiaro, che sia il titolo) di quanto già lo Stato spende oggi per il nostro territorio per gestire alcune funzioni; ma, anziché decidere anno per anno e magari a fine anno, quando non si riesce più a spendere, chiediamo la serietà della programmazione. Se si organizzasse così l'autonomia, crediamo che sia lo Stato che le regioni sarebbero costretti a fare le cose più seriamente.
  Siamo una regione con standard alti, lo certificano tutti gli indicatori, a partire da quelli economici, che ci vedono da quattro anni primi per crescita nel Paese; con la disoccupazione scesa dal 9 al 5,9 per cento, primi addirittura nell’export per quota pro capite – lo siamo per attrattività sia di investimenti che di giovani formati – ma siamo anche (lo dice il Governo, il MEF) primi per capacità di spesa, ad esempio, dei fondi europei, per efficacia ed efficienza della spesa sanitaria, visto che l'attuale Governo, il Ministero della salute, solo due mesi fa ci ha indicato tra le tre regioni benchmark in sanità pubblica, cioè quelle da prendere a modello.
  Indico queste cose non per vanto, ma perché in Emilia-Romagna abbiamo la piena consapevolezza che la nostra sfida non è con le altre regioni italiane, con le quali non c'è alcuna competizione in atto attraverso il 116, né con le regioni più forti, né con quelle oggi più fragili. Non sarà certo competendo con Lombardia o Veneto che faremo alcun passo in avanti (le cito perché avete audito loro rappresentanti e hanno performance altrettanto importanti), ma con gli altri territori più avanzati d'Europa e del mondo, se vogliamo competere sulla qualità.
  Sappiamo altrettanto bene che per competere abbiamo bisogno di uno Stato forte e funzionante. Ecco perché non abbiamo chiesto di poter fare di più. Ad esempio non chiediamo la competenza per la promozione turistica dell'Emilia-Romagna nel mondo, perché per noi è l'Italia che si deve Pag. 6promuovere nel mondo, non le singole regioni, o per la strategia energetica: non ci pare che facendo un Paese Arlecchino con 20 piani energetici regionali (molte regioni non ce l'hanno neanche) possiamo riuscire a colmare quel gap, che vede oggi le imprese e le famiglie in mancanza di materie prime pagare il 30 per cento dell'energia più dei nostri competitori europei, oppure per la regolazione delle professioni, che non ci pare possa diventare uno spezzatino regionale.
  Spero quindi sia chiaro il baricentro del progetto. Anche in Emilia-Romagna il cambiamento deve proseguire, provando ad allungare lo sguardo ed il passo, e ci riguarda tutti. La cosa più significativa per noi sarebbe accrescere la capacità di programmare. Che si tratti di edilizia scolastica o di diritto allo studio, di difesa del suolo o di sostegno alla ricerca, di investimenti in sanità o di ciclo dei rifiuti, la cosa più importante è aumentare la capacità di agire con efficacia nel tempo, dentro strategie condivise e non occasionali, con risorse certe, per poterne poi rispondere ai cittadini nel bene e nel male. Questo è il nostro progetto di autonomia, non altro.
  Come noto, le nostre proposte sono approdate in Consiglio dei ministri a metà febbraio scorso, dopo un lungo percorso avviato nella precedente legislatura, che ha conosciuto una prima tappa con le intese preliminari siglate il 28 febbraio del 2018 con il precedente Governo, premier Paolo Gentiloni, dal sottoscritto, dall'allora presidente Roberto Maroni per la Lombardia, da Luca Zaia per il Veneto. Decidemmo di firmare nonostante dopo pochi giorni si sarebbe conclusa l'esperienza legislativa parlamentare, perché, indipendentemente dal colore politico del futuro Governo o delle maggioranze e minoranze in Parlamento, non volevamo si tornasse indietro dopo un lavoro che ci aveva visto per un anno lavorare peraltro per gran parte insieme.
  Il negoziato aperto con questo Esecutivo si è protratto dal mese di luglio scorso e ormai siamo a un anno, ci sono questioni sulle quali si è trovata un'intesa, altre su cui siamo piuttosto distanti e attendiamo ancora risposte dal Governo. Al tempo stesso registro che altre regioni, dopo l'Emilia-Romagna, il Veneto e la Lombardia, sono partite. Penso al Piemonte, che ha praticamente concluso l’iter preparatorio, ma anche ad altre regioni come l'Umbria e le Marche, mi sembra che la stessa Campania abbia fatto richiesta di potervi accedere, la Liguria con il presidente Toti.
  Se ci fate caso, nessuna di queste regioni, anche quelle a guida centrodestra, ha chiesto di indire il referendum, che rispetto, ma era un appiglio in più, visto che l'articolo 116 della Costituzione non prevede quello strumento affinché le regioni a Statuto ordinario possano accedere alla richiesta di autonomia differenziata.
  È emersa anche la preoccupazione – credo legittima – di fissare elementi di cornice a garanzia del sistema. A me pare che alcuni siano già presenti nella specifica proposta di intesa, dove ad esempio ci si riferisce alla spesa storica nell'attesa dell'individuazione dei fabbisogni standard, o laddove si subordina l'attuazione di determinati interventi alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, che a mio parere sarebbe dovuta, per non spaventare nessuno.
  Credo possano essere rafforzati come elementi di sistema, perché è del tutto evidente che se si attiva una misura per una regione, occorre aver misurato l'impatto sull'intero sistema, tanto regionale quanto statale. È talmente vero che oggi la Conferenza delle regioni lavora in continuazione per negoziare i riparti dei fondi. Solo che ripete queste azioni ogni anno, impedendo anche in questo caso una vera programmazione; inoltre, troppo spesso i riparti avvengono in ritardo, ostacolando un'efficace capacità di spesa.
  Credo si debba individuare anche una sede istituzionale specifica, dove coinvolgere costantemente in questo lavoro tutte le regioni e il Governo. Sono valutazioni che abbiamo fatto anche in sede di Conferenza delle regioni, tutti insieme, per indicare una strada, la più possibile unitaria. Così come credo (accenno anche a questo punto, vista la sede) che il Parlamento tutto abbia il diritto/dovere di discutere e decidere di questo nelle forme e con le modalità che Pag. 7riterrete più opportune. Se mi consentite, farei solo una considerazione come parte in causa.
  Sarebbe auspicabile che il Parlamento svolgesse a monte e fino in fondo la sua funzione precipua, ovvero quella di delineare la cornice – sia che si tratti delle funzioni, delle condizioni, dei fabbisogni, abbiamo detto dei livelli essenziali delle prestazioni – piuttosto che intervenire ex post sui singoli aspetti delle intese sottoscritte, che pure deve valutare e decidere se accogliere o respingere, visto che si vota a maggioranza qualificata.
  Gran parte dei parlamentari che dovranno eventualmente, se lo vorranno, consegnare alle singole regioni la possibilità di accedere alla cosiddetta «autonomia differenziata» non fa parte, non vive, non lavora e non studia in quella regione. Capite che, non essendo le regioni parte del Parlamento, sarebbe curioso che, una volta che a valle si stipula e viene definito tra regione e Governo un accordo, venisse stravolto in una sede nella quale le regioni non possono nemmeno alzare la mano e far sentire la propria voce. Se si opera bene a monte, si può poi valutare a valle la rispondenza delle singole intese al quadro delineato dal Parlamento e verificare se c'è corrispondenza e coincidenza, e di conseguenza - ecco l'autonomia del Parlamento -, decidere. Ovviamente qui mi fermo, perché non compete a me sindacare su come il Parlamento intenda procedere.
  Per concludere, devo dire che sono sinceramente preoccupato, anzi molto preoccupato dell'iniziativa del Governo: è un anno che ogni settimana ci dicono che la successiva sarà la settimana decisiva per stringere l'accordo. Da Ministero a Ministero registriamo posizioni disomogenee (ve lo avranno detto anche i miei colleghi di Lombardia e Veneto), mentre noi vorremmo un'assunzione di responsabilità collettiva da parte dell'Esecutivo come regioni, senza entrare nel merito delle vicende politiche interne tra le due parti della maggioranza, assolutamente comprensibili e legittime. Del resto per noi l'istituzione di riferimento si chiama Governo, senza guardare ai partiti che lo compongono, perché per negoziare ci vuole un interlocutore certo, che parli con una voce sola.
  Spero di avervi fornito alcuni elementi utili per le vostre valutazioni e vi ringrazio per l'attenzione che ci avete dedicato (abbiamo peraltro già fatto audizioni con altre Commissioni). Se riterrete, trasmetterò anche della documentazione un po’ corposa (Vedi allegato), ma più specifica, perché oggi ho cercato di sintetizzare in pochi minuti, per non annoiarvi, che cos'è la richiesta di autonomia per l'Emilia-Romagna.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Bonaccini e lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROSA SILVANA ABATE. Ringrazio il governatore dell'Emilia-Romagna. Vorrei semplicemente stimolare una riflessione.
  Nell'ultimo passaggio lei ha richiamato l’iter di questa fase di richiesta di autonomia, sottolineando come il Parlamento debba essere chiamato a delineare la cornice, perché non può sostanzialmente inserirsi in un'intesa fra lo Stato e le regioni. Facevo questa riflessione: forse il procedimento sarebbe dovuto essere inverso, cioè il Parlamento avrebbe dovuto già delineare la cornice, nella quale poi l'intesa si sarebbe dovuta muovere.
  Le chiedo inoltre quanto sia importante per lei la determinazione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) in questo processo di autonomia. Grazie.

  SONIA FREGOLENT. Ringrazio anch'io per la relazione, e mi permetto di fare un paio di precisazioni. Innanzitutto non solo l'Emilia-Romagna ha la legge regionale per zero consumo del suolo, ma anche il Veneto, giusto per completezza di informazione. Anche in Veneto inoltre attualmente vengono applicati soltanto i ticket previsti dalla legge e non superticket regionali.

  STEFANO BONACCINI, presidente della regione Emilia-Romagna. Non si paga il superticket in Veneto?

  SONIA FREGOLENT. Non si paga ciò per cui è stata data alle regioni facoltà Pag. 8applicativa; sono previsti i 10 euro per l'impegnativa (magari si confronti con il governatore Zaia). Inoltre non abbiamo neppure l'addizionale IRPEF per 1,179 miliardi di euro. Ma non siamo qui per dire chi è più bravo o chi è meno bravo, non è questa l'intenzione. Credo che il ministro Stefani abbia avviato quel percorso di declinazione di funzioni con tutte le regioni che hanno chiesto l'autonomia. Ogni regione giustamente ha seguito un percorso diverso, chi ha scelto il referendum, chi ha scelto di lavorare per il tramite degli enti istituzionali, e credo che entrambi i percorsi siano legittimi.
  Adesso lei viene giustamente a dirci che serviva una cornice di riferimento e che, come noi sosteniamo, una volta stipulata l'intesa, il Parlamento non può intervenire su accordi già sottoscritti tra regione e Governo. Ma per quale motivo (visto che io non c'ero e lei sì), con il Governo precedente si è scelta la strada dell'intesa e non quella di una legge quadro? Grazie.

  DANIELE MANCA. Sarà perché sentiamo un po’ nostra questa proposta, nel senso che la proposta di questa regione a nostro avviso ha elementi importanti che tolgono di mezzo alcuni facili conflitti che questa materia sta determinando, in modo particolare nella sua capacità di tenere insieme il Paese.
  La definizione dei criteri, la cornice fondamentale, ha sempre rappresentato il punto di partenza per questa ragione: proprio per evitare che si inneschino all'interno delle intese questioni che non hanno nulla a che vedere o a che fare con il regionalismo differenziato; sia perché le regioni sono già differenti – perché da quando sono nate hanno ovviamente marcato una loro identità, hanno peculiarità – sia perché questa questione, a differenza di come viene venduta, per le difficoltà che anche all'interno del Governo e della maggioranza si hanno nel portare a compimento questo obiettivo, sta proprio nel ridurre il divario tra il nord e il sud del Paese.
  Noi vediamo nella capacità di realizzare una buona autonomia, un investimento ulteriore da parte dello Stato, per ridurre gli spazi che differenziano a nostro avviso troppo (è una delle grandi questioni nazionali) il nord dal sud; cioè si sta cercando di rallentare l'autonomia facendo leva su un'ideologia che è opposta all'obiettivo che anche il presidente Bonaccini ha qui rappresentato.
  A nostro avviso, la definizione di una cornice nazionale, che dia qualità al ruolo fondamentale e autonomo del Parlamento, dovrebbe essere la prima misura all'interno della quale anche la maggioranza e il Governo dovrebbero stimolare lo stesso Parlamento. A più riprese abbiamo posto la stessa domanda al ministro Stefani: perché non si parte dall'individuazione di criteri di riferimento?
  Questo non significa violare la Costituzione o ledere l'autonomia delle regioni, ma, al contrario, significa salvaguardare il principio costituzionale e chiarire da subito quali sono i criteri che danno accesso a questa autonomia, perché le regioni sono differenti. Ci sono regioni che probabilmente per ridurre il divario tra il nord e il sud, per essere più competitive, hanno bisogno di investimenti diversi dello Stato, perché esse stesse non sono in grado di realizzare in solitudine la riduzione di questo divario nella competitività economica che, come abbiamo detto, non è interna al sistema delle regioni, ma verso l'Europa, verso altri Paesi.
  Questo per noi è fondamentale, quindi quale contributo può dare la Conferenza delle regioni a tutto questo? A me sembra che dal progetto che l'Emilia-Romagna ha saputo rappresentare fin qui ci sia anche uno spazio nazionale per prendere questo come riferimento e cercare di costruire su questo l'unità nazionale, perché stiamo parlando esattamente di questa ideologia che nasconde un rallentamento che non è di merito, ma è di paura, di preoccupazione.
  Per non giocare sulle paure, sulle ansie, penso che sarebbe molto utile – sulla base anche di questa proposta che ha saputo rappresentare l'Emilia-Romagna, in un rapporto peraltro proficuo con i comuni e con le entità territoriali, che ha al suo interno anche un progetto di riassetto e di riordino istituzionale (non è un nuovo centralismo, è una federazione di territori che si muove Pag. 9insieme per definire quali sono le identità di quelle regioni e i bisogni per competere nel mondo e in Europa, non per separare ma per rafforzare) – far diventare tutto questo la cornice nazionale dalla quale partire.
  Quale può essere quindi il ruolo della Conferenza delle regioni per togliere dal campo ideologie stravaganti, che si stanno annidando all'interno di questa autonomia differenziata, per favorire un dibattito parlamentare che, come abbiamo sempre sostenuto senza paura e senza preoccupazioni, se si hanno gli ingredienti, dovrebbe unire il Parlamento e non dividerlo? Questo è il punto fondamentale, quindi mi chiedo quale possa essere l'ulteriore contributo della Conferenza delle regioni, in qualità di presidente della Conferenza delle regioni, per cercare di aiutare il Governo e la maggioranza ad uscire da una situazione che anche per quello che ci riguarda non è utile né vantaggiosa per l'Italia.

  FRANCESCO MOLLAME. Ho ascoltato con molto interesse e attenzione l'esposizione del presidente Bonaccini, che vedo permeata da uno spirito di assoluto pragmatismo, come è nel carattere di quella regione, che conosco, pur non essendo nato in quelle terre.
  A proposito di cornice – che per certi versi già abbiamo perché è quella che viene fuori dal dettato costituzionale che ha cercato di mettere assieme, probabilmente senza riuscirci, un popolo che ha tradizioni, culture, costumi e spesso anche malcostumi assai diversi – faccio una domanda alla quale magari non dovrebbe essere il presidente a rispondere, però, visto che ha le idee così chiare, quali potrebbero essere secondo lei i cardini di questa cornice?
  Abbiamo già – ripeto – la cornice; magari non ha funzionato perché l'Italia ha sempre avuto più velocità: quella con la quale si muove l'Emilia-Romagna sicuramente non è quella con cui si muovono la Basilicata, la Sicilia o altre regioni. Visto che questo progetto comunitario non siamo riusciti a farlo o siamo riusciti a farlo con migrazioni interne che adesso non ci sono più, perché ci siamo aperti all'Europa per cui, mentre prima in Emilia-Romagna arrivavano i siciliani o i calabresi, adesso arrivano i rumeni, quali potrebbero essere i cardini di questa cornice? Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Bonaccini per la replica.

  STEFANO BONACCINI, presidente della regione Emilia-Romagna. Grazie, presidente, provo a mettere insieme le risposte, e, se ne dimenticassi qualcuna, me lo direte e cercherò di recuperare. Non c'è nessun argomento che riguarda il tema della bravura: io non ho minimamente accennato alla bravura dell'Emilia-Romagna. Ho messo in luce le contraddizioni tra ciò che l'Emilia-Romagna chiederebbe di fare e non può fare.
  Se il Veneto non fa pagare l'IRAP, perché io non posso dimezzare l'IRAP alle imprese montane? Il Veneto non fa pagare l'IRPEF, noi non possiamo dimezzare l'IRAP alle imprese montane con 36 milioni di euro investiti come regione? Perché non possiamo applicare la fiscalità di vantaggio se siamo in condizioni di non chiedere 1 euro allo Stato? Questa è una bella contraddizione: andremo a rimborsi e a restituzione, quindi la faremo lo stesso: perché dobbiamo appesantire di burocrazia un'impresa individuando noi, magari sbagliando (dopo decideranno i cittadini), che un'impresa in montagna in questo momento ha condizioni a nostro parere di svantaggio rispetto a un'impresa in pianura?
  Su superticket o ticket c'è una bella differenza. Noi sui superticket siamo potuti intervenire perché è una misura non ordinaria; nessun presidente di regione può decidere come stabilire i ticket come, ad esempio, decidere se aumentarlo di 20 euro a chi sta molto bene o ampliare la platea cui applicare l'esenzione. Ci sono contraddizioni, a nostro parere, peraltro condiviso con gli altri presidenti delle regioni che l'hanno chiesta, che dovrebbero lasciare spazio a una maggiore libertà di movimento.
  Credo che un argomento a chi oggi dice «nord contro sud, ricchi contro poveri» sia stato dato. Parlare troppo spesso e per Pag. 10troppi mesi di nove decimi di fiscalità è secessione, non è autonomia (lo capite tutti). Nemmeno un Governo monocolore leghista (parere tutto personale) darebbe e lascerebbe in un territorio tutte le tasse trattenute in una regione, perché significherebbe staccare quella regione dal resto del Paese. Questo è l'argomento che vedo utilizzare in modo sbagliato nelle discussioni. Ridurre la discussione, come sta accadendo, a nord contro sud, ricchi contro poveri, trasforma la discussione in uno scontro ideologico. Datemi atto che persino per la parte politica che rappresento (adesso parlo come presidente di una regione, non come presidente della Conferenza delle regioni quale sono da tre anni e mezzo e dove, nel 95 per cento dei casi, abbiamo dato sempre pareri all'unanimità, perché le istituzioni vanno vissute così, cioè devi rappresentare sempre anche la parte che non ti voterà mai, non solo quella che non ti ha votato) fu l'unica regione a guida centrosinistra a chiederla e lo facemmo addirittura senza referendum.
  Non c'è una mia intervista (andatele a vedere, sono tantissime, a disposizione perché ormai si trova tutto) in cui abbia criticato lo strumento referendario. Ho detto che non accettavo che sembrasse quello l'unico strumento per accedere a ciò che la Costituzione prevede dal 2001 – ovvero da quando è stato riformato il Titolo V – senza che si faccia menzione del referendum e che le regioni a statuto ordinario possono richiedere indipendentemente dallo strumento che si usi. A riprova di ciò (lo sottolineo a voi qui, non per polemica, ma per amor di verità), quando noi accedemmo a quella richiesta e ci venne detto «lo fate perché avete paura dello scontro al nord», tutte le altre regioni che ci hanno seguito – comprese quelle del nord, dal Piemonte che l'ha votata in Assemblea legislativa a guida centrosinistra fino a ieri, alla Liguria del mio amico Giovanni Toti, che non mi risulta sia a guida centrosinistra, hanno fatto la richiesta senza accedere al referendum.
  Tutto qua. Comprendo però lo spirito di voler portare i cittadini a esprimersi. Tuttavia, sarebbe forse più corretto ricorrere allo strumento referendario, semmai lo si volesse fare, dopo che il Governo ha stipulato un accordo con la regione, per chiedere ai cittadini se è esattamente quello per il quale loro chiedevano l'autonomia.
  Ho lavorato benissimo con i presidenti di Lombardia, prima e dopo, e del Veneto, sia laddove avevamo cose in comune, sia quando loro hanno chiesto tutte le 23 competenze- come, peraltro, previsto dalla Costituzione. A ciò abbiamo detto di no, perché secondo noi alcune competenze non è corretto che vadano alle singole regioni.
  Come ho detto pubblicamente urbi et orbi, con la ministra Stefani abbiamo lavorato benissimo: è una persona disponibile, sempre pronta all'ascolto, persino a correggere alcune cose. Però, voi capite, che un conto è la disponibilità di un Ministro con la competenza su quella materia, altro sono alcuni Ministri con cui ci siamo visti dopo un anno di discussione.
  Perché non è stata fatta una cornice prima, come chiedete? Il 28 febbraio 2018 eravamo a una settimana dalla conclusione di un'esperienza parlamentare, si doveva votare un nuovo Parlamento e incaricare un nuovo Governo; abbiamo fatto una preintesa, non un'intesa, e la facemmo tra polemiche, se ricordate, forzando la mano, pur appartenendo a forze politiche diverse, perché non era giusto disperdere un lavoro faticosamente portato avanti.
  Ricordo che tra pochi mesi è il secondo anniversario dello svolgimento di un referendum, che ha portato in Lombardia e in Veneto milioni di persone a chiedere l'autonomia: due anni ormai. Non credo però di essere stato io colui che in campagna elettorale, l'anno scorso, continuava a ripetere «appena ci insedieremo al Governo, una delle prime cose che faremo sarà la consegna dell'autonomia differenziata alle regioni che l'hanno richiesta». O sto sbagliando qualcosa e ho letto male le interviste? Non ero io e i miei amici e colleghi di Lombardia e Veneto da un anno, ogni mese, chiedono che il tema dell'autonomia diventi nell'agenda del Governo un elemento cogente, avendo fatto addirittura il referendum popolare! Pag. 11
  Quello che chiedo senza alzare la voce, non volendo né creare problemi, né fare polemica, è di cercare di comprendere perché dopo un anno siamo ancora in una fase di stallo, nella quale non riesco a vedere un termine certo entro il quale si possa discuterne.
  Chiudo sulla cornice. Credo che i livelli essenziali delle prestazioni potrebbero essere lo strumento, pur nella difficoltà di indicarli, perché i costi standard nei decenni scorsi e fino a ieri, con tutti i Governi che si sono alternati, non sono mai stati definiti. D'intesa con il ministro Stefani e il Governo avevamo stabilito che prima si identifica la spesa storica e poi si arriva ad individuare i costi standard. Ciò al fine di trovare una ragione che fosse comprensibile per i cittadini, perché l'autonomia, una volta votata, come mi auguro, dal Parlamento per le singole regioni che la richiedono, non verrà applicata immediatamente il giorno dopo: c'è un tempo di applicazione, di verifica.
  Sui livelli essenziali di prestazioni contestualmente si può fare un lavoro, che costituisca la cornice entro la quale a tutte le regioni, indipendentemente da chi fa o non fa richiesta, assegniamo le necessità che hanno. Anche a quelli della parte politica che rappresento, che hanno tanti dubbi rispetto al fatto che nei decenni precedenti non è stata assegnata a nessuno l'autonomia differenziata, e che mi dicono che in realtà dal 2001 è stato introdotto quell'articolo, faccio notare che sono passati ormai quasi 20 anni: è davvero questo un Paese che non ha disparità e che non va a velocità differenti?
  Io mi sento italiano prima che emiliano-romagnolo e vorrei che questo Paese avesse una velocità identica per tutte le regioni, perché il Paese andrebbe più forte. Tuttavia, perché chi è virtuoso, ha i conti in ordine, offre servizi nella sanità e nel welfare mediamente di qualità deve correre addirittura il rischio di una penalizzazione e non essere messo, se non chiede nulla in più allo Stato, in condizioni di gestire le risorse che lo Stato spende oggi e poter correre più forte? Se Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia corrono più forte, fanno correre più forte anche il Paese, non il contrario.
  Chiudo con una suggestione, se può essere utile. Terremoto del 2012 in Emilia-Romagna. La particolarità di questo Paese è evidente da ciò che dirò adesso: prima viene nominato Errani commissario straordinario poi, dopo le dimissioni di Errani, viene nominato commissario straordinario Bonaccini, da sette anni per la prima volta in questo Paese i Governi che si sono succeduti hanno rinnovato la potestà commissariale straordinaria a qualcuno che è in quella regione e non arriva da fuori. I soldi sono arrivati dallo Stato, 5 Governi diversi (questa è la cosa che fa dell'Italia un Paese un po’ particolare) in 7 anni, Governo Monti, Governo Letta, Governo Renzi, Governo Gentiloni e Governo Conte, con tutti abbiamo avuto un ottimo rapporto. Quattordici miliardi di euro di danni. Secondo terremoto più devastante per danni causati, dopo quello dell'Irpinia. Il Presidente Mattarella ha detto che sarà una ricostruzione che si potrà definire esemplare, al pari di quella del Friuli, anche perché la ricostruzione sta andando verso il termine. I soldi arrivavano da Roma, tutti, però la gestione è stata fatta con il presidente della regione, i sindaci del territorio, le parti sociali. Lì si vede come, a parità di costo, funzioni una gestione nel territorio; non perché noi siamo più bravi e più capaci, ma soltanto perché su quelle questioni abbiamo una maggiore conoscenza di quello che succede.
  Ho usato quell'argomento non per trasporto, ma per dire che siamo convinti (in questo siamo un po’ presuntuosi, parlo anche a nome degli altri miei colleghi che hanno chiesto l'autonomia) che se oggi lo Stato spende 100 per una competenza, il fatto di poterla far spendere a noi o a chi per noi (non contano i nomi e cognomi, né le appartenenze politiche, parlo come istituzione) potrebbe dare una responsabilità certo superiore, ma forse potrebbe aiutare a far recuperare.
  Farò un altro esempio: siamo una delle regioni più manifatturiere del mondo, al pari di Veneto e Lombardia, dove si produce quasi la metà, anzi qualcosa in più, Pag. 12del PIL, se consideriamo il bacino padano. La chiamiamo autonomia differenziata perché le regioni sono differenti: da noi abbiamo imprenditori che non riescono a trovare figure specializzate per ricoprire incarichi, non perché manchino le risorse o non ci siano commesse, ma perché non trovano persone formate.
  Nella richiesta di autonomia proponiamo, a parità di risorse, di poter fare una scelta: rafforzare la rete politecnica per i post diplomati e poi quella tecnopoli e alta capacità con le università per i laureati. Si prenderebbero (lo dico con una battuta) due piccioni con una fava se fossimo capaci di farlo, perché oggi, il 50 o l'80 per cento dei lavori che faranno i nostri figli non esistono e, se si decidessero i lavori del futuro per i prossimi trent'anni, si prenderebbe una cantonata; tuttavia, credo che si possa fare una programmazione a cinque o dieci anni su alcune materie.
  Se la regione, qualunque essa sia, le università, l'Ufficio scolastico regionale, le imprese di quel territorio potessero delineare i settori specifici che servono, forse si potrebbero costruire percorsi formativi specifici, che per un po’ di anni possano rispondere alle richieste di personale. La fava è l'autonomia, i due piccioni sono coloro che danno uno sbocco a un post diplomato o laureato e le imprese che oggi non sanno dove battere la testa (non è un problema di una sola regione ma di tutte).
  Ho fatto questo esempio perché il comparto delle manifatture non è comune a tutta l'Italia, ma presenta un problema specifico in una parte del Paese che se si ferma rischia di far fermare anche l'altra parte.
  Credo che queste siano le questioni che dovremmo provare ad affrontare, dopodiché, perdonatemi, non posso sostituirmi al Governo, né voglio farlo. Abbiamo avanzato e indicato alcune proposte per individuare una soluzione a cui il Parlamento potrebbe arrivare e ho provato a discuterle. Spero che il Governo presto ci arrivi, per cercare con il Parlamento una soluzione, perché comprendo l'imbarazzo di chi deve dare un voto per assegnare l'autonomia a una regione senza sentirsi in grado di intervenire nel merito. D'altro canto, credo di capire l'imbarazzo delle singole regioni che, una volta stabilito con quel Governo un percorso delineato, peraltro dalla Costituzione, debba vederselo bocciato senza poter dire alcunché perché non si è rappresentati in quel consesso.
  Ultima cosa. Si era detto regioni a Statuto speciale. Sapete che nessuno ha potuto accedervi: è incostituzionale, prima bisogna cambiare la Costituzione. Vi dico la nostra versione: se fosse stato possibile chiedere di essere regione a Statuto speciale, l'Emilia-Romagna non l'avrebbe chiesto, perché non crediamo che questo Paese abbia bisogno di aggiungere altre regioni a Statuto speciale. Forse nella discussione che si fa sulle regioni a Statuto ordinario non sarebbe male, senza togliere nulla a ciò che la Costituzione assegna alle regioni a Statuto speciale con motivazioni peraltro diverse (politiche, storiche, geografiche), fare una valutazione anche su come vengono spese le risorse. Sarebbe un dibattito che non c'entra nulla con il merito di oggi, ma che potrebbe essere utile per il tema del regionalismo in questo Paese. Grazie.

  PRESIDENTE. Facciamo un altro giro di domande e poi lasciamo andare il presidente Bonaccini, che ha un altro appuntamento alle 9.30. Anche i colleghi devono andare in Senato.

  ROSA SILVANA ABATE. Presidente, devo veramente ringraziarla anche per le parole semplici che ha usato e per la semplicità con la quale ha trattato argomenti delicati e per certi versi anche dottrinali. Volevo però segnalarle (lo segnalo a tutta la Commissione e al presidente) che ad oggi non conosciamo ancora il contenuto della bozza di intesa. Lei faceva riferimento ai contenuti, che dovremmo conoscere, quindi faccio richiesta al presidente e alla Commissione, visto che mi sembra che il ministro Stefani si sia resa disponibile, di darci il documento sancisce tutto ciò che è stato fatto e detto.
  Come abitante della Calabria, una regione massacrata, balzata agli onori della cronaca forse solo per la gestione della Pag. 13sanità, che è disastrosa e ha indotto il ministro Grillo a emanare un "decreto Calabria" – dopo essermi laureata e trasferita a Bologna per viverci, sono ritornata nella mia terra – capisco alcuni passaggi prima ancora che come senatrice, emotivamente come cittadina. Però, come diceva il collega, se ci allontaniamo dall'unità nazionale, dai parametri costituzionali, non è più autonomia, ma altro, che sicuramente non farà bene al Paese.

  PRESIDENTE. Ricordo che il Ministro Stefani aveva detto che c'era solo una bozza presente nel sito e che ovviamente la bozza definitiva dovrà essere discussa in Consiglio dei ministri appena possibile. Solleciteremo la richiesta al Ministro Stefani per avere la bozza definitiva.

  MAURIZIO CAMPARI. Mi complimento per la chiarezza dell'esposizione in molti passaggi e mi rallegro per il fatto che bene o male, come impianto, in questa direzione, sentiamo parlare la stessa lingua dai presidenti di regione, perché il presidente Fontana e il presidente Zaia ci hanno rassicurato sul fatto che si tratta di un percorso assolutamente in una cornice costituzionale da cui non si allontana e che riguarda la possibilità di gestire le risorse già assegnate alle regioni, come ricordato anche dal presidente Bonaccini.
  Da emiliano quale sono, sarei stato ben contento di andare a votare per un referendum anche in Emilia-Romagna e ritengo che non debba sfuggire il fatto che è stato possibile avviare il percorso con una certa velocità anche grazie ai due referendum già pianificati in Lombardia e Veneto (credo sia giusto ammetterlo).
  Anche tutte le altre regioni sono seguite dopo l'Emilia perché Lombardia e Veneto che hanno fatto da apripista, non a caso dopo tanti anni che c'era questa possibilità, andando a legittimare questa scelta anche con un referendum. L'Emilia-Romagna ha potuto fare questo anche perché, una volta che la strada era stata aperta, ha potuto fare anche in altro modo, scegliendo un'altra strada, senza che questo debba inficiare il lavoro fatto da Lombardia e Veneto. Si è partiti con un progetto, quello dell'accordo tra Stato e regioni, che era già stato impostato dal Governo precedente. Il fatto che questo Governo sia partito a tre mesi abbondanti dalle votazioni è un'altra aggravante dal punto di vista delle tempistiche. Il referendum si è svolto il 22 ottobre e siamo a un anno e mezzo, ma in realtà è un anno che il Governo lavora e che si sta cercando seriamente di trovare un'intesa reale.
  Da un certo punto di vista sono assolutamente d'accordo. Ringrazio il presidente Bonaccini per aver fatto alcune specifiche importanti, per avere dimostrato che questa è una volontà bipartisan e che in modo bipartisan si vedono la soluzione e il percorso, perché nessuno vuole togliere niente a nessun altro, anzi rimane sempre una coesione sociale alla base di tutto, e per aver tranquillizzato la Commissione in questo senso.
  Dall'altra parte, però, tengo a sottolineare che possono esserci diversi percorsi, ma ritengo che sia stato e sia tuttora molto importante (credo che l'abbia riconosciuto anche il presidente dicendo che lavorano spesso all'unisono in Conferenza Stato regioni) dare a Cesare quel che è di Cesare.

  SONIA FREGOLENT. Ovviamente ho fatto le precisazioni che ho fatto perché nella relazione c'era sempre questo riferimento ad altre regioni e ad altre modalità di porsi. Ciò non significa che adottare un comportamento piuttosto che un altro, non sia in ogni caso corretto. Chiedo scusa, però non mi ha risposto. Lei è presidente della Conferenza delle regioni: quando avete sottoscritto quella pre-intesa, è stato definito un percorso con il Governo precedente e un ragionamento sulla scelta dello strumento che avete individuato per arrivare al regionalismo differenziato. Dire ora che deve esserci un intervento del Parlamento a monte rispetto a un'intesa o una pre-intesa sulla quale si sta lavorando, non è forse disconoscere lo strumento che avete scelto e individuato nel percorso già sottoscritto e avviato con il Governo precedente?

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, lascerei nuovamente la parola al presidente Bonaccini per la replica.

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  STEFANO BONACCINI, presidente della regione Emilia-Romagna. Per la verità, secondo me è esattamente il contrario di quello che dice lei, ma lo dico a tutela della sua regione, della mia regione e della Lombardia, perché se vogliamo mettere il Parlamento nella condizione di sentirsi umiliato o non coinvolto...

  SONIA FREGOLENT. Ma per quale motivo avete scelto quello strumento?

  STEFANO BONACCINI, presidente della regione Emilia-Romagna. Glielo spiego subito, però bisogna che lei ricordi le questioni del tempo. Il 22 si svolgono i referendum, la settimana precedente l'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna è stata la prima in Italia a conferire, con un voto dell'Assemblea stessa, al presidente Bonaccini il mandato per trattare con il presidente del Consiglio. La settimana successiva ci svolgono i referendum e il presidente della Lombardia, per primo, e quello del Veneto, poi, chiedono di attendere e provare a fare insieme, giustamente a mio avviso, perché non era importante chi arrivava prima, ma come si arrivava. Passano alcune settimane, perché le due Assemblee legislative di Lombardia e Veneto sono dovute andare in aula a votare il mandato ai presidenti per poter trattare e si arriva quasi alla fine dell'anno. Il 4 marzo erano previste le elezioni politiche, il Parlamento stava finendo i lavori e il Governo sostanzialmente non era più nel pieno delle sue funzioni, se non per le questioni urgenti e indifferibili.
  Sostenere che quello sia stato un percorso di poche settimane, coincidente con questo che è il percorso di un anno, e che prendeva la pre-intesa, non l'intesa, per permettere che il Parlamento e il Governo futuri non ricevessero a scatola chiusa una cosa che, come ho detto prima, decidemmo insieme tra non poche polemiche, anche politiche, anche della parte che rappresento. Perché volevamo piantare una bandiera che – si badi bene – a partire dai due referendum, che avevano chiamato milioni di persone a esprimersi, non poteva non essere riconosciuta, al di là delle opinioni legittime di ognuno di noi.
  Trovo quindi curioso che lei sostenga che era stato deciso tutto allora, quando, in poche settimane, abbiamo cercato di mettere un paletto ben piantato nel terreno, per evitare che qualcuno, in seguito, facesse ripartire tutto da capo. Abbiamo iniziato sostanzialmente a luglio a riprendere la discussione con il Ministro Stefani e con il Governo, quindi siamo a poco meno di un anno, non poche settimane, ma poco meno di un anno. Diciamola così, fuori dalle polemiche: forse nella maggioranza di Governo da un anno o un anno fa si aveva maggiore fiducia di quanta ce ne sia stata in seguito. Posso esibire numerosissime interviste rilasciate a presidenti di regione e leader politici che annunciavano che l'autonomia sarebbe stata concessa di lì a poco.
  Questo è possibile in politica, però non addossate questa responsabilità a chi non ne ha alcuna, perché io chiedo che l'autonomia differenziata ci venga concessa il prima possibile, non faccio altro, e come presidente della Conferenza delle regioni insieme ai miei colleghi abbiamo persino cercato di giungere a un documento unitario che andasse nella direzione di cercare una strada che evitasse uno scontro frontale persino nei princìpi, perché abbiamo tutto l'interesse, almeno noi che quel percorso l'abbiamo iniziato da un bel po’ di tempo, che possa essere concluso con un voto favorevole del Parlamento, perché se una parte del Parlamento decide per motivi propri, che non voglio sindacare, che prima ancora che nel merito c'è un problema di cornice, ho il timore che non arriveremo mai a consegnare l'autonomia differenziata alle regioni.
  Credo sia nel nostro interesse, che l'autonomia l'avremmo voluta già ieri senza aspettare domani, che questo avvenga, e nella definizione di alcuni princìpi ho provato a spiegare quelli che a mio parere possono essere utili. Credo, come anche i miei colleghi, che in quell'ambito possa essere trovata un'intesa e ho apprezzato che qualche presidente anche di regioni meridionali (oggi più di uno) dica che forse la sfida, al di là di avere certezza su alcune questioni, possa essere anche per quelle realtà del Paese virtuosa e positiva. Pag. 15
  Non voglio togliere nulla della bontà del percorso di prima o degli errori del percorso di prima o di quello di oggi, dico solo che sono un po’ preoccupato (mi permetto di dirlo come presidente della mia regione) per un percorso che non vedo quando potrà essere concretamente concluso, perché non occorre solo trovare l'accordo con i singoli Ministeri, ma anche quello tra Governo e regione e c'è tutto il tema della discussione che dovrà avvenire in sede di Consiglio dei ministri, quindi di Governo, e poi in sede parlamentare.
  Se voi che siete più addentro di me nelle stanze del Governo centrale e avete interlocuzioni con esponenti importantissimi del Governo avete l'impressione che siamo vicini a una conclusione, io ne sono soltanto sollevato e molto contento. Ho detto che ho la preoccupazione, che ho espresso come presidente della mia regione, non come presidente della Conferenza delle regioni, di essere ancora in una situazione di stallo che mi preoccupa. Detto questo, dobbiamo lavorare perché le cose possano essere realizzate nell'interesse del Paese, dei nostri territori e sono convinto che cercheremo di arrivare il prima possibile a una soluzione massimamente condivisa.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Bonaccini e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.35.

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