XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 11 aprile 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Piastra Carlo , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL PROCESSO DI ATTUAZIONE DEL «REGIONALISMO DIFFERENZIATO» AI SENSI DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE

Audizione del professor Andrea Giovanardi, professore di diritto tributario presso l'Università di Trento.
Piastra Carlo , Presidente ... 2 
Giovanardi Andrea , professore di diritto tributario presso l'Università di Trento ... 2 
Piastra Carlo , Presidente ... 6 
Conzatti Donatella  ... 6 
Abate Rosa Silvana  ... 7 
Piastra Carlo , Presidente ... 7 
Giovanardi Andrea , professore di diritto tributario presso l'Università di Trento ... 7 
Piastra Carlo , Presidente ... 8

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
CARLO PIASTRA

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Andrea Giovanardi, professore di diritto tributario presso l'Università di Trento.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul processo di attuazione del «regionalismo differenziato» ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, l'audizione del professor Andrea Giovanardi, professore di diritto tributario presso l'Università di Trento, cui lascio subito la parola.

  ANDREA GIOVANARDI, professore di diritto tributario presso l'Università di Trento. Grazie, presidente. Ringrazio per questa opportunità che mi offrite. Sono molto onorato di essere qui e rivolgo il mio saluto ai deputati e senatori presenti.
  Per la mia audizione, che si inserisce nell'ambito di un'indagine conoscitiva sul processo di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, ho predisposto una relazione che è stata consegnata e che in parte seguirò, ma c'è molto altro rispetto a quanto esposto nella relazione.
  Oggi affronterò i profili finanziari del processo di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, anche perché ho avuto occasione di studiarli molto da vicino, o meglio ho avuto l'occasione di seguire la formazione della norma, perché sono uno dei componenti della Delegazione per l'autonomia differenziata della regione Veneto e quindi questa norma la conosco molto bene.
  Faccio riferimento alla norma contenuta nell'intesa che, a quel che mi risulta, è stata presentata in Consiglio dei ministri il 14 febbraio scorso. Faccio riferimento a questa disposizione e in molte occasioni cito questa norma, che era anche apparsa nel sito del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, comunque ciò che esporrò dovrebbe essere comprensibile anche senza il testo dell'articolato.
  Qual è il punto di partenza del processo di attuazione dell'autonomia differenziata dal punto di vista finanziario? Magari dico cose che già sapete, ma mi serve per dare un ordine a quello che dico. Il punto di partenza è la spesa storica. Questo vorrei dirlo con estrema chiarezza: nella norma c'è chiaramente scritto che, a seguito dell'assegnazione delle nuove funzioni e dei nuovi compiti, quindi delle materie, la regione avrà tanta spesa quanta ne aveva lo Stato, quindi la regione spenderà sul territorio, nella fase di avvio, tanto quanto sta spendendo lo Stato.
  Nella fase di avvio, quindi, non c'è e non può esserci alcun problema di tenuta dei conti pubblici, perché cambia semplicemente il soggetto che eroga il servizio ma sempre sulla base della spesa storica.
  Ovviamente qui nasce – è il secondo punto – una prima questione, perché l'articolo 116, terzo comma, fa rinvio ai princìpi dell'articolo 119, che è la vera e propria norma sui rapporti finanziari interistituzionali che c'è nella Costituzione, e nell'articolo 119, che segna il passaggio da una finanza derivata a una finanza originaria, si individuano, per il finanziamento Pag. 3integrale di funzioni e compiti delle autonomie, alcuni strumenti di finanziamento: dai tributi alle entrate proprie, le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio e poi i trasferimenti di tipo perequativo.
  Non c'è altro, quindi evidentemente la spesa che passa alla regione non poteva essere finanziata con trasferimenti, perché se noi finanziassimo quella spesa trasferendo le risorse dallo Stato alla regione ad autonomia differenziata, ci porremmo in palese conflitto con l'articolo 119 della Costituzione. Qual è quindi la scelta obbligata, qual è lo strumento che si poteva scegliere? Di certo non i tributi e le entrate propri, perché il fatto che la regione gestisca l'istruzione non potrebbe giustificare l'imposizione di eventuali ulteriori tributi per quella regione, perché si stanno trasferendo delle spese, quindi l'unico strumento possibile per finanziare le nuove competenze è la compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibile al territorio.
  Nella bozza di intesa si prevede infatti che le nuove competenze saranno finanziate o con compartecipazioni stricto sensu o con riserve di aliquota o aliquote riservate. L'aliquota riservata è una forma di compartecipazione, ed è previsto che le compartecipazioni o le aliquote riservate saranno all'IRPEF o a eventuali altri tributi, che saranno individuati dall'apposita Commissione paritetica Stato/regione, che dovrebbe essere istituita a seguito dell'attuazione dell'autonomia differenziata.
  La Commissione paritetica Stato/regione potrà quindi decidere se, ad esempio, fare esclusivo riferimento a una compartecipazione all'IRPEF, se scegliere altri tributi, se utilizzare in modo congiunto compartecipazioni e aliquote riservate. Ovviamente in questa fase non era assolutamente possibile o immaginabile una soluzione diversa, comunque è una soluzione del tutto compatibile con la Costituzione.
  Qual è il profilo di delicatezza di questo secondo passaggio? Che l'effetto delle compartecipazioni – parlo di compartecipazioni, ma è come se dicessi aliquote riservate – è che, se l'economia regionale e quindi se il PIL cresce e quindi il gettito del tributo compartecipato cresce, evidentemente la regione potrà disporre di ulteriori risorse. Se la spesa storica trasferita è un miliardo – sto facendo ovviamente un esempio – all'inizio si determinerà una compartecipazione all'IRPEF, se scegliamo solo l'IRPEF, di un miliardo, e quella sarà il 20 per cento dell'IRPEF di quel momento. Se poi il gettito cresce, il 20 per cento dell'IRPEF non genererà più un miliardo, ma qualcosa in più.
  D'altra parte, se il gettito diminuisce, evidentemente il 20 per cento di un gettito diminuito determinerà minori risorse a disposizione della regione per coprire quelle spese. Questo non deve stupire, perché le traiettorie autonomistiche richiedono forme di responsabilità che non possono e non devono essere eluse. Quindi la regione acquisisce una competenza: evidentemente con la compartecipazione, se le cose andranno bene, magari anche in ragione del federalismo rafforzato, riuscirà ad avere ulteriori risorse, ovviamente senza vincolo di destinazione, che potranno essere spese come la regione ritiene e potranno anche essere utilizzate per ridurre il carico impositivo di competenza, viceversa, se il gettito diminuisce, la regione si troverà con meno risorse, che dovrà per forza coprire senza alcun intervento dello Stato. Questo è il secondo passaggio.
  Veniamo al terzo passaggio. Abbiamo detto che si parte dalla spesa storica, non è però ovviamente possibile rimanere ancorati alla spesa storica, perché è l'ordinamento che ci chiede il superamento del criterio della spesa storica. Se leggiamo l'articolo 1 della legge n. 42 del 2009 – la legge di delega per l'attuazione del federalismo fiscale e quindi dell'articolo 119 – proprio all'inizio della relazione, dopo aver fatto riferimento all'autonomia di entrata e di spesa, ai princìpi di solidarietà e di coesione sociale, è scritto: «in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica». Perché? Perché la spesa storica è, ovviamente, iniqua in quanto premia chi ha sprecato le risorse e danneggia, invece, chi Pag. 4delle risorse ha tenuto conto, evidentemente gestendole al meglio.
  È questa la ragione per cui nella bozza e nelle bozze di intesa – la norma è assolutamente identica tra Lombardia e Veneto, non cambia in alcun modo – è scritto che entro un anno si dovrà passare dalla spesa storica ai fabbisogni standard, che dovranno essere individuati, certamente non dalla commissione paritetica Stato-regione, ma da un comitato Stato-regioni, cui parteciperanno tutte le regioni, che servirà a determinare i fabbisogni standard che sarà il criterio utilizzato in sostituzione di quello della spesa storica.
  In realtà, il tempo previsto è più di un anno. Sono infatti previsti tre anni. Perché tre anni? Dopo tre anni dovrebbe essere applicata una clausola, che sta generando significative polemiche, di cui dirò in seguito.
  Se per il passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei fabbisogni standard si riuscisse a impiegare un anno, meglio, altrimenti ne serviranno tre, senza che sostanzialmente succeda nulla.
  Faccio presente che non dobbiamo ingigantire questo passaggio o le difficoltà del passaggio. Come peraltro ha osservato il professor Zanardi – che fa parte anche dell'Ufficio parlamentare di bilancio – un conto è determinare i fabbisogni standard dei comuni, dove abbiamo a che fare con un'estrema eterogeneità dei servizi forniti e con condizioni finanziarie di partenza molto differenziate. Qui, invece, abbiamo una situazione in cui lo Stato ripartisce già la spesa in una logica di fabbisogni: pensate all'istruzione, che è la materia principale per quanto riguarda l'autonomia differenziata e dal punto di vista del finanziamento, fa la parte del leone. Siamo dunque in una situazione per cui possiamo anche pensare che i fabbisogni standard non saranno, dal punto di vista della modalità di determinazione, molto diversi da quelli già determinati oggi. Questo dovrebbe essere un passaggio che si riuscirà a realizzare. Non dobbiamo fare il solito discorso per cui i fabbisogni standard non arriveranno mai, non ce la faremo mai, come per altre situazioni che si sono verificate nel nostro Paese.
  Sostanzialmente si parte dalla spesa storica e non si possono scegliere strumenti di finanziamento diversi dalle compartecipazioni o dalle aliquote riservate, quindi sono strumenti compartecipativi, e non possiamo scegliere altre strade, perché a questo ci obbliga la Costituzione. Ovviamente poi, nelle bozze, è previsto un passaggio, un superamento della spesa storica, come ci chiede l'ordinamento e, in realtà, anche un senso di giustizia che dovrebbe albergare nel cuore di ognuno di noi. Il criterio della spesa storica deve essere, quindi, assolutamente superato.
  La norma finanziaria si chiude con una clausola di garanzia, che ha generato notevoli polemiche. Per me, le clausole di garanzia – lo dico subito – dovrebbero essere due. Nella norma c'è una clausola di garanzia ma ne manca una seconda. Illustrerò la clausola di garanzia presente per poi parlare di quella che non c'è.
  La clausola di garanzia presente dice che se non si addiviene alla determinazione e all'applicazione dei fabbisogni standard entro il triennio successivo al trasferimento delle competenze alle regioni, l'ammontare di risorse assegnate alla regione per l'esercizio di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia non potrà essere inferiore al valore medio nazionale pro capite della spesa statale per l'esercizio delle stesse.
  Se l'ordinamento non individua i fabbisogni standard, non mi sembra sia corretto, evidentemente, che la regione che ha ottenuto l'autonomia differenziata sulla base della spesa storica debba continuare ad andare avanti facendo riferimento alla spesa storica, tanto più che la spesa per abitante, la spesa pro capite, di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – la trovate nell'allegato 1 della relazione e sono dati del Ministero dell'economia e delle finanze rubricata come «spesa statale regionalizzata per l'anno 2017» – è rispettivamente all'ultimo, al penultimo e al terzultimo posto delle spese pro capite, e sto parlando di spesa statale regionalizzata in Italia.
  Se alle tre regioni vengono attribuite le competenze a spesa storica, è probabile Pag. 5che, se nei tre anni non saranno applicati i fabbisogni standard – diversamente, questa clausola di garanzia non verrà mai applicata –, evidentemente dovrebbe essere riconosciuto il valore medio della spesa, che ovviamente sarà più alto o potrebbe essere più alto. Questo significa che l'aliquota di compartecipazione sale, ma anche con i fabbisogni standard potrebbe capitare che l'aliquota di compartecipazione salga. L'aliquota di compartecipazione all'inizio è fissata sulla base della spesa storica. Se i fabbisogni standard sono più alti, viene rideterminata sulla base di questi. Il valore medio è più alto e non copre i fabbisogni standard? Sarà determinato sulla base del valore medio. Sinceramente, a me questa clausola sembra sacrosanta, e invece mi dispiace che ne manchi un'altra.
  Se l'autonomia differenziata è l'unica possibilità che abbiamo dal punto di vista del perseguimento di strategie autonomistiche – se la scelta è di perseguire strategie centralistiche, allora rimaniamo come siamo – qual è la clausola che manca? Nel sistema ad autonomia differenziata, nell'attuale sistema, è prevista la compartecipazione al gettito di tributi erariali. I tributi erariali, ovviamente, sono tributi dello Stato, sui quali interviene lo Stato.
  Che cosa potrebbe accadere? Viene riconosciuta una compartecipazione a un tributo, come ad esempio l'IRPEF, peraltro in profondissima crisi e in fase di trasformazione, sempre che ci siano le condizioni, e che cosa potrebbe accadere? Potrebbe accadere che, se domani viene varata una flat tax, evidentemente prima c'era la compartecipazione a un tributo che attribuiva un gettito con una determinata aliquota, e poi si avrà la compartecipare allo stesso tributo che produce un gettito diverso, perché si è deciso, ovviamente a livello centrale – giustamente a livello centrale – che le aliquote dell'IRPEF o la base imponibile dell'IRPEF vengano rideterminate in modo tale da ridurre la pressione fiscale.
  Allora, la regione che ha ottenuto l'autonomia differenziata si trova nella necessità di coprire la spesa senza avere una compartecipazione a un gettito del tributo quale era quello iniziale. Quale dovrebbe essere, allora, la clausola di garanzia? Quella di compensare il minor gettito derivante dagli interventi unilaterali dello Stato sui tributi ai quali la regione compartecipa.
  Questo nella bozza, e dico che per me non va bene, non c'è. Mi sono permesso di portare un esempio di norma, che era la norma su cui – dico la verità – si era molto discusso e alla fine non era stata approvata. La trovate nel paragrafo 4 della relazione.
  Dico due cose sulle critiche, perché adesso ho descritto in modo più sintetico possibile i contenuti della norma finanziaria e qual è stata la logica della norma finanziaria, che mi sembra una logica molto prudente. Quali sono state le critiche? Ve ne sono di due tipi.
  La prima critica, che è una critica costruttiva, che apprezzo, deriva da una preoccupazione: la preoccupazione per i conti dello Stato, per gli equilibri della finanza pubblica.
  Io ho citato il professor Bordignon, ordinario dell'Università Cattolica, ma soprattutto c'è stato un intervento che mi è sembrato centrato, anche se ovviamente non lo condivido, del professor Zanardi, che dice: «Questa situazione, per effetto del meccanismo delle compartecipazioni, farà sì, per forza di cose, che le regioni potranno avere, se le cose vanno bene, più risorse di quelle che hanno oggi e le risorse in più delle regioni ad autonomia differenziata potrebbero generare ovviamente problemi, perché la coperta è un po’ corta». Questo è un po’ il discorso.
  Lui dice che ci sono due possibilità agli opposti poli. La prima è: si fa tutto con le compartecipazioni, poi lo Stato, o magari organi che prevedono la partecipazione delle autonomie, potranno intervenire sulle aliquote di compartecipazione, qualora ve ne sia la necessità. Quindi, se è così, la regione ottiene l'autonomia sapendo di avere il 20 per cento di aliquota di compartecipazione a un tributo, ma lo Stato, se c'è necessità, potrebbe imporre l'anno prossimo un 18, un 16 per cento o quel che è. A me questa sembra – ma lo pensa anche Zanardi – una proposta inaccettabile, perché evidentemente, se una regione ha ottenuto l'autonomia, Pag. 6 deve avere la certezza che avrà quelle risorse e deve avere anche un incentivo. L'incentivo è che, se si gestisce bene tutto ciò che è stato assegnato, avrà maggiori risorse, perché altrimenti l'autonomia non ci interessa. Se una regione che ottiene l'autonomia deve comunque contrattare le risorse, tanto vale che lasci le competenze allo Stato.
  All'altro polo il professor Zanardi mette il nostro modello – quello che ho descritto –, per optare alla fine per una terza via. Lui dice che ci sono delle materie sulle quali si ha a che fare con i livelli essenziali delle prestazioni, e in queste materie lo Stato dovrebbe poter intervenire sulle aliquote di compartecipazione qualora vi sia un'esigenza nazionale. Nelle materie non LEP, invece, le aliquote di compartecipazione rimangono tali e rimangono intoccabili. Anche questa proposta a me sembra discutibile e inaccettabile. Peraltro, domani sarò all'Università Cattolica per un convegno su questi argomenti e lo dirò al professor Zanardi personalmente, ma l'ho anche scritto.
  Perché dico questo? Perché la gran parte del finanziamento di cui stiamo parlando, signori deputati e signori senatori, è per l'istruzione, che, secondo dati del professor Zanardi, tra Lombardia e Veneto, comporta una spesa di 7 miliardi di euro. Se l'intervento dello Stato dovesse riguardare proprio la materia dell'istruzione, si potrebbe ritornare nella prima ipotesi, perché il grosso di quello di cui la regione può disporre può essere messo in discussione dallo Stato.
  Non andrei poi a ingigantire il problema dell'effetto della compartecipazione sul territorio, che è una sfida, perché il gettito potrebbe anche diminuire. Attenzione, stiamo parlando della quota addizionale. Se l'istruzione costa 7 miliardi di euro tra Lombardia e Veneto, ho la copertura. In realtà, quello che la regione percepisce sarebbe una quota – perché ha solamente una quota – del maggior gettito, il resto rimane allo Stato, giustamente. Ci mancherebbe altro. Pertanto, se l'economia regionale cresce, ne ha vantaggi anche lo Stato, perché mantiene la quota del maggior gettito non destinata alla regione attraverso l'aliquota di compartecipazione.
  Pertanto, questa paura che le regioni ad autonomia differenziata diventino una sorta di enclave, distaccata completamente dai destini della finanza pubblica nazionale, non mi convince per niente, anzi potrebbe sicuramente verificarsi che, proprio in ragione dell'autonomia, il gettito cresca in modo talmente consistente da comportare addirittura un aumento di risorse per lo Stato.
  Sulla seconda tipologia di critiche non so se ho tempo, altrimenti, magari rispondendo, ne farò cenno.

  PRESIDENTE. Ricordo che è previsto un intervento del presidente del Consiglio Conte alla Camera dei deputati, quindi sarebbe opportuno che i commissari nel giro di domande – una per gruppo – fossero il più possibile pertinenti, senza dilungarsi troppo, e andassero direttamente al punto. Siamo un po’ stretti con i tempi. Dopo le domande dei commissari eventualmente lei può integrare il suo intervento con la parte finale, naturalmente sempre in maniera il più possibile sintetica. Eventualmente potrà inviarci del materiale aggiuntivo alla relazione già distribuita.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DONATELLA CONZATTI. Io vorrei farle una domanda, avendo un po’ presente la dinamica finanziaria della provincia autonoma di Trento. Partiamo da un presupposto, illustrato dal professor Cerea in questa Commissione: la spesa statale chiaramente non è attribuita in base al gettito prodotto, perché si creerebbe una disparità su base territoriale nazionale, ma in base ai fabbisogni. In primo luogo, vorrei capire come il metodo impostato nelle intese si concili con questo principio di base.
  La seconda domanda riguarda i maggiori gettiti. La provincia autonoma di Trento, con i maggiori gettiti, ha avocato maggiori competenze e più materie. In questo caso le materie ovviamente sono ventitré, sono in questa fase un numero chiuso Pag. 7e vengono chieste in maniera unitaria. Mi chiedo come possa essere gestita la partita del maggior gettito, se immaginiamo che tutte le ventitré materie partano nello stesso momento, ovvero nel momento di sottoscrizione dell'intesa. Infatti, la provincia autonoma di Trento ovviamente non ha gestito così, anzi in fase di implementazione delle materie, come ci è stato detto proprio in questa sede, il trasferimento della materia dell'istruzione ha richiesto dodici anni di lavoro, con un trasferimento graduale relativo a comparti diversi dell'istruzione.
  Mi domando come possano essere approcciate queste ventitré materie, anche dal punto di vista organizzativo, immaginando un trasferimento unitario.

  ROSA SILVANA ABATE. Grazie innanzitutto per la sua relazione. Vorrei porle una domanda sulle tre proposte del professor Zanardi. Come mai lei non concorda con la terza soluzione, vale a dire dove ci sono le materie LEP applichiamo quelle e per le altre, non la spesa storica, ma – aggiungo io – i fabbisogni standard?

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Giovanardi per la replica.

  ANDREA GIOVANARDI, professore di diritto tributario presso l'Università di Trento. Per quel che riguarda la situazione di Trento e il Trentino, che ovviamente conosco bene, ripeto che nel modello si parte dalla spesa storica e successivamente si dovrà arrivare ai fabbisogni standard. Io non vedo diversità da questo punto di vista, se non che ovviamente in Trentino – ma lo stesso vale per la provincia autonoma di Bolzano o, in fondo, come modello anche per le altre regioni a statuto speciale – si è partiti, ma perché diverse erano le ragioni storiche, facendo un ragionamento di compartecipazione al gettito di tributi erariali.
  Quello che è stato riconosciuto, però, lo è stato indipendentemente dalla spesa che doveva essere sostenuta. Dopo vado oltre, ma i nove decimi iniziali del Trentino non sono stati riconosciuti perché il Trentino doveva spendere la somma dei nove decimi.
  Che cosa ha fatto poi, giustamente, la provincia autonoma di Trento, direi anche in modo lungimirante? Ha cercato di ottenere altre competenze – pensiamo all'accordo di Milano – ad esempio anche per l'università. Il mio stipendio è pagato dalla provincia autonoma di Trento, che ha cercato di riempire di contenuto la sua autonomia, ma anche perché – diciamo la verità – diversamente il riconoscimento dei nove decimi sarebbe diventato sempre più difficile da sostenere. È stata una politica lungimirante per giustificare la propria autonomia e la disparità con il resto del Paese.
  Qui la partenza è diversa. Che siano dieci, quattordici, tredici o ventitré materie, si fa la somma di quello che lo Stato spende per queste materie e quella diventa la compartecipazione iniziale.
  È chiaro che la compartecipazione iniziale cambierà quando saranno definiti i fabbisogni standard, perché sarà differente rispetto alla spesa storica, e questo è ovvio ed è corretto. Potrebbe poi cambiare se scattasse la clausola di garanzia.
  Per quel che riguarda la seconda domanda, la soluzione terza del professor Zanardi, che – sia chiaro – io stimo moltissimo, è una soluzione che non condivido per questa ragione. Alla fine, l'unica materia dove ci sono i LEP, che può essere trasferita, è l'istruzione, perché nella sanità ci sono già i LEA e quello che chiedono le regioni che vogliono l'autonomia differenziata nella sanità si inserisce in una cornice nazionale e si tratta di avere un po’ più di margine di manovra nella gestione del sistema sanitario. Lì, però, non ho un problema di livelli essenziali delle prestazioni o di livelli essenziali di assistenza. L'unica tra le nostre materie con cui abbiamo un problema LEP è l'istruzione.
  Se si adottasse l'impostazione di Zanardi, cosa accadrebbe?
  Per la gran parte del finanziamento riconosciuto alle regioni, quello che deriva dall'istruzione, lo Stato potrebbe continuamente mettere in discussione le aliquote di compartecipazione. Se, però, lo Stato mette continuamente in discussione le aliquote di compartecipazione se io fossi il governatore Pag. 8 Zaia, non accetterei, perché ho bisogno – questo è un accordo bilaterale previsto dalla Costituzione – di certezze sulle risorse. Se ogni anno rideterminiamo quanto sarà riconosciuto in materia di istruzione, è evidente che la mia finanza regionale, che è una finanza più corposa perché ho ottenuto autonomia differenziata in alcune materie in accordo con lo Stato, è però una finanza non solida, perché ogni anno deve essere ricontrattata.
  L'autonomia porta per forza con sé, non la creazione di enclave, perché questo non è il caso, ma un po’ la marginalizzazione della regione autonoma rispetto alle scelte nazionali di finanza pubblica, altrimenti non c'è autonomia. D'altra parte, però, c'è anche responsabilità. Questo è il punto.
  Dico anche un'ultima cosa, ma rapidissimamente. Ci sono una serie di preoccupazioni espresse anche in modo, come ho scritto e ripeto, virulento e aggressivo, che non sono quelle di cui hanno parlato Zanardi, Bordignon e una serie di altri osservatori assolutamente di livello. C'è una serie di osservazioni che parlano di cittadini di serie A, cittadini di serie B, del fatto che ci troviamo di fronte alla secessione dei ricchi.
  In fondo, però, che cosa c'è dietro queste affermazioni un po’ forti? C'è, ovviamente, la paura legittima – è legittima, questa paura, e quindi è corretto il dibattito – che le scelte di autonomia differenziata mettano poi a rischio gli equilibri fragilissimi della finanza pubblica.
  Io posso dirvi, e vi ho allegato una serie di dati che ho tratto dai conti pubblici territoriali, che a me pare che, se continuiamo così, gli equilibri della finanza pubblica non saranno ugualmente in grado di sostenersi, perché c'è una situazione in cui abbiamo i territori del Nord – lasciamo stare il residuo fiscale – che giustamente, sia chiaro giustamente, trasferiscono una mole ingente di risorse ai territori del Sud. Tutto questo è giusto, perché c'è la perequazione.
  Qual è, però, l'obiettivo della perequazione? È che i divari si riducano, e quindi prima o poi le regioni meno fortunate dovrebbero crescere di più, e quindi dovrebbero anche garantire migliori servizi, soprattutto con riferimento a quei servizi su cui si fondano i diritti fondamentali che danno corpo alla cittadinanza.
  Questo, signori deputati e signori senatori, non sta assolutamente accadendo, e quindi noi abbiamo delle regioni in avanzo, che sono le regioni del Nord, avanzo che potrebbe essere pari al 10 per cento del PIL, avanzo che serve per garantire il deficit delle altre regioni. Dove cresce di più il PIL? Cresce di più nelle regioni in avanzo rispetto alle regioni in disavanzo. Qual è la conseguenza? La disgregazione, il conflitto e che i cittadini del Nord si sentono, a torto o a ragione, depredati perché devono pagare imposte alte, che servono per garantire gli equilibri ai cittadini del Sud. Non sto dicendo che questo sia giusto. I cittadini del Sud, altrettanto giustamente – vorrei chiarire – si sentono in una situazione in cui non possono disporre dei diritti di cui un cittadino dovrebbe disporre.
  Se vi sembra possibile che in questo Paese esista il fenomeno del turismo sanitario, allora continuiamo così per amore degli equilibri di finanza pubblica. A me pare che, invece, l'autonomia differenziata debba fare da propellente a un autentico cambio di prospettiva.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto il professor Giovanardi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.