XVIII Legislatura

XIV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 23 giugno 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Battelli Sergio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI STRUMENTI PER LA PREVENZIONE E LA RIDUZIONE DELLE PROCEDURE DI INFRAZIONE A CARICO DELL'ITALIA

Audizione del professor Roberto Adam.
Battelli Sergio , Presidente ... 3 
Adam Roberto  ... 3 
Battelli Sergio , Presidente ... 9 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 9 
Battelli Sergio , Presidente ... 10 
Bianchi Matteo Luigi (LEGA)  ... 10 
Battelli Sergio , Presidente ... 11 
Adam Roberto  ... 11 
Battelli Sergio , Presidente ... 13 
Adam Roberto  ... 14 
Battelli Sergio , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
SERGIO BATTELLI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del professor Roberto Adam.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Roberto Adam, nell'ambito dell'Indagine conoscitiva sugli strumenti per la prevenzione e la riduzione delle procedure di infrazione a carico dell'Italia.
  Saluto il professor Adam e lo ringrazio per aver accolto il nostro invito ed anche per aver voluto svolgere l'audizione in presenza.
  Il professore non ha certo bisogno di presentazioni: ricordo soltanto che ha insegnato diritto dell'Unione europea presso l'Università Tor Vergata di Roma e che, tra i suoi molti incarichi, è stato coordinatore della Struttura di missione per le procedure di infrazione del Dipartimento per le politiche europee presso la Presidenza del Consiglio. Al momento è docente presso la Scuola Nazionale dell'Amministrazione (SNA) della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Prima di cedere la parola al professore per il suo intervento, ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto ai deputati che lo desiderino. In proposito, richiamo l'attenzione dei parlamentari partecipanti da remoto sulla necessità che risultino visibili alla Presidenza, soprattutto nel momento in cui svolgono il loro eventuale intervento, pregandoli nel contempo di tenere spenti i microfoni fintanto che non sia giunto il momento di intervenire.
  Chiedo, inoltre, ai gruppi di far pervenire fin da ora alla Presidenza le richieste di intervento, al fine di organizzare il dibattito nel modo più ordinato e consentire a tutti i colleghi che lo desiderino di intervenire.
  Cedo quindi la parola al professor Adam, che sono certo ci fornirà preziose indicazioni in ordine alle criticità che determinano l'insorgere di nuove procedure di infrazione e la mancata positiva conclusione di quelle già avviate, nonché, auspicabilmente, anche dei suggerimenti su quali possano essere i rimedi per la prevenzione e la migliore gestione del contenzioso con l'Unione europea.

  ROBERTO ADAM. Grazie, presidente. La ringrazio per l'invito. Sono molto onorato di partecipare a questa indagine conoscitiva che ritengo estremamente utile, perché le infrazioni toccano un punto delicato della partecipazione del nostro Paese all'Unione europea.
  Da un lato, infatti, parliamo della violazione da parte dello Stato non di raccomandazioni o comunque di disposizioni flessibili e adattabili politicamente, bensì di norme giuridiche vere e proprie da esso accettate a Bruxelles; norme, peraltro, che governano i diversi settori di competenza dell'Unione in chiave di integrazione tra le realtà giuridiche, economiche e sociali dei diversi Stati membri, con la conseguenza che la loro violazione da parte di uno Stato si ripercuote in maniera più o meno diretta, Pag. 4 ma inevitabile, anche sugli altri, se non altro perché rende asimmetrico il funzionamento delle politiche dell'Unione.
  Dall'altro lato, le violazioni del diritto dell'Unione possono avere conseguenze anche pesanti a carico dello Stato inadempiente. Pesanti in chiave finanziaria – vedremo quali sanzioni pecuniarie ne possono derivare – ma pesanti anche politicamente, dato che, quando diventino espressione di una pratica diffusa e ripetuta, esse gettano un'ombra sull'affidabilità del Paese, di cui può diventare poi difficile liberarsi.
  Con la decisione di avviare questa indagine conoscitiva, voi avete evidenziato e sottolineato la vostra piena consapevolezza dell'importanza di una pronta e corretta attuazione degli obblighi europei da parte dell'Italia e della gravità delle procedure di infrazione che ne possono conseguire; consapevolezza che purtroppo, a mia esperienza, non è sempre altrettanto diffusa al di fuori di questa vostra Commissione.
  Ciò detto e prendendo spunto dal documento di programma di questa indagine, credo che sia opportuno partire prima di tutto da un'analisi dell'attuale situazione italiana.
  Ad oggi il numero di procedure di infrazione aperte nei confronti dell'Italia ammonta a 78. Di queste, 16 sono mancati recepimenti entro i termini di direttive. Le restanti 62 procedure riguardano, invece, tutte le altre violazioni del diritto dell'Unione che possono essere all'origine di una procedura di infrazione.
  Presi di per sé, questi numeri non sono del tutto negativi, quantomeno se si considera che essi vengono da un passato con ben altri numeri, passato che ci siamo lasciati alle spalle grazie a uno sforzo di riduzione che non ha assolutamente confronti nell'Unione. Fino a non molto tempo fa, infatti, sotto questo profilo l'Italia era costantemente la pecora nera tra gli Stati membri, e lo era peraltro con numeri decisamente superiori a quelle di tutti gli altri Stati. Basti pensare che nel 2006 contavamo ben 275 procedure di infrazione, le quali sono scese sotto le 100 a fine 2012, per attestarsi poi in maniera ormai costante intorno all'ottantina, seppur con oscillazioni periodiche che ci hanno visto anche raggiungere a fine 2017 il record positivo di sole 59 procedure.
  Ma, soprattutto, nella classifica degli Stati più inadempienti non siamo più i primi. Al momento i nostri numeri ci collocano al quarto posto insieme al Belgio, superati dalla Spagna con 93, dalla Grecia con 86 e dalla Polonia con 82. Soprattutto, siamo a ridosso della Germania, che ci segue in questa classifica con 75 procedure. E, ciò che più conta, va osservato che numeri significativamente più bassi, dalle cinquanta infrazioni in giù, sono appannaggio solo degli Stati decisamente più piccoli, e quindi politicamente e amministrativamente meno complessi del nostro, i quali comunque si collocano tutti, con la sola eccezione virtuosa della Danimarca con 27, tra le 50 e le 35 procedure in corso.
  Tuttavia, un'analisi più approfondita dei nostri numeri evidenzia pur sempre delle criticità, che segnalano l'esistenza ancora oggi di problemi nel nostro modo di affrontare gli obblighi di cui siamo destinatari in quanto Stati membri dell'Unione. In primo luogo, in questa legislatura, il processo sopra ricordato di diminuzione delle procedure di infrazione sembra essersi comunque arrestato dato che, come poc'anzi ricordato, il loro numero è costantemente risalito finendo per ricollocarsi intorno alle 80.
  In secondo luogo va osservato che in questi ultimi anni i risultati migliori in termini di numero di procedure a nostro carico coincidono sostanzialmente e prevalentemente con una diminuzione significativa di quelle riguardanti il mancato recepimento di direttive, mentre si è sostanzialmente arrestato il processo di riduzione delle altre procedure di infrazione, rispetto alla cui chiusura continuiamo a incontrare ricorrentemente difficoltà più rilevanti.
  Questa annotazione ci porta a un terzo punto di criticità dell'attuale situazione dell'Italia, che è anche quello più grave. All'interno del pacchetto complessivo di procedure a nostro carico, sopra ricordato, è da riscontrare, cioè, una gravità media piuttosto elevata del loro stato di avanzamento. Pag. 5Ben 22 di esse sono, infatti, già entrate nella fase contenziosa. Più precisamente, mentre per cinque procedure è stato deciso il primo ricorso alla Corte di giustizia, su undici la Corte si è già pronunciata con la sentenza di condanna. Per due di queste ultime la Commissione ha già adottato la messa in mora, che prelude a un secondo ricorso alla stessa Corte, per la comminazione di sanzioni pecuniarie. Per altre sei procedure, infine, siamo stati già condannati al pagamento di tali sanzioni.
  Ora queste 22 specifiche procedure non solo pesano per ben più di un quarto sul pacchetto complessivo, ma esse si collocano purtroppo anche alla testa di due virtuali, ma certamente non commendevoli, classifiche europee. Siamo, infatti, il Paese con più ricorsi alla Corte e sentenze di condanna, seguiti dalla Grecia, dalla Spagna e dalla Polonia, e siamo il Paese che ha pagato più sanzioni pecuniarie. Dal 2012 (data della prima condanna subita dall'Italia) ad oggi, infatti, abbiamo versato al bilancio dell'Unione ben 759 milioni di euro – per l'esattezza 152 milioni a titolo di somma forfettaria e 607 a titolo di penalità di mora – seguiti ahinoi solo da lontano da altri Stati membri: la Grecia con 350 milioni, la Spagna con 122, la Francia con 91 e via diminuendo.
  Quest'ultimo dato evidenzia, peraltro, l'ulteriore profilo di gravità della nostra gestione delle infrazioni europee: la difficoltà di dare soluzione alle infrazioni anche quando le stesse siano arrivate all'ultimo stadio del procedimento, quando cioè non vi è altra alternativa che porre rimedio all'inadempimento. Ricordo, infatti, che quest'ultimo stadio, disciplinato dall'articolo 260, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), consiste nel fatto che quando non si dia seguito a una condanna della Corte di giustizia per inadempimento del diritto dell'Unione, lo Stato può essere oggetto di una seconda sentenza di condanna, con la comminazione di una somma forfettaria per il tempo trascorso invano tra le due sentenze e di una penalità di mora per ogni giorno di ritardo nell'attuazione della seconda di queste.
  Ebbene, unica tra gli Stati membri per tutte le sei procedure prima citate che sono arrivate a questo stadio, l'Italia continua a dover pagare le penalità di mora comminateci dalla Corte di giustizia, benché quasi tutte le relative sentenze – fa eccezione solo l'ultima, riguardante il mancato recupero di aiuti di Stato all'industria alberghiera in Sardegna, che è del 2020 – risalgano molto indietro negli anni. La più vicina, infatti, è del maggio 2018 (acque reflue urbane), mentre le altre quattro sono rispettivamente di fine 2011 (mancato recupero di aiuti concessi per l'occupazione), del dicembre 2014 (discariche abusive incontrollate), di luglio 2015 (rifiuti in Campania) e di settembre dello stesso anno (mancato recupero di aiuti concessi a favore delle imprese di Venezia e Chioggia).
  La fotografia che ne esce è quella di un Paese che, nonostante grandi miglioramenti realizzati, incontra ancora grandi difficoltà a gestire le procedure di infrazione che superano una certa soglia di gravità, al punto che anche quando le stesse arrivano alla fase finale delle sanzioni, non riesce a trovare le soluzioni interne che gli consentono di rimettersi in linea con le regole europee, finendo così per trasformare il pagamento di quelle penalità al bilancio dell'Unione quasi in una sorta di routine ineluttabile.
  Di fronte a questo quadro cosa fare? Questa è la domanda a cui vuole rispondere l'indagine conoscitiva della vostra Commissione. Diciamo subito che molto si è già fatto, nel senso che rispetto al passato, non tanto lontano, l'Italia si è già dotata in questi ultimi anni di una buona cassetta degli attrezzi al riguardo.
  In primo luogo, da tempo è stata creata un'apposita struttura di missione presso il Dipartimento per le politiche europee, struttura che nonostante la sua formale precarietà – in quanto struttura di missione deve essere riconfermata da ogni nuovo Governo – è diventata di fatto, proprio per la sua utilità, un organismo stabile e centrale del Dipartimento. Essa si è dimostrata, infatti, uno strumento indispensabile per la gestione delle procedure di infrazione perché, rompendo con la tradizione precedente alla Pag. 6sua istituzione, tale struttura ha assicurato a quella gestione un carattere unitario e accentrato, che meglio ne garantisce l'efficacia rispetto a un decentramento in capo alle singole amministrazioni di settore o addirittura a quelle regionali e locali.
  Inoltre, l'esistenza di un punto di contatto unitario, per di più espressivo della Presidenza del Consiglio, ha reso più ordinato e agevole il dialogo con la Commissione, la quale può contare su un interlocutore sicuro e autorevole per i contatti con le differenti amministrazioni centrali e locali, e dal canto loro queste ultime sempre più riconoscono la struttura come utile punto di riferimento e di supporto tecnico e istituzionale e come indispensabile canale di contatto e di incontro con la Commissione.
  Oltre che di questo importante strumento operativo, l'Italia si è poi dotata in tempi recenti anche di nuovi strumenti normativi, volti proprio ad assicurare una miglior gestione del fenomeno delle procedure di infrazione. Il veicolo è stato, come è noto, l'approvazione dieci anni fa della legge n. 234. Essa contiene, infatti, non poche novità nella materia che stiamo esaminando. Queste si incentrano prima di tutto su un maggior coinvolgimento al riguardo proprio del Parlamento, che si è visto riconoscere forme di controllo sulla gestione delle procedure.
  Accanto alle già previste relazioni periodiche che il Governo è tenuto a trasmettere al Parlamento, è stabilito infatti che l'Esecutivo debba comunicare alle Camere, contestualmente alla notifica della Commissione europea, l'apertura di ogni singola procedura; ma non basta: il Parlamento deve essere informato anche di ogni sviluppo significativo relativo a procedure di infrazione che possano condurre a sanzioni pecuniarie e va inoltre trasmessa una relazione anche con riguardo ai motivi di eventuali ritardi nel recepimento di specifiche direttive europee.
  Ma non c'è dubbio che la principale novità che la legge n. 234 ha portato al riguardo è senz'altro lo sdoppiamento della cosiddetta «legge comunitaria», annuale, a suo tempo introdotta dalla legge La Pergola del 1989, in due specifici strumenti legislativi a oggetto proprio: la legge di delegazione europea, finalizzata unicamente al conferimento di delega al Governo per il recepimento di direttive, e la legge europea, destinata a contenere norme di attuazione diretta di quegli obblighi.
  La decisione di separare le sorti del recepimento delle direttive da quelle degli altri adempimenti europei attraverso lo sdoppiamento dei rispettivi contenitori legislativi è stata mossa dalla volontà di porre rimedio alle difficoltà storicamente incontrate dall'iter parlamentare dello strumento, pure ingegnoso, della legge comunitaria: difficoltà il più delle volte dovute più a contrasti politici riguardanti le norme di attuazione diretta che a problemi legati alle deleghe per il recepimento di direttive. D'altra parte, una velocizzazione dei tempi di tale recepimento si imponeva a fronte dell'accelerazione impressa dal Trattato di Lisbona al meccanismo sanzionatorio di questa specifica categoria di procedure di infrazione.
  Il nuovo articolo 260, paragrafo 3, prevede infatti, seppur limitatamente alle direttive legislative, che, in caso di mancato rispetto dell'obbligo di recepimento entro il termine indicato da ciascuna di esse, lo Stato possa essere condannato al pagamento di sanzioni pecuniarie fin dalla prima sentenza di condanna da parte della Corte di giustizia. L'idea che ha mosso il legislatore è stata, perciò che una legge annuale dedicata esclusivamente a queste ultime potesse essere suscettibile di avere un iter parlamentare più rapido, velocizzando di conseguenza almeno questa parte degli adempimenti europei dell'Italia.
  Ma proprio questa novità dimostra come anche le soluzioni normative più ambiziose possono trovare limiti nella loro applicazione pratica. Dopo un'approvazione velocissima delle prime leggi di delegazione ed europea – quelle del 2013, adottate in poco più di tre mesi dalla trasmissione alle Camere dei relativi disegni di legge – le successive si sono gradatamente attestate su tempi di approvazione comunque non più in linea con le aspirazioni che avevano mosso la legge n. 234. Pag. 7
  Nel caso della legge di delegazione, l'approvazione definitiva si è avuta sempre l'anno dopo quello di riferimento, con addirittura due casi di legge di delegazione biennale, anche se solo in parte ciò è avvenuto a causa dell'iter parlamentare. Per tutte, infatti, è stato piuttosto il relativo disegno di legge a essere licenziato dal Governo con ritardi da 7 a 13 mesi rispetto al termine previsto dalla legge del 28 febbraio. Nel caso delle ultime due, però, al ritardo del Governo ha cominciato ad aggiungersi anche quello del Parlamento. Ciò è avvenuto in particolare per l'ultima, la legge di delegazione 2019-2020, che licenziata dal Governo con un anno di ritardo, ha richiesto tre passaggi parlamentari e quindici mesi per essere approvata definitivamente il 20 aprile scorso.
  Dal canto suo la legge europea, per la quale la legge n. 234 non impone comunque un termine per l'approvazione da parte del Governo del relativo disegno di legge, si è collocata sostanzialmente nello stesso solco temporale di quella di delegazione, con aggravamento particolare però nel caso dell'ultima, il cui disegno di legge, dopo essere stato licenziato dal Governo solo il 29 luglio dell'anno scorso con riferimento al biennio 2019-2020, è stato approvato per ora dalla sola Camera il primo aprile scorso.
  È ovvio che tutto ciò rischia di ripercuotersi di nuovo negativamente in tempi brevi sulla situazione delle procedure di infrazione a nostro carico. Il ritardo nel completamento dell'iter di approvazione della nuova legge europea comporterà, infatti, un inevitabile aggravamento di procedure già aperte nei nostri confronti. Al suo interno vi sono, infatti, soluzioni normative per una dozzina di esse, delle quali tre già a parere motivato e quindi prevedibilmente destinate a trasformarsi a breve in altrettanti ricorsi alla Corte.
  Quanto, invece, alla legge di delegazione 2019-2020, basti pensare che delle 39 direttive per le quali essa ha conferito al Governo una delega al recepimento, dieci erano già scadute al momento della sua approvazione definitiva, mentre per 16 il termine di recepimento è scaduto nei giorni scorsi o interverrà tra luglio e i primi di agosto. Tutte, dunque, con la prospettiva non solo di passare a procedura di infrazione (o di aggravarsi per quelle che già lo sono), ma anche di vedere scadere la delega al recepimento. Come è noto, infatti, l'articolo 31 della legge n. 234 prevede che, laddove una direttiva sia già scaduta al momento dell'entrata in vigore della legge di delegazione o scada nei tre mesi successivi, la delega si considera prorogata per solo 90 giorni a contare da quella entrata in vigore.
  A fronte di questa e delle altre criticità che ho prima ricordato non rimane che chiedersi, in linea con l'obiettivo posto al centro della vostra indagine conoscitiva, quali soluzioni possono essere immaginate per proseguire nel percorso virtuoso a suo tempo intrapreso in materia. Una premessa, però: il punto di partenza non può che essere indicato in un rafforzamento della struttura di missione operante presso il Dipartimento delle politiche europee, nel senso che andrebbe studiata una soluzione che, pur preservando la flessibilità organizzativa e la consolidata specializzazione di tale struttura, sia capace di assicurarle una qualche forma di stabilizzazione. Ciò non solo per salvaguardare certezza e continuità della sua azione, ma anche per accrescerne formalmente il ruolo e di conseguenza l'autorevolezza di fronte ai suoi interlocutori.
  Ciò detto, è certamente difficile pensare ad altre soluzioni miracolose, anche perché, come più volte sottolineato, l'Italia ha già fatto molto al riguardo. Da questa base, però, si può partire, purché si abbia consapevolezza che per lo più i possibili miglioramenti non possono essere che sviluppi e adattamenti di meccanismi e pratiche già esistenti. Quelli possibili sono prima di tutto di carattere organizzativo e gestionale. Andrebbero accentuate due linee di comportamento delle amministrazioni coinvolte: un intervento quanto più anticipato sui problemi che stanno all'origine di ciascun inadempimento e la ricerca di soluzioni che spostino comunque quei problemi, dove è possibile, dalla disciplina generale alla sua applicazione pratica. Pag. 8
  Per quanto riguarda il primo punto, mi riferisco all'idea che l'azione di contrasto delle procedure di infrazione dovrebbe essere quanto più anticipata al momento in cui i Servizi della Commissione dispongono ancora di un certo margine di flessibilità. Questa flessibilità, infatti, può consentire di trovare nel dialogo con la Commissione soluzioni capaci di portare a un'archiviazione della procedura, che facciano però parzialmente salvi gli interessi all'origine dell'inadempimento.
  La ricerca di quel dialogo dovrebbe essere perciò tentata prima dell'apertura formale della procedura di infrazione o, quantomeno, quando questa è ancora a livello di messa in mora, visto che con il passaggio a parere motivato la Commissione perde quasi ogni margine di manovra, avendo ormai certificato con un atto formale e pubblico la sua valutazione di incompatibilità con il diritto dell'Unione di quel dato comportamento dello Stato.
  Da questo punto di vista, anzi, si potrebbe anche pensare, in alcuni casi, di sondare i Servizi della Commissione addirittura prima ancora di porre in essere atti la cui compatibilità europea è palesemente dubbia. Come dimostra la prassi in materia di aiuti di Stato, infatti, non sono rari i casi in cui un'iniziativa in questo senso dell'amministrazione competente può stimolare in modo ancora più costruttivo la disponibilità al dialogo e al compromesso di quei Servizi della Commissione.
  Quanto al secondo punto sopra indicato, lo spostamento dei problemi posti da un inadempimento dalla disciplina generale alla sua applicazione pratica, mi riferisco evidentemente a inadempimenti di origine legislativa, la cui eliminazione imponga inderogabilmente la messa in linea della legislazione nazionale con l'obbligo europeo oggetto dell'inadempimento. In casi del genere – si pensi, ad esempio, a quello annoso delle concessioni demaniali marittime a uso ricreativo – l'intervento normativo richiesto, laddove possibile, andrebbe costruito sì in conformità a quanto richiesto dal diritto dell'Unione, ma in modo tale da lasciare agli interessi in campo un margine di manovra in sede di applicazione pratica. Ciò consentirebbe di chiudere formalmente la procedura, rinviando eventuali criticità ai singoli casi concreti, soluzione la cui utilità può apparire più chiara quando si pensi che da tempo ormai la Commissione ha concentrato la sua attenzione sugli adempimenti sistemici, con l'idea che il controllo sui casi individuali debba essere, invece, lasciato in linea di principio alle autorità e ai rimedi nazionali.
  Nella chiave di anticipazione degli interventi sopraindicati, è possibile pensare anche a delle soluzioni utili per i problemi legati al recepimento delle direttive, con una premessa di carattere generale: quei problemi verrebbero certamente attenuati dalla creazione di un forte legame organizzativo e contenutistico tra la fase ascendente e la fase discendente in questo settore, cioè tra la fase negoziale di una direttiva e la sua trasposizione nell'ordinamento nazionale, nel senso che una gestione nazionale del negoziato europeo, coordinata e aperta agli interessi che ne saranno toccati, può prevenire problemi suscettibili di porsi successivamente, in sede di recepimento o di applicazione successiva della direttiva, permettendone una soluzione anticipata, con l'ulteriore vantaggio, mi si consenta, di evitare l'immagine ricorrente di un Paese che scopre solo al momento del recepimento o dell'applicazione pratica i problemi posti da una direttiva da esso stesso negoziata e approvata.
  Detto ciò, e venendo ai problemi più tecnici che incontra il recepimento delle direttive in Italia, anche dopo l'introduzione del nuovo strumento della legge di delegazione, qualche soluzione sembra possibile. La prima di queste potrebbe essere quella di stralciare dalla legge di delegazione la direttiva o le direttive che pongono problemi politici, rallentando l'iter parlamentare della legge. Esse potrebbero essere affidate a specifici disegni di legge delega, come consentito dalla stessa legge n. 234, o addirittura a una legge di delegazione bis per lo stesso anno di riferimento, ugualmente consentita dalla legge n. 234. Una volta di più si eviterebbe che il problema singolo finisca per ripercuotersi su tutte le Pag. 9direttive inserite in una legge di delegazione.
  Indipendentemente poi dal momento di entrata in vigore della relativa delega, andrebbe anche pensata una soluzione che consenta una velocizzazione dell'esercizio della stessa da parte delle amministrazioni. Questa soluzione potrebbe essere trovata anche qui in un'anticipazione di quell'esercizio. A complemento della norma della n. 234, che fissa il limite per l'esercizio della delega in quattro mesi precedenti al termine di recepimento indicato da ciascuna direttiva, si potrebbe infatti introdurre in via formale l'obbligo per l'amministrazione con competenza prevalente di trasmettere il testo dello schema di decreto legislativo di recepimento al Dipartimento per le politiche europee, ai fini dell'avvio del tavolo di coordinamento, in ogni caso sei mesi prima della scadenza del termine di esercizio della delega. Ciò consentirebbe di arrivare al recepimento della direttiva effettivamente entro i termini o, in caso di ritardo nell'approvazione della legge di delegazione, di disporre comunque del testo definitivo del decreto legislativo immediatamente al momento dell'entrata in vigore della legge.
  In chiusura, un'ultima considerazione rispetto al ruolo che può giocare il Parlamento nel contrasto del fenomeno delle procedure di infrazione. Come si è già detto, la legge n. 234 ha imposto al riguardo al Governo non pochi obblighi informativi a vantaggio del Parlamento. Viene da chiedersi se le Camere non possano o non debbano fare un uso proattivo di queste informazioni. Esse potrebbero essere prima di tutto utilizzate, specie attraverso le Commissioni per le politiche europee, in chiave di sollecitazione delle amministrazioni responsabili affinché le stesse trovino soluzioni rapide e adeguate. Per la verità la stessa legge n. 234 già impone al Ministro con competenza prevalente di trasmettere alle Camere una relazione che indichi le azioni che si intendono assumere ai fini della positiva soluzione di ogni nuova procedura di infrazione. Un'idea potrebbe essere, però, quella di trasformare tale relazione nella base per un'interlocuzione diretta, e se del caso periodica, tra il Ministro e la Commissione XIV, volta a individuare di concerto le migliori soluzioni per una chiusura rapida della procedura interessata.
  Un ruolo di controllo e di stimolo politico il Parlamento lo può poi giocare, da questo punto di vista, anche nel quadro della sua attività di parere sugli schemi di decreti legislativi di recepimento di direttive, che esso è chiamato a esercitare sempre dalla legge n. 234. Fermo restando il controllo sul merito, infatti, in questa stessa fase le rispettive Commissioni XIV potrebbero utilmente valutare anche gli eventuali profili di compatibilità europea del provvedimento di recepimento che si va a adottare.
  Non va infine ignorato, se mi è consentito, il fatto che parte delle procedure d'infrazione trovano origine anche nell'attività legislativa. Sotto questo profilo le Camere potrebbero svolgere un ruolo strategico e molto più incisivo nel contrasto delle procedure in occasione dell'esame dei disegni di legge e degli emendamenti. Del resto i regolamenti parlamentari, per quel che qui interessa l'articolo 126 del vostro Regolamento, già prevedono l'assegnazione alla Commissione XIV di tutti i progetti di legge per la formulazione di un parere circa i profili di compatibilità con la normativa dell'Unione.
  Questa competenza potrebbe ben essere esercitata al massimo delle sue potenzialità proprio nella chiave dell'obiettivo posto alla base di questa indagine conoscitiva. Ciò consentirebbe alla vostra Commissione di svolgere un ruolo da protagonista tanto nella prevenzione quanto nella gestione delle procedure di infrazione, diventando garante del rispetto da parte dell'Italia degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Adam. Passiamo agli interventi. Ha chiesto di intervenire la collega Businarolo, del gruppo Movimento 5 Stelle. Prego.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Grazie, presidente. Ringrazio il professor Adam, è Pag. 10stato molto illuminante. Ho capito che sostanzialmente il problema è adeguarsi, quindi adempiere alle direttive, sia nei tempi, sia nei contenuti. Evitare le infrazioni sarebbe fare le direttive nei tempi previsti, adesso a circa due anni dalla direttiva, e nei contenuti essere pedissequi in quello che la direttiva circoscrive. Ho capito che abbiamo quasi un miliardo di debito, siamo sui 700 e passa milioni, però lei ha detto che per alcune procedure, che sono già a un secondo step – quindi un primo grado è già fatto – non solo siamo debitori, ma abbiamo anche un debito che quotidianamente aumenta, ho inteso bene? Questo perché? Perché noi non paghiamo la sanzione prevista dalla sentenza di primo grado? Perché non applichiamo una direttiva? Perché continua ad aumentare il nostro debito? Questa è la prima domanda.
  Seconda domanda. È vero che quest'anno la legge di delegazione europea e la legge europea hanno visto la luce – la legge di delegazione sì, la legge europea ancora no – con grande ritardo. C'è stata la pandemia in mezzo, quindi il Parlamento è stato evidentemente impegnato nella rincorsa ad aiutare il Paese. Probabilmente non è stata una priorità per il Parlamento e per il Governo adempiere a certi altri impegni. Questo non vuol dire che non sia un impegno importante. Ma secondo lei solo l'Italia ha questo problema di tempistiche o, come penso, anche altri Paesi hanno avuto problemi ad adempiere ai loro procedimenti in termini di recepimento delle direttive?
  Se fosse un problema di tutti, per evitare che ci sia un'esagerazione di procedure di infrazione dovuta a un problema che riguarda un po' tutti, forse si potrebbe pensare a una vacatio, a un periodo nel quale si possono evitare queste procedure di infrazione lasciando un po' più di tempo. Come ha detto benissimo lei, noi siamo complicati, l'Italia è complicata, perché nel recepimento di certe direttive, che possono essere soprattutto politicamente controverse, ci si mette più tempo, ma non penso che altri Paesi siano messi diversamente. Questa è la seconda domanda: è un problema solo dell'Italia il fatto che quest'anno ha avuto un rallentamento, o anche altri Paesi hanno avuto questo problema e magari qualcuno sta pensando di evitare le procedure di infrazione?
  Mi ha affascinato molto il suggerimento che ha dato per quello che riguarda il velocizzare il recepimento delle direttive, e quindi evitare il problema dell'apertura delle procedure di infrazione con una legge di delegazione europea bis. Le direttive possono provocare problemi dal punto di vista politico. Direi moltissime, penso la maggior parte. Credo che tecnicamente siano veramente poche le direttive che possiamo circoscrivere come tecniche e molte di più quelle politiche. Comunque sia, era interessante questo suggerimento, ma volevo capire meglio: una legge delega bis, quindi una legge quadro, che da noi è una legge che poi produrrà un decreto legislativo, quindi un ulteriore passaggio in Italia, è già un recepimento per l'Europa, non per l'Italia, perché non è efficace? Cioè, non è produttiva di effetti una legge delega, o no? Perché sennò che senso ha sdoppiare il lavoro per allungare ancora di più i tempi? Se sì, come è possibile questo? Perché per noi non lo è; una legge delega non è una legge che ha un'efficacia tangibile, un decreto legislativo sì e una legge delega no.
  Poi magari a parte le chiedo su Venezia e Chioggia la procedura di infrazione che aveva citato all'inizio, che mi sembra di aver capito essere una di quelle più onerose. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Businarolo. Ora ho il vicepresidente Bianchi da remoto. Prego.

  MATTEO LUIGI BIANCHI(intervento da remoto). Grazie, professor Adam. Io volevo cercare di porre una considerazione, alla quale spero che il professor Adam possa dare una risposta, rispetto ad alcune sensibilità più che altro di natura politica. Ho compreso molto bene la dottrina nella sua esposizione che è stata assolutamente molto preziosa per meglio comprendere le dinamiche riguardo alle procedure di infrazione. Credo sia doveroso per il Parlamento italiano e per tutte le istituzioni Pag. 11tentare di creare le condizioni per superare quelle che purtroppo per il Paese poi, in termini anche di costi, sono delle ricadute di natura decisamente negativa.
  Però vorrei fare questa considerazione all'inverso, permettetemi. Se alcune direttive vengono percepite come ostative da parte della situazione politica del nostro Paese o della situazione politica di alcuni Stati membri in generale, perché magari violano anche una serie di principi tra cui il principio di sussidiarietà previsto dal Trattato di Lisbona – che spesso e volentieri è stato negli ultimi anni interpretato, per una serie di condizioni emergenziali eccetera, in maniera non troppo puntuale – se gli Stati membri ritengono che il principio di sussidiarietà non venga rispettato, che cosa possono fare per tentare di porre all'attenzione della Commissione europea questa questione su una specifica direttiva, arrivando finanche alla tematica legata alla questione del cosiddetto «stato di diritto» che viene, quantomeno nel dibattito politico europeo, un po' utilizzato per inserire questo tipo di principio all'interno di alcune diatribe di natura politica? La mia domanda che faccio al professore è: come possiamo, relativamente ai Governi degli Stati membri, cercare di mantenere la sussidiarietà prevista dal Trattato di Lisbona senza che alcune direttive possano essere oltremodo invasive nella situazione politica degli Stati membri stessi? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Bianchi. Io non ho altri interventi. Qualcuno in extremis vuole intervenire? No, quindi do la parola al professore per la replica. Prego, professore.

  ROBERTO ADAM. Tutte domande abbastanza complesse. La prima interrogante me ne ha poste ben tre. Perché continuiamo a pagare penalità di mora a così tanta distanza dalla sentenza che ci ha comminato quelle determinate sanzioni? Perché non riusciamo a chiudere l'inadempimento. Si smette di pagare la penalità di mora nel momento in cui l'adempimento è completo. Perché non è completo nei sei casi in cui siamo coinvolti, per i quali fino adesso abbiamo ricevuto queste sanzioni? Una forfettaria, quella è una tantum, pagata e va bene, si paga una volta per il passato; mentre la penalità di mora scatta periodicamente, praticamente ogni giorno in realtà, ogni sei mesi eccetera, e si continua a pagare finché non si è raggiunto l'adempimento completo.
  Dal punto di vista della natura delle procedure coinvolte e della materia delle procedure coinvolte c'è già un problema: queste procedure – come avete sentito le ho citate – sono tutte relative al mancato recupero degli aiuti di Stato e a questioni di ambiente, ma questioni di ambiente non di tipo legislativo bensì di tipo amministrativo: discariche abusive incontrollate in tutto il territorio italiano, problema di gestione dei rifiuti nella provincia di Napoli. Le prime questioni, quelle in materia di ambiente, non si riesce a risolverle evidentemente per la difficoltà di gestire un Paese complesso con vari livelli di Governo, perché, se ci pensate, sono tutte quante procedure che investono non lo Stato in quanto tale, lo Stato dal punto di vista del diritto dell'Unione, ma sul piano interno investono diversi livelli di Governo: regionali, comunali eccetera. Gestire questi aspetti è complicato.
  L'altro tipo di procedura, il mancato recupero di aiuti di Stato, dipende da un'altra criticità italiana: la giustizia. Buona parte delle imprese che devono restituire questi soldi presenta ricorso al TAR (tribunale amministrativo regionale), ricorso al Consiglio di Stato, che va avanti e prosegue, e ripresentano quello successivo eccetera. Fatto sta che non siamo riusciti ancora a recuperare, a distanza di tempo, tutto ciò che avremmo dovuto recuperare per far chiudere la procedura di infrazione. Il paradosso di questa situazione sa qual è? È che utilizziamo quel poco che riusciamo a recuperare dalle imprese che riusciamo a far pagare, e quei soldi avrebbero potuto essere utilizzati molto più proficuamente a vantaggio del mondo delle imprese, attraverso canali corretti e compatibili col diritto dell'Unione, piuttosto che versarli al bilancio dell'Unione europea. Pag. 12
  Purtroppo è la complessità, a cui avevo accennato all'inizio della mia relazione, del sistema italiano, che determina queste cose rispetto a certi tipi di procedure di infrazione, nelle quali dovremmo cercare di non cadere proprio per la nostra difficoltà poi di rimediare. Una procedura di infrazione di tipo legislativo è semplice da risolvere: si fa una legge come Dio vuole, come vuole l'Unione europea, e abbiamo risolto. La si fa nei tempi necessari al procedimento legislativo per adottarla, quindi è una cosa che si chiude velocemente. Quando sono in gioco questioni di giustizia o questioni di carattere amministrativo su più livelli di Governo che governano questo Paese, evidentemente abbiamo una forte difficoltà.
  Posso aggiungere una cosa, senza dilungarmi ulteriormente: l'impressione – l'ho detto con una frase nella mia relazione – è che però a un certo punto, una volta che scatta la penalità di mora e che paghiamo regolarmente, scatta una sorta di rassegnazione e non si mette più l'impegno che si mette, invece, sulle altre procedure di infrazione. Diventa quasi una cosa ormai di routine in cui si continua a pagare aspettando non si sa che cosa. Questa è la mia impressione.
  Riguardo alle approvazioni, lei mi ha chiesto se ci sono problemi di recepimento anche negli altri Paesi. Certo che ce ne sono anche negli altri Paesi; e posso dire che, una volta tanto per parlare bene del nostro Paese, grazie alla legge 234 noi siamo messi molto bene come numeri di procedure di infrazione in materia di recepimento di direttive, anche se adesso tale numero è un po' risalito e risalirà a causa del ritardo nell'approvazione dell'ultima legge di delegazione. Però siamo messi bene, siamo il Paese più virtuoso. Almeno alla fine del 2019 avevamo 12 procedure per mancato recepimento di direttive, insieme alla Lituania, che è un Paese molto più semplice e che ci mette molto meno tempo a fare una legge di recepimento di una direttiva. La Spagna aveva 18 procedure di infrazione; la Bulgaria non ne parliamo, 35; la Polonia 26; la Germania 17; le altre nazioni tutte intorno alle 20-25 procedure di infrazione. Quindi siamo messi bene.
  Io ho citato l'aggravamento o il rischio di aggravamento dovuto al ritardo nell'approvazione della legge di delegazione non per dire che è la vera criticità, ma per dire che è un peccato che quello che siamo riusciti a fare grazie alla novità della legge n. 234 rischiamo di perderlo progressivamente con questi ritardi. In più la sottolineatura è che nelle procedure di infrazione per mancato recepimento le sanzioni arrivano prima, molto velocemente. Se ritardo chiama ritardo, c'è il rischio che poi ci troviamo ad avere sanzioni – che poi non continuano per troppo tempo perché poi alla fine si recepisce – anche in questo settore, e sarebbe veramente un peccato dato quello che abbiamo dimostrato di saper fare al riguardo.
  Legge di delegazione bis. È già un recepimento? No, perché la legge di delegazione bis è come la prima dell'anno. È una seconda legge di delegazione annuale, in questo caso semestrale, per il secondo semestre. È una legge che delega, che contiene deleghe al Governo per il recepimento. Lei dice: «Allora che senso ha farla?» Ha senso perché almeno una parte delle direttive – quelle che non hanno problemi di carattere politico, o comunque quelle che se avevano dei problemi hanno trovato una facile soluzione, perché poi non sempre sono problemi difficilissimi da risolvere politicamente – può seguire il percorso veloce, la corsia veloce, essere recepita velocemente e non andare ad appesantire ulteriormente il pacchetto delle infrazioni italiane.
  Rispetto alle altre direttive, da un lato si segnala la gravità della vicenda, il fatto di averle stralciate dalla prima legge di delegazione, e poi comunque si cercherà di guadagnare tempo, sperando che ci si riesca. O se non si fa la legge di delegazione bis, se c'è una direttiva particolarmente complicata, c'è anche la possibilità di mettere una delega dentro una legge ad hoc, così come si è fatto per esempio per gli appalti pubblici, che non sono stati recepiti attraverso la legge di delegazione ma con una legge ad hoc che recepiva il pacchetto appalti. Pag. 13
  Poi è stato posto dal vicepresidente Bianchi, se non sbaglio, il problema della sussidiarietà e delle direttive che violerebbero il principio di sussidiarietà incidendo sulla situazione politica interna. Sulla sussidiarietà esiste un protocollo apposito allegato ai trattati dell'Unione che prevede la possibilità di intervento dei Parlamenti nazionali con cartellino giallo e con cartellino arancione per segnalare alla Commissione, quando presenta una proposta di direttiva o di regolamento, se hanno qualche problema con il rispetto della sussidiarietà da parte di quella proposta.
  Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore nel 2010, quindi siamo a undici anni. Fino adesso soltanto una direttiva, non ha raggiunto il livello critico di stop, di cartellini gialli, da parte dei Parlamenti nazionali, ma ci è arrivata vicino. Soltanto una. Le altre – potete pensare in undici anni quante direttive sono state approvate, quante proposte sono state presentate, assoggettate alla procedura prevista dal protocollo – hanno avuto uno, due o tre cartellini gialli, non di più, e non so nel caso specifico del Parlamento italiano quanti cartellini abbia fatto in tutto questo tempo. Che io sappia, almeno finché ho seguito un po' più da vicino la cosa, un numero bassissimo.
  Me ne ricordo una in modo particolare che non c'entrava niente con la sussidiarietà, perché il problema è anche che bisogna stare attenti a capire che cosa vuol dire «sussidiarietà» e cosa non significa. Spesso alcuni dei cartellini gialli mostrati dai Parlamenti nazionali in questi dieci anni sono stati in realtà dei cartellini gialli che non attenevano alla sussidiarietà, ma al merito della proposta di direttiva, che è una cosa diversa dalla sussidiarietà. Ovviamente il merito, se pienamente rispettata la sussidiarietà da parte della direttiva, riguarda il negoziato, quindi se c'è la maggioranza in Consiglio o in Parlamento per adottare quella determinata direttiva. Se non c'è non è una questione di sussidiarietà, ma significa che non c'è un consenso tra tutti gli Stati membri adeguato nella misura richiesta per poter adottare quella determinata direttiva. Se una direttiva è adottata, perché tra l'altro non ha avuto nessun parere contrario dai Parlamenti nazionali o un numero limitatissimo di rilievi da parte dei Parlamenti nazionali, si potrebbe dire: «Ma potrebbe essere che, anche se non l'hanno intercettata i Parlamenti, è contraria al principio di sussidiarietà».
  Due cose. Prima: anche se i Parlamenti nazionali non hanno utilizzato questo loro potere, comunque quella direttiva è passata per l'adozione maggioritaria da parte del Parlamento e da parte del Consiglio, quindi ivi compreso nella maggior parte dei casi anche il nostro Governo. In secondo luogo, se proprio si ritiene che comunque sia violato il principio di sussidiarietà da quella determinata direttiva, il Parlamento nazionale attraverso il Governo può presentare un ricorso alla Corte di giustizia eccependo la violazione del principio di sussidiarietà da parte di quella direttiva, che, se avesse ragione il ricorso, potrebbe essere annullata dalla Corte di giustizia. Ma finché non avviene tutto questo, quella direttiva va rispettata.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Ci sono altri interventi? Altrimenti in chiusura aggiungo qualcosa. Come lei ha detto, professore, il ruolo di questa Commissione forse deve essere alzato anche con una riforma regolamentare, perché la n. 234 già imponeva certe questioni che poi, nella trasposizione regolamentare a livello proprio di Camera, non sono attuabili perché non c'è un regolamento che possa dare più poteri a questa Commissione anche in ambito di pareri che dà questa Commissione. Non so se lo sa, noi abbiamo presentato una riforma regolamentare per adeguarci alla legge n. 234, che è quella norma che dà dei poteri aggiuntivi a questa Commissione per quanto riguarda anche il peso di un parere che essa dà. Io mi spingo a dire anche che secondo me – questa è una mia opinione – visto e considerato che sono sempre di più le tematiche, le direttive e i regolamenti che ci arrivano, sia in fase ascendente sia in fase poi di recepimento, è fondamentale che ci sia un parere vincolante anche per quanto riguarda quelle che sono le tematiche che trattiamo in questa Commissione. Credo che sia fondamentale Pag. 14– ma ovviamente non è questa la sede per parlarne – una riforma regolamentare anche su questo tema per lavorare al meglio. Mi dica.

  ROBERTO ADAM. Sono d'accordo con lei. In una prima versione, che poi ho accorciato perché sennò diventava troppo lunga e avrei sforato il tempo concesso, suggerivo anche un'idea: così come esiste la pregiudiziale di costituzionalità e la pregiudiziale di bilancio, non vedo perché non dovrebbe esistere una pregiudiziale di compatibilità comunitaria, che tra l'altro è un parametro analogo, perché, come sa, il diritto dell'Unione europea ha il primato, eccetera. Quindi quello potrebbe essere un ulteriore meccanismo, affidandone ovviamente la gestione alla XIV Commissione.

  PRESIDENTE. Perfetto. Sono assolutamente d'accordo con lei. Non ci sono altri interventi, quindi ringraziamo il professor Adam per l'intervento e le repliche e dichiaro chiusa questa audizione.

  La seduta termina alle 14.50.