XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 21 novembre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGGE 15 MARZO 2010, N. 38, IN MATERIA DI ACCESSO ALLE CURE PALLIATIVE E ALLA TERAPIA DEL DOLORE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'AMBITO PEDIATRICO

Audizione di Gianlorenzo Scaccabarozzi, direttore della Rete cure palliative di Lecco e già presidente della Sezione cure palliative-terapie del dolore del Comitato tecnico sanitario del Ministero della salute e di rappresentanti della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI).
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Scaccabarozzi Gianlorenzo , direttore della Rete cure palliative di Lecco e già presidente della Sezione cure palliative-terapie del dolore del Comitato tecnico sanitario del Ministero della salute ... 3 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 6 
Cicia Cosimo , componente del Comitato centrale della FNOPI e presidente dell'Ordine delle professioni infermieristiche di Salerno ... 6 
Tiozzo Emanuela , rappresentante per gli infermieri pediatrici della FNOPI e responsabile dello sviluppo professionale presso l'Ospedale Bambino Gesù di Roma ... 6 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 8 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 8 
Siani Paolo (PD)  ... 9 
Novelli Roberto (FI)  ... 10 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 11 
Scaccabarozzi Gianlorenzo , direttore della Rete cure palliative di Lecco e già presidente della Sezione cure palliative- terapie del dolore del Comitato tecnico sanitario del Ministero della salute ... 11 
Tiozzo Emanuela , rappresentante per gli infermieri pediatrici della FNOPI e responsabile dello sviluppo professionale presso l'Ospedale Bambino Gesù di Roma ... 13 
Scaccabarozzi Gianlorenzo , direttore della Rete cure palliative di Lecco e già presidente della Sezione cure palliative-terapie del dolore del Comitato tecnico sanitario del Ministero della salute ... 14 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Gianlorenzo Scaccabarozzi, direttore della Rete cure palliative di Lecco e già presidente della Sezione cure palliative-terapie del dolore del Comitato tecnico sanitario del Ministero della salute e di rappresentanti della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38 in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore con particolare riferimento all'ambito pediatrico, di Gianlorenzo Scaccabarozzi, direttore della Rete cure palliative di Lecco e già presidente della Sezione cure palliative-terapie del dolore del Comitato tecnico sanitario del Ministero della salute e di rappresentanti della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI).
  Saluto Gianlorenzo Scaccabarozzi e i rappresentanti della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione. Per la FNOPI sono presenti Cosimo Cicia, componente del Comitato centrale e presidente dell'Ordine delle professioni infermieristiche di Salerno, ed Emanuela Tiozzo, rappresentante per gli infermieri pediatrici della FNOPI e responsabile dello sviluppo professionale presso l'Ospedale Bambino Gesù di Roma.
  Prego i nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro dieci minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande cui seguiranno le repliche dei soggetti auditi, che potranno consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente.
  Do quindi la parola a Gianlorenzo Scaccabarozzi.

  GIANLORENZO SCACCABAROZZI, direttore della Rete cure palliative di Lecco e già presidente della Sezione cure palliative-terapie del dolore del Comitato tecnico sanitario del Ministero della salute. Non farò una narrazione di quelli che sono i princìpi delle cure palliative e quello che è stata la legge n. 38, che in questi anni nel nostro Paese il sistema professionale, ma anche quello del management e della politica, ha cercato di applicare, ma vi dirò cos'è successo quando è stata applicata, quindi quali sono i limiti di questa mancata applicazione in modo omogeneo nel Paese.
  Partiamo da due considerazioni. La prima è che il bisogno di cure palliative va quantificato. Il bisogno di cure palliative oggi è quantificato nell'1,5 per cento dell'intera popolazione, sia esso nella fase end stage, quindi nella fase verso il fine vita, sia esso – questa è la concezione più moderna delle cure palliative – nella fase di accompagnamento e affiancamento alle cure attive, quando la malattia è cronica, evolutiva e a lento andamento. Tuttavia, questo problema impatta in modo significativo sulle Pag. 4famiglie e le famiglie stanno diventando famiglie sempre più unipersonali, quindi le strategie della sanità pubblica devono tener conto che c'è un bisogno che aumenta, estremamente complesso, un bisogno che va verso un fine vita che deve essere accompagnato, possibilmente a casa, ma c'è una condizione sociale delle famiglie che non sempre rende possibile questa situazione. Quindi, già le due linee di intervento riguardano non solo l'organizzazione ma anche le politiche di sostegno alla famiglia nel momento in cui decide di gestire questa situazione a casa.
  Le tappe sullo sviluppo delle cure palliative in Italia credo che siano conosciute; sicuramente la tappa più significativa sono stati i nuovi LEA, perché i nuovi LEA, dopo il decreto ministeriale n. 70 del 2015 sull'organizzazione della rete ospedaliera, hanno caratterizzato in modo puntuale dove deve essere soddisfatto il bisogno di cure palliative, dentro l'ospedale, nell'attività ambulatoriale, a livello territoriale domiciliare con le UCP-Dom (Unità di cure palliative domiciliari) che sono state distinte dai servizi di assistenza domiciliare integrata tradizionali, e dentro le strutture dedicate, gli hospice.
  È una normativa che è andata e va nella direzione di un cambio di passo e di mentalità significativo: dalla soddisfazione del bisogno in modo puntuale all'interno delle strutture, soprattutto dell'ospedale, si passa a una logica di percorso di cura che fa interfacciare i servizi ospedalieri con i servizi territoriali, quindi una logica di sistema. È una profonda innovazione a cui il sistema professionale non è ancora abituato.
  Quindi, tutta la normativa che ho richiamato ci sfida su tre aspetti importanti. Il primo, le modalità di allocazione delle risorse, quindi tutto quello che ha a che fare con l’advocacy, con i princìpi di equità. Il secondo, il cambio del paradigma organizzativo, perché se si cambiano i contenuti non è detto che l'organizzazione sia già adeguata a questi contenuti. Il terzo, altrettanto importante, il cambio delle competenze professionali. Oggi le resistenze principali a questo sviluppo sono dovute non solo all'organizzazione, ma anche a un sistema professionale non all'altezza del compito di gestire la cronicità complessa.
  Sono tre le traiettorie che noi professionisti, nel momento in cui ci prendiamo carico di questi bisogni, mettiamo al centro. La prima, che le cure palliative debbano essere agite in modo precoce; la seconda, che non sono una questione monoprofessionale, ma deve esserci un forte coordinamento e una forte integrazione tra ospedale e territorio e tra professionisti diversi, per gestire non solo il cancro. Oggi le cure palliative si fanno soprattutto, nella gran parte del Paese, sulla patologia cancro. Il problema è rappresentato dalle malattie croniche diverse dal cancro, quindi l'insufficienza d'organo e la fragilità e la demenza. Su questi ambiti c'è ancora tantissimo da fare.
  Il modello che ha proposto la legge n. 38 e che poi abbiamo anche gestito all'interno di una conferenza di consenso che ha messo insieme saperi, ma anche politiche professionali, è quello delle reti locali di cure palliative, una nuova organizzazione. Quindi, non accreditiamo più le singole strutture, ma accreditiamo i percorsi e le reti. È una sfida estremamente importante.
  La Sezione, che ho presieduto fino al giugno scorso e che adesso ripartirà con i propri lavori, essendosi insediata la nuova Sezione, ha sviluppato una serie di attività. Io mi concentro – vista anche la necessità di contenere l'intervento in tempi circoscritti e soprattutto per dare un'evidenza pratica al mio intervento – su quello che ha a che fare con l'attività di monitoraggio che è stata sviluppata dal lavoro all'interno del Ministero della salute, sia partendo dai flussi amministrativi (anche quelli in grande sofferenza dal punto di vista della quantità e della qualità dei dati), sia soprattutto andando a vedere l'esito finale dell'applicazione della legge n. 38. Alle fine le persone dove muoiono? Qual è il luogo di morte nel quale si esercitano le cure palliative?
  Sui dati dei flussi amministrativi la differenza rispetto al bisogno è estrema. Quindi, lo sviluppo standard del decreto ministeriale Pag. 5 n. 43 del 2007 prevedeva sul cancro che almeno il 45 per cento delle persone fossero seguite da équipe di cure palliative e il 20 per cento negli hospice; ma dai dati in nostro possesso (bisogna dire anche che non sempre essi vengono alimentati correttamente) abbiamo una differenza rispetto agli standard previsti estremamente significativa. Ma è molto più interessante vedere come questa transizione epidemiologica va gestita rispetto alla gestione delle cure palliative nell'ultimo anno di vita delle persone. Muore ogni anno l'1 per cento dei cittadini residenti. Questo 1 per cento, costituito dalle persone nell'ultimo anno di vita, assorbe il 21 per cento della spesa sanitaria totale e questa spesa sanitaria totale è assorbita quasi interamente per l'assistenza ospedaliera. Quindi, è molto semplice la questione: le cure palliative non hanno ancora spostato il baricentro dall'ospedale verso il territorio, residenziale e hospice, come dice la legge n. 38, UCP domiciliare come dicono la legge n. 38 e i nuovi livelli essenziali di assistenza.
  Dunque, i costi assistenziali dell'ultimo anno di vita sono per larga parte riconducibili all'assistenza ospedaliera. Questo è quello che non va bene. Se andiamo a vedere questo dato rispetto alle differenze negli anni, elaborando i dati ISTAT di mortalità, se consideriamo tutte le patologie non c'è stato un grande spostamento, quindi l'applicazione della legge n. 38, vista col macrodato di output finale, che è quello del «dove» muoiono le persone, rivela che, ci sono ancora più del 40 per cento di persone che muoiono in ospedale. E ci sono persone che vanno a morire in ospedale, quindi in un luogo sicuramente non adeguato.
  Questo è il tema al centro della discussione sullo sviluppo delle cure palliative. Va un po’ meglio sull'oncologico, laddove, dopo il 2010, l'attivazione degli hospice ha portato a una significativa diminuzione della mortalità in ospedale. Ma non basta, non c'è praticamente nessuno spostamento evidente a livello domiciliare, sul quale invece bisogna agire.
  Le persone vogliono morire a casa; quando ci sono le condizioni sociali, gradiscono morire a casa, non gradiscono morire in ospedale. Questo è il livello essenziale di assistenza che dobbiamo garantire.
  Adesso vi spiego cosa succede, invece, nelle regioni in cui l'investimento sul domiciliare è stato fatto. Nell'azienda che io rappresento faccio il capo dipartimento da parecchi anni: dipartimento che si chiama della fragilità, che gestisce la cronicità complessa avanzata dall'ospedale al territorio. Vediamo cosa può succedere, se si applicano delle politiche di competenza professionale, sviluppo di saperi professionali, investimento sui professionisti e anche un'organizzazione adeguata ai nostri bisogni, rispetto al dato medio nazionale, così siamo molto concreti.
  In Italia il 41 per cento muore a casa. Questo dato a livello nazionale è viziato dal fatto che poi bisogna andare a vedere se muore a casa con l'assistenza o senza assistenza. A Lecco, dove si è investito molto sulle cure domiciliari, il dato della mortalità al domicilio dei malati oncologici sale al 52 per cento, che aggiunto al 17 per cento dell’hospice supera largamente lo standard previsto di appropriatezza dello sviluppo delle reti dei servizi. Come vedete, in ospedale muoiono molte meno persone.
  Quindi, un investimento sulle reti locali di cure palliative paga non solo in termini di appropriatezza dei servizi e di corrispondenza alle esigenze dei malati e delle loro famiglie, ma paga anche in termini di sistema. Infatti, la regione Lombardia che ha consentito questo ha la miglior rete sviluppata di cure palliative, con 71 hospice contrattualizzati su 72 accreditati. Ha investito molto anche sul domicilio. Negli anni dal 2016 al 2018 c'è stato un trend significativo di investimento. Il dato della ASST di Lecco, dimostra che un'organizzazione coerente con la normativa nazionale, applicata a livello regionale e poi tradotta nella pratica clinica quotidiana a livello locale, produce dei risultati incredibili dal punto di vista della capacità di coprire questo bisogno.
  Occorre quindi andare a fondo e osservare queste transizioni. Noi le abbiamo osservate e le osserviamo in modo analitico su tutti gli andamenti e le valutazioni delle attività annuali – abbiamo anche pubblicato Pag. 6 questi dati – per andare a verificare se è vero che le cure palliative impattano positivamente sul sistema, se un'organizzazione in grado di farsi carico dei problemi in occasione di una dimissione protetta produce un risultato. Questi sono i due dati estremamente sintetici. Le cure palliative risultano essere la variabile principale che produce un effetto significativo sulla riduzione dei ricoveri nell'ultimo mese di vita. È un dato eclatante: il meno 480 per cento! Sono dati basati sulla casistica di mortalità di due anni; hanno riguardato 5.000 deceduti. Siamo andati a vedere quelli che erano stati intercettati o meno dal sistema cure palliative. Questi sono dei risultati incredibili dal punto di vista dell'efficacia del sistema, se la legge venisse applicata ovunque.
  Non solo, le cure palliative risultano essere anche la variabile principale che produce un effetto significativo sul non morire in ospedale. Non c'è nessuno, nella mia esperienza clinica, che chiede di andare a morire in ospedale se ha un'alternativa assistenziale, soprattutto domiciliare. Questo dato è addirittura ancora più significativo: la morte in ospedale si riduce di percentuali incredibili.
  Dal punto di vista economico, questo sistema paga. Sempre su questo periodo, con questi dati, con queste considerazioni, la valorizzazione economica rispetto ai costi ospedalieri per questa popolazione è stata di 665.000 euro. Tenete conto che un costo complessivo delle cure palliative, per soddisfare con quei numeri quella popolazione, nell'azienda che rappresento ha un valore di 3 milioni di euro l'anno, già risparmiarne 665.000 in ospedale significa risparmiare il 30 per cento delle risorse a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai rappresentanti della FNOPI.

  COSIMO CICIA, componente del Comitato centrale della FNOPI e presidente dell'Ordine delle professioni infermieristiche di Salerno. Solo una breve presentazione. Intanto grazie a nome dei 440.000 infermieri e infermieri pediatrici per questa possibilità. Noi abbiamo la necessità che la legge venga applicata, che ci sia un'erogazione delle cure palliative e della terapia del dolore uguale in tutta Italia, cosa che attualmente non avviene.
  Lascio la parola ad Emanuela Tiozzo per la presentazione.

  EMANUELA TIOZZO, rappresentante per gli infermieri pediatrici della FNOPI e responsabile dello sviluppo professionale presso l'Ospedale Bambino Gesù di Roma. Gli infermieri stanno vicino ai bambini ventiquattro ore al giorno e sanno cosa provano i bambini e le loro famiglie, sanno cosa significa un ingresso nelle cure palliative. Il nostro codice deontologico esprime precisamente che «l'infermiere si prende cura del dolore e allevia la sofferenza».
  Rispetto alla legge n. 38 ci sono delle disuguaglianze territoriali, in primis riguardo le cure palliative pediatriche. Sul territorio italiano ci sono solo 4 hospice pediatrici, che non sono sicuramente sufficienti a coprire il fabbisogno di cure palliative in ambito pediatrico.
  Tenete conto che la sopravvivenza di bambini con patologie croniche, con malattie rare si è elevata tantissimo, quindi abbiamo dei sopravvissuti a queste malattie gravi, sono dei grandi cronici che entrano nelle cure palliative, ma non trovano una risposta sul territorio. Non c'è infatti una continuità ospedale/territorio, quindi, come diceva il presidente Scaccabarozzi, quando passano dall'ospedale al territorio trovano un gap e preferiscono tornare in ospedale per morire, e questa è una povertà immane.
  Noi sappiamo e tocchiamo con mano tutti i giorni cosa significa assistere un bambino e la sua famiglia che entra nelle cure palliative, sappiamo cosa vuol dire rispettare la dignità di queste persone. Abbiamo il dovere etico e deontologico di educare e formare i genitori dei bambini che vengono affidati al domicilio, perché in questo momento le cure sono soprattutto domiciliari.
  La stragrande maggioranza dei bambini che entrano in cure palliative vengono affidati al domicilio, ma a domicilio non trovano gli stessi standard assistenziali presenti Pag. 7 a livello ospedaliero, perché magari c'è il medico, c'è l'infermiere, ma manca completamente lo psicologo. Pensate ad esempio alle mamme che vedono il figlio nell'epoca più bella della vita, la nascita, già con una diagnosi infausta, che entra nelle cure palliative, arriva a casa e questa famiglia non ha il sostegno di uno psicologo.
  Le cure palliative non sono soltanto tecniche, noi dobbiamo rispondere a tutti i bisogni della persona, stiamo parlando di persone, e devono essere viste nella loro visione olistica. La legge n. 38 è una legge lungimirante, perché parte da standard precisi della formazione, e noi infermieri ci siamo adeguati alle indicazioni dettate da questa legge, perché immediatamente, dal 2017, sono stati attivati all'interno dei corsi di laurea per infermieri e infermieri pediatrici due crediti formativi universitari, uno sulle cure palliative e l'altro sulla terapia del dolore, esattamente come indicato nella legge n. 38.
  Questo per noi è stato un punto di partenza, ma ne raccoglieremo gli effetti fra 5-6 anni, quando la generazione degli infermieri oggi sul campo sarà completamente sostituita. Investire in formazione è stato quindi un passo importante, ora servono altri piccoli passi concreti, bisogna affidare le cure palliative a persone competenti.
  L'altra parte di formazione per le generazioni sul campo è l'attivazione di master in cure palliative e terapia del dolore, ma partecipa chi vuole, non c'è un mandato chiaro del rispetto di un core curriculum che deve avere chi entra in un determinato reparto, chi entra nell'assistenza domiciliare, chi entra in hospice.
  L'infermiere che entra in hospice deve avere questa competenza, che deve essere un requisito imprescindibile, contrattuale, per fare assistenza ad un bambino, ma anche ad un adulto. Parlo dei bambini in particolare, perché tutti i giorni vedo i volti delle mamme e so cosa significa affidare un bambino al territorio, e so che è importante formare i genitori.
  I master non sono sufficienti a coprire queste competenze, ma già sono qualcosa. Serve anche la formazione continua e – ripeto – una vigilanza e uno standard chiaro, che richieda per l'accesso a lavorare negli hospice e nelle cure domiciliari il possesso di un master o di un corso di formazione in cure palliative, perché non ci si improvvisa nella cura e nell'assistenza al bambino e alla sua famiglia che sono a domicilio nelle cure palliative.
  Non è facile parlare di questi temi, perché sul campo l'assistenza alla famiglia non è facile, e quando entriamo a domicilio e prendiamo in carico un bambino, con una presa in carico totale, ci possono essere i fratelli, che sono spesso dimenticati. Queste famiglie vengono distrutte dalla malattia, entrano in un percorso che li fa esplodere da tutti i punti di vista, sono famiglie frantumate, lavoro perso, persone che da un giorno all'altro hanno abbandonato il domicilio e il lavoro e si sono rivolte alle strutture ospedaliere per la cura dei figli, ed entrano in un percorso di palliazione avendo abbandonato tutto, anche gli altri figli alle cure dei nonni. Noi non facciamo nulla per aggregare queste famiglie, se non offriamo strutture come gli hospice.
  Un capitolo intero della legge n. 38 è dedicato a questo ambito pediatrico e noi dobbiamo tener presente che circa 12.000 bambini (se non 15.000) sono affetti da malattie inguaribili e l'80 per cento di questi non entra nella rete delle cure palliative, perché non è affidato agli hospice e a persone competenti che possano prendersene cura in modo competente.
  Rispetto alle strutture per adulti, l’hospice pediatrico richiede una costruzione ben pensata, non si possono improvvisare queste strutture, perché i bambini hanno bisogno della continuità con la scuola. Il bambino va da zero a diciotto anni; c'è una grossa varietà di esigenze sotto tutti gli aspetti, chi è madre conosce bene l'evoluzione del bambino, un conto è assistere un bambino di zero anni per il quale si svolgono tutte le attività di vita, un conto assistere un adolescente che ha altri bisogni.
  Questi hospice vanno quindi ben pensati e ben affidati, dobbiamo coinvolgere tutti Pag. 8gli stakeholder e tutti gli aspetti sociali. La scuola è fondamentale, i volontari sono fondamentali, perché dobbiamo capire tutti i loro bisogni.
  Sicuramente l’hospice pediatrico è molto diverso dall’hospice per adulti. Noi infermieri abbiamo la consapevolezza che quando un bambino entra in questo percorso bisogna puntare anche all'autonomia dei genitori nella cura, al saper riconoscere e valutare il dolore. Noi infermieri ci formiamo sulle scale di valutazione del dolore, sappiamo riconoscere il dolore, sappiamo dargli un punteggio, perché esistono scale basate sulle evidenze scientifiche, ma quando questi genitori arrivano a casa e il loro figlio ha dolore, in base a quale dato danno la Tachipirina o un altro antidolorifico?
  Il medico gli dice «al bisogno», ma qual è questo bisogno? Noi in ospedale utilizziamo le scale e diciamo che «questo dolore è equivalente a 4» e a 4 si somministra la Tachipirina, quindi è nostro dovere formare i genitori, i caregiver e i pazienti stessi a valutare il dolore, dobbiamo dare questi strumenti, e noi glieli diamo, li formiamo.
  Ovviamente non è ovunque così, perché c'è un gap generazionale, la formazione sulle cure palliative è iniziata nelle università in modo tassativo dal 2017, in qualche anno recupereremo velocemente, perché gli infermieri hanno questa sensibilità e un'indagine svolta dalla FNOPI con Cittadinanza attiva lo dimostra, perché più del 70 per cento dei genitori sono soddisfatti di come gli infermieri prendono in carico il dolore, di come sanno relazionarsi all'interno di un’équipe.
  L’équipe è multiprofessionale, multispecialistica, deve lavorare e camminare insieme e deve portare avanti gli obiettivi per rispondere ai bisogni di salute dei bambini che sono in cure palliative insieme.
  Sono tre gli attori di questo processo, i medici, gli infermieri e gli psicologi, e devono definire insieme i percorsi di cura, i PDTA (percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali), quindi non dobbiamo tenere per noi gli strumenti e le conoscenze, ma dobbiamo metterli a disposizione della famiglia.
  Gli infermieri hanno questa cultura del sollievo, della soddisfazione dei bisogni del paziente, hanno le competenze e le caratteristiche per rispondere a questi bisogni, ma lavorare in rete è la cosa fondamentale. Le reti si stanno strutturando, ma in queste devono essere presenti gli infermieri con le loro competenze, contribuendo a rispondere nel miglior modo possibile ai bisogni di salute dei bambini.
  Purtroppo abbiamo ancora dei freni culturali sul nostro territorio riguardo agli infermieri, e questo frena probabilmente il sistema organizzativo e la nostra advocacy. Noi vogliamo soltanto essere messi nelle condizioni di aderire in modo maggiore alla legge n. 38, a tutela di tutti quei pazienti, di tutti quei bambini che potrebbero essere inclusi nelle cure palliative attraverso l'attivazione di hospice, di servizi sul territorio.
  Chiediamo quindi di partecipare alle decisioni, di contribuire, perché tutti i giorni siamo sul campo e siamo formati per questo, stiamo sulle evidenze, svolgiamo progetti di ricerca anche noi per migliorare la qualità dell'assistenza nell'ambito del dolore. Gli infermieri di oggi non sono più quelli del passato, quindi per gli infermieri del futuro serve una partecipazione al cambiamento, e possiamo sicuramente contribuire su questo aspetto delle cure palliative in modo competente e professionale, lavorando in rete con tutti.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Tiozzo. Lascio la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO TRIZZINO. Voglio ringraziare entrambi i nostri ospiti, ma rivolgo un ringraziamento particolare al dottor Scaccabarozzi nella sua qualità di presidente della Sezione di cure palliative, dove ha svolto un lavoro egregio in questi anni, portando risultati concreti, come ci ha illustrato, un grazie di cuore per quanto ha fatto e continuerà a fare, perché so che affiancherà il ministero in diverse attività.
  Le vorrei rivolgere una domanda diretta. Noi siamo al termine delle audizioni Pag. 9sulle cure palliative, ne abbiamo tratto numerosissimi spunti e sollecitazioni, abbiamo un quadro abbastanza chiaro del contesto italiano e del contesto normativo da cui tutto origina, e abbiamo una visione non molto confortante dell'attuazione delle reti (i numeri d'altronde ci dicono questo). Se fosse lei a dover prendere una decisione e indicare un elemento su cui concentrare l'attenzione politica in questo momento, dove riterrebbe di poter intervenire (personale, strutturazione delle reti, organizzazione complessiva, altro tipo di dato)?
  Ho infatti la sensazione che alla fine di questo interessante confronto la montagna non partorirà neanche il topolino, e noi abbiamo bisogno di queste sollecitazioni, però abbiamo bisogno di indirizzi precisi. Abbiamo tentato anche in legge di bilancio di trovare una soluzione alla carenza dei medici, che è il vero problema in questo momento nel nostro Paese, ma probabilmente non riusciremo a farlo.
  Nella precedente finanziaria del 2014 un emendamento ha consentito di rispondere alla carenza di medici palliativisti, carenza che oggi è nuovamente peggiorata perché dal 2014 ad oggi è considerevolmente cresciuto il numero dei malati da assistere, mentre abbiamo un numero più ridotto di personale medico che li assiste.
  Secondo lei, quale può essere effettivamente l'azione più diretta e immediata che, partendo da questa Commissione, può essere pilotata a livello del Parlamento? La ringrazio.

  PAOLO SIANI. Grazie moltissimo ai nostri ospiti di oggi, volevo fare alcune domande e anche dare un'informazione. Come ha detto l'onorevole Trizzino, oggi concludiamo questo ciclo di audizioni, nel corso delle quali abbiamo ascoltato moltissime persone che rappresentano il sistema cure palliative e abbiamo ascoltato le mamme, audizione per me molto significativa.
  Le mamme di bambini oncologici ci hanno detto di preferire che muoiano in ospedale, perché si sentono più protette, più sicure. Lei ha detto che a Lecco il 52 per cento muore a casa, il 23 in ospedale, il 17 nell’hospice. La vostra scelta è stata quella di fare cure domiciliari molto spinte, quindi non tanto l’hospice?
  Il problema dell'applicazione di questa legge è che gli hospice sono pochissimi, quindi, visto che le mamme hanno paura a lasciare il bambino in hospice e preferiscono l'ospedale, è meglio investire in hospice e quindi coprire i posti necessari o investire in formazione, quindi far sì che alla diagnosi la mamma, il papà, i fratelli, tema molto delicato, vengano istruiti al di là del fatto che il loro percorso terminerà nella loro casa e, se è così, quanto ci costa mettere la famiglia in condizione di avere a casa un minimo di attrezzature per garantire questo fine vita?
  Ho annotato che l'1 per cento assorbe il 21 per cento, e questo per me sarà una guida per l'elaborazione del documento conclusivo, perché se spostiamo questo valore verso il territorio, la sanità recupererebbe molte risorse.
  Apprezzo molto l'idea che sarà il secolo del sistema, ma immagino che, come me, lei comprenda che si tratta di un'utopia, perché lo vedo complicato, ma bisogna vivere di utopie.
  Su questo bisogna fare un ragionamento preciso con i professionisti dell'ospedale, che devono essere consapevoli dell'esigenza di diventare professionisti del sistema, in cui l'infermiere deve essere non al centro, ma a pari livello con tutti gli altri (questo è un dato certo, che va enfatizzato e valorizzato).
  Sulla formazione abbiamo avuto molteplici interventi, tutti hanno rilevato come questa sia scarsa, con l'onorevole Trizzino abbiamo provato anche ad inserire in legge di bilancio qualcosa che potesse aiutare, però vi chiedo come possiamo intervenire sulla formazione, costringere le università a fare un corso, bastano i master, come ci consigliate di andare avanti?
  Sui fratelli ho fatto molteplici ricerche e anche molti interventi, perché, quando si comunica una malattia cronica ad una famiglia, tutto si concentra sul bambino malato e si abbandonano i fratelli, che mostreranno molteplici problemi nella loro vita e lo faranno nel tempo, per cui prendersi cura di quel bambino vuol dire prendersi Pag. 10 cura della famiglia. Sono molti i bambini che hanno problemi psicologici, le famiglie che si disgregano, i genitori che si separano, quindi è necessario prendere in carico tutta la famiglia, sapendo che c'è un malato cronico che va assistito, ma c'è un sistema che va sostenuto.
  Lei ha detto che siete in grado di valutare il dolore dei bambini, però vi chiederei di spostare questa attenzione anche sul bambino acuto che va in pronto soccorso o in reparti di degenza non per malati oncologici. Nonostante ci sia una legge e le cartelle cliniche contengano le scale di valutazione del dolore, l'infermiere non lo fa quasi mai, lo fa solo se qualcuno glielo chiede insistentemente, perché pensa che sia una perdita di tempo.
  Banalmente, applicare la pomata EMLA prima del prelievo, che è una cosa molto civile per evitare il dolore, comporta dei tempi morti di attesa, quindi bisogna che qualcuno convinca tutti gli infermieri che quello è tempo guadagnato, ma è soprattutto un rapporto guadagnato con quella famiglia. Analoga attenzione occorrerebbe nei pronto soccorso ortopedici pediatrici dove si riducono fratture o si mettono punti di sutura con scarsa attenzione al dolore.

  ROBERTO NOVELLI. Ringrazio sia il dottor Scaccabarozzi che la dottoressa Tiozzo. In questo periodo di audizioni abbiamo aperto una finestra su un mondo che è davvero pieno di dolore, di sofferenze, che cerca delle soluzioni.
  Credo che tutti noi abbiamo capito che il sistema va rivisto, va integrato, va potenziato, e che è un sistema frammentato, quindi non vengono date le stesse risposte su tutto il territorio nazionale, anzi abbiamo visto addirittura che risposte diverse, con differenze significative, vengono date da provincia a provincia, non solo da regione a regione. Abbiamo capito che la formazione è uno degli elementi sostanziali, oltre alla carenza di personale medico e infermieristico.
  Credo anche che le persone che si dedicano a questa missione siano persone particolari: non basta avere una laurea in medicina o in infermieristica per potersi dedicare a questa attività che si svolge quotidianamente a contatto con la sofferenza estrema e con la morte, occorrono una capacità personale e un sentimento che vanno oltre il titolo di studio.
  Anch'io nel corso della mia esperienza ho avuto modo di ascoltare nelle sedi periferiche diverse persone, medici e infermieri, che erano in una sofferenza psicologica per il lavoro che stavano facendo e lamentavano l'inconsistenza del sostegno del sistema, che li lasciava sostanzialmente soli.
  Credo che come Commissione che si occupa di salute e affari sociali abbiamo acquisito tutti gli elementi, tutte le conoscenze che fanno riferimento all'applicazione o mancata applicazione della legge che dovrebbe gestire e regolare le cure palliative per questi bambini, e credo sia consapevolezza di tutti noi che adesso la palla è nella nostra metà campo, quindi siamo noi che in modo omogeneo, indipendentemente dal posizionamento politico e con una responsabilità che va oltre quella chiusa in queste quattro mura, dobbiamo provare a dare delle soluzioni.
  Le soluzioni sono innegabilmente legate a quante, quali e come impiegare le risorse che dobbiamo decidere di immettere nel sistema. È chiaro che questo è un sistema complesso, che ha mille necessità, però su questo aspetto, che forse è quello che tocca di più le coscienze perché riguarda i bambini, dobbiamo provare a dare delle soluzioni.
  Noi – lo dico alla presidente della Commissione, agli auditi e a tutti i colleghi – dobbiamo davvero coinvolgere il Governo, perché, se non a breve, in questa legge di bilancio, prossimamente ci sia un'intenzione seria di fungere da raccordo con tutte le realtà territoriali, sanitarie, sociali, anche per capire se sia possibile nell'arco di un decennio o di un quinquennio mettere le risorse che servono per uscire da questa situazione.
  Come tutti voi ho una sensibilità (altrimenti non saremmo in questa Commissione) che ogni volta mi porta ad uscire da queste audizioni stando male, però stare male non basta, quindi è un appello che Pag. 11faccio a me stesso in primis e a tutti noi perché davvero ci mettiamo la testa.
  La formazione che voi ricevete per svolgere questa missione la potete considerare equivalente, seppur con ruoli diversi, a quella dei medici che vi stanno a fianco oppure notate delle differenze, che vi portano anche ad avere contrasti o insensibilità reciproche? Mi è stato infatti riferito più volte che c'è anche una difficoltà di dialogo tra infermieri e medici.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al presidente Scaccabarozzi e poi alla dottoressa Tiozzo per una breve replica.

  GIANLORENZO SCACCABAROZZI, direttore della Rete cure palliative di Lecco e già presidente della Sezione cure palliative- terapie del dolore del Comitato tecnico sanitario del Ministero della salute. Chiarisco che il mio intervento riguarda il sistema cure palliative prescindendo dall'età, anche se so che questo approfondimento è nato all'interno di un bisogno di cure palliative in ambito pediatrico.
  Questo sottolinea il fatto che la situazione è ancora più drammatica, nel senso che nell'ambito pediatrico abbiamo anche difficoltà a recepire il modello organizzativo che la legge n. 38 ha introdotto, come anche i provvedimenti attuativi, tanto che nell'ultima fase del lavoro della Sezione che ho presieduto fino al 15 giugno ci siamo posti il problema di ripensare il modello sull'ambito pediatrico, mentre non c'è alcun ripensamento sul modello per l'adulto.
  Raccolgo le sollecitazioni dell'onorevole Trizzino e le considerazioni dell'onorevole Siani rispetto a una specifica azione. Non c'è una soluzione unica, sono tre le leve per gestire il cambiamento, dopo tre anni di lavoro di approfondimento, di ascolto delle regioni, di analisi di dati, di studi (abbiamo fatto degli studi di valutazione anche sull'impatto delle cure palliative, alcuni frammenti ve li ho illustrati).
  La prima azione, che è già stata parzialmente agita perché siamo in attesa della chiusura della partita, e che giudico un grande successo dal punto di vista del risultato, è stata quella di introdurre i crediti formativi obbligatori nell'università. Questo è un dato raggiunto, ho consegnato i documenti l'anno scorso, a gennaio, il MIUR li ha recepiti, i coordinatori dei corsi di laurea e le Scuole di specializzazione stanno già recependo l'introduzione del CFU obbligatorio nei corsi di laurea di medicina e chirurgia, di infermieristica, delle professioni sanitarie, di fisioterapia, degli psicologi e degli assistenti sociali, un risultato incredibile.
  Adesso al MIUR c'è un gruppo tecnico, di cui faccio parte, che sta entrando nel merito dei contenuti formativi e quindi didattici: come espletare questa didattica soprattutto nell'ambito dell'individuazione di chi è in grado di trasferire questo sapere, perché la disciplina delle cure palliative è stata introdotta con la legge n. 38, è una disciplina nuova, il decreto ministeriale che ha regolato le discipline professionali è del 2013; è chiaro che ci sono delle carenze, ma c'è anche un tempo necessario al cambiamento.
  È quindi fondamentale fare in modo che i ragazzi, i professionisti del futuro escano già con una conoscenza e una competenza (la parte professionalizzante) in cure palliative a prescindere dall'età dei pazienti, perché c'è molta discussione anche a livello internazionale sulla separazione tra cure palliative pediatriche e cure palliative dell'adulto e sui modelli; non è così scontata questa divisione, che può anche ingenerare qualche difficoltà.
  Occorre fare in modo che i professionisti che oggi operano nel sistema, in attesa che i professionisti del futuro escano con specialità equipollenti alla disciplina delle cure palliative, formati in cure palliative... Sono nove le specialità di riferimento attraverso le quali possiamo assumere personale nell'ambito delle reti di cure palliative, quindi degli ospedali, degli hospice e dei servizi domiciliari; non essendoci un settore tecnico disciplinare universitario specifico in cure palliative, abbiamo nove discipline di riferimento.
  In queste nove discipline di riferimento (l'oncologia, la medicina interna, la terapia intensiva, l'anestesia, la rianimazione, la Pag. 12terapia del dolore, la pediatria, la geriatria, eccetera) oggi escono specialisti che, pur diventando idonei ad essere assunti come palliativisti, non hanno avuto l'insegnamento di neanche mezzo CFU in cure palliative. Questo è quello che abbiamo fatto e che probabilmente si svilupperà nei prossimi anni.
  In attesa di questo, il secondo intervento concreto sul quale incidere è quello dell'azione sulla programmazione e sull'organizzazione dal punto di vista sia della formazione del sistema professionale, sia delle strutture che devono rispondere a questo bisogno, dentro le politiche regionali.
  La regione Lombardia, in cui lavoro, ha fatto un investimento sulle cure palliative che è partito da un mandato forte ai direttori generali. Nelle regole di sistema di qualche anno fa ha infatti inserito lo sviluppo delle reti di cure palliative come obiettivo dei direttori generali e sapete che gli obiettivi concorrono alla valutazione dell'operato del direttore generale; questa è stata una leva importante.
  Con le ultime regole di sistema collegate all'ultima frazione di legislatura, quella che adesso porta i direttori generali a scadere alla fine dell'anno, le linee di indirizzo ai direttori generali per l'organizzazione dei piani aziendali hanno richiesto di costruire le reti di cure palliative e di definire che le reti di cure palliative vanno governate da una struttura dipartimentale; quindi la regione Lombardia ha investito dicendo che deve esserci un capo dipartimento di cure palliative. Se non è questa la leva del cambiamento, onorevole Trizzino! Queste cose vanno fatte. Una volta fatte, non è che producono automaticamente servizi, però sono le premesse per cui l'organizzazione crea le condizioni per sviluppare i servizi, per far crescere il sistema professionale, per fare gli ECM (educazione continua in medicina) della formazione continua.
  I famosi 50 punti dei professionisti vincoliamoli per i professionisti che si occupano specificamente di cure palliative, che comunque è un sapere trasversale, perché l'identificazione delle cure palliative deve essere un'attività fatta in tutti i reparti, non solo dal medico esperto in cure palliative, ma con il medico di medicina generale.
  L'identificazione precoce dei bisogni di cure palliative è quella, e non è solo l'identificazione su base prognostica, è l'identificazione sulla base dei bisogni, che sono un'altra cosa.
  Come prima risposta, quindi, darei questa. Le risorse possono andare nel tempo in equilibrio, perché è evidente che la cura in un setting ospedaliero è molto più onerosa e assorbe più risorse (non c'è bisogno di spiegarvelo, lo sapete benissimo) rispetto alla cura a domicilio o in hospice. Non abbiamo ancora adottato a livello nazionale (questo è un elemento di criticità), sebbene noi tecnici l'avessimo prodotto, il piano tariffe delle cure palliative, ma bisognerà venirne fuori, perché solo con delle tariffe esistono investimenti in cure palliative dal punto di vista delle azioni di governance locale.
  La seconda linea quindi è questa, divulgarla come elemento di conoscenza specifica, usando strumenti tecnologicamente avanzati. Nella nostra azienda abbiamo messo negli obiettivi aziendali delle risorse aggiuntive, quindi abbiamo detto: «diamo le risorse aggiuntive a tutto il sistema professionale, medici e infermieri, a condizione che si sviluppi a, b, c». Le ultime risorse aggiuntive erano per l'utilizzo digitalizzato dello strumento che identifica il bisogno di cure palliative e un altro strumento che identifica i bisogni della persona.
  Lentamente, con una formazione che ha coinvolto centinaia di persone negli anni, si comincia a vedere il risultato, perché poi (rispondo all'onorevole Siani) il medico che identifica quel malato, nel momento in cui lo accompagna anche rispetto alla consapevolezza di gestirlo a casa, è un medico che ha parlato con il malato e la famiglia, ha prospettato loro le alternative, ha comunicato la notizia difficile, ha gestito un percorso, si è impegnato a dire: «ti do la brutta notizia, ma ti do anche un servizio che ti accompagna, e io specialista d'organo non faccio un passo indietro, ma sono insieme all'altro specialista che ti aiuta e si integra». Pag. 13
  Questa è la seconda azione professionale sulla quale le sensibilità ci sono, ma vanno accompagnate. Ci sarebbero altre cose da fare, ma mi posso fermare qui.

  EMANUELA TIOZZO, rappresentante per gli infermieri pediatrici della FNOPI e responsabile dello sviluppo professionale presso l'Ospedale Bambino Gesù di Roma. Ho preso degli appunti e spero di rispondere a tutto. Da cosa partire? Sicuramente c'è bisogno di sinergie che si sviluppano su più punti. La formazione è stata sancita dalla legge n. 38, in università è entrata la formazione cure palliative e cure sulla terapia del dolore.
  Servono – ripeto – hospice pediatrici, ma anche la valorizzazione dell'assistenza a domicilio. I genitori (parlo in particolare del contesto pediatrico) preferiscono stare presso il loro domicilio, ma è difficilissimo mandarli a domicilio, perché ogni ASL ragiona a modo proprio, ogni ASL mette a disposizione alcuni dispositivi e altri no, quindi alla fine devi tenere il paziente pediatrico dentro l'ospedale perché non riesci a mandarlo a domicilio!
  I genitori starebbero volentieri con gli altri figli, starebbero volentieri vicino al coniuge, continuerebbero volentieri a lavorare, anche perché è una valvola di sfogo. Parlavo dei sopravvissuti delle malattie degenerative che entrano nella palliazione per lunghi periodi, per anni. Pensate a questi genitori che si trovano scollegati dal loro domicilio e non hanno un aiuto.
  L’hospice non deve servire per accogliere per lunghi periodi, perché questo magari non è giusto (lunghi periodi a domicilio), ma bisogna offrire a quelle famiglie dei momenti di respiro. L’hospice quindi è come il giardino di infanzia per i bambini che non sono malati, il genitore li porta nell’hospice per qualche giorno, la famiglia prende respiro e si cura e poi ritorna dal bambino.
  I genitori non vogliono abbandonare questi bambini, ma è un carico enorme, spropositato, quindi dobbiamo portare l'ospedale a domicilio, garantendo tutti i supporti e un respiro.
  La formazione deve essere quindi parallela all'attivazione della rete domiciliare, perché è ancora scarsa e, se vuoi mandare a domicilio un bambino, ti devi anche assumere il compito di fare tre accessi a casa, altrimenti non c'è chi lo prenda in carico.
  L'onorevole Novelli chiedeva se tutte le persone possano lavorare nelle cure palliative, assolutamente no, ma le evidenze ci dimostrano che abbiamo a disposizione degli strumenti per selezionare le competenze, chi è competente e può lavorare presso una struttura di cure palliative. Dobbiamo utilizzare questi strumenti, non devono rimanere scritti sui libri e sugli articoli, ricerchiamo, spendiamo il nostro tempo, sappiamo che potrebbero migliorare la qualità della vita, quindi tiriamoli fuori e utilizziamoli!
  La SICP (Società italiana di cure palliative) ha fatto un lavoro straordinario sul core curriculum cure palliative per i medici e gli infermieri, ma sta sulla carta, quindi nella selezione del personale per le cure palliative non viene utilizzato, anche se – ripeto – ci abbiamo studiato, speso risorse e dovremmo utilizzarlo.
  È sulle competenze che oggi si gioca la vera sfida per garantire professionisti adatti ad assistere nelle cure palliative, persone competenti, non solo con i crediti formativi universitari, ma con i crediti ECM. Vincolare i crediti ECM a questi professionisti è necessario, se stai nelle cure palliative devi fare i crediti ECM, che sono la formazione continua in medicina, nell'ambito del campo in cui stai lavorando, perché la ricerca va avanti e tutto ciò che di meglio abbiamo a disposizione nelle evidenze internazionali lo dobbiamo portare subito al bambino, al paziente, perché non può aspettare, perché se il dolore è in quel momento, devi rispondere in quel momento, ed è una grossa responsabilità.
  Io faccio ricerca, ma quella ricerca non me la devo tenere in tasca solo perché la pubblico, la devo portare al letto del paziente, e purtroppo traslare la ricerca richiede risorse, che tante volte non abbiamo, quindi abbiamo bellissime ricerche e bellissime pubblicazioni che non arrivano al letto del paziente. Come si fa a farle arrivare al letto del paziente? Con obiettivi chiari, vincolati sulle persone, con delle Pag. 14procedure, con degli standard. Servono leggi chiare che definiscano standard di assistenza a questi pazienti e competenze del personale che ci deve lavorare.
  Una volta definito questo, sicuramente migliorerà, ma non migliora se non c'è anche un monitoraggio, perché bisogna controllare che le leggi vengano realmente applicate. L'obiettivo è una leva importante, perché influisce sulla retribuzione della persona, e le persone, quando c'è un mancato raggiungimento e quindi un mancato introito, sicuramente si applicano per creare il cambiamento.
  Dobbiamo pensare a questi pazienti. I fratelli vivono un dramma importantissimo, ma ce li dimentichiamo. Dobbiamo invece coinvolgerli, creare occasioni anche per loro, farli entrare in ospedale. Se portiamo la famiglia a casa, i fratelli sono inclusi e stanno nel loro ambiente, nel loro territorio, devono essere integrati anche nella vita di relazione. Dobbiamo fare molta attenzione a tutelare il valore della famiglia in sé, perché troppo spesso ce ne dimentichiamo.
  Per quanto riguarda il problema della valutazione del dolore nei pronto soccorso, purtroppo riconosco che è vero; noi siamo accreditati alla Joint Commission e quindi siamo obbligati a fare una rivalutazione del dolore, abbiamo anche sviluppato una app con un progetto di ricerca, per permettere ai genitori di valutare il dolore a domicilio nel post operatorio e mandarci i dati.
  Questo progetto di ricerca è ripetibile, ma da qui ad attuarlo per tutti quanto ci metteremo? I tempi sono lunghissimi per traslare la ricerca, ma la valutazione del dolore è fondamentale nel pronto soccorso e basterebbe pochissimo, perché abbiamo lo strumento del triage. Basterebbe includere nella valutazione del triage il dolore, e noi l'abbiamo fatto però a macchia di leopardo, non per tutti.
  Se tutte le regioni che governano il sistema di triage nei pronto soccorso introducessero questo campo obbligatorio di valutazione del dolore, sarebbe fatta, e non è una grossa cosa, bisogna solo chiamare i sistemi informativi e dirgli di inserire la voce «Valutazione del dolore» come criterio di valutazione della gravità del bambino (parlo sempre di bambini perché mi occupo di questo).
  Gli strumenti che abbiamo sicuramente sono: obiettivi ad personam per cambiare le cose, protocolli e procedure e standard che devono essere applicati e monitorati.
  Per quanto riguarda le difficoltà di comunicazione tra medici e infermieri, ci sono due sensibilità diverse, è vero, qualche volta non si incontrano, è vero anche questo, però devono camminare insieme, ed è per questo che la formazione deve essere fatta insieme. La formazione (almeno quella continua in medicina e quella dei master) deve essere fatta non in modo separato, ma in modo integrato, coinvolgendo tutte le professionalità, perché se metti sui banchi di scuola insieme medici e infermieri e inizi a farli parlare, sicuramente la situazione cambia e imparano a comunicare.
  La relazione è difficilissima, gli infermieri stanno a contatto con il bambino 24 ore su 24, conoscono tutto di quel bambino e coinvolgono i genitori. I genitori non sono solo dei partecipanti del team, sono i capitani del team nelle cure palliative, perché sanno molto più di noi come quel bambino reagisce al dolore, noi utilizziamo le scale, siamo bravi tecnici, bravi professionisti, ma la valutazione del dolore di quel bambino la conosce meglio il genitore.
  La formazione deve essere fatta insieme, se non vogliamo creare contrasti tra i professionisti devono essere formati insieme. Solo in questo modo riusciremo ad avere una formazione che arriva al bambino e risolve sicuramente i problemi.

  GIANLORENZO SCACCABAROZZI, direttore della Rete cure palliative di Lecco e già presidente della Sezione cure palliative-terapie del dolore del Comitato tecnico sanitario del Ministero della salute. Ho dimenticato una cosa fondamentale, assolutamente a isorisorse, senza costi, rispetto alla domanda dell'onorevole Trizzino che chiedeva cosa faresti domani mattina in modo concreto: una deroga analoga a quella della legge n. 147 del 2013, che aveva stabilizzato una parte dei professionisti, ma ne mancano altri da stabilizzare. Non costa Pag. 15niente, serve solo un'iniziativa parlamentare.
  La seconda è superare la precarietà del sistema professionale, che oggi lavora e viene remunerato con rapporto atipico, quindi lo stipendio che gli diamo oggi con contratto atipico va stabilizzato. Il futuro delle cure palliative parte anche da un sistema professionale che, in quanto stabilizzato, investe sul proprio futuro, altrimenti scappa dal mondo delle cure palliative. Sono due cose molto semplici, che non costano.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per essere intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.