XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 9 ottobre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGGE 15 MARZO 2010, N. 38, IN MATERIA DI ACCESSO ALLE CURE PALLIATIVE E ALLA TERAPIA DEL DOLORE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'AMBITO PEDIATRICO.

Audizione del dottor Vittorio Andrea Guardamagna, direttore della Divisione Cure palliative e terapia del dolore dell'Istituto europeo di oncologia (IEO).
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Guardamagna Vittorio Andrea , direttore della Divisione Cure palliative e terapia del dolore dell'Istituto europeo di oncologia (IEO) ... 3 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 5 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 5 
Siani Paolo (PD)  ... 6 
Novelli Roberto (FI)  ... 6 
Sarli Doriana (M5S)  ... 7 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 7 
Guardamagna Vittorio Andrea , direttore della Divisione Cure palliative e terapia del dolore dell'Istituto europeo di oncologia (IEO) ... 7 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 9 

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana medici di famiglia (FIMMG).
Lorefice Marialucia , Presidente ... 9 
Bartoletti Pier Luigi , vicesegretario nazionale vicario della FIMMG ... 9 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 10 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 10 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 11 
Bartoletti Pier Luigi , vicesegretario nazionale vicario della FIMMG ... 11 
De Filippo Vito (PD)  ... 12 
Bartoletti Pier Luigi , vicesegretario nazionale vicario della FIMMG ... 12 
De Filippo Vito (PD)  ... 12 
Bartoletti Pier Luigi , vicesegretario nazionale vicario della FIMMG ... 12 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 12 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 12 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 13 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione ospedali pediatrici italiani (AOPI).
Lorefice Marialucia , Presidente ... 13 
Minicucci Anna Maria , vicepresidente dell'Associazione ospedali pediatrici italiani (AOPI) ... 13 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 15 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 15 
Siani Paolo (PD)  ... 16 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 16 
Minicucci Anna Maria , vicepresidente dell'Associazione ospedali pediatrici italiani (AOPI) ... 16 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 18 

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi (CNOP).
Lorefice Marialucia , Presidente ... 18 
De Tommasi Valentina , psicologa ... 18 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 20 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 20 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 21 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 21 
De Tommasi Valentina , psicologa ... 21 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 22 
De Tommasi Valentina , psicologa ... 22 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 22 
De Tommasi Valentina , psicologa ... 22 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 22

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 11.35

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Vittorio Andrea Guardamagna, direttore della Divisione Cure palliative e terapia del dolore dell'Istituto europeo di oncologia (IEO).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38 in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore con particolare riferimento all'ambito pediatrico, del dottor Vittorio Andrea Guardamagna, direttore della Divisione Cure palliative e terapia del dolore dell'Istituto europeo di oncologia (IEO).
  La Commissione prosegue oggi le audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38 in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, con particolare riferimento all'ambito pediatrico.
  Saluto il dottor Vittorio Andrea Guardamagna, ringraziandolo per aver accolto l'invito della Commissione ad intervenire all'audizione odierna.
  Pregherei il nostro ospite di contenere il proprio intervento entro dieci minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguirà la replica del soggetto audito, che potrà consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente. Tale documento sarà reso disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do, quindi, la parola al dottor Guardamagna.

  VITTORIO ANDREA GUARDAMAGNA, direttore della Divisione Cure palliative e terapia del dolore dell'Istituto europeo di oncologia (IEO). Mi presento molto velocemente. Sono un medico di estrazione anestesiologica, che, però, da vent'anni si occupa sia di cure palliative che di terapia del dolore; due contesti, due ambiti che la legge n. 38 ha giustamente differenziato e diviso, che, però, in alcune situazioni convivono per cercare di trarre il massimo beneficio da ciascuno di questi due mondi diversi.
  Ho lavorato per quindici anni in una struttura ospedaliera pubblica, sempre in regione Lombardia, e da quasi cinque anni ho avuto l'onore di dirigere questa divisione all'Istituto europeo di oncologia di Milano, chiamato dall'allora direttore scientifico, professor Veronesi, proprio per cercare di dare un impulso alle cure palliative e alla terapia del dolore in un istituto oncologico che, fino a quel momento, era ancora carente in questi termini. Ecco che, quindi, se dovessimo prendere lo spunto iniziale per parlare della corretta applicazione della legge n. 38 e della sua diffusione ubiquitaria vediamo che anche in strutture del nord solo in tempi recenti si è riusciti a portare questo valore aggiunto. Infatti, la premessa è che parlando di reti di cure palliative pediatriche, in particolare, e anche per adulti in generale c'è ancora una notevole frammentazione sul territorio nazionale. Pag. 4
  Ci sono regioni che sono sicuramente più avanzate, come la regione che rappresento, la Lombardia, o come la regione Sicilia, come le regioni Emilia-Romagna e Veneto e altre regioni, invece, in particolare, purtroppo, nel centro e sud Italia, che ancora stentano a vedere una rete correttamente rappresentata. Questo poi si esplica in un disagio per il paziente che, affetto da una patologia oncologica o non oncologica in fase avanzata, fa fatica a trovare risposte cliniche sociali, assistenziali, psicologiche in un’équipe multidisciplinare che rappresenterebbe il gold standard per l'assistenza.
  Un parallelismo vale anche per la terapia del dolore, quella branca della medicina che si occupa della cura e del controllo, delle sindromi dolorose particolarmente complesse, quindi non per forza correlate a una malattia avanzata, dolore cronico oncologico e non oncologico, che anche essa trova ancora una scarsa risposta in alcune strutture. Ci sono strutture d'eccellenza in tutto il territorio nazionale, ma ancora sono spesso reti poco conosciute anche, per esempio, dai medici di medicina generale. Molto spesso il paziente arriva a un controllo, a un contatto con lo specialista del dolore dopo un calvario di mesi o anni di trattamento non adeguato. Sicuramente c'è ancora una carenza informativa, oltre che presso la cittadinanza, ma presso anche gli specialisti stessi.
  Per quanto riguarda il discorso del paziente pediatrico in fase avanzata o terminale la questione diventa ancora più critica e più delicata. Ovviamente, stiamo parlando di piccoli pazienti anch'essi affetti da malattie oncologiche o non oncologiche, ma di differenti eziologie, che però portano a una fase di non guaribilità, che spesso faticano a trovare una soluzione e una risposta in quanto la rete di cure palliative pediatriche è ancora discretamente carente.
  L'obiettivo è la creazione di strutture residenziali che vengono definite hospice in cui i pazienti, i piccoli pazienti pediatrici, possano essere assistiti con il proprio nucleo familiare, ma al momento la situazione italiana è ancora carente, siamo a cinque-sei hospice pronti sui venti teorici che dovrebbero essere a regime.
  Per quanto riguarda, invece, l'assistenza domiciliare in cure palliative, la situazione si fa ancora più critica, in quanto molto spesso per il piccolo paziente che vive magari lontano da una grande città, da un centro oncologico di riferimento, in cui ci sia una forte motivazione da parte dei genitori di gestire e curare il piccolo paziente al proprio domicilio la situazione diventa molto critica, in quanto, giustamente, i pediatri di libera scelta, i medici di medicina generale non sono dotati di tutti gli strumenti per garantire il globale trattamento del paziente, quindi un lavoro in équipe multidisciplinare che veda la presenza del medico, dell'infermiere, dello psicologo, che è una figura fondamentale, del fisioterapista. Anche solo la risposta in termini di farmaci per il dolore diventa piuttosto difficile, in quanto la maggior parte degli analgesici, come gli oppiacei, ad esempio, non hanno un'indicazione in scheda tecnica per il paziente pediatrico, e quindi bisogna inevitabilmente rafforzare questa rete.
  A noi è capitato, pur lavorando in reti di cure palliative per adulti, di dover soddisfare delle richieste da parte del territorio per famiglie che con un piccolo paziente richiedevano un'assistenza domiciliare fino alla fine del percorso della malattia, con un forte impatto di tipo psicologico-emotivo, ma che richiede anche delle skills, delle abilità terapeutiche che devono essere per forza il bagaglio di tutti, almeno dei palliativisti.
  Per quanto riguarda il discorso della terapia del dolore, anche in questo caso centri di trattamento sono diffusi su tutto il territorio nazionale, ma le grosse strutture oncologiche non sempre prevedono la figura del terapista del dolore inteso nel senso stretto del termine, cioè di uno specialista in anestesia e rianimazione che, oltre ai trattamenti farmacologici, che sono ovviamente obbligatori e indispensabili, abbia magari conoscenze anche di tecniche invasive per il trattamento, ad esempio, di forme di dolore particolarmente complesse. Pag. 5Anche in questo ci sarebbe da auspicare una maggior diffusione.
  Per quanto riguarda l'approccio farmacologico, rilevo che storicamente i farmaci per il dolore, per il controllo del dolore, sono pochi. Gli oppiacei che abbiamo a disposizione in Italia sono in tutto una decina e quindi ci si destreggia il più possibile nell'ambito di questi pochi farmaci, che il più delle volte, per il 90 per cento delle situazioni, riescono a dare una buona risposta. Rimane quel 10 per cento che sia nell'adulto che nel bambino non riesce a trovare una risposta, per presenza di effetti collaterali non gestibili oppure per mancanza di risposta. Bisogna allora inevitabilmente ricorrere a tecniche alternative, come le tecniche invasive, dalle più semplici, che vuol dire banalmente delle infiltrazioni, delle iniezioni intramuscolari localizzate in punti di particolare dolore, fino ad arrivare a nuove molecole che sono anche un po’ di moda, probabilmente, come, per esempio, trattamenti a base di cannabis terapeutica, cannabis medicale che, come sapete, sta vivendo un po’ una demonizzazione come quella che era avvenuta per gli oppiacei vent'anni fa.
  Le evidenze scientifiche stanno incrementando. Quello che posso dire della nostra esperienza di trattamento di circa trecento pazienti oncologici ad oggi è che, in realtà, come dichiarato anche dal decreto ministeriale del novembre 2015, non è un vero e proprio farmaco, ma un trattamento di supporto di sintomi che accompagnano il paziente in fasi particolari della propria malattia. È ancora una legislazione sicuramente da ottimizzare. Pensate che la regione Lombardia, solo nell'agosto del 2018, ha decretato la rimborsabilità di questi preparati farmaceutici per il trattamento di forme di dolore cronico, di sintomi correlati all'evoluzione di malattie oncologiche come la nausea, il vomito, dopo la chemioradioterapia, oppure l'anoressia, la anoressia-cachessia nel paziente sia neoplasico che affetto da altre malattie, perché pare, riportata in evidenza scientifica, in letteratura, che ci sia un'azione oressizzante, cioè di stimolo dell'appetito, nonché indicazioni che il paziente affetto da una patologia in fase avanzata o terminale sicuramente potrà trarre un grosso giovamento. Anche in questo ambito, dalle mie esperienze nell'ambito della Federazione cure palliative, avendo un polso della situazione su tutto il territorio nazionale, girando molto l'Italia, riscontriamo molto bisogno formativo da parte dei medici stessi, ma manca l’expertise, manca chi fornisca questi aspetti formativi.
  Usualmente faccio un esempio: a ogni convegno, a ogni consesso medico in cui si parla di dolore, inevitabilmente, le domande sul tema cannabis terapeutica saltano subito alla ribalta. È un argomento molto interessante perché c'è molta richiesta anche dal basso, da parte della popolazione, da parte dei pazienti, ma, in realtà, sta a noi dare delle risposte scientifiche. Purtroppo, devo rilevare che in letteratura scientifica ancora i dati scientifici di buon valore, studi controllati, ce ne sono veramente pochi.
  Noi, per esempio, nell'Istituto europeo di oncologia, con l'apporto della Fondazione Umberto Veronesi, abbiamo adesso iniziato la sperimentazione di uno studio adattativo in diverse fasi, a partire dalla farmacocinetica, per capire se questo farmaco viene assorbito a livello orale oppure a livello sublinguale; capire bene qual è la reale via di somministrazione, cercare di dare una titolazione, quantificare quali siano i dosaggi giusti e magari capire se realmente funziona sul dolore o su altri sintomi, perché è ancora un argomento un po’, anche in questo caso, carente.
  Io potrei andare avanti per ore.

  PRESIDENTE. Sentiamo se ci sono delle domande da parte dei deputati così potrà eventualmente integrare. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO TRIZZINO. Ringrazio il dottor Guardamagna.
  Lei correttamente sottolinea la necessità di adeguare l'applicazione della legge n. 38 ai tempi, in considerazione della diversità sul livello regionale di applicazione delle reti di cure palliative. Vorrei chiederle, per Pag. 6la sua esperienza in regione Lombardia, che ben conosco, qual è attualmente lo stato di programmazione? Esiste, ad esempio, una integrazione nella rete di cure palliative del no profit? Sotto che forma? Questo accreditamento come è strutturato presso la vostra regione? Ritiene che possa essere un modello esportabile su tutto il Paese?
  Esiste – le rivolgo un'altra domanda – anche qui una sovrapposizione, come peraltro c'è nelle altre regioni, tra l'assistenza domiciliare integrata e l'assistenza domiciliare di cure palliative dove, purtroppo, l'assistenza domiciliare integrata assume un ruolo importante in modo inappropriato, come ben sappiamo, nella gestione di questi pazienti?
  Per completare la domanda, sui farmaci attualmente lei ritiene che la conoscenza, la competenza da parte della classe medica sia sufficiente, soprattutto nell'ambito delle cure palliative pediatriche dove i numeri sono nettamente inferiori e quindi questo comporta una difficoltà ancora più ampia? Il ritardo nella realizzazione delle strutture degli hospice pediatrici può essere rapportato proprio a questa incapacità di esprimere professionalità nel nostro Paese rispetto alle cure palliative pediatriche? Il pediatra perché non comincia a specializzarsi in questa specifica azione di palliativista? Secondo lei, perché c'è questo ritardo da parte della pediatria ad accogliere questa nuova specificità, che la caratterizza, nelle cure palliative?

  PAOLO SIANI. Ringrazio l'onorevole Trizzino per aver fatto molte delle domande che avrei fatto io. Quello della pediatria è un tema molto interessante. Noi abbiamo molto studiato il dolore con la professoressa Benini, che ha girato l'Italia in lungo e in largo per insegnarci a trattare il dolore nelle sue varie forme con quei pochi farmaci che abbiamo. Tuttavia, le voglio dire due cose. La prima riguarda la cannabis, che è un tema molto interessante: come fate a studiare gli effetti di questo farmaco non associato ad altri farmaci? È difficile stabilire quale farmaco funziona. Questo mi interessa saperlo.
  Poi, le volevo chiedere un'altra cosa, a cui le chiedo di rispondere in modo sincero. Poiché tutti ci hanno detto, e noi lo sappiamo, ovviamente, che il vero problema è la carenza di hospice – lei ha detto cinque, in realtà sono quattro virgola qualcosa – perché non si fanno gli hospice? È colpa della politica o è colpa di noi operatori sanitari – io faccio un po’ questo e un po’ quello – che non sappiamo, come diceva il collega Trizzino, affrontare questo problema? Questo per me è decisivo capirlo, se dobbiamo spingere affinché la politica faccia questi hospice o se noi non siamo pronti, come classe medica, specie in ambito pediatrico, a fare una cosa del genere.

  ROBERTO NOVELLI. Direttore, prima lei ha posto l'attenzione, tra i vari argomenti che ha trattato, anche sulla poca conoscenza che i medici di medicina generale, che sono il primo punto di presidio medico del territorio, hanno della trasmissione di informazione sulla terapia del dolore e di ciò che i pazienti o i familiari del paziente, che si trovano spesso in condizioni di disagio anche psicologico, dovrebbero fare per accedervi.
  La domanda è abbastanza scontata. Visto che noi abbiamo una sanità che è regionalizzata e quindi le differenze, l'abbiamo ascoltato in molte audizioni, sono evidenti purtroppo su molti aspetti della sanità, torno sul concetto della responsabilità, la responsabilità è legata ai direttori sanitari, alla programmazione aziendale, all'insensibilità? Perché credo che informare nel modo corretto i medici di medicina generale sia estremamente semplice, in quanto c'è una rete che è facilmente raggiungibile anche con i sistemi telematici, con un banalissimo corso online, per essere proprio attuali. In merito a questo aspetto, che dal mio punto di vista potrebbe essere diffuso in modo dilagante in tutto il Paese, i medici di medicina generale, in quanto medici, non hanno bisogno di corsi di formazione molto approfonditi. Perché non si riesce a realizzare, visto che lei gira l'Italia, questo tipo di attività formativa, che poi serve anche ad aiutare i pazienti?

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  DORIANA SARLI. A proposito della cannabis terapeutica – sappiamo che ora è talmente usata che c'è un problema di carenza in Italia di prodotto per mantenere stabili e continue le terapie – la usate solo in terapia di sostegno ad altri protocolli terapeutici o anche in monoterapia?

  PRESIDENTE. Se nessun altro chiede di intervenire, do la parola al dottor Guardamagna per la replica.

  VITTORIO ANDREA GUARDAMAGNA, direttore della Divisione Cure palliative e terapia del dolore dell'Istituto europeo di oncologia (IEO). Per rispondere alle domande, che sono tutte interessantissime, cerco di essere il più sintetico possibile. Iniziamo con il modello della rete lombarda di cure palliative che, effettivamente, è un modello che negli anni si è evoluto, si è strutturato e ha modificato molto il suo assetto e ad oggi prevede un'integrazione del pubblico, del privato e del Terzo settore con pari dignità.
  In regione Lombardia storicamente esistevano due assessorati separati, assessorato alla famiglia e assessorato alla sanità, che sostenevano due modelli diversi di reti di cure palliative. Lo sforzo di questi ultimi due anni è stato quello di accorpare gli assessorati e fornire un unico modello indipendentemente da chi fornisca i servizi, quindi con altissimi requisiti di accreditamento che, innegabilmente, hanno messo in difficoltà alcuni attori. Sono requisiti importanti che noi riteniamo fondamentali, come, ad esempio, la garanzia di un servizio reperibilità di pronta disponibilità medica e infermieristica ventiquattro ore su ventiquattro e trecentosessantacinque giorni all'anno, che, ovviamente, implica un adeguamento dell'organico dei servizi con ripercussioni anche sulle risorse; oppure il fatto di portare a domicilio del paziente tutti i farmaci inerenti la struttura, l'ambito delle cure palliative o, per esempio, recentemente, l'aver fornito anche alle onlus il ricettario regionale, superando tutti gli ostacoli anche di tipo prescrittivo per garantire questa possibilità di fornitura diretta e non far mancare nulla ai propri pazienti.
  Sicuramente sarebbe il massimo riuscire a esportare questo modello. Poi, chiaramente andrà calato nelle realtà singole di ogni regione e sicuramente valutato in termini di sostenibilità economica. Studi di farmacoeconomia hanno dimostrato che un sistema avanzato con una rete funzionante riesce a dare un risparmio, oltre che ovviamente in termini psicologici ed etici, anche in termini di ottimizzazione delle risorse, evitando accessi inutili nei pronto soccorso di malati che decisamente dovrebbero essere gestiti a domicilio.
  Per un modello che sarebbe auspicabile estendere, ripeto, probabilmente ci vorranno finanziamenti adeguati, risorse adeguate in termini sia di economia di servizio che soprattutto in termini etici, e potranno dare dei grandissimi risultati.
  Per quanto riguarda il discorso degli hospice pediatrici, effettivamente sono quattro e mezzo. Adesso sono quasi pronti l’hospice di Casa Vidas a Milano e l’hospice del Gaslini di Genova. Arriveremo a sei nel giro dell'anno prossimo. Il problema degli hospice pediatrici è nella carenza, anche in questo caso, di formazione nelle scuole di specializzazione sugli aspetti di approccio palliativo alle malattie.
  Bisognerebbe fare una distinzione che è un po’ lunga, però è utile, tra i bisogni di cure palliative della popolazione, del paziente sia adulto che pediatrico che possono essere bisogni anche di cure palliative molto basilari, quello che viene definito oggi approccio palliativo, cioè un approccio che in alcune situazioni qualunque sanitario dovrebbe avere e che richiede, ovviamente, l'aver maturato delle abilità che probabilmente devono venire ancora dal percorso formativo, meglio se ancora universitario.
  Sicuramente andrà fatta un'opera di modifica degli ordinamenti didattici nei corsi pre laurea per approfondire gli aspetti della palliazione e della terapia del dolore come strumenti base che ogni medico dovrebbe avere e che, purtroppo, ad oggi non ha. Questo viene anche a rispondere un po’ alla domanda sulla rete di medicina generale, in quanto troppo tardi ci si accorge nella pratica clinica che sarebbero utili Pag. 8strumenti di conoscenza scientifica un pochettino più elevati, ma non tanto.
  Probabilmente la carenza viene proprio dai vecchi insegnamenti universitari. Qualcosa si sta muovendo in ambito universitario sia come corsi pre laurea, e soprattutto come master e specializzazioni post-laurea, ma sicuramente questo potrebbe essere l'orientamento per il futuro. Creare la mentalità palliativa, la mentalità da approccio palliativo, in tutte le professionalità mediche per cercare di dare una risposta il più possibile diffusa alla popolazione, anche perché è noto che i bisogni di cure palliative non possono essere soddisfatti totalmente dalle équipe specialistiche di tali cure in quanto ancora figure non sufficientemente diffuse sul territorio.
  Sapete che, ad esempio, in Italia ancora non esiste una specialità medica di cure palliative, che esiste nei Paesi anglosassoni. Anche in quest'ottica l'auspicio è che in futuro si riesca ad andare in questa direzione in termini di ordinamenti didattici; ciò sarebbe sicuramente molto utile. Lo specialista palliativista, ad esempio, nei paesi del Regno Unito, è presente in ogni ospedale, dal più piccolo al più grande. Il medico palliativista ha una funzione di consulente, riuscendo a dare, per esempio, una forte penetrazione sul territorio, perché, come consulenza, può raggiungere molto più diffusamente la popolazione.
  Per quanto riguarda la domanda sulla scarsa diffusione degli hospice, capire di chi è la colpa, rispondo che sicuramente ci sono colpe un po’ che arrivano da tutti, sia dalla classe politica, ma direi soprattutto anche da una poca conoscenza di quello che, invece, la politica mette a disposizione. Ricordo che la legge n. 39 del 1999 aveva stanziato finanziamenti per la costituzione di hospice in Italia, hospice per adulti; a nostra conoscenza per molti hospice si è verificato un rallentamento della costruzione e della diffusione in quanto non si era pienamente a conoscenza di questi finanziamenti a disposizione. Davvero c'è molto da fare, anche in termini di medici di medicina generale, sull'approfondire i livelli di approccio palliativo nella propria professione medica, quindi capire quando è utile un approccio non invasivo, quando è utile conoscere le tecniche e applicare le tecniche magari di una terapia sedativa versus una terapia troppo aggressiva. Ripeto, ad oggi, per i professionisti già formati non si può fare altro che fare formazione sul campo, per quanto riguarda le future generazioni occorre decisamente lavorare sul percorso formativo universitario.
  Vengo all'argomento cannabis. La cannabis terapeutica ad oggi difficilmente viene utilizzata come unico farmaco, per esempio per il controllo del sintomo dolore. Nel 95 per cento dei casi viene utilizzata come terapia adiuvante – adiuvante rispetto al farmaco analgesico maggiore, che il più delle volte è l'oppioide – evidenziando come sia in letteratura che nella pratica clinica si è rilevata un'azione sinergica: il paziente che utilizza un farmaco cannabinoide, in associazione all'oppiaceo, riesce a controllare e a ridurre notevolmente il dosaggio dell'oppioide. Questa azione sinergica che si manifesta bene, questa azione di risparmio dell'oppiaceo vuol dire risparmio di effetti collaterali, perché ricordo che comunque i farmaci oppiacei sono gravati da una serie di effetti collaterali noti, gestibili, ma sicuramente impattanti sulla qualità di vita, sulla qualità di cura.
  Di conseguenza, avere a disposizione un adiuvante, un farmaco - chiamiamolo così anche se in realtà sappiamo essere un fitofarmaco, un complesso di princìpi attivi che funzionano tutti insieme - che possa permettere di migliorare, di ottimizzare, ad esempio, il controllo del dolore o il controllo di sintomi come nausea e vomito avendo meno effetti collaterali decisamente è un campo che va approfondito e più studiato. Questo per quanto riguarda il discorso della mono-terapia o terapia adiuvante di supporto.
  In merito agli studi che verranno fatti, di confronto, l'idea è associare, avere un gruppo controllo, ad esempio, con una terapia con solo oppiaceo versus un gruppo che avrà il trattamento con oppiaceo più trattamento con cannabinoide. È chiaro, ci sono molti bias in queste ricerche, perché il problema della cannabis è che è un fitocomplesso, Pag. 9 un insieme, pensate, di più di 500 princìpi attivi, di cui solo pochi sono quelli noti. Nella pratica, nella ricerca scientifica si è anche dimostrato quanto i principali princìpi attivi, che sono il tetraidrocannabinolo e il cannabidiolo, isolati dagli altri componenti della cannabis, cioè dai terpeni o dai flavonoidi, perdono un po’ la loro efficacia analgesica.
  Nella terapia del dolore, nel supporto delle patologie oncologiche, si preferisce e si va verso un utilizzo proprio del farmaco nel suo complesso, del fitofarmaco nel suo complesso. Anche in questo caso direi che ci sono davvero delle cose molto interessanti, ci sono studi per ora pre-clinici, in vitro e su animale, che hanno dimostrato anche un'azione di rallentamento della crescita delle cellule tumorali, chiaramente gli studi sull'umano sono ancora a venire, qualcosa si sta muovendo in alcuni grossi filoni come la terapia dei glioblastomi, però sicuramente lo rende interessante come principio attivo.
  Devo ammettere che è anche motivo di richiesta spesso dei pazienti oncologici, in quanto venuti a conoscenza di questi studi pubblicati su «dottor internet», come lo chiamiamo noi. La richiesta è: «Dottore, voglio la cannabis perché so che guarisce il tumore». Questo, chiaramente, vuol dire fare un passo indietro, fare una buona formazione/informazione sul paziente, però stiamo parlando comunque di un farmaco che potrei dire ad oggi sicuro. È vero che bisogna considerare i rischi di addiction, studi di confronto sono attualmente in atto, però, ad esempio, non è possibile per i preparati con i cannabinoidi avere una morte per overdose da insufficienza respiratoria, perché i cannabinoidi non hanno recettori sui centri del respiro.
  Ci sono delle cose molto interessanti che sono in via di consolidamento. Siamo ancora in una fase direi pionieristica, in cui la ricerca assolutamente deve andare avanti, e sarebbe utile promuovere magari una ricerca istituzionale, in quanto anche in questo caso le aziende non sono interessate direttamente, quindi mancano i fondi per questo tipo di ricerca.
  Credo di aver risposto più o meno a tutto.

  PRESIDENTE. È stato chiarissimo, dottor Guardamagna. La ringraziamo per il suo contributo e le auguriamo una buona giornata.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana medici di famiglia (FIMMG).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38 in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore con particolare riferimento all'ambito pediatrico, di rappresentanti della Federazione italiana medici di famiglia (FIMMG).
  Sono presenti il vicesegretario nazionale vicario Pier Luigi Bartoletti e Cristina Ciuffo, componente della segreteria, che saluto e ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione ad intervenire all'audizione odierna.
  Pregherei i nostri ospiti di contenere l'intervento entro dieci minuti per dare modo ai deputati di porre delle domande, a cui seguirà la replica del soggetto audito, che potrà consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente. Tale documento sarà reso disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do quindi la parola al dottor Bartoletti.

  PIER LUIGI BARTOLETTI, vicesegretario nazionale vicario della FIMMG. Buongiorno a tutti e grazie per l'audizione. Questo è un tema che noi, come medici di medicina generale, azioniamo per quanto di competenza, quindi non sull'ambito pediatrico. Noi possiamo dare uno spaccato della situazione da 14 anni in su. Lo faremo in maniera molto succinta, ma ci siamo riservati di mandare una relazione che penso dovrebbe arrivare in giornata.
  Da un punto di vista nazionale, quasi tutte le regioni hanno recepito la normativa. Sull'attuazione della normativa ci sono Pag. 10delle discrepanze in relazione allo stato organizzativo regionale, cioè al nord un po’ meglio e al sud un po’ meno. Però da un punto di vista generale ci sono dei problemi strutturali e problemi funzionali.
  Dal punto di vista strutturale, occorre differenziare terapia del dolore e cure palliative, che è l'ambito della legge. In entrambi i casi, sottolineo la carenza di medici, che è un problema per esempio sulle cure palliative. Noi abbiamo un blocco che riguarda tutti i colleghi che non sono specialisti nelle branche previste dalla legge, che possono vantare l'equipollenza soltanto se hanno prestato servizio fino al 2013 e non successivamente. Già in Lombardia – ci segnalano i nostri segretari – ci sono problemi per cui stanno derogando per mettere del personale in più nelle strutture di cure palliative. Questo riguarda un problema strutturale: carenza di medici.
  In questo Paese, al di là dell'aspetto normativo e culturale, questa è una legge importante che solleva il problema e pone un problema etico molto stringente; ma, al di là del fatto che la norma è stata recepita, il problema è l'attuazione della normativa recepita. Intendo che ad oggi non ci sono, in entrambi i casi, percorsi di presa in carico che a livello regionale garantiscono l'accesso equo alle cure palliative e alla terapia del dolore. Questo è il problema numero uno.
  Molto dipende dalla singola struttura, dal singolo medico, dalla capacità della singola persona di individuare i centri che sono preposti alle cure palliative e alla terapia del dolore, e il dato risultante da questo, purtroppo, è che si ha molto ritardo nell'accesso sia alla terapia del dolore che alle cure palliative, con fenomeni allucinanti: addirittura ci sono pazienti che vanno dal pronto soccorso alle strutture di palliazione. Sono cose folli, nel senso che ogni situazione dovrebbe essere gestita a seconda della patologia. Questo purtroppo non accade.
  Non accade anche perché da un punto di vista formativo abbiamo un problema; in relazione alle cure palliative, si può acquisire un master, che però non ha nessuna valenza da un punto di vista operativo, me lo porto nel curriculum, ma non ho alcun vantaggio da un punto di vista lavorativo. C'è un aspetto «para-accademico», è stato cioè istituito, ma non c'è un aspetto pratico per cui il medico che fa quel master è abilitato a fare queste cure palliative.
  Quindi, abbiamo colleghi che non hanno potuto vantare, in data prevista dalla legge (2013) il titolo di equipollenza per aver lavorato in quelle strutture e che oggi non possono lavorarci nonostante ci siano strutture in carenza d'organico. Un altro paradosso tutto italiano.
  Il problema principale che sottolineiamo è la mancanza di percorsi di presa in carico e soprattutto la mancanza di percorsi di presa in carico ospedale-territorio/territorio-ospedale. Abbiamo cure domiciliari difformi da regione a regione e soprattutto gestioni dei pazienti assolutamente prive di una valenza di sistema, ma molto legati al singolo operatore.
  Detto questo, sono stato molto succinto, magari lasciamo spazio alle domande.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Bartoletti.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  GIORGIO TRIZZINO. Se lei mi consente vorrei approfittare per ricordare il professor Franco Pannuti, deceduto venerdì. Il professor Pannuti era il fondatore dell'Associazione nazionale tumori. Lui e il professor Ventafridda sono stati i fondatori del movimento per le cure palliative in Italia. Entrambi non ci sono più. Il professor Pannuti ci ha lasciato venerdì, ed è una grande perdita.
  Lei ci parla di una deroga avvenuta in regione Lombardia per far fronte alla carenza dei medici. Io le chiederei, se è possibile, di conoscere un po’ più nel dettaglio le forme di questa deroga e se effettivamente i risultati già li ha prodotti. A memoria ricordo che c'è un 30 per cento in più di medici che sono abilitati ad accedere a questa rete, pur non in possesso dei requisiti previsti dalla normativa.
  Lei ritiene questa una possibile soluzione, esportabile anche su un livello nazionale? Su questo noi saremmo, secondo Pag. 11lei, nelle condizioni di poter fare un passaggio parlamentare che consenta che questa deroga giunga a tutte le regioni?
  Lei sa bene che sull'elemento centrale della valutazione del malato terminale si gioca la partita di questo malato, se viene indirizzato appropriatamente verso un setting oppure verso un altro. Mi rendo conto che, da una visuale della medicina generale, questo è un po’ complesso stabilirlo, ma secondo lei la valutazione oggi nel nostro Paese viene fatta adeguatamente nei vari centri, nei vari punti di accesso di questo malato, o la medicina generale potrebbe comunque già fare un primo filtro di valutazione e avere un rapporto preferenziale con l'unità di valutazione? Mi risulta che purtroppo le unità di valutazione palliative non esistono nel territorio nazionale, se non in alcune regioni soltanto, ma sono associate alle unità di valutazione multidimensionale che purtroppo nulla hanno a che fare con la valutazione specifica in cure palliative.
  L'ultimo passaggio è quello della presa in carico, che è l'elemento portante. Qui veramente il setting deve essere individuato con estrema chiarezza, perché se un paziente viene dirottato verso un'assistenza domiciliare, avendo invece i requisiti per un'assistenza residenziale, abbiamo creato un grosso problema a lui e alla famiglia, a quello che è il residuo dei suoi giorni di vita.
  Ecco, il ruolo del medico di medicina generale, in questo accompagnamento fino all'ultimo istante, esiste nel nostro Paese oppure cede le armi quando lo ha affidato alla rete domiciliare, ma soprattutto a quella residenziale degli hospice? Io ho visti molto pochi medici di medicina generale accanto al letto del malato morente in un hospice.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Bartoletti per una breve replica.

  PIER LUIGI BARTOLETTI, vicesegretario nazionale vicario della FIMMG. Rispondo sulla Lombardia. Noi ci riserviamo di vedere se hanno avuto risultati, però ci sembra una norma di buonsenso. Se manca il personale nelle strutture e il servizio deve essere reso, e c'è una legge che lo rende obbligatorio, mi sembra naturale che si propongano dei correttivi. Possiamo riservarci di chiedere nel dettaglio se ci sono stati miglioramenti reali anche nella gestione delle strutture.
  Sulla valutazione, io distinguo le mie opinioni personali, dalla mia real life tutti i giorni nello studio, da quella che è la realtà. Quanto al problema della valutazione delle procedure di presa in carico, in questo Paese sono sempre state un optional, nel senso che noi siamo molto bravi a recepire le norme, ma meno ad attuarle, cioè meno nel far sì che il medico – rispondo anche alla domanda sul ruolo – possa avere strumenti per poter gestire il proprio ruolo.
  Se ho un ruolo, ma non ho gli strumenti per poterlo svolgere, è come se un ruolo non lo avessi. Cosa manca? Qui manca un sistema infrastrutturale che consenta al medico di medicina generale, qualora richiesto dalla famiglia o qualora individui un malato al quale purtroppo bisogna proporre delle cure di fine vita, di poter accedere a dei sistemi che consentano poi di gestire anche l'assistenza domiciliare o residenziale e di partecipare all'assistenza domiciliare o residenziale.
  Sempre sul dolore noi abbiamo hub and spoke per legge. In questa regione abbiamo gli hub and spoke. Alla domanda se questi hub and spoke sono collegati con il medico di medicina generale, io rispondo no; alla domanda se gli hub sono collegati con lo spoke rispondo «non sempre». Quindi, il problema vero è che, al di là della cultura generale sul dolore... Ripeto, questa è una legge importantissima, perché fa un passo molto avanti sulla presa di coscienza che il malato, anche quello che non ha prospettive di vita, dovrebbe essere sempre curato, anche senza possibilità di guarire, o che un dolore non è una necessità dell'uomo ma può essere gestito da un medico. Su questo hanno dato un grosso contributo le norme sulla prescrizione di farmaci oppiacei.
  Siamo assolutamente carenti nel fatto che non ci sono procedure che consentono al medico di poter gestire situazioni complesse, perché è chiaro che sul fatto di stare Pag. 12accanto al letto del malato che sta per morire non posso dire che noi abbiamo quel ruolo, anche quello rimane alla singola coscienza del rapporto con la famiglia. Però quello che devo fare e che spesso facciamo (ma lo facciamo fuori contesto, cioè fuori da criteri di sistema) è cercare la miglior sistemazione a quella persona alzando il telefono e chiedendo il favore, che è quello che non bisognerebbe fare in un sistema sanitario pubblico organizzato. Purtroppo questo ancora accade.
  Aggiungo che su questa materia, quando nel 2004 stavo nel Consiglio superiore di sanità, promuovemmo una prima normativa sulle cure palliative e cercammo di ampliare il più possibile la platea dei colleghi coinvolti, evitando logiche settoriali di categoria, ma cercammo di aprire un po’ a tutti; se c'era un malato bisognoso di cure palliative la segnalazione del problema dovesse essere aperta a tutte le categorie mediche, non soltanto ad alcune branche. La legge n. 38 è una prosecuzione di quel provvedimento.
  Probabilmente serve una cultura di sistema oltre che una cultura medica deontologica che già esiste. Il problema sono gli strumenti a disposizione, il ruolo noi lo abbiamo, ma non sappiamo come esercitarlo.

  VITO DE FILIPPO. Non ho capito o molto probabilmente non conosco questa esperienza lombarda. Vorrei capire un po’ di più. Si tratta del reclutamento di medici palliativisti nelle strutture? Non ho capito qual era il tema.
  Vorrei capire la valutazione che si fa. In Italia esiste una normativa approvata – vado a memoria – nel 2010 e un decreto ministeriale successivo che certifica l'attività e l'esperienza dei medici in queste strutture e consente a questi medici non solo di lavorare in queste strutture, se non vado errato, ma anche di poter partecipare a eventuali concorsi nelle aziende sanitarie, se hanno questa certificazione triennale. È di questo che stiamo parlando?

  PIER LUIGI BARTOLETTI, vicesegretario nazionale vicario della FIMMG. C'è un problema di carenza di personale – ripeto, mi riservo nel dettaglio di darle più elementi – e in maniera molto pratica in Lombardia hanno derogato dai criteri previsti dalla legge che prevede che si possono vantare dell'equipollenza i medici che hanno svolto per un triennio, nell'ambito delle cure palliative, questa attività.

  VITO DE FILIPPO. Non è una legge lombarda, è una legge dello Stato. Nel 2010 il nostro Paese si è dotato di una legge nazionale, che riguarda l'Italia. Questa legge prevedeva un decreto ministeriale che descrive la procedura per la certificazione di questo lavoro triennale che i medici hanno svolto nelle strutture. Quindi, ci fu una sorta di sanatoria per i cosiddetti palliativisti. Ma non è una legge della Lombardia, è una legge italiana

  PIER LUIGI BARTOLETTI, vicesegretario nazionale vicario della FIMMG. Stiamo parlando di due cose diverse. In Lombardia, adesso, in carenza di personale, hanno derogato ai criteri. Le faccio un esempio. La legge n. 38 del 2010 ha otto anni: la Liguria il 27 settembre del 2018 la recepisce. Quindi, non mi stupirei troppo sulla latenza dei tempi di applicazione.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Trizzino per una puntualizzazione.

  GIORGIO TRIZZINO. La ringrazio, presidente, della parola. So di essere forse fuori dalla prassi della procedura della Commissione, ma non potendo dare una risposta al collega cercherò di aiutare ad interpretare. In realtà la regione Lombardia, come tutte le altre regioni, trovandosi in grave affanno e difficoltà per carenza di medici palliativisti... Chiamiamoli così, anche se ricordiamoci che non esiste la specialità in cure palliative, ma esiste soltanto quell'indicazione normativa che ha individuato soltanto nove specializzazioni da cui attingere questi medici (anestesia, medicina generale, oncologia eccetera) e poi ha stabilito che soltanto chi avesse un'esperienza triennale al 2013 potesse operare nella rete. Pag. 13
  Si è constatato che questa rete purtroppo non era in condizioni di operare, che non erano sufficienti i medici, allora la regione Lombardia ha derogato in questo senso: il 30 per cento di personale medico potrà essere inserito all'interno della rete, anche senza quei requisiti, cioè la specialità o l'esperienza triennale. In che modo? Affiancandoli, sotto un sistema di tutoraggio, ai medici palliativisti delle strutture operanti nella rete. Per un triennio loro però saranno nelle condizioni di operare a tutti gli effetti come medici «palliativisti», però avranno degli obblighi, quelli di acquisire una formazione specifica, un master in cure palliative eccetera. Sono questi i requisiti.
  La domanda iniziale era proprio questa: è un modello esportabile alle altre regioni? Io ritengo di sì, perché in situazione di urgenza, di emergenza, non possiamo che attenerci appunto a condizioni di emergenza. In realtà, noi con quel passaggio che abbiamo fatto sul decreto-legge cd. Mille proroghe abbiamo impegnato il Governo a occuparsi di questo tema, cosa che faremo nella legge di bilancio. Mi auguro che con un emendamento riusciamo a risolvere, almeno momentaneamente. La ringrazio, presidente.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per essere intervenuti e dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione ospedali pediatrici italiani (AOPI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38 in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore con particolare riferimento all'ambito pediatrico, di rappresentanti dell'Associazione ospedali pediatrici italiani (AOPI).
  Do il benvenuto alla dottoressa Anna Maria Minicucci, vicepresidente dell'Associazione ospedali pediatrici italiani, e nel darle la parola la prego di contenere il proprio intervento entro dieci minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguirà la replica del soggetto audito, che potrà consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente. Tale documento sarà reso disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do, quindi, la parola alla dottoressa Minicucci.

  ANNA MARIA MINICUCCI, vicepresidente dell'Associazione ospedali pediatrici italiani (AOPI). Buongiorno a tutti. Vi ringrazio molto.
  Io sono vicepresidente dell'Associazione ospedali pediatrici e sono direttore generale dell'azienda ospedaliera pediatrica Santobono-Pausilipon di Napoli, che è una delle cinque aziende monospecialistiche pediatriche esclusivamente dedicate alla pediatria.
  Come dicevo, sono anche vicepresidente all'Associazione ospedali pediatrici che, invece, riunisce tredici istituzioni pediatriche, quindi non solo i principali ospedali monospecialistici italiani (il Gaslini, il Burlo Garofolo, il Santobono-Pausilipon, il Bambino Gesù di Roma e il Meyer di Firenze), ma cliniche universitarie quali quella di Padova, ospedali precedentemente autonomi per la pediatria e attualmente annessi ad aziende più grandi, come l'ospedale Salesi di Ancona, come l'ospedale dei bambini degli Spedali di Brescia, come l'ospedale Regina Margherita di Torino.
  Siamo tredici nel gruppo dell'Associazione ospedali pediatrici e portiamo avanti una serie di tematiche di interesse nazionale, soprattutto rivendicando l'importanza e la centralità dell'assistenza pediatrica in ambiente pediatrico, in quanto le problematiche pediatriche, e vedremo anche oggi per quanto riguarda il dolore pediatrico, hanno spesso connotazioni e diversi impatti rispetto all'assistenza per le stesse tematiche per gli adulti. È un aspetto che riteniamo importante, che voglio portare all'attenzione di questa Commissione per sensibilizzarla rispetto a questo patrimonio di assistenza pediatrica, che è quasi unico in Europa e rappresenta una storia importante della pediatria, che oggi vede l'Italia come uno dei centri più avanzati per l'assistenza pediatrica. Pag. 14
  Per quanto attiene al tema delle cure palliative e della terapia del dolore, quindi della legge n. 38 del 2010, voglio brevemente – visto il poco tempo che ho, poi avrò piacere di rispondere alle vostre domande – dirvi che ci sono state una serie di iniziative a livello nazionale per quanto riguarda la nostra associazione, anche in collaborazione con la Federazione dei direttori generali di cui sono anche vicepresidente, che raccoglie centocinquanta aziende.
  In particolare, abbiamo fatto una rilevazione nazionale, credo sia una delle poche attualmente che esistono in Italia, di cui vi ho portato anche copia, perché è stata oggetto anche di una pubblicazione nel 2017, il progetto Piperweekend, a cui circa una trentina di ospedali in tutta Italia (pediatrici o pronto soccorso pediatrici di aziende più grandi) hanno aderito. C'è stata la rilevazione della percezione dell'utente, dei genitori o dei bambini più grandi, rispetto al tema del dolore nei pronto soccorso, perché normalmente si parla di terapia del dolore pensando alla palliazione, alla terminalità. Si pensa a problematiche legate all'ambito chirurgico e post-chirurgico, il dolore post-chirurgico. Pochi pensano al problema del dolore in pronto soccorso.
  Questo ha fatto rilevare che l'utente ha percepito attenzione per questo problema, perché quasi a tutti – parliamo di più del 90 per cento – è stata data attenzione per il sintomo dolore e nell'arco di venti minuti è stata praticata una terapia, quindi un tempo congruo secondo i pediatri. Quello che, però, deve essere incrementato e ampliato è il numero di pazienti a cui poi viene effettuata questa terapia, perché in questa rilevazione si evidenzia che uno su due dei pazienti che necessitano di terapia del dolore la ricevono in pronto soccorso, benché l'utenza abbia come impatto positivo l'attenzione al problema del dolore.
  Parto da questo lavoro, però quello che voglio portare alla vostra attenzione è che ciò che viene percepito dall'utente come attenzione al dolore e sensibilizzazione anche all'interno delle aziende, spesso però poi non diventa pratica clinica, pratica clinica costante. Spesso viene lasciata, nonostante linee di indirizzo, percorsi diagnostico-terapeutici, che sono stati prodotti in molte aziende, alla sensibilità personale la pratica e l'utilizzo della terapia del dolore.
  Nella nota, nel breve riassunto che lascerò, insieme alle risultanze di questo lavoro di cui discutevo, si evidenzia che non tutte le regioni hanno attuato ciò che era previsto per quanto riguarda l'apertura degli hospice pediatrici e per quanto riguarda l'obbligo di raccogliere all'interno delle cartelle cliniche i dati relativi al dolore percepito attraverso l'utilizzo di scale.
  Come Associazione ospedali pediatrici e anche come FIASO ci stiamo facendo promotori di ulteriori iniziative volte proprio a fare un'indagine conoscitiva a livello nazionale, ovviamente il nostro ambito è quello pediatrico, sull'implementazione di queste pratiche, perché il legislatore nazionale e, successivamente con il recepimento, le regioni hanno legiferato.
  Tuttavia, questo tema, che è un tema delicato, è un tema su cui ci vuole più sensibilizzazione che coercizione e controllo in quanto fa parte della cultura del singolo operatore, fa parte dell'attenzione del singolo operatore. Mentre nell'ambito oncologico questo è molto sentito e quindi viene molto più facilmente attuato dagli operatori, ciò non avviene poi nell'ambito di una casistica più ampia, che è quella della chirurgia, dei pronto soccorso, ma anche delle pediatrie dove appunto ci possono essere delle patologie non chirurgiche, ma con la stessa problematica di dolore.
  Non volendo dilungarmi troppo su questi temi, volevo fare un focus sull'utilizzo degli oppiacei negli ospedali pediatrici, che era uno degli aspetti su cui ci venivano richiesti chiarimenti. Mentre il tramadolo, il Contramal, come è commercialmente chiamato, nella terapia post-operatoria viene utilizzato quasi dappertutto nell'ambito chirurgico, nelle pediatrie questo avviene poco. La morfina, quindi gli oppiacei forti, sono sicuramente utilizzati in oncologia nella terminalità.
  L'altro aspetto su cui noi ci stiamo adoperando per sensibilizzarne l'utilizzo è quello dell'uso della cannabis ad uso terapeutico Pag. 15negli ospedali pediatrici. Ci sono delle esperienze a Genova e a Firenze, però, purtroppo, non ci sono su scala nazionale perché al momento credo che la produzione sia fatta dagli stabilimenti di produzione militari. Abbiamo già una interlocuzione con loro, anche per il nostro ospedale. Ovviamente, la cannabis, ci dicono gli esperti, viene utilizzata poco nel dolore, molto sulle spasticità e sicuramente per uso compassionevole nella terminalità.
  Le altre due problematiche che voglio evidenziare sono le seguenti. Ci sono regioni con pochi bambini e quindi i temi dell'assistenza pediatrica sono meno sentiti. Questo, per esempio, è il caso di due regioni che sono vicine alla Campania dove io lavoro, che sono la Basilicata e il Molise. Stiamo cercando di fare degli accordi. Li abbiamo già realizzati con il Molise e anche con la Basilicata e a breve avvieremo una formazione ed anche un affiancamento per l'apertura dell’hospice pediatrico, che è già realizzato come struttura a Lauria. Loro ci hanno chiesto un affiancamento del team che noi abbiamo al Santobono, perché al Santobono abbiamo anche l’hospice pediatrico oltre che una importante esperienza sulla terapia del dolore e delle cure palliative. Ci sarà anche questa sensibilizzazione, questo portare il tema dell'assistenza al dolore pediatrico anche in regioni viciniori. Diversamente, né le competenze né il numero di casi avrebbero potuto assicurare un team esperto e competente. Questo accadrà anche con l'ASReM del Molise.
  In ultimo, rispetto alla formazione penso che sia altrettanto importante il tema che voi avete evidenziato: bisogna creare sia nei corsi universitari, sia nelle specializzazioni, sia nei master post-universitari una cultura nella terapia del dolore. Questo spesso spaventa, soprattutto in età pediatrica, soprattutto nell'ambito oncologico e nelle terminalità.
  Abbiamo avuto una buona esperienza in cui coinvolgeremo anche i colleghi della Basilicata quest'anno, con un master di secondo livello ospitato presso l'ospedale pediatrico, gestito a gestione mista (universitaria e ospedaliera) proprio sulle cure palliative in pediatria. È un master di secondo livello con l'Università Suor Orsola Benincasa, che ha avuto un ottimo riscontro. Anche per gli operatori dell'ospedale che hanno partecipato ha avuto importanti ricadute proprio sulla pratica clinica.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottoressa Minicucci.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO TRIZZINO. La ringrazio, presidente. Ringrazio anche lei, dottoressa.
  L'AOPI, che lei rappresenta, in questi anni cosa ha fatto di preciso rispetto alla possibilità di promuovere le reti di cure palliative pediatriche? Mi riferisco ad atti concreti, precisi. Lei quale consiglio darebbe alla politica oggi per accelerare il percorso di realizzazione delle reti di cure palliative pediatriche? Non le nascondo una crescente preoccupazione rispetto alle audizioni che stiamo effettuando in questi giorni; preoccupazione che deriva dal fatto che purtroppo si sta verificando, come avviene in buona parte del mondo, che di cure palliative se ne parla molto, la cosiddetta «pallilalia», che si associa poi anche un po’ all'altro aspetto, l'estremo, che è la «pallifobia», cioè chi non ne vuole sentir parlare di cure palliative, perché ritiene che è esente da questo tema o ne ha paura.
  Alla fine, però, siamo qui noi ad audire voi esperti che ci dovete dare delle indicazioni per accelerare. Una preoccupazione a cui mi riferivo prima è che noi certamente attiveremmo degli hospice, io però preferirei parlare di centri di riferimento regionali, perché la legge n. 38 indica il centro di riferimento regionale come punto di eccellenza, il famoso hub, che deve essere popolato da personale capace, con esperienza specifica in cure palliative. Non possiamo immaginare di trasformare una pediatria dall'oggi al domani in un centro di riferimento per cure palliative pediatriche. Sarebbe un disastro se così accadesse dall'oggi al domani. Dobbiamo radicare da ora una cultura profonda fatta di master, di approfondimenti, di formazione pratica sul campo per le cure palliative pediatriche. Pag. 16
  Come penserebbe lei di poter strutturare questa rete di hub and spoke? Gli spoke corrisponderebbero, a differenza della rete per la terapia del dolore, agli ambulatori o ai reparti addirittura di pediatria, perché, non potendo esprimere altra forma...
  Come immagina questo modello dal suo punto di vista ospedaliero?

  PAOLO SIANI. Grazie, dottoressa Minicucci. Trovo molto interessante l'idea del master fatto in ambito di ospedale pediatrico. Questo può essere un modello che si può esportare anche in altre regioni. Nelle more che l'università comincia a cambiare il sistema, questa credo sia una delle cose che potremmo sollecitare nel nostro documento conclusivo, specie se ha avuto un buon esito in Campania.
  In secondo luogo, mi sembra anche interessante l'idea, se ho capito bene, di collegarsi ad altre regioni vicine. Essendoci un numero scarso di pazienti pediatrici, lavorare insieme con Molise e Basilicata potrebbe essere una buona opportunità.
  Credo sia importante che anche i reparti di pediatria, come diceva l'onorevole Trizzino, siano in grado di affrontare il dolore post-chirurgico, il dolore di una malattia internistica, ma dolorosa. Ieri il bambino con l'artrite settica alla spalla era molto sofferente. Bisogna mettere al primo posto nella nostra diagnostica e terapia anche quella del dolore. Quindi, questo spoke nei reparti di pediatria e nei pronto soccorso dove lo studio che ha citato ha dimostrato che la cura del dolore non è al primo posto nella testa dei medici, e ciò mi sembra una cosa molto interessante.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Minicucci per la replica.

  ANNA MARIA MINICUCCI, vicepresidente dell'Associazione ospedali pediatrici italiani (AOPI). Rispondo prima all'onorevole Trizzino, che ringrazio di questi ulteriori spunti di riflessione. Questi sono indicati nel documento che abbiamo presentato, però, per potermi mantenere nei tempi che mi erano stati richiesti, ovviamente, ho fatto un excursus un po’ veloce. È a disposizione. Lo lascio qui.
  Quello che forse non è stato chiaro nella mia esposizione, che lei mi ha aiutato a focalizzare meglio, è che ci sono centri di riferimento regionali, quindi gli hospice; quasi sempre in età pediatrica, visto il numero di casi, ce n'è al massimo uno per regione. Probabilmente in regioni con un basso numero di pazienti questi hospice non sarebbero neanche necessari. Ovviamente, l’hospice, come ci dicono gli esperti in cure palliative, non è solo finalizzato alle terminalità, un luogo difficile da approcciare anche per il personale, quello che lei diceva, cioè il non voler vedere il problema.
  La questione degli hospice è che dovrebbero – lì bisogna lavorare molto sulla cultura del personale e sulla formazione – essere anche luoghi di rientro di pazienti con cronicità gravi. Parlo di pazienti con SLA, pazienti che hanno patologie gravi che sono assistiti a domicilio, ma che hanno un respiratore automatico e quindi periodicamente rientrano.
  L'altro aspetto è quello dei ricoveri di sollievo per la famiglia, perché talvolta nelle famiglie per problemi contingenti, patologie di altri familiari, esigenze diverse, non c'è possibilità di delegare a terzi l'assistenza complessa di questi malati assistiti a domicilio e quindi l’hospice, quindi i centri regionali a cui faceva riferimento e di cui si parla nella legge, dovrebbero avere questa triplice funzione: terminalità, rientro per rivalutazione di pazienti con problematiche croniche, ricoveri di sollievo.
  Diverso è l'aspetto della terapia del dolore nei reparti di pediatria, perché (forse non sono stata chiara nella mia esposizione) non ho mai pensato a un reparto di pediatria come un reparto in cui si facessero cure palliative. Si fa la terapia del dolore, che è l'altro aspetto importante, perché ovviamente per un bambino avere un trauma, un dolore molto forte in età pediatrica comporterà nel seguito della vita una reattività maggiore al dolore e quindi una minor soglia di sopportazione del dolore. Questo è stato studiato dal punto di vista scientifico anche dagli psicologi. Pag. 17
  Nei reparti ospedalieri c'è personale formato, che deve essere formato. Infatti, ci sono, in genere, strutture interne con responsabili di terapia del dolore e cure palliative, però, a parte se siano anestesisti o pediatri, quasi sempre anestesisti, c'è un team che li segue. Non ho fatto l'esempio specifico dell'ospedale pediatrico Santobono, però posso farlo.
  Quattro anni fa solo Padova e il Santobono di Napoli si erano dotati dell’hospice pediatrico. Negli ultimi quattro anni l’hospice è stato aperto anche al Bambino Gesù, è stato aperto al Meyer, è stato aperto al Gaslini e quindi la maggior parte degli ospedali monospecialistici si sono dotati di questi hospice, che sono anche centri regionali in base alla norma.
  Ovviamente, la sensibilizzazione parte prima dai centri pediatrici perché nelle regioni dove insiste l'ospedale pediatrico questo tipo di attività viene fatto quasi esclusivamente dagli ospedali pediatrici.
  Si può sopperire, a mio parere, con questi accordi tra le regioni per l'assistenza pediatrica dove appunto nello specifico, per esempio, la Basilicata ci ha chiesto un affiancamento per l'apertura di questo centro regionale.
  L'AOPI promuove indagini di livello nazionale, conoscitive, sullo stato dell'arte. Abbiamo partecipato anche al Piper weekend, con un focus particolare, perché normalmente non si parla di dolore al pronto soccorso che, invece, è il luogo dove probabilmente c'è il maggior numero di casi che necessitano di terapie del dolore. Era un aspetto innovativo nel problema. Ma riteniamo di dover procedere, anche in base magari alle vostre indicazioni, con un'indagine conoscitiva ulteriore, sensibilizzando e promuovendo anche su scala nazionale master e comunque corsi di formazione in merito. Quello che lei dice e che è fondamentale è avere un team formato, perché non è solo il medico che pratica la terapia del dolore, ma accanto a lui ci sono psicologi, infermieri formati, psicoterapeuti che sostengono anche i medici e gli infermieri che si occupano di cure palliative.
  Abbiamo fatto la scelta, nell'ambito del dipartimento oncologico, di non dedicare del personale esclusivamente all’hospice ma di farlo ruotare, perché ovviamente l'impatto continuo con le problematiche della terminalità (quasi sempre i posti letto vengono utilizzati in questo modo) porta delle sindromi di burn-out molto forti per il personale.
  Il nucleo centrale sono sicuramente gli anestesisti, che hanno anche esperienza e competenza sulla terapia farmacologica e sono quelli che da sempre si sono occupati di questo, infermieri formati, psicologi, operatori sociosanitari ovviamente, ma anche musicoterapeuti, anche – per chi lo richiede – assistenza religiosa. Quindi, un supporto, ma serve anche una struttura adeguata. Quasi sempre gli hospice pediatrici non sono fuori dall'ospedale pediatrico, ma sono nell'ambito dello stesso, però in strutture con accesso distaccato e vengono strutturate come un appartamento (non so se qualcuno ne ha esperienza), con camere per i genitori, camere di degenza che sono quanto più possibile simili a un ambiente domestico, con cucina e zona living, dove la famiglia e non solo il singolo familiare possono essere accanto al bambino. Anche il supporto alla famiglia, oltre che al personale, nella fase di terminalità diventa centrale, perché ovviamente è molto importante l'accettazione – per quello che è possibile – di un momento di terminalità del bambino, e in questo va rafforzato molto l'aspetto del sostegno anche alla famiglia.
  Questi sono gli aspetti che nella pratica clinica, sia a livello associazionistico sia come esperienza personale dell'ospedale pediatrico, noi abbiamo vissuto. Però la cultura della palliazione e della terapia del dolore è qualcosa che per me è molto legata alla formazione. L'Associazione degli ospedali pediatrici e anche la Federazione dei direttori generali, che comprende 150 aziende (ci sono reparti pediatrici anche nelle aziende di maggiori dimensioni) si propongono anche a voi (so che avete anche audito per altre problematiche il presidente di FIASO) ed essendoci la rete diventa facile promuovere questo tipo di sensibilizzazione. Anche gli accordi di confine che abbiamo fatto sono legati alla Pag. 18presenza nella stessa associazione, di alcuni di noi, e questo consente l'approfondimento congiunto di queste problematiche e la possibilità, su scala nazionale, di avere un'uniformità di accesso a queste cure. Questo è il tema di maggiore interesse anche dell'AOPI.
  L'onorevole Siani vuole che aggiunga qualcosa rispetto a quello che ha detto? Penso di aver risposto a entrambi. C'è molta attenzione e sensibilizzazione, e vi ringrazio, anche a nome dei miei colleghi, per questa audizione, perché non è sempre facile avere dei focus così specifici su problematiche pediatriche. Vi ringrazio molto.

  PRESIDENTE. Siamo noi che ringraziamo lei, dottoressa Minicucci. La dottoressa ci lascia un dossier che mettiamo a disposizione su GeoCamera.
  Dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi (CNOP)

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38 in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, con particolare riferimento all'ambito pediatrico, di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi (CNOP).
  Saluto la dottoressa Valentina De Tommasi, psicologa esperta in cure palliative, in rappresentanza del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi.
  Pregherei la nostra ospite di contenere il proprio intervento entro dieci minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguirà la replica nel soggetto audito, che potrà consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente. Tale documento sarà reso disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do la parola alla dottoressa De Tommasi.

  VALENTINA DE TOMMASI, psicologa. Vorrei fare una piccola precisazione di contesto. Io provengo dal Veneto, da Padova, in particolare dal Centro regionale di terapia del dolore e cure palliative pediatriche, hospice pediatrico. È il primo hospice pediatrico d'Italia, nel senso che è stato creato per primo, e in questo momento è anche l'unico così costruito. È il luogo dove il bambino e la famiglia vengono accolti nel momento del bisogno, in continuità di cura, di riferimento, di obiettivi e di scelte.
  Il mio lavoro, come quello di tutta l’équipe, ruota attorno a quelli che sono i bisogni sia del bambino che della famiglia. Solo analizzando quelli che sono i bisogni possiamo creare un buon intervento. Quali sono questi bisogni? I bisogni di cui ci occupiamo sono clinici, psicologici, sociali, spirituali. Quindi, le cure palliative pediatriche hanno lo scopo di riuscire a garantire al bambino malato un'attenzione e un'assistenza specifica, adeguata alla sua età, ovviamente, assicurandogli una vita quanto più normale possibile.
  Questo tipo di lavoro, anche dal punto di vista psicologico, impone un ripensamento di ciò che è il modello di cura di questi bambini e delle loro famiglie. Cosa cambia di fondamentale in modo rivoluzionario? Si passa dal concetto di guarire a tutti i costi, quasi come corsa anche psicologica, al concetto di cura del bambino e della sua famiglia, prestando molta attenzione a quella che è la qualità di vita, ma anche la qualità della morte del bambino.
  Sappiamo che quando si ammala un bambino non è pensabile parlare solo di bisogni del bambino, senza necessariamente parlare di tutti i bisogni dei singoli familiari e del nucleo familiare. Ecco che così la malattia diventa una malattia familiare, capace di generare profondi cambiamenti, in un continuo sforzo adattivo.
  È essenziale soprattutto, lo dico come psicologa nelle cure palliative pediatriche, che l’équipe sia affiancata da noi psicologi, in grado di riconoscere i bisogni, spesso inespressi, sia della famiglia che del bambino, e affrontarli adeguatamente insieme a loro. Ne diviene una presa in carico globale dove coinvolgere tutta la famiglia e non solo il bambino; ma soprattutto deve Pag. 19svilupparsi lungo tutto il percorso diagnostico-terapeutico.
  Accanto agli aspetti propriamente psicologici o psicoterapeutici è necessario occuparsi anche degli effetti relazionali e psicosociali. L'attenzione a questi aspetti non si realizza solo attraverso interventi specialistici, ma deve in parte concretizzarsi quotidianamente ad opera di tutta l’équipe. Inoltre, può essere utile affiancare interventi come tecniche non farmacologiche, che permettono di coinvolgere i bambini ricoverati, così da spostare l'attenzione dalla malattia a qualcosa di leggermente più piacevole.
  Anche l’équipe ha necessità di aiuto, spesso, perché deve essere sostenuta ed imparare ad affrontare lo stress che inevitabilmente si genera quando ci sono questi tipi di malattie e si arriva spesso anche alla morte, ma non sempre, come vedremo adesso.
  Ho cercato un termine per poter spiegare veramente che cosa facciamo noi psicologi. L'ho cercato sul vocabolario Treccani: «Accompagnare: seguire una persona, andare con essa come compagno, per affetto, onore o protezione, farglisi compagno, unirsi a lui nel cammino». Quindi, è necessario accompagnare, ma non deve far pensare solo e sempre alla morte.
  Questo è un po’ il modello con cui noi accompagniamo i nostri pazienti e le loro famiglie. Entriamo nelle loro vite in un momento x del ciclo vitale delle famiglie. La prima fase è ovviamente quella dell'aggancio, in cui conosciamo il paziente, la sua famiglia, i suoi componenti. Poi c'è una fase un po’ più lunga, quella del sostegno nella malattia e a volte si gestisce proprio il periodo della terminalità. Dico a volte perché con la scienza, con tutte le novità, questi bambini, rispetto a 10-15 anni fa hanno una vita molto più lunga. Quindi, il nostro compito, insieme all’équipe, è fornire una buona qualità di vita.
  Il curriculum dello psicologo però non può essere il classico curriculum, non è sufficiente, ci deve essere una formazione specifica, come del resto dice la legge, che prenda in considerazione la cura palliativa pediatrica e la presa in carico globale.
  La qualità di vita e qualità di morte sono due costrutti che possiamo dire soggettivi, che vanno perseguiti individualmente, con una singola famiglia. Devono essere contrattati e definiti questi costrutti in cambiamento continuo. Ciò che usiamo è un approccio di tipo ecologico: quando si lavora con un bambino, si lavora anche con la sua mamma, il suo papà, i suoi fratelli, le sue scarpe, i suoi giochi, le sue paure, i suoi desideri, con il suo dottore, con il suo pediatra, con la sua casa, con la sua stanza. A volte sono proprio i nostri bambini che ci chiedono «puoi venire a parlare con alcuni nostri compagni di classe che non capiscono che cosa è questo buchetto o non capiscono perché io ho perso i capelli o non capiscono perché io comunque, quando faccio educazione fisica, devo sempre tenere il fazzoletto e non posso correre?».
  Il rapporto con l'operatore deve anche consentire sia al bambino che all'adulto la possibilità di vincere la paura e giungere alla reale consapevolezza delle proprie possibilità e dei propri limiti.
  Cito alcuni dati. Nonostante la legge n. 38, sul territorio nazionale, di tutti gli psicologi che lavorano in cure palliative, quindi sia cure palliative adulti che cure palliative pediatriche, solo il 30 per cento è strutturato, cioè assunto.
  In un altro censimento della SICP, portato poi al congresso nazionale a Roma nel 2016, su 310 partecipanti, tutti psicologi, con un monte ore settimanale dedicato alle cure palliative che va da dieci a più di quindici ore, vediamo che la tipologia contrattuale è libero-professionale per il 55 per cento.
  Da chi sono pagati? Ci sono ovviamente borsisti, contrattisti, ci sono dei frequentatori volontari e altri. I dipendenti sono il 17 per cento, che si aggiungono a un 3 per cento di vario genere. La provenienza del compenso economico è ovviamente dedicato, come sappiamo (dico una cosa forse banale), alle fondazioni e alle associazioni che sono vicine al reparto, a filantropi o a volte a genitori che hanno perso il bambino e sanno che cosa vuol dire passare per questo tipo di vita. Pag. 20
  Infine per spiegarvi un po’ meglio che cosa fa lo psicologo all'interno della legge n. 38, ho preparato una slide che rappresenta una donna che tiene un quadro, un Van Gogh. Vorrei spiegarlo in questo modo, attraverso un'immagine, una metafora, visto che noi psicologi abbiamo anche questo strumento che ci fa entrare più in comunicazione con le persone. Lo psicologo che lavora in rete non guarda solo il dipinto, ma anche la cornice, e anche il chiodo a cui è appeso, anche il muro che sostiene il quadro. Osservare un sistema famiglia significa considerare la storia familiare, la rete di relazioni in cui è inserita, il contesto sociale e la realtà in cui vive. In questa ottica, i problemi e le criticità che emergono nei contesti di cura vanno inseriti in una cornice più ampia, che tenga conto di tutte le variabili.
  Nella nostra équipe lo psicologo si occupa proprio di essere portavoce di queste complessità che co-costruisce nei colloqui con la famiglia e nella continua integrazione con l’équipe e la rete di supporto territoriale. Lo psicologo ha anche la funzione di modulatore: raccoglie i bisogni, analizza il contesto, mette in circolo nell’équipe e nella rete queste informazioni e cerca di trovare le risposte più adatte a costruire degli interventi modulati. Devono essere calibrati sulle esigenze della famiglia in relazione, come abbiamo visto, anche alle reali risorse presenti nel territorio e nella rete. Usciamo, quindi, dalle stanze della terapia per entrare in contatto con la rete e osservare o parlare con le famiglie, calandole nel loro reale contesto di vita.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottoressa De Tommasi.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA TERESA BELLUCCI. Grazie, dottoressa, per la sua relazione. Mi ha molto colpito l'aspetto anche più concreto legato al rapporto di lavoro che c'è tra psicologi e le strutture che organizzano un hospice. Mi ha molto colpito perché mi ha sollecitato una domanda che sottopongo alla sua attenzione. In un momento di vita in cui c'è una notevole precarietà e tutto è legato a dei punti interrogativi che si aprono inaspettatamente nella propria esistenza, lei parlava di ciclo di vita, parlava comunque di fare i conti con la malattia, di fare i conti in alcuni casi con la morte, e sappiamo bene che quando questo avviene in età evolutiva è sicuramente un evento paranormativo, perché avviene in un momento in cui certamente non è normale.
  L'esistenza di queste famiglie, di questi bambini, di tutte le persone che ruotano attorno a questa così dolorosa situazione della vita fa sì che si abbia a che fare con la precarietà e l'instabilità degli equilibri, dei meccanismi, di quello che dovranno affrontare. Mi chiedevo come questo si unisce ad una situazione che lei ci descrive di notevole precarietà di queste figure professionali all'interno delle strutture; una instabilità concreta legata al rapporto di lavoro, ma se parliamo di poter unire gli aspetti concreti agli aspetti emotivi, c'è anche una instabilità degli operatori stessi, emotiva, nell'essere all'interno di strutture e avere legami con questi pazienti vivendo una precarietà della loro esistenza professionale e quindi anche umana.
  Le chiedo come questo possa essere gestito, sia gestito, che tipo di ricadute ha, perché evidentemente è una questione che potremmo definire patologica in termini più tecnici e quindi come si può e voi come fate a poter essere elemento di sostegno, di stabilità in un momento di mare in burrasca per chi ha perso la rotta e deve trovare un equilibrio avendo, però, voi una situazione di totale disequilibrio e di difficoltà ad immaginare la vostra rotta da percorrere.
  In aggiunta a questo, volevo chiederle molto concretamente quali sono gli strumenti attraverso i quali voi state affianco all’équipe e se sono previsti...
  Immagino che per un motivo di sintesi lei non ne ha parlato e quindi mi chiedo quali sono gli strumenti attraverso i quali si accompagna il lavoro dell’équipe medica, infermieristica, degli operatori sanitari; se vengono previsti delle consulenze psicologiche Pag. 21 oppure dei contesti di psicoterapia o anche delle supervisioni e che tipo di risultati hanno questi all'interno del lavoro negli hospice e nelle cure palliative pediatriche.

  GIORGIO TRIZZINO. Ho due brevissime domande. Lei sottolinea l'importanza dell'accompagnamento per questi pazienti. Io vorrei aggiungere che accompagnare, a mio modo di vedere, vuol dire stare accanto fino all'ultimo momento, stare accanto ad una vita che fino all'ultimo momento è una vita.
  La domanda che, invece, le voglio porre – la prima era più che altro una riflessione – è questa: rispetto ai rapporti all'interno dell’équipe multidisciplinare, che è il fulcro, l'elemento portante del lavoro nelle cure palliative, ci sono delle difficoltà nell'integrazione con le altre figure? Parlo dei medici, degli infermieri. Voi registrate delle anomalie rispetto a questo nuovo modello che, purtroppo, rimane ancora non completo nello scenario del nostro Paese? Perché queste équipe non sono sempre composite. Lei riferisce una carenza congenita di alcune figure, tra cui lo psicologo, ma aggiungerei io anche altre. L'assistente sociale difficilmente lo ritroviamo in un’équipe di cure palliative, come addirittura l'assistente spirituale è quasi inesistente.
  Ricordiamo che il dolore a cui ci riferiamo è un dolore complesso, che si chiama dolore totale, total pain, lo sappiamo molto bene, che è composto da quattro componenti: clinica, sociale, psicologica e spirituale. Quali consigli darebbe a questa Commissione che è in fase di ideazione di una opinione, di un parere sul rimodellamento della legge n. 38?

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa De Tommasi per la replica.

  VALENTINA DE TOMMASI, psicologa. Non mi avete fatto delle domande facilissime, ma me lo aspettavo.
  Parto dalla fine, che è più facile. Giustamente lei ha sottolineato l'accompagnamento fino all'ultimo momento di vita. Non solo, la presa in carico globale avviene anche dopo. C'è il lutto, ci sono i fratellini, ci sono le classi dei bambini, ci sono i nonni che rappresentano spesso un problema molto importante. Accompagniamo non fino all'ultimo momento di vita, ma anche dopo. Sottolineerei veramente che, per esempio, nel nostro centro abbiamo dei bambini che sono diventati grandi, sono all'università. Accompagniamo anche la qualità di vita, senza pensare per forza che ci sarà la morte. Un po’ per la speranza che deve contraddistinguere la parte psicologica, ma un po’ anche perché veramente la maggior parte dei nostri bambini vive bene. È quello che cerchiamo di fare.
  Mi chiede che cosa dovreste fare voi. Non è facile la domanda, nel senso che quello che mi viene sinceramente da dire è che forse l'unica cosa sarebbe di far attuare la legge, perché la legge è fantastica, è una legge perfetta, è una legge all'avanguardia, lo sapete anche voi. È la prima in Europa. Mi trovo a leggere sempre nei corsi di formazione alle persone, ai discenti che ho davanti, la legge ed è veramente perfetta. La risposta che potrei darvi è semplicemente far attuare la legge, con tutte le ricadute, con tutte le sfaccettature, che sono tantissime.
  Sono previsti sicuramente dei momenti in cui l’équipe deve fare i conti con le proprie emozioni. È essenziale che non sia lo psicologo all'interno dell’équipe che faccia questo per la sua équipe. Ovviamente, ci deve essere un'ulteriore supervisione, un altro psicologo, quindi un'altra risorsa. Gli strumenti essenziali che lo psicologo ha nella sua cassetta degli attrezzi, che si porta dietro, sono sicuramente quelli dello psicologo normale, quello che non lavora nelle cure palliative, ma in più deve avere quelle risorse per cui si mette – posso spiegarvelo con un'altra metafora – per terra con il bambino, con i suoi presìdi, allontanato dalla scrivania dello psicologo classico e con l'empatia che deve contraddistinguerlo, accompagnare il bambino e tutta la sua famiglia – con la curiosità, che è un altro strumento importante che deve avere – e portarlo fino a dove si riesce.
  Credo che sia molto difficile questo lavoro. Come si fa? Si fa con la passione. Io Pag. 22dico sempre che non tutti sono portati per fare un lavoro. Io, per esempio, il vostro lavoro non lo farei mai. Preferisco andare in reparto e giocare col bambino, oppure portarlo in sala operatoria, o prima di una qualsiasi procedura invasiva dolorosa, e aiutarlo – tramite quello che noi abbiamo come strumento nella nostra cassetta degli attrezzi, ossia con le tecniche non farmacologiche – a spostare l'attenzione dalla sua malattia a qualcosa di più piacevole, come dicevo prima.
  Uso quotidianamente le tecniche non farmacologiche. Uso l'ipnosi, uso la distrazione, uso tutto ciò che ho nella mia cassetta degli attrezzi e, anche se la ricaduta, come diceva lei, può essere importante per chi lavora dentro, sono la professionalità e la passione che rendono un po’ blindate le ricadute negative di quello che facciamo con il bambino.
  Non so se le ho risposto del tutto o se c'è una parte che mi sfugge. Forse è la prima, vero?

  MARIA TERESA BELLUCCI. Se posso, l'aiuto. Forse è la parte più difficile: le chiedevo come sta insieme la situazione concreta di instabilità che voi vivete, che ha ovviamente una ripercussione emotiva e psicologica, perché c'è una caducità del vostro rapporto, quindi una continua possibilità di perdita. Siccome voi lavorate nella perdita, nell'accompagnare gli altri a poter vivere questa fase, riconoscendola come tale, mi chiedevo come questo sta insieme al fatto che voi stessi, a fronte di qualcosa che è patologico, vivete all'interno di una perdita costante.

  VALENTINA DE TOMMASI, psicologa. Certo. Non a caso l'avevo dimenticata, proprio perché tocca delle anime mie scoperte. Se noi lavoriamo per la qualità di vita del bambino, è ovvio che la struttura che abbiamo intorno deve lavorare per la qualità di vita nostra, e se noi siamo precari effettivamente è difficile. Come facciamo?
  Credo che ci sia un ricambio abbastanza importante di professionisti all'interno di queste strutture, ma non per il lavoro doloroso, proprio per questa precarietà. Sarebbe bello che ci fosse una migliore qualità di vita dell'operatore e che questa potesse dare la ricaduta vera sul bambino e sulla sua famiglia.

  MARIA TERESA BELLUCCI. Lei conosce la percentuale di quanti invece hanno un rapporto di lavoro stabile tra il personale medico ed infermieristico?

  VALENTINA DE TOMMASI, psicologa. Le porto l'esempio del nostro centro e di quello di Genova, che sta per essere inaugurato a novembre. Loro hanno tutti strutturati, tranne la psicologa, che è strutturata ma viene prestata da un altro reparto, dalla parte riabilitativa.
  Noi siamo in questo momento tre psicologi. Io sono quella con più anzianità, sono lì da sette anni. Siamo tutte e tre precarie. Vi è un fisioterapista sempre non strutturato. Su 25, quindi, quasi un quinto.

  PRESIDENTE. La ringraziamo, dottoressa De Tommasi, per il suo contributo.
  Dichiaro concluse le audizioni odierne.

  La seduta termina alle 13.15.