XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 30 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori.
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI POLITICHE DI PREVENZIONE ED ELIMINAZIONE DELL'EPATITE C

Audizione di rappresentanti dell'Associazione EpaC Onlus.
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Gardini Ivan , presidente dell'Associazione EpaC Onlus ... 3 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 4 
Rostan Michela (LeU)  ... 4 
Carnevali Elena (PD)  ... 4 
Gardini Ivan , presidente dell'Associazione EpaC Onlus ... 5 
Carnevali Elena (PD)  ... 5 
De Filippo Vito (IV)  ... 5 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 5 
Gardini Ivan , presidente dell'Associazione EpaC Onlus ... 5 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 6 

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FEDERSERD).
Lorefice Marialucia , Presidente ... 6 
Faillace Guido , presidente nazionale della FEDERSERD ... 6 
Nava Felice , direttore del Comitato scientifico nazionale della FEDERSERD ... 7 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 9 
Carnevali Elena (PD)  ... 9 
Sportiello Gilda (M5S)  ... 9 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 9 
Nava Felice , direttore del Comitato scientifico nazionale della FEDERSERD ... 9 
Faillace Guido , presidente nazionale della FEDERSERD ... 10 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 10 

Audizione di rappresentanti della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva (SIGE), della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (SIMSPe Onlus), della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (SIMG) e della Società italiana di medicina interna (SIMI).
Lorefice Marialucia , Presidente ... 10 
Ridola Lorenzo , rappresentante della SIGE ... 10 
Lucania Luciano , presidente della SIMSPe Onlus ... 13 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 13 
Babudieri Sergio , direttore scientifico della SIMSPe Onlus ... 13 
Lucania Luciano , presidente della SIMSPe Onlus ... 13 
Babudieri Sergio , direttore scientifico della SIMSPe Onlus ... 14 
Raimondo Giovanni , delegato al Piano nazionale epatiti virali della SIMI ... 14 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 15 
Raimondo Giovanni , delegato al Piano nazionale epatiti virali della SIMI ... 15 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione EpaC Onlus.

  PRESIDENTE. L'ordine dei lavori reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione EpaC onlus nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di politiche di prevenzione ed eliminazione dell'epatite C.
  Saluto i nostri ospiti ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna. Sono presenti, per l'Associazione EpaC onlus, Ivan Gardini, presidente, e Massimiliano Conforti, vicepresidente, che pregherei di contenere il proprio intervento entro i dieci minuti per dare modo ai deputati di porre domande, cui seguirà la replica.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà pubblicata anche sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do quindi la parola al presidente Gardini.

  IVAN GARDINI, presidente dell'Associazione EpaC Onlus. Ringrazio per l'invito. Nella documentazione che ho consegnato potete vedere i dati relativi a tutti gli avviamenti terapeutici da luglio 2016 a ottobre 2019, fino a qualche giorno fa, le terapie avviate settimanalmente. Attraverso un paragone tra il periodo gennaio-ottobre 2018 e gennaio-ottobre 2019 si può vedere che c'è un decremento, anche importante, di avviamenti terapeutici nell'ordine di circa 17.500 terapie rispetto all'anno scorso.
  Quello che però a noi interessa molto è che un paziente su tre giunge alle strutture con cirrosi epatica o con una malattia molto avanzata, cosa molto preoccupante. Potete vedere i dati relativi ai pazienti con cirrosi e ai pazienti quasi in cirrosi. Tutti questi pazienti, più di novemila da inizio anno, rischiano il tumore al fegato. Quindi voi capite cosa voglia dire curare l'infezione immediatamente e cosa voglia dire curare la malattia in stato avanzato. Le malattie del fegato rappresentano la quinta causa di mortalità nel quinquennio 2010-2015, altro dato allarmante, sapendo che l'epatocarcinoma dal 70 all'85 per cento è causato dai virus dell'epatite B e C.
  Dalla documentazione risulta che abbiamo dei pazienti all'interno delle strutture, sempre meno, e tanti pazienti ancora al di fuori delle strutture: nelle strutture non autorizzate; presso i medici di famiglia; nei SERD; nelle carceri e anche in micro bacini come le comunità di recupero, dove la prevalenza è superiore rispetto alla media. Bisogna andarli a prendere questi pazienti: non arrivano da soli, purtroppo.
  Altro dato allarmante: una ricerca di una società molto seria, IQVIA, nella quale hanno interrogato le strutture non autorizzate, hanno fatto delle proiezioni e pare che all'interno di queste strutture ci siano ancora tanti pazienti che non sono ancora stati inviati a cura e non si capisce il perché. Questa è una cosa che dovrebbe essere indagata. Di questi diecimila pazienti, Pag. 4 come stima, ne abbiamo almeno il 25 per cento con cirrosi, quindi la tempestività con la quale noi prendiamo questi pazienti e li curiamo è determinante per la loro vita. Non c'è il linkage to care, non ci sono i percorsi che dall'esterno arrivano alla statura autorizzata. Abbiamo una trentina di SERD nella provincia di Torino con cinque strutture, ma non ci sono dei protocolli per inviare i pazienti alle diverse strutture. Non c'è il linkage to care, quindi le persone purtroppo non arrivano o arrivano molto lentamente.
  Un medico, a cui abbiamo dovuto garantire la riservatezza, ci scrive di aver visto in una settimana cinque pazienti cirrotici. È uno scandalo! Vi forniamo la testimonianza, che ci ha inviato un medico, relativa a una persona che nel 2016 non ha potuto accedere ai farmaci innovativi e nel 2018 arriva al centro con un tumore al fegato inoperabile. Significa che, se a suo tempo avremmo potuto curarlo con 5 mila euro di farmaco, adesso ne dobbiamo spendere 50 mila per garantirgli un anno di vita decente.
  Qui si tocca con mano la grande differenza tra curare subito e lasciar andare le infezioni. Noi ci chiediamo di chi sia la responsabilità di tutto ciò; perché qualcuno ha questa responsabilità di inviare questi pazienti e, se non li invia, la passa liscia? Non è giusto. Le persone devono essere rese consapevoli che, se non inviano i pazienti, questi sviluppano delle complicanze.
  Nel 2015 la Conferenza Stato-regioni ha ratificato il PNEV, il Piano nazionale sulle epatiti, però credo che nessuna regione, a parte il Veneto, abbia formalizzato un piano completo e dotato di finanziamenti. Ora sono necessari interventi urgenti e, a parte il rifinanziamento del fondo dei farmaci innovativi, ad aprile scade l'innovatività dei due farmaci più usati, per cui ci restano due strade: la prima è quella di creare un fondo dedicato per le epatiti, dove mettiamo le risorse per i farmaci, ma anche, e soprattutto, quelle per il linkage to care e il case finding, perché come troviamo i pazienti inconsapevoli? Dobbiamo comprare i test, i fibroscan; dobbiamo assicurare del personale in più, campagne informative: queste sono risorse che devono essere stanziate dalle regioni e che ora non vengono ancora stanziate. L'alternativa è riconfermare l'innovatività, perché esiste la possibilità di confermare l'innovatività di questi farmaci che sono ancora considerati innovativi, ma ad aprile 2020, tra sei mesi, scade tutto. Se vanno a finire nella spesa corrente, si blocca tutto. Noi già lo sappiamo e abbiamo fatto delle analisi.
  Ci sono diversi buoni motivi per dare uno status particolare alle cure per l'epatite C e alla sua eliminazione. Io credo che in questo momento questi farmaci siano da considerare ancora farmaci salvavita. Vi ho detto che un paziente su tre arriva in cirrosi, quindi il farmaco a tutti gli effetti è un farmaco salvavita e noi dobbiamo fare in modo che non ci siano ostacoli alla sua somministrazione. Io ritengo che tutto ciò sia possibile, se la politica riprende in mano il piano di eliminazione e ne fa una priorità nazionale finché non abbiamo eliminato l'infezione. Solo così noi possiamo allungare la vita ancora di decine di migliaia di persone e risparmiare, perché si risparmiano tanti e tanti milioni di euro. C'è un nuovo paradigma che a molti non entra in testa: più spendi e più risparmi, e i pazienti vanno cercati fuori; sono due paradigmi nuovi e stiamo vedendo che ci sono grosse difficoltà.
  Io ho terminato, anche se ci sarebbe molto altro da dire, ma mi fermo qua.

  PRESIDENTE. Ci sono domande da parte dei colleghi?

  MICHELA ROSTAN. Io vi ringrazio per l'audizione, una domanda diretta: secondo voi quali dovrebbero essere le strategie più efficaci per identificare i pazienti non ancora diagnosticati.

  ELENA CARNEVALI. Io ringrazio perché trovo che questa audizione, insieme a quella della settimana scorsa di Massimo Galli, tocca molti temi e criticità evidenti e forti che voi stessi avete ribadito.
  In un passaggio della sua relazione c'è stata una buona notizia: che almeno i fondi dei farmaci innovativi, oncologici o meno, Pag. 5sono stati riconfermati – e questo è molto importante per tutti –, quindi la prima questione riguarda il fatto che, se non riconfermiamo l'innovatività su alcuni farmaci, la vostra preoccupazione è che, andando le risorse sui fondi regionali indistinti, ci possa essere meno disponibilità per le cure, anche se sappiamo che non tutte le risorse finanziarie messe in campo sono state utilizzate. Quindi il vero tema è come riuscire a fare in modo che funzioni l'allocazione di risorse che abbiamo reso disponibili, come queste vengano utilizzate dalle regioni e come vadano nelle aziende e nei centri di riferimento.
  La seconda domanda. Mi ha molto colpito, sempre dalla sua relazione, il fatto che solo un paziente su tre arriva ai centri di riferimento, se non ho capito male.

  IVAN GARDINI, presidente dell'Associazione EpaC Onlus. No, un paziente su tre di quelli che arrivano ai centri ha una cirrosi o una malattia avanzata.

  ELENA CARNEVALI. Mi sembra di aver colto una difficoltà nel trasferimento dei pazienti individuati ai centri di riferimento, mi sembra una delle evidenze. Già nelle audizioni precedenti è emerso che SERD e carceri sono i luoghi in cui la popolazione affetta da virus si concentra maggiormente, mentre è stata segnalata la questione che riguarda tutto un sommerso di pazienti, più difficilmente raggiungibili, con l'idea di introdurre anche l'ipotesi di un test gratuito per la rilevazione.

  VITO DE FILIPPO. Ho colto, in un passaggio della sua ottima relazione, un tema sul quale vorrei un chiarimento e una esplicitazione: l'innovatività del farmaco. La normativa su questa materia non è molto antica, mi pare che l'ultima sia del 2016; ritenete che con la normativa vigente, dopo l'utilizzo di questi farmaci, sia ancora possibile poterli ritenere innovativi o che ci sia bisogno, per evitare una possibile bocciatura - poiché l'AIFA determina con una delibera che si richiama alla normativa - di cambiarla questa normativa?

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Gardini per le risposte.

  IVAN GARDINI, presidente dell'Associazione EpaC Onlus. Rispetto alla prima domanda dell'onorevole Rostan, gli screening, il sommerso. Noi stiamo aspettando che le società scientifiche, non lo possiamo stabilire noi, ci indichino su quale popolazione fare lo screening. Ci sono diverse ipotesi, addirittura un ente americano ha ipotizzato che lo screening di massa dai diciotto ai settantanove anni abbia un senso logico. Credo che, se audirete l'Istituto superiore di sanità, vi confermerà che i farmaco-economisti hanno stimato che uno screening di massa è ancora costo-efficace, anche nel nostro Paese. Poi, però, in ragione delle risorse, si possono considerare fasce di età che sappiamo avere una prevalenza maggiore e iniziare da quelle. Però questa è materia delle società scientifiche, dell'Istituto superiore di sanità o di chi è deputato a tracciare le linee guida per lo screening. Certamente in certi ambiti, come nelle carceri e nei SERD, lo screening deve essere fatto per tutti; nella popolazione in generale bisognerà fare dei ragionamenti diversi.
  Onorevole Carnevali, secondo me una norma che prevede che le risorse che avanzano dai fondi innovativi tornano alle regioni, il comma 402-bis introdotto nella legge di bilancio per il 2017, è totalmente demotivante, perché una regione sa che, se non spende quei soldi, le rientrano l'anno dopo, addirittura svincolati dall'utilizzo per cui sono stati vincolati. Pertanto vi chiedo di abolire quel tipo di norma perché non incentiva nessuno a curare subito, presto e bene.
  Innovatività. Questi sono farmaci salvavita che curano al 97, 98, 99 per cento; io non credo che ci siano altri farmaci, al momento, con un profilo di questo genere, anche in ragione del costo basso, al netto degli sconti, e dal mio punto di vista dovrebbero restare innovativi fino a quando non avremo eliminato l'epatite C. Questa è la mia personale opinione. Facciamo un'ipotesi. Quanto costa un paziente HIV nella sua vita per tenerlo in buona salute? Tra i 200 e i 300 mila euro. Qui parliamo di 5 Pag. 6mila euro e curiamo un'infezione. Ritengo che ci siano tutti i presupposti non solo per mantenere l'innovatività, ma anche per costituire un fondo dove vincolare, ad esempio, parte del grande payback che le regioni riceveranno, e che si spartiranno, o l'avanzo dei fondi innovativi, per campagne informative, per tracciare i PDTA, per i test salivari; per svolgere un insieme di attività che hanno un costo. Costo che sarà comunque assorbito dai risparmi futuri nell'ordine di centinaia di milioni di euro – e, quando audirete il professor Menini, ve lo spiegherà –, per cui è soltanto una questione di volontà politica. Noi vediamo nelle regioni che non si è capaci di mettere insieme i medici dei SERD, quelli delle carceri, i medici di famiglia. Questi ultimi purtroppo hanno un contratto che consente loro di chiedere del denaro per andare a vedere nei loro computer. Hanno ragione, non si può dire loro nulla. Per mettere insieme tutte queste persone ci vuole una regione fortemente convinta di quello che vuole fare.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per il contributo e dichiaro conclusa questa prima audizione.

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FEDERSERD).

  PRESIDENTE. È prevista ora l'audizione dei rappresentanti della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di politiche di prevenzione ed eliminazione dell'epatite C.
  Saluto i nostri ospiti per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna: Guido Faillace, presidente nazionale e Felice Nava, direttore del Comitato scientifico nazionale. Pregherei i nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro i dieci minuti per dare modo ai deputati di porre domande, cui seguirà la vostra replica.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà pubblicata anche sul sito internet della Camera dei deputati.

  GUIDO FAILLACE, presidente nazionale della FEDERSERD. La FEDERSERD è la società scientifica maggiormente rappresentativa a livello nazionale per quanto riguarda i servizi pubblici, ma nondimeno per i rapporti che ci sono con le comunità terapeutiche. Quindi tutto il mondo delle dipendenze e, nello specifico, tutte quelle patologie su cui siamo chiamati ad operare. FEDERSERD è stata inserita, con decreto dal Ministro della salute, fra quelle società scientifiche che possono produrre linee guida nazionali. Sono circa vent'anni di lavoro a livello nazionale; copriamo tutto il territorio nazionale, dalla Valle d'Aosta alla Sardegna; siamo presenti in molte realtà e collaboriamo anche con le politiche locali, con gli assessorati, sulle problematiche legate alle dipendenze.
  Sappiamo che è in atto un'invasione di sostanze e una moltitudine di dipendenze. Abbiamo definito i nostri servizi non solo come servizi di tossicodipendenza ma servizi per le dipendenze, sia con sostanze e sia comportamentali, senza sostanze. Sulle dipendenze da sostanze ultimamente abbiamo dei grossi problemi, su cui stiamo intervenendo, per la presenza di una serie di farmaci che entrano in un circuito grigio, quindi vengono di fatto utilizzati in modo improprio, che danno una dipendenza molto più forte anche dell'eroina. Parliamo del Fentanyl, dell’Oxicodone, tutta una serie di sostanze, derivati morfinici, che portano a una dipendenza su cui stiamo lavorando, ma che sappiamo in America ha portato oltre quarantamila morti.
  La questione dell'uso delle sostanze è legata anche alla metodologia di assunzione attraverso la via iniettiva, nello specifico per quanto riguarda l'eroina, ma anche per determinati farmaci, per cui abbiamo questa particolarità: noi abbiamo il numero più alto di assistiti affetti da epatite C.
  Ora lascio la parola al dottor Nava per una sintesi sull'aspetto specifico, su cui stiamo lavorando da anni, anche a livello Pag. 7internazionale dove abbiamo avuto una serie di contatti per capire come meglio gestire la problematica.

  FELICE NAVA, direttore del Comitato scientifico nazionale della FEDERSERD. Andrò molto brevemente a dare una rappresentazione dell'esistente rispetto al problema di HCV nei consumatori di sostanze, quindi in coloro che utilizzano droghe.
  Noi non abbiamo dati epidemiologici certi sulla prevalenza di HCV nei consumatori di sostanze, abbiamo diversi studi, anche condotti dalla nostra Società scientifica, oltre che di alcune regioni che hanno avviato dei programmi epidemiologici, che ci danno una forbice che va dal 30 al 60 per cento. Questo è un dato estremamente importante, perché noi dobbiamo considerare che in Italia i SERT hanno in carico circa 150 mila utenti: noi possiamo quindi immaginare che fino a novantamila soggetti in carico ai servizi possono essere HCV positivi.
  Stime del CNR ci dicono che almeno il doppio dei soggetti ora in carico ai servizi dovrebbero essere in carico ai servizi e non lo sono e quindi stanno sul territorio. Sono 300 mila. Quindi su una stima totale di 450 mila, se questi studi di prevalenza sono corretti, noi possiamo immaginare di avere fino a 270 mila soggetti HCV positivi, consumatori di sostanze. Sono importanti anche perché attualmente, come ci dice la letteratura internazionale, sono il vero serbatoio della malattia, quindi rappresentano un target prioritario per l'eliminazione di HCV, che oggi può avvenire con i farmaci ad azione diretta.
  Un aspetto negletto da sempre sono le azioni di riduzione del danno. Non possiamo immaginare che nei consumatori di sostanze possiamo raggiungere l'eliminazione di HCV soltanto con i farmaci. Questi sono uno strumento importante per eliminare la malattia, ma per prevenire la malattia e ridurre il tasso di infezione o le nuove infezioni, sono importantissime le azioni di riduzione del danno suggerite dall'Organizzazione mondiale della sanità, che fanno parte, anche se non applicate, dei livelli essenziali di assistenza.
  Il target prioritario sono sicuramente i consumatori di sostanze per via endovenosa: i cosiddetti PWID, people who inject drugs. Dei consumatori di sostanze si stima che un quarto almeno siano i consumatori per via endovenosa. I consumatori di sostanze per via endovenosa sono importanti in termini di eliminazione dell'infezione, perché i dati della letteratura ci dicono che in tre anni dall'infezione un PWID infetta altri venti PWID. Quindi voi potete immaginare come questo sia un serbatoio importante da raggiungere. Quindi è essenziale favorire l'accesso alle cure per tutti i soggetti con un'infezione da HCV ma, in termini di sanità pubblica, soprattutto per i consumatori di sostanze. Insieme alle azioni di riduzione del danno.
  Non c'è dubbio che esistano delle barriere importanti all'accesso alle cure per i consumatori di sostanze con HCV. Alcune sono correlate al paziente, alla non consapevolezza della malattia, alla non conoscenza delle nuove terapie, alle difficoltà economiche, sociali, alle condizioni in cui versano i consumatori di sostanze. Ci sono anche importanti barriere legate al terapeuta, preoccupazione sugli esiti della malattia e sull'andamento delle terapie in questa tipologia di pazienti, la mancanza di network clinico, la mancanza di comunicazione fra i clinici, ma soprattutto di sistema. Non esistono protocolli, procedure a livello regionale, dove, anzi, c'è una disomogeneità nell'applicazione anche per quanto riguarda i programmi di eliminazione.
  Un aspetto prioritario è senz'altro quello di semplificare il trattamento per i pazienti HCV positivi, consumatori di sostanze. Esistono delle importanti realtà regionali, una è sicuramente quella della regione Veneto che nei SERD e nelle carceri ha adottato un modello che permette di curare i pazienti dove sono presi in carico, portando all'interno specialisti, infettivologi ed epatologi. In questo senso sono importanti le modifiche che, anche recentemente, sono state fatte dall'AIFA: il dodicesimo criterio che ha permesso più facilmente di iniziare il trattamento non rendendo obbligatorio il fibroscan. Ma probabilmente altre revisioni Pag. 8andrebbero fatte, come la necessità della genotipizzazione per quanto riguarda l'inizio del trattamento, esistendo dei farmaci pangenotipici.
  Ricordo che il modello australiano, parliamo del target specifico dei consumatori di sostanza, permette di raggiungere questa categoria di soggetti e avviare il trattamento anche in tempi brevi, anche su strada, anche in prossimità, considerando che il sommerso è enorme ed è quindi è un target prioritario per quanto riguarda il trattamento.
  Come Società scientifica un primo messaggio che noi lanciamo è la necessità di semplificare i percorsi di presa in carico e di trattamento per i consumatori di sostanza. Esistono dei limiti importanti attualmente all'interno dei SERD, che testano pochi soggetti. Questo è un limite importante che noi dobbiamo tenere in considerazione per varie ragioni, di risorse e organizzative. Quindi la possibilità di avere dei test gratuiti e facilitare la fase di test è un aspetto prioritario, anche utilizzando dei test rapidi. Occorre abolire la genotipizzazione per l'inizio del trattamento, quindi quelle barriere che rendono più difficile l'inizio del trattamento e incrementare il numero dei centri prescrittori. Non c'è dubbio che in alcune regioni i centri prescrittori siano sufficienti, ma in altre non lo sono per niente, pensiamo alle barriere o alle difficoltà geografiche per i pazienti di raggiungere un centro. L'obiettivo, quindi, è facilitare l'accesso alle cure. Sappiamo che esistono dei farmaci efficaci, sovrapponibili per esiti. È importante però rendere facile l'accesso alle cure, quindi non creare delle barriere che possano limitare il trattamento. Preparare il sistema anche all'allargamento della prescrizione è un altro aspetto importante, perché non c'è dubbio che il target dei consumatori di sostanze debba essere raggiunto facilmente.
  Vado rapidamente su alcune finestre su cui possiamo affacciarci per quanto riguarda i costi. Un nostro studio fatto in Lombardia ha dimostrato che il percorso, in termini di prestazioni diagnostiche, che porta un paziente tossicodipendente a essere curato, quindi escludendo il costo del farmaco, all'interno di un SERD ha un costo di circa 1.500 euro. Un paziente non in trattamento, in lista d'attesa, comunque consuma prestazioni per 250 euro, quindi è sempre un peso per il Servizio sanitario nazionale, escludendo le eventuali conseguenze negative nel tempo. Quindi questo è un aspetto importante da considerare, senza considerare l'altro aspetto che ho già citato: che un paziente entro tre anni dall'inizio dell'infezione ne può contagiare altri venti. Questo è un dato importantissimo, perché contagiarne altri venti significa avviare altre venti persone al trattamento. Escludendo il farmaco, quindi, sono 30 mila euro. Curare un tossicodipendente con HCV, quindi, comporta anche dei risparmi immediati per il sistema sanitario. Il percorso rapido, il cosiddetto «test and treat», ha un costo ancora più ridotto del percorso in real world o quello che viene oggi effettuato nei SERD ed equivale a 500 euro. Quindi ancora di più abbiamo un ritorno di salute e un ritorno dei costi rispetto al trattamento.
  Per concludere vengo alle considerazioni sulle questioni che avete posto come prioritarie nell'indagine. Sicuramente sulle politiche di prevenzione ed eliminazione ci sembra importante, a livello di Ministero della salute, costruire un piano nazionale inclusivo di special population, consumatori di sostanze, che tenga conto dell'importanza delle azioni di riduzione del danno, così come suggerite dall'Organizzazione mondiale della sanità. Importante per noi è anche la costituzione di una cabina di regia che dia delle linee di indirizzo, di monitoraggio, anche di osservatorio dal punto di vista epidemiologico. Sul livello AIFA non c'è dubbio che le strategie avviate di semplificazione dei trattamenti devono procedere. Un aspetto importante è quello della genotipizzazione, ma anche quello dell'allargamento dei trattamenti e dei centri prescrittori.
  A livello delle regioni, aspetto importantissimo, bisogna sviluppare e implementare i piani di eliminazione, quindi la programmazione. Noi sappiamo che alcune regioni sono sulla strada buona nella creazione dei piani di eliminazione, ma non tutte le regioni Pag. 9 sono allo stesso livello. È importante anche avviare a livello regionale gli aspetti di monitoraggio che suggeriscano delle azioni operative alle singole aziende sanitarie, quindi ai clinici, con linee guida, protocolli e quant'altro necessario.
  Per quanto riguarda l'utilizzo dei fondi, così come previsto dalla legge n. 232 del 2016, sicuramente è importante il rinnovo del fondo degli innovativi o, in alternativa, la creazione di un fondo ad hoc. Non c'è dubbio. In Italia sono stati trattati 190.000 pazienti, l'OMS ci inserisce fra le nazioni più virtuose per numero di trattamenti, ma noi dobbiamo raggiungere ancora la special population, i pazienti più difficili, ma le stime epidemiologiche – le avete viste – ci danno almeno altrettanti pazienti da trattare. Quindi permettere una programmazione certa e appropriata a livello nazionale e regionale, quindi dei fondi che permettano alle regioni di avere delle risorse per raggiungere gli obiettivi. È chiaro che la mancanza del fondo creerà inevitabilmente una disparità di accesso nelle diverse regioni.
  In conclusione tre punti finali che noi suggeriamo: creare un fondo ad hoc; semplificare i percorsi e costituire una cabina di regia. Sono questi i tre elementi, in estrema sintesi che, come Società scientifica, rispetto ai consumatori di sostanze, sentiamo di suggerire alla Commissione.

  PRESIDENTE. Ci sono domande da parte dei colleghi? Onorevole Carnevali.

  ELENA CARNEVALI. Avete già indicato quali sono le barriere per cui non riusciamo a recuperare il sommerso, stiamo peraltro parlando di pazienti che tendenzialmente accedono ai SERD, se non ho capito male, oppure agli interventi su strada per la somministrazione di metadone o cose di questo genere: perché alla fine questi non riusciamo a intercettarli e perché su questi pazienti non possiamo, al netto di tutto quello che avete detto, che è più che condivisibile, iniziare a recuperare il sommerso in attesa del test e di tutte le cose che avete chiesto? Le confermo che i fondi sono stati rifinanziati. Perché abbiamo questa difficoltà? Dove sta «l'inghippo»? Al di là del problema degli operatori, lo stigma, mi viene difficile comprenderlo.

  GILDA SPORTIELLO. Io vorrei fare una domanda semplice rispetto alla situazione nelle diverse regioni. Anche nella precedente audizione ci hanno parlato del modello veneto come un modello virtuoso, però vorrei capire se ci sono altre regioni che hanno proposto dei modelli che hanno inciso in maniera altrettanto importante e quali sono invece quelle rimaste un po’ più indietro, in cui si fa più fatica a far partire un reale piano per combattere l'epatite C.

  PRESIDENTE. Non ci sono altre richieste, la parola al vicepresidente Nava per le risposte.

  FELICE NAVA, direttore del Comitato scientifico nazionale della FEDERSERD. Rispondo rapidamente alla prima domanda. La prima considerazione che mi viene da fare è, da una parte, culturale e, dall'altra, senz'altro organizzativa e di sistema. Culturale perché storicamente, soprattutto nel settore delle dipendenze, non abbiamo mai sviluppato delle politiche basate sulle best evidence like, quindi anche di prossimità: le azioni di riduzione del danno, soprattutto di prossimità, sono scarse, sono presenti in maniera eterogenea sul nostro territorio. Questo è un grosso limite. Non a caso in Italia, rispetto al mondo occidentale, abbiamo la più alta prevalenza di pazienti HCV nella popolazione a rischio dei consumatori di sostanze, perché verosimilmente non abbiamo avuto storicamente delle azioni di riduzione del danno che, per definizione, lavorano su strada, agiscono in prossimità e quindi sono capaci di intercettare il fenomeno fuori dai servizi. Questo è un limite del sistema sanitario più in generale. Anche la capacità di lavorare insieme come network clinico. Quindi è un aspetto sicuramente da colmare. Noi sappiamo che la riduzione del danno e nei livelli essenziali di assistenza, ma devono essere resi esigibili: devono essere, con risorse adeguate, messi in atto a livello delle Pag. 10regioni. È un punto centrale quello che lei solleva, quindi io ho il piacere di evidenziare questo aspetto storico.
  Per quanto riguarda le regioni: io vengo dal Veneto e sono nella cabina di regia della regione Veneto, noi abbiamo lavorato bene, ma ci sono anche altre regioni che hanno avviato dei programmi di eliminazione, in maniera molto eterogenea, non c'è dubbio. Così come – e lo sapete meglio di me – è eterogenea la sanità in Italia nelle diverse regioni. Questo rispecchia un po’ l'eterogeneità che esiste sul territorio nazionale. Vi posso dire che avere un programma di eliminazione regionale che dà delle azioni precise, declina, fa anche una fotografia epidemiologica dell'esistente è un punto di forza notevole per il sistema.

  GUIDO FAILLACE, presidente nazionale della FEDERSERD. Aggiungo che anche come regione Sicilia abbiamo costruito una rete di tutti i servizi hub abilitati a definire in termini tecnici la patologia e intervenire direttamente sulla persona. Peraltro abbiamo attivato, come regione Sicilia, un centro hub in un SERT di Palermo, perché ci sono difficoltà per il soggetto che afferisce al servizio per le dipendenze che deve affrontare un percorso ad ostacoli e difficilmente arriva, quindi sarebbe molto più semplice fare in modo che i servizi, che oramai hanno una grande competenza in materia, possano intervenire sul problema. Ricordo un fatto che serve a spiegare tutto: l'HIV noi l'abbiamo risolto all'interno dei nostri servizi e allora si effettuava lo screening per il 95 per cento dei soggetti. Oggi noi arriviamo in alcune regioni al 12 per cento dei soggetti, per tutta una di serie difficoltà, burocratiche e di sistema, che portano a non effettuare lo screening dei nostri utenti. Sono difficoltà oggettive del sistema, di fondi e di personale. Questo andrebbe affrontato, perché noi abbiamo risolto una patologia importantissima e, nello stesso tempo, abbiamo ridotto in modo significativo, oltre le morti per overdose, la mortalità da infezione HIV. Quindi noi il sistema lo conosciamo benissimo, ci devono dare la possibilità di attuarlo. Quando il dottor Nava parla di una cabina di regia a livello regionale che ci metta in condizione di poter operare, si riferisce proprio a questo.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti per il loro contributo e dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione di rappresentanti della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva (SIGE), della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (SIMSPe Onlus), della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (SIMG) e della Società italiana di medicina interna (SIMI).

  PRESIDENTE. È prevista ora l'audizione di rappresentanti della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva, della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria e della Società italiana di medicina interna, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di politiche di prevenzione ed eliminazione dell'epatite C. Informo che il presidente della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie, Claudio Cricelli, invitato all'audizione odierna, ha comunicato di non poter partecipare.
  Saluto i nostri ospiti ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna. Sono presenti, per la Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva, Lorenzo Ridola, rappresentante SIGE; per la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria il presidente Luciano Lucania e il direttore scientifico Sergio Babudieri; e per la Società italiana di medicina interna Giovanni Raimondo, delegato per il Piano nazionale epatiti virali.
  Pregherei ciascuno dei nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro i dieci minuti per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguirà la replica. La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà pubblicata anche sul sito internet della Camera dei deputati.
  La parola al dottor Ridola.

  LORENZO RIDOLA, rappresentante della SIGE. Desidero ringraziare la presidente Pag. 11della Commissione, a nome della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva e del suo presidente, professor Domenico Alvaro, che ho l'onore di rappresentare in questa prestigiosa sede, per l'invito a riferire nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di politiche di prevenzione ed eliminazione dell'epatite C.
  Il mio intervento sarà articolato in tre punti: in primo luogo l'analisi della significativa variabilità delle stime di prevalenza delle infezioni HCV in Italia e le criticità ad esse connesse; quindi si porrà l'accento sulla necessità di implementazione delle strategie di screening finalizzate al case finding e al linkage to care; infine verranno definite le finalità dell'eradicazione di HCV, i risultati osservati nelle popolazioni trattate e l'impatto sul sistema salute.
  Anticipo le conclusioni che supportano la necessità di mantenere un adeguato regime di finanziamento non solo per perseguire l'attuale politica di accesso dei pazienti alle terapie antivirali, ma anche per il potenziamento delle strategie di screening.
  L'Italia è un Paese ad elevata endemia di infezione da virus dell'epatite C, ed è tra i Paesi europei con il maggior numero di persone esposte al virus. Studi degli anni Novanta del secolo scorso evidenziano un picco di incidenza dell'infezione nell'età più avanzata e una variabilità significativa tra Nord e Sud, aree metropolitane e rurali. Tuttavia nelle scorse due decadi, analogamente a quanto avvenuto in Europa, anche nel nostro Paese si è registrata una significativa modificazione dell'epidemiologia dell'infezione HCV. Infatti studi recenti stimano che una percentuale compresa tra l'1 e il 2,2 per cento della popolazione italiana sia entrata a contatto con il virus e il 75 per cento di questi soggetti presentino un'infezione attiva. Pertanto la prevalenza stimata di persone affette da epatite C in Italia sarebbe compresa tra circa 300.000 e 670.000 soggetti.
  Alla luce di tali premesse e, in particolar modo, riguardo alla grande variabilità della stima delle persone affette da infezione HCV attiva appare quanto mai evidente la necessità di programmare studi epidemiologici volti a definire in maniera quanto più accurata la prevalenza dell'infezione HCV, in maniera tale da poter mettere in atto le migliori strategie di eradicazione. A questo riguardo un argomento di grande attualità, e ancora controverso, rimane anche lo sviluppo di programmi di screening mirati a identificare soggetti con infezione da HCV ancora non note, case finding, specialmente nelle popolazioni a rischio, e quindi avviare programmi di linkage to care.
  Quanto esposto pone in risalto certamente la necessità di coordinamento tra medici specialisti, medici di medicina generale e medici che lavorano in strutture presso cui gravitano soggetti ad alto rischio di infezione, per effettuare uno screening in tutte le categorie considerate a rischio. L'obiettivo della terapia antivirale è curare l'infezione HCV al fine di prevenire le complicanze fegato-correlato o le malattie extraepatiche, la progressione della fibrosi in cirrosi epatica, lo scompenso della cirrosi, lo sviluppo di epatocarcinoma e di gravi manifestazioni extraepatiche fino alla morte nonché migliorare la qualità della vita dei pazienti e dei caregiver e impedire il propagarsi della trasmissione di HCV. L’end point della terapia antivirale è rappresentato dal raggiungimento della risposta virologica sostenuta, che corrisponde all'eradicazione del virus. Per tale motivo le linee guida internazionali raccomandano che tutti i pazienti con infezione da HCV debbano essere considerati per la terapia, compresi i pazienti naive al trattamento e le persone che non sono riuscite a eradicare il virus da un precedente trattamento.
  I farmaci antivirali ad azione diretta di seconda generazione permettono oggi di raggiungere una risposta virologica sostenuta in percentuale di pazienti superiore al 90/95 per cento a seconda della gravità della malattia, del genotipo virale, della precedente esposizione a terapia antivirale e della presenza di comorbidità, rappresentando pertanto uno standard ormai consolidato di terapia e un significativo avanzamento rispetto alle terapie precedenti, sia in termini di efficacia sia di tollerabilità. Pag. 12
  Con l'autorizzazione dell'utilizzo da parte dei clinici degli antivirali, determina AIFA n. 500 del 2017, il Governo e l'Agenzia italiana del farmaco hanno avviato un importante programma di eradicazione dell'infezione da HCV in Italia. L'AIFA ha elaborato linee di indirizzo e conseguenti criteri di trattamento, più volte ampliati nelle indicazioni e aggiornati, che hanno permesso di eleggere al trattamento antivirale dapprima pazienti con malattia epatica più grave, pertanto più bisognosi di un rapido accesso alla cura, pazienti con cirrosi epatica eventualmente già complicata da epatocarcinoma, o pazienti in lista di trapianto di fegato. In fasi successive si è estesa la possibilità di accesso alla terapia anche a soggetti con malattia più lieve, con comorbidità o appartenenti a particolari categorie, quali gli operatori sanitari o i detenuti. Sia l'AIFA sia le regioni hanno elaborato un sistema di censimento e monitoraggio dell'attività prescrittiva e degli esiti delle terapie, che ha permesso e rende tuttora possibile affinare le strategie, sia a livello nazionale sia locale, tramite tavoli tecnici che riuniscono periodicamente clinici e funzionari dell'amministrazione periferica e centrale. Da segnalare che il database AIFA è unico, ma raccoglie solo informazioni relative all'eleggibilità al trattamento e alla caratteristica del paziente e alla scelta del farmaco. Al contrario, i database regionali spesso riportano anche gli esiti del trattamento e le informazioni relative al fallimento della terapia o gli effetti collaterali riscontrati. Sarebbe quindi auspicabile implementare la condivisione delle informazioni in essi riportati.
  L'ultimo aggiornamento del registro AIFA, 21 ottobre 2019, evidenzia come dal 2017 abbiano iniziato il trattamento 195.291 pazienti, con un trend cumulativo in ascesa. Tuttavia si può considerare il numero di pazienti trattati un buon punto di partenza probabilmente solo nel caso che le stime reali di prevalenza dell'infezione siano quelle più basse, circa trecentomila pazienti. Dall'analisi di questi dati emerge come di oltre il 50 per cento dei trattamenti abbiano beneficiato soggetti con malattia epatica avanzata e circa del 40 per cento soggetti con malattia lieve. Appare evidente come nel primo caso un trattamento efficace potrebbe limitare i costi diretti e indiretti ricadenti sulla spesa sanitaria connesse allo scompenso della malattia o allo sviluppo o alla recidiva di neoplasia primitiva del fegato. Infatti è ben documentato come in pazienti con fibrosi avanzata il rischio annuale di sviluppare insufficienza epatica sia pari al 2,9 per cento, epatocarcinoma 3,2 per cento, morte correlata a problematiche epatiche più del 2,5 per cento.
  A conferma di tali considerazioni nel panorama italiano i ricercatori afferenti alla rete HCV Sicilia hanno recentemente dimostrato un incremento della sopravvivenza in pazienti affetti da cirrosi epatica e pregresso epatocarcinoma trattati con antivirali, e che l'eradicazione di HCV dopo terapia diminuisce significativamente l'epatocarcinoma. Allo stesso modo è ipotizzabile anche che l'eradicazione dell'infezione HCV in fasi precoci della malattia, in pazienti a bassa fibrosi, possa presentare analoghi effetti positivi. È stato dimostrato, infatti, come vi sia un rischio tre volte inferiore di sviluppare cirrosi epatica a dieci anni dalla diagnosi di infezione HCV nei soggetti trattati con successo rispetto a persone che non hanno ricevuto terapia antivirale.
  L'insieme di queste considerazioni fa emergere che, se da un lato il costo delle terapie antivirali andrà sempre tenuto in debita considerazione, d'altra parte l'impatto dell'investimento di risorse economiche nel trattamento dovrà essere valutato in una prospettiva di lungo periodo in relazione alla riduzione globale dei costi delle complicanze epatiche ed extraepatiche della infezione da HCV.
  In conclusione, dunque, l'impatto epidemiologico dell'infezione da HCV e la disponibilità di regimi antivirali sicuri ed efficaci hanno portato l'Organizzazione mondiale della sanità a promuovere con forza l'obiettivo di eliminare l'infezione da HCV entro il 2030, tuttavia questo progetto deve tenere conto delle differenze della prevalenza dell'infezione da HCV a seconda delle differenti classi di età e dei fattori di rischio, nonché dei costi dei farmaci Pag. 13 e della disponibilità finanziaria dei Paesi. Lo screening rappresenta, pertanto – come anticipato – una componente centrale di questa strategia e diverrà parte di piani nazionali coordinati e basati su dati di prevalenza, sia generali sia riguardanti specifici gruppi di popolazione.
  Io ho terminato e vi ringrazio per l'attenzione.

  LUCIANO LUCANIA, presidente della SIMSPe Onlus. Noi divideremo l'intervento in due sintetiche parti: interviene prima il professor Babudieri per gli aspetti strettamente scientifici, poi mi riserverò di tratteggiare un quadro di contesto in cui si innesta questo tipo di problematica all'interno del mondo carcere.

  PRESIDENTE. Comincia il direttore. Vi ricordo che il vostro intervento deve rientrare nei dieci minuti.

  SERGIO BABUDIERI, direttore scientifico della SIMSPe Onlus. Nei centonovanta istituti penitenziari italiani nel corso del 2018 hanno soggiornato 105.000 persone e si stima che non siano sempre le stesse, quindi si pensa che una popolazione di circa duecento o trecentomila persone in un quinquennio transiti all'interno degli istituti penitenziari. Quindi il carcere è un concentratore, perché all'interno degli istituti penitenziari italiani sono concentrate persone che rappresentano marginalità sociali, quindi c'è un concentrato innanzitutto di patologia sociale. All'interno della patologia sociale sono estremamente rappresentate le malattie da virus – epatite B, epatite C, HIV – e le malattie sessualmente trasmesse, oltre a un problema di tubercolosi legata al fenomeno dei detenuti stranieri.
  I numeri, dati ufficiali del Ministero della giustizia, ci dicono che il 34 per cento dei detenuti oggi in Italia lo è per reati previsto dal Testo unico per la lotta agli stupefacenti. Normalmente chi compie un reato di questo tipo è uno spacciatore, ma, nella stragrande maggioranza dei casi, è anche un consumatore, quindi deve essere considerato come tossicodipendente. Tra i tossicodipendenti l'80 per cento hanno avuto un contatto con il virus dell'epatite C. Stiamo parlando di una massa potenziale di portatori, trentaquattro, trentacinquemila persone, che molto probabilmente, nel corso della propria vita, hanno avuto un contatto con il virus dell'epatite.
  Stiamo parlando di tossicodipendenti, quindi il carcere non è qualche cosa di separato dal discorso che hanno fatto gli amici di FEDERSERD poc'anzi. Va ricordato come coloro che diffondono l'infezione nella popolazione certamente non sono le persone anziane, che non hanno comportamenti a rischio, ma siano appartenenti a questo tipo di categorie che, ovviamente, ai SERD e all'interno degli istituti penitenziari sono più facilmente raggiungibili, sono più facilmente educabili e trattabili. Questo è il lavoro che, come Società, stiamo facendo all'interno degli istituti penitenziari.
  Deve essere sottolineato come il detenuto di oggi è il cittadino libero di domani, quindi è un'occasione unica quella all'interno degli istituti penitenziari per poter agganciare queste persone in modo che, quando tornano in libertà, possano essere – il collega accennava al linkage to care – agganciate a delle strutture esterne che se ne facciano carico per proseguire il trattamento e il monitoraggio.
  Dal punto di vista strettamente dei dati, visto che dobbiamo essere sintetici, questa è la popolazione, questo è il contorno per quanto riguarda l'epidemia, perché tale è quella di HCV: stiamo parlando di decine di migliaia di persone giornalmente residenti all'interno del sistema penitenziario italiano. Ora cedo la parola al presidente per gli aspetti organizzativi e pratici.

  LUCIANO LUCANIA, presidente della SIMSPe Onlus. Noi lavoriamo all'interno delle carceri come Società da oltre vent'anni e abbiamo vissuto tutta la modifica del panorama sanitario all'interno del pianeta carcere: quando è esploso il fenomeno della tossicodipendenza, quando uscì il testo unico, noi c'eravamo; nel momento in cui sono cambiate le cose, si sono sviluppate queste nuove situazioni, continuiamo a esserci e a lavorare. Pag. 14
  Il fenomeno dell'epatite C è estremamente grave, e giustamente lo hanno segnalato i colleghi prima di me, l'ha segnalato il professor Babudieri che sull'epatite C ha condotto, con il suo gruppo universitario e con altri gruppi universitari, degli studi particolarmente importanti all'interno del carcere. Abbiamo svolto un lavoro scientifico su questo che mostra come all'interno del carcere sia possibile fare prevenzione, sia possibile curare e sia possibile ottenere dei risultati.
  Noi riteniamo che su questo problema all'interno del carcere possa esserci un segnale di inversione della rotta. Da oltre dieci anni la sanità in carcere non è più una prerogativa del Ministero della giustizia, ma è transitata al Servizio sanitario nazionale, con tutte le problematiche che ciò comporta. Passare da un sistema rigidamente ministeriale a un sistema diffuso sul territorio, come quello delle aziende, certamente scompensa equilibri già costituiti, tra l'altro costruiti nell'arco di quasi un secolo, e certamente espone a delle diversità che nascono dai contesti regionali nei quali si muove la sanità.
  Questa battaglia, questa lotta, questo interesse, questa attenzione, questo puntare con decisione su un problema risolvibile, l'eradicazione della malattia da virus C, può diventare veramente un paradigma funzionale e organizzativo di come la situazione clinica e sanitaria all'interno delle carceri può essere modificata. D'altronde è importante che l'AIFA poche settimane fa ha raccolto tante voci che sono venute dall'esterno e ha introdotto il criterio 12 per poter somministrare il farmaco ai pazienti con difficoltà di accesso agli accertamenti per motivazioni di tipo socio-assistenziale: e chi meglio dei carcerati ricade in questa categoria? Quello che si chiede è non solo che venga mantenuta la possibilità per le aziende sanitarie di erogare il trattamento, il problema classico del finanziamento di cui tutti hanno parlato, ma che questo problema si agganci a un'attenta revisione, attenta rivalutazione dei modi di fare sanità all'interno del carcere, laddove si superino tutte le opacità del passato, tutti i vecchi sistemi e si cominci a lavorare in chiave di prevenzione, in chiave di clinica, in chiave di medicina legale, quando serve, si cominci a lavorare in maniera ordinata sotto il profilo dei rapporti, delle relazioni e dei contratti con il Ministero della giustizia e con il Sistema sanitario nazionale.
  I numeri riportati sono reali: le sessantamila persone della conta quotidiana significano centomila passaggi, che in un anno non sono pochi. Sono passaggi nei quali, per la maggior parte dei casi, è rappresentata una vera, oggettiva marginalità sociale per i motivi più svariati. Il carcere dei colletti bianchi di fatto non esiste: esiste una gran massa di persone che hanno dietro di loro delle esperienze di vita straordinariamente complesse, spesso molto gravi, talora anche dolorose, che arrivano all'estremo di questo percorso forse nel posto sbagliato. Però questa è la nostra legge ed è così la nostra società. Questo di cui si sta trattando oggi può essere veramente, per la società intera, anche un momento di riscatto sociale e intellettuale.

  SERGIO BABUDIERI, direttore scientifico della SIMSPe Onlus. Una battuta al volo. Oltre a occuparmi di igiene penitenziaria, sono il direttore della clinica malattie infettive dell'Università di Sassari, quindi sono in una regione, la Sardegna, che è uscita nel 2010 dal Fondo dei farmaci innovativi. Quindi dal 2015, quando sono usciti i farmaci di cui si parla oggi, abbiamo vissuto l'esperienza clinica di una regione che deve pagare i farmaci con il proprio budget. Vi voglio segnalare che nella nostra realtà l'acquisto rapido dei farmaci non avviene, perché chi acquista i farmaci, i direttori amministrativi e regionali, attende di avere il pacchetto di ordinativi. Quindi, visto che si sta discutendo in questa sede del finanziamento, vi voglio segnalare l'esperienza vissuta in questi anni, in cui il famoso «test and treat» in una situazione del genere non è mai stato possibile.
  Chiedo scusa per avervi rubato questo minuto, ma mi sembrava importante segnalarlo.

  GIOVANNI RAIMONDO, delegato al Piano nazionale epatiti virali della SIMI. Pag. 15Ringrazio, a nome della mia Società, della quale io sono delegato per il Piano nazionale epatiti virali, e porto i saluti del nostro presidente, professor Antonello Pietrangelo.
  Intervengo per ultimo, per cui il rischio di essere ripetitivo e di non attirare l'attenzione è altissimo, quindi mi permetto di fare dei flash che probabilmente ripeteranno concetti già espressi, ma forse possono essere utili per la conclusione.
  Io voglio iniziare riportando il dato dell'AIFA di due giorni fa; l'AIFA settimanalmente ci aggiorna sui pazienti trattati: al 28 ottobre 2019 i pazienti trattati in Italia per epatite C risultano 196.000 che significa che sono 196.000 soggetti guariti da una malattia che ha devastato famiglie.

  PRESIDENTE. 196.000 trattati e guariti?

  GIOVANNI RAIMONDO, delegato al Piano nazionale epatiti virali della SIMI. Le parole «trattare» e «guarire» con i nuovi farmaci dell'epatite C sono quasi coincidenti, salvo pochissime eccezioni che riguardano condizioni di studio, di cui personalmente mi occupo. Questa è una realtà dalla quale noi dobbiamo partire.
  Se a questo aggiungiamo che chi, come me, fa questo lavoro – io sono internista e patologo e mi occupo di virus, per questo sono delegato per i virus epatitici dalla mia Società – e ha in mente le decine e centinaia di persone decedute per questa malattia, l'idea che oggi noi guariamo totalmente un soggetto che, se non ha una malattia avanzata, sicuramente non avrà mai le conseguenze della cirrosi epatica, credo sia un punto di partenza fondamentale. Dobbiamo tenere presente che molti dicono che, dopo la penicillina, si tratta dell'evento più straordinario avvenuto nell'ambito della farmacoterapia nella storia dell'umanità.
  A questo si aggiungono due fattori, che non sono assolutamente minoritari. Oggi la terapia noi la facciamo per otto settimane o al massimo dodici: qualche pillola al giorno, di fatto senza effetti collaterali. Se noi partiamo da questo presupposto e da quello che ho detto prima, credo che l'unica cosa che dovrebbe fare questo Paese – mi permetto di dare un parere – è andare a cercare tutti i pazienti che hanno l'epatite C e guarirli, come ci dice l'Organizzazione mondiale della sanità, perché l'OMS ha demandato ai singoli Governi le procedure da seguire per raggiungere lo scopo di eliminare il virus entro il 2030, eradicarlo con la vaccinazione. Ci saranno delle frange nel mondo dove purtroppo non si potrà arrivare oggi, ma certamente, per un Paese che si dice civile, nel 2030 noi possiamo tranquillamente non avere più l'epatite C. Non si può prescindere da questo punto. Anche nell'ambito delle situazioni così estreme – come dicevano i miei colleghi prima – otto settimane di terapia verosimilmente si possono fare durante la carcerazione, e questa è un'altra cosa di cui dobbiamo tenere conto. Se io vedo i pazienti che ancora oggi dobbiamo ricoverare con una malattia terminale da virus C, il costo di un paziente con malattia epatica terminale è inaudito rispetto al costo di un ciclo terapeutico: si tratta di ricoveri subentrati con costi elevatissimi, dall'antibiotico alla dialisi, alla legatura delle varici. Ora non entro nei dettagli. Non c'è partita, è troppo ovvio e mi vergogno anche di dirlo, però purtroppo devo continuare a dirlo, perché uno dei problemi fondamentali è quello di andare a trovarlo questo virus. Anch'io vengo da una regione che ha dimostrato di essere molto virtuosa; in questo ambito la Sicilia è stata, ed è riconosciuto da tutti, qualche volta anche non con grande soddisfazione, la prima ad aver organizzato una rete per la registrazione di tutti i dati relativi ai pazienti con una terapia da epatite C estremamente efficace. Noi abbiamo dei numeri che evidenziano il prolungamento della vita e la riduzione del rischio del cancro, che si traduce in risparmi ovvi.
  Sono rammaricato che non siano presenti colleghi della Società di medicina generale; è chiaro che individuare i pazienti che hanno oggi l'epatite C, l'infezione, è un compito in grandissima parte che spetta alla medicina di famiglia e alla medicina generale, ma anche ai reparti che Pag. 16ricoverano pazienti per varie situazioni, per esempio i reparti di medicina interna e i reparti di chirurgia. Riuscire a sensibilizzare per fare un test estremamente economico che individua un paziente con un'infezione da virus C e consente di trattarlo, quando ancora la malattia non è avanzata, credo che sia un obiettivo facilmente raggiungibile, se si è davvero convinti tutti dell'opportunità. Teniamo conto anche che il virus dell'epatite C, è ampiamente dimostrato, ha influenza negativa sul diabete, sulla patologia aterosclerotica, su molte malattie autoimmunitarie, per cui la possibilità di togliere il virus dall'organismo riesce ad avere un effetto positivo anche su questo.
  Dobbiamo tenere conto, perché è importante, anche della biologia dei virus. Questo è un virus che non persiste: nel momento in cui si ferma la sua riproduzione, viene eliminato. Altri virus necessitano di terapie prolungate. Noi oggi curiamo bene l'epatite B, curiamo bene l'HIV, ma non possiamo mai sospendere la terapia. Questo è un virus, per la sua biologia, che in otto settimane è eliminato da un organismo.

  PRESIDENTE. Non ci sono domande, pertanto vi ringraziamo per il vostro contributo e dichiaro concluse le audizioni odierne.

  La seduta termina alle 15.45.