XVIII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 17 di Mercoledì 28 luglio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mura Romina , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE NUOVE DISUGUAGLIANZE PRODOTTE DALLA PANDEMIA NEL MONDO DEL LAVORO

Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI).
Mura Romina , Presidente ... 3 
Ricci Roberto , dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) ... 3 
Mura Romina , Presidente ... 6 
Ricci Roberto , dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) ... 7 
Mura Romina , Presidente ... 8 

ALLEGATO: Documentazione trasmessa dall'INVALSI ... 9

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROMINA MURA

  La seduta comincia alle 15.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web tv.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
  Interviene, in rappresentanza dell'INVALSI, il dottor Roberto Ricci, dirigente di ricerca dell'Istituto. Nel ringraziare il nostro ospite per la partecipazione, gli cedo la parola, ricordando che la sua relazione dovrebbe avere una durata orientativa di quindici minuti. Prego.

  ROBERTO RICCI, dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI). Grazie e buonasera a tutti. Grazie per quest'invito. I risultati delle rilevazioni dei quali vi vorrei parlare sono sostanzialmente quelli che sono stati presentati recentemente, precisamente lo scorso 14 luglio, nella conferenza stampa di presentazione nazionale alla presenza del Ministro. I dati hanno avuto un certo riscontro sulla stampa nazionale poiché rappresentano una situazione che potremmo definire piuttosto seria e preoccupante. In estrema sintesi, potremmo rappresentare quanto è emerso nel seguente modo.
  Nella scuola primaria – la scuola elementare nella vecchia dicitura – gli esiti delle rilevazioni non cambiano in modo sostanziale rispetto al 2019. Ovviamente, il tema principale o, meglio, uno dei due temi principali delle rilevazioni del 2021 era il confronto con il 2019, cioè l'anno precedente alla pandemia. Come probabilmente è noto, nel 2020, proprio perché l'intero Paese era, ahimè, in lockdown, le prove, che tipicamente si realizzano tra marzo e maggio, non si sono potute svolgere. Dicevo, i risultati della scuola primaria tra il 2019 e il 2021 non sono cambiati in modo statisticamente rilevante.
  Mi permetto di rappresentare alla Commissione Lavoro, che non si occupa dei temi dell'istruzione, anche i dati della scuola primaria, poiché essi costituiscono comunque uno dei predittori più forti dell'insuccesso formativo che si riscontra negli anni successivi. Anche se potrebbero apparire lontani dall'interesse precipuo e specifico della Commissione, ritengo invece che possano essere di un certo interesse.
  Detto questo, è vero che i risultati non sono cambiati. Questo però significa, detto Pag. 4in altro modo, che i problemi che si riscontravano nel 2019 sono rimasti invariati. Sicuramente, è un'ottima notizia che essi non si siano aggravati, però rimangono e sono fondamentalmente riconducibili al problema delle grosse differenze esistenti tra le scuole e tra le classi. Questo è un indicatore tipico, negli studi di settore, di potenziali fenomeni di ineguaglianza, nel senso di diverse opportunità formative per la popolazione scolastica, a seconda delle classi o delle scuole frequentate dagli studenti.
  Un altro elemento che risalta è che le piccole differenze che si riscontrano nella scuola primaria si amplificano nei gradi successivi. Difatti, passando alla scuola secondaria di primo grado, cioè la scuola media, purtroppo le buone notizie, se quella precedente era una buona notizia, sono terminate, in considerazione della quota di studenti che terminano la scuola secondaria di primo grado con competenze nemmeno lontanamente accettabili rispetto ai traguardi stabiliti dalle indicazioni nazionali. Con questo ci tengo a sottolineare che i traguardi non sono stabiliti autonomamente o, peggio ancora, arbitrariamente dall'INVALSI, ma sono i traguardi di apprendimento stabiliti dalle indicazioni nazionali che sono legge dello Stato dal 2012, quelli che un tempo si chiamavano «programmi scolastici».
  Premesso questo, la quota di studenti che termina la scuola media con competenze del tutto inadeguate passa dal già alto 34 per cento al 39 per cento. Quasi quattro studenti su dieci terminano la terza media con competenze che ci dovremmo aspettare al massimo all'inizio della scuola secondaria di primo grado, cioè in prima media, per intenderci.
  La percentuale di allievi che si trovano in questa situazione è più alta e cresce di più in matematica, passando al 45 per cento. Cioè, il 45 per cento dei nostri studenti si affaccerà all'inizio dell'anno scolastico il prossimo settembre con competenze matematiche del tutto inadeguate rispetto a quello che è previsto dalle indicazioni nazionali. E questo – non solo per noi, perché è sempre vero purtroppo – è un predittore fortissimo di insuccesso scolastico, con le conseguenti implicazioni negli sviluppi successivi.
  Abbastanza stabili sono i risultati in inglese, anche se la cosa che deve far comunque pensare è che il 25 per cento degli studenti nella prova di lettura (reading) e il 41 per cento degli studenti nella prova di ascolto (listening) termina la scuola secondaria senza raggiungere il livello A2 del quadro europeo di riferimento, che, ripeto, è stato adottato fin dal 2012 dal legislatore italiano. Non è una scelta arbitraria, in quanto non si basa su chissà quale teoria dell'apprendimento, ma è quanto stabilisce il legislatore.
  Purtroppo, le differenze si concentrano principalmente negli allievi che provengono da un background socio-economico e culturale svantaggiato, in cui cala in maniera considerevole la quota dei cosiddetti «allievi resilienti», intendendo come «allievi resilienti» quegli studenti che hanno buoni risultati pur provenendo da contesti che meno li favoriscono, cioè contesti culturali, sociali ed economici meno favorevoli. Purtroppo, sembra che la pandemia e, quindi, le lunghe interruzioni della didattica in presenza abbiano, in un certo qual modo, tolto forza e «benzina» a questo tipo di allievi, che sono quelli per i quali la scuola ha maggior peso, in quanto riesce a contrastare lo svantaggio con il quale questi ragazzi partono.
  C'è un altro elemento a nostro giudizio piuttosto preoccupante, sempre come indicatore delle diseguaglianze: la differenza aumenta in modo considerevole soprattutto tra le classi. Questo purtroppo è un indicatore tipico di processi, per usare un eufemismo, di raggruppamento degli studenti nelle classi, cioè classi con studenti con risultati migliori e classi con studenti con risultati meno buoni. Questo credo che potrebbe essere un elemento di riflessione poiché intervenire su questo, cioè prevenire fenomeni di questo genere, è tecnicamente piuttosto semplice e a costo pressoché zero. Questo potrebbe essere di aiuto.
  Purtroppo, la rappresentazione che spesso l'opinione pubblica e la stampa hanno della scuola media è quella di una sorta di buco nero – cito quello che spesso la Pag. 5stampa dice – del sistema di istruzione italiano. Non è vero, sarebbe anche una rappresentazione ingiusta rispetto alla scuola media, poiché è quel settore dell'istruzione in cui le differenze cominciano a essere molto visibili.
  Purtroppo, questi risultati così negativi che ho appena enunciato diventano più seri e gravi nella scuola secondaria di secondo grado. In italiano – parlo sempre di medie nazionali – il 44 per cento degli studenti termina con competenze di lettura di un testo scritto che ci dovremmo aspettare al massimo al termine della seconda classe della scuola secondaria di secondo grado, ovvero il secondo anno di scuola superiore. In matematica questa quota sale al 51 per cento. Tanto per renderci conto della gravità di quello di cui stiamo parlando, all'interno del 44 per cento di questi ragazzi c'è uno studente che dopo tredici anni di scuola non riesce a mettere insieme due informazioni esplicitamente date all'interno dello stesso capoverso – non paragrafo –, ma non nelle stesse righe. In matematica, per intenderci, in questo 51 per cento ci sono quegli studenti, sempre per fare un esempio, che su un foglio elettronico quadrettato, perché è su computer, non riconoscono due quadrati: uno posto lungo il bordo della quadrettatura, l'altro inclinato di 45 gradi, quindi lungo la diagonale. È molto semplice, non ci sono inclinazioni particolarmente complesse, ma loro non riescono a individuare i quadrati di uguale superficie. Stiamo parlando di situazioni piuttosto serie. È del tutto evidente che questi studenti, che conseguono comunque la licenza superiore, il diploma di maturità, sempre per parlare all'antica, avranno forti difficoltà a muoversi autonomamente nel loro sviluppo successivo di carriera.
  L'inglese è stabile, però purtroppo è stabile su livelli piuttosto preoccupanti. Il legislatore, sempre per tornare a quello che dicevamo prima, prevede dopo tredici anni di scuola – in Italia lo studio dell'inglese comincia già in prima elementare – il raggiungimento del livello B2 del quadro europeo di riferimento. Il 63 per cento dei nostri studenti non raggiunge questo traguardo nella prova di ascolto e il 51 per cento non lo raggiunge nella prova di lettura. Sono dati molto preoccupanti. Ma questa è la media nazionale, perché a livello regionale, in alcuni casi, gli esiti sono ancora più preoccupanti.
  Cito alcuni esempi. Per quanto riguarda la comprensione e la lettura, la media nazionale degli studenti che non raggiungono la soglia minima delle competenze è il 44 per cento. La media di coloro che non raggiungono gli obiettivi in Campania è il 64 per cento, in Puglia il 59 per cento, in Sicilia il 57. In matematica, in cui a livello nazionale la media nazionale degli studenti che non raggiungono la soglia minima delle competenze è il 51 per cento, in Sicilia e in Calabria è il 70 per cento, in Campania il 73 per cento. Parliamo di percentuali veramente molto preoccupanti.
  Un ultimo dato, che emerge solo se si dispone di dati su tutta la popolazione, come in questo caso, è quello della misura della particolare fragilità degli studenti, quella che con linguaggio scientifico si chiama «dispersione scolastica implicita». Che cos'è la dispersione scolastica implicita? Si tratta di una forma di dispersione scolastica che interessa quegli studenti che simultaneamente, sia in italiano, sia in matematica, sia in inglese reading, sia in inglese listening, concludono la scuola superiore conseguendo il diploma, ma con competenze in tutte e quattro queste discipline che ci dobbiamo attendere, al massimo, al termine del secondo anno della scuola secondaria di secondo grado, ovvero in seconda superiore. Questa quota di studenti, che a livello nazionale nel 2019 era il 7 per cento, nel 2021, ahimè, sale al 9,5 per cento. Giusto per dare anche un'idea più concreta, stiamo parlando di circa 42 mila diciannovenni, cioè, il 9,5 per cento della coorte, che termina la scuola in questo modo. E, ripeto, in tutte e quattro le discipline.
  Questa è una definizione particolarmente cautelativa, prudente, che, tanto per usare termini molto diffusi adesso, ha come conseguenza molti falsi negativi. Cosa intendo dire? Basterebbe che in una delle quattro discipline uno non si trovi in questa Pag. 6 situazione di particolare difficoltà e già non sarebbe più considerato disperso implicito. Questa è la quota di coloro che sono particolarmente fragili. Ce ne sono anche altri che da questa definizione sfuggono; volutamente, perché si cerca di individuare proprio coloro che sono in situazione di estrema fragilità e non sono inquadrati nel radar del sistema, perché questi ragazzi non sono dispersi nel senso proprio del termine, dato che la maturità la conseguono. La conseguono, però, con una fortissima fragilità e sappiamo tutti che questo ha un impatto considerevole sullo sviluppo di carriera. A fronte poi del 9,5 della media nazionale della dispersione scolastica implicita, la Calabria ha il 22,4 per cento, la Campania il 20,1 per cento, la Sicilia il 16,5 e così via.
  Potrei dire concludendo – mi sembra di avere rispettato i tempi – che i dati che emergono dalla rilevazione sono piuttosto sconfortanti e, dal punto di vista tecnico, sarebbe ingiusto e improprio attribuire la causa di questi risultati alla didattica a distanza, poiché la didattica a distanza è uno strumento di emergenza, a cui, come tale, possono essere imputate, ovviamente, alcune cose e altre no, come sempre avviene in emergenza. Però è del tutto evidente che stiamo parlando di problemi preesistenti, aggravati, come sempre, da una situazione di shock negativo. Chi affronta quello shock in condizioni di maggiore fragilità ne risente maggiormente rispetto agli altri.
  Se invece vogliamo cercare alcuni aspetti positivi, perché io credo che questi vadano sempre cercati – forse non c'era un grande bisogno di dimostrazione, ma questa indagine ne fornisce la quantificazione – possiamo dire che la scuola conta, eccome, nel fare la differenza. È importante erogare il più possibile il servizio scolastico in tutte le sue potenzialità, perché gli effetti sono quelli che abbiamo visto, e, soprattutto, gli impatti sono molto differenziati in base alle caratteristiche di provenienza degli allievi: quanto più l'allievo proviene da una situazione di fragilità personale, tanto più questa tende ad aggravarsi e a riprodursi.

  PRESIDENTE. Dottor Ricci, la ringrazio molto per questa relazione. Abbiamo avuto modo di vedere e leggere i dati già nei giorni scorsi, ma sentirli spiegati da lei ha un effetto sconvolgente. Come dice lei, i dati non dicono niente di nuovo, perché queste fragilità nel nostro Paese erano già presenti prima della pandemia e, ovviamente, si sono aggravate per i soggetti più deboli.
  Credo però che lo sconforto debba finire subito, soprattutto perché il legislatore in questa fase si trova anche a gestire un grande quantitativo di risorse e ad avere grandi opportunità di cambiamento. Come ha detto lei, attraverso la lettura di questi e altri dati sulle disuguaglianze abbiamo anche la possibilità di individuare qual è la strada da percorrere, che è la valorizzazione della scuola; la scuola che, in questo Paese, è stata un ascensore sociale perché, come diceva una vecchia canzone, «anche l'operaio vuole il figlio dottore». È stato così in Italia per tanti anni. Oggi non lo è più, ma io credo che, partendo da questi dati e anche dai divari territoriali, che sono terribili – io leggo con particolare attenzione quelli riguardanti la mia regione di provenienza e tutti quelli del Meridione – l'investimento sulla scuola sia fondamentale.
  Lei ha fatto bene anche a fare un passaggio che a me non è sfuggito, quando ha tenuto a dire che l'INVALSI legge la realtà sulla base dei dati e sulla base dei parametri che sono dati da una legge. Talvolta, come lei sa bene, l'INVALSI diventa un bersaglio, perché ci dà delle notizie tremende. Io volevo chiederle se, secondo la sua esperienza e secondo i dati (questi ed altri) di cui dispone, sarebbe importante lavorare sulla scuola, innanzitutto facendo sì che sia di nuovo presente in tutti i territori, cosa che non è più nel nostro Paese da tempo, e poi agendo anche su un elemento, che sembra banale ma che secondo me non lo è, che è la numerosità delle classi.
  Nel nostro Paese, abbiamo le grandi realtà urbane con classi molto numerose, le cosiddette «classi pollaio», sin dalle elementari, mentre nei piccoli centri, dove i Pag. 7ragazzi sono pochi, in genere si va avanti con le cosiddette «pluriclassi». Da quanto risulta dal racconto degli insegnanti e di chi gestisce i processi a livello territoriale, queste situazioni non hanno un effetto positivo, soprattutto sui ragazzi più fragili, quelli provenienti da contesti di marginalità sociale e di povertà.
  Vorrei capire se, secondo lei, si può intervenire su questi aspetti; – dico questo anche perché è oggetto del dibattito parlamentare anche in questi giorni. Il tema della riduzione della numerosità delle classi potrebbe essere un modo per dedicare maggiore attenzione agli studenti, soprattutto a quelli più fragili. La scuola è anche una politica attiva del lavoro, anzi, è la prima politica attiva del lavoro, come ben sappiamo noi che in questa Commissione ce ne occupiamo. L'istruzione è importante per collocare e per ricollocare i disoccupati, attraverso la cosiddetta «formazione per tutta la vita». A questo proposito, vorrei sapere anche se lei ha dati, oltre che sulla scuola dell'obbligo, anche sulla formazione permanente, se ha qualche elemento che sarebbe molto utile per il nostro lavoro. Grazie.

  ROBERTO RICCI, dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI). Con piacere cerco di rispondere alle sue domande, ovviamente da tecnico e non da chi è chiamato a prendere queste decisioni, quindi limitando la rappresentazione di ciò che i dati e la letteratura scientifica ci dicono su questo tema.
  In primo luogo, se mi posso permettere, concordo con quanto lei dice: la scuola è per il cittadino il primo approccio con un'Istituzione pubblica, e quindi rappresenta un luogo di estrema rilevanza per quanto riguarda l'acquisizione imprescindibile non solo di contenuti, ma anche di tutta una serie di altri elementi che ci caratterizzano come cittadini. Questo credo che sia molto importante. Anche questi dati negativi, dei quali ho parlato, ci mostrano come sia importante avere cura della scuola, perché basta anche poco perché i risultati positivi ottenuti, se mancano la cura e la costanza che ci sono state in passato, vadano perduti. E questo credo che sia molto importante.
  Per quanto riguarda le questioni sulle quali mi sollecitava, le risponderò con i dati che sono a nostra disposizione, che sono del tutto coerenti, di fatto, con le indicazioni che riguardano tutti i Paesi europei – purtroppo sono dati che, per certi versi, sono un po' contro intuitivi – e che riguardano la relazione esistente tra i livelli di apprendimento e la dimensione delle classi. Ovviamente stiamo parlando entro certi limiti; è chiaro che devono essere ragionevoli. Non spetta a me stabilire quale sia la soglia che qualifichi una classe come pollaio o non pollaio, perché questo non mi compete.
  I dati nazionali, come i dati di tutti i Paesi europei, ci dimostrano diverse cose. Ci dimostrano che non esiste o non è rilevabile – forse è l'espressione più corretta – una relazione diretta tra la dimensione media della classe e gli apprendimenti, quando questa è sotto ai 25-26 studenti – e nel caso italiano la quasi totalità delle classi si trova al di sotto di questa soglia.
  C'è però, come sempre, la necessità di porre attenzione a quello che avviene al di sotto dei risultati medi, indagando sui diversi casi. Che cosa si dimostra abbastanza chiaramente nel caso italiano, in modo abbastanza coerente con quello che avviene negli altri Paesi europei, per quei tipi di scuole – in questo momento sto parlando prevalentemente delle scuole superiori – che ospitano la popolazione più forte o comunque con un percorso più solido, che spesso proviene da famiglie che hanno più possibilità, tipicamente i licei? Non c'è evidenza empirica dell'esistenza di una correlazione tra la dimensione della classe, ripeto, sotto determinati limiti, 25-26 studenti in media, e i risultati di apprendimento.
  Diverso, invece, è il caso degli istituti che ospitano popolazioni più deboli, per i quali questa relazione c'è. E questo potrebbe anche suggerire delle decisioni o degli orientamenti differenziati, non considerando la scuola come un unicum, come Pag. 8una sorta di «moloch» unitario, ma tenendo conto di queste differenze.
  Mi permetto di aggiungere una piccola cosa. Nel settore di mia competenza, ho il privilegio di rappresentare l'Italia sia nel tavolo dell'OCSE sia nel tavolo della IEA (International association for the evaluation of Educational Achievement). Le esperienze migliori sono quelle della Finlandia, dei Paesi scandinavi e della Corea del Sud, che, pur avendo modelli molto diversi, non si concentrano tanto sulla dimensione delle classi quanto sulla disponibilità di docenti ad aiutare gli studenti in difficoltà. Voglio dire che non c'è evidenza empirica, per esempio, del fatto che, riducendo la dimensione delle classi di due o tre unità – riduzione che, dal punto di vista dell'impatto organizzativo e finanziario, sarebbe tutt'altro che banale – ci sia un miglioramento rilevante della didattica; invece, sarebbe fondamentale – l'esperienza di alcuni Paesi lo dimostra – garantire per questi studenti, con insegnanti aggiuntivi, con risorse aggiuntive, – azioni di sostegno.
  I Paesi che hanno ottenuto i risultati migliori hanno fatto questa sfida: anziché avere classi piccole, sempre con l'insegnante «legato» alla classe, hanno preferito avere classi con numeri ragionevoli e, nello stesso, tempo liberare risorse, docenti, che sono i fattori più importanti, per aiutare gli studenti in difficoltà. L'esperienza internazionale sembra andare in quella direzione, soprattutto – parlando sempre di scuola secondaria di secondo grado – per l'istruzione tecnica e professionale.
  Aggiungo un'ultima cosa: non vanno sottovalutate le piccolissime differenze che si notano nella scuola primaria. La scuola primaria è il fondamento dell'edificio. Se quelle fondamenta non sono allo stesso livello, nel primo e secondo piano non si notano grandi differenze; è quando il palazzo si alza che quelle piccole inclinazioni delle fondamenta diventano grossi problemi per i piani successivi.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto per il contributo che ha voluto fornire alla nostra indagine conoscitiva e per la documentazione depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Le chiedo di farci pervenire ulteriori documenti di approfondimento che ci possano aiutare a fotografare ancora meglio la situazione. La ringrazio ancora e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.05.

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ALLEGATO

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