XVIII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 15 di Mercoledì 14 luglio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mura Romina , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE NUOVE DISUGUAGLIANZE PRODOTTE DALLA PANDEMIA NEL MONDO DEL LAVORO

Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP).
Mura Romina , Presidente ... 3 
Scicchitano Sergio , primo ricercatore dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP) (intervento da remoto) ... 3 
Mura Romina , Presidente ... 8 
Scicchitano Sergio , primo ricercatore dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP) (intervento da remoto) ... 8 
Mura Romina , Presidente ... 9 

ALLEGATO: Documentazione trasmessa dai rappresentanti dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP) ... 10

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROMINA MURA

  La seduta comincia alle 15.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web tv.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro. Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza degli auditi e dei deputati secondo le modalità stabilite dalla giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020. Interviene in collegamento da remoto, in rappresentanza dell'INAPP, il dottor Sergio Scicchitano, primo ricercatore dell'Istituto. Nel ringraziare il nostro ospite per la partecipazione, gli cedo la parola, ricordando che la sua relazione dovrebbe avere una durata orientativa di quindici minuti. Prego.

  SERGIO SCICCHITANO, primo ricercatore dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP) (intervento da remoto). Buonasera, gentile presidente e onorevoli deputati. Grazie mille per l'invito e per la possibilità che ci viene data di contribuire ad una indagine conoscitiva su un tema così importante e al quale INAPP ha indirizzato la propria attività di ricerca nell'ultimo periodo. Porto i ringraziamenti del nostro presidente che oggi è impossibilitato a partecipare. La mia relazione si basa sulla presentazione che condivo sullo schermo con la Commissione.
  Non potendo trattare tutti i temi da voi proposti, riteniamo utile soffermare la nostra attenzione sui seguenti quattro punti: i lavoratori maggiormente a rischio in Italia durante la pandemia, i possibili effetti indesiderati dello smart working sulla disuguaglianza dei redditi, gli effetti reali della pandemia sulla disuguaglianza del reddito, l'effetto della crisi da COVID-19 sui giovani e sui NEET, ragazzi che non sono impegnati nello studio, né nel lavoro, né nella formazione. Su questi quattro punti illustrerò le principali evidenze emerse dagli studi scientifici dell'INAPP, pubblicati di recente, che, ovviamente, sono a disposizione della Commissione.
  Partiamo con il primo punto: i lavoratori maggiormente a rischio in Italia durante la pandemia. A seconda dell'attività professionale svolta e delle caratteristiche del luogo di lavoro, alcuni lavoratori sono più soggetti ai rischi di contagio di altri e ciò accade quando operano in prossimità fisica con altre persone, siano essi clienti o collaboratori, o quando risultano più esposti a malattie e infezioni per le caratteristiche del proprio lavoro. Inoltre, solo alcuni lavoratori possono svolgere il proprio lavoro da remoto, consentendo di limitare sia il rischio per la salute pubblica sia le ripercussioni economiche negative derivanti da una possibile chiusura delle attività. Pag. 4 In un recente lavoro dell'INAPP, elaborato con l'ausilio della banca dati dell'indagine campionaria sulle professioni, gestita proprio dall'INAPP, abbiamo descritto le dimensioni di tale rischio per i lavoratori rispetto ai settori produttivi nei quali operano, distinguendo fra i settori rimasti attivi e i settori le cui attività sono state sospese a seguito delle misure di contenimento del contagio varate dal Governo durante la primavera del 2020. A tal fine, le professioni e i settori sono stati classificati sulla base di tre indici: il primo è volto a misurare la frequenza con cui il lavoratore è esposto a infezioni e malattie, il secondo verifica l'intensità della vicinanza fisica richiesta nello svolgimento delle proprie mansioni e il terzo è l'indice di fattibilità di lavoro da remoto. Il passaggio dalle professioni ai settori si è reso necessario, perché, come sapete, i decreti governativi hanno indicato i settori da chiudere e, successivamente, da riaprire gradualmente. Tutte le informazioni che vi presento erano state messe a disposizione della task force del Governo diretta da Vittorio Colao in vista della successiva «fase 2». Le informazioni ci erano sembrate fondamentali per pianificare la cosiddetta fase di uscita graduale dalla sospensione dell'attività, per la costruzione di una politica evidence based, per selezionare, in particolare, le attività da ripristinare in modo prioritario e quelle in cui rafforzare le misure di prevenzione. I risultati che potete vedere nei primi due grafici mostrano che, tra i dieci settori con la maggiore esposizione a malattie e infezioni, il settore sanitario – la cui attività in tempi di epidemia non può essere chiaramente sospesa – evidenzia, come ci si attendeva, i valori più alti. Un alto rischio è presente, inoltre, tra i settori dell'istruzione prescolastica e degli asili nido, che, al contrario del comparto della sanità, figurano tra i settori che avevano temporaneamente interrotto la loro attività. Tra i primi dieci settori per rischio di prossimità, invece, la situazione si inverte, perché gli insegnanti del settore prescolastico e degli asili nido evidenziano i due valori più alti, senza peraltro aver avuto la possibilità di proseguire il proprio lavoro da remoto, come invece è accaduto per i loro colleghi del comparto della scuola primaria, secondaria e dell'università. I settori caratterizzati da un valore più alto dell'indicatore che misura la capacità di svolgere il proprio lavoro da remoto sono le attività professionali, scientifiche e tecniche, quelle finanziarie e assicurative, le attività di organizzazioni ed organismi extraterritoriali, la pubblica amministrazione e gran parte dei servizi professionali, tutti settori che non sono stati interessati dai decreti di sospensione. Al contrario, i settori chiusi in seguito ai provvedimenti del Governo – le attività di servizi di alloggio e ristorazione, del commercio all'ingrosso o al dettaglio – registrano una predisposizione allo smart working e al telelavoro molto più bassa. Le stime econometriche mostrano che, nel complesso, i decreti governativi hanno sospeso l'attività dei settori in cui il rischio di vicinanza è più elevato e in cui la capacità di lavorare da remoto è più bassa, contribuendo perciò a limitare in modo significativo i rischi di contagio e le conseguenze economiche negative derivanti dal lockdown. Si tratta, quindi, di buone notizie.
  Passiamo al secondo punto, riguardante i possibili effetti indesiderati dello smart working sulla disuguaglianza dei redditi. Con l'arrivo della pandemia, numerose misure sono state adottate per contrastarne la diffusione; tra queste, le misure di distanziamento sociale nell'ambito lavorativo sono state focalizzate sull'incentivazione, se non sull'obbligo, del ricorso allo smart working, come pratica che consente di coniugare la limitazione della mobilità delle persone con la prosecuzione della loro attività lavorativa. Inoltre, in considerazione della gravità degli effetti della pandemia e dell'incertezza in merito ai tempi e alle modalità delle fasi di convivenza e uscita, il lavoro da remoto è ormai divenuto in Italia e in molti altri Paesi una modalità di lavoro ordinaria e non più una modalità di lavoro straordinaria e sembra destinato a divenire una caratteristica strutturale del mercato del lavoro, anche se in molti casi si tratta di telelavoro, ad essere più precisi – ma sulla Pag. 5distinzione tra smart working e telelavoro torneremo più avanti, se ce ne sarà tempo.
  In uno studio recente abbiamo simulato l'effetto di una maggiore diffusione dell'attitudine allo smart working nelle professioni che caratterizzano il mercato del lavoro italiano. In particolare, ci siamo focalizzati su un'analisi delle possibili conseguenze che questo fenomeno potrebbe provocare sui livelli di reddito da lavoro, nonché sulle possibili disuguaglianze salariali tra lavoratori. Andando a esaminare i principali risultati, esaminando la relazione tra il lavoro agile e il reddito, è evidente che i lavoratori con un basso livello di capacità di lavorare da casa sono più numerosi ed evidenziano, in media, un reddito annuale lordo molto più basso rispetto a quelli con alta capacità di lavorare da remoto. Inoltre, guardando al ruolo che la capacità di lavorare da casa ha sulla distribuzione del reddito, è evidente che, al crescere del reddito da lavoro, aumenta sia il divario salariale tra i lavoratori con alta e bassa capacità di lavorare da casa sia la percentuale dei lavoratori che svolgono una professione con elevata capacità di lavorare da casa. Questo perché non tutti i lavori hanno la possibilità di svolgere le proprie mansioni da casa. Anche su questo punto torneremo tra poco.
  Con un modello econometrico sono stati poi stimati gli effetti che la conferma del telelavoro avrebbe sulla distribuzione del reddito e sulla disuguaglianza. I risultati dimostrano che un aumento dei livelli di attitudine allo smart working nelle professioni che ne evidenziano un livello basso porterebbe, in media, ad una crescita dei salari, probabilmente a causa della maggiore produttività dei lavoratori. Tuttavia, ciò determinerebbe anche un aumento della disuguaglianza salariale tra i dipendenti italiani, in quanto l'aumento del salario sarebbe maggiore per i dipendenti di sesso maschile, più qualificati, istruiti e ben pagati. La nostra analisi fornisce utili spunti ai policy maker che stanno progettando le strategie da adottare nel mercato del lavoro nella fase successiva alla pandemia da coronavirus. Sebbene lo smart working possa rappresentare la risposta giusta alla necessità di coniugare il contrasto alla diffusione del COVID-19 con la ripresa dell'attività economica, di migliorare la produttività, di conciliare il rapporto tra lavoro e famiglia, i potenziali effetti indesiderati sulle disuguaglianze di reddito di questa modalità di lavoro non devono essere sottovalutati. I risultati suggeriscono l'affiancamento, in particolare, di politiche attive in grado di colmare potenziali lacune di conoscenza nel lungo periodo. Si rischia, altrimenti, di esacerbare le disuguaglianze già presenti nel mercato del lavoro.
  Passiamo al terzo punto. In un altro lavoro scientifico abbiamo analizzato le conseguenze della pandemia sulla distribuzione dei salari dei lavoratori dipendenti. In particolare, si evidenziano – con dati acquisiti in tempo reale – quali categorie di lavoratori e quali settori economici hanno sofferto maggiormente e in che misura sia il livello effettivo di lavoro da casa (smart working) sia la propensione a lavorare da remoto hanno influenzato la distribuzione dei salari. I risultati sono i seguenti. Innanzitutto chi può usufruire dello smart working, o meglio, del telelavoro? Ci sono importanti differenze di genere e soprattutto tra i tipi di lavoro e tra i settori economici nella diffusione del telelavoro prima della pandemia e durante la pandemia. Nel grafico di sinistra si nota che, prima della pandemia, la diffusione del telelavoro era quasi nulla tra i due sessi, quindi sia tra gli uomini sia tra le donne. Durante la pandemia, le donne pare abbiano usufruito di più del telelavoro rispetto agli uomini. Tra i settori produttivi, la diffusione del telelavoro prima della pandemia era quasi nulla per tutti i settori produttivi. Durante la pandemia, solo i settori relativi a comunicazione, finanza, assicurazioni, pubblica amministrazione e istruzione hanno potuto usufruire del lavoro da remoto. Questa è un'importante forma di disuguaglianza, in quanto non tutti i lavori e non tutti i settori possono usufruire del telelavoro. I settori agricolo, industriale, delle costruzioni, della ristorazione, alberghiero e dei trasporti hanno poche possibilità di usufruire del telelavoro. Le stime del modello econometrico Pag. 6sembrano mostrare, in primo luogo, che la pandemia ha colpito i salari di tutti i lavoratori, ma l'effetto pare sia stato maggiore per i salari più bassi; in secondo luogo, l'aver potuto proseguire il proprio lavoro da casa durante il lockdown, per coloro che hanno potuto farlo, ha mitigato le conseguenze negative in termini di riduzione salariale causate dalla pandemia. I settori più colpiti in termini di perdita salariale pare siano stati quelli della vendita al dettaglio e della ristorazione. Qui occorre ricordare che il settore della ristorazione è stato pesantemente colpito anche in termini occupazionali. Il rapporto annuale sulla ristorazione in Italia per il 2020, pubblicato recentemente, ci ricorda che in quattordici mesi sono stati persi circa 514 mila posti di lavoro, con un'ingente perdita di fatturato. Infine, nel lungo periodo si prospetta che saranno le donne a ottenere i maggiori benefici dalla possibilità di lavorare da casa. L'opportunità di remote working potrebbe rappresentare la concreta possibilità di conciliare compiti di cura, lavoro non retribuito e lavoro retribuito.
  Passiamo al terzo punto, riguardante l'effetto della crisi da COVID-19 sui giovani e sui NEET, che, ricordo, sono i giovani che non sono impegnati né in istruzione, né in formazione, né in occupazione. In un recente lavoro scientifico abbiamo studiato se e in quale misura il rischio di diventare NEET in Italia sia peggiorato durante la pandemia. L'elevata percentuale di NEET in Italia è un problema del nostro mercato del lavoro. Nel grafico contenuto nella documentazione si vede che il nostro Paese ha la percentuale di NEET più alta d'Europa, peraltro in aumento durante l'emergenza da COVID-19.
  Nel grafico successivo vedete che la quota dei NEET mostra enormi differenze regionali. Confrontando le figure che riportano la quota di NEET per livello provinciale, rispettivamente, per il secondo trimestre del 2019 e del 2020, si osserva che le province meridionali sono interessate dalla quota più elevata. Inoltre, dal secondo trimestre del 2019 al secondo trimestre del 2020 la quota di NEET è aumentata in tutte le macroaree italiane, ma in particolare nelle province del Sud, delle isole e delle province del Nord-Ovest.
  Le stime del nostro studio mostrano, in questo caso, che durante il secondo trimestre della pandemia del 2020 la probabilità di essere NEET è aumentata significativamente, di 3,8 punti percentuali. Gli individui della fascia di età 25-34 anni residenti nel Nord-Ovest sono stati i più colpiti dalla pandemia, registrando un aumento di cinque punti percentuali. Una partecipazione attiva alla società civile sembra poter ridurre la probabilità di essere NEET, in particolare per gli individui della fascia di età 15-24 anni, quindi per i più giovani, e residenti nel Mezzogiorno. Ciò conferma che un ambiente caratterizzato da un maggior grado di spirito pubblico genera esternalità positive per i giovani, spingendoli a entrare nel mercato del lavoro.
  Inoltre, essere coinvolti in corsi di formazione regionali riduce la probabilità di essere NEET di circa tre punti percentuali in media. Ciò significa che le politiche attive del lavoro sembrano essere leggermente associate a una riduzione della quota di NEET. Tuttavia, le politiche attive sono efficaci solo per gli individui nella fascia di età 25-34 anni e non sono significative nel Mezzogiorno, dove invece sarebbero più utili, perché proprio lì si concentra una quantità considerevole di NEET.
  Infine, cosa molto importante, è chiaro il ruolo dell'istruzione, in particolare dell'istruzione superiore, nella prevenzione del rischio di essere NEET. L'effetto più alto si ha al Sud, dove i laureati hanno una probabilità di essere NEET più bassa di ben 30 punti percentuali. Il ruolo dell'istruzione nella prevenzione del rischio di essere NEET è dunque più forte proprio nell'area più debole del Paese, suggerendo che l'investimento in capitale umano è ancora il modo migliore per uscire dal rischio di emarginazione.
  Vado alle conclusioni perché credo che il tempo a mia disposizione sia terminato. Riepilogando in sintesi quanto riportato sui quattro punti oggetto della nostra analisi, abbiamo costruito e messo a disposizione di ricercatori e decisori politici gli indicatori Pag. 7 relativi a: grado di vicinanza fisica, rischio di malattie e infezioni, capacità di lavorare da casa per tutte le professioni e per tutti i settori italiani. Le nostre stime dimostrano che i decreti governativi di chiusura della primavera del 2020 hanno contribuito a ridurre il grado di vicinanza tra i lavoratori in Italia e hanno coinvolto soprattutto settori in cui la capacità di lavorare da remoto è alta, contribuendo quindi a limitare sia il rischio per la salute pubblica sia le conseguenze negative del lockdown.
  Secondo punto: stimiamo che un incremento marginale ma permanente dell'attitudine allo smart working di alcune professioni del mercato del lavoro, oltre agli indubbi vantaggi che tutti conosciamo anche in termini di conciliazione lavoro-famiglia, potrebbe rischiare di acuire disuguaglianze già esistenti, perché aumenta soprattutto il reddito dei lavoratori maschi, più pagati, laureati e maggiormente qualificati.
  Terzo punto: secondo le nostre stime sull'effetto della crisi sui redditi con dati «in tempo reale», la pandemia ha colpito i salari di tutti i lavoratori, ma l'effetto pare sia stato maggiore per i salari più bassi. Aver potuto proseguire il proprio lavoro da casa durante il lockdown ha attutito le conseguenze negative, ma, come già detto, non tutti i lavori e non tutti i settori possono svolgere il proprio lavoro da casa.
  Quarto punto: i settori più colpiti in termini di perdita salariale sono stati quelli della vendita al dettaglio e della ristorazione.
  Ultimo punto: secondo le nostre stime sui giovani, durante la pandemia la probabilità di essere NEET, già molto alta nel nostro Paese, è aumentata significativamente, di 3,8 punti percentuali. Individui nella fascia di età 25-34 anni e situati nel Nord-Ovest sono i più colpiti, con una crescita di cinque punti percentuali. Il grado di istruzione elevato e le politiche attive del lavoro sono in grado di migliorare sensibilmente la partecipazione al mercato del lavoro.
  Chiudo tornando su alcuni concetti chiave relativi allo smart working, tema molto discusso in questo periodo, soprattutto in relazione alla sua evoluzione nel periodo successivo alla crisi. Bisogna innanzitutto fare chiarezza concettuale su due punti. In primo luogo, il cosiddetto smart working non è il lavoro da remoto, ma è quella ristrutturazione dei processi produttivi e delle procedure burocratiche, nel caso della pubblica amministrazione, che combina fasi e ruoli da svolgersi in presenza con fasi e ruoli da svolgersi da remoto. Pertanto, tali combinazioni devono avere proporzioni interne diverse rispetto sia alle quote di lavoratori coinvolti, sia alle giornate settimanali di lavoro da remoto, a seconda dei servizi prodotti e delle tecnologie utilizzate. In secondo luogo, lo smart working non è una diversa modalità di prestazione lavorativa, ma una diversa organizzazione del lavoro, da cui discende una diversa modalità di prestazione lavorativa.
  Anche la pubblica amministrazione, che tradizionalmente ha poca familiarità con le nuove tecnologie dell'ICT (Information and Communication Technology), sotto la sferza della pandemia ha fatto ricorso alla modalità telematica per poter continuare a svolgere le sue funzioni e per mantenere al lavoro i propri dipendenti. Ora la pubblica amministrazione deve far tesoro dell'aver scoperto che parte della propria attività può svolgersi senza una presenza fissa e costante negli uffici. Anche la pubblica amministrazione deve trovare nuove forme di organizzazione del lavoro che realizzino, contemporaneamente, una maggiore produttività e una migliore qualità del lavoro.
  Chiudo ricordando che ulteriori evidenze saranno mostrate all'interno del rapporto INAPP 2021, che sarà presentato dal nostro presidente venerdì prossimo, 16 luglio, proprio a Palazzo Montecitorio, nella Sala della Regina, alle ore 11. Grazie mille per l'attenzione. Noi siamo a vostra completa disposizione per ulteriori chiarimenti, per domande, sia ora sia nei giorni seguenti, perché molti altri studi sono in fase di completamento e, come ho detto all'inizio della presentazione, questo per noi è un tema molto importante, su cui stiamo lavorando tanto. Sono a vostra disposizione.

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  PRESIDENTE. Bene. La ringrazio molto, dottor Scicchitano, per il prezioso contributo che ha voluto fornirci. Attendiamo gli studi e gli approfondimenti di cui lei ha parlato, perché i temi trattati e gli approfondimenti vanno proprio nella direzione che noi vorremmo imprimere alla nostra indagine conoscitiva, sono dettagliati e offrono un focus su aspetti che non sempre emergono nelle discussioni generali. Per questo ci saranno molto utili.
  Vorrei aggiungere, rispetto alle cose che lei ha detto, che mi pare che i dati che lei ha posto alla nostra attenzione confermino, fra le altre cose, che il lavoro di cura in questo Paese è un lavoro che merita particolare attenzione, perché è un lavoro complesso e sottopagato, è quasi interamente femminile ed è sicuramente uno di quei lavori che non possono essere svolti in modalità agile. Noi legislatori dovremmo avere particolare cura rispetto a interventi su questa tipologia di lavoro. Io ritengo che il lavoro agile diventerà, come giustamente ha detto lei, una modalità organizzativa flessibile, che contribuirà a migliorare anche la vita dei lavoratori e delle lavoratrici nel momento in cui noi smetteremo di parlare di conciliazione dei tempi di vita di lavoro pensando solo alle lavoratrici e cominceremo a parlare di condivisione delle responsabilità di cura. Questo è un altro tema su cui sono in corso riflessioni e su cui spero, in questa fase di rivisitazione dell'organizzazione sociale, saremo in grado di imprimere una svolta.
  L'ultima considerazione che vorrei fare riguarda i NEET, la cui situazione lei ha descritto molto bene. Oggi, leggendo i dati diffusi dall'INVALSI, dobbiamo «allacciare le cinture di sicurezza», perché tali dati ci dicono che, oltre ai NEET, quindi a ragazzi che non studiano e non lavorano, gli invisibili, ci sono anche ragazzi che completano gli studi e che, durante la pandemia, sono aumentati enormemente coloro che li hanno completati senza acquisire quelle competenze minime necessarie per potersi inserire in maniera adeguata nel mondo del lavoro o nelle successive fasi di formazione. È, quindi, importante affrontare il tema delle politiche attive, ma anche quello della riorganizzazione scolastica e, forse – mi verrebbe da aggiungere, osando – del ritorno alla DAD, perché nel nostro Paese, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, per le quali i dati forniti dall'INVALSI sono terrificanti, dovremmo lavorare nei prossimi mesi affinché l'attività scolastica venga mantenuta in presenza.
  Prego, dottor Scicchitano, se vuole aggiungere qualcosa, le do nuovamente la parola.

  SERGIO SCICCHITANO, primo ricercatore dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP) (intervento da remoto). Sono completamente d'accordo con lei sui due punti che ha sollevato.
  Sul primo punto, riguardante i lavori di cura, come ho detto prima, una delle caratteristiche che va tenuta sempre presente per lo smart working e che è tenuta presente in moltissimi studi internazionali su aspetti determinanti dello smart working, è che il lavoro da casa, da remoto, non può essere svolto da tutti. Non può essere svolto da tutti i lavoratori, non può essere svolto da tutte le professioni, non può essere svolto da tutti i settori. In particolare, i settori di cura sono uno degli esempi lampanti in cui il cosiddetto smart working, telelavoro, lavoro da casa, o come vogliamo chiamarlo, non può essere fatto. Questo è un tema che va tenuto molto in considerazione. Lo smart working per alcuni lavoratori può essere un modo senz'altro molto utile per conciliare i tempi di cura, famiglia e lavoro.
  Sul secondo punto, riguardante i dati dell'INVALSI, come ho detto prima, l'anno scorso gli asili nido, non avendo potuto proseguire la propria attività a distanza per evidenti problemi, per evidenti caratteristiche dei bimbi che non possono svolgere la scuola a distanza, hanno dovuto sospendere la propria attività. Tutte le altre scuole di ogni ordine e grado hanno continuato facendo ricorso alla DAD, ma con evidenti problemi, con grandissime disuguaglianze. Lei pensi alle possibilità di collegamento che non tutte le famiglie hanno e alle ripercussioni della DAD che tutti temevamo e che, purtroppo, l'INVALSI proprio stamattina ha confermato. Pag. 9
  Sono cose che vanno, peraltro, ad acuire le disuguaglianze territoriali interne al nostro Paese, perché l'INVALSI ci dimostra, una volta ancora, che il problema è soprattutto nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord, e riguarda anche e soprattutto i ragazzi, la formazione iniziale del capitale umano dei nostri figli, capitale umano che, come ci ricorda la teoria economica, è un aggregato eterogeneo di competenze che possono essere acquisite sia prima dell'ingresso nel mercato del lavoro, grazie a scuola, istruzione e via dicendo, sia nel mercato del lavoro, con tutte quelle politiche attive che consentono l'apprendimento durante tutto l'arco della vita lavorativa.
  Ciò che emerge dai nostri studi, in particolare per i ragazzi, per i NEET, per gli scoraggiati, per gli individui che sono fuori dal mercato del lavoro e che non si formano, perché non sono né a scuola, né in formazione, né in occupazione, è che il capitale umano, l'istruzione, è il fattore più importante per facilitare la partecipazione al mercato del lavoro. Come ho già detto prima, i laureati nel Mezzogiorno, che ha senz'altro la quota di NEET più alta rispetto a tutte le altre aree del Paese, hanno una probabilità di essere NEET di 30 punti percentuali più bassa rispetto ai non laureati. Quindi il capitale umano è la scuola. L'istruzione è ancora il modo migliore per accedere al mercato del lavoro e per uscire dalle sacche di emarginazione in cui troppe famiglie sono ancora coinvolte, principalmente nel Mezzogiorno.
  Ovviamente tutti i lavori dell'INAPP saranno messi a disposizione della Commissione, sia la nostra memoria scritta relativa alla relazione odierna, sia tutti i lavori scientifici, in italiano e in inglese, e le sintesi in italiano di tutti i lavori scientifici che il nostro Istituto ha realizzato sui temi di cui ho parlato.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'audito per il contributo fornito all'indagine conoscitiva e per la documentazione depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.

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