XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (XI e XIII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 29 gennaio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallinella Filippo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL FENOMENO DEL COSIDDETTO «CAPORALATO» IN AGRICOLTURA

Audizione di rappresentanti di Agrinsieme (Confagricoltura, CIA, Copagri e Alleanza delle cooperative italiane – agroalimentare) e Coldiretti.
Gallinella Filippo , Presidente ... 3 
Magrini Romano , responsabile delle politiche del lavoro di Coldiretti ... 3 
Gallinella Filippo , Presidente ... 6 
Caponi Roberto , direttore dell'Area sindacale di Confagricoltura ... 6 
Gallinella Filippo , Presidente ... 8 
Cenni Susanna (PD)  ... 8 
Viscomi Antonio (PD)  ... 9 
Liuni Marzio (LEGA)  ... 10 
Golinelli Guglielmo (LEGA)  ... 11 
Fornaro Federico (LeU)  ... 11 
Tripiedi Davide (M5S)  ... 12 
Gallinella Filippo , Presidente ... 13 
Magrini Romano , responsabile delle politiche del lavoro di Coldiretti ... 13 
Caponi Roberto , direttore dell'Area sindacale di Confagricoltura ... 14 
Fiorio Massimo , responsabile Affari istituzionali e relazioni esterne di Cia- Agricoltori italiani ... 15 
Gallinella Filippo , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA XIII COMMISSIONE
FILIPPO GALLINELLA

  La seduta comincia alle 12.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Agrinsieme (Confagricoltura, CIA, Copagri e Alleanza delle cooperative italiane – agroalimentare) e Coldiretti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno del cosiddetto «caporalato» in agricoltura, di rappresentanti di Agrinsieme (Confagricoltura, CIA, Copagri e Alleanza delle cooperative italiane – agroalimentare) e Coldiretti.
  Ringrazio gli auditi per aver accolto l'invito delle Commissioni e il vicepresidente della XI Commissione, Tripiedi, per la sua presenza.
  Per Agrinsieme sono presenti: Matteo Milanesi, responsabile dell'Ufficio legale-legislativo-sindacale-ambiente di Confcooperative pesca, Massimo Fiorio, responsabile Affari istituzionali e relazioni esterne di Cia-Agricoltori italiani, Danilo De Lellis, responsabile delle relazioni sindacali di Cia-Agricoltori italiani, Sandro Gambuzza, componente di Giunta con delega al lavoro di Confagricoltura, Roberto Caponi, direttore dell'Area sindacale di Confagricoltura, Giorgio Buso, direttore dei rapporti parlamentari di Confagricoltura, Fabio Caldera, vicepresidente vicario di Copagri e Alessandro Cuscianna, referente dell'Area legislativa di Copagri.
  Per Coldiretti sono presenti: Romano Magrini, responsabile delle politiche del lavoro, e Federico Borgoni, dell'area politiche del lavoro.
  Con riferimento all'organizzazione dei nostri lavori, propongo che gli interventi degli oratori abbiano una durata massima di 15 minuti ciascuno, in modo tale da avere anche la possibilità di rivolgere delle domande ai nostri auditi. Tenuto conto dell'orario di inizio dei lavori dell'Assemblea, vi chiedo di rispettare i tempi.
  Do quindi la parola a Romano Magrini, responsabile delle politiche del lavoro di Coldiretti.

  ROMANO MAGRINI, responsabile delle politiche del lavoro di Coldiretti. Ringrazio le Commissioni per questa opportunità.
  Sicuramente questa mattina ci viene offerta una buona occasione per confrontarci con voi sulla tematica del caporalato, che per il nostro Paese rappresenta una piaga che ormai ci portiamo dietro da tantissimi anni.
  Com'è noto, sul fenomeno del caporalato è intervenuta la legge n. 199 del 2016, approvata nella precedente legislatura, che ha tentato di occuparsi di questa materia. Sicuramente la nostra organizzazione ha sostenuto questo intervento legislativo non fosse altro perché rappresentava – e rappresenta tuttora – il primo intervento legislativo dedicato a questa problematica. Quindi, a prescindere da quelli che potevano essere i risultati, c'era l'intenzione da parte del legislatore e dello Stato di intervenire in maniera coordinata su questo tema. Pag. 4
  Certamente gli effetti della legge possono essere migliorati. È una legge perfettibile, lo abbiamo sempre sostenuto, però, è sotto gli occhi di tutti che questa legge ha dato alla magistratura la possibilità di muoversi in maniera diretta rispetto a questo fenomeno, affidandole un potere maggiore per svolgere una serie di indagini e di verifiche con la strumentazione che ha a disposizione al fine di andare a colpire chi sfrutta i lavoratori.
  Qui parliamo di coloro i quali sfruttano il lavoro, quindi sfruttano tutti i soggetti che, in una situazione di necessità economica o, per altri motivi, si trovano nelle condizioni di essere sfruttati. Teniamo presente che tutte le ispezioni e le indagini ci hanno portato a verificare come la gran parte dei lavoratori oggetto di sfruttamento fosse rappresentata da lavoratori extracomunitari ai quali era scaduto il permesso di soggiorno, e che quindi risiedevano nello Stato italiano illegalmente, per cui in nessun modo avrebbero potuto lavorare in maniera regolare. Quindi, l'unica possibilità che avevano era quella di essere sfruttati e dunque di essere «merce» per i caporali e per coloro che li sfruttavano.
  Da una parte quindi vi era il caporale, che aveva sotto di sé una serie di soggetti che non potevano che essere sfruttati, dall'altra parte, vi erano soggetti che non definirei imprese o imprenditori, perché sinceramente coloro i quali sfruttano i lavoratori non sono degni di essere chiamati impresa o imprenditori, perché sono delinquenti come i caporali.
  È chiaro quindi che ci troviamo di fronte a soggetti che sfruttano in maniera indegna i lavoratori.
  Abbiamo poi una serie di azioni che secondo noi dovrebbero essere messe in campo per integrare gli strumenti della legge n. 199 del 2016. È necessario, quindi, un intervento per perfezionare la legge e renderla effettivamente operativa su tutti i fronti e poi occorre anche mettere in campo una serie di azioni.
  Per tentare di capire cosa fa il caporale, estraniamoci per un momento dallo sfruttamento e andiamo a fotografare le azioni che tale soggetto compie che soddisfano due esigenze. Il caporale incrocia la domanda e l'offerta di manodopera; infatti, durante le grandi campagne, quando anche una piccola impresa ha bisogno di 10, 20, 30, 50 o 200 lavoratori, basta fare una telefonata e il caporale porta 200 lavoratori nei campi.
  Il caporale, inoltre, porta i lavoratori nell'azienda. Infatti, se io ho un'azienda agricola e sono a 20 chilometri dal centro della città o dal centro abitato e non ho mezzi che portino i lavoratori all'interno dell'azienda, se i lavoratori non si sono attrezzati con i pulmini (ma abbiamo visto anche la disgrazia dello scorso anno di quel pulmino che percorrendo la statale 106, per un colpo di sonno del conducente, ha causato la morte di sette lavoratori) anche questa esigenza viene soddisfatta dai caporali.
  I caporali o, come vengono chiamati oggi, le cooperative di servizi, soddisfano quindi due esigenze: da una parte, quella del lavoratore, perché il caporale prende il lavoratore sotto casa e lo accompagna nell'azienda, dandogli anche una garanzia occupazionale, e, dall'altra parte, quella delle aziende agricole che hanno bisogno di manodopera. Voi mi chiederete se sto lodando il caporale. No, sto fotografando i servizi che fa il caporale, al di là dello sfruttamento su cui ho già espresso il giudizio.
  Queste sono le esigenze che i caporali soddisfano, quindi, se vogliamo combattere i caporali, dobbiamo essere più appetibili di loro, dobbiamo dare risposte ai lavoratori e alle imprese su questi due fronti.
  Ai lavoratori dobbiamo, in primo luogo, mettere a disposizione qualcuno che possa incrociare la domanda e l'offerta di lavoro affinché possano avere una continuità di occupazione; in secondo luogo, dobbiamo offrire loro qualcuno che li accompagni sul luogo di lavoro o fare in modo che ci sia un mezzo pubblico che li accompagni il più vicino possibile alle imprese agricole.
  In terzo luogo, occorre dare alle imprese risposte nei momenti di grande bisogno Pag. 5 di manodopera, come nel caso della raccolta dell'ortofrutta, quando devono soddisfare l'esigenza del mercato, della grande distribuzione, per cui nell'arco di 24 o 48 ore devono consegnare un grandissimo quantitativo di ortofrutta fresca, per cui hanno necessità di dilatare le assunzioni e avere per 48 ore tanti lavoratori tutti insieme.
  Queste sono le esigenze delle imprese e dei lavoratori e rispetto a tali esigenze voglio approfondire anche un ulteriore passaggio: quello dei costi. Abbiamo visto anche dalle indagini svolte che parliamo di ortaggi, sotto serra o in campo, o di frutta, parliamo cioè di grandi raccolte, ossia di attività nelle quali il lavoratore è normalmente a basso contenuto professionale, per le quali occorre una manodopera che non necessariamente sia specializzata, ma che faccia la raccolta del prodotto.
  Se ci confrontiamo con i nostri competitor del made in Italy, con i competitor delle imprese agricole che fanno questo tipo di attività e guardiamo, ad esempio, alla Spagna e alla Francia, ci accorgiamo di come in questi Stati vengano sostenuti dei costi indiretti (non delle retribuzioni) della previdenza e dell'assicurazione che sono molto al di sotto di quelli che pagano le nostre imprese agricole su tutto il territorio nazionale.
  Non vi parlo del Centro-nord, dove siamo assolutamente fuori mercato da ogni possibile concorrenza, ma questo vale anche per il Sud d'Italia, dove ci sono delle agevolazioni contributive, che però non riescono a compensare quel gap di costi indiretti nei confronti dei nostri competitor; quindi esiste il problema dei costi.
  Oltre al problema dei costi che le imprese devono sopportare, occorre prestare attenzione anche a un altro aspetto. Se l'azienda della grande distribuzione mi chiede un prodotto attraverso le aste al doppio ribasso, come faccio a pagare il lavoratore secondo quanto è previsto dal contratto? Il lavoratore deve essere pagato nella misura prevista dal contratto, perché lo abbiamo sottoscritto noi insieme al sindacato, quindi quella deve essere – ed è – la giusta remunerazione. Non si può fare una battaglia al caporalato andando a toccare le retribuzioni, perché ci troveremmo nella stessa situazione del cane che si morde la coda e sarebbe la fine. Le retribuzioni sono quelle stabilite nei contratti.
  Se però ho di fronte un'azienda della grande distribuzione che mi chiede un determinato prodotto attraverso un'asta a doppio ribasso, rischio di finire fuori mercato già alla prima asta perché non copro neanche il costo di produzione, con la seconda asta sono fuori mercato e non riuscirò mai a vivere. A quel punto cosa succede? Pur di stare sul mercato devo rivolgermi a qualcun altro, a chi mi garantisce un costo più basso. Sto giustificando queste imprese? Me ne guardo bene! Però dobbiamo fare una fotografia reale delle cause del fenomeno, altrimenti diciamo che sono tutti delinquenti, ma abbandoniamo la realtà.
  A ciò aggiungo che se poi sullo scaffale di quella grande azienda di distribuzione io vedo il riso prodotto a Vercelli attraverso un'asta a doppio ribasso e poi trovo il riso, sul quale soltanto adesso trovo scritto «made in Italy», ma che è frutto invece di una produzione che viene dalla Cambogia e che è fatta attraverso una legalizzazione dello sfruttamento dei lavoratori o del lavoro minorile, è chiaro che io non avrò possibilità di fare concorrenza a tale prodotto. È come se avessimo sullo stesso scaffale un prodotto che è made in Italy ed è frutto di una legge e di una scelta fatta con il sindacato di protezione sociale per la valorizzazione del lavoro e dei lavoratori, quindi è «caporalato free», e un prodotto che, invece, è «caporalato bianco», perché è legalizzato.
  Vi ho parlato della Cambogia, ma potrei parlare della stessa Unione europea, nella quale dai Paesi, come la Romania, dove non c'è protezione sociale, né c'è tutela sindacale, non essendovi di certo un contratto collettivo che tuteli i lavoratori, si importa un prodotto che ha un costo decisamente più basso di quello italiano.
  Quando vogliamo fotografare il fenomeno del caporalato, dobbiamo analizzare anche quali sono i costi che vengono riconosciuti Pag. 6 oggi all'imprenditore della grande distribuzione, che sono lo «zero virgola» e non coprono neanche i costi di produzione.
  Occorre agire su più fronti. Si deve, innanzitutto, intervenire sui costi di produzione, cioè sul costo indiretto della manodopera – ripeto: non sulle retribuzioni, ma sui costi indiretti – attraverso una previdenza e un'assicurazione che siano dedicate e ci consentano di essere concorrenziali con gli altri Stati.
  È necessario organizzare un sistema di trasporti insieme alle regioni (o affidato anche soltanto alle regioni e alle province) che consenta ai lavoratori di avvicinarsi il più possibile al luogo di lavoro. Occorre organizzare poi un sistema, anche attraverso la bilateralità, che garantisca la disponibilità di manodopera tutta insieme, perché i Centri per l'impiego oggi non riescono a fornire tale garanzia. Inoltre, è urgente intervenire sulla burocrazia. È molto facile, infatti, chiamare la cooperativa di servizio che a fine lavoro fa la fattura, per cui poi, pagando la fattura, il problema è risolto, rispetto ad assumere 100 lavoratori di cui un'azienda ha bisogno, per i quali occorre fare la comunicazione, la busta paga, la CU, il modello 770 e altri adempimenti. Per tali ragioni, l'appesantimento della burocrazia è la prima causa di questo fenomeno.
  Penso poi a tutto il lavoro che deve essere fatto per garantire la sicurezza sul lavoro e che rischia di diventare un peso molto forte. Ho visto anche che alcuni emendamenti presentati al decreto-legge Semplificazione tentavano di dare una risposta a tutto ciò che attiene a tale aspetto.
  Nel documento che le Commissioni ci hanno inviato per convocarci a questa audizione si parla di riallineamento, ma vi invito a prestare attenzione al fatto che il riallineamento contenuto nella legge n. 199 del 2016 riguardava solo ed esclusivamente una provincia ed era finalizzato a dare risposta ad un'esigenza particolare. Oggi non esiste il riallineamento retributivo, nel senso che non c'è un percorso che possa accompagnare delle retribuzioni che non sono perfettamente in linea con il contratto, ma non lontane da esso, attraverso il riallineamento, ad arrivare al salario previsto, per cui potrebbe essere anche un'idea da perseguire per il futuro.

  PRESIDENTE. Do ora la parola a Roberto Caponi, direttore dell'Area sindacale di Confagricoltura.

  ROBERTO CAPONI, direttore dell'Area sindacale di Confagricoltura. Ringrazio i presidenti delle Commissioni XI e XIII per questo invito e ovviamente tutti i componenti le Commissioni.
  Parlo a nome di Agrinsieme, che è un raggruppamento di organizzazioni professionali (Confagricoltura, CIA e Copagri) e delle associazioni della cooperazione (Confcooperative, Legacoop e AGCI).
  In prima battuta direi che, per combattere il fenomeno del caporalato, bisogna evitare generalizzazioni: se passa il messaggio che il lavoro agricolo è tutto sfruttamento, è tutto caporalato, non stiamo facendo un buon servizio al sistema e alla lotta a un fenomeno veramente preoccupante, che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che nessuno è riuscito fino ad oggi a sradicare. Quindi bisogna fare una lotta assolutamente mirata e selettiva.
  Purtroppo, invece, passa il messaggio che il lavoro agricolo è sinonimo di sfruttamento, è sinonimo di caporalato, e questo anche all'estero nuoce gravemente alle imprese agricole e al sistema agricolo italiano nel suo complesso, al made in Italy, perché poi negli altri Paesi hanno buon gioco a dire che in Italia determinati prodotti sono «il frutto di...».
  Il fenomeno esiste, ma è circoscritto, e, per essere adeguatamente combattuto, va individuato con attenzione. Purtroppo, anche i provvedimenti normativi che sono intervenuti sono come degli antibiotici a largo spettro, non sono mirati. Anche le norme di carattere penale che sono contenute nella legge n. 199 del 2016, di cui vi era assolutamente bisogno, probabilmente vanno tarate meglio, perché così come sono rischiano di andare a colpire anche aziende che con il caporalato e con Pag. 7lo sfruttamento del lavoro non hanno nulla a che fare, ma che magari incorrono in qualche piccola disattenzione di carattere burocratico-amministrativo, perché la norma, così come è scritta, evidentemente prevede questo. Bisogna invece concentrare l'attenzione veramente sui fenomeni di caporalato.
  Anche dal punto di vista ispettivo, purtroppo, si continua a non svolgere un'adeguata attività di intelligence. Le attività ispettive vengono fatte soprattutto nei confronti delle aziende regolari, quelle emerse che si trovano alla luce del sole, quelle che si trovano sulle pagine gialle, ma così è troppo facile. Bisogna fare un'azione ispettiva e un'attività di intelligence preventiva importante, per andare a colpire veramente quelle realtà.
  Più o meno le aree territoriali in cui il problema esiste si conoscono, più o meno si conoscono i luoghi, le produzioni, i tempi in cui avvengono questi fenomeni, nonché il tipo di lavoratori e di lavorazioni, che sono quelle stagionali ad alta intensità. Quindi bisogna cercare di incrociare i dati e fare un'analisi attenta di questi fenomeni per andare a concentrare le attività ispettive su questi fenomeni piuttosto che andare a ispezionare aziende regolari, e magari, trovando un euro di differenza sulla retribuzione, irrogare sanzioni importanti.
  Visto che il numero degli ispettori è relativamente contenuto, cerchiamo di concentrarli su questi fenomeni. Questo credo sia un primo aspetto importante.
  Bisogna tenere conto anche dell'andamento dell'occupazione in agricoltura, nel quale si riscontra un fenomeno preoccupante. Infatti, mentre l'occupazione in agricoltura tiene e addirittura cresce un po’ (è cresciuta anche in questi ultimi dieci anni di generale crisi economica, ed è stata quindi un volano importante nel nostro Paese dal punto di vista occupazionale, ma nessuno ce lo ha mai riconosciuto, perché le imprese agricole hanno mantenuto l'occupazione e addirittura l'hanno accresciuta), calano gli operai a tempo indeterminato, cioè i lavoratori stabili, e crescono gli operai a tempo determinato.
  Evidentemente non si sta facendo una giusta azione da questo punto di vista, perché la stabilizzazione dell'occupazione è uno dei primi strumenti per combattere il fenomeno del caporalato, che si insidia proprio dove l'occupazione è precaria, dove è stagionale: è lì che questi fenomeni si innestano. Cercare di stabilizzare l'occupazione in agricoltura è sicuramente uno strumento che può essere utile per cercare di combattere il fenomeno.
  Tenete presente che poi c'è un'alta incidenza di lavoratori stranieri (il 26 per cento dei lavoratori in agricoltura sono stranieri), che è un altro fenomeno importante da considerare. Da una ricerca effettuata da Nomisma per conto dell'Ente bilaterale agricolo nazionale (EBAN) risulta che solo il 2 per cento delle aziende agricole si rivolge ai Centri per l'impiego per reclutare manodopera.
  Questa è una riflessione importante, perché evidentemente non c'è alcuna fiducia nella possibilità di rivolgersi ai Centri per l'impiego per reclutare manodopera, ma si fa attraverso conoscenze, altre persone che hanno già lavorato nell'azienda, quindi attraverso un'altra serie di elementi.
  Torno su un aspetto che ha già sottolineato il collega Magrini, perché è un passaggio sul quale bisogna assolutamente riflettere: in agricoltura servono alte concentrazioni di manodopera in tempi molto ristretti. Se i Centri per l'impiego non sono in grado di dare una risposta, è evidente che poi qualcuno cerca di occupare quelle quote di mercato, quindi questo è un primo elemento importante. Il secondo elemento, anch'esso già citato dal collega Magrini, è il trasporto.
  Il trasporto pubblico nelle aree rurali non funziona. Già nelle aree urbane funziona in maniera non efficiente, ma nelle aree rurali non funziona, e siccome le aziende agricole non stanno in città, ma sono in campagna, e parliamo di lavoratori che spesso non possiedono mezzi propri per raggiungere l'azienda, questo è un problema. Se non riusciamo a trovare una soluzione ai temi del trasporto e del collocamento, che sono i due temi fondamentali, Pag. 8abbiamo difficoltà a combattere efficacemente il fenomeno.
  Tra gli strumenti messi in campo fino adesso con la legge n. 199 del 2016 – che ha avuto, se non altro, il merito di concentrare l'attenzione su questo fenomeno e quindi ha messo in campo anche delle misure importanti – alcuni strumenti non funzionano molto, come quello della Rete del lavoro agricolo di qualità. Oltre al fatto che non è stata ancora integrata la cabina di regia e mancano ancora i componenti della cooperazione (sebbene la legge preveda che debbano farne parte per ragioni di carattere burocratico), questa Rete del lavoro agricolo di qualità nel tempo si è trasformata.
  La stessa legge presuppone requisiti troppo rigidi, che spesso con il lavoro non hanno niente a che fare e che riguardano altri aspetti e paradossalmente si guarda con sospetto a chi si vuole iscrivere alla Rete del lavoro agricolo di qualità come se volesse eludere i controlli, mentre la finalità era proprio quella opposta. Infatti, chi si iscrive alla Rete del lavoro agricolo di qualità si sottopone preventivamente a uno screening di legalità e dice: «concentrate l'attenzione ispettiva su quelli che non sono iscritti e non su quelli che sono iscritti», ma paradossalmente, dal punto di vista psicologico, scatta un altro meccanismo, del tipo: ti vuoi iscrivere, quindi hai qualcosa da nascondere. Dobbiamo anche smontare questo tipo di mentalità per sperare che tale strumento possa essere efficace.
  Un'altra tendenza nel lavoro agricolo è quella dell'esternalizzazione: le aziende agricole stanno cercando di risolvere il problema occupazionale esternalizzando le fasi del processo produttivo. Questo sta aumentando il ricorso alla somministrazione in agricoltura, che fino a poco tempo fa era sconosciuta, così come stanno aumentando anche gli appalti di servizi, genuini e non, che si svolgono in agricoltura.
  Ciò è frutto anche di una serie di normative per cui se vuoi assumere operai a tempo indeterminato non hai incentivi. I voucher hanno subìto una stretta importante nel tempo; qualcuno tenta di allargare il loro ambito di utilizzo, poi qualcun altro lo restringe, e così via, ma sono visti sempre con sospetto. Il datore di lavoro è sempre visto con sospetto. Il pagamento attraverso sistemi tracciabili, in alcuni casi, in agricoltura può creare problemi. Ad alcuni lavoratori extracomunitari che stavano nel nostro Paese per pochi giorni, ai quali le banche non riconoscevano i soldi, non aprivano un conto corrente, non davano una scheda prepagata, né pagavano l'assegno circolare perché erano privi di affidamenti bancari, non è stato possibile effettuare pagamenti attraverso un sistema tracciabile.
  Quando la burocrazia è tanta, i costi sono tanti, il sistema dei pagamenti è di un certo tipo, i voucher non si possono utilizzare, qualcuno è tentato di trovare forme di esternalizzazione per risolvere il problema dell'occupazione. Invece, noi siamo convinti che bisogna seguire la strada maestra, vale a dire che le aziende che vogliono occupare direttamente i lavoratori in modo regolare vanno in tutti i modi agevolate e favorite.

  PRESIDENTE. Grazie. Lascio la parola ai colleghi che desiderino porre quesiti o formulare osservazioni.

  SUSANNA CENNI. Ringrazio gli auditi per il contributo che ci hanno voluto dare questa mattina.
  Le ragioni per cui abbiamo chiesto di svolgere questa indagine conoscitiva sono legate allo stato di attuazione della legge sul caporalato. Possiamo fare tutte le nostre valutazioni sulla legge n. 199 del 2016; la mia opinione è che abbiamo fatto una buona legge, ma ovviamente non basta fare una buona legge, bisogna applicarla e verificarne l'applicabilità. La realtà è che il fenomeno è ancora molto pesante, come abbiamo potuto vedere soprattutto nei mesi estivi con i fatti anche sono accaduti, però mi sento anche di dire che basta leggere con un po’ di attenzione i vari rapporti che i vari soggetti redigono ogni anno sul tema del caporalato per vedere che emergono fenomeni anche in aree qualche volta insospettabili, quindi anche nelle regioni che Pag. 9storicamente hanno un certo controllo e anche una certa tradizione positiva del lavoro in agricoltura.
  Iniziamo oggi le audizioni e le abbiamo avviate ascoltando i rappresentanti del mondo agricolo per ragioni evidenti: quello che ci dite è tema per noi di grande riflessione. Siamo tutti d'accordo che affinché questo fenomeno possa essere annientato, evitato, ridotto, servono una serie di premesse, tra le quali, l'etichettatura e una competizione leale fra i produttori soprattutto sui temi del prezzo, però ci sono alcuni punti su cui vorrei capire meglio il vostro orientamento.
  Nell'ultimo intervento è stato citato il tema della Rete del lavoro agricolo di qualità, e credo che dobbiamo chiederci perché questa parte della legge non sta funzionando come avremmo pensato. Le ragioni per cui questa parte della legge può funzionare o meno sono legate anche alla volontà di tutti gli attori, perché lì si dovrebbero incontrare domanda e offerta di qualità, quindi bisogna anche credere in quello strumento. Noi possiamo scrivere anche leggi bellissime, però non tutto si fa attraverso gli articoli di legge, sappiamo che poi c'è un tema che riguarda la concertazione, il confronto e anche la convinzione di tutti gli attori in campo; quindi vorrei capire meglio da voi come considerate questo tema della Rete del lavoro agricolo di qualità.
  Sono d'accordissimo con il dottor Caponi che ha detto giustamente che stabilizzare i lavoratori è uno strumento ottimo per evitare il caporalato; quindi invitiamo tutti a farlo e ci assumiamo il compito di trovare gli strumenti per incentivarlo al massimo. Tuttavia, va anche detto che forse il settore agricolo è quello che più di altri ha tanti strumenti per stipulare contratti molto flessibili anche di brevissima durata, pur restando il tema che Caponi richiamava, quello cioè della difficoltà, in taluni casi, a poter pagare con un bonifico le prestazioni di lavoro.
  Mi permetto di aggiungere un'altra riflessione sull'incontro tra domanda e offerta. Nel corso di questa indagine conoscitiva audiremo anche una serie di aziende, di consorzi, di cooperative che hanno messo in campo esperienze virtuose e lo hanno fatto con forme di autocertificazione, di etichettatura etica; quindi, in qualche modo sono state proprio le imprese a decidere di provare a cancellare le basi su cui si può generare il sospetto di sfruttare il personale e quindi la manodopera. Anche su questo mi piacerebbe conoscere la vostra opinione.
  Resta il tema della somministrazione di lavoro, perché oggettivamente, soprattutto nelle aree che conosco meglio perché sono quelle in cui vivo, buona parte dei casi in cui le indagini hanno rilevato la presenza di sfruttamento in maniera pesante del lavoro agricolo discende proprio da aziende di somministrazione di lavoro che lavorano su tutto il territorio nazionale. Riguardo a questo, se la legge non basta, credo che dovremo anche pensare ad altri strumenti.

  ANTONIO VISCOMI. Gli interventi hanno suggerito tantissime domande, ma cercherò di focalizzare l'attenzione soltanto su due o tre questioni.
  La prima domanda che vorrei fare è riferita alla questione dell'articolo 603-bis del codice penale introdotto dalla legge n. 199 del 2016, che reca la fattispecie dell'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, considerato che poco fa si è detto che basta poco, basta qualche errore minuto per cadere nella trappola del caporalato dal punto di vista legislativo.
  Questo non riesce a convincermi fino in fondo perché l'articolo 603-bis parla di reiterata corresponsione di retribuzione in modo palesemente difforme dai contratti collettivi, di reiterata violazione della normativa e di condizioni di lavoro degradanti. Credo, pertanto, che su tale questione dovremmo essere molto cauti ed attenti per evitare di dare un'interpretazione dell'articolo 603-bis del codice penale che non corrisponde al contenuto normativo ed evitare altresì, per questa via, di invocare una ridefinizione della norma penale che, secondo me, dovrebbe essere ben ponderata e meditata.
  Da questo punto di vista mi interessa sapere se gli auditi siano a conoscenza di qualche caso di eccessiva o errata applicazione Pag. 10 della norma e quale sia l'applicazione giurisprudenziale di questo articolo del codice penale dall'osservatorio privilegiato che loro hanno. Quello che noi vorremmo capire è se questa norma funziona o meno dal punto di vista non solo delle paure o dei rischi che corre l'imprenditore, ma anche dell'effettività della norma medesima.
  La seconda questione che vorrei porre concerne la necessità che entrambi gli auditi hanno segnalato di guardare ai servizi di sistema al mondo agricolo, evidenziando che nella gran parte dei casi questo fenomeno del caporalato è connesso alle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati.
  Ricordo, però, che l'articolo 9 della legge che stiamo analizzando detta delle disposizioni per il supporto dei lavoratori che svolgono attività lavorativa stagionale di raccolta dei prodotti agricoli. In tale articolo si prevede la possibilità di adottare un piano di interventi contenente misure per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori agricoli e una relazione annuale sullo stato di attuazione del medesimo piano.
  Poiché vivo in Calabria e conosco bene la realtà di Rosarno, dove il problema non è l'immigrazione clandestina – perché, come sapete meglio di me, il 99 per cento degli immigrati è regolarmente presente ed è regolarmente impegnato nelle attività agricole – vi chiedo se, in base alla vostra esperienza, questo articolo 9 ha mai trovato applicazione, e, se non ha trovato applicazione, vi chiedo di spiegarne il motivo. Cosa bisogna fare per assicurare l'implementazione dell'articolo 9 e delle misure per la sistemazione logistica e il supporto ai lavoratori?
  Credo che questo sia un punto importante anche perché noi abbiamo chiesto che siano auditi i tre prefetti commissari straordinari per le aree di crisi, in particolare per Rosarno.
  Vorrei riprendere poi la questione del riallineamento retributivo. Mi piace ricordare che la disciplina del riallineamento contrattuale ha una vita lunga, si è posta alla fine degli anni Ottanta nel mercato agricolo pugliese e da lì è nata la storia contrattuale e poi la storia legislativa. Tuttavia, questo problema c'è e forse dovremmo affrontarlo con più coraggio e capire se vi siano delle strade per consentire ai datori di lavoro agricolo che vogliano reinserirsi in un mercato normale, ordinario, di entrare a far parte della Rete del lavoro agricolo di qualità. Mi colpisce, a tale proposito, l'affermazione secondo cui l'adesione a tale Rete è quasi uno stigma negativo. In realtà, dovrebbe essere, invece, come una sorta di «bollino blu». Mi piacerebbe, quindi, capire da dove nasce questo stigma di negatività connesso alla Rete del lavoro agricolo di qualità.
  In merito alla questione del riallineamento vorrei sapere se avete riflettuto sulla possibilità di creare percorsi di adeguamento salariale ai contratti collettivi o ad una ridefinizione dell'assetto contrattuale. L'assetto contrattuale in agricoltura, infatti, è stato semplificato negli ultimi tempi, ma rimane particolarmente complesso in quanto è legato ai mercati del lavoro locali e quindi necessariamente ad una dimensione sconosciuta alle industrie per tante ragioni.
  Ricapitolando, quindi, vi chiedo: quali sono i punti di effettiva incertezza sull'applicazione dell'articolo 603-bis del codice penale, qual è lo stato di attuazione dell'articolo 9 della legge n. 199, quindi dei piani di sistemazione logistica e di supporto alla mobilità dei lavoratori, soprattutto dove c'è un'alta concentrazione di lavoratori immigrati, come a Rosarno, e se state riflettendo su qualche possibilità di riallineamento contrattuale, cioè di adeguamento dei salari reali ai salari individuati dalla contrattazione collettiva.

  MARZIO LIUNI. Credo che da questo primo giro di tavolo dobbiamo cogliere il grido di allarme che arriva dai sindacati agricoli di categoria. Al di là dell'analisi sull'applicazione della legge sul caporalato e sugli aspetti oggetto di eventuali modifiche, di pari passo, occorre introdurre qualche strumento, che può essere rappresentato dai voucher o da altro, che permetta l'assunzione in tempi brevissimi. Tale strumento non è offerto dal contratto a tempo determinato agricolo. Chi ha un'azienda agricola conosce, infatti, le difficoltà e le pastoie burocratiche che è necessario affrontare nel momento in cui, in tempi Pag. 11rapidi, servono 50 lavoratori che possano raccogliere la frutta o i pomodori, e conosce i tempi tecnici per non andare incontro a problematiche.
  Credo che dobbiamo ragionare sul fatto se i voucher, che sono lo strumento più rapido che abbiamo, soddisfino veramente l'esigenza del mondo agricolo in questo momento. A me sembra di no, per cui occorrono delle norme sane e buone per dare la possibilità al mondo agricolo di soddisfare in tempi rapidi l'esigenza di manodopera, magari anche attraverso le agenzie interinali che non riescono a funzionare in questo modo, o attraverso una banca dati dei lavoratori, che può essere gestita dai sindacati agricoli di zona, dalle sedi provinciali o dalle sedi delle grandi città, da cui attingere molto rapidamente nel momento del bisogno.
  Abbiamo parlato dei costi del lavoro, e a tale proposito, senza guardare fuori dall'Europa, già in Europa abbiamo uno sfasamento dei costi del lavoro con Paesi vicini a noi, quali la Spagna e la Francia, e diventa difficile essere concorrenziali con Nazioni che hanno il nostro clima, la nostra tipologia di coltivazione.
  Un altro strumento con il quale può provare ad agire il Governo è l'apertura di un tavolo serio con la grande distribuzione, perché oggi il marchio made in Italy, di cui ci riempiamo tutti la bocca, deve essere garanzia di un lavoro pagato seriamente, non di lavoro nero. A mio avviso il ragionamento va fatto a trecentosessanta gradi, partendo dalla legge sul caporalato, ma affiancando ad essa degli strumenti che consentano alle aziende agricole di lavorare correttamente, in condizioni di piena legalità.

  GUGLIELMO GOLINELLI. Ringrazio gli auditi per quanto ci hanno esposto.
  Premetto di essere un agricoltore; tuttora sono assunto come operaio agricolo e ho fatto le campagne di raccolta frutta, ho lavorato in porcilaia, per cui un minimo di cognizione di cosa voglia dire il lavoro nei campi credo di averla.
  Sappiamo che il caporalato, se vogliamo riassumerlo in tre parole, è intermediazione, reclutamento e sfruttamento.
  A me è capitato di avere a che fare con degli imprenditori agricoli della mia zona, il modenese, terrorizzati da questo sistema degli indici, perché se una legge punisce per caporalato, che adesso è un reato penale, un imprenditore che con il caporalato non ha nulla a che fare e invece si ritrova una denuncia penale con tutti i rischi che questo comporta, capiamo che la legge è da mettere a punto e perché presenta dei profili problematici.
  Questi problemi risiedono, ad esempio, nei termini. Cosa vuol dire «sproporzione rispetto alla qualità e alla quantità di lavoro»? Pulire una fossa in una porcilaia in cui finiscono i liquami è qualità del lavoro? Non credo, però fa parte sempre del lavoro.
  Con riferimento all'orario di lavoro, al periodo di riposo e al riposo settimanale, osservo che se voi faceste la raccolta frutta nei mesi estivi (faccio l'esempio dei meloni, quando c'è la buttata nel mese di luglio o di agosto) sapreste che l'inizio e la fine sono imprevedibili e che è facilissimo lavorare dodici ore al giorno.
  In materia di sicurezza, osservo poi che posso anche dire ai miei dipendenti di mettersi le scarpe antinfortunistiche, ma non posso controllare che tutti i 35 o 40 dipendenti tutte le mattine indossino le scarpe antinfortunistiche e l'igiene sul posto del lavoro. A me è capitato con la raccolta delle pere di non aver mai visto un bagno; il bagno era il fosso più vicino.
  Se si sommano due di queste fattispecie all'interno di un'azienda agricola, rischiamo di denunciare per caporalato un imprenditore agricolo che nulla ha a che fare con il caporalato. Questa legge, quindi, è da revisionare adeguatamente.

  FEDERICO FORNARO. Riprendo alcune sollecitazioni arrivate dagli interventi degli auditi, che ringrazio, rispetto al fatto che credo non si debba avere alcun dubbio che il tema del caporalato non riguarda l'intero mondo agricolo e l'intero comparto dei produttori. Tuttavia, al tempo stesso, l'intero sistema – quindi la politica in primis ma anche il mondo delle imprese – deve avere l'onestà intellettuale di dire che questo è un fenomeno endemico, che arriva da lontano e ha radici profonde. Da questo Pag. 12punto di vista la legge n. 199 del 2016 è una legge avanzata che va nella direzione giusta.
  Le radici di questo fenomeno, in alcuni territori, sono talmente profonde che fino ad oggi possiamo dire con assoluta onestà intellettuale che la legge n. 199 ha soltanto iniziato a scalfire queste radici; quindi mi aspetterei dal sistema delle imprese proposte per agire più in profondità. Come mi è capitato di dire in Commissione, in occasione dello svolgimento di una mia interrogazione a risposta immediata sul caporalato al Governo che aveva enunciato tutta una serie di iniziative di prevenzione, tutti gli annunci, alla fine, confliggono con le immagini che non più tardi di qualche settimana fa abbiamo visto in televisione sulla vicenda dell'indagine che ha portato agli arresti eseguiti a Latina.
  La domanda che pongo da cittadino, prima ancora che da parlamentare, è la seguente: in alcune aree italiane il fenomeno è talmente diffuso e visibile che ci si interroga su come sia possibile che alla fine nessuno veda fintanto che non arrivano le manette.
  Credo che da questo punto di vista lo sforzo di verifica puntuale dell'attuazione della legge n. 199 debba andare nella direzione non dico opposta, ma molto differente rispetto a quella verso cui la indirizzava il collega che mi ha preceduto. So benissimo che da parte del sistema delle imprese è stata posta la questione legata al carattere penale di alcune sanzioni, al rischio che ci possano essere degli interventi sanzionatori eccessivi, ma credo che questo problema, al quale è sottesa una valutazione politica, venga dopo; prima dobbiamo capire come possiamo sradicare insieme questo fenomeno dalla faccia della terra agricola del nostro Paese. Questo è il tema.
  La legge n. 199 ha dato alcuni segnali, ma mi sembra di poter dire, alla luce delle cose che sono emerse, che non è cambiato quasi nulla in molti territori. Neanche quando c'erano i voucher il fenomeno del caporalato era diminuito, e questo dimostra quanto profondi siano le radici, i costumi, le abitudini di omertà in molti territori. Il tema che si dovrebbe porre un Paese civile è come intervenire per sradicare questo sistema.
  L'utilità che può, e deve, avere questa indagine conoscitiva è avere anche dal vostro osservatorio stimoli per capire come andare ad incidere di più e meglio.
  Viviamo in un'epoca in cui le immagini degli arresti alle quali ho fatto riferimento non le vediamo solo noi, ma fanno il giro del mondo e alla fine è il sistema del made in Italy, che tante volte rilanciamo, ad essere penalizzato, perché in certi ambienti, in certe culture associare il caporalato al prodotto italiano fa perdere quote di mercato, non le fa assolutamente aumentare.
  Ringrazio ancora gli auditi dai quali mi aspetto uno sforzo (ve lo chiediamo umilmente dalla nostra parte politica) per aiutarci a capire come possiamo incidere maggiormente soprattutto in quei territori a tutti noti.

  DAVIDE TRIPIEDI. Innanzitutto ringrazio gli auditi per averci spiegato quello che funziona e quello che non funziona nella legge n. 199 del 2016.
  Mi scandalizzo quando al supermercato trovo le arance o i mandarini a 50 centesimi, a 1 euro. Questo mi fa vomitare – scusate il termine – perché penso che dietro a quell'arancia o a quel mandarino ci sia lo sfruttamento. Vi chiedo, pertanto, se avete un controllo ed effettuate un monitoraggio anche di quelle aziende che vendono determinati prodotti a prezzi bassissimi.
  Mettere un tetto minimo sulla vendita dei prodotti, per cui l'arancia a meno di 50 centesimi non può essere venduta o comprata. Sapete meglio di me che i grandi compratori arrivano e propongono di comprare tutto il tendone d'uva a 30 centesimi al chilo e che, quindi, il proprietario terriero capisce che o è così o non se ne fa niente, per cui è costretto a vendere e di conseguenza a sfruttare i lavoratori, a pagarli in nero.
  L'idea di mettere delle quote massime e minime è un'idea da perseguire, insieme a quella di ampliare il controllo e punire chi Pag. 13vende le arance a 50 centesimi? Questa è la questione vera.
  Aggiungo solo una brevissima considerazione che rivolgo all'onorevole Golinelli: per me pulire la porcilaia è qualità e dignità del lavoro. Secondo me è molto dignitoso, quindi rendo onore ai lavoratori addetti anche a queste mansioni.

  PRESIDENTE. Lascio la parola agli auditi per la replica.

  ROMANO MAGRINI, responsabile delle politiche del lavoro di Coldiretti. Inizio a rispondere alla questione posta nell'ultimo intervento svolto dal vicepresidente Tripiedi. Abbiamo già alcuni casi in cui si è stabilita la quota minima del prezzo di un prodotto, come, ad esempio, per il latte per il quale si è immaginato che il prezzo da corrispondere ai produttori non debba essere inferiore al costo di produzione, quindi è stato stabilito in un accordo, così come attraverso un percorso legislativo, che non ci fosse un prezzo inferiore allo «zero virgola».
  È chiaro che questo meccanismo si basa molto sull'accordo tra le parti, tra i produttori e la grande distribuzione che acquista il prodotto; magari potessimo stabilirlo noi, però, abbiamo degli esempi virtuosi che sicuramente ci aiuterebbero. Noi stiamo tentando di farlo anche attraverso una campagna di educazione del consumatore a prestare molta attenzione all'etichetta e alla provenienza, perché dietro un prodotto che costa poco è difficile trovare la qualità e sicuramente il costo basso è un indice che quel prodotto non viene dall'Italia, perché abbiamo costi di produzione importanti. Anche accorciare la filiera, quindi tagliare una serie di intermediari e andare dal produttore al consumatore, è un altro esempio di tracciabilità sicura di quel prodotto e di risparmio per il consumatore.
  Volevo svolgere alcune considerazioni rispetto alle domande poste. Si è parlato degli indici di congruità, che costituisce uno degli aspetti più contestati della legge sul caporalato, perché, così come è scritto, si presta al rischio che, di fronte alla mancanza delle scarpe antinfortunistiche, un imprenditore possa esser accusato di caporalato. Ad oggi non si sono verificati questi casi: fortunatamente, né ispettori, né magistrati hanno mai accusato qualcuno di caporalato di fronte a una cosa del genere.
  Esiste questo rischio, ma è anche facilmente superabile, nel senso che questo vale quando io sfrutto i lavoratori e ho questi indici, non al contrario. Se entro in un'azienda in cui i lavoratori stanno lavorando tranquillamente senza lo scarpone antinfortunistico, non parliamo di sfruttamento, ma parliamo di una sanzione specifica che attiene al mancato rispetto della normativa sulla sicurezza, quindi lo andrò a punire per quello. Dobbiamo rendere perfettibile o maggiormente applicabile la legge sul caporalato.
  Riguardo all'applicazione che ha avuto l'articolo 630-bis del codice penale, osservo che non abbiamo datori di lavoro che siano stati accusati a tale titolo, però il rischio esiste, perché un ispettore o un magistrato zelante può comunque accusare un imprenditore. Tuttavia, ritengo sia facile anche risolvere tale rischio.
  Vengo all'intervento sui voucher. È chiaro che il voucher è uno strumento importante, che completa il mercato del lavoro, ma non lo può sostituire. Quindi dobbiamo rendere più veloce e meno burocratica l'assunzione per i lavoratori stagionali, cioè per chi viene per una settimana a raccogliere l'uva, le banane o le susine, per cui devo ricorrere a una tipologia di assunzione molto veloce, per la quale è necessario eliminare tutta una serie di orpelli burocratici e anche abbassare i costi.
  Tenete presente che in Italia ci sono più di 250.000 lavoratori a tempo determinato che non raggiungono la soglia delle 51 giornate, che danno diritto alla disoccupazione, quindi se per quei lavoratori facessi un'assunzione ultra agevolata in termini di burocrazia e in termini di costi, avrei dato un contributo per risolvere il problema del caporalato.
  Vengo al tema degli immigrati. L'onorevole Viscomi che viene dalla Calabria conoscerà sicuramente alcune iniziative che come Coldiretti insieme a FOCSIV abbiamo Pag. 14messo in campo proprio per contribuire ad una soluzione.
  Il problema vero è che parliamo di grandi numeri, per i quali occorrono grandi investimenti per risolvere il problema. Per smantellare il campo di Rosarno o decidiamo di mandare gli immigrati non si sa bene dove o altrimenti il problema esiste; quindi ci vuole l'impegno di tutti, occorrono investimenti importanti e la volontà di risolvere il problema, perché, come sottolineava Roberto Caponi, sappiamo benissimo da quale paese la mattina alle 6 il caporale passa a prendere i braccianti, lo sappiamo tutti ed è chiaro che ci vogliono degli interventi.
  Lascio ora al collega Roberto Caponi la possibilità di intervenire.

  ROBERTO CAPONI, direttore dell'Area sindacale di Confagricoltura. Ho due brevi annotazioni da svolgere. È stato chiesto perché non funzioni la Rete del lavoro agricolo di qualità. Rispondo, innanzitutto, che il motivo è che richiede requisiti troppo rigidi, perché bisogna non aver avuto sanzioni amministrative in materia fiscale, cioè di IVA e IRPEF. Stiamo parlando di lavoro, e se un datore di lavoro ha ritardato un pagamento IVA o ha un piccolo problema con l'IRPEF questo vuol dire che non è un datore di lavoro di qualità?
  Dovremmo concentrare l'attenzione, per quanto riguarda i requisiti, sulla materia del lavoro, perché se cerchiamo le «vergini» nel nostro Paese, non le troviamo, perché qualsiasi datore di lavoro ha sempre qualche piccola mancanza, quindi evidentemente c'è un problema di requisiti.
  In secondo luogo, c'è un problema di burocrazia, perché fare questo tipo di accertamenti coinvolge INPS, INAIL, Agenzia delle entrate e tutte le direzioni provinciali dell'Ispettorato nazionale del lavoro, oltre ovviamente al Casellario penale. Quindi, è difficilissimo capire se un soggetto sia in regola o meno.
  Siccome il meccanismo lo governa l'INPS e dentro ci sono l'INAIL e il Ministero, soggetti che poi fanno anche le ispezioni (anche se ormai l'ispezione formalmente spetta all'Ispettorato nazionale del lavoro) è evidente che, come dicevo prima, c'è un'attenzione particolare da parte delle amministrazioni, quasi a domandare con sospetto: «Perché ti vuoi iscrivere?». Quindi dovremmo superare questo piccolo pregiudizio.
  Riguardo all'articolo 603-bis del codice penale, osservo che vi è un problema di formulazione tecnica della norma, non del principio. I caporali e gli sfruttatori vanno puniti severamente con tutte le misure previste: questo è assolutamente condivisibile; il problema però è la formulazione tecnica della norma. Non lo dico io, abbiamo chiesto un parere di costituzionalità a illustri costituzionalisti, e tutta la migliore dottrina giuslavorista e penalista sta esprimendo forti critiche sul modo in cui questa norma è scritta.
  Basta che ricorra solo uno degli indici previsti dalla norma per incorrere teoricamente nella fattispecie penale. Siccome tra gli indici c'è anche il mancato rispetto delle norme in materia di sicurezza, in cui rientrano molti aspetti, tra le quali anche la cartellonistica, per cui se io non indico dov'è il bagno, teoricamente non ho rispettato le norme in materia di sicurezza e ho realizzato uno degli indici di sfruttamento e se qualcuno mi vuole fare del male, me lo può fare con quella norma.
  Ad oggi, non ci sono stati casi di questo tipo, però le norme vanno misurate bene. I datori di lavoro non possono fondare la loro tranquillità solo sul fatto che ad oggi c'è stato senso di responsabilità da parte degli ispettori e della magistratura. Le norme vanno tarate bene perché poi non si sa mai quello che può accadere, anche perché i datori di lavoro che stanno in regola devono stare tranquilli, altrimenti trovano altre forme con cui agire, cosa assolutamente da evitare.
  Un'ultima considerazione attiene al piano degli interventi. È stato citato l'articolo 9 della legge n. 199 del 2016, che prevedeva un decreto attuativo che non è mai stato emanato, per cui quel piano degli interventi è rimasto lettera morta. C'è un piano degli interventi che prevede per i lavoratori stagionali tutta una serie di misure in materia di alloggio e di trasporto, ma non è stato fatto nulla, quindi io giro la domanda che Pag. 15mi è stata posta chiedendo perché ad oggi questa disposizione legislativa non sia stata attuata. È stato fatto qualcosa solo in via sperimentale a Foggia con il prefetto Rolli, che ha tentato di agire anche con l'aiuto delle associazioni, però era una goccia nel mare. Bisogna dare attuazione a quella disposizione legislativa in via strutturale.

  MASSIMO FIORIO, responsabile Affari istituzionali e relazioni esterne di Cia- Agricoltori italiani. Vi ringrazio di aver deliberato questa indagine conoscitiva, perché più volte in passato nelle varie legislature si è affrontato il tema, e questa volta rispetto alle altre lo si fa alla luce di una legge che ha evidenziato un fenomeno che nelle legislature precedenti pensavamo fosse relegato ad alcune parti d'Italia.
  L'esistenza di uno strumento che consente di affrontare nella sua complessità il tema del caporalato e del lavoro nero ha portato a mostrare la mappa di un fenomeno più articolato di quello che pensavamo, legato non solo alle cosiddette «agricolture povere» o più povere. È stato citato il caso di Rosarno, che era al centro dell'attenzione qualche anno fa, ma il fenomeno è emerso anche nel Lazio, in Toscana, in Veneto.
  L'importanza della legge risiede anche nell'aver messo in luce una filiera del caporalato, per cui accanto al tema del venditore di manodopera, ci sono anche quelli del trasportatore, dell'amministratore delegato dei lavoratori in nero, che mostrano la particolare complessità del fenomeno.
  A oltre due anni dall'approvazione della legge è giusto fare il punto anche rispetto alle preoccupazioni che erano state evidenziate allora sul tema degli indici di sfruttamento, che è vero che non sono stati elemento per aperture di procedimenti, ma restano ancora tali dal punto di vista legislativo, per cui è opportuna una riflessione rispetto allo strumento degli indici e anche alla formulazione tecnica.
  Credo che accanto al tema dell'aspetto repressivo e degli strumenti messi in campo per la repressione del fenomeno ci fosse anche l'aspetto premiale, che era quello della Rete del lavoro agricolo di qualità, alla quale si è assistito in una prima fase ad un'adesione importante e poi, invece, a un forte rallentamento.
  Abbiamo visto anche grossi operatori della distribuzione di prodotti aderenti alla Rete del lavoro agricolo di qualità, ma ora non è più così. Evidentemente questo è uno strumento su cui riflettere, perché la legge rischia di rimanere monca se vige soltanto la parte repressiva. Questa legge aveva anche una parte incentivante, che dal punto vista anche educativo aveva una sua rilevanza.
  È vero che poi sul territorio si sono attuate, anche grazie alla volontà di soggetti territorialmente collocati, delle esperienze positive, e credo che questa indagine possa essere utile per metterle in luce. Il Vicepresidente della Commissione lavoro, Tripiedi, prima citava la questione del prezzo minimo: ora c'è una legge in Francia che pone la questione del prezzo minimo, tema che questo Parlamento può affrontare.
  Quando il mondo agricolo chiede strumenti di snellimento per intervenire in frangenti di lavoro come quelli del lavoro stagionale e delle raccolte, non lo fa per mettersi nell'ombra e avallare il lavoro non regolare; lo fa perché c'è un'esigenza concreta di lavoro che può avvenire per la stagionalità della raccolta o per le condizioni atmosferiche non definibili fino all'ultimo momento.
  Lo dico perché anche in relazione al tema dei voucher, che sono stati citati più volte, osservo che non ci sono quegli strumenti. Si definiscono voucher dei ticket prepagati; anche la nuova normativa non va in quella direzione. Probabilmente occorrerebbe ripensare all'utilizzo di quello strumento che in una fase aveva funzionato, anche alla luce della strumentazione che consentirebbero di avere dal punto di vista dei controlli. Questo sistema, infatti, non aveva eliminato il lavoro nero, ma, in certi frangenti, aveva funzionato. Penso alla raccolta vendemmiale quando fu introdotto sperimentalmente nel 2008, in regioni come il Veneto, il Piemonte, la Toscana, dove il sistema ha funzionato.
  L'estensione urbi et orbi di quella misura causò un arretramento di tutto l'istituto che l'agricoltura ha rischiato di pagare, Pag. 16 e rischia di pagare oggi, con uno strumento che chiamare voucher è un'estensione semantica avventurosa, che non consente l'agibilità che è richiesta nel mondo agricolo. Quando il mondo agricolo richiede uno strumento come quello dei voucher lo fa non perché vuole mettersi al riparo con una legge per garantire il lavoro nero, ma per richiedere semplicemente uno strumento che è tipico dell'agricoltura.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti per i loro interventi, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.10.