XVIII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Mercoledì 23 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallo Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI INNOVAZIONE DIDATTICA

Audizione di dirigenti scolastici dell'Istituto comprensivo statale 12 di Bologna, dell'Istituto comprensivo di Pontecagnano S. Antonio (Salerno), dell'Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro (Salerno) e dell'ISS Ernesto Ascione di Palermo.
Gallo Luigi , Presidente ... 3 
De Biase Maria , Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro ... 3 
Gallo Luigi , Presidente ... 4 
Malangone Angelina , Istituto comprensivo di Pontecagnano Sant'Antonio ... 4 
Gallo Luigi , Presidente ... 6 
Inguanta Rosaria , IISS Ernesto Ascione di Palermo ... 6 
Gallo Luigi , Presidente ... 7 
Massaro Filomena , Istituto comprensivo statale 12 di Bologna ... 7 
Gallo Luigi , Presidente ... 8 
Fusacchia Alessandro (Misto-+E-CD)  ... 9 
Casa Vittoria (M5S)  ... 9 
Villani Virginia (M5S)  ... 9 
Ciampi Lucia (PD)  ... 10 
Gallo Luigi , Presidente ... 10 
De Biase Maria , Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro ... 10 
Inguanta Rosaria , IISS Ernesto Ascione di Palermo ... 10 
Malangone Angelina , Istituto comprensivo di Pontecagnano Sant'Antonio ... 11 
Gallo Luigi , Presidente ... 11 
Massaro Filomena , Istituto comprensivo statale 12 di Bologna ... 11 
Gallo Luigi , Presidente ... 12 

Audizione, in qualità di esperti, di Maria Buccolo, dottore di ricerca in progettazione e valutazione dei processi formativi; Mario Caligiuri, professore ordinario di pedagogia della comunicazione; Paolo Gheda, professore aggregato di storia contemporanea; Lorenza Orlandini, esperta di service learning e Francesca Scafuto, dottore di ricerca in psicologia della salute:
Gallo Luigi , Presidente ... 12 
Caligiuri Mario , professore ordinario di Pedagogia della comunicazione ... 12 
Gallo Luigi , Presidente ... 13 
Gheda Paolo , professore aggregato di Storia contemporanea ... 14 
Gallo Luigi , Presidente ... 15 
Buccolo Maria , dottore di ricerca in progettazione e valutazione dei processi formativi ... 15 
Gallo Luigi , Presidente ... 17 
Orlandini Lorenza , esperta di service learning ... 17 
Gallo Luigi , Presidente ... 19 
Scafuto Francesca , dottore di ricerca in psicologia della salute ... 19 
Gallo Luigi , Presidente ... 21 
Casa Vittoria (M5S)  ... 21 
Ciampi Lucia (PD)  ... 21 
Gallo Luigi , Presidente ... 21 
Caligiuri Mario , professore ordinario di Pedagogia della comunicazione ... 21 
Gallo Luigi , Presidente ... 22 
Gheda Paolo , professore aggregato di Storia contemporanea ... 22 
Gallo Luigi , Presidente ... 22 
Buccolo Maria , dottore di ricerca in progettazione e valutazione dei processi formativi ... 22 
Gallo Luigi , Presidente ... 22 
Orlandini Lorenza , esperta di service learning ... 22 
Gallo Luigi , Presidente ... 23 
Scafuto Francesca , dottore di ricerca in psicologia della salute ... 23 
Gallo Luigi , Presidente ... 23 

Allegato 1: Memoria depositata dalla dirigente scolastica dell'Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro ... 24 

Allegato 2: Memoria depositata dalla dirigente scolastica dell'IISS Ernesto Ascione di Palermo ... 27 

Allegato 3: Memoria depositata dalla dirigente scolastica dell'Istituto comprensivo di Pontecagnano S. Antonio ... 37 

Allegato 4: Memoria depositata dalla dirigente scolastica dell'Istituto comprensivo statale 12 di Bologna ... 42 

Allegato 5: Memoria depositata da Francesca Scafuto: Presentazione del progetto GAIA ... 47 

Allegato 6: Memorie depositate da Lorenza Orlandini: a) Linee guida per l'implementazione dell'idea; b) Presentazione informatica di Service learning ... 50 

Allegato 7: Memoria depositata da Maria Buccolo: Le emergenze educative della società contemporanea ... 120

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI GALLO

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna è garantita anche dalla trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di dirigenti scolastici dell'Istituto comprensivo statale 12 di Bologna, dell'Istituto comprensivo di Pontecagnano S. Antonio (Salerno), dell'Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro (Salerno) e dell'ISS Ernesto Ascione di Palermo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di innovazione didattica, l'audizione di dirigenti scolastici dell'Istituto comprensivo statale 12 di Bologna, dell'Istituto comprensivo di Pontecagnano Sant'Antonio (Salerno), dell'Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro (Salerno) e dell'ISS Ernesto Ascione di Palermo.
  Sono presenti: per l'Istituto comprensivo statale 12 di Bologna, la professoressa Filomena Massaro; per l'Istituto comprensivo di Pontecagnano Sant'Antonio (Salerno), la professoressa Angelina Malangone; per l'Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro (Salerno), la professoressa Maria De Biase; per l'IISS Ernesto Ascione di Palermo, la professoressa Rosaria Inguanta. Saluto le nostre ospiti e le ringrazio della loro presenza.
  Come di consueto, darò la parola prima agli auditi, quindi ai deputati per porre questioni e, da ultimo, di nuovo agli auditi per le risposte e i chiarimenti richiesti. Abbiamo tempo fino alle 14,45, quando inizierà un'altra fase di audizioni. Pregherei quindi i nostri ospiti di contenere i loro interventi iniziali in otto minuti.

  MARIA DE BIASE, Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro. Grazie, innanzitutto per avermi dato questa possibilità. Io rappresento una piccola scuola del Sud, una terra che si chiama Cilento che è l'estrema punta della Campania, ai confini con la Basilicata. Sono della provincia di Napoli nord, terra di grande degrado e di grande emergenza. Ho potuto svolgere il mio ruolo di dirigente in una zona fuori dalle emergenze, che erano molto pesanti, per quanto riguarda il mio lavoro, in provincia di Napoli.
  Dapprima ho lavorato a San Giovanni a Piro, poi in un comune vicino; attualmente sono al Santa Marina di Policastro. Siamo in pieno Parco del Cilento, Patrimonio dell'UNESCO. Mi sono sempre interessate di ecosostenibilità e di educazione alimentare, per cui anche lì, dove è nata la dieta mediterranea (nel Cilento), ho cominciato subito con l'eliminazione di distributori di merendine, di snack e di bevande zuccherate, proponendo un'alternativa: l'ecomerenda, così definita, il cui simbolo è la fetta di pane nero con l'olio del Cilento; ma anche pane e marmellata, frutta fresca, frutta secca e tutto quello che è a chilometro zero ed è stagionale.
  Questo ha creato tante perplessità, perché la fetta di pane e olio rimanda a un passato molto recente, a un passato di povertà e di privazioni. Invece, la merendina confezionata del supermercato, quella bella, pulita, incartata, asettica, appare così moderna, così civile e così sana alle famiglie, ai genitori. Le maggiori difficoltà le Pag. 4abbiamo avute e le stiamo avendo, perché è un processo ancora non concluso, con il mondo adulto, perché i ragazzi hanno accolto favorevolmente questa proposta.
  Abbiamo allestito i nostri orti nei vari plessi della scuola. Oggi abbiamo tantissimi orti che producono; i bambini coltivano insieme ai nonni, ai genitori e ai docenti. Ci tengo a dire che questo è un progetto curricolare, non è extracurricolare: è il nostro modus operandi quotidiano ed è a costo zero. In questi anni abbiamo piantato tantissimi alberi da frutto – questo è il nostro progetto «Frutta nelle scuole» – che ora stanno cominciando a produrre anche in maniera consistente.
  Tutto questo rientra all'interno di una visione legata all'ecosostenibilità che è il futuro, che appartiene al cambiamento che riguarda tutti noi. Quando comincio a parlare di questi temi, c'è sempre qualcuno che avverte il rischio di voler tornare indietro. Questo non è un tornare indietro, lo ribadisco sempre. Bisogna assolutamente riposizionare il concetto di ruralità, di educazione alimentare e di semplicità nella nostra contemporaneità. Non è una scuola che va indietro, tant'è vero che noi abbiamo anche tanta tecnologia. Oggi secondo noi dell'Istituto, secondo me, che porto avanti questa idea, più tecnologia e innovazione digitale entrano nella scuola, più abbiamo bisogno di contatto, rapporto e connessione con la natura. Per questo abbiamo una serie di attività all'aperto, all'esterno. Siamo molto vicino alla pedagogia della Bicocca di Milano e di Monica Guerra e a tutto il filone pedagogico dell'educazione fuori.
  Siamo in un posto dove ce lo possiamo permettere, abbiamo i nostri orti da curare, il mare a cinquanta metri, i ruscelli, i fiumi e i boschi: i vari plessi sono ubicati in posti assolutamente meravigliosi. Accediamo a tanti finanziamenti (europei, ministeriali, regionali) che ci permettono di arredare in maniera moderna e funzionale la nostra scuola. Abbiamo le connessioni internet, abbiamo la realtà virtuale, tutto quello che c'è in tutte le scuole attente e moderne, ma è fondamentale che tutti questi siano considerati semplicemente degli strumenti. La tecnologia è preziosissima e ineliminabile, però c'è bisogno di accompagnarla alla connessione con il mondo reale, con il mondo della natura.
  Oggi si parla di privazione da deficit di natura e, a nostro avviso, per i nostri ragazzi, per i bambini, è fondamentale questa attenzione, questo approccio. Per cui tutti i laboratori vengono svolti all'esterno. Abbiamo un'aula didattica decentrata in ogni plesso, abbiamo tutto il mondo circostante che supporta l'attività didattica.
  Concludo con due attività simboliche: l'orchestra e il sapone. Abbiamo organizzato in questi anni, con un musicista, un'orchestra interamente fatta con strumenti e materiali di risulta, che però suonano. Con questa piccola orchestra coniughiamo natura, sostenibilità e creatività. I nostri ragazzi si esibiscono.
  Poi c'è l'iniziativa del sapone che mi riempie di orgoglio: raccogliamo l'olio esausto (molti comuni ancora non lo fanno); sensibilizziamo i bambini a raccogliere l'olio esausto alimentare e, secondo antiche ricette locali, lo trasformiamo in sapone. Questo sapone viene donato nei mercatini della solidarietà e, grazie all'introito che ne ricaviamo, sosteniamo le famiglie con i blocchetti mensa, l'acquisto di strumenti digitali, di computer e di strumenti musicali. Per cui arriva un rifiuto e si chiude un circolo che è cittadinanza, solidarietà, educazione civica e appartenenza alla scuola.

  PRESIDENTE. La parola ora alla dirigente Angelina Malangone dell'Istituto comprensivo di Pontecagnano Sant'Antonio.

  ANGELINA MALANGONE, Istituto comprensivo di Pontecagnano Sant'Antonio. Grazie, presidente. Sono molto emozionata di essere qui con voi e spero di essere in grado di illustrare il percorso che la mia scuola ha fatto in questi anni per raggiungere un cambiamento didattico e tecnologico.
  Partiamo dalla vision e dalla mission della scuola, che non bisogna mai perdere di vista: la scuola deve rispondere alle esigenze sociali, culturali, economiche, storiche nel tempo in cui si vive. A casa ho una guida didattica del 1865 e, a parte le implicazioni Pag. 5 religiose – e voi mi capirete – l'intento della scuola del tempo, con notevoli punti educativi importanti, era quello di preparare ai mestieri: il sarto, il falegname, eccetera. Oggi è improponibile: deve saper guardare oltre l'orizzonte per cercare di dare le migliori opportunità alle future generazioni. È quello che abbiamo cercato di fare anche noi. Il problema è sorto, quando c'è stata l'esplosione tecnologica nella vita quotidiana dei cittadini che si è contrapposta con l'aspetto formale, un po’ cristallizzato, della scuola nella formazione delle nuove generazioni. I ragazzi non possono vivere in due mondi diversi: a casa e a scuola. Per cui è giusto intervenire e fare un cambiamento. Come? Con un rinnovamento: innanzitutto dando importanza alle tecnologie, quindi utilizzando tutte le possibilità che ci hanno dato i fondi europei e statali, ma utilizzando anche le risorse dell'ente locale, perché per noi la comunità scolastica è il centro della comunità più vasta del territorio, per cui alunni, famiglie, territorio sono fattori importantissimi. Un altro fattore importante è la formazione dei docenti, dalla quale non si può prescindere. Una formazione che non doveva essere episodica ma sistemica, quindi ci siamo avvalsi di fonti autorevoli per la formazione. Per quanto riguarda quella tecnologica ci siamo rifatti alla Bicocca di Milano, ai professori Paolo Ferri e Stefano Morigi, professori di chiara fama. Poi l'implementazione di nuove tecnologie non solo ha cambiato il processo di insegnamento e apprendimento, perché l'utilizzo di queste tecnologie dà spazio ad una didattica inclusiva e coinvolgente, ma ci ha costretti anche a rivedere gli spazi fisici. Nella nostra scuola non ci sono più banchi (o quasi). Nelle aule 3.0 ci sono isole funzionali non solo all'infrastruttura tecnologica, ma soprattutto all'approccio metodologico didattico. I ragazzi si spostano a seconda dell'esigenza del momento. Sono protagonisti del sapere. Nelle aule 3.0 abbiamo i famosi display tecnologici che noi chiamiamo bacheche multimediali: i ragazzi hanno i tablet e altri dispositivi mobili, per cui la lezione viene fatta insieme, essi possono interagire a più mani con la lavagna multimediale. Così i ragazzi si sentono protagonisti potendo esprimere il loro modo di essere, il loro pensiero: sono contenti di venire a scuola. Qualche genitore mi ha confidato che addirittura i figli hanno chiesto perché la scuola rimane chiusa di domenica. Per questa innovazione tecnologica abbiamo utilizzato tutte le possibilità offerte dall'impiego delle risorse che provengono dai fondi europei.
  Abbiamo organizzato il tempo scuola in una maniera particolare, per cui, se per una semplificazione amministrativa abbiamo chiuso il sabato, perché l'istituto comprende dieci plessi scolastici diffusi sul territorio, lo abbiamo lasciato aperto per dare spazio ai genitori il sabato per i progetti PON. Abbiamo aperto addirittura durante le feste di Natale, perché la scuola resti a disposizione del territorio.
  Abbiamo fatto tanti progetti, anche sul CLIL (content and language integrated learning) che è stato un altro punto di forza. L'ho voluto io in modo particolare – e perdonate la presunzione –, perché ritengo la conoscenza delle lingue straniere importantissima. Pertanto, sin dall'inizio abbiamo cominciato con l'Erasmus e con i corsi di formazione linguistica, utilizzando sia risorse interne che risorse esterne madrelingua, certificando il percorso educativo svolto dal ragazzo, in modo che questa certificazione potesse essere spesa nel percorso scolastico. Siamo stati premiati a Firenze con il Label europeo delle lingue (una delle cinque scuole primarie in Italia). Quindi abbiamo insistito molto, perché le tecnologie sono un volano eccezionale per una didattica coinvolgente, partecipativa e inclusiva, soprattutto a favore dei ragazzi con disabilità. In particolare, quindi, abbiamo attuato il CLIL, i flipped classroom, e altro, senza elencare tutto.
  Particolare spazio abbiamo dato alla robotica, perché c'è nell'Istituto una docente di scuola secondaria, una professoressa di tecnologia particolarmente brava. Quindi, approfittando nel 2017 dei fondi del Piano nazionale scuola digitale del MIUR, abbiamo fatto l’atelier creativo: uno spazio completamente destrutturato, completamente diverso dal setting d'aula normale, Pag. 6dove i ragazzi possono esprimersi. Ragazzi anche con disabilità. Quindi c'è creatività, c'è progettazione e c'è un esercizio di cittadinanza attiva. Ci avvaliamo di vari tipi di robot, tra cui un robot umanoide (Nao) che ci è stato donato dall'ente locale. Vorrei avere un fermo immagine per farvi vedere gli occhi e le espressioni dei bambini, quando, all'inizio dell'anno scolastico, Nao, programmato dai ragazzi, è andato a portare gli auguri di buon anno ai bambini della scuola dell'infanzia. Pensate a cinquanta bambini di tre anni, appena si è presentato dicendo «Buongiorno, io sono Nao»: sono rimasti stupefatti! Catturare l'interesse è il primo passo per poter poi intervenire in modo efficace nell'apprendimento.
  Come la collega, anche noi abbiamo fatto «Frutta nelle scuole» e la colazione con pane e olio. Sono venuti a scuola alcuni esperti di un'azienda bresciana (Ortomad) che ha una sede anche a Pontecagnano per fare una lezione di alimentazione ai ragazzi, ma si sono resi subito conto che non ce n'era bisogno. Anzi, hanno voluto approfondire come hanno lavorato i ragazzi per imparare. Questa azienda ha manifestato interesse a investire, offrendo borse di studio per i ragazzi che non possono permettersi i percorsi di studio. Hanno partecipato a concorsi nazionali, regionali e provinciali. Sono stati a Milano e hanno vinto i primi premi.
  Sono veramente eccezionali, tanto da indurmi a proporre sia all'ente locale, sia al collegio e al consiglio d'Istituto, di creare, anche se il termine è desueto, di realizzare, un onnicomprensivo, un liceo sperimentale di meccatronica. Noi sappiamo che gli ITIS funzionano benissimo a livello di meccatronica; danno anche una possibilità di lavoro superiore all'80 per cento, però quello che a noi serve – perché stiamo vivendo una rivoluzione e non ce ne stiamo accorgendo – sono i robot. Questa è la prima generazione che si incontrerà e scontrerà con una realtà diversa; pertanto occorre un'idea dell'uomo che solo la cultura può dare, non solo il tecnicismo. Ci tengo a sottolineare che i ragazzi sono bravi, sono tecnologicamente avanzati, ma la cultura è essenziale perché solo quella dà la capacità critica. Cominceremo in questi giorni il progetto di latino, e lo faremo con i fumetti, ma con il computer, perché il latino è importante: dà una struttura logica, assicura una struttura mentale.

  PRESIDENTE. La parola a Rosaria Inguanta, dirigente scolastica dell'Istituto superiore Ernesto Ascione di Palermo, prego.

  ROSARIA INGUANTA, IISS Ernesto Ascione di Palermo. Grazie, presidente, anche a nome di tutta la comunità che in questo momento è insieme a me per l'opportunità che date alla mia scuola, una scuola di periferia. Quando noi di periferia ci sentiamo presi in considerazione, ci sentiamo importanti, perché realmente pensiamo di meritare di essere attenzionati.
  La scuola è situata nella periferia estrema della città di Palermo; c'è una popolazione scolastica di circa mille alunni dai quattordici ai diciannove anni; gli indirizzi sono quelli di ottico e odontotecnico – quindi due indirizzi professionali – e il tecnico chimico-biologico.
  Siamo entrati in un circuito di innovazione tecnologica molto affascinante in cui, un po’ come le ciliegie, un'attività tira l'altra. Gli interventi sono progettati su tre livelli e i destinatari dei nostri livelli di intervento sono: gli alunni, tutto il personale e i genitori. Lo spirito è quello di creare senso di appartenenza, senza il quale non si può andare avanti.
  Si è molto lavorato sulla formazione dei docenti. Tante sono le attività che abbiamo sviluppato in questi anni. Siamo di ritorno da un Erasmus plus K1, nel corso del quale siamo stati più di quindici giorni a Londra dove abbiamo frequentato un corso di formazione sull'uso delle nuove tecnologie, quelle più vicine ai ragazzi, come gli stessi smartphone con cui si possono svolgere i lavori per la didattica, insieme ai ragazzi, anche attraverso video e attività di fotografia. Abbiamo puntato ad interessare i ragazzi alla didattica con quello che per loro è la quotidianità. Poi formazione sull'uso di software per i ragazzi disabili, per i DSA. La formazione è curata: quella del personale Pag. 7 ATA è indispensabile per essere al passo anche con quanto il ministero ci chiede, che è davvero tanto. Anche la formazione sui genitori è importante. Adesso la partecipazione è quasi totale: i genitori partecipano con la loro presenza e la comunicazione avviene attraverso lo smartphone, perché possono consultare le attività della scuola accedendo all'area a loro riservata. Prima non lo sapevano fare. Pur vivendo in periferia, in una zona degradata dove vivono a stento, hanno l’iPhone di ultima generazione, il profilo Facebook e Instagram; però non sanno inviare un’email. Quindi abbiamo organizzato alcune attività di formazione per insegnare loro come accedere a questa piattaforma attraverso il loro cellulare.
  Per i ragazzi abbiamo implementato i laboratori di settore attraverso i progetti finanziati con fondi europei, soprattutto con i fondi europei di sviluppo regionale – purtroppo esigui – procedendo all'acquisto di strumentazioni di settore che hanno reso ancora più efficienti ed efficaci i nostri laboratori, tant'è vero che siamo scuola in partenariato con il Dipartimento di fisica e chimica dell'università che, grazie alla nostra scuola, ha ottenuto il visto positivo per l'autorizzazione del corso di laurea in ottica e optometria, partito a settembre.
  I finanziamenti che arrivano dal ministero sono sempre per progetti relativi al PNSD: adesso stiamo informatizzando le biblioteche con «Periferie creative». Sono state poche le scuole in Italia che hanno avuto il privilegio di avere questo finanziamento molto importante (oltre 100 mila euro) per implementare le biblioteche e informatizzarle. Noi facciamo parte di questa rosa.
  In più siamo scuola-polo per la formazione delle avanguardie educative, perché siamo partiti adottando alcune idee di avanguardia educativa: abbiamo adottato la flipped classroom e il «debate» che sono diventate pratiche didattiche. Poi abbiamo partecipato a «Open coesione» (progetto del ministero) due anni fa, classificandoci al primo posto a livello nazionale. Quindi Borgonuovo, una zona di periferia, parte per Bruxelles, passando prima passa da Roma, ospite del Parlamento italiano, infine ospite della Commissione europea, con grande orgoglio per noi ed entusiasmo dei ragazzi. Abbiamo scritto un articolo paragonando la voglia di continuare su questa scia al lievito madre che utilizziamo nei laboratori di chimica dove, alla fine di ogni attività – e vi invito ad assaggiarlo – facciamo il pane caldo con l'olio. Il lievito madre, in senso metaforico, perché i docenti hanno vissuto questo contagio in modo emulativo. Adesso è una pratica didattica consolidata nella scuola. Devo dire che è una scuola in cui il senso di appartenenza è davvero molto radicato e forte. È una scuola in cui ci si aiuta e si collabora proprio per la crescita. Questo ha comportato che INDIRE ci ha chiamati proponendoci di candidarci quale scuola-polo per la formazione in Sicilia. Così è stato e adesso organizzeremo alcuni seminari di formazione sulle nostre esperienze.

  PRESIDENTE. La ringrazio. La parola ora alla dirigente scolastica Filomena Massaro, prego.

  FILOMENA MASSARO, Istituto comprensivo statale 12 di Bologna. Grazie. Sono dirigente da molti anni (dal 2007) dell'Istituto comprensivo 12, che nel frattempo è diventata anche scuola-polo per la formazione a livello di ambito territoriale.
  Quattro anni fa ha preso avvio questa avventura come scuola capofila di una rete, che è partita con una decina di Istituti sparsi in Italia e attualmente vede il coinvolgimento di oltre trenta Istituti scolastici del primo ciclo, che praticano l'educazione all'aperto. Quindi quello che abbiamo sentito prima dalle colleghe si richiama fortemente al nostro progetto e alla nostra rete di scopo, partita proprio da un assunto che ci richiama un vecchio adagio: «se ascolto, dimentico; se vedo, ricordo e, se faccio, imparo». Questo «se faccio, imparo», nella scuola del primo ciclo, in questi anni, è andato un po’ perduto. Diversi studi ci dicono che già nella scuola del primo ciclo e nella scuola primaria, che per noi in Italia è sempre stata un fiore all'occhiello, cominciano i primi segni di cedimento legati Pag. 8 al fatto che i bambini tendono a demotivarsi, tendono a considerare la scuola come un obbligo a cui si deve adempiere. Ciò è dovuto anche al fatto che vivono una realtà, spesso anche familiare, che li porta ad essere molto concentrati sul sé e sul proprio ambiente, spesso ridotto all'interno dello spazio casalingo. Pertanto sono poco avvezzi, poco abituati alla relazione tra pari, alla relazione con le figure di riferimento adulte. Ne consegue che, sempre di più, vediamo, nei primi anni della scuola di base, difficoltà da parte degli insegnanti a gestire bambini che poi vengono stigmatizzati come molto difficili, ma che in realtà sono semplicemente poco abituati alla relazione. Da tutte queste riflessioni è nato dal basso il desiderio (dal basso intendendo dalla radice, dagli insegnanti) di riprendere alcuni assunti della pedagogia, ad esempio della scuola d'infanzia e della primaria, che erano stati un po’ abbandonati. Non – come diceva la collega – per tornare all'antico ma per rivitalizzarli, per dar loro nuovo vigore, perché non vogliamo sicuramente considerare e negare per esempio l'uso delle tecnologie, l'uso degli strumenti multimediali che sono a disposizione e che continuano ad essere strumenti. Quindi ribadisco quello che già la collega nell’incipit del suo intervento ci ha riferito. Tutto questo ha portato a raccogliere idee e soprattutto sollecitazioni, da parte degli insegnanti, a costituirsi in una rete che dia valore istituzionale ai percorsi didattici che nelle diverse scuole, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, si praticano.
  Per questo tipo di percorsi abbiamo attualmente il supporto di tre università. Prima ho sentito citare la Bicocca con Monica Guerra, che collabora con l'educazione all'aperto; l'Università di Bologna e l'Università di Udine, con il professor Bertolino sono dei punti di riferimento importanti, perché è fondamentale che questi percorsi, che si stanno sviluppando in modo sperimentale, vengano validati e quindi che ci sia anche un riscontro dei livelli di apprendimento di questi bambini, che hanno la fortuna di avere l'esterno e l'interno delle aule come luogo privilegiato di apprendimento. Quindi il dentro e il fuori che non fanno differenza dipende dalle opportunità, dalle occasioni che i docenti programmano per gli alunni.
  Un percorso che è risultato facile. Devo dire che, in qualità di scuola capofila, ricevo continuamente contatti da colleghi, da insegnanti che vogliono iniziare il percorso, che mi chiedono un po’ di supporto per poter iniziare. Questo è il nostro quarto anno: annualmente attiviamo un seminario per confrontare le esperienze diverse, che sono anche connesse e collegate direttamente con il territorio di appartenenza. È ovvio che fare educazione all'aperto in Valle d'Aosta o in Friuli, piuttosto che in Sicilia ha connotazioni diverse non soltanto per la questione ambientale, ma proprio per le istituzioni, le associazioni, gli enti locali che collaborano attivamente per supportare questo tipo di esperienze.
  Chiudo dicendo che le strumentazioni multimediali vengono utilizzate: i nostri ragazzi che praticano l'educazione all'aperto utilizzano i tablet, raccolgono dati, li elaborano. Il valore aggiunto è che apprendere all'aperto porta elementi di creatività e di riflessione.
  In chiusura aggiungo che questa è una didattica, citando Zavalloni, che prevede tempi lenti. Quindi non accelerazioni ma l'attenzione, la possibilità di osservare, di riflettere, di confrontare e di confrontarsi.

  PRESIDENTE. Passo volentieri la parola ai commissari. Ringraziando i dirigenti per l'esposizione e per la partecipazione a questo ciclo di audizioni sull'innovazione didattica, vorrei chiedere se hanno riscontrato difficoltà normative nell'applicazione dei metodi didattici e se a loro avviso l'individuazione di scuole-polo per determinati ambiti, ognuna per il metodo didattico, per la propria attività possa essere qualcosa da trasformare in norma, da parte nostra al fine di fornire loro ulteriori strumenti. Al termine di questa indagine conoscitiva vorremmo infatti individuare i mezzi più efficaci per potenziare l'azione di tutte le buone esperienze, cogliendo i suggerimenti che ci arrivano da chi partecipa all'audizione.
  La parola ai commissari. Prego, onorevole Fusacchia.

Pag. 9

  ALESSANDRO FUSACCHIA. Grazie, presidente. Vorrei ringraziare le audite. Ascoltandovi, mi sono reso conto che questa indagine conoscitiva sull'innovazione didattica sta diventando sempre più una specie di strumento, un grimaldello per poi fare innovazione sociale, perché, al netto della dimensione tecnologica, delle dimensioni di varietà, diversità e ricchezza di attività che si possono fare – perché stimolati dal ministero o da se stessi – lo scopo è come riusciamo a fare un'agenda di cambiamento diffuso dentro la scuola e intorno alla scuola. Poi alcuni di voi ci hanno rappresentato che i territori da cui vengono non sono facilissimi.
  La domanda che vorrei porre, che un po’ va nella scia di quello che ha chiesto il Presidente, riguarda anzitutto la vostra valutazione del perché succedono certe cose nelle vostre scuole e non altrove, dove, per altrove, si possono intendere scuole che vi stanno a poche centinaia di metri di distanza. È tutta una questione di capitale umano – perché i dirigenti scolastici e gli insegnanti non sono tutti uguali – oppure ci sono fattori strutturali su cui intervenire? Sicuramente il primo aspetto è significativo, per cui bisogna fare buona selezione di docenti e di dirigenti scolastici. C'è poco da girarci intorno. Ma sugli aspetti strutturali ci sono cose che invece «girano male», per cui il vostro lavoro dentro la scuola, con tutto quello che comporta in termini di articolazioni di rapporti, e soprattutto nel raccordo con le famiglie, che sono un fattore centrale, è limitato perché vi mancano alcuni strumenti o perché gli strumenti ci sono, ma non come dovrebbero essere?

  VITTORIA CASA. Ringrazio le colleghe, perché ascoltare chi vive quotidianamente la realtà delle nostre scuole è sempre un arricchimento. Chiedo a tutte, anche perché mi ritrovo in molte delle cose appena dette, quali sono le difficoltà e il senso di solitudine in cui spesso un dirigente scolastico si trova nel dover gestire determinate situazioni. È vero che quello che noi facciamo è soprattutto un lavoro anche culturale, ma – come diceva il collega – è soprattutto sociale; pertanto, la rete a cui faceva riferimento la collega Massaro, la rete di relazioni, la rete territoriale funziona sempre oppure ci sono difficoltà a interagire con il territorio, con le altre componenti? È importantissimo il lavoro che noi facciamo, sempre centrato sulla formazione. Quindi anche l'idea di coinvolgere i genitori nel processo di formazione, credo che debba diventare quasi una condizione «obbligatoria». Spesso investiamo sulla formazione dei docenti e del personale ATA, trascurando questa componente, che invece è, secondo me, una delle componenti, specialmente in alcuni ambienti e in alcune zone del Paese, assolutamente preponderante.
  Vorrei inoltre chiedere se da dirigenti avete notato qualche cambiamento, qualche evoluzione nell'ambito della valutazione. Se utilizzare innovazione didattica, innovazione tecnologica ha prodotto cambiamenti nell'ambito degli apprendimenti. Non soltanto le competenze sociali del vivere civile, ma le competenze tipiche, perché non dobbiamo dimenticare qual è la mission fondamentale delle nostre istituzioni scolastiche.
  Vi ringrazio per aver condiviso con noi le vostre esperienze.

  VIRGINIA VILLANI. Naturalmente anch'io mi associo ai ringraziamenti dei colleghi. Sono veramente grata a tutte quante voi di aver accettato il nostro invito e per averci dato la possibilità di ascoltare che nelle nostre scuole si fanno cose eccellenti, nelle quali abbiamo creduto anche noi. Saluto con particolare affetto le colleghe Maria De Biase e Angelina Malangone, che vengono dalla mia terra, e con le quali abbiamo condiviso, soprattutto con Maria, un percorso di crescita e di formazione fondamentale per la gestione delle scuole.
  Condivido completamente il vostro progetto educativo, quindi è inutile ribadire che sarebbe opportuno implementare queste buone azioni, queste buone pratiche nelle nostre scuole, anche perché la vostra azione dimostra che è possibile conciliare l'antico con il moderno. Queste esperienze di ruralizzazione della scuola sono fondamentali insieme alle nuove tecnologie, passando però dalla «pedagogia della lumaca Pag. 10». Dico sempre che è importante dare ai bambini il tempo per imparare. Spesso i docenti non lo capiscono, hanno la fretta del programma, il curriculo. Vorrei chiedere quali difficoltà avete incontrato per veicolare il messaggio della merenda ecologica con pane e olio. A scuola non è facile far capire ai genitori quanto sia dannoso alimentare i nostri bambini con le merendine; quindi penso che sia anche difficile organizzare questi momenti. Come fate a conciliare i momenti dell'insegnamento con quelli dell'apprendimento in un tempo scuola che non penso sia molto dilatato? Non so se avete avuto resistenze da parte dei docenti e quanto avete dovuto lottare per veicolare questo messaggio.

  LUCIA CIAMPI. Mi unisco anch'io ai ringraziamenti per questo bell'esempio di scuola attiva, nuova e non nostalgica. Nuova nel senso di propositiva, di innovazione tecnologica che non è solamente innovazione tecnologica tout court, ma è innovazione sociale perché porta un contributo così innovativo, così carico di capacità di cambiare che incide sul territorio dove la scuola insiste, quindi dove gli studenti vivono, operano, hanno relazioni con i genitori, con gli amici e con gli altri.
  Vi ringrazio per essere modelli da esportare, per essere in relazione tra voi in rete. Questo è veramente fondamentale, lo voglio sottolineare. Le vostre esperienze di grande qualità devono essere allargate e devono confrontarsi, come già state facendo. Fatelo ancora di più.
  Vi chiedo se l'innovazione, che senz'altro assicura un'istruzione di qualità quale è quella che noi tutti ci poniamo come obiettivo, si cura di connettere i temi che voi avete sollecitato e che avete affrontato e che sono condivisibili con quelli dei diritti umani per esempio, della parità di genere, delle pari opportunità, della cittadinanza attiva. È una domanda in parte retorica, ma l'ho voluto sollevare come tema strategico della missione della scuola. Del tema dello sviluppo sostenibile, della cultura della pace si parla meno in questi anni.
  La scuola così come voi ce l'avete offerta nella pratica è senz'altro un modello da esportare, da espandere attraverso le reti e l'innovazione tecnologica: deve essere uno strumento per arrivare ad una innovazione sociale, come dicevo prima. Quindi grazie e spero che mi diate una risposta relativamente a questi temi.

  PRESIDENTE. Abbiamo ancora un paio di minuti a testa, in cui possiamo provare a rispondere ai quesiti. Partiamo da Maria De Biase, prego.

  MARIA DE BIASE, Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro. Rispondo con il concetto di non-luogo. Ho girato tante scuole, spesso ho avuto la sensazione che fossero dei non-luoghi: luoghi asettici, gestiti dalla retorica normativa, dove tutti corrono verso programmi, che tra l'altro non esistono più, con una burocratizzazione eccessiva, un'attenzione eccessiva a tutto quello che è tecnologia e quant'altro. Io invece ho in testa una scuola che diventa un luogo di relazioni, di attenzione, di emozioni anche, di affettività. Per cui il pane e olio – rispondo all'onorevole Villani – rientra in quest'ottica: nella convivialità, nella familiarità, ed è molto difficile oggi fare in modo che una scuola diventi così. Innanzitutto perché ha maglie larghe, perché ci sono orari, ci sono tantissime regole che ci stringono in altre cornici. La mia fatica è stata questa: rendere la scuola un luogo di persone, dove ci sono quelli più grandi che si prendono cura di quelli più piccoli, dove si sta insieme con piacere.
  Ho dovuto affrontare tantissime difficoltà, non ultima quella dei vassoi d'acciaio per servire le nostre ecomerende, degli spremiagrumi di cui è dotata la mia scuola in ogni piano perché tutti possano farsi la spremuta d'arancia, grandi e piccoli. La mia idea è quella di rendere la scuola un luogo di relazione, di attenzione, di persone che stanno insieme, lavorano, dove c'è il bisogno di prendersi cura degli altri, soprattutto dei più piccoli.

  ROSARIA INGUANTA, IISS Ernesto Ascione di Palermo. Le domande sono tante e tutte interessanti. Anche le difficoltà normative sono tante, tutte relative soprattutto alla burocrazia, alla sicurezza e alle classi Pag. 11numerose, soprattutto nelle prime. La burocrazia dei PON è davvero molto farraginosa. E’ un aspetto sul quale dovete lavorare.
  Altra cosa. Vi chiedo, anziché canalizzare fondi europei sull'FSE (Fondo sociale europeo), canalizziamoli sui FESR (Fondi europee di sviluppo regionale) che sono quelli che realmente ci servono, quelli per i quali si investe sulla scuola, sulle tecnologie. Gli FSE prevedono solo laboratori che sono interessanti e importanti, ma la sproporzione dell'investimento è notevole. Ci siamo aggiudicati alcuni FSE, ma non abbiamo potuto portare a termine i progetti per due motivi principali: primo, perché non reperivamo gli alunni; erano richiesti troppi alunni e i fondi venivano erogati solo se tutti gli alunni frequentavano; l'altro motivo era legato all'impossibilità della contemporanea presenza degli alunni e poi all'eccessiva burocrazia. Invece, con il FESR, si comprano piattaforme e software da utilizzare nel curricolare.
  Non è da trascurare, poi, il discorso delle prime classi. Ho delle classi prime con trenta, trentadue alunni e quattro disabili: è davvero improponibile gestire innovazione didattica con numeri così grandi.
  Onorevoli deputati, abbiamo raccontato il bello della nostra quotidianità, però non è sempre così bello: ci sono momenti in cui c'è da strapparsi i capelli. Se avessimo raccontato la parte brutta della nostra quotidianità, ci saremmo fatti del male.
  Chiudo con la sollecitazione dell'onorevole Ciampi riguardo all'importanza della cittadinanza attiva. Abbiamo sperimentato un progetto, di cui siamo fieri, sulla consapevolezza di sé, in rete con Casa Professa di Palermo, che è una chiesa dentro Ballarò (centro storico anch'esso degradato). Con il rettore abbiamo fatto un percorso di introspezione. Ha utilizzato le pareti di Casa Professa, che è una chiesa barocca dove i putti escono dalle pareti e dove, attraverso un percorso psicologico, si fa introspezione e si mettono d'accordo i due cervelli: lo stomaco e il cervello (cuore e razionalità). Come l'abbiamo raccordato con le tecnologie? I ragazzi hanno realizzato in 3D dei lavori, che sono il prodotto di quel percorso che è valso come alternanza scuola/lavoro.

  ANGELINA MALANGONE, Istituto comprensivo di Pontecagnano Sant'Antonio. L'onorevole Ciampi ha parlato di tecnologie e di impatto sul territorio. È importantissimo, perché noi, anche tenendo conto della disposizione territoriale dei nostri plessi scolastici, siamo stati costretti a utilizzare dei drive particolari utilizzati da quei genitori che hanno imparato. C'è stata una ricaduta positiva sul territorio. Il genitore è sempre accolto, capito, compreso. Insieme al Comune, stiamo pensando addirittura di fare un corso serale per poter agevolare chi nel lavoro ha bisogno di competenze digitali o addirittura di inglese, perché quello che manca sono i fondi, oltre alla farraginosità dei progetti che richiedono tanto tempo e spreco di energie. Quando eravamo «regione obiettivo» si faceva prima, adesso si deve rendicontare. Noi ne facciamo tanti: proprio domani partono dodici moduli. C'è l'impiego di tante professionalità, quindi una ricaduta sul territorio c'è e ci deve essere, perché la scuola è la parte più importante della comunità, dove si gioca il futuro del Paese. Il genitore non è mai la controparte, per questo bisogna lavorare in rete. Noi lo facciamo, per quanto è possibile, con le scuole vicine, ma non solo, del territorio di Pontecagnano.
  Per quanto riguarda l'INVALSI, l'uso delle tecnologie va benissimo, perché ha ridotto il cheating. Quindi per noi è stata una cosa molto positiva, con una crescita continua per tutti.

  PRESIDENTE. Dovremmo concludere, perché abbiamo un altro ciclo di audizioni a seguire. Quindi raccogliamo le ultime risposte di Filomena Massaro.

  FILOMENA MASSARO, Istituto comprensivo statale 12 di Bologna. Rispetto alla sollecitazione del presidente, il problema che nella nostra rete viene ricorrentemente sottolineato è l'aspetto della sicurezza legato allo stare all'aperto. Li rende più sicuri, perché hanno la possibilità di misurarsi con il loro corpo e con il corpo degli Pag. 12altri. Però sulla sicurezza bisogna lavorare con i genitori per fare un patto. Abbiamo avuto il caso di un genitore che aveva denunciato la scuola per una radice sollevata che aveva fatto inciampare il proprio figlio. Quindi il tema della sicurezza è fondamentale.
  Anche il discorso delle scuole-polo credo che sia molto importante: si tratta di scuole che hanno avuto riconoscimento sia dalle altre scuole sia a livello centrale; questo aiuta perché diventano un esempio per gli altri, anche per le scuole vicine e, quindi, per favorire e implementare.
  Passo al tema della cittadinanza, della cultura della pace. Lavorare nell'ambiente naturale, partire dall'ambiente naturale che non è l'unico, perché a seguire c'è l'ambiente antropico, osservare l'eterogeneità della natura, la cura della natura sono canali importantissimi per sottolineare i principi della differenza di genere, del rispetto delle diversità e quindi anche il tema della cittadinanza.
  Sulla valutazione i tempi distesi sono fondamentali e a volte sono un problema, perché c'è un po’ la connessione tra il tempo scuola che viene assegnato, le classi, soprattutto in primaria; quindi anche su questo forse bisognerebbe ragionare, perché un tempo a ventisette ore è un tempo che con la «pedagogia della lumaca» cozza un po’.

  PRESIDENTE. Ringrazio i commissari e gli auditi per tutti i contributi, e dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione, in qualità di esperti, di Maria Buccolo, dottore di ricerca in progettazione e valutazione dei processi formativi; Mario Caligiuri, professore ordinario di pedagogia della comunicazione; Paolo Gheda, professore aggregato di storia contemporanea; Lorenza Orlandini, esperta di service learning e Francesca Scafuto, dottore di ricerca in psicologia della salute.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di innovazione didattica, l'audizione, in qualità di esperti, che saluto e ringrazio della presenza, di Mario Caligiuri, professore ordinario di Pedagogia della comunicazione, Paolo Gheda, professore aggregato di Storia contemporanea, Maria Buccolo, dottore di ricerca in progettazione e valutazione dei processi formativi, Lorenza Orlandini, esperta di service learning e Francesca Scafuto, dottore di ricerca in psicologia della salute.
  Come di consueto, darò la parola prima agli auditi, quindi ai colleghi che la chiederanno per porre questioni e, da ultimo, di nuovo agli auditi per le risposte e i chiarimenti chiesti. Abbiamo tempo fino alle 16,00. Invito quindi i nostri ospiti a contenere i loro interventi iniziali in sette minuti.
  Do la parola a Mario Caligiuri, professore ordinario di Pedagogia della comunicazione.

  MARIO CALIGIURI, professore ordinario di Pedagogia della comunicazione. Grazie, presidente. Due premesse molto veloci. Oggi i social sono l'ambiente educativo prevalente, perché le giovani generazioni trascorrono più tempo e maggiore attenzione davanti al display che dialogando con i propri genitori e i propri insegnanti. Di sicuro indietro non si torna. Il secondo punto è che nelle classifiche internazionali la scuola italiana non è messa benissimo. La società del nostro Paese sembra segnata da un analfabetismo di massa. Secondo Tullio De Mauro, il 76 per cento degli italiani non sa interpretare un semplice testo nella nostra lingua; secondo un'indagine OCSE del 2016 il 26,9 per cento dei nostri concittadini è analfabeta funzionale; una recente indagine IPSOS del 2018 dice che su tredici Paesi gli italiani sono quelli che hanno la minore percezione della realtà; un'indagine INVALSI dell'inizio di questo mese parla di una distanza sociale sia esplicita che implicita. Non potrebbe esserci prova più evidente che stiamo andando nella direzione sbagliata, sia a livello europeo che nazionale.
  L'innovazione didattica è una necessità: non è esclusivamente tecnologica, come è stato premesso per quanto riguarda questo incontro. Bisogna quindi parlare di persone, Pag. 13 di programmi, di metodi di apprendimento, di risorse e quindi di politiche. Il problema è vasto, profondo e in crescita, quindi non si può affrontare con proposte di dettaglio, con l'introduzione di nuove regole burocratiche. Anzi, bisognerebbe eliminare la gran parte di quelle che ci sono. E neanche, dal mio punto di vista, con le buone pratiche magari importate dall'estero, che hanno un valore esemplare, ma sono spesso legate alle persone e scompaiono con loro. C'è bisogno di azioni di sistema ed è più facile intervenire a livello legislativo sui singoli aspetti che a livello generale. Come ci ricordava Aldo Moro: è possibile fare meglio, ma è ancor più facile fare peggio.
  Le tecnologie. Una ricerca che ho svolto nel 2016 per l'intera provincia di Vibo Valentia ha rilevato alcuni aspetti. Il primo è che nelle scuole ci sono più tecnologie che persone disposte ad usarle; e, in secondo luogo, c'è il tema pesante della formazione dei docenti.
  Il punto di partenza. Nella situazione scolastica attuale non bisogna confondere la causa con l'effetto. Le conseguenze delle politiche scolastiche si vedono dopo cinquant'anni: molto probabilmente il boom economico italiano degli anni Sessanta deriva dalla riforma Gentile del 1923. Oggi invece stiamo subendo le conseguenze di quel facilismo amorale che si è avviato dal Sessantotto e che ha allargato le distanze sociali con l'illusione di ridurle. Il Sessantotto c'è stato dovunque, però solo in Italia si è chiesto il 18 politico agli esami di gruppo.
  La situazione attuale. Noi continuiamo sostanzialmente a insegnare come si faceva nella Grecia antica o nel medioevo. Oggi invece abbiamo a che fare con «studenti a tre dimensioni»: la dimensione fisica; quella virtuale e quella aumentata, per cui le abilità che si stanno imponendo nelle scuole sono quelle per costruire un reddito per essere consumatori, per consumare ventiquattr'ore su ventiquattro, e c'è l'assalto all'infanzia del capitalismo. L'altro aspetto è che noi viviamo pienamente nella società della disinformazione, che è l'emergenza educativa e democratica di questo tempo. L'eccesso di informazione, da un lato, e il basso livello di istruzione sostanziale, dall'altro, crea un cortocircuito cognitivo.
  L'Italia è un caso di scuola. Si sta parlando a livello scientifico di «media literacy», che indurrebbe a una capacità critica di interpretare la comunicazione, e sarebbe questa secondo me la pista privilegiata dell'educazione civica, una volta che, approfondendo la legge in vigore, possa essere applicata magari dal prossimo anno scolastico.
  Il fattore umano è fondamentale. Non servono solo le tecnologie, ma bisogna investire sulle persone. Non a caso uno dei servizi segreti più importanti del mondo (Mossad) sta assumendo contemporaneamente hacker per captare le informazioni nella profondità della rete e laureati in filosofia per interpretarle.
  La proposta di metodo è quella di ribaltare l'impostazione, partendo in modo diverso da come si sta facendo e impiegare il tempo per riforme strutturali, che sono certamente più difficili, ma sono le uniche che possono servire a qualcosa.
  Entrando nel merito dell'innovazione didattica bisogna parlare di insegnanti, perché oggi bisognerebbe fare di scuole e università sterminati campi di innovazione educativa. Quindi bisogna puntare sulla formazione e selezione dei docenti. Si parte da là. La formazione e selezione dei docenti sta avvenendo in maniera molto improbabile non solo nelle scuole, il che è noto, ma adesso anche nelle università, dove si sta creando un precariato di massa. Pertanto, mi permetterei di invitare il presidente della Commissione, che è sempre così sensibile, ad aprire una riflessione sull'attuale selezione dei docenti universitari.
  In conclusione la proposta che mi permetto di formulare è che l'educazione si deve trasformare, nel nostro Paese, da mero ammortizzatore sociale per studenti e docenti nella scuola e nell'università, in luogo della speranza.

  PRESIDENTE. Do ora la parola a Paolo Gheda, professore aggregato di Storia contemporanea.

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  PAOLO GHEDA, professore aggregato di Storia contemporanea. Grazie, presidente. Cinque brevissime note a margine anche, in parte, del precedente intervento. La prima riguarda le metodiche sull'acquisizione delle competenze digitali. Non dimentichiamoci che il digitale viene dopo l'informatico: noi abbiamo vissuto – parlo della mia generazione (quelli che hanno cinquant'anni adesso) – la fase in cui il PC è entrato nelle case. All'inizio questa è stata una storia molto più attiva che passiva. Il computer si poteva in parte programmare – potete ricordare il Commodore 64 e altri strumenti del genere che erano per il gaming, per l’hobby – e, nello stesso tempo, insegnavano il linguaggio macchina. Poi è arrivata l'ideologia Mac – come lo chiamo io –, il sistema chiuso, compatto e confezionato, un’app per ogni cosa. Risultato: indubbiamente molto efficace in termini di performance apparente e immediata, ma la passività rispetto ai sistemi diventa sempre maggiore e la generazione dei millennials, che sono conformati a un sistema di passività informatica prima e, di conseguenza, digitale, a loro volta si ritrovano – consentitemi l'espressione – un po’ usati da questo sistema e non hanno la libertà e la possibilità di comprendere o di modellare programmi, attività e pratiche per quanto concerne l'utilizzo del computer.
  Benissimo l'utilizzo di computer in scuole e università, va sviluppato, forse anche con strumenti di maggiore consapevolizzazione, in particolare, forse, un po’ più la tastiera e un po’ meno l'immissione vocale e il touch, perché la tastiera è ancora più creativa.
  L'ultima legge aveva provato a tematizzarlo: la legge n. 107 sulla «Buona scuola», all'articolo 1, comma 7, punto h), prevede: «Sviluppo delle competenze digitali degli studenti, con particolare riguardo al pensiero computazionale, all'utilizzo critico e consapevole del social network e dei media, nonché alla produzione e ai legami con il mondo del lavoro». Questo per far sì che gli studenti a tutti i livelli delle scuole siano in grado di comprendere le dinamiche di costruzione dei servizi informatici da cui deriva anche l'utilizzo del digitale, dei social.
  Secondo punto. Io sono uno storico, quindi non posso fare altro che replicare per deformazione professionale: è un po’ il mio mestiere. Il tema della manualistica. Prima, il professor Caligiuri parlava del problema della formazione dei docenti da un punto di vista di scuola e università; c'è anche un tema di ricaduta del lavoro e dell'università sulla scuola. È evidente, lo sanno tutti: la manualistica prodotta dalle università ricade sulle scuole superiori. Cosa sanno i professori dell'università di come si insegna nelle scuole superiori? Personalmente ho fatto l'esperienza della SSIS per due o tre anni e insegnavo ai futuri docenti delle scuole, senza aver insegnato un'ora in una scuola superiore, per cui con una mia competenza pari a zero: molto efficace in termini di dettagli e di problemi, di tecniche di ricerca e di indagine, molto poco sullo scenario didattico: quello che viene detto usualmente il «setting». Da questo punto di vista, rispetto alla cosa che mi preoccupa di più, lancerei qui un piccolo stimolo, se si vuole: fare in modo che la manualistica che deriva dall'università, e che viene poi offerta e imposta alla fruizione delle scuole superiori, tenga maggiormente conto del fatto che a scuola si forma di più e all'università, più che altro, si informa. Quindi questo «in» è un particolare non secondario. Credo che sia importante ripensare la produzione della manualistica e, da questo punto di vista, c'è anche un problema di collegamento tra la docenza universitaria e quella scolastica. In Paesi come la Francia non puoi insegnare all'università, se non hai fatto un'esperienza precedente di tipo scolastico perlomeno superiore: da noi le due carriere sono, non solo formalmente, ma completamente disgiunte. Mi sono occupato di storia dell'università per stranieri, che è l'unico caso in Italia in cui esiste la figura dei docenti comandati (distaccati): docenti di scuola che vengono presi per insegnare nell'università su ambiti specifici, come la formazione linguistica agli stranieri.
  Il terzo punto riguarda la dimensione territoriale dell'insegnamento. Qui l'innovazione Pag. 15 didattica non è solamente una questione tecnologica, ma anche di competenze umane e il tema è anche quello della ricaduta sui contesti territoriali. Vengo da un'esperienza particolare, che è quella della Valle d'Aosta che, insieme alla Provincia di Trento, sono le uniche due realtà politico-istituzionali dell'Italia dove esiste la scuola regionale: i professori sono regionalizzati. Interessante o non interessante? Sicuramente ci sono ricadute positive. Oggettivamente ci sono maggiori potenzialità di capacità di lotta all'abbandono scolastico, perché c'è una maggiore capillarità in direzione di attività specializzate sul territorio; c'è la possibilità di trasmettere anche contenuti in sede locale. Mi pare si sia evitato il rischio di localizzare, mantenendo comunque un sistema nazionale, con una aggiunta che, per esempio, in Valle d'Aosta si chiama «civilisation»: l'offerta di contenuti che fanno conoscere maggiormente la terra oltre – e questo sta negli Statuti speciali – l'obbligo dell'apprendimento di una seconda lingua alla pari dell'italiano (il francese in questo caso). Questo potrebbe essere uno stimolo, perché indubbiamente va nell'ottica del glocal, quindi del tema di oggi, senza andare sul localismo, perché i programmi di Stato sono fatti salvi.
  Gli ultimi due punti sono un po’ più tecnici, sull'università. Chi lavora in università sa che ai vertici di valutazione del lavoro di un ateneo, sia internamente che esternamente, c'è l'internazionalizzazione; pochi però sono riusciti ad oggi a definire esattamente cosa si intenda per internazionalizzazione degli atenei e, ancor di più, dei docenti che vi lavorano. Cosa vuol dire essere internazionalizzato? Perché mi occupo di competenza di Paesi stranieri? Perché scrivo in lingua straniera? Perché pubblico all'estero? Eccetera. Sono molte le chiavi di lettura, ma il risultato è unico: non si riesce a capire bene, ad oggi, cosa si intenda per internazionalizzazione, se non il fatto che è un criterio base, fondamentale per dare una valutazione valoriale, graduale e comparativa tra le varie università.
  Il tema dell'Europa è rilevante, bisogna trasmettere un'identità europea negli insegnamenti europei: esistono corsi di Storia dell'integrazione europea, di Diritto dell'Unione europea, di Economia dei commerci e dei traffici a livello europeo; tutti molto interessanti, ma bisognerebbe far sì che queste competenze, ulteriori rispetto ai tradizionali percorsi di studio, siano spendibili effettivamente all'estero per lo studente.
  Sottolineo alla Commissione solo un aspetto sul quale, secondo me, bisognerebbe lavorare anche a livello centrale: il problema dell'equipollenza dei titoli di studio tra i vari Paesi che producono i doppi diplomi e il problema della scala valoriale dei voti. Abbiamo studenti, nella mia piccola università, che vanno a fare un anno in Francia per avere il doppio diploma, sono molto bravi, là prendono voti della metà, perché quello è il sistema dei voti; arrivano da noi e, poiché la tabella di conversione non funziona, sono penalizzati. Francamente, non lo trovo, come nessuno di noi, giusto. Trovare una modalità perché le convenzioni internazionali – qui non so se c'entri il Ministero degli affari esteri piuttosto che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – riconoscano pari dignità ai percorsi in Italia e all'estero.
  Chiudo con l'ultimo punto sulla qualità. È importantissimo che i presìdi di qualità degli atenei, in particolare la questione relativa all'assicurazione della qualità, vengano sempre più promossi con un'attività di consapevolizzazione di una strategia all'interno degli atenei e non più solamente come un'appendice burocratica. Finché non facciamo qualità in questo modo, non aiuta.

  PRESIDENTE. La parola a Maria Buccolo, dottore di ricerca in progettazione e valutazione di processi formativi.

  MARIA BUCCOLO, dottore di ricerca in progettazione e valutazione dei processi formativi. Grazie, presidente. Il mio contributo in Commissione ha una doppia veste, perché attualmente sono ricercatrice all'Università di Roma Tre, con incarico a tempo determinato e, allo stesso tempo, docente di scuola primaria.
  Il tema che mi trovo ad affrontare è sulla didattica incentrata sull'educazione Pag. 16emozionale e partirei da quelle che sono oggi le premesse che cambiano gli scenari della scuola: da una scuola delle conoscenze alla scuola delle competenze. Se, precedentemente, l'approccio era più di tipo disciplinaristico e di contenuti, oggi invece, guardando gli scenari dell'Unione europea, in particolare le raccomandazioni del 2006 con le competenze chiave, ci rendiamo conto che non si formerà più alle discipline, ma saranno le discipline funzionali a educare il cittadino del domani.
  La cosa importante all'interno delle indicazioni nazionali, che recepiscono queste competenze chiave, è che questo cambiamento si ripercuote sulla scuola, ma soprattutto sull'insegnamento. Guardiamo in generale la scuola ieri e la scuola oggi. La scuola, ieri, riguardava soprattutto i contenuti e gli obiettivi disciplinari che rientravano nel programma scolastico; oggi, invece, questi saperi diventano saperi di base che educano il cittadino alle competenze trasversali, che utilizzerà per tutta la vita. Le metodologie sono il fulcro centrale del lavoro pedagogico che oggi investe il ruolo dell'insegnante. C'è un cambiamento da una scuola che guarda a metodi tradizionali e rigidi, come la lezione frontale, ad una scuola dove c'è una flessibilità, dove ciascun individuo deve essere messo in condizione di arrivare a quella competenza con approcci e metodologie differenti. Quindi, salta la lezione frontale e – come dicevano i colleghi che mi hanno preceduto – c'è un approccio più social, volto all'utilizzo delle tecnologie, senza abbandonare il metodo tradizionale, ma integrando i metodi tradizionali.
  La cosa molto importante in questa scuola è il «chi». Se ieri l'insegnante si rivolgeva a tutta la classe guardandola allo stesso modo, oggi noi guardiamo il cittadino-persona nella sua individualità: attraverso questo cambiamento, questo scenario culturale, ciascuno deve essere messo in grado di apprendere quella competenza in diverse modalità.
  Guardiamo al contesto classe. Oggi è un contesto eterogeneo, non ci sono più classi con alunni tutti simili, dalla stessa provenienza: c'è una diversa provenienza sociale e culturale; siamo in una società multiculturale. Le modalità e gli stili di comunicazione cambiano, come anche i bisogni di apprendimento. Oggi si parla sempre più di bisogni speciali di apprendimento ed è proprio in funzione di questo cambiamento che la scuola deve attivare strategie didattiche innovative, incentrate sull'educazione emozionale, sulla possibilità di legare l'insegnamento all'apprendimento più favorevole alle peculiarità di ciascun allievo, che deve essere messo nelle condizioni di apprendere e di valorizzare la sua persona.
  Così si realizza un apprendimento autentico – e mi permetto di citare il concetto di felicità così caro al nostro Ministro dell'istruzione – che in questo momento guarda un po’ all'Europa, e noi ricercatori di pedagogia ne siamo felici, perché si rifà al concetto di capability approach, citato da Nussbaum e Sen, che vede come scopo principale quello di mettere al centro i talenti e sviluppare le potenzialità di ciascun allievo. La felicità, qua, è intesa come quel concetto che, insieme all'azione educativa, dà la possibilità allo studente non solo di apprendere, ma di pensare, di elaborare contenuti, di sentirli e di partecipare all'azione educativa. Così come cita nel testo «Vita emotiva» la senatrice Vanna Iori, attualmente in carica.
  Vengo al fulcro centrale della questione, perché oggi la didattica delle emozioni non deve diventare un'utopia, ma deve essere sviluppata con piani strategici. Quindi, se ogni studente deve essere consapevole di quello che è il processo di apprendimento, deve essere coinvolto. Se uno studente non è motivato, non apprenderà; se uno studente non gestisce le emozioni, non apprenderà; se uno studente non ha sviluppato l'autostima, la socializzazione, l'empatia e l'ascolto, non sarà in condizioni di apprendere.
  Prevenire il disagio e i comportamenti aggressivi. Oggi – come citavano anche i colleghi – anche attraverso i social si diffondono diversi fenomeni: bisogna saper utilizzare le tecnologie. Il fenomeno del cyberbullismo, i comportamenti oppositivi e provocatori, i conflitti e quant'altro sono le minacce della nostra società. Occorre Pag. 17promuovere il benessere psicofisico a scuola; favorire l'alfabetizzazione digitale, per imparare a usare correttamente i nuovi media e combattere il fenomeno delle dipendenze e dell'isolamento dalla vita reale; promuovere azioni che favoriscano inclusione sociale; creare dialogo tra scuola e famiglia. Mi permetto di dire che, se non c'è la sospensione di giudizio, le famiglie non continuano a giudicare la scuola e la scuola non continua a giudicare l'educazione delle famiglie, non riusciamo ad andare avanti. Quindi ci deve essere un cambiamento di sistema che va verso una comunità educante. Formare il cittadino globale: è un tema caldo dell'Agenda 2030, dove sono incluse anche tutte le tematiche dell'ecologia, eccetera.
  Come e dove. Sicuramente quello che cambierà la funzione del docente sono i metodi didattici. Salta la lezione tradizionale, ma la didattica è attiva, c'è bisogno di un «apprendimento dall'esperienza» (cit. Dewey); quindi, in classe, c'è bisogno di apprendimento cooperativo, peer tutoring, problem solving, discussione guidata; c'è bisogno di attività teatrali, flipped classroom, quindi utilizzo delle tecnologie con gli studenti che fanno ricerche in rete, sono in grado di utilizzare la rete come strumento integrativo all'apprendimento; e il compito di realtà. La classe come unico contesto di insegnamento e apprendimento ormai è superata. Il bambino è libero di apprendere in ogni luogo. Cito l’«Educazione diffusa» (il testo di Gallo e Mottana), proprio perché dà indicazioni specifiche del contesto classe e dell'educazione che viene fatta in altri luoghi: non solo i musei, ma contesti destrutturati verso i quali la nostra società deve tendere, proprio per legare l'educazione formale, informale e non formale.
  Concludo con l'ultima slide. La cosa che voglio proporre qui in Commissione è un modello di comunità educante diffusa e tengo a dire che è la politica che deve dialogare con l'educazione che, allo stesso tempo, deve cercare di tirare su un modello di economia di sviluppo sostenibile, che ponga al centro il cittadino democratico, libero di fare delle scelte e di guardare in un'ottica di benessere sociale, economico e culturale.

  PRESIDENTE. La parola a Lorenza Orlandini, esperta di service learning.

  LORENZA ORLANDINI, esperta di service learning. Grazie, presidente. Grazie per l'opportunità di parlarvi oggi di questa metodologia didattica: il service learning. La parola è straniera, ma in realtà la pedagogia è tutta italiana. Si tratta della realizzazione di esperienze vere e proprie all'interno della comunità in cui la scuola è collocata. Il punto di partenza di questo approccio pedagogico è proprio l'analisi dei bisogni, dei temi, dei problemi presenti sul territorio di riferimento, in modo tale che la scuola si possa attivare, possa rispondere e possa offrire delle soluzioni.
  La realizzazione di questi percorsi consente una doppia intenzionalità: una pedagogica, perché i ragazzi si formano a quelle competenze che sono previste dalla progettazione didattica, perché niente è aggiuntivo rispetto al curricolo, tutto avviene all'interno dei tempi della scuola e, contemporaneamente, produce benefici in termini di risposta a un servizio.
  Che cosa è e che cosa non è service learning. Abbiamo avuto la possibilità di studiare i progetti che le scuole proponevano in termini di rapporto con il territorio, e spesso veniva fuori un quadro di una scuola come progettificio, con tante attività che però non avevano alcuna ricaduta dal punto di vista di didattica, di modello di scuola, proprio di sistema scolastico. Quindi il service learning consente alle scuole di lavorare stando dentro le discipline. Tutto è curricolare e si svolge grazie alla collaborazione di più docenti.
  La suggestione che vi lascio è questa, in modo tale da capire bene il rapporto tra apprendimento e servizio. Se andiamo con una classe a ripulire le sponde di un fiume, è una bellissima attività che la scuola deve fare, però è un'attività di servizio, se questi contenuti non sono prima preparati in classe. Se studio soltanto i campioni di quell'acqua al microscopio, è un'attività bella, ma è soltanto apprendimento. Quando Pag. 18gli studenti, insieme alla comunità di riferimento, vanno a ripulire le sponde di un fiume e utilizzano i risultati di questa attività di ricerca per informare la comunità, lì si inizia a delineare un percorso diverso: quello di far dialogare scuola e comunità, scuola e territorio.
  Ci siamo domandati in che maniera il service learning trasforma il modello scolastico. Secondo tre dimensioni: didattica, spazio e tempo, che sono le coordinate dell'innovazione scolastica.
  La didattica. Abbiamo osservato nelle scuole in cui siamo stati, in tutte le fasi del processo, un cambiamento, che è quello del docente che fa un passo indietro e la classe gestisce tanta parte delle attività in tutte le fasi di realizzazione del percorso. Nella fase iniziale di motivazione si studia il contesto in cui ci si trova uscendo dalla classe; si torna in classe e si discute, si fanno osservazioni, si creano momenti di discussione e di dibattito. Quindi capite bene che la lezione frontale si rompe, non è più un meccanismo che può continuare ad essere l'unico modo di fare scuola.
  Gli ambienti di apprendimento. Le metodologie didattiche che mettono al centro lo studente, che deve essere protagonista del percorso, quando si parla di service, necessitano di rompere l'aula. L'aula all'interno non può più essere a righe e a file, ma si riconfigura per sostenere metodologie di tipo cooperativo e collaborativo. Il fatto di lavorare in integrazione con il contesto esterno porta la scuola ad uscire dalle aule. Le attività non sono più in classe, ma sono anche nel contesto di riferimento. Prima parlavamo del fiume, ma può essere una casa per anziani, può essere all'interno di un asilo nido, se pensiamo a progetti in verticale. In tutto questo si trasforma «il cosa e come si impara», ma si trasmette ai ragazzi un modo diverso di stare a scuola, favorendone il benessere. Le ricerche sul movimento che facilita l'apprendimento sono al centro della discussione in pedagogia.
  La dimensione organizzativa delle scuole deve cambiare. Attività di questo genere, orientate allo sviluppo di competenze basate su esperienze, necessitano di tempi più distesi, che vuol dire non uscire dall'orario scolastico ma ripensarlo. Se in una scuola superiore, il primo anno, i ragazzi hanno sei discipline diverse tutte le mattine, escono da quella mattinata di scuola con tante difficoltà. Quindi riorganizzare l'orario per lavorare per competenze.
  Non vogliamo dire che il service è la panacea di tutti i mali educativi, ma sicuramente ci siamo domandati in che maniera può contribuire a creare un'educazione di qualità, e l'abbiamo fatto parlando con i ragazzi, con gli studenti che sono stati oggetto della nostra ricerca. Sono venuti fuori alcuni orientamenti molto interessanti da questo punto di vista, quindi il riconoscimento di fare esperienze significative perché legate a un bisogno vero e sentito. Si fa esperienza dentro la scuola non per far fare loro qualcosa, ma perché siano veramente esperienze in cui essi sentano di avere un ruolo importante, quindi di praticare anche quelle competenze di cittadinanza attiva. Questa è stata la sorpresa della nostra ricerca: vedere quanto le competenze di cittadinanza si fossero sviluppate grazie a questo tipo di approccio.
  Il service non è l'unico modo per innovare la scuola: fa parte di una visione di sistema, come diceva il professore prima; fa parte della galleria di idee per l'innovazione di avanguardie; un'azione sulla scuola a trecentosessanta gradi che tiene presente diverse metodologie didattiche, diversi approcci didattici, l'attenzione sugli spazi e gli ambienti di apprendimento, con l'obiettivo di cercare di capire in che maniera anche questi processi di innovazione che noi inseriamo nelle scuole hanno delle ricadute. I primi dati sono confortanti per noi: ci fanno vedere come ci siano esiti positivi in termini di apprendimenti, di acquisizione di competenze trasversali, di clima in classe in quelle scuole che ormai da anni hanno attivato percorsi di innovazione secondo questa logica. L'avanguardia non è da sola, ma è supportata da altre due azioni: una sulle piccole scuole. Il 45 per cento delle nostre scuole primarie italiane sono piccole scuole, quindi scuole con marginalità geografica con contesti di pluriclasse. Chi è stato a «Didacta» recentemente avrà potuto Pag. 19 vedere il prototipo di scuola del futuro che partiva proprio da questa idea di «uno più quattro» ambienti per l'apprendimento. Si tratta di costruire una visione di scuola diversa, tenendo presente che si lavora per i nostri studenti e per il loro benessere.

  PRESIDENTE. Passiamo ora la parola a Francesca Scafuto, dottore di ricerca in psicologia della salute.

  FRANCESCA SCAFUTO, dottore di ricerca in psicologia della salute. Come cambiare, come innovare l'ecosistema scuola? Mi presento dicendo che ho avuto diversi ruoli nella scuola come insegnante, come psicologa e come ricercatrice: adesso sono nella valutazione del progetto «Gaia», che abbiamo effettuato in diverse scuole italiane.
  Mi fa piacere citare un'esperienza: la «Fulbright scholarship», da cui sono rientrata da poco, dove ho insegnato e fatto ricerca in un college americano, proprio a partire dall'internazionalizzazione di cui parlavamo.
  In questo intervento voglio trattare cosa influisce sull'apprendimento; la scuola che promuove il benessere; quali sono i fattori predittivi; quale modello alla base dell'innovazione didattica e di che tipo di innovazione parliamo; metodi e strumenti di innovazione strutturale, che non sia episodica; la valutazione, con alcune proposte di valutazione di questi metodi; la formazione alle life skill di cui tanto abbiamo sentito parlare, che sono simili alle soft skill o competenze trasversali; e il progetto «Gaia». Brevemente vi cito i risultati e una conclusione.
  Cosa influisce sull'apprendimento? Sicuramente le emozioni, sia degli insegnanti che degli studenti, e il tipo di relazione che intercorre tra loro; il benessere; la motivazione e il piacere. Si attivano alcuni circuiti dopaminergici: l'apprendimento è una modifica della struttura biochimica del cervello, quindi più si attiva dopamina, più c'è piacere e più c'è apprendimento. Quindi è bello ricercare. Il social and emotional learning è l'apprendimento socio-emotivo e diversi programmi che sono stati effettuati hanno riscontrato un effetto positivo sulla prestazione anche cognitiva dei ragazzi, dall'asilo alle scuole superiori.
  Cosa promuove il benessere. La qualità delle relazioni e il sostegno sociale; il legame con la comunità – queste sono tutte ricerche che vi cito –; fiducia nelle capacità dell'istituzione di farsi carico dei compiti educativi; la relazione con la natura, che è un contesto privilegiato di apprendimento, di benessere e di salute; l'efficacia collettiva e il credere di poter raggiungere insieme un obiettivo; la promozione di valori legati alla cooperazione all'universalismo, non al potere e al successo individuale (quelli non sono correlati al benessere); consapevolezza di sé e mindfulness, su cui sto lavorando, in particolare con il progetto «Gaia», insieme al Villaggio globale e all'Istituto di psicosomatica. La mindfulness è l'attenzione che si focalizza al momento presente e parte dalla consapevolezza di sé, dalla propria percezione corporea: come sono seduta in questo momento; com'è la mia postura; com'è il mio respiro, e prevede un'osservazione e un'accettazione senza giudizio. La mindfulness è stata studiata in migliaia di ricerche e produce effetti sulle prestazioni cognitive e anche il miglioramento delle social and emotional skill.
  Definire l'innovazione. Non è tutto completamente nuovo, perché ci rifacciamo ad alcuni modelli del passato; però, quello che è nuovo è andare ad integrare un modello in modo costante, strutturale e andare a rispondere alle sfide attuali, come per esempio quelle dello sviluppo sostenibile, e quindi l'Agenda 2030 con gli obiettivi di sostenibilità. Si parla adesso anche di intelligenza ecologica, che va promossa.
  Definire l'educazione è non solo una trasmissione della cultura e dei modelli educativi, ma anche un portare fuori attitudini e talenti. Gli scopi principali sono alimentare domande: è importantissimo accendere un fuoco, più che andare a riempire vasi credendoli vuoti, ed è educativo l'ambiente che stimola le intelligenze multiple, l'interconnessione dei saperi e le life skill e una cittadinanza globale consapevole. Pag. 20
  La scuola come ecosistema. Il modello è un modo di vedere la realtà che è anche alla base della scienza, della conoscenza, come noi produciamo conoscenza. La scuola è un ecosistema, è un sottosistema di sistemi più allargati e, a sua volta, ha alcuni sottosistemi all'interno. Quindi andiamo a guardare le relazioni tra gli elementi piuttosto che i singoli elementi. Invece di andare a guardare il disturbo di apprendimento del singolo alunno o il disagio del singolo alunno, dobbiamo avere un approccio olistico sistemico, pensando l'essere umano come una unità bio-psicosociale con il metodo, che può essere definito anche un paradigma, della ricercazione. Faccio, produco conoscenza solo quando vado a trasformare il contesto. Non posso avere una fotografia, ma posso filmare il processo, posso fare un video del cambiamento del mio intervento. Quindi la relazione docente/discente è caratterizzata da un'attitudine democratica e non moralistica. Una lezione frontale non può essere, in questo paradigma, formativa come lo è invece quella esperienziale, magari alternando un po’ di frontale e di esperienziale.
  Questa è una slide in cui ho riassunto i problemi della scuola, intesa come ecosistema ai vari livelli: dall'individuo al microsistema, all'organizzazione, la comunità e il macrosistema (culturale e politico), in cui mi pongo; dall'altra parte della slide vedete gli obiettivi e gli oggetti di intervento, perché chiaramente i problemi, in un'ottica progettuale, diventano opportunità, obiettivi da conseguire.
  Andiamo a vedere a livello individuale microsistemico, a livello del gruppo classe e del gruppo dei docenti. Abbiamo già citato l'apprendimento cooperativo in piccoli gruppi che deriva anche dalle learning communities; le flipped lesson method che abbinano il metodo individuale con quello esperienziale in classe; l'approccio maieutico per esempio di Danilo Dolci. Ci sono diversi metodi. L'apprendimento socio-emotivo, quello basato sulla mindfulness e gli strumenti art beast e body oriented, come il Social Presencing Theater: qui vedete alcune fotografie di laboratori che ho realizzato lì per l'urbanistica partecipata, in cui utilizzano proprio il corpo come fonte di conoscenza e di apprendimento. Vuol dire che, attraverso per esempio una scultura del corpo, possiamo andare ad individuare il problema del territorio in quel caso, il problema di una classe in quel caso, il vissuto emotivo legato a quel problema o anche, per esempio, un concetto. Come ve lo rappresentate con il corpo? Perché attraverso questa comunicazione non verbale possiamo avere accesso a quelle che sono le teorie implicite, i pregiudizi rispetto a quel concetto, per esempio, o rispetto a tutta una conoscenza inconsapevole che spesso non sappiamo di avere.
  A livello organizzativo si interviene sulla decision making, sulla partecipazione, sui metodi di progettazione partecipata, come per esempio i GOPP (Goal oriented project planning), incoraggiata dalla stessa Commissione europea. Ci sono metodi che prendono proprio spunto dalla relazione con la natura: la permacultura sociale; la deep democracy e, per promuovere il benessere organizzativo, anche il lavoro sull'analisi dei bisogni ed evitare il burnout.
  Principi ispiratori dei diversi metodi pedagogici sono: comunità; gioco; immaginazione; natura; partecipazione; ascolto; verifica dei metodi e dell'impatto di questi metodi; e una visione sistemica interdisciplinare dei saperi. Ci sono strumenti per valutare questo impatto? Ne cito qui alcuni. Si può valutare il benessere personale, organizzativo, la felicità soggettiva, l'intelligenza emotiva, la relazione con la natura, la mindfulness, i valori, la consapevolezza critica. Si possono valutare quantitativamente e qualitativamente. Chiaramente chi valuta chi? Tutto questo implica anche che ci siano figure professionali nell'ambito delle scienze umane e sociali che lavorino nella scuola. Quindi, la domanda nasce spontanea rispetto, per esempio, alla psicologia scolastica: che fine ha fatto? C'è una proposta di legge depositata, di cui non è ancora iniziato l'esame. Però, nella maggior parte dei Paesi europei, lo psicologo scolastico c'è, alle dipendenze del ministero o degli enti locali, e non è una figura presente in modo discontinuo e discrezionale Pag. 21 rispetto alla volontà dei dirigenti scolastici.

  PRESIDENTE. Devo concludere questo intervento per ascoltare i commissari. Chiedo pertanto se ci sono interventi.

  VITTORIA CASA. Ringrazio per il confronto che è sempre costruttivo. Sono stata colpita molto dai primi due interventi che hanno messo l'accento sul nucleo di tutta la discussione sulla formazione dei docenti e, in particolare, sullo scollamento che c'è fra l'università, il mondo della formazione universitaria e – come diceva il professore – quella scolastica. Quindi, quali interventi strutturali? Il professore parlava di interventi strutturali molto corposi e non di singoli interventi; però quali potrebbero essere? Mi piacerebbe avere delle risposte per cominciare a fare un'analisi per approfondire questo tema. Quali, secondo voi, che provenite da quel mondo e quindi lo vivete giorno per giorno, potrebbero essere i cambiamenti o le prospettive su cui poter lavorare? Vorrei anche capire se l'ultima riforma dell'università (quella del tre più due) ha contribuito a un indebolimento della formazione universitaria.

  LUCIA CIAMPI. Credo che questa indagine conoscitiva sia per noi estremamente importante per comprendere meglio lo stato della nostra scuola.
  Mi ha colpito la consonanza tra le audizioni precedenti: abbiamo ascoltato dirigenti scolastici che hanno portato avanti esperienze molto interessanti di innovazione didattica e voi, che portate avanti un'azione di ricerca, quindi prassi e teoria: il binomio da sempre prediletto dalla scuola.
  Credo che sia molto interessante quanto si è detto relativamente alla definizione di educazione, che poi è l'oggetto della nostra indagine, che mira al potenziamento della qualità della scuola e, quindi, delle capacità didattiche degli insegnanti attraverso la loro formazione. Mi interessa in particolare come pensate che si possa definire l'educazione, che si può definire anche come rapporto con il contesto. Come è stato detto, infatti, un'innovazione didattica deve tenere conto del contesto presente culturale, della spinta tecnologica e quindi dell'innovazione culturale. Ma – e questo è forse un retaggio culturale della mia vecchia formazione – qual è il rapporto con le teorie pedagogiche, con i modelli che, come insegnanti, ci portiamo dietro e magari ci hanno appassionato, o addirittura sono stati quelli che ci hanno proprio spinto a insegnare? Faccio riferimento personalmente a Montessori, Dewey, don Milani. Mi interessa questo aspetto, perché credo che nella definizione di educazione vada inserito anche questo amore per lo studio teorico della pedagogia e dei grandi pedagogisti.

  PRESIDENTE. Siccome ci sono domande a cui potremmo rispondere in pochi minuti, passo la parola al professor Mario Caligiuri.

  MARIO CALIGIURI, professore ordinario di Pedagogia della comunicazione. Grazie, presidente. Gli interventi strutturali non sono mai popolari. Una mia studentessa ha svolto una tesi sulla comparazione tra gli insegnanti in Italia e quelli del resto d'Europa: gli insegnanti in Germania guadagnano il 130 per cento in più dei nostri. C'è però un dettaglio: sono la metà dei nostri. Quindi bisogna chiarire gli scopi dell'educazione.
  Noi vogliamo che la scuola e università siano ammortizzatori sociali o agenzie di socializzazione da un lato o luoghi dove si costruisce la democrazia e si affrontano le sfide dell'intelligenza artificiale, che devono porre la persona al centro? Perché le discipline che serviranno per scuola e università da qui a dieci anni non le conosce nessuno. C'è uno studio del Dipartimento del lavoro americano che spiega che chi va a scuola adesso, quando finirà gli studi, nel 65 per cento dei casi svolgerà un lavoro che ancora non è stato inventato e noi ancora formiamo ragionieri, geometri, periti, laureati in psicologia, in pedagogia: professioni destinate alla disoccupazione perenne.
  Quanto alle teorie pedagogiche, c'è un libro molto interessante di Claudio Giunta che si intitola «E se non fosse una buona Pag. 22battaglia?», in cui descrive lo stato attuale della pedagogia italiana, dove si usa soprattutto un linguaggio per eludere la realtà e non per descriverla. Questa manualistica crea danni immensi a tutti i livelli. Bisogna capire che l'oggetto del desiderio della nostra attività (lo studente) è profondamente cambiato: analizza le informazioni a livello cerebrale in maniera diversa da noi che, invece, continuiamo come se nulla fosse successo. Credo, quindi, che stiamo andando nella direzione sbagliata.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Paolo Gheda.

  PAOLO GHEDA, professore aggregato di Storia contemporanea. Mi accodo alle considerazioni del professor Caligiuri. L'università è organizzata in settori, in aree disciplinari; ogni area disciplinare ovviamente tiene molto al proprio settore e ai propri oggetti di indagine che sono tutti di grande rilievo e diventano sempre più specialistici. Da qui ricade il fatto che la produzione in termini scientifici, ma anche didattici, quindi manualistici, è sempre più specifica. Il problema in termini di professionalità, di ricaduta sulle scuole, risiede nel fatto che i docenti fanno molta fatica ad allargare il respiro, quando devono parlare di cose solo generali della propria disciplina.
  Per farla breve, ciò che viene penalizzato nell'università ricade poi come penalizzazione sulla scuola, cioè la multidisciplinarità. Questa non è valorizzata e – come diceva anche il professor Caligiuri prima – il vero problema è che i settori fluttuano, cambiano, perché la realtà cambia, mentre i settori sono rigidi. Quindi bisognerebbe far sì che a livello di valutazione, partendo dall'università, venisse più premiata l'attenzione per la multidisciplinarità, da cui discende una mentalità più elastica che rende anche i docenti universitari capaci di scrivere cose che servano di più alla scuola.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Maria Buccolo.

  MARIA BUCCOLO, dottore di ricerca in progettazione e valutazione dei processi formativi. Le skill pedagogiche sicuramente sono la base forte di questo sistema, perché il metodo Montessori è conosciuto in tutto il mondo, ma è ancora applicato in Italia: è la base dell'apprendimento per le esperienze. Senza le teorie pedagogiche non si può costruire sottodidattica innovativa.
  Faccio un rapido esempio. Oggi c'è un maggior aumento dei disturbi specifici dell'apprendimento e gli insegnanti devono essere formati a questo con metodi che possono differenziare la didattica. Esiste ancora il libro da leggere, però, se c'è un bambino dislessico, l'insegnante dovrà essere in grado di utilizzare un altro sistema, magari servendosi della LIM e di altri strumenti. Quello che oggi deve convivere è una forte teoria pedagogica basata sulle scuole di pensiero salde (Agazzi, Montessori e Dewey) e altri pedagogisti innovativi. In più, l'uso delle tecnologie per l'informazione e la comunicazione è fondamentale.
  La nostra proposta – legandomi anche a quello che hanno detto i docenti che mi hanno preceduto – è che i docenti di scuola siano formati alla ricerca, che siano ricercatori in azione, proprio perché non possiamo oggi, che ci sono i nativi digitali che hanno una mente molto più evoluta, pensare con un pensiero tradizionale e quindi non guardare al futuro.
  Chiudo dicendo che in tutto questo sistema non ci dobbiamo dimenticare delle famiglie che hanno perso la valorialità: non ci sono più valori. Alla scuola viene demandato tutto quell'assetto di valori e di educazione emotiva che prima era nelle famiglie e i docenti devono fare un'educazione emotiva proprio per prendersi carico di tutto quello che accade all'interno della società.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Lorenza Orlandini.

  LORENZA ORLANDINI, esperta di service learning. Rispondo in particolare su questo affondo sulle teorie pedagogiche. L'apprendimento al servizio di cui parlavo oggi ha le sue radici nelle teorie di Dewey, Pag. 23di Paulo Freire, in Italia di don Lorenzo Milani ed è il «mi prendo cura», che è alla base di questo approccio. È difficile da tradurre in italiano, viene fuori «apprendimento servizio», sembra anche una strumentalizzazione. In realtà, è una crescita importante dei ragazzi da un punto di vista delle competenze, non solo come studenti ma proprio come cittadini.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Francesca Scafuto.

  FRANCESCA SCAFUTO, dottore di ricerca in psicologia della salute. Parlando di definizione, l'educazione è, a mio avviso, anzitutto promozione della salute; è prevenzione dei disagi individuali e sociali e, di conseguenza, è anche scienza dell'utopia, che non è qualcosa che non avrà luogo, ma che avrà luogo: quindi noi pensiamo ad un progetto formativo per la persona, ma anche per la società che vogliamo costruire. Non è schiacciata sul materialismo e sul pragmatismo, sull'utilità, sull'immediata spendibilità di quello che insegniamo, ma abbiamo un respiro più ampio, rivolto alla cittadinanza globale sicuramente.
  Abbiamo un milione e mezzo di bambini che hanno disturbi psichici: è un problema non solo di salute mentale, è un problema anche della scuola. Io avevo ragazzini isolati socialmente sui videogiochi, con la «sindrome di hikikomori», e uno di loro, quando gli ho chiesto – nell'ambito di un progetto che ho fatto contro la dispersione scolastica – «qual è la cosa che i giochi ti danno, che il mondo virtuale ti dà che la scuola non ti dà», mi ha detto «tre cose: il gioco, il divertimento, lo spirito di avventura e la socializzazione». È grave, perché, se si socializza on line e non in classe, vuol dire che c'è un grosso problema di apprendimento emotivo, socio-emotivo, di formazione e, chiaramente, di relazione con il pianeta Terra. Per questo abbiamo fatto il «Gaia», che dimostra di indurre una riduzione dei sintomi di depressione, di ansia, di iperattività e di aggressività nei bambini e nei ragazzi e che promuove questa vivibilità armoniosa con la natura.
  Abbiamo lavorato sulla Carta della Terra, che è una dichiarazione universale proprio dei popoli, sposata da milioni di persone, perché non c'è più un dualismo – è questo che bisogna superare, quando si parla di interdisciplinarietà – tra scienze umane e sociali e scienze esatte, non c'è dualismo tra scienza e arte. Questi dualismi vanno superati e l'essere umano va considerato come progetto unico, in connessione con gli altri viventi, compresa Gaia, la Terra.

  PRESIDENTE. Ringrazio per tutti gli interventi e autorizzo la pubblicazione delle memorie depositate in allegato al resoconto stenografico (vedi allegati). Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.

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ALLEGATO 1

Memoria depositata dalla dirigente scolastica dell'Istituto comprensivo di Santa Marina Policastro

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ALLEGATO 2

Memoria depositata dalla dirigente scolastica dell'IISS Ernesto Ascione di Palermo

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ALLEGATO 3

Memoria depositata dalla dirigente scolastica dell'Istituto comprensivo di Pontecagnano S. Antonio

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ALLEGATO 4

Memoria depositata dalla dirigente scolastica dell'Istituto comprensivo statale 12 di Bologna

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ALLEGATO 5

Memoria depositata da Francesca Scafuto: Presentazione
del progetto GAIA

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ALLEGATO 6

Memorie depositate da Lorenza Orlandini
a) Linee guida per l'implementazione dell'idea

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b) Presentazione informatica di Service learning

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ALLEGATO 7

Memoria depositata da Maria Buccolo: Le emergenze educative della società contemporanea

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