XVIII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 11 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallo Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI INNOVAZIONE DIDATTICA

Audizione di: Anna Maria Ajello, Presidente dell'INVALSI e Giovanni Biondi, Presidente dell'INDIRE.
Gallo Luigi , Presidente ... 3 
Biondi Giovanni , presidente dell'INDIRE ... 3 
Gallo Luigi , Presidente ... 6 
Ajello Anna Maria , presidente dell'INVALSI ... 6 
Gallo Luigi , Presidente ... 8 
Fusacchia Alessandro (Misto-+E-CD)  ... 9 
Casa Vittoria (M5S)  ... 11 
Aprea Valentina (FI)  ... 11 
Mollicone Federico (FDI)  ... 13 
Gallo Luigi , Presidente ... 14 
Biondi Giovanni , presidente dell'INDIRE ... 14 
Gallo Luigi , Presidente ... 15 
Ajello Anna Maria , presidente dell'INVALSI ... 15 
Gallo Luigi , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata da Giovanni Bianchi, Presidente di INDIRE ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI GALLO

  La seduta comincia alle 11.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna è garantita anche dalla trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di: Anna Maria Ajello, Presidente dell'INVALSI e Giovanni Biondi, Presidente dell'INDIRE.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di innovazione didattica, l'audizione di rappresentanti dell'INVALSI e dell'INDIRE. Sono presenti Anna Maria Ajello, Presidente dell'INVALSI; Paolo Mazzoli, Direttore Generale dell'INVALSI; Roberto Ricci, Dirigente di Ricerca dell'INVALSI; Maria Teresa Marzano, Responsabile della Comunicazione dell'INVALSI; Giovanni Biondi, Presidente dell'INDIRE; Flaminio Galli, Direttore Generale dell'INDIRE; Sara Pagliai, Coordinatrice dell'Agenzia Erasmus + /Indire; Luca Rosetti, Responsabile della Comunicazione dell'INDIRE.
  Saluto i nostri ospiti e li ringrazio della loro presenza. Avverto che le memorie trasmesse dall'INDIRE (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) sono disponibili sulla piattaforma GeoCom.
  Come di consueto, darò la parola prima agli auditi, quindi ai colleghi che la chiederanno per porre questioni e, da ultimo, di nuovo agli auditi per le risposte e i chiarimenti. Abbiamo tempo fino alle 12.30. Invito pertanto i nostri ospiti a contenere le loro relazioni iniziali in quindici minuti per l'INVALSI e quindici per l'INDIRE, in modo che si possa poi passare alle domande dei deputati e, di seguito, alle vostre repliche. Visto che la presentazione è già in visione in Commissione, partiamo da Giovanni Biondi, presidente dell'INDIRE.

  GIOVANNI BIONDI, presidente dell'INDIRE. La ringrazio, presidente. È un piacere presentare il contributo di INDIRE per l'innovazione didattica. Voi sapete che l'Istituto ha come mission principale il sostegno e l'attivazione di processi di innovazione didattica.
  Abbiamo una vasta rete di collaborazioni sia internazionali che nazionali, che va da Harvard e la Columbia University negli Stati Uniti fino a una serie di università italiane ed enti di ricerca. Cercherò di presentare le iniziative di innovazione che promuoviamo attraverso un'organizzazione.
  La prima immagine che vi propongo è questa: come vedete non è un'immagine di ragazzi italiani, ma di una classe danese. Ciò per significare che l'analisi del sistema scolastico e soprattutto del modello scolastico si basa su un modello industriale di organizzazione della scuola che è comune a tutti i sistemi scolastici dei Paesi occidentali e che ha svolto il suo compito – quello di traghettare una società sostanzialmente analfabeta verso un mondo industriale – dando alcune competenze di base che erano leggere, scrivere e far di conto. Quindi, una trasmissione del sapere fondata soprattutto sulla lezione frontale, sull'ascolto e sull'utilizzo dei libri di testo.
  Il problema è che questo modello in questo momento è in difficoltà in tutti i Paesi europei. Io sono anche chairman di European Schoolnet, consorzio di 32 Ministeri dell'educazione in Europa, compresi Pag. 4Israele e Paesi non appartenenti all'UE, che ha adottato questa linea, Transforming education, cioè puntare alla trasformazione del modello: un tema comune a tutti i Paesi europei in questo momento.
  Il movimento dell'avanguardia educativa è stato fondato ormai cinque anni fa: è partito dal tentativo di portare a sistema l'innovazione delle scuole. In alcuni casi si trattava di iniziative promosse dalle scuole direttamente, in altri casi di iniziative che INDIRE aveva avviato e che erano state adottate dalle scuole. Siamo partiti con 22 scuole, una di queste era quella di Salvatore Giuliano – attualmente sottosegretario – a Brindisi, e siamo arrivati nel giro di cinque anni a 884. Come vedete dalla mappa, è un movimento distribuito su tutto il territorio nazionale, che riguarda i diversi gradi e livelli di scuola. Il tutto nasce intorno a questo manifesto, che si pone obiettivi di riorganizzazione del tempo del fare scuola, dell'utilizzo delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dalla trasformazione del modello trasmissivo. Questo non significa che non diamo valore alla lezione: la lezione ha un grande valore ed è molto importante, ma oggi dobbiamo utilizzare anche altre metodologie di lavoro.
  INDIRE ha fatto un lavoro di emersione dell'innovazione della scuola. Siamo partiti con un certo numero di idee, che sono poi cresciute e sono state portate a sistema, facendo contemporaneamente una lettura dell'innovazione nelle scuole italiane e il tentativo di portarle a sistema.
  Come avete visto, il numero delle scuole oggi è importante: dal punto di vista numerico credo sia il più importante movimento di innovazione in Europa, non solo in Italia, perché più di 800 scuole sono oltre il 10 per cento delle scuole italiane.
  Le 17 idee della gallery che attualmente stanno dentro il manifesto sono molto varie, sono soprattutto idee di tipo metodologico che cercano di dare alternative alla semplice lezione frontale e alla lettura del libro di testo. Ci sono vari tipi di approccio, ma è chiaro che le idee sono collegate fra loro; infatti le scuole magari iniziano da un'idea e poi ne adottano altre.
  I docenti attualmente in formazione sono oltre 6.000. Abbiamo oltre 267 aspetti di formazione; abbiamo cominciato a creare un Albo di formatori, di insegnanti più maturi sull'innovazione, che possono aiutare altri insegnanti.
  Una costola di questo movimento si è sviluppata sulle piccole scuole. Voi sapete che le piccole scuole oggi in Italia, per la conformazione geografica del nostro territorio, sono moltissime e coinvolgono oltre 1 milione di studenti. Le piccole scuole rischiano di essere considerate scuole di serie B sia perché hanno le pluriclassi, sia perché hanno metodologie a volte obsolete, sia perché vivono l'isolamento. Siccome la scuola è un ambiente sociale, dove si cresce e si apprende, il superamento dell'isolamento è fondamentale. Quindi abbiamo creato questo manifesto, intorno al quale oggi ci sono oltre 900 scuole, dal nord al sud d'Italia, che stanno cercando di lavorare su questi tre obiettivi: un utilizzo delle tecnologie e dell'inclusione sociale per superare l'isolamento; dare all'esperienza delle pluriclassi la possibilità di rappresentare una risposta e non un limite, anche attraverso una riorganizzazione del curriculum; un forte collegamento con il territorio.
  Abbiamo processi di formazione che coinvolgono oltre 500 docenti: è un movimento che si estende dalle piccole isole alle scuole di montagna.
  INDIRE si occupa anche della formazione in servizio dei docenti neoassunti, dell'anno di prova, e i numeri sono estremamente importanti se li consideriamo dal 2014 ad oggi, perché siamo partiti da 23.000 e oggi sono in formazione oltre 30.000 insegnanti. L'anno scorso, per la prima volta, (quest'anno l'abbiamo ripetuto) abbiamo invitato gli insegnanti del periodo dell'anno di prova a fare una visita in una delle scuole innovative, per facilitare il contagio dell'innovazione. Naturalmente lo facciamo in accordo con il Ministero e con gli uffici scolastici regionali.
  Un'altra dimensione con la quale cerchiamo di favorire l'innovazione è la collaborazione europea. Questo Progetto eTwinning oggi coinvolge 70.000 docenti italiani (quindi numeri che cominciano a essere importanti), Pag. 524.000 progetti attivati, 11.000 plessi scolastici registrati, 500.000 alunni. Come vedete dai grafici, è in continua crescita la partecipazione a eTwinning e in questa attività gli insegnanti attivano tematiche legate all'innovazione, quindi il pensiero computazionale fra gioco e didattica e altro.
  Non è un gemellaggio turistico, è un'attività didattica che si svolge in parallelo fra due classi di due Paesi, l'Italia e un altro Paese europeo. Sono progetti che vengono portati parallelamente avanti attraverso una piattaforma europea sulla quale lavoriamo, che in questo momento coinvolge numeri importanti. In alcuni Paesi la partecipazione a eTwinning viene considerata valida ai fini della formazione in servizio degli insegnanti.
  Un altro settore nel quale stiamo lavorando sono le architetture scolastiche, perché lo spazio è un grande insegnante, quindi abbiamo bisogno di innovare l'organizzazione degli spazi. Da questo punto di vista c'è un settore di ricerca, collaboriamo anche con l'OCSE, abbiamo fatto un manifesto presentato in vari convegni internazionali che ha avuto un buon successo. Stiamo aiutando anche amministrazioni locali che stanno costruendo nuove scuole a progettarle secondo una visione che metta insieme il disegno dell'architettura con l'innovazione metodologica, per avere non più soltanto aule normali o speciali come i laboratori e i corridoi, ma un'organizzazione funzionale a un cambiamento della didattica.
  Nella nostra organizzazione interveniamo su quattro aree: la prima è quella umanistica, sulla quale lavoriamo con studenti e scuole per esempio sulla grammatica valenziale, sulla filosofia, sull'insegnamento delle lingue; ma lavoriamo anche sull'area artistico-espressiva. Abbiamo un portale specifico per l'area della musica, della coreutica, che ha 27.000 accessi al portale, 540 docenti iscritti, facciamo formazione in presenza.
  Nell'area scientifico-tecnologica (questo riguarda soprattutto la parte tecnologica) abbiamo una serie di iniziative e abbiamo anche realizzato con dei brevetti alcune applicazioni che aiutano la scuola. Uno di questi è «edMondo», un ambiente virtuale che risiede nelle nostre macchine, all'interno del quale lavorano i ragazzi con degli avatar, come quello delle stampanti 3D che abbiamo utilizzato anche nella scuola dell'infanzia. I bambini fanno storytelling disegnando i personaggi o i giochi su un tablet o su una lavagna digitale e poi li realizzano con la stampante 3D.
  Sempre sull'area delle STEM, anche in questo settore lavoriamo con scuole che fanno sperimentazioni.
  Abbiamo la banca dati degli ITS e lavoriamo a supporto del modello didattico e organizzativo degli Istituti Tecnici Superiori. Vorrei sottolineare che l'81 per cento dei diplomati ITS si mostra soddisfatto dei lavori che ha fatto, ma soprattutto ottiene un lavoro a 12 mesi: è il segmento formativo con il più alto risultato occupazionale.
  Stiamo costruendo la biblioteca dell'innovazione proprio a supporto della diffusione e del mettere a sistema la conoscenza che la scuola produce, per non disperderla. E poi abbiamo tutta una parte che riguarda i monitoraggi che conduciamo su incarico del Ministero. Uno riguarda l'educazione degli adulti che, come vedete, è molto articolata e ha anche un segmento di FAD, cioè di formazione a distanza, perché è previsto esplicitamente per l'educazione degli adulti.
  Abbiamo fatto anche analisi su oltre 3.500 piani di miglioramento che evidenzia come spesso le scuole facciano il piano di miglioramento più per adempimento burocratico che perché abbiano un processo chiaro.
  Abbiamo una banca dati che riguarda tutti i progetti PON (Programma operativo nazionale), attualmente con 214 milioni di record; quindi credo che sia la più grande banca dati sulle attività delle scuole. I PON riguardano tutte le tematiche: dalla dispersione scolastica al potenziamento delle materie di base, all'integrazione; non ho il tempo di illustrare i dati, anche se sono importanti.
  Abbiamo un'altra banca dati che riguarda tutti gli interventi eseguiti sugli edifici scolastici. Anche in questo caso i numeri sono importanti e collegati ai temi Pag. 6dell'innovazione, perché gli interventi sugli edifici dovrebbero supportare. Abbiamo Erasmus per la scuola che coinvolge oltre 2.600 progetti di cooperazione nel settore: 108 progetti per l'innovazione coordinati da scuole italiane (naturalmente Erasmus è internazionale, quindi per partecipare occorre che ci siano almeno due partner in Europa).
  Un altro segmento di Erasmus riguarda l'educazione degli adulti. Abbiamo organizzato le nostre attività in base anche agli obiettivi dell'agenda europea e quindi dello sviluppo sostenibile, e partecipiamo a European Schoolnet, il Consorzio sull'innovazione, e a Didacta, che l'anno scorso ha coinvolto 24.000 docenti con oltre 400 workshop immersivi di formazione per i docenti. Nel complesso, nei vari INDIRE, coinvolge oltre 2.300 scuole e 150.000 insegnanti. Molte di queste attività sono autofinanziate da INDIRE, perché non abbiamo un finanziamento diretto se non per alcune cose, quindi utilizziamo al meglio i nostri fondi europei. Grazie dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Ascoltiamo adesso Anna Maria Ajello, presidente dell'INVALSI, a cui do la parola.

  ANNA MARIA AJELLO, presidente dell'INVALSI. Buongiorno. Sono qui oggi nella funzione complementare che la volta scorsa ha svolto il dottor Biondi, nel senso che mentre l'altra volta si concentrava l'attenzione sulla funzione della valutazione nella scuola, di cui l'INVALSI porta un carico, in questo caso abbiamo una situazione diversa, nel senso che mettiamo i nostri dati a disposizione di soggetti come istituzioni, altri Ministeri o anche le scuole stesse. Quindi proponiamo questi dati anche in virtù del perseguimento dei due obiettivi indicati nell'Agenda 2030: il possesso delle abilità rilevanti e l'accesso all'educazione formale di qualità. I nostri dati possono contribuire a considerare in che modo si sta orientando l'attività verso questi obiettivi.
  Se vogliamo distinguere il tipo di conoscenza che abbiamo delle innovazioni didattiche, abbiamo due tipi di fonti: una diretta e una indiretta. La fonte diretta è costituita dai rapporti di autovalutazione e le visite esterne; la fonte indiretta è data dalla restituzione delle prove (vi dirò dopo in che misura). Nel RAV (Rapporto di autovalutazione) e nelle visite esterne abbiamo informazioni dirette da parte delle scuole sulle innovazioni che conducono, perché nel RAV le scuole raccontano cosa fanno e hanno anche criteri proposti dal format per considerarne l'efficacia.
  L'impressione che abbiamo dalle visite esterne è che le scuole usino i criteri con grande saggezza, cioè non sparino il loro giudizio con un'autoassoluzione, tanto che i rapporti dei nuclei di valutazione esterna in genere o confermano o oscillano di un grado sopra o un grado sotto rispetto alla valutazione che la scuola si fa. Questa capacità riflessiva che mediante la valutazione viene introdotta è profondamente importante. In più, in questi rapporti redatti dai NEV, nuclei di valutazione esterna, si rileva anche l'esigenza delle scuole di confrontarsi: spesso le scuole vicine chiedono ai NEV di essere visitate a loro volta; quindi tutt'altra idea rispetto a un controllo ispettivo: piuttosto, un'esigenza di dialogo in funzione quasi di un amico critico. Questo significa che sta diffondendosi un'idea di valutazione che non è quella occhiuta dell'ispezione, ma quella di una valutazione negoziata, che peraltro in letteratura è considerata più aggiornata e corretta per la funzione promozionale di riflessività indotta rispetto alle pratiche che mettono in atto gli insegnanti.
  Qualora la Commissione avesse interesse a qualche particolare aspetto di scuole o di zone, dopo il 10 luglio, data in cui siete tutti invitati a partecipare alla presentazione pubblica dei nostri dati proprio qui alla Camera, possiamo svolgere attività aggiuntive.
  Per quanto riguarda la restituzione degli esiti delle prove che facciamo regolarmente – anche supplendo a una carenza di fatto nella formazione dei docenti rispetto a cos'è e come si costruisce una prova standardizzata, perché gli insegnanti valutano, ma non hanno alcuna formazione iniziale (parlo da universitaria) su come si Pag. 7costruisce una prova standardizzata – (mi piace ricordarlo perché mi trovo spesso a dover spiegare che ci vogliono tempi, quando gli insegnanti vogliono capire come funzionano queste prove, anche discutendo gli esiti dei loro studenti), è un'attività che noi facciamo molto volentieri, perché è anche un modo per costruire il consenso rispetto alle prove INVALSI e, nello stesso tempo, ci serve a capire da dove partono le scuole per innovare. È una delle esperienze interessanti che facciamo, perché nel rapporto regolare con le scuole scopriamo che le prove sono usate in maniera divergente, chi dice «usiamo le prove per vedere se ce la facciamo, facciamo una sfida all'INVALSI», come fa Franco Lorenzoni, uno dei maestri migliori che abbiamo: hanno diversi modi per coinvolgere i ragazzi nelle prove e poi utilizzano i dati per ragionare su questo.
  Vediamo che ci sono innovazioni e abbiamo anche altri sensori molto importanti, quali i seminari INVALSI per la ricerca, in cui diamo visibilità a ciò che fanno le scuole in collaborazione con le università, proprio a partire dalle innovazioni. La cosa interessante è che questo avviene in tutta Italia, non ci sono situazioni, come purtroppo avviene per i risultati INVALSI, dove si determina una situazione di svantaggio di alcune zone, ma le innovazioni realizzate in collaborazione con l'Università in questo caso, o con tanti enti di cui abbiamo nozione nel momento in cui organizziamo questi seminari ogni anno, ci danno la possibilità di entrare nelle scuole del sud, del nord e del centro tramite la rilevazione di questi aspetti.
  Facciamo infine seminari con le scuole attraverso delle call, cioè diamo un titolo – di recente abbiamo fatto un convegno sulla comprensione della lettura – dando visibilità alle pratiche innovative che le scuole fanno. È venuta una scuola di Casoria, da cui poi sono andata perché mi hanno invitato, come sempre succede quando si stabilisce una relazione, e ci sono scuole che insegnano a ragazzi anche molto svantaggiati (a Casoria sono proprio in quella condizione) a leggere ad alta voce, a dialogare sul testo, con una capacità di comprensione del testo che induce una buona speranza, perché quella è una delle competenze che sta a fondamento di tutto il resto. Queste stesse competenze fondamentali a volte sono usate dalle scuole anche per verifiche indirette delle loro innovazioni, ossia quanto questo si è riversato come esito positivo delle innovazioni stesse, anche se solo in maniera tangenziale, e la comprensione del testo non era l'obiettivo fondamentale.
  Un altro aspetto che è venuto in evidenza è quello che abbiamo rilevato mediante un convegno intitolato Invece del cheating. Spesso si dice che quando gli insegnanti utilizzano le prove INVALSI, in base agli esiti, cambiano le loro pratiche. Questa è un'aspirazione: in realtà, il passaggio dall'esito di una prova, al prenderne atto fino al cambiamento organizzativo, comporta una realizzazione di una pratica innovativa che va presa come tale.
  Ci ha molto impressionato una insegnante che, riferendo della loro attività per cercare di promuovere un atteggiamento diverso e anche esiti diversi negli studenti, aveva intitolato il suo intervento INVALSI no, INVALSI forse, INVALSI possibile, alludendo non agli esiti degli studenti, ma a quanta fatica si era fatta per costruire con le colleghe prove comuni per la stessa classe; ovvero, una situazione in cui si fa capire che l'innovazione didattica non sempre è l'esito di una nuova proposta, ma spesso è l'esito di una collegialità ritrovata che, a partire dalle prove, può suscitare negli insegnanti la voglia di cambiare in positivo, una volta che se ne riconosce la validità.
  Se gli insegnanti non hanno avuto per primi un'esperienza di insegnamento diversa, quelle cose a cui alludeva il direttore Biondi, è chiaro che la fatica di cambiare sta tutta sulle loro spalle; quindi quest'idea di lavorare insieme per trovare forme più efficaci – perché sebbene l'insegnante valuti continuamente e magari non riconosca un suo demerito negli esiti delle prove INVALSI quando non vanno bene, la frustrazione di un raggiungimento mancato c'è – mettendo in prospettiva di poter cambiare in positivo è un dato importante.
  Tornando all'esempio di Casoria, l'insegnante alla fine di questa sperimentazione Pag. 8innovativa aveva chiesto di scrivere cosa fosse piaciuto di questo leggere ad alta voce e uno di questi ragazzi della terza media ha scritto: «a me piace molto quando l'insegnante legge, perché io mi metto con la testa sul banco e dormo». Qualsiasi persona che sortisca questo effetto leggendo non si entusiasma di certo; ma questa insegnante, essendo brava, ha chiesto al ragazzino perché gli venisse sonno mentre lei leggeva e lui ha risposto che di notte nel suo quartiere la polizia andava a prendere gli spacciatori e quindi non si dormiva mai tranquilli, mentre quando lei leggeva lui si sentiva tranquillo. Capite bene che non è un'innovazione particolare, però l'insegnante non si è offesa del fatto che dormisse quando lei leggeva: il ragazzino apprezzava una cosa positiva, tranquillizzante, ma anche efficace, perché partecipava a questa innovazione di comprensione.
  Un altro aspetto anche più importante ci deriva dall'analisi delle prove al computer, perché sul piano internazionale c'è un trend di ricerca sui modi con i quali gli studenti rispondono alle prove al computer, perché è possibile tracciare il loro tempo su un certo item.
  Questo comporta una riflessione su quali sono le effettive difficoltà sia degli item, sia dei modi di porsi, che gli insegnanti solitamente non sanno, perché sono cose che ognuno fa privatamente. Quando saranno resi pubblici questi risultati (sono studi importanti che abbiamo appena avviato) informeranno moltissimo su come fronteggiare le difficoltà degli studenti, utilizzando gli esiti in funzione positiva, e cercando di esplorare con gli stessi studenti le caratteristiche del loro modo di funzionare.
  Le prove con il computer che, come sapete, si fanno sia in terza media che in quinta secondaria superiore, sono prove che daranno informazioni non solo per l'esito immediato e per i livelli descrittivi che noi possiamo dare rispetto alla prestazione dello studente, ma anche per i modi con i quali lo studente ha approcciato i vari item, illuminante rispetto alle forme di ragionamento e di elaborazione che gli studenti hanno prodotto. In questo senso riguarderà gli insegnanti per il carico informativo maggiore che può dare anche rispetto alle prove di tipo cartaceo.
  Si tratta di produrre dati che facciano capire sempre di più quali sono le difficoltà e i motivi di efficacia. Ritorno a un'esperienza innovativa che fanno ad Amelia, al laboratorio Cenci, dove hanno fatto riscrivere ai ragazzi i problemi di matematica dalla loro formulazione, che era elegante, in una modalità narrativa, facendo verificare agli stessi studenti quanto fosse più efficace la formulazione narrativa che risultava più comprensibile, essendo la narrazione uno dei modi con i quali gli esseri umani ragionano spiegandosi le situazioni incomprensibili o i dati inattesi rispetto al loro funzionamento ordinario. In questo senso anche le competenze di matematica passano per certe forme di comprensione del testo, che sono ovviamente imprescindibili, se vogliamo riconsiderare la funzione dell'apprendimento della lettura e la competenza relativa alla matematica quotidiana, che sono fondamentali per la crescita successiva degli studenti. Grazie.

  PRESIDENTE. Prima di passare la parola ai colleghi rivolgerei alcune richieste agli auditi. Questo è un tema che per l'attività che ho svolto approfondisco da tempo. Abbiamo lanciato, con il pedagogista Paolo Mottana di Milano Bicocca, un sasso nello stagno con il libro Educazione diffusa che abbiamo scritto qualche anno fa: i temi da porre sarebbero tanti, però mi concentro su tre.
  Le visioni sull'innovazione didattica o sui modelli delle scuole a volte si suddividono in due grandi branche: preparare gli studenti al mondo che ci attende ed essere capaci di preparare gli studenti per trasformare il mondo che devono vivere. È chiaro che queste due cose devono stare insieme e tuttavia spesso si sviluppa una capacità predominante dell'uno o dell'altro. In questo quadro le tre domande che voglio porre riguardano la formazione: quali tipi di effetti possiamo leggere e monitorare intorno alla scuola? quali effetti di trasformazione sul quartiere possiamo monitorare? quanto sono monitorati in funzione delle cose che facciamo nella scuola? Pag. 9
  Tra gli obiettivi del manifesto dell'avanguardia educativa mi sembra che manchi il focus sulle soft skills emozionali e la generazione di una comunità educante che funzioni dentro e fuori la scuola. Mentre, mi sembra, che la letteratura a livello internazionale stia ponendo al centro questo tema su tutti i fronti e che il dibattito in Italia sia più spinto sugli aspetti tecnologici e strutturali rispetto al tema delle soft skills e di quanto siano fondamentali nel mondo. Negli Stati Uniti su questo esiste una branca universitaria e nelle aziende.
  Sulla formazione quali strumenti potremmo dare a soggetti come l'INDIRE per incidere? Da un breve colloquio di un anno fa avevamo appreso infatti che il compito di INDIRE era quello di fornire la piattaforma, l'ecosistema in cui avviene la formazione del primo anno, ma non i formatori, che per il primo anno vengono scelti dagli uffici scolastici regionali e il più delle volte sono soggetti appartenenti alla dirigenza scolastica, abbastanza avanti nell'età.
  Vorrei capire se INDIRE potrebbe occuparsi di una formazione più spinta, coinvolgendo avanguardie educative e avendo un ruolo da protagonista e in che modo potrebbe farlo, e se tra gli obiettivi nel quadro dell'innovazione didattica vi sia quello della costruzione delle soft skills, nonché la capacità di trasformare la comunità intorno alla scuola.
  Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALESSANDRO FUSACCHIA. Ringrazio i colleghi che sono venuti e sono contento che partiamo con questa indagine conoscitiva da INDIRE e INVALSI, perché mi sembra la maniera migliore per cominciare.
  Ho un paio di domande e, a partire dalle considerazioni del Presidente Biondi e della Presidente Ajello, vorrei fare un ragionamento a livello macroscopico. Il racconto che ci avete fatto, principalmente l'INDIRE per missione dell'istituzione, è un racconto di crescita – forse non solo lineare, ma quasi esponenziale nel tempo – di scuole, docenti, studenti coinvolti su un lavoro di decodifica e trasferimento di buone prassi, che parte da un coinvolgimento anche di formazione dei docenti per fare in modo che tutto si tenga.
  La domanda secca che vorrei rivolgere al Presidente Biondi è quanto abbiate l'impressione che, nonostante tutto lo sforzo che voi state facendo nei limiti delle risorse, del possibile, delle capacità (lo chiedo anche con l'occhio dell'INVALSI) siamo comunque ancora ai margini della scuola, cioè stiamo comunque ancora lavorando alla periferia, senza riuscire a conquistare questo impero. Continuiamo ad aumentare la capacità di diffondere buone prassi, ma il fatto che continuiamo a parlare di buone prassi è la prova che non abbiamo ancora attaccato al cuore il problema e che quindi tutto questo fatica a diventare sistemico.
  La prima domanda che volevo fare è la seguente: non ci siamo ancora arrivati per una questione di risorse limitate, nel senso che l'INDIRE o altri dell'ecosistema non hanno abbastanza risorse e persone, non hanno avuto abbastanza tempo – perché servono anni per fare questo lavoro, ma siamo sulla buona traiettoria ed è una questione di tempo, ma ad un certo punto ci si arriva? Oppure potremmo aumentare il livello di quelli che coinvolgiamo, ma ci sono altre leve e altre questioni del mondo scuola che il Paese non sta affrontando, il Ministero non sta affrontando, i Governi non stanno prendendo di petto, per cui miglioreremo, aumenteremo, coinvolgeremo sempre più persone, ma con i problemi strutturali che abbiamo nella trasmissione di sapere, nella costruzione di una scuola in un mondo che cambia sempre più velocemente non risolveremo questo nodo?
  La mia non è una domanda retorica, però ho il sospetto che alcune questioni che non avete toccato, perché non afferiscono al vostro mandato e al vostro compito, qui però siano centrali, come il meccanismo di selezione e reclutamento dei docenti. La formazione va bene, ma con un corpo docenti così vasto, ammesso che facciamo una selezione perfetta di ogni singolo docente (non apro il capitolo, viste le notizie non incoraggianti che arrivano dal MIUR), ammesso che i nuovi siano perfetti ogni volta, servirebbe comunque una quantità significativa di anni prima di realizzare il Pag. 10ricambio complessivo di un corpo docente che ha qualche limite strutturale. In ogni ambito ci sono persone eccezionali e persone meno e la scuola non fa eccezione rispetto ad altri mondi, però la domanda è se quello sia un tema.
  La mobilità dei docenti è una mia ossessione, una mobilità legata anche al patto sociale siglato nel dopoguerra, ovvero, per dirla brutalmente, «ti pago poco e non vado a verificare troppo». Questo è il patto sociale siglato con i docenti italiani nel dopoguerra che ci siamo portati dietro. Quindi dobbiamo lavorare per aumentare lo status sociale dei docenti, inclusa anche la retribuzione e un meccanismo di carriera vera e propria, per fare in modo che l'innovazione didattica diventi sistemica, oppure c'è un meccanismo per aggirare questi problemi? Io nutro qualche dubbio, però volevo capire sulla base della vostra esperienza che bilanciamento fare di questi pesi e contrappesi.
  Parlavo della mobilità perché in Italia è diventata una iattura che, soprattutto nei primi anni di insegnamento da precario e in alcuni casi anche una volta stabilizzato, fa vivere una situazione di disagio personale e familiare molto forte. Questo perché spesso si tratta di donne che hanno bambini piccoli e che finiscono dall'altra parte d'Italia: è la iattura che ognuno vorrebbe evitare. Questo in una società dove una parte delle conoscenze e della capacità di acquisire competenze per trasferirle ai ragazzi è però data dall'esperienza diversificata che uno fa professionalmente nella vita.
  Il presidente citava l'esperienza che avete cominciato a fare di far visitare un'altra scuola e – siccome, a prescindere dal clima politico in cui ci arriveremo, si presuppone che in un'indagine conoscitiva si facciano ragionamenti di prospettiva – questo anno di prova potrebbe diventare un'occasione per fare un periodo più prolungato in più scuole, in modo che in avvio di carriera ci si arricchisca di un bagaglio di esperienze e conoscenze in realtà interessanti che si trovano altrove.
  Allo stesso tempo, però, in ruolo non mettiamo il mondo ideale che vorremmo, cioè tanti giovani neolaureati. Il sistema, infatti, parte da zero, ma questa è una fictio: questi non esistono, non sono mappati dal sistema e non vengono assunti perché abbiamo un precariato storico che tutti conosciamo. Infatti si effettua una stabilizzazione per il docente, con contratto a tempo indeterminato e, tuttavia, quel docente stava già insegnando da 5 o 10 anni, quindi non possiamo fare l'anno di prova, creando una discontinuità forte solo perché formalmente è arrivato in quel momento al contratto a tempo indeterminato.
  Come conciliamo la vivacità di tanti nostri docenti, dell'INDIRE, di tutto questo meccanismo che mettiamo in piedi dovendoci occupare della rogna vera? Alla fine continuiamo a giocare con queste cose meravigliose perché non riusciamo a portare la scuola italiana nell'era dell'intelligenza artificiale a causa di questo limite.
  Chiudo su due questioni puntuali e veloci. Riprendo quello che diceva il presidente, che mi interessa molto: ossia, dalla vostra ricognizione di che cos'è innovazione didattica, quanto riesce la scuola ad innovare coinvolgendo chi sta al di fuori? Lascio aperta la definizione di «chi sta fuori dalla scuola», che può ricomprendere i genitori, gli attori sociali pubblici e privati dell'ecosistema scuola. Mi chiedo se la capacità di collegare la scuola con il mondo fuori sia una cosa di cui avete monitoraggio e traccia, o vi sfugge semplicemente perché non è nel radar?
  Infine una domanda che riguarda sia INDIRE che INVALSI, con riguardo a due aspetti delicati. Se pensiamo che sia veramente innovazione, dobbiamo sapere anche che spesso non funziona, perché finché non sperimenti non lo sai. Credo che questo nel mondo della scuola sia visto come il fumo negli occhi, perché l'idea di fare delle cose sbagliando nel trasferire conoscenze ai ragazzi viene visto quasi come un reato. Stiamo quindi chiamando innovazione qualcosa che non lo è, ma che ci piace chiamare così?
  Mi hanno insegnato da piccolo che l'innovazione otto volte su dieci finisce male, quindi qui qual è il tasso di insuccesso che ci possiamo permettere, quanto sperimentali possiamo essere? Magari scopriamo alcune cose fatte bene, interessanti, modelli Pag. 11nuovi, però se vanno male, nel frattempo alcuni ragazzini avranno subìto questa sperimentazione.
  Avete una lettura chiave analitica, sulla base di dati, del rapporto fra innovazione didattica e livelli di apprendimento? Questa è quasi una domanda retorica, però parliamo di innovazione, ci piace, produce molti effetti, ma questi effetti quanto sono misurabili e misurati per verificare che ad un certo tipo di sforzo corrisponda un incremento significativo dei livelli di apprendimento in termini di qualità della crescita dei ragazzi che abbiamo formato in contesti e con modalità diverse rispetto a quelle tradizionali? Altrimenti succede che si dica «avete fatto innovazione, ma adesso ho l'ora di italiano da fare, quindi ne riparliamo nella pausa tra un'ora e l'altra». Questo è un elemento culturale fortissimo da scardinare; quindi come mettiamo in fila i livelli di apprendimento e il fatto che l'innovazione ha un impatto che possiamo dimostrare? Come la rendiamo sistemica? Per renderla sistemica dobbiamo prendere di petto alcuni nodi che vanno oltre l'indagine conoscitiva che abbiamo messo in campo, perché a noi interessa risolvere problemi e non raccontarci che stiamo toccando temi interessanti. Grazie, scusate la lunghezza.

  VITTORIA CASA. Ringrazio gli auditi.
  Il collega Fusacchia ha toccato tanti punti, alcuni dei quali volevo sottoporre anch'io alla vostra attenzione. Perciò focalizzerò l'attenzione su due punti in particolare.
  Prendendo spunto dalle ultime battute del collega, parlando di innovazione e di rapporto con i livelli di apprendimento, credo che nelle scuole una di queste innovazioni che ha dato ottimi risultati sia la ricerca-azione. Sono una dirigente scolastica, quindi ho potuto verificare l'utilizzo nell'ambito delle buone pratiche della ricerca-azione, per cui si sperimenta facendo e si ha la possibilità di gestire il percorso e di attuare alcune modifiche andando avanti. Chiedo a voi quanto, nell'ambito dell'innovazione, la pratica della ricerca-azione possa incidere nel far sì che queste procedure diventino sistema e non interventi occasionali.
  Vi è poi il discorso legato alla formazione universitaria. La Presidente Ajello diceva che molte volte i docenti hanno difficoltà a comprendere la strutturazione delle stesse prove, quindi credo che un intervento vada fatto anche nell'ambito della formazione universitaria, preparando i docenti a questo.
  La presidente parlava di valutazione negoziata. Credo che il miglioramento continuo nell'ambito delle prove INVALSI sia la strada maestra da percorrere, perché i docenti si mettono veramente in discussione, lavorando sul miglioramento con un cambiamento anche mentale. Così la valutazione non viene vista soltanto come verifica del lavoro che i docenti fanno in classe – che è stato per anni lo spauracchio che ha accompagnato la resistenza nei confronti della valutazione – ma come modalità per comprendere i punti di criticità e i punti di forza, per poter intervenire.
  Legandomi all'innovazione generale, volevo chiedere se l'INVALSI preveda di poter lavorare in futuro sulle soft skills. Generalmente lavoriamo sulla comprensione della lettura e la comprensione della matematica; ma per poter sposare le due teorie, nel senso che l'innovazione didattica è innovativa e aiuta moltissimo nell'apprendimento, sarebbe opportuno lavorare anche su quest'ambito. In futuro ci sarà questa possibilità?

  VALENTINA APREA. Vorrei fare una riflessione prima di porre due domande. Sono molto soddisfatta di sapere che nel nostro Paese ci siano due agenzie indipendenti come l'INDIRE e l'INVALSI che stiano lì a monitorare e proporre (soprattutto per quanto riguarda l'INDIRE) modelli avanzati di insegnamento/apprendimento incentrati sull'innovazione, con uno sguardo europeo e internazionale.
  Siamo storicamente autoreferenziali e guardiamo il nostro orticello. Siamo stati abituati alla circolare ministeriale, a un occhio molto corto, quindi l'idea che qualcuno sollevi ogni tanto lo sguardo e porti in casa anche le scelte mondiali dall'OCSE o europee mi tranquillizza.
  Con tutti i Governi degli ultimi vent'anni (sono in politica dal 1994, quindi posso Pag. 12giudicare personalmente questo arco di tempo, la Seconda Repubblica) il salto è stato notevole, perché ricordo a me stessa e a voi che prima di quell'epoca la formazione era un fatto sindacale, cioè erano i sindacati che si occupavano di formare i docenti. Stiamo attenti quindi a tenerci care queste agenzie, miglioriamole se ci riusciamo, cerchiamo di dare altri compiti, cambiamo le modalità. Tuttavia, è già un valore aggiunto avere due agenzie indipendenti che si occupano di questo, quindi complimenti per tutto quello che fate.
  Adesso, però, occorre il famoso salto di qualità. Sono passati quasi vent'anni tra forme sperimentali e tutto il resto. Vi chiedo se secondo voi i tempi siano già maturi per una pubblicità periodica del vostro lavoro, perché, finché lo facciamo dentro un circuito, le 800 scuole, le scuole che ricevono la propria valutazione, senza far conoscere all'opinione pubblica il dato che emerge sia da una formazione che da una valutazione, non faremo crescere il Paese e le stesse famiglie.
  Dico questo perché la Fondazione Agnelli tutti gli anni pubblica la propria graduatoria di scuole che valgono e non valgono. Sapete che questo è stato un grande tema: possiamo o non possiamo dire quanto valgono le scuole? Che cosa succederà se mio figlio frequenta una scuola che non è in alto nella graduatoria? Signori, la Fondazione Agnelli lo fa regolarmente, senza che nessuno dica niente, con scuole pubbliche statali oltre che paritarie. Ma serve, perché come assessore regionale, come decisore politico, innanzitutto la graduatoria mi è servita per capire quale sia la scuola migliore, paritaria o statale, ma valutata in base a quali criteri? Perché la migliore?
  Giustamente loro dichiarano di valutare alcuni aspetti in base ad un elenco di criteri – scelta opinabile – tuttavia l'importante è catturare l'attenzione sulle scuole, sul loro funzionamento e sugli elementi che possono interessare le famiglie. Ripeto: i criteri utilizzati potevano non soddisfarmi ieri come assessore; ma oggi, come membro della Commissione cultura, lo trovo comunque un ragionamento utile. Quindi siamo maturi per la pubblicità di questa cosa e, se sì, in che modo?
  Seconda questione. Quando INDIRE lavora con avanguardie educative o l'INVALSI fa la certificazione delle competenze, per esempio in inglese, dei ragazzi in uscita – certificazione fondamentale perché investiamo per tredici anni su queste competenze e loro prendono anche un attestato – riferite al Ministero queste cose? C'è un momento in cui il Ministero, il Ministro in persona o i direttori generali degli ordinamenti, piuttosto che gli ispettori delle lingue, apprendono i risultati e se ne discute? Avete un momento istituzionale interno di comunicazione, che mi augurerei fosse poi pubblico?
  Come sapete, negli Stati Uniti e in Germania sono caduti i Governi su queste cose. Quando è stata presentata la pubblicazione dei dati OCSE in materia di competenze dei quindicenni, sono caduti Governi; quando a Berlino hanno scoperto che la media delle competenze in scienze era molto bassa, è caduto un Governo. Non parliamo poi degli Stati Uniti, dove è diventato epocale il fatto che Kennedy scoprì che gli americani ne sapevano meno dei russi e decise che sarebbero dovuti arrivare sulla luna prima di loro.
  Se questo era importante negli anni Settanta, negli anni Novanta, nel terzo millennio è fondamentale. Voi state facendo un lavoro preziosissimo, altro che cancellarvi o nascondere i vostri dati nel cassetto di qualche direttore generale o di qualche dirigente scolastico: pubblicità, parliamone. Perché così sappiamo anche dove far finire i soldi, quando arrivano in Parlamento le leggi di bilancio, sappiamo su cosa spingere il Governo ad investire.
  Se il problema è sulle competenze linguistiche, o se è sulle soft skills, presidente, abbiamo risolto il problema della certificazione delle competenze informali e non formali? La nostra scuola non ha mai voluto ritenere che siano anche quelle competenze. Però non abbiamo nessuna certificazione, non abbiamo crediti; avevamo l'alternanza scuola/lavoro, l'abbiamo ridimensionata. Certamente, rimanendo seduti a scuola, in un banco, è difficile raggiungere le soft skills. Sono le situazioni diverse da quella scolastica che consentono al soggetto Pag. 13 di fare riferimento a quelle famose conoscenze e abilità che poi diventano competenze. Mi chiedo quindi se questo sia un tema.
  Ottimo il fatto che facciano con voi la prima fase della formazione per i docenti neoassunti, ma almeno in questo le direttive del Ministero sono chiare o fate tutto voi? Se fate tutto voi, per favore, pensate di mettere come elementi indispensabili la didattica digitale e la conoscenza delle lingue, perché se la scuola di questo tempo e dei prossimi dieci anni non saprà fare né l'una, né l'altra, è inutile formare i ragazzi; perché l'incidenza che avremo sulle nuove generazioni sarà limitata rispetto a ciò che tutto quello che non è formale potrà dare ai nostri ragazzi. Grazie.

  FEDERICO MOLLICONE. Grazie ai rappresentanti di INVALSI e INDIRE per essere qui oggi. Come Fratelli d'Italia e come deputato in particolare ci tengo a sottolineare il lavoro prezioso che sia INVALSI che INDIRE stanno facendo e hanno fatto in questi anni, pur mantenendo da parte nostra la critica sostanziale al sistema e alla filosofia INVALSI. Crediamo che ci sia necessità di un ripensamento.
  Non è una messa in discussione ovviamente, anche per precisare il mio intervento della volta scorsa che forse sarà sembrato un po’ determinativo. Pur rispettando l'esigenza di un sistema di valutazione delle competenze, queste non devono diventare prevalenti, tanto da affermare nel percorso didattico il cosiddetto teaching to the test, l'ansia dei professori di deviare dal programma scolastico per preparare gli studenti ai test INVALSI.
  Credo di aver citato la volta scorsa testi che si trovano sul sito ufficiale dell'INVALSI, quindi anche testi autocritici o comunque di riflessione su quella che deve essere la valutazione, e abbiamo ascoltato la Presidente Ajello descrivere il meccanismo, sicuramente prezioso, della compilazione dell'analisi statistica, addirittura dei tempi con cui gli studenti rispondono alle domande e a quali domande: dati numerici molto importanti (siamo entrati nell'era dei big data), quindi la compilazione è sicuramente un lavoro fondamentale che agevola la statistica dell'istruzione, che è necessaria. Tuttavia credo che sia opportuno un ripensamento dell'approccio nei confronti del sistema dei test e del rapporto con i professori, per capire come possano essere armonizzati in maniera migliore con i programmi didattici e disinnescare quest'ansia da test e questo approccio nozionistico al test INVALSI.
  Siamo la patria della cultura umanistica, forse dovremmo ricordarcene: questo non è un monito all'INVALSI che segue l'applicazione della legge – nutriamo rispetto per il lavoro che fate – ma questo dovremmo ricordarlo noi legislatori e il Ministro dell'istruzione; l'Italia dovrebbe insegnare all'Europa e al mondo che conoscere non è soltanto enumerare o sapere in quanti secondi si risponde a una domanda di matematica, fermo restando che luminari di matematica hanno detto che risolvere un problema matematico richiede ragionamento e si può fare in tanti modi. Come viene considerato questo dall'INVALSI?
  Andrebbe valorizzata la capacità di collegamento, la capacità che gli antichi definivano del dio Mercurio, quella di collegare in maniera interdidattica per creare risposte originali e non pre-compilate. Questa è la critica sostanziale che facciamo all'INVALSI dal punto di vista filosofico. Dal punto di vista tecnico ho già ringraziato chi lo rappresenta, perché è un lavoro oneroso soprattutto in una struttura obsoleta come quella della scuola italiana, che suscita in me l'immagine di una grande balena, mentre INVALSI, INDIRE e altre realtà più sperimentali sono pesci pilota che vanno avanti. La balena, invece, sta sempre lì.
  Ho fatto alcune osservazioni critiche, che ribadisco, sul valore dell'INVALSI nel processo didattico. Non voglio dire che sia inutile, ma che vada riconsiderato: è un concetto diverso. Nel processo INVALSI, nella struttura INVALSI, nella filosofia INVALSI, come mi è sembrato anche da documenti pubblici, c'è una fase di ripensamento, di adeguamento alla realtà italiana?
  Per quanto riguarda l'INDIRE, ho trovato molto interessante l'analisi statistica e scientifica del panorama sia di quello che Pag. 14l'INDIRE sta facendo, sia di quello che sta facendo rispetto alla balena, alla scuola italiana. Qui c'è la capacità di visione che dobbiamo avere e che serve al legislatore per capire come rivoluzionare la scuola e il rapporto tra studente e docente. Ci troviamo ancora con le classi fisiche, con i banchi, con l'insegnamento bidirezionale, frontale; cioè siamo veramente al 1800 con un sistema che dobbiamo scardinare.
  Guardate cosa sta succedendo con il cosiddetto smart work in tutto il mondo: c'è la quarta rivoluzione industriale, e come Paese europeo, come Italia, erede della tradizione peripatetica, dobbiamo capire che lo studente più è piccolo e più apprende, più ha libertà e più apprende, più ha interazione e più apprende. Bisogna scardinare questa formula ottocentesca delle classi intese come contenitori di bambini che vanno riempiti di nozioni in modo acritico, da ripetere in maniera mnemonica. All'epoca, come giustamente chiosa la collega Aprea, aveva la funzione di creare la scuola italiana; adesso la scuola italiana, al di là di alcune tentazioni governative, c'è ancora, ma bisogna pensare la scuola del futuro.
  Ho apprezzato l'analisi e il lavoro che sta facendo l'INDIRE che, come hanno osservato la collega Aprea e in particolare il collega Fusacchia, con cui concordo, incide sulle direttrici della riorganizzazione della scuola italiana. INDIRE sta facendo un'analisi e, avendo un occhio internazionale, ci dice che forse è arrivato il momento di ripensare il modello didattico, che per farlo bisogna innestarsi nella grande corrente dell'innovazione, che vuol dire innovazione didattica, innovazione degli strumenti, innovazione del modo di leggere. Approfitto non per narcisismo, ma per politica, per ricordare che abbiamo presentato una proposta di legge per rendere operativo il piano digitale. Ci risulta, infatti, che solo l'1 per cento dei testi didattici è totalmente digitale. In passato si sarebbe definita truffa editoriale: c'è una grande mistificazione che vede i libri di scuola definiti digitali perché anche se sono cartacei, contengono un link o un'applicazione.
  Come appartenente al gruppo Fratelli d'Italia ho chiesto la collaborazione della maggioranza per accelerare, rispettando gli editori e i librai, cosa che stiamo facendo con il nuovo testo della proposta di legge sulla lettura; ma dobbiamo intervenire perché ci sia la digitalizzazione dell'educazione, come anche l'INDIRE evidenzia tra i punti necessari per l'innovazione.
  Da questa analisi si riesce a dare un indirizzo al Ministero e quindi anche al Parlamento su quelli che possono essere i costi e i tempi di un piano operativo di innovazione complessiva della scuola? Noi abbiamo ancora interventi tampone sull'edilizia, interventi tampone sulla digitalizzazione, che poi non vengono rispettati, ma, visto che l'INDIRE ha anche questa capacità conoscitiva e di approfondimento, vorremmo dall'INDIRE una visione complessiva di costi e tempi per rinnovare realmente la scuola. Grazie.

  PRESIDENTE. Sono rimasti un paio di minuti a testa per le repliche. Mi scuso della brevità, ma il dibattito in questa Commissione è molto partecipato, quindi vi chiedo una breve replica di un paio di minuti e poi, se verrà fornita una documentazione scritta più articolata, la metteremo sulla nostra piattaforma digitale. La parola al presidente Biondi.

  GIOVANNI BIONDI, presidente dell'INDIRE. In due minuti è difficile rispondere a tutto, cercherò di andare velocemente.
  Mi collego all'ultimo intervento dell'onorevole Mollicone. Sono totalmente d'accordo, il discorso dei libri di testo è una delle cose che dobbiamo affrontare, perché è uno dei modi con cui si rompe questo circolo vizioso dell'ascoltare la lezione, imparare dal libro, ripetere. Oggi il digitale permetterebbe un notevole risparmio alle famiglie nella spesa per l'acquisto dei libri di testo. Questo discorso però è stato affrontato anche in passato e con avverse fortune.
  Per quanto riguarda le soft skills, credo che queste siano un effetto, un risultato. Occorre smontare un ambiente che è centrato sulla trasmissione del sapere per creare una comunità educante. Sono convinto che questo sia un valore, anzi questo è il Pag. 15valore della scuola italiana. Noi consideriamo la scuola un ambiente dove si cresce, quindi l'aspetto dell'apprendimento è certamente importante e misuriamo gli apprendimenti; ma la scuola è molto di più: è un ambiente dove si cresce e dove si sviluppano le potenzialità di ciascuno.
  Per poterlo fare, dobbiamo uscire e smontare un ambiente trasmissivo. Il contratto dei docenti è fatto sulle 18 ore di cattedra, sulla trasmissione del sapere. In 50 minuti un insegnante cosa volete che faccia, se non spiegare e fare qualche interrogazione? Dobbiamo smontare il tempo, lo spazio e la didattica: questi sono gli aspetti fondamentali che dobbiamo riuscire a trasformare. Per farlo ci sono varie strade: una è l'autonomia delle scuole, perché anche la valutazione ha un effetto. Un’accountability delle scuole ha un effetto se la scuola è autonoma, ma se la scuola è semplicemente una periferia del regno, è difficile che lo abbia. Quindi abbiamo bisogno di aumentare il livello di autonomia della scuola perché possa adattarsi a situazioni diverse. Non possiamo pensare che il liceo del sud della Sicilia viva in condizioni analoghe a quello del centro di Milano. L'autonomia scolastica è un processo che è rimasto a metà, dobbiamo svilupparlo.
  Mi chiedete quanto incide l'INDIRE: lo fa nella misura in cui viene utilizzato e nella misura in cui il Ministero lo considera una leva strategica per il cambiamento.
  Vi dico onestamente che non riceviamo risorse per fare la formazione dei docenti. Le risorse vanno alle scuole; ogni scuola poi trova l'agenzia formativa, senza un disegno strategico sulla formazione dei docenti. Come vi ho detto anche l'altra volta, utilizziamo molto autofinanziamento per fare queste cose e per supportare le autonomie scolastiche. Le finanziamo noi sostanzialmente, quindi è difficile per INDIRE fare di più in questo momento, anche perché spesso c'è un intervento del settore amministrativo che si improvvisa competente su quello della didattica. Rispetto al discorso del presidente sullo sviluppo delle competenze di base, una delle avanguardie riguarda il dentro-fuori, il service learning che fa parte delle idee delle avanguardie e può aiutare lo sviluppo.
  Utilizziamo tutti i dati possibili per valutare i risultati dell'innovazione, tra cui tutti i dati dell'INVALSI che ci dà ottimi elementi per capire quali effetti hanno le scuole che attivano processi di innovazione. Usiamo anche altri dati – i risultati saranno pubblicati entro un anno –, dai quali però emergono alcune evidenze: ad esempio diminuiscono le assenze degli studenti. Questo è un dato significativo: nelle scuole che attivano processi e quindi sono in grado di motivare gli studenti, questi si assentano meno, gli insegnanti hanno meno turnover.
  È chiaro che dobbiamo utilizzare tutti i dati disponibili. Oggi la valutazione sulle soft skills è un dato non ancora disponibile. Esso emerge dalle visite nelle scuole, delle osservazioni sistematiche che facciamo su scuole campione; però il tema degli effetti per noi è assolutamente presente e il nostro obiettivo è di portare a sistema l'innovazione, per aiutare quella trasformazione di cui parlava l'onorevole Mollicone, che credo sia un obiettivo comune. Avremmo molte proposte da fare alla Commissione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente di INDIRE. Passiamo alla replica di Anna Maria Ajello, Presidente dell'INVALSI.

  ANNA MARIA AJELLO, presidente dell'INVALSI. Molto rapidamente, vi esorterei a guardare le prove INVALSI che mettiamo sul sito, perché secondo me molti di voi le conoscono per come sono state fatte all'inizio. Poi sono state riviste. Il nozionismo non è più la caratteristica fondamentale. Ci possono essere tanti altri aspetti, però questo secondo me è un punto comune. La prossima volta vi regalo una prova INVALSI, non per farvela fare, ma per parlare con qualcosa che agganci la nostra attenzione al merito. Forse non mi inviterete più con questo rischio!
  Si parlava della velocità: studio la competenza esperta da molti anni e l'esperto è quello che ci mette più tempo all'inizio per risolvere un problema; per questo non intendiamo misurare la velocità di risoluzione come un indicatore di competenza, Pag. 16ma solo se si va in una direzione e poi si torna indietro. Questo è l'aspetto che secondo me va valorizzato.
  Sugli esiti delle prove, per l'inglese abbiamo reading e comprehension. È molto probabile che reading vada meglio di comprehension perché quello si forma su alcune pratiche didattiche. Questo significa che gli insegnanti sanno cos'altro dovrebbero fare.
  Se si vogliono fare riforme (mi ha appassionato ascoltare il Presidente dell'INDIRE) dobbiamo avere una prospettiva lunga: non è come in economia che si mette una tassa e si fa subito. Sulla scuola bisogna essere d'accordo per vent'anni, altrimenti non si cambia nulla; è inutile continuare a dire «cambiamo» (scusate il linguaggio esplicito e molto netto, ma, data la fretta, mi sembra anche il migliore).
  Un'altra questione riguarda le soft skills. Vorrei fosse chiaro che si fanno valutazioni di cose rispetto alle quali si fa un intervento. La questione riguarda l'etica della valutazione, perché altrimenti si fa l'agenzia per il rilascio della patente, dove chiunque va e, indipendentemente se ha imparato o meno, ha la certificazione. Abbiamo fatto un seminario al MIUR perché ci è stato chiesto di ragionare sulle soft skills e abbiamo parlato di problem solving e di imparare a imparare, se volete, le meno soft, perché sono molto più cognitive; però anche la stessa voglia di imparare che ti dà la fiducia nella possibilità di continuare a farcela è qualcosa di emotivo, non di cognitivo.
  Se vogliamo che siano perseguite le soft skills, intanto dobbiamo prendere atto che ci sono docenti che insegnano a collaborare, a mantenere l'impegno dato, a fare in modo di arrivare a un prodotto. Molte cose che le soft skills delineano come importanti si possono fare a pratica attuale, però gli insegnanti dovrebbero capire, ad esempio, che ci si abitua a convivere.
  Per molti anni ho studiato le discussioni, e quando si discute con i bambini si danno due regole fondamentali, non si dice una cosa già detta e non si parla contemporaneamente a un altro, e parla prima quello che non ha parlato fino ad allora. Se questo fosse adottato nei talk-show sarebbe una cosa buona, perché, vi assicuro, che abbiamo studiato queste cose e funzionano, le discussioni sono importantissime e si impara a collaborare.
  Dobbiamo cercare di riflettere sulle pratiche presenti, e poi ci sarebbero tante altre cose da dire riguardo al fatto che se si fanno innovazioni e ci si crede, chi fa la valutazione di queste innovazioni non può essere la stessa persona che le realizza.
  Dobbiamo andarci molto piano, perché non è che sulla base di due sole competenze possiamo valutare tutti; però sono competenze fondamentali, stanno a fondamento dell'edificio scolastico: se non si verificano l'edificio crolla, perché non si è mai visto uno competente che esce non sapendo comprendere un testo e non sapendo fare una cosa di matematica, significa che annaspa.
  Sulla pubblicità dei dati, le nazioni che hanno adottato la pubblicità sono anche tornate indietro: Per esempio la Finlandia ha fatto uno studio per il quale le scuole sono informate della cosa, lo sanno i livelli superiori e i nostri uffici scolastici regionali; non lo sa la società civile, perché il rischio è che si inneschi una graduatoria e sulla base di quella graduatoria le scuole si ghettizzino ulteriormente. Vi è quindi un problema di riservatezza, ma di intersoggettività condivisa, perché chi sa che il proprio risultato è noto all'Ufficio scolastico regionale, probabilmente è più sollecitato a cambiare; se il risultato viene messo in piazza, quella scuola rischia di chiudere, perché non ci va più nessuno. Comunque si tratta di questioni di cui possiamo discutere e ragionare.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti anche per la documentazione depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato), dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.35.

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