XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (VII e XI)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 30 aprile 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallo Luigi , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI LAVORO E PREVIDENZA NEL SETTORE DELLO SPETTACOLO

Audizione di rappresentanti
di INPS e ISTAT.

Gallo Luigi , Presidente ... 2 
Montaldi Ferdinando , dirigente della Direzione centrale entrate contributive e recupero crediti dell'INPS ... 2 
Gallo Luigi , Presidente ... 8 
Buratta Vittoria , Direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il censimento della popolazione dell'ISTAT ... 8 
Gallo Luigi , Presidente ... 11 
Buratta Vittoria , Direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il censimento della popolazione dell'ISTAT ... 11 
Gallo Luigi , Presidente ... 11 
Fatuzzo Carlo (FI)  ... 12 
Serracchiani Debora (PD)  ... 13 
Carbonaro Alessandra (M5S)  ... 14 
Nitti Michele (M5S)  ... 14 
Tripiedi Davide (M5S)  ... 15 
Viscomi Antonio (PD)  ... 15 
Cantone Carla (PD)  ... 15 
Gallo Luigi , Presidente ... 15 

Allegato 1: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'INPS ... 16 

Allegato 2: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'ISTAT ... 53

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA VII COMMISSIONE LUIGI GALLO

  La seduta comincia alle 10.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti
di INPS e ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo, l'audizione di rappresentanti di INPS e ISTAT.
  Saluto i nostri ospiti e li ringrazio della loro presenza. Saluto il vicepresidente della XI Commissione, onorevole Tripiedi. Sono presenti, per l'INPS, Ferdinando Montaldi, dirigente della Direzione centrale entrate contributive e recupero crediti; per l'ISTAT Vittoria Buratta, Direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il censimento della popolazione, Annalisa Cicerchia, dell'Ufficio di Presidenza, Stefania Schipani, della Direzione centrale per la comunicazione e Claudio Ceccarelli, della Direzione centrale per le statistiche sociali e il censimento della popolazione.
  Avverto che le memorie depositate sono disponibili nella piattaforma GeoCom. Come di consueto, darò la parola prima ai nostri ospiti, quindi ai colleghi che la chiederanno per porre questioni e, da ultimo, di nuovo agli ospiti per le risposte ai chiarimenti chiesti. Il tempo a nostra disposizione è di un'ora per interventi degli auditi, interventi dei commissari e repliche.
  Do la parola a Ferdinando Montaldi, dirigente della Direzione centrale entrate e recupero crediti dell'INPS.

  FERDINANDO MONTALDI, dirigente della Direzione centrale entrate contributive e recupero crediti dell'INPS. Buongiorno a tutti. L'Istituto ringrazia la VII Commissione e l'XI Commissione della Camera dei deputati per questa attenzione nei nostri confronti e per averci voluto chiamare per portare una nostra testimonianza rispetto a questa importante indagine conoscitiva che state avviando. Abbiamo trasmesso due documenti. Il primo è rappresentato dalle slides con le quali cercheremo di inquadrare il settore e le relative problematiche. Oltre alle slides, avete anche una relazione molto più dettagliata, nella quale si entra nel merito dei vari aspetti che a noi sembrano meritevoli di attenzione. In questo breve survey sul funzionamento del settore dello spettacolo e sulle sue caratteristiche cercheremo di focalizzarci sulla dimensione dell'industria culturale e creativa in termini sia di valore aggiunto rispetto all'economia e alla ricchezza nazionale, sia in termini di occupati. Inquadreremo poi i lavoratori dello spettacolo: faremo riferimento ai lavoratori dello spettacolo assicurati a una delle gestioni previdenziali dell'Istituto, in particolar modo il Fondo pensione e il Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo. È una gestione del disciolto ENPALS. L'ENPALS fu disciolto nel 2011 ed è stato unificato all'Istituto. La gestione è rimasta una gestione speciale distinta da tutte le altre gestioni pensionistiche. Pag. 3
  Guarderemo un po’ di numeri anche in termini di compenso, durata media delle giornate di lavoro e così via. Cercheremo poi di provare a tracciare qualche prospettiva di possibile adeguamento delle tutele dei lavoratori dello spettacolo. Cercheremo quindi di guardare le condizioni in termini di welfare complessivo, avendo a riferimento sicuramente il trattamento pensionistico, ma anche l'assicurazione di malattia e di maternità e quindi l'assicurazione contro la disoccupazione involontaria. Qui utilizziamo alcuni dati di una ricerca abbastanza nota nel settore, fonti Unioncamere e Fondazione Symbola, che effettua ormai da tempo rilevazioni sul settore dell'industria culturale.
  Il valore aggiunto nel 2017 creato dall'industria culturale nel suo complesso è vicino al 4 per cento del valore aggiunto nazionale. Parliamo di circa 57 miliardi, per un totale di quasi un milione di addetti, di occupati: per la precisione 940.000 addetti. Qui è inquadrato il settore dell'industria culturale nel suo complesso, perché, oltre a quello che è tipicamente lo spettacolo dal vivo, c'è l'evidenza di cinema, radio, tv, musica; ci sono anche quelle che ormai sono considerate vere e proprie attività che ruotano intorno all'industria creativa e culturale. Oltre all'editoria e stampa, c'è anche la produzione di software, videogiochi, architettura, design, comunicazione e il settore del patrimonio storico-artistico. Teniamo conto che, oltre a questi dati, all'industria creativa generalmente vengono ascritte dimensioni ancora più rilevanti. Questo perché nell'ambito di molte attività produttive, artigianali, industriali e così via, l'attività di natura creativa assume una dimensione e un valore particolarmente rilevanti.
  Anche a guardare solo questo spaccato, si tratta di circa 58 miliardi di valore aggiunto rispetto alla ricchezza nazionale. Questa è la dimensione. Se ci concentriamo sui lavoratori assicurati, i settori più strettamente dello spettacolo e che in qualche modo individuano quelli assicurati al Fondo pensione lavoratori dello spettacolo dell'INPS, ci dobbiamo concentrare su tre specifici ambiti: lo spettacolo dal vivo (teatro, musica e qualsiasi tipo di attività), il cinema (radio, televisioni) e la musica. Per musica, qui, non intendiamo lo spettacolo dal vivo, ma soltanto l'attività di produzione musicale, quindi video, registrazione, audiovisivi e così via.
  Inquadrando questo settore, quelli che qui vedete sono i dati del 2017 riferiti ai lavoratori assicurati. Per lavoratori intendiamo codici fiscali, quindi ci sono anche lavoratori che hanno svolto cinque giornate lavorative nel corso dell'anno in uno dei settori assicurati al Fondo pensione dell'INPS. Vedete che sono divisi per gruppo professionale. Questa è una ripartizione un po’ antica. La gestione dei lavoratori dello spettacolo è una gestione previdenziale molto risalente, è del 1947. Vedete qui, per categoria di attività professionali, i dati relativi non solo al numero dei lavoratori che hanno operato (questi sono i lavoratori attivi nel 2017), ma accanto a questi rilevate un dato che ci sembra particolarmente importante. Oltre a quello della retribuzione media, c'è anche il dato – che è particolarmente rilevante per tracciare gli ambiti e le prospettive di adeguamento del welfare del settore – del numero medio, della durata media dei rapporti di lavoro. Quello che vedete è il numero medio di giornate retribuite e assicurate per ogni categoria. Vedete che complessivamente – stiamo solo sulla parte totale spettacolo – parliamo nel 2017 di 83 giornate lavorative in media. Per una serie di categorie – la prima, quella più numerosa, quella degli attori, 73.000 soggetti circa, 73.000 assicurati – il numero medio delle giornate lavorative è estremamente ridotto. Badate, questi numeri, sia in termini di retribuzione media annua, sia in termini di numero medio di giornate, risentono tantissimo del fatto che ci sono alcuni ambiti, alcuni settori, dove i lavoratori operano a cavallo fra volontariato, amatorialità e professionalità. In questo ambito abbiamo molti assicurati che, in realtà, svolgono questo tipo di attività o come secondo lavoro oppure come attività professionale residuale che va a integrarsi rispetto a un'attività amatoriale. Il teatro amatoriale è particolarmente diffuso nel nostro Paese. A prescindere da queste considerazioni, Pag. 4 il dato che emerge con molta evidenza è la durata media nell'anno delle giornate lavorative: 83 giornate. Tenete conto che ad aumentare questa durata media ci sono dentro tutti i dipendenti a tempo indeterminato. A questo fondo sono iscritti tutti i dipendenti delle radiotelevisioni, della RAI, di tutte le radiotelevisioni private e così via, tutti i dipendenti a tempo indeterminato, che quindi lavorano per 312 giornate, quelli delle Fondazioni lirico-sinfoniche, che fanno aumentare decisamente questo dato.
  Se andassimo a guardare solo il dato medio dei lavoratori non a tempo determinato, rileveremmo una durata media, giornate medie, molto più bassa.
  Anche su questo aspetto più avanti faremo alcune considerazioni che mi sembrano rilevanti per la vostra attività in termini di valutazione e rivalutazione delle probabili prospettive di adeguamento, soprattutto delle tutele in termini di welfare. Qui ci sono ulteriori statistiche su cui non mi soffermerei più di tanto, che riguardano i numeri per classi di età, genere e così via. Sostanzialmente vedete che c'è un incremento delle retribuzioni medie come ci si aspetta per età un po’ più avanzate e così via. Il numero medio delle giornate lavorative aumenta con l'aumentare dell'età anagrafica. C'è una ripartizione, e qui la vedete, a seconda di dove si svolge l'attività lavorativa, quindi una ripartizione geografica: nord-est, nord-ovest, centro, sud e così via. Sono gli stessi lavoratori di prima che abbiamo ripartito con evidenza degli anni 2016 e 2017. Qui vedete soltanto che nel 2017 rispetto all'anno precedente sono aumentati i lavoratori di quasi il 5 per cento, ma le retribuzioni medie sono diminuite del 4 per cento. Si rileva un aumento dei lavoratori e una diminuzione delle retribuzioni medie. Sembra quasi che ci siano più persone che lavorano, ma sostanzialmente la torta del reddito sociale è rimasta pressoché uguale.
  Questa è un'altra evidenza del numero dei lavoratori per ogni mese, che ci fa vedere una variazione di lavoratori mese per mese nel corso di tutto l'anno. Qui potete vedere che il numero è diverso dai 300.000 che vedevamo prima. Qui ci sono i lavoratori presenti in una denuncia con riferimento a ogni mese, quindi 136.000 a gennaio, 137.000 a febbraio e così via. Questo vi dà evidenza di quanto dicevamo in premessa, ossia che è un ambito in cui gli assicurati lavoratori operano in modo molto marginale, sicuramente come secondo lavoro e sicuramente – lo ripeto – come attività professionale integrativa rispetto a un'attività amatoriale svolta in modo più sistematico.
  Vengo ai pensionati del Fondo pensione lavoratori dello spettacolo. Vediamo solo questi numeri per poi magari andare sugli aspetti che ci sembrano un po’ più interessanti. Vedete che il numero dei pensionati non cambia molto dal 2017 al 2018. Qui la rilevazione è al 1° gennaio: da 54.000 pensionati passiamo a 55.000. La spesa totale per i trattamenti pensionistici passa da 868 milioni a 892 milioni, quindi si mantiene sotto i 900 milioni di euro.
  La cosa che ci sembra di qualche interesse – trattandosi di un aspetto ormai dibattuto anche nell'ambito delle organizzazioni datoriali e di rappresentanza dei lavoratori del settore – è questa situazione patrimoniale del Fondo pensioni. Questo, ripeto, è un Fondo pensioni che esiste dal 1947, da quando è stato istituito l’ex ENPALS. È un Fondo pensioni che dopo le riforme del 1995, quelle che hanno introdotto il metodo contributivo, nel 1997 ha subìto una serie di inasprimenti per quanto riguarda i requisiti per il diritto alle prestazioni.
  Questo è quello che succede dal 2013 al 2017 in base ai bilanci di questo fondo. Abbiamo la colonna delle entrate con i contributi e poi altri ricavi, che sono, in genere, derivanti da operazioni di dismissioni immobiliari. Abbiamo le uscite per prestazioni e le uscite per altre svalutazioni, soprattutto crediti, e pochi altri costi.
  La penultima colonna è particolarmente indicativa: risultato di esercizio. Questa è una gestione pensionistica che, seppur matura, seppure esistente dal 1947, accumula costantemente, sistematicamente, avanzi patrimoniali particolarmente rilevanti. Nel corso di questi anni gli avanzi patrimoniali Pag. 5di questa gestione sono stati pari a circa il 25 per cento delle entrate: se incasso 100, spendo 25 in meno per prestazioni. Questo in una gestione, ripeto, che non è la gestione separata istituita nel 1995 e che prima di arrivare a maturità ovviamente accumula sistematicamente avanzi; è una gestione sostanzialmente matura. Ormai già due, quasi tre, coorti di assicurati hanno vissuto un periodo intero assicurativo nell'ambito di questa gestione e sono andati in pensione.
  Il dato particolarmente interessante è quello dell'ultima colonna. L'avanzo patrimoniale è sostanzialmente la situazione patrimoniale di questo fondo. A fine 2017 questa gestione ha un avanzo patrimoniale di 4,8 miliardi. A fronte di un incasso di contributi di 1,2 miliardi la gestione ha avanzi per 4,8 miliardi, cioè quattro volte tanto i contributi incassati. Ovviamente, si tratta di avanzi che poi vanno a coprire i disavanzi di altre gestioni previdenziali. Però, il dato è particolarmente rilevante, e l'abbiamo anche indicato in relazione. Se provate a confrontare la dimensione del FUS, del Fondo unico dello spettacolo, una delle principali fonti di finanziamento del settore dello spettacolo in Italia, vedete che negli ultimi due anni che abbiamo a disposizione, ovvero 2016 e 2017, ammonta a circa 680 milioni.
  L'avanzo patrimoniale della gestione di questo Fondo pensioni supera il FUS stanziato in questi due anni ed è pari a 754 milioni. È come se, in termini di intervento pubblico, con una mano interveniamo per sostenere il settore attraverso il Fondo unico, ma, con questa situazione del Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo, con l'altra mano dreniamo risorse. Perché dico «dreniamo»? Perché, di fatto, nei limiti in cui queste risorse non vanno a pagare prestazioni dei lavoratori del settore, sono oneri che gravano sul settore medesimo. È come se esso da un lato ricevesse 680 milioni, però dall'altro pagasse 750 milioni in più rispetto a quello che serve per pagare le prestazioni pensionistiche dei lavoratori.
  La fotografia è sugli ultimi due anni. Il dato dei 4,8 miliardi di avanzo patrimoniale è un dato che si è accumulato nel corso di questi ultimi quindici anni ed è l'effetto ultimo degli interventi che sono stati previsti con le riforme del ciclo del 1995. Nel settore dello spettacolo è stata fatta nel 1997.
  In particolare, un intervento è molto rilevante. Osservando questa slide, che riassume i tratti distintivi dell'assicurazione dello spettacolo, se guardate l'ultimo step, quello dei requisiti per la maturazione di un anno di anzianità assicurativa, vedete che i lavoratori, gli artisti a tempo determinato – inserendo in questo gruppo tutti, i lavoratori autonomi, quelli con rapporto a tempo determinato e così via – maturano un anno assicurativo con 120 giornate di lavoro. Ricordando il dato di prima (83 giornate medie comprensive di tutti, anche per i lavoratori a tempo indeterminato), che cosa accade e qual è la situazione paradossale che sicuramente tutti, anche i rappresentanti dei lavoratori, immagino, vi rappresenteranno? La situazione paradossale è che un lavoratore dello spettacolo, che lavora in forma autonoma o a tempo determinato, rischia di lavorare quarant'anni nel settore senza maturare i vent'anni minimi per aver diritto alla prestazione pensionistica. Questo è un effetto probabilmente non voluto delle riforme del 1995, che hanno voluto armonizzare tutte le gestioni previdenziali rispetto a quella del Fondo pensione lavoratori dipendenti e che, in questo caso, non hanno tenuto conto di quello che sarebbe stato l'effetto, da questo punto di vista, su questo settore.
  Giusto per guardare ancora un attimo le caratteristiche particolari del settore dello spettacolo, nell'assicurazione dello spettacolo sono assicurati tutti i lavoratori, sia che svolgano attività con rapporti di lavoro subordinato, sia parasubordinato o autonomo. Questa è una particolarità che vige da sempre nel settore. I rapporti di lavoro autonomo hanno lo stesso trattamento dal punto di vista della contribuzione previdenziale dei rapporti di lavoro di tipo subordinato. Quindi, anche per i lavoratori autonomi il committente si comporta esattamente come un datore di lavoro: fa le denunce contributive, paga i contributi e ne Pag. 6è responsabile con la rivalsa per la quota a carico del lavoratore. Questa è una situazione che, tra l'altro, ha evitato, nel corso degli anni, quelle operazioni di arbitraggio normativo che possono fare le aziende: conviene più assumere con lavoro in partita IVA, lavoro autonomo, perché non si pagano i contributi. Da questo punto di vista, in questo settore non ci sono queste differenziazioni e questa sicuramente è una cosa buona dal punto di vista delle tutele del lavoratore.
  La contribuzione è comunque a carico del datore di lavoro, anche nel caso del committente, e ogni prestazione artistica – questa è l'altra peculiarità – anche se di breve durata (30 minuti, 20 minuti, due ore e così via) è considerata ai fini assicurativi una giornata di prestazione assicurativa, quindi una giornata di prestazione lavorativa.
  Come potete vedere, 120 giornate sono i requisiti annui per gli artisti, 260 per i lavoratori che non sono artisti ma che operano comunque a tempo determinato e 312 giornate sono i requisiti per i lavoratori che operano a tempo indeterminato (artisti e non), che sono uguali a quelli del Fondo pensione lavoratori dipendenti.
  Qui trovate un breve quadro degli oneri: quanto costa in termini di oneri sociali il lavoro nello spettacolo. Qui abbiamo preso un'impresa del settore terziario. Le aliquote sono distinte a seconda se si tratti di dipendenti a tempo indeterminato, determinato o di lavoratori autonomi. L'aliquota totale per un lavoratore a tempo indeterminato è intorno al 38 per cento: 38,6; 40 per cento per i lavoratori a tempo determinato perché opera il contributo NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego) addizionale; 34,28 per cento nel caso di lavoratori autonomi. Queste differenze tengono conto anche degli interventi di fiscalizzazione degli oneri sociali fatti nel 2005. Le tutele principali (la pensione, l'invalidità, vecchiaia, superstiti, la maternità, la malattia) operano sia per i dipendenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, sia per i lavoratori autonomi. I dipendenti hanno in più le tutele tipiche del lavoro subordinato: Fondo garanzia del TFR e contributo di disoccupazione. Alla fine vedete il Fondo integrativo di solidarietà, che copre eventi tipo cassa integrazione nei settori industriali.
  Queste ultime slides vogliono porre in evidenza quelle che a noi sembrano le possibili prospettive di adeguamento delle tutele delle prestazioni nel settore. Qui le abbiamo distinte. La prima che vedete riguarda proprio i trattamenti pensionistici.
  Come abbiamo già detto, a nostro parere, una riduzione dei requisiti minimi per la maturazione dell'anzianità assicurativa, quantomeno per gli artisti a tempo determinato, sarebbe assolutamente necessaria. Nel 1997 sono stati elevati da 60 a 120 giornate. Teniamo conto che dal 1997 ad oggi non sono cambiate le modalità di questo tipo di rapporti di lavoro o di prestazioni. Se le andiamo a confrontare, sostanzialmente si tratta delle stesse modalità quanto meno dal punto di vista dell'assetto del lavoro e della contribuzione. Un altro possibile intervento potrebbe essere quello di computare nell'anzianità assicurativa anche i periodi di formazione e preparazione. L'artista che si esibisce per un ciclo di dieci/quindici spettacoli è un artista che comunque ha alle spalle, quantomeno per quegli spettacoli, altrettanti periodi di preparazione artistica finalizzata a quello spettacolo. Nell'ambito della giornata assicurativa si potrebbe considerare un coefficiente (1,3, 1,4, 1,5 e così via) che vada in qualche modo a tenere in considerazione anche i periodi di formazione e preparazione. L'ultimo possibile intervento è la contribuzione volontaria. Oggi della contribuzione volontaria si tiene conto solo ai fini della misura delle prestazioni, e non del diritto alle prestazioni, che è una cosa abbastanza strana da questo punto di vista. Per cui, anche in questo caso, questo può essere un intervento che aiuta nell'accesso alle prestazioni, nella loro fruizione da parte dei lavoratori.
  Malattia e maternità. Per quanto riguarda la malattia e la maternità, diciamo che l'assicurazione malattia è già adeguata a tener conto dei caratteri di saltuarietà, discontinuità, dei lavoratori dello spettacolo. Ha sicuramente, però, due limiti. Il Pag. 7primo è quello del requisito per aver diritto all'assicurazione malattia, ossia devo aver maturato almeno 100 giornate assicurative a partire dal 1° gennaio dell'anno civile precedente all'insorgenza dell'evento morboso: mi ammalo il 3 aprile del 2019, devo comunque aver prestato 100 giornate di attività lavorativa a partire dal 1° gennaio del 2018, altrimenti non ho accesso a nulla. Questa è una limitazione oggettivamente pesante per questo settore. Sicuramente possono essere previsti interventi per ridurre questi requisiti minimi. L'altro aspetto, l'altro limite è quello dell'innalzamento della retribuzione di riferimento sia per la malattia che per la maternità per i lavoratori a tempo determinato.
  Oggi per i lavoratori dello spettacolo a tempo determinato il calcolo della malattia e della maternità viene fatto – questo per una previsione di legge antica – su un limite giornaliero che è pari a 67 euro lordi. È un limite molto basso, che molte volte non spinge neppure il lavoratore ad accedere a questo tipo di prestazioni, pur avendone diritto. È un limite anche di contribuzione, che potrebbe essere rivisto: pagare la malattia su tutta la retribuzione effettivamente percepita, ma ricevere prestazioni di malattia e di maternità effettivamente basate su un valore retributivo più che su un valore convenzionale, che oggi appare particolarmente inadeguato.
  La NASpI. Sull'assicurazione contro la disoccupazione c'è stato un dibattito recentemente da parte di organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori. Per quanto riguarda i lavoratori subordinati dello spettacolo, l'attuale funzionamento della NASpI, rivista dopo il decreto n. 22 del 2015, non appare particolarmente penalizzante, perché è un assetto che ha in sé una serie di elementi di flessibilità. Tenete conto che l'erogazione NASpI viene sospesa nel caso di rapporti a tempo determinato, successivi nel corso della NASpI, inferiori a sei mesi, per poi riprendere eventualmente, sussistendone le condizioni, successivamente. Questo è un elemento che, per questo settore caratterizzato da saltuarietà dell'attività lavorativa, appare molto rilevante. Nello stesso tempo, però, la NASpI oggi è compatibile con prestazioni lavorative che hanno un ridotto contenuto economico. Quindi, è compatibile con il lavoro subordinato, con compensi inferiori complessivamente a 8.000 euro. C'è una trattenuta, ovviamente. Di quello che si percepisce, l'80 per cento viene trattenuto sulla misura della NASpI. È compatibile con attività di lavoro autonomo non superiori a 4.800 euro in termini di valore economico. Quindi, dal punto di vista del lavoro subordinato non intravediamo particolari penalizzazioni rispetto al regime generale per il settore. Sicuramente, invece, un'attenzione va posta nei confronti dei collaboratori coordinati e continuativi dello spettacolo. I collaboratori coordinati e continuativi dello spettacolo sopravvivono nel settore anche dopo le riforme del decreto n. 81 del 2015 perché molto spesso sono contrattualizzati. Il decreto n. 81, all'articolo 2, comma 2, prevedeva, appunto, che potessero comunque continuare a essere stipulati contratti a progetto, di collaborazione e così via, purché contrattualizzati, purché soggetti a un accordo collettivo con le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori. Questo è un aspetto. Inoltre, c'è una deroga specifica per le Fondazioni musicali: queste possono comunque continuare a stipulare contratti di collaborazione.
  Da questo punto di vista oggi c'è un'evidente disparità fra i collaboratori parasubordinati iscritti alla gestione separata, che hanno una forma di assicurazione contro la disoccupazione, la DIS-COLL, e gli assegni familiari, e i collaboratori iscritti al Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo, che non godono di queste tutele. Relativamente a questo tipo di prospettiva, crediamo che possa essere particolarmente utile un'estensione di queste tutele, NASpI e ANF (Assegno per il Nucleo Familiare), anche a coloro che svolgono questa attività in forma di parasubordinazione.
  L'ultimo aspetto sul quale mi soffermo è quello dell'estensione della platea. L'assicurazione ex ENPALS, l'assicurazione del Fondo pensione lavoratori dello spettacolo, opera per figure professionali: non si guarda né all'azienda, né al datore di lavoro, ma al tipo di attività svolta. Per cui, un attore, se Pag. 8svolge quel tipo di attività, è assicurato all'INPS al Fondo pensione, a prescindere da chi sia il datore di lavoro; che sia un'industria, un'azienda industriale, un'azienda commerciale o un'azienda dello spettacolo, comunque è tenuta agli obblighi contributivi e all'assicurazione. L'elenco dei lavoratori iscritti al Fondo pensione andrebbe adeguato (l'ultimo è stato effettuato nel 2005). L'adeguamento, tra l'altro, può essere fatto con un intervento amministrativo, un decreto del Ministro del lavoro e del Ministro dell'economia e delle finanze. Qui potrebbe essere utile un'estensione dell'assicurazione obbligatoria, magari anche a nuove figure professionali; figure che oggi non hanno queste tutele e che magari o sono iscritte alla gestione separata o sono iscritte in una qualche gestione dei lavoratori autonomi (ad esempio la gestione commercianti) quindi anche con tutele inferiori di minore intensità rispetto a quella oggi dei lavoratori del settore.
  Teniamo solo conto, che, sul piano finanziario, l'intervento di ampliamento della platea di assicurati al Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo è un intervento che se tocca a noi figure, oppure cambia, aumenta il livello di contribuzione, genera effetti finanziari positivi per il bilancio pubblico che potrebbero anche finanziare interventi in altri ambiti del settore: quindi quelli di maternità, quelli sui requisiti delle prestazioni, quelli che riguardano la disoccupazione involontaria. Questo tipo di intervento di ampliamento della tutela può riguardare anche nuove figure.
  Oggi ci interroghiamo se al Fondo pensione debbano essere assicurati anche coloro che oggi fanno attività di testimonial, influencer e così via, utilizzando i social network, e che, di fatto, operano per la promozione di prodotti, e non fanno altro tipo di attività. Questi operano per aziende che vendono i loro prodotti attraverso questi canali, con questo tipo di attività. Questo tipo di intervento può in qualche modo generare risorse finanziarie, entrate, che possono essere finalizzate, a coprire quelli che sicuramente sono oneri derivanti da eventuali allargamenti, o miglioramenti del trattamento previdenziale, di maternità, disoccupazione e malattia dei lavoratori del settore. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola, per l'ISTAT, a Vittoria Buratta, direttrice della Direzione centrale statistiche sociali e censimento della popolazione.

  VITTORIA BURATTA, Direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il censimento della popolazione dell'ISTAT. Grazie a tutti per l'invito. Cercheremo di darvi il nostro possibile contributo per questa indagine conoscitiva su lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo, soffermandoci sulla parte lavoro, naturalmente, che è tutt'altro che semplice da documentare, perché, come abbiamo già sentito, il lavoro nel mondo dello spettacolo comprende una grande varietà di situazioni e anche di condizioni lavorative.
  La statistica ufficiale descrive l'occupazione in termini di intensità di presenza di un individuo sul mercato del lavoro. Nel settore culturale, ma più in particolare nel settore dello spettacolo, dove i lavori sono caratterizzati da una forte intermittenza e saltuarietà, tale presenza può essere il risultato di combinazioni di attività che danno luogo a quella che viene chiamata in inglese il multiple job holding, un'espressione con cui si indica la gestione da parte della stessa persona di più occupazioni come, per esempio, lo svolgimento di due professioni a tempo parziale, una delle quali continuativa e regolarmente retribuita e l'altra, invece, saltuaria e poco o per niente retribuita; una di natura artistica e l'altra no; quindi la compresenza di diverse condizioni di lavoro. Questo è molto diffuso, come intuiamo tutti, fra artisti come gli attori e i musicisti, anche in caso di artisti di successo.
  È difficile che la somma delle giornate di lavoro effettivo da essi svolte in un anno solare arrivi al tempo pieno o ci si avvicini. Come abbiamo anche già sentito e come si dirà in seguito, la mediana (come diciamo noi) dei giorni lavorati in un anno dai lavoratori dipendenti dello spettacolo – attenzione, qui sto parlando dei lavoratori dipendenti, quindi i lavoratori autonomi Pag. 9sono fuori da questa illustrazione – è di 194 giorni lavorati per 399 ore retribuite. Questo significa che metà dei lavoratori lavora meno di 194 giorni l'anno e per meno di 400 ore, sostanzialmente. Considerate che per i lavoratori dipendenti in generale questi valori sono 365 giorni di copertura assicurativa nell'anno e 1.252 ore. Siamo, quindi, veramente molto lontani. I percorsi professionali di questi lavoratori e artisti possono, nel tempo, vedere periodi di disoccupazione e periodi di occupazione e anche mobilità tra settori. Tutto questo è un fenomeno che merita un approfondimento, anche in termini di comprensione e di rappresentazione.
  La situazione del multiple job holding, per esempio, come dicevo, rende difficile la misurazione diretta del lavoro quando ci rivolgiamo direttamente alle persone. Nell'ambito delle indagini che facciamo noi sull'occupazione, le persone rispondono sull'occupazione prevalente. Questo significa che, se hanno una seconda occupazione di questa natura, questa tende, magari, a sfuggire. Quindi, dobbiamo avere molti caveat. Questa è una considerazione a margine: forse meriterebbe un investimento in termini di misurazione. Come si vedrà in seguito, una quota di occupati, parzialmente o con discontinuità, tende a sfuggire. Anche il lavoro non retribuito, che in questo settore è abbastanza frequente in forma di prestazioni volontarie, stage, tirocini formativi, sfugge alle misurazioni. A tutta questa intrinseca complessità si aggiungono gli effetti delle trasformazioni tecnologiche. Non ne abbiamo parlato, ma la digitalizzazione ha portato sul mercato una grande quantità e varietà di forme espressive e di skill nuovi in questo mondo, che meritano di essere approfonditi e aggiornati.
  Per inciso, sta per partire – nel prossimo anno – una nuova indagine sulle professioni. Questo mondo è in profonda trasformazione. Quindi, aggiornare le figure professionali che lo compongono è un requisito di base per capire davvero cosa cambia e come. Dobbiamo adottare, quindi, punti di vista diversi per arrivare a documentarlo. Il primo guarda alle professioni che caratterizzano lo spettacolo, siano musicisti, cantanti, autori, registi e quant'altro, o che possono essere esercitate sia nel settore dello spettacolo sia al di fuori di esso. Nell'ultima classificazione disponibile delle professioni, quella del 2011, quaranta professioni sono riconducibili direttamente, seppur non in via esclusiva, all'universo spettacolo. Se le dividiamo in professioni centrali ad alto contenuto artistico, sono circa venticinque; se le dividiamo in professioni di supporto, sono quindici.
  Il secondo punto di vista è quello di guardare all'universo delle imprese che operano nell'ambito dello spettacolo. Nell'ultimo aggiornamento della classificazione delle attività economiche, tre sono le divisioni principali che ci interessano, anche se non interamente: la 59, attività di produzione cinematografica (video, programmi televisivi e quant'altro), che assorbe, peraltro, la maggior parte di queste attività; la 60, l'attività di programmazione e trasmissione; la 90, ossia le attività creative, artistiche e di intrattenimento. Questo nell'ambito del mondo delle imprese, quindi si parla della classificazione delle attività.
  Questi due punti di vista – guardare alle professioni e guardare alle imprese e alle istituzioni – attingono principalmente a due fonti di dati: da una parte, l'indagine che conduciamo noi direttamente sugli individui, l'indagine sulle forze di lavoro, che raccoglie informazioni anche molto dettagliate (si tratta di un'indagine campionaria, sebbene molto ampia); dall'altra parte, l'archivio delle imprese ASIA, l'Archivio statistico delle imprese attive, che viene aggiornato annualmente. È un registro multifonte, che si avvale di molti punti di alimentazione, dove vengono rappresentate caratteristiche come unità locali, numero di addetti, fatturato e quant'altro. Qui l'unità di osservazione è l'impresa; lì, nel primo caso, è l'individuo.
  Vi è, poi, una terza fonte molto ricca che ci consente di guardare a questo universo, ed è il registro annuale delle retribuzioni, che noi chiamiamo RACLI (Registro annuale sul costo del lavoro individuale). Questo registro riguarda retribuzioni, ore e costo di lavoro per gli individui e per le imprese e integra informazioni che provengono Pag. 10 sia da indagini dirette sia da fonti amministrative, come quelle di natura fiscale. Partiamo da quest'ultima fonte per darvi un quadro generale, precisando, però, che stiamo parlando delle imprese private. Questo è importante. Tanto per capirci, non c'è la RAI in questo conteggio che ora vi darò, che da sola – come sapete – ha oltre 13.000 dipendenti, seppur non tutti nel mondo dello spettacolo. Così come non ci sono alcune fondazioni lirico-sinfoniche o alcuni enti teatrali.
  Il numero dei lavoratori dipendenti del settore privato extra-agricolo che nel 2016 hanno avuto almeno una posizione attiva nel mondo dello spettacolo è 192.389, ma il totale dei loro rapporti di lavoro – perché un lavoratore può avere avuto più rapporti di lavoro nel corso dell'anno – è stato di 413.653; il che ci fa capire che c'è un rapporto di uno a molti tra i lavoratori e le posizioni effettivamente occupate nel corso dell'anno. Il 38,8 per cento (quasi il 39 per cento, quindi) di questi lavoratori ha avuto, infatti, molti rapporti nel corso dell'anno, contestuali o meno. A questo sottoinsieme si attribuisce oltre il 71 per cento dei rapporti totali della popolazione oggetto di studio. Quindi, sono lavoratori che hanno, in genere, una molteplicità di attività. Quasi il 17 per cento ha avuto rapporti di lavoro anche al di fuori del mondo dello spettacolo. Questo è un altro aspetto importante da tenere in considerazione. Non sono lavoratori esclusivamente dedicati al mondo dello spettacolo.
  La durata mediana – significa che la metà sono al di sotto – dei rapporti di lavoro è stata di 194 giorni l'anno. Vuol dire che metà dei lavoratori ha lavorato per meno di 194 giorni all'anno e per 399 ore retribuite; valori molto inferiori, come ho detto già prima, a quelli di tutti i lavoratori dipendenti del settore privato (rispettivamente 365 e 1.252).
  Naturalmente, i lavoratori con un unico rapporto di lavoro nell'anno hanno avuto contratti più lunghi della media (in media 212 giorni), anche se con un input di lavoro inferiore in termini di ore. Per i lavoratori che hanno avuto più posizioni lavorative è necessario distinguere tra quelli che hanno lavorato sempre all'interno del settore e coloro che hanno lavorato anche al di fuori. Le due sottopopolazioni presentano strutture molto diverse tra loro. Se i primi, quelli che hanno lavorato solo all'interno del settore dello spettacolo, hanno avuto contratti più brevi (103 giorni) e un input di lavoro più basso, sia rispetto alla media sia rispetto ai lavoratori con un unico rapporto, quelli che hanno lavorato anche al di fuori del comparto presentano un input di lavoro, in termini di ore retribuite, rispetto alla media dei colleghi, molto più alto (801 ore, contro le 399 che dicevo prima, con una durata di 306 giorni). Conciliare, quindi, il lavoro nel mondo dello spettacolo e fuori dal mondo dello spettacolo è evidentemente più remunerativo, e diventa una soluzione, forse anche forzata, per alcuni di questi lavoratori.
  In termini di retribuzioni, in un contesto con una retribuzione oraria mediana di 11,24 euro (in linea con la retribuzione oraria lorda totale) e con una retribuzione annua mediana di 4.328 euro, i lavoratori che intrattengono più rapporti sono – come ci possiamo aspettare – retribuiti meglio rispetto ai colleghi con un unico rapporto. Trovate più dettagli nel testo che deposito (vedi allegato 2) e trovate anche alcune tavole allegate. Io adesso sto solo sintetizzando.
  Solo un dato su «dove» sono concentrati. Le città che presentano il più elevato numero di lavoratori occupati in questo universo sono Roma (che da sola assorbe il 36,6 per cento del totale dei lavoratori dello spettacolo e ben il 44,5 per cento del totale dei rapporti di lavoro), Milano (rispettivamente il 13,1 per cento e il 13,6 per cento) e Napoli (2,6 per cento e 2,2 per cento). Queste città sono anche quelle che presentano la concentrazione più alta in assoluto di imprese che lavorano nel mondo dello spettacolo.
  Nell'ambito di coloro che lavorano nelle tre divisioni ATECO (attività economiche) che vi ho detto prima, quindi parliamo delle imprese del mondo dello spettacolo (questo è un sottoinsieme), abbiamo osservato 365.912 rapporti di lavoro con una retribuzione mediana pari a 12,35 euro, Pag. 11quindi leggermente migliore. Se ordiniamo queste posizioni lavorative per numero di ore retribuite, la metà raggiunge un valore pari o inferiore al 46,7 per cento di ore all'anno. Analogamente, se distribuiamo le posizioni per durata dei rapporti di lavoro, misurata in giorni, la metà sono al di sotto dei 17 giorni e la metà al di sopra. Questa elevata frammentarietà del settore è un tratto che contraddistingue le posizioni lavorative, che risultano fortemente concentrate con riferimento alle loro caratteristiche. Quasi l'81 per cento di questi rapporti di lavoro ha un contratto a tempo determinato.

  PRESIDENTE. Dottoressa Buratta, la invito a concludere per dare spazio ai quesiti dei commissari.

  VITTORIA BURATTA, Direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il censimento della popolazione dell'ISTAT. D'accordo. Il regime orario più frequente è quello a tempo determinato, ma è full time nell'81 per cento dei casi. Dovendo sintetizzare – trovate, comunque, la documentazione nel testo – arriviamo ai dati che derivano dall'indagine sulle forze di lavoro. Qui parliamo di teste, persone che hanno risposto e che ci danno anche alcune caratteristiche sul grado di soddisfazione verso questo lavoro.
  Nel periodo 2011-2012 risultavano, secondo questa indagine, 135.000 lavoratori dello spettacolo presi nel loro insieme. Nel 2017-2018 sono saliti a 142.000. Quindi, vi è stato un leggero incremento nell'arco di questi due bienni. Visti più da vicino, tra quelli del periodo 2017-2018, coloro che lavorano nelle imprese dello spettacolo sono circa 73.000; 46.000 sono quelli che lavorano in attività non dello spettacolo, ma nelle imprese dello spettacolo (potrebbero essere fotografi che lavorano non specificatamente nell'ambito di quelle imprese) e 23.000 quelli con professionalità dello spettacolo, ma attive in imprese esterne al settore (magari un addetto all'intrattenimento, però in un'impresa che non è dello spettacolo). I maschi rappresentano la maggioranza, il 67 per cento, e sono leggermente in crescita (dato non scontato, questo). Questa quota è cresciuta di due punti rispetto al 2011-2012.
  Naturalmente, il mondo è dominato dagli adulti. Il 46 per cento ha tra i 35 e i 49 anni. Nel confronto con l'insieme degli occupati, però, i giovani dai 15 ai 34 anni qui raggiungono il 28 per cento contro una media del 22 per cento. Quindi, è un settore che tendenzialmente ha un profilo più giovane. Il Mezzogiorno, dal punto di vista territoriale, è decisamente sottorappresentato.
  Tuttavia, paragonati all'insieme degli occupati, i lavoratori dello spettacolo sono in possesso di titoli di studio decisamente più elevati. Considerate che il 41 per cento ha almeno la laurea contro una media del 23 per cento dei lavoratori.
  Infine, un aspetto caratterizzante è rappresentato dalla loro soddisfazione per l'attività professionale. Se per stabilità di rapporto, possibilità di guadagno, distanza da casa, orari, eccetera si dichiarano meno soddisfatti, tuttavia l'interesse per il lavoro e le opportunità date sono motivo di soddisfazione decisamente superiore, soprattutto per chi fa lavori artistici, naturalmente, sia all'interno sia all'esterno del perimetro.
  Chiudo ricordando, come dicevo poco fa, che questo mondo è in profonda trasformazione. Le figure professionali sono in profonda trasformazione. L'anno prossimo partirà un'indagine sulle professioni, da cui speriamo di capire anche cosa è cambiato e in quale direzione stiamo andando.

  PRESIDENTE. Credo ci sia stata un'ampia trattazione dei temi da parte di entrambi gli auditi, con slides e dati molto utili al lavoro di queste Commissioni. Riserverei, quindi, lo spazio restante alle osservazioni dei deputati e ad eventuali quesiti, ai quali gli auditi potrebbero rispondere successivamente, fornendo una documentazione alle Commissioni.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  CARLO FATUZZO. Ringrazio le personalità audite, che sono state chiarissime e interessantissime. Mi complimento. Purtroppo il tempo è quello che è, ma mi riservo di leggere attentamente lo scritto che avete digitalizzato al computer. Anche io sono in profondo cambiamento, per cui arriverò ad essere il massimo fruitore delle nuove tecnologie in tempi non biblici, spero. Cercherò di essere il più breve possibile e di andare al nòcciolo delle domande. Poi leggerò le risposte, nel caso non vi fosse il tempo di darle immediatamente. Intanto, ho avuto notizia – e non ne avevo idea – che il fondo contributi e pensioni del mondo dello spettacolo è in attivo, in profondo attivo, quindi controcorrente rispetto a molte altre attività lavorative. Da questo punto di vista, è un esempio che, teoricamente, si dovrebbe tendere a realizzare ovunque. Certo, non è merito di nessuno, ma i fatti sono questi. Praticamente, i lavoratori dello spettacolo non solo fanno spettacolo, ma «cacciano la grana» a favore di chi fa un lavoro meno soddisfacente del loro. Chiaramente, il lavoro artistico – come ha concluso la dottoressa poc'anzi – è uno di quelli che dà più soddisfazione al lavoratore, che può fare quello che si sente.
  Detto questo, passo all'aspetto più concreto. Mi risulta ci siano tantissimi lavoratori dello spettacolo, specialmente artisti, ma non solo, caratterizzati dal doppio lavoro. Ho un amico, ad esempio, che, lavorando come impiegato dell'INPS, la sera va a suonare in un'orchestra, o canta. In base alle leggi attualmente in vigore, molto spesso i contributi versati all'ENPALS (Ente nazionale di previdenza e assistenza per i lavoratori dello spettacolo) non sono serviti assolutamente a nulla. Fino a quando c'è stato il sistema retributivo o, come tuttora, parzialmente retributivo, contavano gli ultimi cinque o dieci anni di reddito. Per cui se io quindici anni fa, venti anni fa, trent'anni fa ho regolarmente svolto, oltre che l'attività di lavoratore dipendente oppure autonomo, anche – dico la sera per capirci meglio, ma può essere il contrario – l'attività nel mondo dello spettacolo, contano gli ultimi redditi. I contributi versati all'ENPALS non mi risultano (magari mi diceste il contrario) essere utilizzati in alcun modo dal lavoratore. Prima questione. Vorrei una conferma. Stando così le cose, diventa un motivo in più per cercare di cambiare qualcosa nella legislazione. Mi sembra assolutamente scorretto che un lavoratore versi contributi pensionistici senza ricevere alcun beneficio, né minimo né massimo.
  A questo proposito, mi risultano dei massimali nel versamento dei contributi all'ENPALS. Sappiamo tutti che ci sono artisti fortunati (non solo fortunati, ma anche bravi) che magari per una serata portano a casa più di quanto facciano mille altri artisti, perché sono diventati famosi o per altri motivi. Non mi sembra corretto. Dovrebbe esserci una corrispondenza rispetto al beneficio economico per la prestazione artistica. C'è per il versamento delle imposte, ma non c'è per il versamento dei contributi, perché c'è un massimale. Alla fine, cosa succede? Il lavoratore del mondo dello spettacolo guadagna tanto quando è famoso. Quando diventa anziano e arriva a 65, 70, 80 anni (abbiamo avuto anche alcuni esempi, poi finiti sulle prime pagine dei giornali) si trova senza un centesimo, senza un euro. La lamentela che mi viene riferita da chi fa parte del mondo dello spettacolo quando si viene a sapere quello che faccio, ossia l'esperto di pensioni, è la seguente: «Noi prendiamo pensioni misere e siamo veramente disperati».
  Seconda questione. Mi potete spiegare il discorso sull'agibilità per tutti gli artisti, compresi quelli che svolgono la loro prestazione in modo gratuito, di beneficenza e via discorrendo (tipo negli ospedali, case di riposo, eccetera)? Pagano un contributo all'ENPALS, denominato «agibilità», ma non hanno alcuna contribuzione che possa dare la pensione o sommarsi ai contributi versati per attività remunerata. Anche rispetto a questa domanda, per me un punto interrogativo, temo che non ci sia una legislazione corretta.
  Terza questione. Mi risulta ci siano regolamenti interpretativi della legge che hanno negato la possibilità di avere la pensione con il calcolo interamente retributivo quando il lavoratore ha sommato Pag. 13periodi di lavoro dipendente, periodi di lavoro autonomo, periodi di lavoro nello spettacolo. Si cumulano, si fa la somma, si arriva ad avere più di diciotto anni entro il 31 dicembre 1995, ma non viene pagata la pensione con l'intero calcolo retributivo, come a mio parere prevede la legge, perché si dice che il lavoratore doveva avere diciotto anni in un solo fondo pensioni e non sommando tutti gli anni lavorati e i vari fondi. Se non è così, avrò piacere di sentire che la situazione è diversa.

  DEBORA SERRACCHIANI. Ringrazio gli auditi per la presenza e anche per la puntualità dei loro scritti, assolutamente utili, visti i tanti numeri che sono stati riferiti. Per quanto riguarda questa indagine conoscitiva, mi pare di aver compreso, soprattutto dall'esposizione dell'INPS, che ci sono già alcune proposte, anche molto chiare, che riguardano alcuni interventi che in alcuni casi possono – se non ho compreso male – essere fatti anche soltanto attraverso un decreto ministeriale, come nel caso dell'allargamento della platea delle persone che potrebbero beneficiare delle tutele previdenziali.
  Le domande riguardano soprattutto due aspetti. Intanto, rispetto all'estensione della platea vorrei che noi capissimo esattamente di chi stiamo parlando. In realtà, i grandi artisti – almeno da quello che mi consta – sono soggetti che perlopiù utilizzano società attraverso le quali gestiscono la loro attività. Stiamo parlando, ovviamente, di artisti con redditi che non corrispondono a quelli che abbiamo visto nella media. Immagino che l'indagine conoscitiva debba esentarci dall'affrontare questo tipo di platea, rivolgendoci soltanto ai lavoratori dipendenti o ai lavoratori autonomi che abbiano, evidentemente, le particolarità indicate, sia per i requisiti minimi sia per la tipologia di versamenti. Altrimenti, la platea sarebbe talmente eterogenea che andrebbe fatto un approfondimento ulteriore rispetto a quello che ci è stato detto oggi. Questo è il primo aspetto.
  Il secondo aspetto riguarda alcune dinamiche, anche molto recenti. Mi riferisco in particolare a Quota 100. Capisco che sarà difficile trovare l'artista che ha 62 anni e 38 anni di contributi, ma trovare l'impiegato del mondo dello spettacolo che ha 38 anni di contributi e 62 anni di età può non essere complicato. Le mie perplessità su Quota 100 sono altre, ma mi chiedo come mai su questa specifica ipotesi siano stati esclusi proprio i lavoratori dello spettacolo che possono aver maturato i 62 anni di età e i 38 anni di contributi. Se c'è una spiegazione di qualche tipo, chiederei che ci venisse data.
  Per quanto riguarda la riduzione dei requisiti minimi almeno per i cosiddetti «tempi determinati», ci veniva detto dall'INPS che si è passati da 60 a 120 giorni annui e che questo impedisce, considerata anche la media annua di 83 giorni lavorativi, di poter accedere alle tutele minime. Ci sono altri lavoratori. Penso, ad esempio, all'agricoltura e al fatto che il minimo in agricoltura è rappresentato da 110 giornate lavorative annue. Mi domando come, anche in termini di equità, si possa intervenire rispetto a situazioni di questo tipo. Il suggerimento potrebbe essere quello di aumentare le giornate minime fino ad arrivare alla media contributiva annua, ossia le 83 giornate. Un'ipotesi di giornate, quindi, intorno alle 80, ma non intorno alle 120, altrimenti – ripeto – creeremmo questioni di inadeguatezza o, meglio, di inopportunità.
  Una spiegazione in più, e poi concludo, sulla malattia. Mi pare evidente che l'intervento debba essere fatto se non altro per una questione di giustizia sociale. Credo che, oggettivamente, su questo non ci siano dubbi o perplessità. È anche abbastanza semplice intervenire. Viceversa, sulla questione della contribuzione volontaria, mi domando come è possibile rapportarsi più verso il diritto delle prestazioni che alla misura delle stesse, come ci veniva indicato. Se c'è un suggerimento in questo senso, lo ascolto volentieri.
  Ultimissimo punto: come far emergere il tanto nero che in questo settore c'è? Oggettivamente, questo è un tema rispetto al quale l'indagine conoscitiva – immagino io – dovrà trovare indirizzi che ci permettano di capire in quale direzione operare. L'emersione di questi lavori spesso in nero Pag. 14significa non soltanto entrate per lo Stato, regolarizzazioni, eccetera, ma significa anche mettere in sicurezza una serie di lavoratori che adesso non hanno quella sicurezza. Trovo che nella ricostruzione fatta manchi un pezzo relativo a come intervenire per far emergere questi lavori, e sono tanti, anche abbastanza noti, che restano al di fuori di ogni forma di tutela, anche perché al di fuori della regolarità.

  ALESSANDRA CARBONARO. Sarò telegrafica, perché immagino che il tempo a disposizione sia veramente poco.
  Intanto, ringrazio gli auditi. Oggi si apre l'indagine conoscitiva. È la seduta di apertura dell'indagine conoscitiva, che abbiamo voluto organizzare in congiunta con la Commissione lavoro proprio perché credo che le suggestioni che arrivano da una Commissione competente sulla materia possano essere utili a fornirci un quadro generale, visti gli spunti e i quesiti che sono stati posti dai colleghi della Commissione lavoro.
  Chiaro è, da quello che ha anche detto il dottor Montaldi, che sarebbe opportuno lavorare a una norma ad hoc per quanto riguarda il lavoro nel mondo dello spettacolo. Si tratta di adattare una norma nata per i lavoratori dipendenti ai lavoratori autonomi del mondo dello spettacolo, caratterizzato – come sappiamo – da intermittenza e da una serie di peculiarità, che poi sono anche il punto di forza del settore. Chiaramente, vanno normati. Penso, una su tutte, alla normativa francese, che dà più tutele al settore e che sicuramente potrebbe essere – lo chiedo – un modello al quale guardare, quello sull'intermittenza, quello sul settore previdenziale. Mi riferisco al modello francese, al modello belga e a quello canadese.
  È interessante – sono molto felice che arriverà a breve, lei diceva l'anno prossimo – questa indagine sulle nuove professioni. Nel settore dello spettacolo, nel quale io lavoro, abbiamo visto cosa accade ad alcune figure professionali che inizialmente si occupavano di determinate cose. Penso al famoso tecnico delle luci che oggi diventa un lighting designer, diventa una figura che deve lavorare con altri tipi di tecnologie. Il tema della formazione, quindi, diventa importante.
  A questo punto, mi allaccio a una domanda da rivolgere all'ISTAT. Bisogna guardare a tutti i corsi che si fanno oggi in tutte le regioni per i vari tecnici, attori e quant'altro e pensare, magari, a una loro omogeneità. Chi oggi si forma in un corso in Emilia-Romagna e chi si forma a Napoli ha le stesse caratteristiche quando viene immesso nel mondo del lavoro? So che su questo tanti studiosi stanno lavorando, che si sta approntando il tema della formazione professionale anche in questo ambito, perché è molto importante, visto anche questo traghettamento verso le nuove professioni. Volevo fare solo queste due sollecitazioni. Vi ringrazio per gli appunti precisi.

  MICHELE NITTI. Buongiorno a tutti. Ringrazio anch'io gli auditi per i loro interventi.
  Finalmente si inizia a fare una ricognizione sulla situazione fiscale, contributiva e previdenziale per i lavoratori dello spettacolo. Siamo in una situazione in cui sia con partita IVA sia con le cosiddette «prestazioni occasionali», o comunque con i contratti di collaborazione, la tassazione che ne deriva è molto importante. Mi ricollego a quanto diceva la collega Carbonaro. È immaginabile la creazione di un regime fiscale ad hoc per i lavoratori dello spettacolo, una sorta di regime artistico?
  Mi ricollego anche a quanto detto dal collega Fatuzzo, non solo nei contenuti, ma anche in relazione all'alto numero di segnalazioni che abbiamo ricevuto insieme ad altri colleghi proprio sulla questione della doppia contribuzione, per esempio per i docenti che hanno anche partita IVA, che quindi guadagnano una somma superiore ai 5.000 euro. Cosa accade nel sistema contributivo in sede di ricongiungimento? Non c'è il rischio di una dispersione di questi contributi versati?
  Anche in relazione all'agibilità, sono arrivate molte segnalazioni in merito alla possibilità di fare in autonomia la richiesta di agibilità e il pagamento degli F24. La domanda è: siamo certi che durante il passaggio, cioè quando l'ENPALS è confluita Pag. 15 nell'INPS, non si sia disperso il know-how di conoscenze che prima aveva l'ENPALS? Lo chiedo in considerazione dell'alto numero di segnalazioni che arrivano in merito a tutte queste situazioni, quali agibilità, contribuzione, doppia contribuzione e quant'altro.

  DAVIDE TRIPIEDI. Sostanzialmente, emerge che entrano più contributi di quelli che escono. La domanda che mi pongo riguarda la media dell'età pensionistica a cui questi lavoratori escono e l'assegno che percepiscono. Abbiamo dati in tal senso? Vanno più con la pensione di vecchiaia o vanno più con il sistema contributivo? Lo chiedo per capire come siamo messi economicamente, a quanti anni esce un lavoratore dello spettacolo nella media, quanto percepisce di assegno pensionistico e a quale sistema ci si riferisce, se a quello basato sull'età o a quello basato sul montante contributivo.

  ANTONIO VISCOMI. Solo una domanda, una curiosità. Mi pare di non aver sentito parlare di previdenza complementare nel settore dello spettacolo, delle industrie creative e culturali in genere. Gradirei sapere se esistono informazioni precise e dettagliate sulla questione. Mi pare di capire che stiamo pagando il costo della stratificazione di un sistema previdenziale nel corso di un lungo periodo di tempo. Da questo punto di vista, mi chiedo se sia o non sia da privilegiare il sistema della previdenza complementare per sostenere le situazioni di lavoro intermittente, dei lavoratori discontinui e così via.

  CARLA CANTONE. Vorrei rivolgere una domanda e una richiesta di chiarimento. La domanda è se pensiamo di ascoltare anche le organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti dei lavoratori dello spettacolo. So che ci sono piattaforme presentate dalle quattro organizzazioni sindacali soprattutto in materia di formazione.
  Passo alla seconda domanda. A me è piaciuto molto l'intervento della deputata Carbonaro sulla formazione. A proposito di quello che proponeva l'onorevole Serracchiani rispetto alla riduzione delle 120 giornate, mi pongo una domanda: i corsi di formazione, almeno quelli indetti dalle regioni o, comunque, definiti in protocolli concordati, come vengono considerati? La butto lì: perché non detrarre le ore di formazione dalle 120 giornate, per esempio? Potremmo arrivare a 80 o a 90. Lo diceva prima l'onorevole Serracchiani. Visto che continueremo la discussione, tirar fuori alcune idee penso possa aiutare tutti.

  PRESIDENTE. Segnalo che l'indagine conoscitiva prevede anche l'audizione delle associazioni sindacali. Ringrazio tutti i deputati che hanno fatto sollecitazioni agli auditi molto interessanti e puntuali. Chiederemo agli auditi, nelle loro disponibilità, se è possibile fornire una breve memoria sulle risposte alle richieste delle Commissioni, in modo da poterla allegare ai lavori dell'indagine conoscitiva. Ringrazio di nuovo gli auditi. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegati) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.55.

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ALLEGATO 2

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