XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (VI Camera e 6a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Lunedì 8 febbraio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Marattin Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA RIFORMA DELL'IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE E ALTRI ASPETTI DEL SISTEMA TRIBUTARIO

Audizione in videoconferenza del professor Nicola Rossi.
Marattin Luigi , Presidente ... 3 
Rossi Nicola , professore ordinario di economia politica presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» (intervento da remoto) ... 3 
Marattin Luigi , Presidente ... 8 
De Bertoldi Andrea  ... 8 
Ungaro Massimo (IV)  ... 9 
Gusmeroli Alberto Luigi (LEGA)  ... 9 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 10 
Marattin Luigi , Presidente ... 11 
Fenu Emiliano  ... 11 
D'Alfonso Luciano , presidente della 6a Commissione del Senato della Repubblica ... 11 
Marattin Luigi , Presidente ... 12 
Rossi Nicola , professore ordinario di economia politica presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» (intervento da remoto) ... 13 
Marattin Luigi , Presidente ... 15 
Rossi Nicola , professore ordinario di economia politica presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» (intervento da remoto) ... 16 
Marattin Luigi , Presidente ... 16 

Audizione in videoconferenza del professor Carlo Cottarelli:
Marattin Luigi , Presidente ... 16 
Cottarelli Carlo , direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani dell'Università Cattolica di Milano (intervento da remoto) ... 16 
Marattin Luigi , Presidente ... 20 
De Bertoldi Andrea  ... 20 
Gusmeroli Alberto Luigi (LEGA)  ... 21 
Marattin Luigi , Presidente ... 22 
Fenu Emiliano  ... 22 
Marattin Luigi , Presidente ... 23 
Cottarelli Carlo , direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani dell'Università Cattolica di Milano (intervento da remoto) ... 23 
Marattin Luigi , Presidente ... 25 

Audizione in videoconferenza di rappresentanti dell'Istituto Bruno Leoni:
Marattin Luigi , Presidente ... 25 
Sileoni Serena , vicedirettrice generale dell'Istituto Bruno Leoni (intervento da remoto) ... 25 
Stagnaro Carlo , direttore dell'Osservatorio sull'economia digitale dell'Istituto Bruno Leoni (intervento da remoto) ... 27 
Marattin Luigi , Presidente ... 30 
De Bertoldi Andrea  ... 30 
Ungaro Massimo (IV)  ... 30 
Marattin Luigi , Presidente ... 31 
Sileoni Serena , vicedirettrice generale dell'Istituto Bruno Leoni (intervento da remoto) ... 31 
Stagnaro Carlo , direttore dell'Osservatorio sull'economia digitale dell'Istituto Bruno Leoni (intervento da remoto) ... 32 
Marattin Luigi , Presidente ... 34 

Allegato 1: Documentazione depositata dal professor Rossi ... 35 

Allegato 2: Documentazione depositata dal professor Cottarelli ... 46 

Allegato 3: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'Istituto Bruno Leoni ... 53

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Centro Democratico-Italiani in Europa: Misto-CD-IE;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA VI COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI LUIGI MARATTIN

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione in videoconferenza del professor Nicola Rossi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sui redditi delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, l'audizione del professor Nicola Rossi, professore ordinario di economia politica presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata».
  Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza dinnanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6a (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e dell'audito, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del presidente della 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, al professor Nicola Rossi, al quale do il benvenuto e che ringrazio per la partecipazione.
  Darei quindi la parola al professor Rossi, al quale chiederei di limitare se possibile il proprio intervento ad una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  NICOLA ROSSI, professore ordinario di economia politica presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» (intervento da remoto). Ringrazio per l'invito. Vorrei cominciare esprimendo il mio apprezzamento per questa iniziativa dell'indagine conoscitiva, che ha consentito, io credo, di dare la trasparenza e l'ampiezza al dibattito sulla riforma fiscale, un'ampiezza e trasparenza che certamente fino a qualche tempo fa ancora non c'era.
  Io vorrei iniziare sgombrando il campo da un paio di questioni. La prima è che non vorrei spendere molto tempo, anzi quasi per niente, per parlare di quelli che sono i limiti dell'attuale sistema fiscale e in particolare dell'IRPEF. Questo per il banale motivo che se guardiamo ad alcune delle audizioni che mi hanno preceduto – io ho in mente in particolare quella del direttore dell'Agenzia delle entrate, ma anche quella di Banca d'Italia e l'elenco potrebbe continuare – questi limiti sono descritti in maniera molto puntuale e molto compiuta e francamente non credo sia utile ripetersi.
  C'è solo un punto che io credo vada sottolineato: le disfunzioni dell'attuale sistema sono talmente profonde che un aggiustamento non è ormai più possibile, a cinquant'anni di distanza dall'ultima vera riforma del sistema del fisco. Sono limiti e problemi tali che richiedono una riforma compiuta così come quella dell'inizio degli anni Settanta, ed è una riforma che va fatta Pag. 4– io mi auguro vivamente – pensando che debba durare altri cinquant'anni e non solo pochi mesi o pochi anni.
  Un secondo punto che vorrei segnalare è che io naturalmente mi baso su quello che è il quadro finanziario disponibile a oggi, il quale prevede per la riforma fiscale, al netto dell'assegno unico per i figli, una manciata di miliardi. Ora io non vorrei entrare nella discussione «se è troppo o è troppo poco», ma vorrei soprattutto sottolineare un punto: più la riforma è ampia e compiuta, più quel quadro finanziario può essere rispettato, paradossalmente, perché se la riforma è ampia e tocca più tasti è possibile, all'interno del sistema fiscale, trovare le risorse necessarie per fare una riforma compiuta. È ovvio che se altre risorse fossero disponibili per abbattere la pressione fiscale, cosa che io credo sarebbe utile, tanto di guadagnato naturalmente. Ma è possibile separare forse i due argomenti.
  Penso, come è stato autorevolmente sottolineato, che i fondi che arriveranno attraverso il Next Generation EU non siano utilizzabili per l'abbattimento della pressione fiscale in occasione della riforma, ma sono abbastanza convinto che la fase di transizione della riforma potrebbe essere forse finanziata da quei fondi e credo che questo sarebbe un tema da approfondire. È ovvio che ciò potrebbe accadere, dal mio punto di vista, solo se la riforma fosse ampia, perché in quel caso potrebbe a pieno titolo rientrare tra le riforme di contesto che accompagnano l'operazione Next Generation EU.
  Fatta questa premessa e sgombrato il campo da queste due questioni molto serie, io vorrei sottolineare, come punto di partenza di questo ragionamento odierno, come non siamo più nella situazione in cui eravamo quando abbiamo cominciato a discutere di riforma fiscale, cioè intorno al 2017-2018, perché la pandemia ha cambiato in maniera molto significativa il quadro. Provo a spiegarmi. Una pandemia solitamente ha due impatti: un impatto di breve periodo, legato ai lockdown e alle misure di confinamento, che si traduce in una caduta del prodotto interno lordo immediata, come abbiamo registrato nel 2020, e un impatto di medio-lungo periodo altrettanto serio, cioè i decessi dovuti alla pandemia sono niente altro che sottrazione al capitale umano di un Paese e tendono a incidere in maniera significativa sul tasso di crescita potenziale di un Paese.
  Per noi questo tema è cruciale, perché noi, dato il debito che abbiamo e dato il nostro debito prospettico, dobbiamo avere un tasso di crescita significativo nei prossimi dieci, quindici o vent'anni. È chiaro che ci auguriamo che una parte di questo tasso di crescita significativo potenziale possa arrivare da una spesa oculata dei fondi europei, ma è altrettanto chiaro che tutto quello che possiamo fare per sostenere il tasso di crescita, nei prossimi dieci, quindici o vent'anni, dovrà essere fatto.
  Lo ripeto, perché, con quel debito, per noi avere un tasso di crescita significativa non è un'opzione. Da questo punto di vista la pandemia ha un po' cambiato lo scenario, nel senso che ci impone di tenere conto esplicitamente, nel momento in cui andiamo a riscrivere le regole del sistema fiscale, di un obiettivo molto preciso, cioè di come costruire un sistema fiscale che sia orientato alla crescita. Vorrei essere chiaro fin dall'inizio: non sto dicendo che l'unico obiettivo della riforma debba essere questo. Mi rendo perfettamente conto che ci può essere anche un obiettivo di carattere redistributivo, ma credo che non possa essere solo l'obiettivo redistributivo quello che ci guida.
  Il grafico nella terza pagina illustra quello che sto cercando di segnalare. Di pandemie ne abbiamo avute tante, molte più di quanto non pensiamo. Noi ricordiamo forse le principali, ma in realtà nella storia ce ne sono state veramente tante. Solitamente a una pandemia ciò che segue è quello che gli economisti chiamano «una caduta del tasso naturale di interesse», che è ciò che vedete nel grafico. Il tasso naturale di interesse non è altro che un costrutto teorico che sostanzialmente dice che cosa accade all'offerta di risparmio e alla domanda di investimenti. Quando la domanda di investimenti langue e quando l'offerta di risparmio è ampia, il tasso di interesse naturale Pag. 5tende a scendere, ed è esattamente ciò che accade dopo le pandemie. La domanda di investimenti si riduce, perché l'incertezza circa le prospettive di crescita futura, anzi la certezza sul fatto che possano essere più contenute, porta le imprese a non spendere, e nello stesso tempo l'incertezza circa le prospettive future porta le famiglie a risparmiare. Il risultato è un'economia che può essere depressa a lungo. Non possiamo permetterci questo evento.
  Tutto ciò che facciamo, inclusa la riforma fiscale, deve avere presente questo contesto, che non è il contesto in cui operavamo nel 2017 e nel 2018, quando abbiamo cominciato a parlare di riforma fiscale. Questo significa che dovremo ragionare di riforma fiscale avendo in mente, come ho detto, un obiettivo di crescita del prodotto potenziale. Nella quarta pagina il riquadro in grassetto riprende le nove righe, perché nove sono, sulla riforma fiscale contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza: mi permetto molto sommessamente di suggerire che quelle nove righe mancano il punto, cioè non inquadrano la riforma fiscale nel problema che abbiamo davanti; quindi ho la netta sensazione che il prossimo Governo, quale che esso sia, debba seriamente rimettere mano a quelle nove righe e collocare la riforma fiscale all'interno del contesto in cui ci troviamo, il che significa adattarle ai tempi in cui ci è dato di vivere.
  Andiamo ora alla parte successiva e proviamo a declinare un po' quello che sto cercando di dire. È evidente che l'IRPEF vada riscritta, come ho detto prima. Altri hanno detto con molta chiarezza quali sono i limiti dell'attuale sistema fiscale e dell'IRPEF in particolare. L'equità verticale è un miraggio, questo è bene dirselo con chiarezza. Cioè, il trattamento di persone identiche sotto ogni altro aspetto, tranne che sotto l'aspetto del reddito imponibile, certamente non è equo ed è anche assai lontano, se il sistema è guardato nel suo complesso, dalla progressività che alcuni immaginano essere propria di un sistema fiscale.
  L'equità orizzontale, ossia il trattamento di persone con lo stesso reddito ma che derivano il reddito da fonti diverse, è altrettanto un miraggio. Quindi certamente c'è da rimettere mano; ma rimettere mano all'IRPEF mantenendo l'obiettivo di un sistema fiscale orientato alla crescita significa in primo luogo dare un profilo sensato alle aliquote marginali, e cioè a quanto noi dobbiamo allo Stato per l'ultimo euro guadagnato.
  Ora vi è stato detto, credo, da molti, nelle audizioni che mi hanno preceduto, come l'andamento di queste aliquote sia nel nostro sistema attuale assolutamente erratico. Può capitare a diversi livelli di reddito di scoprire che non valeva assolutamente la pena di sforzarsi di fare un'ora in più di straordinario, sforzarsi di accettare una commessa in più, sforzarsi di accettare un incarico di lavoro in più, semplicemente perché ciò che lo Stato preleva su quell'ultimo sforzo lavorativo è tale da rendere lo sforzo lavorativo irrilevante.
  Il primo punto deve essere, quindi, quello di restituire un po' di ragionevolezza e sensatezza all'andamento delle aliquote marginali, perché questo significa spingere le persone a lavorare. Noi abbiamo bisogno di spingere le persone a lavorare e ne avremo particolare bisogno in alcune fasce della popolazione negli anni a venire.
  Il secondo punto ha molto a che fare anche questo con il profilo dell'imposta. Bisogna che ci sia una relazione strettissima fra ciò che accade sul versante dell'imposta e ciò che accade sul versante dell'assistenza. Solitamente le due cose sono trattate, se ricordo bene, anche in due Commissioni diverse dal punto di vista parlamentare, ma guardate che l'assistenza non è altro che il negativo dell'imposta, ed è assolutamente essenziale che vi sia una coerenza logica tra ciò che accade dal punto di vista delle imposte e ciò che accade sul versante dell'assistenza. Io credo che un passo avanti importante sia stato fatto con l'assegno unico per i figli, anche perché in quella maniera abbiamo razionalizzato molte delle varie misure spesso sporadiche che provvedevano all'assistenza, ma il sistema non è ancora del tutto completo – io credo – e bisognerà che lo sia.Pag. 6
  Sottolineo questo punto, perché mi interessa segnalare che spesso il tema viene posto come se potesse essere esaurito dalla discussione sul numero delle aliquote. Mi permetto di sottolineare che la questione sul numero delle aliquote, non voglio dire che sia secondaria, ma non è il primo punto all'ordine del giorno. Il primo punto all'ordine del giorno dovrebbe essere quello di avere un sistema coerente al suo interno, perché i sistemi non coerenti al loro interno determinano una serie di disfunzioni, che dopo un po' li fanno esplodere, come sta accadendo al nostro.
  Se si vuole, legittimamente io credo, moltiplicare il numero di scaglioni e di aliquote, fino addirittura a renderli infiniti come accade nel modello tedesco, allora però è importante – io vorrei dire è imperativo – che la base imponibile sia onnicomprensiva e cioè che all'interno della base imponibile vengano riportate tutte le fonti di reddito possibili, in maniera da garantire una piena equità di trattamento fra fonti di reddito diverse. Se invece si pensa di mantenere l'attuale struttura duale del sistema, cioè imposte cedolari per alcune fonti di reddito e invece l'IRPEF per altre, allora diventa consigliabile, io direi imperativo, ridurre il numero di scaglioni e di aliquote. Vorrei essere chiaro. Quando mi è capitato di lavorare sul tema della flat tax, per esempio, non molti hanno intuito che in quel modello in realtà le aliquote erano due, con l'unica differenza che la seconda era in parte dedicata al finanziamento della sanità; ma erano due.
  Allora io credo che la scelta sia molto semplice. Si vuole il sistema tedesco, di cui parlerò fra un minuto per segnalare alcuni aspetti? Benissimo, allora però si ritorni all'idea dell'imposta personale comprensiva, cioè che raccoglie ogni fonte di base imponibile. Si vuole invece il sistema che abbiamo oggi, e cioè duale, con una cedolarizzazione di alcuni cespiti? Benissimo anche questo, però allora il numero di aliquote non può essere particolarmente elevato e bisogna stare molto attenti a come si modulano gli scaglioni.
  Una parola sul sistema tedesco semplicemente per segnalare quella che a me sembra un po' una carenza del dibattito. Si dice spesso che il sistema tedesco è preferibile perché è più trasparente, in quanto l'applicazione di un semplice algoritmo permetterebbe a ognuno di conoscere qual è l'imposta dovuta. Io mi permetto di segnalare che questa è un'affermazione, nel migliore dei casi, molto parziale. Qual è la grandezza che ci interessa come contribuenti? Come contribuenti la grandezza che ci interessa è l'aliquota marginale. A me ciò che interessa sapere è, se io oggi faccio un'ora di straordinario, quanto di quell'euro in più va via. Bene, il sistema tedesco è terribilmente opaco da questo punto di vista, perché pretende che ognuno di noi contribuenti, perdonatemi il tecnicismo, sappia calcolare la derivata prima di una funzione quadratica. Non so quanto i contribuenti siano in grado di fare un'operazione di questo genere per arrivare a calcolare l'aliquota marginale. Ne consegue che quel sistema è opaco in quella che è la grandezza più importante dal punto di vista del contribuente.
  Paradossalmente un contribuente, nell'attuale sistema a scaglioni e aliquote – per quanto sia farraginoso – in realtà sa facilmente qual è l'aliquota marginale. Forse è l'aliquota media che non riesce a calcolare. Ma non credo che si possa porre la scelta fra il sistema tedesco e il sistema a scaglioni delle aliquote sulla base della trasparenza, perché sulla sola base della trasparenza francamente vedo parecchi problemi nel sistema tedesco.
  Aggiungo un altro punto che io credo che, dal punto di vista del legislatore, dovrebbe essere rilevante. Assegnare la struttura della progressività a una funzione quadratica, che inevitabilmente verrebbe gestita solo dai tecnici, io non so quanto sia raccomandabile dal punto di vista del legislatore. Alla fine quella dovrebbe essere una scelta politica e quindi una scelta comprensibile dal punto di vista del legislatore e non gestibile solo ed esclusivamente dalla tecnica. Però questa è una valutazione che faccio solo in quanto ex parlamentare, per così dire.
  La cosa che mi preme più di tutte segnalare è la necessità di una coerenza internaPag. 7 al sistema nel momento in cui si vanno a riscrivere alcuni elementi. Quando si vanno a riscrivere questi elementi, però, poi emerge la necessità di tenere in conto alcune questioni che hanno sempre a che fare con l'obiettivo di un fisco orientato alla crescita. Io penso che sia arrivato seriamente il momento di stabilire che i trattamenti preferenziali, se devono esserci, debbano esserci in due direzioni e devono cioè incentivare la partecipazione al lavoro delle donne e dei giovani. Quindi, volendo costruire un sistema bene ordinato, si deve e si può far sì che vi siano modalità per incentivare la partecipazione al mercato del lavoro di queste due categorie. Non è una cosa impossibile tenere conto del genere o dell'età. Bisogna naturalmente accertarsi che dal punto di vista costituzionale non esistano i limiti sotto questo aspetto, ma penso che sia una questione che il legislatore dovrebbe valutare con molta attenzione.
  Sempre ragionando in termini di un fisco orientato alla crescita, io credo che oggi diventi imperativo, molto più di due anni fa, avere un occhio di riguardo al problema della razionalizzazione delle spese fiscali. Io la metto così perché così è più semplice. Le spese fiscali hanno raggiunto quasi il 10 per cento del PIL, ma molte di loro hanno una dimensione assolutamente minima. Ci sono ormai ricerche abbondanti che segnalano come, laddove le spese fiscali sono tante e di piccola entità, tendenzialmente manca la fiducia, prospera la corruzione e prevalgono sistemi corporativi fondati sullo scambio di favori. Sistemi così non sono sistemi orientati alla crescita. Uno sfoltimento molto significativo delle spese fiscali – che personalmente non può essere fatto scegliendo la spesa fiscale che si vuole eliminare, perché è ovvio che a quel punto le resistenze sarebbero molto elevate – è una delle strade anche per restituirci un sistema fiscale in grado di consentire al Paese di crescere.
  Detto questo, secondo me tutto ciò ci porta a una conclusione che mi viene segnalata – e mi viene segnalata con forza – proprio dalle nove righe del Piano nazionale di ripresa e resilienza che vi ho indicato prima. Quelle nove righe in realtà, ripeto, rispondono a una logica che non è più quella che dovremmo oggi avere davanti, ma soprattutto hanno la caratteristica di replicare un po' lo schema che è stato proprio degli ultimi decenni, e cioè il fisco come strumento di redistribuzione e la spesa come strumento di crescita.
  Un'altra delle cose che la pandemia dovrebbe averci insegnato è che in realtà le fonti della disuguaglianza sono nella spesa. Quello che è accaduto dal punto di vista dell'istruzione e quello che è accaduto dal punto di vista della sanità dovrebbero segnalarci che il canale di redistribuzione più importante, il canale che redistribuisce le opportunità, è la spesa, non il fisco. Sarebbe questa l'occasione per invertire un po' la tendenza che abbiamo avuto negli ultimi decenni e cominciare a pensare che con il fisco si possa anche fare crescita e con la spesa si possa, e si debba soprattutto, redistribuire anche le opportunità. Io credo che sia questo il vero cuore del dibattito e per comprenderlo basta guardare gli interventi che sono stati fatti sull'IRPEF negli ultimi venti o trent'anni, spesso e volentieri dettati da un obiettivo redistributivo, i quali oggi ci consegnano un Paese a elevata disuguaglianza e a bassissima crescita. Forse è arrivato il momento di invertire i termini della questione.
  Concludo con un paio di osservazioni, che capisco perfettamente possano esulare dallo scopo di questa indagine conoscitiva, che è molto mirata sull'IRPEF, ma credo che siano rilevanti e credo che vadano tenute in conto. La prima è che se si vuole veramente costruire un fisco orientato alla crescita, io credo che il legislatore, se non oggi, domani, debba porre attenzione a quello che attiene al comparto della tassazione delle imprese, in particolare alla tassazione delle persone giuridiche. Mi sembra irragionevole pensare che l'intero sforzo di crescita nei prossimi quindici o vent'anni possa essere interamente poggiato sulla spesa pubblica. Bisognerà che ci siano gli investimenti privati che seguono. Per farlo ho l'impressione che si debba necessariamente costruire un sistema fiscale in grado di Pag. 8rendere per le imprese più conveniente irrobustire i mezzi propri e investire.
  Credo che la strada debba essere – in forme che si possono trovare – quella di andare sempre più verso la tassazione degli utili distribuiti e non degli utili generati dalle imprese. Questo, notate bene, non significa tassare di meno le imprese, significa semplicemente spostare il momento della tassazione al momento della redistribuzione. Non si deve stravolgere il sistema. Se si fa riferimento, per fare solo un esempio tra i tanti, alle proposte avanzate dall'Ordine dei commercialisti di Milano, si arriva rapidamente alla conclusione che è possibile, anche senza stravolgere il sistema esistente, andare in questa direzione, che dovrebbe essere la direzione che, ripeto, dà un sostegno molto forte agli investimenti privati negli anni in cui ci serviranno.
  Nell'ultima pagina menziono due questioni. Una riguarda la semplificazione. Credo davvero di non dover aggiungere quasi nulla su questo punto, salvo una cosa: la semplificazione non ha a che fare solo con il numero di scadenze fiscali che abbiamo nell'anno; ha a che fare anche con il numero di balzelli di cui è composto il nostro sistema fiscale. Una parte della razionalizzazione dovrebbe essere fatta partendo proprio dalla riduzione di questi balzelli, perché a volte sono proprio cari, di cui il sistema fiscale è disseminato. La semplificazione è possibile solo se il contesto in cui ci si muove è trasparente e sostenibile. Per «trasparente» io intendo soprattutto una cosa. Se si vuole che la riforma funzioni, bisogna che sia compresa; per essere compresa deve essere trasparente in ogni suo aspetto e soprattutto, in qualche senso, deve cambiare il rapporto tra i contribuenti e il fisco. Credo che sia arrivato il momento di provare a dare dignità costituzionale allo Statuto del contribuente, che è la norma più violata in assoluto di questo Paese. La cosa grave è che è violata dallo Stato e non dai singoli, questa volta.
  La seconda questione, invece, credo sia rilevante e anche qui so di andare oltre il seminato, ma credo che l'impatto della riforma si giocherà anche su questo specifico punto. Io vi segnalo che, mi sforzo di dirlo da mesi, si sta creando una bolla fiscale di grandi proporzioni, conseguente a, inevitabili per certi versi, rinvii che si sono determinati nel corso del 2020. È una bolla che, se sommata alla bolla occupazionale, conseguente al blocco dei licenziamenti, e alla bolla creditizia, conseguente alla pratica delle moratorie, può avere effetti molto seri. Se si vuole che la riforma parta col piede giusto, bisogna inevitabilmente e in maniera equa e sostenibile anche affrontare quel tema. Quella di oggi non credo sia la sede per parlarne, ma credo che non possa essere dimenticato. Credo di aver finito e vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore, anche per il rispetto dei tempi. Cedo la parola ai colleghi che vogliono intervenire per commenti, domande o considerazioni.

  ANDREA DE BERTOLDI(intervento da remoto). Buonasera e ringrazio il professor Rossi per il suo intervento. Io vorrei incentrare le mie domande in modo molto sintetico su tre passaggi. Prima di tutto mi concentrerei su un tema che è stato toccato dalla Corte dei conti nell'audizione della scorsa settimana, cioè il tema della patrimoniale. Io credo che al di là delle tante scuole di pensiero, delle tante teorie economiche, delle tante posizioni che si possono avere sul fisco, il tema delle patrimoniali, dei superbolli sulle auto, delle tassazioni sui patrimoni immobiliari, sia uno dei temi che sono determinanti per l'affluenza della ricchezza nel Paese, o addirittura per evitare che la ricchezza possa fuoriuscire, insieme ai ricchi, dal Paese. Allora io chiedo al professor Rossi cosa ne pensa di questa possibilità, che addirittura ha portato la Corte dei conti, in modo anche alquanto imprevisto, a suggerire la tassazione della prima casa. Questo è il primo aspetto sul quale avrei piacere di avere il suo parere.
  Da commercialista, da coordinatore della Consulta dei parlamentari commercialisti, chiedo al professore cosa ne pensa dell'attuale contesto che prevede per i liberi professionisti un'aliquota di ritenuta d'acconto Pag. 9pari al 20 per cento. Questo, come probabilmente lei ben sa, provoca soprattutto ai professionisti più giovani, ai professionisti più deboli, ai professionisti marginali, non certo ai più grandi professionisti italiani, ma alla maggioranza purtroppo, in termini di quantità, degli oltre un milione e 600 mila professionisti italiani, dei grossi problemi, perché ovviamente con questa ritenuta d'acconto, che ricordo essere sul lordo, del 20 per cento, e che corrisponde quindi a una tassazione sul netto perlomeno pari al 50 per cento, si creano di fatto delle necessità di rimborso delle imposte versate.
  Il giovane professionista, il professionista di periferia, si trova di fatto a dover fare da banca, da anticipazione allo Stato, delle tasse che in realtà non deve e che deve poi chiedere a rimborso. Io le chiedo se non troverebbe coerente e corretto – soprattutto in un momento come questo, in un momento nel quale come sappiamo i professionisti stanno vivendo una crisi, mi permetta di dirlo, ancora più grave degli altri imprenditori, in quanto addirittura esclusi dalla politica dei ristori – prevedere una riduzione almeno al 10 per cento della ritenuta d'acconto sui professionisti.
  Concludo in trenta secondi per chiederle, alla luce anche del suo intervento per un fisco orientato alla crescita, se non ritiene che la flat tax incrementale, che Fratelli d'Italia per prima nell'estate del 2018 ha presentato al Senato della Repubblica a mia prima firma insieme a Giorgia Meloni, possa rappresentare uno strumento per aumentare la produttività, quindi per favorire la crescita e per sfidare il sommerso; in sostanza, per permettere a coloro che producono di più, che dichiarano di più rispetto al biennio o al triennio precedente, di avere una tassazione più favorevole. La ringrazio molto se potrà, nello specifico, darmi delle risposte il più possibile esaurienti e le auguro buon lavoro.

  MASSIMO UNGARO(intervento da remoto). Anch'io ringrazio il professor Rossi. Se mi permette, io non la conosco, professore, ma vorrei ringraziarla per la sua relazione molto chiara, molto diretta e incisiva, con delle slides. Spero che altri auditi seguiranno il suo esempio nei nostri lavori di questa indagine. Le volevo fare tre domande puntuali in merito a quello che ha detto.
  La prima. Lei fa riferimento al fatto che per creare un fisco a sostegno della crescita sarebbe giusto usare la leva fiscale per venire incontro o per sostenere l'occupazione giovanile e quella femminile, che sono due grandi temi del nostro Paese. Io mi chiedevo se potesse un attimo elaborare quali sarebbero gli strumenti ideali, cosa pensa di sgravi e di aliquote speciali che siano compatibili con la Costituzione, da una parte, ma dall'altra riescano anche a venire incontro a quella che è un'enorme frattura nel nostro Paese su questi due fronti.
  La seconda. Lei faceva riferimento alla necessità che il sistema fiscale incentivi l'offerta di lavoro. Avendo noi una grande fetta della nostra economia sommersa o comunque nel mercato nero, mi chiedevo se non fosse utile anche nel nostro Paese adottare dei sistemi come l'imposta negativa, lo strumento che abbiamo visto nei Paesi anglosassoni, che ha avuto un successo abbastanza chiaro ed evidente nell'emersione del lavoro nero, anche per cercare di contrastare il fenomeno dei working poor. Volevo chiederle qual è la sua opinione in merito e se nel nostro ordinamento sarebbe utile introdurla.
  Infine lei diceva di tassare gli utili quando vengono distribuiti, non quando vengono generati. Immagino che questa sua proposta sia quella di incentivare il reinvestimento degli utili delle aziende e quindi favorire la patrimonializzazione delle imprese, che noi sappiamo in Italia essere un grande punto debole. Infatti spesso mi viene da pensare che il sistema fiscale italiano induce un po' le imprese a indebitarsi. È un problema che vediamo anche in altre economie. Volevo chiederle se questo è l'obiettivo che ci si pone con questa proposta o se ce ne sono altri.

  ALBERTO LUIGI GUSMEROLI(intervento da remoto). Buongiorno, professore. Per quanto riguarda la questione dei professionisti che stanno in credito fisiologico, che ha già citato l'onorevole De Bertoldi, io Pag. 10credo che sia possibile anche in questo periodo storico sistemare questa disfunzione al di fuori addirittura della riforma IRPEF, approvando una serie di ipotesi, emendamenti o proposte di legge. Volevo sentire lei cosa ne pensava. La Lega ha incardinato in Commissione Finanze della Camera dei deputati una proposta di legge per l'utilizzo dei crediti fiscali tra gennaio e dicembre, quindi nel periodo in cui sono sostanzialmente bloccati, oppure una serie di emendamenti che abbiamo presentato, relativi alla riduzione a metà delle ritenute d'acconto o altre ipotesi.
  Anche a me interessa poi la questione della flat tax incrementale perché, sempre come Lega, abbiamo incardinato in Commissione Finanze della Camera dei deputati, ed è stata fortemente perorata da un altro degli auditi, quest'ipotesi ponte, sempre nell'ottica non di una riforma complessiva ma di un intervento tampone che spingesse all'emersione, perché io vedo la flat tax incrementale più come spinta all'emersione che come misura strutturale; però è uno dei tanti strumenti. Cioè, la riduzione delle imposte e la semplificazione del sistema sono un po' gli strumenti per cercare di fare emergere base imponibile.
  Sul tema delle imposte, ritengo che ci siano troppe imposte. Anche qui c'è una proposta di legge sulle semplificazioni della Lega, con l'abolizione di tantissime imposte, per le quali sostanzialmente il costo di gestione è superiore al gettito. Quella della riforma IRPEF potrebbe essere anche l'occasione per sfoltire queste imposte.
  Un altro tema di domanda che mi è caro e su cui sono, lo sanno tutti, contrario, è la questione della tassazione per cassa. Io sono dell'idea che si possa fare giustizia del fatto che, per esempio, non si incassano le fatture emesse, e quindi la relativa IVA, e si debba versare con criteri diversi, non abbandonando il criterio di competenza che ci permette di avere dei bilanci corretti dal punto di vista civilistico-fiscale.
  Ultima cosa: la questione «patrimoniale sì, patrimoniale no». Io ritengo che ci siano già tantissime forme di patrimoniale, tra cui la più rilevante è quella dell'IMU. Non ritiene che da quel punto di vista si debba fare semplificazione e quindi togliere l'IMU su fabbricati occupati, inagibili, sfitti e sistemare un po' la questione delle aliquote e quindi semplificare? Nel 1973 è vero che ci sono stati sei o sette anni di studi, però si è intervenuti su tutto il sistema fiscale, non solo sull'IRPEF. Allora forse sì che si può fare crescita.

  GIAN MARIO FRAGOMELI(intervento da remoto). Grazie, professor Rossi. Io ho letto nel suo intervento la grande importanza del ruolo che una riforma fiscale deve avere nel rilancio dell'economia, visto anche il contesto contingente. A nessuno sfugge questo aspetto, però vorrei fare un passo indietro e fare due domande.
  La prima. Mi rendo conto che la flat tax ha avuto vita breve, nel senso che sostanzialmente, per come è stata impostata, ha potuto vivere solo nell'esercizio finanziario 2019, essendo poi il 2020 un anno difficilmente valutabile. Siccome lei ci ha fatto giustamente un discorso sulla grande criticità delle aliquote marginali rispetto all'incentivo alla crescita, al lavoro, allo sviluppo, vorrei capire quanto secondo lei questo istituto crea un disincentivo a superare determinate soglie di reddito che comportano l'uscita dalla flat tax e l'applicazione dei sistemi ordinari. Vorrei capire questo aspetto.
  C'è un'altra cosa che mi interessa molto. Lei ha fatto un approfondimento interessante sul sistema tedesco della tassa onnicomprensiva e sulla questione critica dell'opacità. Io vorrei capire da lei se c'è la possibilità di introdurre un sistema correttivo che garantisca comunque un minore effetto sulle aliquote marginali ma allo stesso tempo la conoscibilità delle stesse, e quindi un sistema tedesco corretto che garantisca sia un abbassamento della differenza tra le diverse aliquote, sia la previsione ex ante di quello che è il loro ammontare, per garantire anche un certo incentivo nella produzione e nello sviluppo.
  In ultimo non vorrei che questo tema importantissimo della patrimoniale confonda un po' altri fattori e mi riferisco all'IMU. Sappiamo tutti che per come è strutturata oggi l'IMU, che sostanzialmente grava su fabbricati diversi dalla prima casa, Pag. 11è uno dei capisaldi del finanziamento e del sostentamento degli enti locali. Volevo capire dal suo punto di vista cosa ne pensa e, visto che si parla spesso di superamento dell'IMU e di riduzione dell'IMU, come riformare l'IMU per far sì che sia l'unica entrata importante degli enti locali e che nella riforma dell'IRPEF tutto ciò che oggi riguarda le addizionali possa rientrare all'interno della macro-questione IRPEF erariale.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Fragomeli. Lo dico a beneficio di tutti: ovviamente nella prima domanda si riferiva al regime dei lavoratori autonomi e non a un'idea di flat tax complessiva.

  EMILIANO FENU(intervento da remoto). Anch'io ringrazio il professor Rossi per la chiarezza; suscita anche più interesse l'esposizione chiara di quello che si dice. Da quello che ha detto mi è sembrato di capire che avrebbe una preferenza, ma poi mi corregga se sbaglio, a mantenere un sistema duale. In questo caso suggerisce comunque di ridurre il più possibile il numero di aliquote. Mi è sembrato di capire questo, perché lei dice che comunque il modello tedesco in qualche modo non è così chiaro come si dice qua in Italia, ma è abbastanza opaco per i contribuenti, per ovvie ragioni che ha spiegato.
  Rispetto a quello che mi è sembrato essere il suo suggerimento, cioè il mantenimento di una struttura duale, volevo chiederle cosa ne pensa, mantenendo questo tipo di struttura, dell'idea di ridurre a una soltanto le varie aliquote relative alle imposte sostitutive. Quindi ogni qualvolta si esce, per quanto riguarda i redditi personali, dal sistema IRPEF, si va ad applicare una sola aliquota sostitutiva per redditi finanziari, oppure, ad esempio, per le semplici imposte sostitutive relative al sistema forfettario, quindi alle imprese individuali. Questa è la prima domanda.
  La seconda riguarda il ragionamento sul fatto che forse attraverso il sistema fiscale occorre incentivare e stimolare la crescita mentre la redistribuzione va fatta con la spesa. In realtà questo è un argomento che ha introdotto il presidente Marattin, credo, nell'ultima audizione. È un discorso su cui si può ragionare. Dal punto di vista della spesa, è possibile invece pensare a una possibilità di spendita sempre utilizzando il sistema fiscale? Mi riferisco all'esempio, quello più attuale, del superbonus e anche agli incentivi che hanno finalità di efficientamento energetico, dove, attraverso l'utilizzo di detrazioni, che però poi vengono trasformate in crediti fiscali, di fatto si sta pensando alla spesa, però sempre attraverso l'utilizzo del sistema fiscale.

  LUCIANO D'ALFONSO, presidente della 6a Commissione del Senato della Repubblica. Un ringraziamento al professor Rossi per la nettezza di alcuni passaggi che ci consentono certezza. Che poi queste audizioni sono concepite come spazio di verifica delle nostre volontà: o abbiamo la realtà, o diamo luogo all'inveramento nella realtà, oppure facciamo le audizioni per prenderci in sede teorica le prefigurazioni della realtà.
  Detto questo, professor Rossi, ho due domande sul tema dei crediti fiscali. Questa domanda mi è venuta da questa fotografia, da questo medaglione che ha aggiunto lei, che ha come intitolazione «Ultimo, ma non meno importante», la semplificazione e l'utilizzo della tecnologia, che ci dovrebbe consentire l'interoperabilità dei dati. Noi abbiamo i contribuenti che devono sapere che per legge la contribuzione fiscale è dovuta sul piano costituzionale, però noi sappiamo anche che la reciprocità nei rapporti tra Stato, ordinamento tributario e cittadini è un valore che deve informare di sé tutta l'organizzazione statuale.
  Ho ricostruito in due minuti i passaggi fondamentali della storia del nostro ordinamento. Nel 1865 nasce la quinta sezione del Consiglio di Stato, proprio per rendere paritetico il rapporto cittadino-Stato, tant'è che anch'io cittadino ti metto sotto processo amministrativo; poi il 1990 con la legge n. 241 sul procedimento amministrativo. Poi c'è stata la grande intuizione dello Statuto del contribuente. Secondo lei, secondo il suo lavoro teorico che fa ogni giorno in accademia, ma anche secondo la Pag. 12sua esperienza di suggeritore, di consigliere di coloro i quali hanno deciso in nome dell'Italia – lei è stato anche un legislatore – i crediti fiscali meritano reciprocità nella velocità del riscontro? Cioè, i crediti fiscali possono tornare a essere titolo di contrattualistica, moneta nel circuito di PagoPA, per esempio?
  Su questo noi vediamo una timidezza non della politica, perché tutte le volte che abbiamo interrogato qui, si sono mostrati tutti disponibili. È la struttura tecnica e burocratica che è timida, e io aggiungo anche pigra. Lei sul piano teorico, quando ha studiato questi aspetti, vede che su questo fronte si possono ritrovare o recuperare pezzi di economia reale, se i crediti fiscali vantati da semplici contribuenti potessero tornare a essere titolo di acquisti contrattuali nei confronti di coloro i quali si trovano dall'altra parte come interlocutori del rapporto contrattuale? Io suggerivo il circuito di PagoPA.
  Seconda questione, che mi interessa molto. Noi sappiamo che con la pandemia c'è stata una rottura di civiltà. Non sarà facile rimettere in piedi la ruota dell'economia; ci vorrà del tempo, e il tempo è nemico dei diritti delle persone e delle società. Noi possiamo immaginare che nell'economia digitale i dati riferiti agli acquisti, che poi valgono di più degli stessi beni che vengono comperati nell'economia digitale quando diventano informazioni e danno corpo al cosiddetto «capitalismo predittivo», possano dare luogo a cespiti di una nuova fiscalità innovativa da concepirsi in sede nazionale, ma anche in sede europea? Lei come la vede questa volontà di cui prima o poi ci dovremo strutturare, arricchire e dotare, per fare in modo che nasca una nuova capacità di fiscalità, per dare copertura a diritti, comodità, opportunità di cui hanno bisogno i singoli, le collettività e le imprese? Lei ritiene che i dati dell'economia digitale possano diventare cespiti di nuova fiscalità?

  PRESIDENTE. Io ho due brevi domande, prima di lasciare la parola per la replica al professor Rossi. La prima è proprio sul tema che ricordava il senatore Fenu. Professore, nonostante la sua sia stata un'audizione tutta preziosa, io ritengo che quando ha segnalato il cuore del problema lei abbia veramente colto nel segno. Mi riferisco al fatto che in Italia abbiamo sempre avuto la tendenza a utilizzare la spesa pubblica per presunta crescita e il lato delle entrate come redistribuzione.
  A questo proposito, fra l'altro, rivedendo un po' le audizioni precedenti, Banca d'Italia, se non ricordo male, ci ha dato il valore esatto della redistribuzione ex post operata dal sistema fiscale, vale a dire quattro punti di riduzione dell'indice di Gini. Per quanto concerne la redistribuzione sul lato della spesa io cito sempre un dato molto vecchio, che, se non ricordo male, era contenuto in un libro di Giavazzi e Alesina, vale a dire un valore zero, ma ormai sono passati diversi anni. Vale a dire che l'intervento della spesa pubblica non muta la distribuzione dei redditi ex ante. Probabilmente rivolgeremo la stessa domanda ad alcune istituzioni che hanno a disposizione, magari, modelli di microsimulazione, ma in ogni caso mi chiedevo se lei ha questo dato più recente o se tutti insieme possiamo cercarlo, vale a dire a quanto ammonta attualmente la redistribuzione operata sul lato della spesa pubblica.
  Su questo la vera domanda, la vera considerazione è questa. Mi chiedo come mai siamo arrivati a credere che la crescita si fa con la spesa e sul lato fiscale si fa redistribuzione. Facendo l'avvocato del diavolo mi viene da dire una cosa, ma anche la minima esperienza da legislatore che sto avendo mi da questa conferma. Molti sono convinti che alla fine, se si vuole fare un intervento di redistribuzione, farlo tramite le tasse è il modo più veloce; quindi mi chiedo: non è che siamo finiti in questa situazione anche perché abbiamo perso l'adeguatezza sul fronte dell'amministrazione? Cioè, per fare un intervento veloce con la spesa devo avere una pubblica amministrazione molto efficiente; invece sulle tasse è più semplice perché si scarica in dichiarazione. Mi chiedevo semplicemente se questa situazione, che lei ha così efficacemente evidenziato, sia il portato non solo di un concetto culturale, ma anche dell'impossibilitàPag. 13 di operare interventi decentralizzati e precisi a livello individuale tramite la spesa pubblica, perché è la macchina pubblica a non funzionare più.
  Seconda e ultima domanda. Se lei dovesse mettere in ordine di preferenza tre fonti di finanziamento alternative per una riduzione sensibile della tassazione sui fattori produttivi, laddove le tre fonti sono: una spending review, un incremento della tassazione sui consumi e un incremento della tassazione sui patrimoni, mi dica dal secondo posto in giù – perché so già quale sarà il suo primo posto – diciamo un intervento sull'IVA, per intenderci, o un intervento sul patrimonio, come li inserirebbe in ordine di ottimalità e anche in ordine di fattibilità politica.
  Le cedo la parola per la replica.

  NICOLA ROSSI, professore ordinario di economia politica presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» (intervento da remoto). Non voglio sottrarre tempo a Carlo Cottarelli, quindi cercherò di essere il più possibile breve e di raggruppare un po' le domande, se mi consentite. La prima che certamente merita di essere affrontata è la questione della patrimoniale. Io non ne ho parlato per due motivi. In primo luogo perché noi una patrimoniale già l'abbiamo. Io mi rendo conto che il dibattito ha preso una certa piega, ma noi abbiamo già una patrimoniale ed è anche una patrimoniale significativa, quella che grava su diversi cespiti. Ci sarebbe, eventualmente, la necessità di dare un minimo di ordine a ciò che facciamo sulla tassazione dei patrimoni, perché spesso e volentieri un ordine non c'è.
  Poi bisogna secondo me tenere conto di due questioni. Nell'audizione della Banca d'Italia c'è un'appendice, io credo, utilissima, che segnala i pro e i contro della patrimoniale. Pregherei tutti di leggerla con molta attenzione, perché i contro della patrimoniale non sono piccoli e non sono irrilevanti, anche per chi pensa che la patrimoniale possa essere una soluzione per i problemi italiani. Credo che quell'appendice vada letta con molta attenzione.
  Ma poi io vorrei segnalare a tutti che, prima ancora di immaginare le imposte patrimoniali, bisognerebbe porsi due questioni. Primo, credo che seriamente la grande incompiuta dal punto di vista della tassazione dei patrimoni in Italia sia la riforma del catasto. Su questo non ci sono dubbi. Un catasto attendibile credo che sia il minimo che si possa pretendere da uno Stato civile. Personalmente, nel momento in cui andassimo a una riforma del catasto, io credo che andrebbero riviste le aliquote dell'attuale tassazione ovviamente, in maniera da lasciare inalterato il gettito, perché se è un modo nascosto per dire «Facciamo gettito ulteriore in quella maniera» personalmente non mi troverebbe molto favorevole.
  Ma poi sottolineo un punto; anche questo viene fuori dalle audizioni precedenti. Noi tassiamo sempre tutti i redditi da patrimoni, quale che sia la natura del patrimonio stesso, e qui bisogna decidere. Se riteniamo opportuno tassare le rendite di quei patrimoni, benissimo, ma dubito che sia seriamente proponibile la possibilità di tassare tanto la rendita quanto il patrimonio stesso, con il risultato di avere spesso e volentieri aliquote che sarebbero espropriative, nel senso che andrebbero oltre il 100 per cento della rendita del patrimonio stesso. Io comprendo, capisco e, come ho detto prima, mi rendo perfettamente conto della volontà di alcuni di fare redistribuzione, soprattutto in un momento come questo. Lo comprendo, ma penso veramente che sovrapporre al sistema che abbiamo oggi un'altra, quale che sia, imposta patrimoniale non farebbe che rendere il sistema ancora più farraginoso e ancora più insostenibile dal punto di vista dei contribuenti. Io sono convintissimo che le imposte debbano essere comprese, debbano essere accettate e ne debba essere valutata l'intrinseca equità, perché vengano effettivamente pagate. Questo sul fronte della patrimoniale.
  Sul fronte della struttura delle aliquote e del modello tedesco e così via, dico due parole sulla flat tax incrementale. Se posso essere sincero, io capisco che si immagini una soluzione per far emergere un po' di nero. Onestamente non riesco a immaginare che la flat tax incrementale possa Pag. 14essere una soluzione strutturale. Siccome siamo di fronte a una prospettiva di riforma quantomeno dell'IRPEF, io suggerirei veramente di fare uno sforzo, per quanto possibile, per arrivare a una definizione compiuta, strutturale, in grado di durare, perché altrimenti da qui a un anno saremo punto e a capo, perché la situazione del sistema fiscale – ho cercato di dirlo prima – è tale per cui, se non andiamo a una ridefinizione strutturale di alcuni temi, il problema ce lo trascineremo senza limiti.
  Io non ho dato soluzioni specifiche ad alcune questioni. Penso, per esempio, alla questione femminile e giovanile, perché se non si sa la strada che vogliamo scegliere – il modello tedesco, le due, le tre, le quattro, le cinque aliquote, quello che sia – diventa un po' difficile ragionare su soluzioni specifiche; ma credo che non sia complicato, al netto dei problemi giuridici e costituzionali, come dicevo prima, per esempio in un sistema non lontano da quello attuale, sfrondare il campo da molte delle deduzioni e detrazioni che oggi abbiamo e invece immaginare strutture di deduzioni e detrazioni, tali per cui l'aliquota a carico dei giovani e delle donne, o, se si vuole, delle donne giovani e degli uomini giovani, sia tale per cui diventi conveniente partecipare al mercato del lavoro.
  Se è necessario, poi possiamo riflettere anche su questo, ma non credo che sia complicato, così come non credo che sia complicato immaginare forme di imposta negativa, con cui personalmente sono molto d'accordo. Ripeto, io considero l'assistenza il negativo dell'imposta e l'imposta negativa mi sembra un'ovvia conseguenza logica di quello che sto dicendo, con l'avvertenza che però bisogna anche stare attenti a come si costruiscono queste cose, perché i risultati, gli impatti, i disincentivi che si possono introdurre nel sistema possono a volte essere tali da più che compensare gli aspetti positivi.
  Una parola su un tema molto importante, che è la questione della tassazione per cassa, ma è una parola su un tema affine a essa. Io penso che se si volesse domani fare un'operazione veramente molto significativa dal punto di vista della tassazione delle imprese, bisognerebbe ricondurre il bilancio fiscale al bilancio civilistico. Guardate che questa distinzione è una distinzione irragionevole e insensata, che affonda le sue radici in una cosa molto semplice: nell'idea che lo Stato possa cambiare le carte quando gli conviene per aumentare il gettito. Non è una cosa ragionevole; non è nemmeno una cosa molto da Stato civile, per essere sinceri. Quanto più riportiamo il bilancio a fini fiscali al bilancio civilistico, tanto più restituiamo certezze alle imprese. Io vi segnalo un punto che può essere veramente a volte ironico: il bilancio civilistico è costruito su criteri di prudenza. Allontanarsi dai criteri di prudenza è ciò che spesso e volentieri lo Stato ci costringe a fare nel momento in cui paghiamo le tasse. Ma è mai possibile? È mai ragionevole uno Stato che invita il contribuente a costruire una struttura non prudente dei propri conti per potergli far pagare le tasse? Da questo punto di vista credo che veramente sarebbe opportuno fare qualche cosa appena possibile.
  Il sistema tedesco in realtà è piuttosto flessibile. Essendo una funzione quadratica, basta definire i valori che si vogliono dare a quei parametri per ottenere risultati, che possono essere molto diversi; ma il punto è proprio questo. Voi vi immaginate una discussione politica sui parametri di una funzione quadratica? Io francamente ho delle difficoltà a fare una cosa di questo genere. Ripeto, io credo che significherebbe consegnare un aspetto molto importante delle politiche fiscali a uno strumento puramente tecnico. Se voi pensate per un attimo a una diversa forma di progressività continua, che non è quella alla tedesca, ma è quella che io chiamo «einaudiana», un'aliquota e una area esente, che messe insieme fanno una progressività continua, lì invece emerge immediatamente il ruolo del legislatore che fissa l'aliquota e con essa fissa la quota esente definendo tutti i parametri della progressività. È un sistema che può non piacere, io non lo metto in dubbio; però bisogna sapere quali sono i pro e i contro di ogni soluzione che si porta.Pag. 15
  Una parola sull'imposta digitale. Io credo che sia una questione ormai europea. Quando dico «ormai europea» dico che non sempre ci rendiamo conto pienamente del fatto che, attraverso la straordinaria e importantissima operazione di Next Generation EU, noi abbiamo consegnato all'Europa, e non ci vedo niente di male, alcune basi imponibili: le basi imponibili digitali, alcune basi imponibili in tema ambientale e così via. È evidente che la soluzione da quel punto di vista sfugge ormai, io credo, al legislatore italiano e non potrà che essere ovviamente una soluzione concordata a livello europeo.
  Il presidente D'Alfonso citava i crediti fiscali. Con me sfonda una porta aperta da questo punto di vista; ma io le dirò di più: in un momento come quello del 2020 e direi anche del 2021, io mi domando come sia possibile che il legislatore italiano non abbia pensato a una cosa che a me appare banale. Nei bilanci delle imprese ci sono crediti fiscali sotto forma di imposte anticipate, generate dagli anni in cui si sono determinate perdite. Il 2008, il 2009, il 2010, il 2011, il 2020 sono gli anni più ovvi a cui fare riferimento. Bene, è mai possibile che il legislatore non si ponga il problema di rendere quei crediti – che oggi maturerebbero solo in presenza di utili – liquidi ed eseguibili immediatamente? Sarebbe una soluzione ovvia. Per qualche strano motivo non credo che la si voglia adottare. Da quello che capisco si teme che questa soluzione possa essere intesa come aiuti di Stato, ma io ricordo che non più tardi di qualche giorno fa la commissaria Vestager ha chiaramente segnalato che della questione degli aiuti di Stato ne riparliamo nel 2022 e per il momento rimane la sospensione di alcune regole, che era già stata prevista l'anno scorso.
  Come siamo arrivati ad avere un fisco prevalentemente redistributivo e una spesa prevalentemente «orientata alla crescita»? Io ho l'impressione che sia verissimo quello che è stato detto. Naturalmente c'è un problema culturale e c'è un problema legato al dettato costituzionale, che in qualche maniera ha fatto pensare a tutti che il fisco debba essere solo ed esclusivamente redistributivo e non altro. Ma c'è anche un altro problema. Purtroppo è un cane che si morde la coda. Quando la spesa pubblica è di cattiva qualità, genera disuguaglianze. Ripeto, l'abbiamo visto, con la pandemia, nella sanità e nella scuola; sono esempi secondo me straordinari. Quando la spesa pubblica non è di buona qualità genera disuguaglianze e a quel punto il legislatore corre a risarcire ex post attraverso il fisco. È una strada che non porta da nessuna parte, tant'è vero che ci porta dopo alcuni decenni ad avere elevati livelli di disuguaglianza e bassissimi livelli di crescita. Io credo che invertire l'ordine logico delle cose sia veramente uno dei primi problemi che abbiamo davanti. Non sarà facile, perché culturalmente si è sedimentata l'idea che il fisco si faccia per fare redistribuzione e la spesa pubblica per altro. È un'operazione che secondo me andrebbe fatta.
  Quali le fonti di finanziamento? Con questo chiudo, con la certezza di aver dimenticato qualche cosa. Certamente io credo che un lavoro attento e molto puntuale dal lato della spesa sia utile e possa essere fatto. Non credo assolutamente che abbia nulla a che fare con la parola «austerità». Credo, al contrario, che abbia molto a che fare con l'eliminazione di alcuni privilegi e il ritorno all'equità.
  La questione del carico fiscale dalle imposte dirette alle indirette io credo che debba essere fatta all'interno del sistema. Non è una fonte di finanziamento del sistema. Per così dire, un'eventuale razionalizzazione dell'IVA e un aumento del gettito di questa imposta deve servire a ridurre naturalmente il gettito delle imposte dirette, altrimenti la cosa non ha senso.
  Sulla patrimoniale io credo di aver detto quello che intendevo dire. Sottolineo un punto. Ripeto, bisogna decidere se vogliamo tassare le rendite o vogliamo tassare i patrimoni. Tutte e due le cose io credo che sia veramente impraticabile.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Il senatore De Bertoldi ci ricorda che attende cortesemente la risposta breve sulle ritenute d'acconto. Era una delle prime domande.

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  NICOLA ROSSI, professore ordinario di economia politica presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» (intervento da remoto). Sì, chiedo scusa, ha ragione. Sulle ritenute d'acconto è evidente che si pone il problema; non si può discutere. Credo che probabilmente bisognerebbe trovare una soluzione che eviti un problema di quel genere. Però io suggerirei, se è possibile, anche qui di costruire una soluzione nel momento in cui ridisegniamo il sistema. In altre parole la mia preoccupazione è che si intervenga oggi, eventualmente, per tenere conto di una giusta esigenza e che questo aggiunga null'altro che uno stadio ulteriore di complessità al sistema. Io non credo di dovervi spiegare quanto sia complesso il sistema fiscale oggi, ed è proprio perché abbiamo aggiunto interventi, a volte anche giustificati ma episodici, l'uno all'altro, che abbiamo ottenuto il risultato di costruire qualche cosa che, visto da lontano, non ha nessun senso.

  PRESIDENTE. Professore, io la ringrazio molto per la sua relazione e anche per la sua esauriente replica, anche a nome del presidente D'Alfonso e sono sicuro di tutti i commissari.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Rossi (vedi allegato 1) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione in videoconferenza del professor Carlo Cottarelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, l'audizione del professor Carlo Cottarelli, direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani dell'Università Cattolica di Milano.
  Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza d'innanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6a (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e dell'audito, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del presidente della 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, al professor Carlo Cottarelli, al quale do il benvenuto e che ringrazio per la partecipazione.
  Darei quindi la parola al professor Cottarelli, al quale chiederei di limitare se possibile il proprio intervento ad una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  CARLO COTTARELLI, direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani dell'Università Cattolica di Milano (intervento da remoto). Ringrazio le Commissioni Finanze di Camera e Senato per questa possibilità di esprimere il punto di vista mio e dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani dell'Università Cattolica di Milano, che dirigo, nel corso di quest'indagine conoscitiva che è centrata prevalentemente sulla riforma dell'IRPEF, mi sembra di capire. Nel far questo terrò naturalmente conto del mio recente impegno come coordinatore di un gruppo di lavoro sulla riforma dell'IRPEF patrocinato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, però vorrei sottolineare che esprimo queste mie osservazioni a livello personale e non come coordinatore di tale gruppo.
  Vorrei iniziare con alcune osservazioni preliminari. La discussione di una riforma di quella che è una delle principali imposte, l'IRPEF, potrebbe avere più facilmente luogo nel contesto di una discussione sulla riforma complessiva del sistema tributario, non fosse altro per il fatto che possibili spostamenti di gettito potrebbero essere raccomandabili o utili tra diverse forme di imposizione.
  Nel contesto di una riforma generale si potrebbe considerare, per esempio, lo spostamento da una tassazione del reddito prodotto a quello ereditato o donato, o uno Pag. 17spostamento verso una tassazione degli immobili, che è una principale fonte di finanziamento degli enti locali nei Paesi avanzati, opzione che sembra ormai politicamente impossibile in Italia, dopo le alterne vicende riguardanti l'IMU sulla prima casa. Quindi non mi occuperò di queste cose, che mi sembra vadano un po' al di fuori del campo di azione di questa indagine conoscitiva.
  Nel contesto, infatti, di una discussione che riguarda principalmente l'IRPEF mi atterrò a commenti di natura un po' più limitata. Però anche in questo ambito più ristretto credo sia possibile introdurre importanti miglioramenti rispetto alla situazione attuale. Con quali obiettivi? Essenzialmente quattro obiettivi: quello di rendere l'IRPEF meno distorsiva rispetto alle scelte economiche delle persone fisiche alle quali si applica questa imposta; quello di rafforzare l'equità orizzontale e verticale; quello di ridurre l'evasione fiscale, che secondo me rimane uno dei principali problemi dell'economia italiana, con una stima ufficiale di una perdita di gettito che forse conoscete, quella del rapporto Giovannini, di 108 miliardi circa – probabilmente di più perché alcune tasse e contributi non sono considerati nel rapporto: la mia stima è intorno ai 125-130 miliardi all'anno – e infine quello di semplificare il sistema impositivo.
  Rispetto a quest'ultimo obiettivo di semplificazione, vorrei sottolineare, cosa che credo sia stata sottolineata da altri che sono venuti prima di me a parlare in queste Commissioni, che se anche non si semplificasse nulla, sarebbe comunque opportuna la preparazione di un testo unico dell'IRPEF, con il fine perlomeno di facilitare la consultazione di una normativa, che è diventata ormai molto e troppo complessa.
  Detto questo, sappiamo che l'attuale sistema, in pratica, duale di tassazione, che si è sviluppato in Italia e nella maggior parte dei Paesi avanzati, comporta una tassazione diversificata tra i redditi da lavoro e i redditi che derivano dall'impiego di capitali. Si potrebbe pensare a un ritorno verso una comprehensive income tax. Io credo che sarebbe difficile da gestire in un mondo di ampia libertà di movimento di capitali. Io faccio questi commenti nell'ipotesi che si rimanga in quello che di fatto è diventato un sistema di tassazione duale, anche se forse originariamente l'intenzione non era quella.
  Nell'ambito dell'attuale sistema di fatto duale, sono però possibili alcuni miglioramenti, sia in termini di definizione della base imponibile, sia in termini di curva delle aliquote. Ho cinque punti da segnalare riguardo alla definizione della base imponibile e quattro punti che riguardano la curva delle aliquote. Inizierò con le questioni che riguardano la base imponibile con i seguenti suggerimenti e le seguenti osservazioni rispetto alla proposta di riforma dell'IRPEF, che peraltro sono state avanzate anche da altri, ma che vorrei comunque commentare. Alcune di queste proposte le troverete in parte anche nel rapporto che ho citato prima.
  Andando in ordine, in primo luogo penso che le categorie dei redditi di impresa minore e di lavoro autonomo potrebbero essere riunificate come redditi da lavoro indipendente, quindi con un'unica base imponibile, determinata in base al principio misto cassa-competenza esistente fra le imprese minori. Questa sarebbe essenzialmente un'azione di semplificazione. Questa unificazione porterebbe a una semplificazione del sistema, unificando due forme di reddito che sono di fatto molto simili.
  Il secondo punto che volevo analizzare riguarda la possibilità di un passaggio a un sistema di determinazione della base imponibile puramente per cassa per le imprese minori e i lavoratori autonomi. Questa proposta, avanzata di recente, tra gli altri, dal direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, comporterebbe la deducibilità immediata degli investimenti, al posto degli attuali ammortamenti, e l'applicazione del criterio di cassa anche a tutte le altre voci che oggi sono soggette a criteri di competenza. Questa ipotesi potrebbe essere considerata, però dovrebbe affiancarsi alla non deducibilità degli interessi sul debito utilizzato per finanziare tale investimento. Il vantaggio di questo passaggio sarebbe di garantire la Pag. 18neutralità tra diverse forme di finanziamento dell'investimento. Io non ritengo essenziale questa riforma, però volevo sottolineare che se si vuole consentire la deducibilità per cassa degli investimenti, allora diventa necessario anche introdurre la non deducibilità degli interessi sul debito utilizzato per finanziare tale investimento.
  Per quanto riguarda il terzo punto, credo che sarebbe utile superare la divisione tra i redditi di capitale e i redditi diversi di natura finanziaria, per garantire una più sostanziale equità orizzontale all'interno dei redditi di natura finanziaria. Questa situazione attuale in cui ci sono due categorie, quella dei redditi di capitale e quella dei redditi diversi, a seconda che il rendimento di un investimento finanziario si realizzi attraverso il pagamento di interessi o di dividendi, oppure con una plusvalenza, non ha una chiara giustificazione economica e di nuovo complica inutilmente il sistema. Si potrebbe invece applicare un prelievo sostitutivo del 26 per cento su tutta la somma delle diverse componenti reddituali e finanziarie derivate dal risparmio investito: interessi, dividendi, proventi vari, plusvalenze e minusvalenze percepite e realizzate nel corso di un anno.
  Il quarto punto riguarda la tassazione dei redditi da investimento immobiliare, quindi la tassazione degli immobili. L'attuale sistema presenta alcune anomalie che potrebbero essere corrette. La principale è che, per effetto della cedolare secca, i redditi da investimento immobiliare hanno una tassazione addirittura inferiore alla prima aliquota nominale dell'IRPEF. Si potrebbe allora almeno equiparare l'aliquota della cedolare secca per gli affitti di immobili abitativi a canone libero a quella prevista per la tassazione delle rendite finanziarie, quindi portandola dal 21 al 26 per cento. Si potrebbe anche equiparare l'aliquota della cedolare secca per gli affitti di immobili abitativi a canone concordato a quella prevista per la tassazione dei titoli di Stato, quindi portandola dal 10 al 12,5 per cento. Credo che sarebbe utile anche ripensare il trattamento delle plusvalenze immobiliari di medio termine, quelle realizzate dopo il quinquennio dall'atto di acquisto o di costruzione, che attualmente non sono imponibili ai fini IRPEF, assumendo che se si tiene un immobile per oltre cinque anni non c'è un fine reddituale o speculativo. Il capital gain da beni mobiliari è invece comunque sempre tassato ed è un'asimmetria. Si potrebbe allora introdurre un prelievo sostitutivo per le plusvalenze ultra quinquennali, con un'aliquota ad esempio del 12,5 per cento. Più in generale – ripeto una cosa che è stata detta più volte – occorrerebbe una più ampia riforma della tassazione del settore immobiliare, a partire dalla revisione del catasto.
  Per quanto riguarda l'ultimo punto sulla base imponibile, alcuni hanno proposto di recente il passaggio a una tassazione su base familiare, con l'introduzione in Italia del modello tedesco dello splitting. Il modello dello splitting prevede il cumulo dei redditi dei coniugi, la divisione per due dell'importo cumulato e l'applicazione sul totale di questo reddito dell'aliquota applicabile al risultato della divisione. Questo sistema ha certamente dei vantaggi in termini di equità orizzontale rispetto al fatto di avere un coniuge a carico o no, ma, rispetto all'attuale situazione di tassazione separata, aumenterebbe l'aliquota marginale in caso di decisioni di entrata nel mondo del lavoro del secondo percettore di reddito, che di solito è donna. Se si facesse questa cosa, si andrebbe contro alla necessità di facilitare la partecipazione lavorativa delle donne, che è già attualmente scoraggiata dall'esistenza di una detrazione per il coniuge a carico. Quindi, sarebbe contrario a quello che è uno dei principali problemi dell'economia italiana, ovvero la scarsa partecipazione al mondo del lavoro delle donne. Credo che al contrario si dovrebbe perlomeno dare una seria considerazione all'introduzione di una minore tassazione, su base temporanea, del secondo percettore di reddito, che di solito sono donne. Questo sarebbe giustificato, peraltro, dalla diversa elasticità dell'offerta di lavoro di tale precettore, che risulta normalmente più elevata per il secondo percettore. Ovviamente non si potrebbe fare, perché sarebbe incostituzionale, una tassazione diversa tra uomini e donne, però non Pag. 19credo ci sia nulla di incostituzionale se si parla del secondo percettore di reddito, che di fatto sono donne. Diversi studi mostrano che l'elasticità dell'offerta di lavoro è più alta per le donne. Fondamentalmente vorrebbe dire che, a parità di gettito, un taglio delle tasse per le donne e un aumento per i primi percettore di reddito porterebbe a un aumento anche forte dell'occupazione. Questo viene sostenuto dai lavori di Alesina e Ichino che mi sembra risalgano alla fine degli anni Novanta.
  Riguardo alle aliquote di tassazione, in primo luogo, occorre evitare che, con il superamento dei 28.000 euro, l'aliquota marginale aumenti di 11 punti e quasi tutti sono d'accordo su questo. Il modo più semplice di fare questo sarebbe di dividere il terzo scaglione in due parti: il primo scaglione da 28 a 40 mila euro, per esempio, con un'aliquota marginale del 32 per cento; il secondo da 40 a 55 mila euro con un'aliquota marginale del 38 per cento. I rimanenti salti nelle aliquote marginali sono più modesti e probabilmente rimarrebbero. Si può sostenere che i salti, in presenza del cambiamento dell'aliquota marginale, riducono l'incentivo a lavorare un po' di più. Questo si può riferire al principale salto, che riguarda il terzo scaglione, mentre credo che i rimanenti salti non siano particolarmente rilevanti e, se si procedesse a spaccare in due il terzo scaglione, non mi sembrerebbe necessario il passaggio al metodo tedesco di progressività continua, che da alcuni viene considerato più appropriato, perché sale continuamente non soltanto l'aliquota media, ma anche l'aliquota marginale. Non credo che questo sia necessario e non vedo, però, neanche delle chiare controindicazioni.
  Il secondo punto riguarda l'equità orizzontale. La necessità di avere un'equità orizzontale all'interno dei redditi da lavoro richiede il superamento delle attuali detrazioni decrescenti, che sono differenziate per reddito da lavoro dipendente, da pensione e da lavoro autonomo. In linea di principio, la curva della progressività deve essere il più possibile unica per i contribuenti titolari di reddito da lavoro. A monte di questa unica curva di progressività, sarebbe però corretto prevedere, per i lavoratori dipendenti, un meccanismo forfettario che consenta di tener conto delle spese di produzione del reddito – che non esistono invece per i pensionati – visto che i lavoratori dipendenti non hanno la possibilità di una deduzione analitica dei costi, come invece hanno i lavoratori autonomi. Per semplificare il sistema sarebbe anche utile rimpiazzare il famoso bonus di 80 euro prima e di 100 euro ora, con un beneficio all'incirca equivalente attraverso appropriate modifiche delle aliquote effettive sui redditi da lavoro. Tra l'altro, questo consentirebbe all'ISTAT di considerare i 100 euro, che sono di fatto una detassazione, come una detassazione anche dal punto di vista statistico e non come una spesa. Questo è attualmente inevitabile, viste le convenzioni statistiche europee e internazionali, che fanno attualmente apparire la pressione fiscale nel nostro Paese più alta di quella che è effettivamente, soltanto – credo che ci sia ancora, perlomeno era così inizialmente – per questo problema di presentazione statistica. Non sono sicuro al 100 per cento, ma credo che sia ancora così. Lo stesso trattamento dei 100 euro in linea di principio dovrebbe essere anche previsto per i lavoratori autonomi. Se così fosse, sempre in termini di equità orizzontale e di semplificazione, a questo punto sarebbe ingiustificato il mantenimento di una flat tax per le partite IVA individuali.
  Il terzo punto è enorme, ma al tempo stesso non ho moltissimo da dire, perché riguarda l'attuale sistema di deduzioni e di detrazioni, che è il risultato dello stratificarsi per decenni di cambiamenti al margine fatti da questo o quel Governo, ognuno dei quali sente la necessità di introdurre una deduzione o una detrazione a favore di una particolare attività o di un particolare settore. Mi rendo conto della difficoltà di semplificare drasticamente questo sistema. Mi rendo conto di queste difficoltà, ma il sistema ormai è eccessivamente complesso rispetto ai vantaggi che può recare. Tra le altre cose, l'attuale sistema rende anche difficile calcolare quella che è, di fatto, l'aliquota marginale. Una condizione che Pag. 20credo sia assolutamente necessaria per una semplificazione di questo settore è che tutto il ricavato, tutto quello che si recupera dalla semplificazione di questo sistema di deduzioni e di detrazioni sia interamente utilizzato per la riduzione delle aliquote IRPEF, soprattutto per i redditi medio-bassi. La logica che dovrebbe essere seguita non è, in linea di principio, quello che si taglia, tagliamo questo o tagliamo quest'altro, ma credo che debba essere quella di ripristinare una situazione iniziale di tabula rasa e poi decidere di mantenere soltanto le agevolazioni che sono davvero indispensabili. Non entro però nel dettaglio, ma vorrei sottolineare il principio generale che seguirei per semplificare, ovvero fare una riduzione drastica da questo punto di vista.
  Infine, e con questo concludo, vorrei commentare una riforma che viene spesso suggerita come strumento per la lotta all'evasione. Spesso vado in giro a fare presentazioni in Paesi grandi, piccoli e medi, in città di ogni dimensione, e quasi regolarmente mi viene chiesto perché per combattere l'evasione non si consente la deducibilità o la detraibilità delle spese sostenute per certi servizi tipicamente offerti dai lavoratori autonomi e l'esempio che viene fatto di solito è l'idraulico o cose di questo genere. I redditi di questi lavoratori autonomi spesso sono non dichiarati. Inoltre, dal rapporto Giovannini sappiamo che la stima è che per i redditi da lavoro autonomo in Italia viene evaso intorno ai due terzi. Questa non è una mia stima, ma è quello che si vede in quel rapporto. Ricordiamoci che per i redditi da lavoro autonomo l'evasione è molto alta in tutti i Paesi del mondo, negli Stati Uniti siamo intorno al 57 per cento.
  Servirebbe il conflitto di interessi creato da questa detraibilità o deducibilità di certe spese? Come Osservatorio sui conti pubblici italiani, poi ci sarà il riferimento specifico nella mia memoria scritta, abbiamo pubblicato una nota un paio di anni fa su questo tema e la conclusione è che non è per niente certo che una tale riforma porti a risultati sostanziali. Tra l'altro, si citano spesso a questo proposito gli Stati Uniti come un Paese dove questo approccio viene seguito, cosa che peraltro non è corretta. Il problema principale di questi schemi è che finché esiste un gettito fiscale per lo Stato, il consumatore e il venditore del servizio possono comunque trovare un accordo sul prezzo dell'operazione in nero che sia conveniente per entrambi e che sia migliore di quello che risulterebbe se l'operazione fosse tassata. È sempre possibile tra venditore e compratore decidere un prezzo in nero che sia più conveniente di quello che si avrebbe se la transazione non fosse in nero e se qualcosa fosse pagato allo Stato. In realtà, come si dimostra chiaramente da questa nota, l'unico modo per escludere qualunque accordo collusivo tra acquirente e venditore, sarebbe quello di offrire una detrazione talmente alta da eliminare completamente il gettito per lo Stato. Soltanto in quel caso, se si eliminasse il gettito, allora si eliminerebbe completamente l'incentivo a trovare un prezzo in nero tale comunque da comportare un vantaggio per l'acquirente e per il venditore, ma questo ovviamente comporterebbe l'abolizione della tassazione. Un'altra considerazione è che non tutti evadono. Per cui un'operazione di questo genere comunque comporterebbe una perdita per lo Stato nei confronti di chi invece paga regolarmente le imposte.
  Infine, si può notare che misure di questo genere, che sembra siano state introdotte in Svezia, hanno portato a una riduzione dell'evasione, ma non a un aumento di gettito. Si può dire che si preferisce una situazione in cui si ha parità di gettito, però meno evasione, perché c'è più trasparenza e più equità, però dobbiamo essere chiari e dire che lo scopo di questo intervento non è quello di recuperare gettito, al contrario di come lo si presenta normalmente. Forse ho parlato un po' troppo a lungo. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. La ringrazio e do il via alle domande dei colleghi che intendono intervenire, pregandoli di rispettare i tempi.

  ANDREA DE BERTOLDI(intervento da remoto). Grazie al professor Cottarelli. Procedo velocemente. Cosa ne pensa, professore,Pag. 21 del fatto, che per noi commercialisti è particolarmente significativo, di elevare a rango costituzionale lo Statuto del contribuente, che oggi è servito più che altro a una formalizzazione di belle intenzioni, ma che nei fatti concretamente è risultato per lo più inapplicabile? Quindi la domanda è molto secca e precisa.
  Il tema delle casse di previdenza è un tema che abbiamo affrontato anche con l'Ufficio parlamentare di bilancio la scorsa settimana e che si collega anche alla sua considerazione, poiché si è detto favorevole al superamento della differenziazione di tassazione per i redditi di capitale e le altre rendite finanziarie. In particolare su questo aspetto, le chiederei due punti velocissimi. In primo luogo, cosa ne pensa della doppia tassazione che anche l'Ufficio parlamentare di bilancio ha evidenziato sussistere in determinati passaggi, quando il rendimento finanziario viene utilizzato per il pagamento delle pensioni? Quindi, vorrei sapere cosa pensa della doppia tassazione alla quale sono soggette le casse di previdenza e anche sul tema dell'aliquota alla quale sono soggette le casse di previdenza. Ricordiamo che si tratta di un'aliquota ordinaria del 26 per cento, mentre, ad esempio, ed io ritengo giustamente, la previdenza complementare, che peraltro è una previdenza di secondo grado, ha una più agevole aliquota del 20 per cento. Mi sembra però assurdo che le casse di previdenza dei professionisti primarie, quindi prima fonte pensionistica e assistenziale della categoria, debbano scontare un'aliquota di 6 punti più alta.
  Il terzo punto è la leva fiscale. Se fino ad oggi, come lei ha accennato, c'è stato uno squilibrio di tassazione a favore del lavoro dipendente, con la gravità della pandemia e della crisi e, come dice il Cerved, con centinaia di migliaia di piccole e medie imprese e di lavoratori autonomi che non riapriranno più e che sono in grandissima difficoltà – e sappiamo tutti cosa significa per il sistema economico – lei non riterrebbe che almeno per i prossimi tre, quattro o cinque anni sarebbe necessario ribaltare questo sistema? Quindi, ci vorrebbe un regime fiscale privilegiato per quelle partite IVA, per quei lavoratori autonomi e per quelle PMI che continuano e che vanno avanti. Per esempio ci vorrebbe una flat tax a due aliquote. Adesso non entro nel merito del problema, ma occorrerebbe una riduzione sensibile dell'aliquota fiscale affinché queste imprese rimangano sul mercato e paghino le tasse, perché è meglio pagare il 15 per cento di qualcosa che pagare invece il 40 per cento di zero.
  Concludo sul tema del Recovery Fund. Non ritiene che la riforma fiscale dovrebbe avere dignità all'interno del Recovery Fund, basandosi anche sulla retroazione fiscale degli effetti che questa avrebbe?

  ALBERTO LUIGI GUSMEROLI(intervento da remoto). Grazie, professore. Mi sembra che all'inizio abbia affrontato questo tema: io ritengo che questa indagine sulla riforma dell'IRPEF in qualche modo sia monca, perché se bisogna parlare di riforma fiscale, bisogna parlare di tutto, anche perché c'è il tema della prevalenza delle imposte sui consumi piuttosto che le imposte sui redditi, consumi e trasferimenti o viceversa, temi molto concatenati. Visto che si parla solo dell'IRPEF, per me questo è un forte limite, perché preferirei avere più tempo per fare la riforma fiscale e che duri magari qualche decennio, come peraltro è durata quella degli anni Settanta, piuttosto che fare un intervento solo sull'IRPEF.
  Parlando solo dell'IRPEF, anche su questo non sarebbero preferibili delle attività minimali di semplificazione, di unificazione e di abolizione di lacci e lacciuoli? Faccio un esempio. Lei ha parlato delle detrazioni e delle deduzioni. Sostanzialmente la maggior parte delle detrazioni e delle deduzioni incidono su più anni. Quindi, abolire le detrazioni e le deduzioni vuol dire in qualche modo incidere sull'equità e su scelte fatte anche negli anni passati. Magari invece che abolire tout court le detrazioni e le deduzioni, non sarebbe preferibile unificare le percentuali, che sono tantissime? Mi sembra che abbiamo 50 miliardi di minor gettito per detrazioni e deduzioni e magari su quello si potrebbe fortemente incidere semplificando, unificandoPag. 22 le percentuali e avendo un approccio diverso.
  Lei ha parlato della tassazione per cassa. Non crede che dedurre in un anno solo dei beni strumentali possa generare, da un lato, ovviamente una diminuzione di gettito, che va finanziata ma, dall'altro, anche un effetto di minor accortezza nella gestione delle imprese? Mi spiego: alla fine dell'anno mi trovo ad avere potenzialmente degli utili da dichiarare, vado a comprarmi un bene strumentale, che poi magari faccio fatica a pagare. È vero che lei parla di non dedurre gli interessi passivi, però poi magari non riesco a pagare le rate, perché volevo solo abbattere la pressione fiscale; in qualche modo c'è anche una superficialità nella gestione futura di queste aziende per ragioni di tipo fiscale. Chiedo se, tutto sommato, non si possano raggiungere gli stessi scopi della tassazione per cassa, rimanendo nell'alveo della tassazione per competenza, ma con dei riequilibri sull'utile ai fini di sola cassa e unificando le percentuali di deducibilità fiscale.
  Il professor Rossi nell'intervento precedente ha parlato di unificare il reddito civile e il reddito fiscale, che peraltro è una delle proposte di legge della Lega. Siccome quello di arrivare all'unificazione tra il reddito civile e il reddito fiscale non è facile ed è un cammino a medio termine, temporaneamente si potrebbero unificare le percentuali di deducibilità ai fini del reddito d'impresa. In sostanza, più che un'enorme riforma IRPEF, che non si sposerebbe con tutto quello che non viene riformato di altre imposte, si potrebbero effettuare dei significativi interventi di semplificazione e di ottimizzazione, che possano portare anche a un'emersione. Quindi la semplificazione, oltre che la diminuzione delle tasse, viene intesa come una spinta all'emersione.
  Ho un'ultima domanda. In quest'ottica non strutturale e non di grande riforma IRPEF, la flat tax incrementale, su cui c'è una proposta di legge incardinata della Lega, non potrebbe essere una scelta ponte per arrivare con più pacatezza, in un tempo più lungo a una riforma complessiva? In questo caso la flat tax incrementale va vista come la possibilità di far emergere e quindi come una spinta all'emersione e, soprattutto, anche come una spinta alla produzione di reddito fiscale, perché quando una persona arriva a ottobre e novembre e paga già delle aliquote altissime, magari è scoraggiata a proseguire nell'attività lavorativa.

  PRESIDENTE. Mentre ricordo ancora ai colleghi cortesemente di stare nei due o tre minuti, devo anche ricordare, perché è un tema che salta fuori spesso, che questa indagine conoscitiva si chiama «sulla riforma dell'IRPEF e altri aspetti del sistema tributario» nel senso della decisione presa collegialmente negli Uffici di Presidenza di avere certamente un focus primario sull'IRPEF, ma nulla vieta né agli auditi né ai commissari di richiedere un focus anche su altri aspetti del sistema tributario.

  EMILIANO FENU(intervento da remoto). Ringrazio il professor Cottarelli per l'esposizione sempre molto interessante. Ho una domanda. Lei ha parlato della necessità di parificare in qualche modo il reddito da lavoro autonomo o relativo alle imprese minori al reddito da lavoro dipendente. Quindi la mia domanda era orientata a dire e a premettere che io credo che uno dei motivi e delle cause dell'evasione fiscale sia la complessità degli adempimenti che deve affrontare un contribuente solo per poter pagare le tasse e chi è commercialista sa quanto è difficile fare un semplice calcolo di entrate meno uscite, e soprattutto la complessità relativa al sistema di pagamento e di prelievo. Credo che una delle cause principali dell'evasione e della differenza tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi sia il fatto che i lavoratori dipendenti non è che sono più onesti, ma semplicemente hanno il sistema delle ritenute, che gli impedisce in qualche modo di evadere. Lei ha detto questo quasi di sfuggita, quando ha parlato del livello di evasione, anche negli Stati Uniti, dei lavoratori autonomi, dovuto al fatto che non hanno un sistema di ritenuta alla fonte. Quindi le volevo chiedere, a prescindere da quello che sarà il sistema da costruire – quello Pag. 23tedesco o il numero di aliquote eccetera – se pensa che i tempi e la tecnologia siano maturi per provare a sviluppare un sistema di prelievo alla fonte anche sulle singole transazioni commerciali, magari con un'aliquota minima da conguagliare poi a fine anno, che sia anche opzionale, per i lavoratori autonomi, in modo da semplificare il prelievo, ovviamente «semplificare» dal punto di vista di questi lavoratori. Sono maturi i tempi per far sì che i lavoratori autonomi non siano loro a dover calcolare le diverse imposte, legate sempre o al fatturato o all'utile, ad esempio penso all'Imposta regionale sulle attività produttive – IRAP, all'IVA, ma che possa essere lo Stato a fare un prelievo unico e grazie alla tecnologia che sia sempre lo Stato a ripartire quanto prelevato tra le varie imposte che il singolo contribuente deve poi versare?

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Cottarelli per la replica.

  CARLO COTTARELLI, direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani dell'Università Cattolica di Milano (intervento da remoto). Presidente, volevo agganciarmi a quello che ha detto, ovvero che prevalentemente questa è una indagine conoscitiva sull'IRPEF, ma, come ha ricordato, ci sono anche altre cose e una cosa che volevo notare, sempre in un'ottica di semplificazione, è che sinceramente ormai l'IRAP mi sembra una cosa molto diversa dal suo obiettivo originario, quindi credo che debba essere considerata la possibilità di abolire l'IRAP. Una volta la base imponibile dell'IRAP era caratterizzata dal fatto di ricomprendere sia il reddito da lavoro sia i profitti, quindi era un'imposta sul valore aggiunto, se la vogliamo mettere in questo modo. Adesso ha perso la sua natura e forse si potrebbe semplicemente eliminarla o sostituirla con addizionali di diverso tipo.
  Venendo alle domande, iniziamo da quelle del senatore De Bertoldi, che chiedeva di elevare lo Statuto del contribuente a rango costituzionale. Sono sempre molto restio a introdurre nella Costituzione qualcosa che sia troppo complesso, nel senso che secondo me la Costituzione è composta di norme a un livello di generalità elevato, quindi non credo che sia appropriato. Se si volesse rendere effettivo lo Statuto del contribuente, lo si potrebbe fare politicamente, se ci fosse una sufficiente volontà politica di farlo, ma non toccherei la Costituzione da questo punto di vista.
  Sulla questione delle casse di previdenza e la sua domanda specifica su questa doppia tassazione: sappiamo che il problema c'è e credo che sarebbe opportuno risolverlo, come ha sottolineato anche, come ha detto lei, l'Ufficio parlamentare di bilancio. Questo però è uno dei tantissimi esempi di difficoltà di capire perché diversi tipi di approcci sono seguiti con il risultato di complicare il sistema e di renderlo fondamentalmente iniquo. Lei ha sollevato questo esempio, ma se ne potrebbero fare tanti altri.
  Sulla questione che in passato i lavoratori dipendenti sono stati favoriti e i lavoratori autonomi meno e che in questo frangente così difficile per i lavoratori autonomi si dovrebbe dare un beneficio particolare, io sono d'accordo nella sostanza, però, se c'è da dare un beneficio particolare, che lo si faccia in modo che non vada a toccare il sistema della tassazione, ma che si facciano dei trasferimenti. Si può anche decidere che per un certo periodo di tempo non pagano le tasse eccetera, però dobbiamo distinguere tra quella che è un'esigenza temporanea, per quanto rilevante, da quello che è il disegno complessivo del sistema di tassazione. Il disegno complessivo del sistema di tassazione non può essere toccato da esigenze contingenti. Lei ha parlato di un problema che rimane per i prossimi quattro o cinque anni. Per alcuni settori sì, ma non per tutti i lavoratori autonomi ci sono stati problemi che dureranno per quattro o cinque anni, anzi, per alcuni non ce ne sono stati comunque. Ci sono alcuni settori e alcuni lavoratori autonomi che comunque sono andati benissimo, quindi bisogna andare a mettere soldi dove servono e per il periodo di tempo che serve. Sinceramente penso che, superato il problema sanitario, per il quale i vaccini sono fondamentali, la possibilità di un rimbalzo dell'economia abbastanza veloce ci Pag. 24possa essere. Detto questo, finché questo non avviene, il sostegno deve essere dato a chi è stato colpito da questo shock esterno e soprattutto dalle chiusure che sono state imposte, ma secondo me il disegno del sistema di tassazione non dovrebbe essere toccato.
  Sull'introduzione nel Recovery Fund di riforme fiscali, i soldi del Recovery Fund sono temporanei. Essendo temporanei, è stato dichiarato abbastanza chiaramente da esponenti della Commissione europea che non possono essere utilizzati per misure che sono permanenti, come un taglio di tasse che, per essere credibile e avere degli effetti, dovrebbe essere permanente. Lei ha parlato di un effetto di retroazione, però, a meno di pensare che il taglio delle tasse causi un aumento del reddito tale da fornire il finanziamento alle tasse stesse, l'effetto della retroazione non può essere completo. È esperienza di altri Paesi che un taglio delle tasse comporta una perdita di gettito, seppur in parte compensata da effetti retroattivi.
  Per quello che ha detto il deputato Gusmeroli, capisco e concordo con il suo approccio generale, ho dato anche io un contributo a possibili semplificazioni che sono di tipo parziale, ma che sono comunque importanti. Lei ha fatto un buon esempio, ovvero quello dell'unificazione di certe aliquote, per certe deduzioni e detrazioni. Sono d'accordo, infatti nel rapporto che ho citato inizialmente, vi è anche questa proposta. Si potrebbero mettere insieme queste deduzioni e detrazioni e creare un'unica base a scopo di semplificazione e utilizzare un'unica aliquota. Sono perfettamente d'accordo sul fatto che questo sia un buon tipo di semplificazione.
  Sul fatto che ci possa essere un comportamento inappropriato e poco lungimirante da parte delle imprese se si introduce una tassazione per cassa, sinceramente non glielo so dire. Noi economisti spesso tendiamo a pensare che gli imprenditori si muovano sulla base di decisioni razionali che guardano al lungo periodo. Forse non è così, però non ho una base per dire se c'è il rischio che con una deducibilità immediata delle spese di investimento ci possano essere effetti di questo genere. Peraltro non ho detto che bisognerebbe introdurre questo tipo di tassazione, ma semplicemente ho detto che, se si vuole introdurre questa tassazione, sulla base di quanto suggerito, allora bisogna introdurre anche la non deducibilità della spesa per gli interessi. Aggiungerei che l'obiettivo di avere una neutralità tra finanziamenti tramite indebitamento e tramite fondi propri e quindi capitale, si può ottenere anche in altri modi, piuttosto che quello che ho descritto. L'allowance for corporate equity, l'ACE nella terminologia italiana, potrebbe avere lo stesso scopo.
  Per quanto riguarda la flat tax incrementale, io la vedo essenzialmente come una questione politica che riguarda quanto il nostro sistema di tassazione debba essere progressivo. Non è che bisogna demonizzare la flat tax, ma personalmente penso che l'attuale sistema di progressione della tassazione sia più o meno adeguato. Passando a una flat tax – che sarebbe anche progressiva, perché vi è la no tax area – si avrebbe una progressività che forse è inadeguata al momento e quindi, per lo stesso motivo, direi che mettere la flat tax in via incrementale porterebbe a quel risultato, però mi rendo conto che è una questione politica. Un vantaggio della flat tax, perlomeno come era stata proposta, è che verrebbe accompagnata dalla semplificazione del sistema, non tanto perché si eliminerebbero tante aliquote, ma perché si eliminerebbero le deduzioni e le detrazioni o una gran parte di esse.
  Ho un'ultima considerazione sulle domande del senatore Fenu. Sono d'accordissimo che la distinzione per cui ci sono dei lavoratori dipendenti che pagano le tasse perché sono onesti e ci sono dei lavoratori autonomi che non pagano le tasse e che sono disonesti è fuorviante. La realtà, la sappiamo benissimo. I lavoratori dipendenti pagano tasse, perché devono pagare le tasse, perché c'è la ritenuta alla fonte e non possono evitarla.
  Sulla sua domanda se al momento abbiamo una tecnologia tale da introdurre un prelievo alla fonte anche per i lavoratori autonomi, non ho studiato la questione, ma Pag. 25tendenzialmente direi di no. Non è così neppure negli Stati Uniti, che dal punto di vista tecnologico sono piuttosto avanzati. Quindi, credo che questo problema permanga anche con le nuove tecnologie. Forse è solo ignoranza, ma non sono a conoscenza di altri Paesi che hanno introdotto un sistema più o meno equivalente al prelievo alla fonte anche per i lavoratori autonomi.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Cottarelli. La ringrazio molto anche per essere stato perfettamente nei tempi nella sua replica e per il contributo che ha voluto darci oggi in questa audizione. Speriamo di avere un'ulteriore occasione più avanti se, come speriamo, un percorso di riforma si concretizzerà nei prossimi mesi. Grazie ancora per la sua partecipazione.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Cottarelli (vedi allegato 2) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione in videoconferenza di rappresentanti dell'Istituto Bruno Leoni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto Bruno Leoni.
  Ricordo che l'audizione si svolgerà in videoconferenza d'innanzi alle Commissioni riunite VI (Finanze) della Camera dei deputati e 6a (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, con la partecipazione da remoto dei deputati, dei senatori e degli auditi, conformemente alle disposizioni dettate dalla Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nelle riunioni del 31 marzo e del 4 novembre 2020 e dalla Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica nelle riunioni del 9 giugno e del 10 novembre 2020.
  Rivolgo quindi un saluto, anche a nome del presidente della 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D'Alfonso, alla dottoressa Serena Sileoni, vicedirettrice generale dell'Istituto Bruno Leoni, e al dottor Carlo Stagnaro, direttore dell'Osservatorio sull'economia digitale dell'Istituto Bruno Leoni, ai quali do il benvenuto e che ringrazio per la partecipazione.
  Darei quindi la parola alla dottoressa Sileoni e al dottor Stagnaro, ai quali chiederei di limitare se possibile i loro interventi complessivamente ad una ventina di minuti al massimo, al fine di lasciare poi adeguato spazio al successivo dibattito.

  SERENA SILEONI, vicedirettrice generale dell'Istituto Bruno Leoni (intervento da remoto). Grazie alle Commissioni per l'invito.
  Quanto paghiamo come imposta sul reddito? Credo che se lo chiedessimo a qualsiasi cittadino, la maggior parte ci direbbe che non lo sa. Probabilmente non sapremmo rispondere correttamente nemmeno noi, perché magari potremmo sapere qual è l'aliquota che si applica al nostro reddito, ma sarebbe da preveggenti poter sapere la percentuale al netto delle detrazioni e delle deduzioni. Non è nostra intenzione ripercorrere un problema noto e annoso, però vorremmo ribadirlo fin dall'inizio di questa audizione, perché riteniamo che sia necessario sgretolare un'idea ancora assai comune, tranne che per gli esperti del settore, per i tributaristi probabilmente, che l'IRPEF sia modellata come una comprehensive income tax su base progressiva.
  L'IRPEF non è comprehensive. Esistono regimi sostitutivi, forme di cedolare secca e, da ultimo, l'attrazione di imponibili stranieri che la rendono sì ancora l'imposta più pesante dal punto di vista del gettito, ma non la rendono certamente un'imposta comprehensive, onnicomprensiva. Ed è anche solo blandamente progressiva e ha iniziato ad essere erosa sin dagli anni Settanta, fin dal 1973. Questi elementi notissimi di erosione hanno prodotto un andamento irrazionale delle aliquote marginali effettive, che talvolta superano addirittura il 100 per cento, come documentato dall'Ufficio Valutazione Impatto del Senato e dall'Ufficio parlamentare di bilancio. È un'imposta che nasce con ottime intenzioni anche di semplificazione,Pag. 26 oltre che di onnicomprensività, ma che nel tempo ha generato effetti perversi, a voi tutti noti, sia di equità orizzontale sia di equità verticale, con effetti anche extra fiscali, pensiamo soltanto al disincentivo al lavoro, o peggio ancora all'incentivo al lavoro nero. L'aspetto paradossale è che molte di queste misure sono state proprio introdotte con l'obiettivo di limitare, mano a mano, le conseguenze negative della complessità e dell'imprevedibilità dell'IRPEF. Le spese fiscali e i regimi sostitutivi fondamentalmente rispondono, caso per caso, in un'ottica stratificatoria, alle esigenze di alleviare il peso eccessivo dell'imposta, però sempre per specifiche categorie di contribuenti o tipologie di redditi, con un effetto alla fine paradossale.
  È inutile dire cose note e questo lo capiamo benissimo, però crediamo che sia utile ribaltare il ragionamento su quale in questo momento sia il vero dovere imperante. Noi siamo abituati a pensare a un rapporto tributario dove il lato del dovere è quello del contribuente. Anche per il periodo drammatico che stiamo vivendo, con un'enorme richiesta di equità mai così lampante come ora, forse è il caso di ribaltare il senso del dovere e ritenere che proprio da un punto di vista costituzionale non sia azzardato ritenere che l'attuale sistema sia ai limiti della legittimità costituzionale e che quindi sia un dovere, prima ancora di noi contribuenti di pagare le imposte, della politica e del Parlamento di pensare a come ricondurre, non dico a maggior progressività, ma anche semplicemente a maggiore equità la pressione tributaria. Ripeto che non è azzardato ritenere che siamo ai limiti della legittimità costituzionale anche solo con riferimento all'IRPEF che, trattandosi di un'imposta tra molte e di un'imposta fortemente corretta o distorta, a seconda del punto di vista, sicuramente non ha mantenuto le aspettative iniziali, ma soprattutto sfugge anche alla sua sindacabilità. Non può esserci un giudice per l'iniquità dell'IRPEF. È difficilissimo che ci sia un giudice per le forme di iniquità che si insidiano in un'imposta, come è accaduto per l'IRPEF.
  Riteniamo che il più urgente dovere costituzionale, accanto a quello di pagare le tasse, sia proprio riformare il sistema tributario e necessariamente l'IRPEF e ciò che l'ha resa un'imposta deforme. Il circuito politico è l'unico che non può sottrarsi a questo impegno, perché non lo può delegare: non lo può fare il popolo, che non si può pronunciare in materia; non lo possono fare i giudici, perché si tratta di un'iniquità che è legislativa prima ancora che amministrativa; e non lo può fare nemmeno la Corte costituzionale. Al di là della questione se la Corte possa fare da vicario al Parlamento, anche volendo, sappiamo tutti che in materia impositiva ci sono difficoltà estreme di trovarsi di fronte a pretese, quelle del contribuente, che non sono azionabili per motivi intrinseci al sistema, a partire dal fatto che l'articolo 53 della Costituzione, ovvero quello che fissa i paletti dell'interesse fiscale e le garanzie per il contribuente, si riferisce al sistema tributario e non alle singole imposte. Fondamentalmente al giudice costituzionale che, va sempre ricordato, in realtà è un giudice dei casi prima che essere un giudice dei delitti, sfugge la possibilità di sindacare le scelte legislative, perché fondamentalmente non c'è una pietra di paragone.
  Di fronte a un diritto che non è facilmente azionabile – e lo testimonia l'esiguità delle pronunce d'incostituzionalità dal 1956 a oggi in materia impositiva – garantirlo a livello legislativo non è una scelta politica, ma, secondo il nostro modo di vedere, è proprio un dovere politico.
  Quindi, che fare? Prima di tutto, cosa volere? Noi crediamo che l'obiettivo del sistema fiscale deve tornare a essere il finanziamento della spesa pubblica, un obiettivo semplice e chiaro, ma che si è perso nell'idea che, invece, l'obiettivo del sistema fiscale sia quello di fare redistribuzione immediata delle risorse. Pagare le imposte, raccogliere le imposte non serve a fare redistribuzione, ma serve a finanziare la spesa pubblica secondo criteri di capacità contributiva ed equità del sistema. Questo è un primo punto che sembra banale, ma se guardiamo alle politiche fiscali degli ultimi anni, non lo è più.Pag. 27
  L'obiettivo è anche quello di ricondurre all'equità sia formale sia sostanziale. Il mio collega Carlo Stagnaro si soffermerà sull'equità sostanziale, ma io vorrei fare un ultimo cenno all'equità formale. Noi stiamo parlando di una riforma dell'IRPEF e quando si parla di un rapporto difficile tra contribuente e fisco lo si dice normalmente in termini sostanziali di pressione, fiscale o tributaria che sia, ma non dobbiamo sottostimare il problema della disparità di armi che esiste tra i contribuenti e l'amministrazione fiscale. Sappiamo bene che questa asimmetria è stata non soltanto accettata, ma anche dichiarata legittima, perché finalizzata al soddisfacimento dell'interesse fiscale, che è un interesse costituzionalmente rilevante. Comprendiamo bene come l'accelerazione dei meccanismi di accertamento e riscossione sia una specie di trade off tra efficienza e stato di diritto, però è anche vero che ci sono ipotesi in cui l'equilibrio tra l'interesse dell'amministrazione fiscale, il diritto di difesa e il principio del contraddittorio è fondamentalmente saltato.
  Facciamo due esempi per tutti, che potrebbero essere facilmente corretti, perché sarebbe sufficiente una mera abrogazione. Il primo è il caso degli accertamenti bancari. Siamo nell'ambito delle presunzioni e sappiamo che le presunzioni sono un espediente molto frequente per rendere più efficiente il procedimento tributario, ma a un certo punto l'efficienza rischia di diventare ingiustizia. Uno di questi casi è quello degli accertamenti bancari: l'articolo 32, comma 1, numero 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, prevede che i prelevamenti effettuati nell'ambito di rapporti bancari possano essere imputati come ricavi a base delle rettifiche o degli accertamenti dell'amministrazione finanziaria e spetta al contribuente indicare il beneficiario del prelevamento. È una presunzione molto forte. È una doppia presunzione, attraverso la quale un costo viene imputato al ricavo lordo e poi viene tassato come reddito. Qualche anno fa, se non ricordo male nel 2014, la Corte costituzionale ne ha riconosciuto l'illegittimità relativamente ai compensi, quindi relativamente ai lavoratori autonomi, ma non relativamente ai ricavi, quindi agli imprenditori. Basterebbe davvero poco per riportare una doppia presunzione fortemente aggravante e pesante nel contenzioso tributario a più tradizionali canoni di rispetto dello Stato di diritto.
  Altra questione formale che cito a mero titolo esemplificativo, introdotta nel 2010 con il decreto-legge n. 78, è l'esecutività dell'avviso di accertamento, un qualcosa di molto simile in realtà a una norma che era stata già dichiarata incostituzionale in materia tributaria della Corte, cioè quella del solve et repete. Non è uguale, tanto che ha già superato il vaglio di costituzionalità, ma è simile nel riprodurre il senso di una immediata e celere soddisfazione del debito tributario, a meno che il contribuente non sia così sveglio, se posso dirlo, da chiedere subito la sospensione del pagamento. Oggi l'avviso di accertamento, che in diritto tributario non è la verità legale, ma è quello che contesta il fisco, ovvero la controparte, è immediatamente esecutivo a meno che il contribuente non si attivi in sede giudiziaria. Sappiamo bene che non è il solve et repete, ma è qualcosa che si avvicina ad esso per come funziona e che soprattutto dà l'idea che esso serva semplicemente, lo diceva De Mita in un editoriale su Il Sole 24 Ore a commento della misura non appena entrò in vigore, a raccogliere il prima possibile quello che serve per fare cassa.
  Questo non ci sembra il modo di essere formalmente equi e quindi riteniamo che una riforma dell'IRPEF debba prendere in considerazione anche queste disparità di posizioni che rendono non solo pesante la pressione, ma la rendono anche formalmente iniqua.

  CARLO STAGNARO, direttore dell'Osservatorio sull'economia digitale dell'Istituto Bruno Leoni (intervento da remoto). Proseguo io la riflessione introdotta da Serena Sileoni per arrivare ad alcune considerazioni invece di equità sostanziale e ad alcune proposte di potenziale approccio e ripensamento dell'IRPEF per venire incontro ai problemi che sono stati sollevati dalla professoressa Sileoni poco fa, ma anche da Pag. 28molti degli altri soggetti auditi nel corso di questo di questa indagine conoscitiva.
  La premessa, dal punto di vista dell'equità sostanziale, è che l'IRPEF, nonostante la sua progressiva erosione, rimane un'imposta centrale nel nostro sistema tributario, che raccoglie all'incirca i tre quarti di tutte le imposte sul reddito e sul patrimonio delle famiglie e che tuttavia è destinataria di gran parte, circa 150 su oltre 600, delle spese fiscali che vengono censite annualmente dalla Commissione per la redazione del rapporto annuale sulle spese fiscali. Questo determina quella condizione di frammentarietà e schizofrenia che fa sì che sia parzialmente compromessa la progressività dell'imposta, nel senso che le aliquote medie per la maggior parte dei profili dei contribuenti sono crescenti in modo monotòno rispetto al reddito, ma non è inusuale trovare singoli contribuenti che si trovano a pagare delle aliquote effettive molto diverse rispetto ad altri a parità di reddito o addirittura, in funzione della composizione della base imponibile, a pagare aliquote inferiori a quelle dei contribuenti con un reddito più basso.
  Per venire incontro e per superare questo problema, che nasce dal tentativo, stratificatosi nel corso degli anni, di andare effettivamente a correggere i difetti dell'IRPEF – che talvolta andava a incidere troppo sui redditi di figure troppo deboli, altre volte si intendeva, invece, sostenere comportamenti o spese ritenute in qualche modo socialmente desiderabili – è importante ripensare, da un lato, l'IRPEF nella sua composizione, dall'altro semplificare e accorpare radicalmente il numero delle spese fiscali che su esse incidono e, dall'altro ancora – queste sono cose che sono già state ribadite anche da molti altri – collocare il ripensamento dell'IRPEF nell'ambito di una revisione più complessiva del sistema tributario, che investa quanto meno anche l'imposta sui redditi delle società – IRES, l'IVA e i vari regimi sostitutivi.
  Nei pochi minuti che restano vorrei toccare brevemente tre punti. Il primo è la razionalizzazione e la semplificazione dell'IRPEF in quanto tale, il secondo è l'esigenza di collocare qualunque intervento sull'IRPEF all'interno di un'esigenza più generale di riduzione del carico fiscale, sia sui redditi medio-bassi sia sugli altri, naturalmente con priorità per i primi e, infine, l'esigenza di introdurre dei meccanismi più efficaci di garanzia a favore delle fasce sociali più deboli.
  Parto dal primo punto, la semplificazione dell'IRPEF. Nell'ambito di questo ciclo di audizioni si sono scontrati sostanzialmente due approcci apparentemente opposti: da un lato la tendenza verso l'accorpamento delle aliquote e al limite verso un'aliquota unica, un sistema di flat tax, che peraltro noi, come Istituto Bruno Leoni, in passato abbiamo argomentato e proposto; all'estremo opposto il movimento verso la moltiplicazione del numero di aliquote sulla scorta del modello tedesco e quello dell'aliquota continua. Chiaramente questi due approcci hanno entrambi pregi e difetti, ma nel contesto di una riforma che riguardi l'IRPEF singolarmente e che non metta in discussione l'intera costruzione del nostro sistema tributario, riteniamo che sia preferibile muoversi nel verso di una semplificazione e riduzione del numero di aliquote e soprattutto verso un incremento del livello degli scaglioni presso i quali scattano le aliquote successive.
  Per esempio, nell'ambito del documento che depositiamo, ipotizziamo di ridurre da cinque a tre il numero di aliquote e di alzare tutte le soglie in misura più o meno significativa in maniera tale da allungare lo spettro della progressività dell'IRPEF che oggi si sfoga in gran parte in corrispondenza di redditi medio-bassi, all'incirca dai 18 ai 30 mila euro. Per perseguire questa operazione – che inevitabilmente potrebbe comportare, come qualunque intervento auspicabile sull'IRPEF, una riduzione del gettito – a nostro avviso è importante ripensare in maniera radicale il sistema di deduzioni, di detrazioni e delle altre eccezioni, sia nell'ottica della semplificazione, già richiamata da tanti, sia in quella del limitare l'impatto di bilancio.
  Questo ci porta al secondo tema che volevo sollevare nella parte conclusiva della nostra testimonianza, vale a dire la riduzione del carico fiscale. In un Paese come Pag. 29l'Italia – che ha nel complesso una pressione fiscale tra le più alte in Europa, a dispetto, anzi, in maniera correlata con un tasso di crescita estremamente basso – riteniamo che sia importante ridurre le tasse in generale e in particolare ridurre quelle che incidono sui redditi delle persone fisiche e sui redditi di impresa. Tuttavia, questo non può scaricarsi interamente sull'incremento del debito pubblico. Quindi è importante che qualunque intervento sull'IRPEF o sulle altre imposte ponga estrema attenzione al tema delle coperture. Questo dovrebbe passare attraverso un disboscamento delle eccezioni, soprattutto di quelle che vanno a vantaggio dei contribuenti con un reddito medio-alto, sia qualora incidano sull'IRPEF sia qualora abbiano altra forma – penso ai tanti esempi di bonus che sono stati introdotti, anche in questi mesi, con finalità di per sé condivisibili, ma che nei fatti hanno sortito e sortiranno effetti regressivi – e poi attraverso un ripensamento della composizione della spesa pubblica e infine, seppure con una certa attenzione, attraverso una possibile redistribuzione di parte del prelievo verso altre tipologie di imposta, per esempio l'imposta sui consumi. Ripeto che questo dovrebbe essere fatto, naturalmente, nel contesto di una pressione fiscale che sia continuamente calante e che nel complesso sia inferiore a quella di partenza.
  Infine, come coniugare questo tipo di misure con una garanzia per i redditi bassi? L'ipotesi che noi abbiamo vagliato e che riteniamo che potrebbe essere approfondita da queste Commissioni è quella di abbandonare un sistema caratterizzato da una proliferazione, da una molteplicità di deduzioni e di detrazioni, e individuare una o poche misure di dimensione significativa, che consentano di aumentare il reddito effettivamente disponibile per i contribuenti a basso reddito. Il framework di riferimento a cui abbiamo pensato è quello dell'imposta negativa sul reddito, vale a dire il riconoscimento di un valore a vantaggio dei contribuenti con reddito medio-basso, in particolare per come si è concretizzato in uno strumento che ormai è in uso da diversi decenni negli Stati Uniti, che è il cosiddetto earned income tax credit, vale a dire un credito di imposta che è proporzionale al reddito dichiarato dai contribuenti. Nel caso dell'esperienza americana – questo naturalmente riflette una scelta politica – è fortemente sensibile al numero dei figli presenti all'interno di un nucleo familiare e ha una curva di take up abbastanza rapida e poi si smorza molto lentamente, in maniera tale da ammorbidire quel sistema di aliquote marginali, che è stato già descritto, tra gli altri, dall'Ufficio Valutazione Impatto del Senato e dell'Ufficio parlamentare di bilancio, ma anche poco fa dal professor Cottarelli e dal professor Rossi.
  L'idea è quella di usare questo credito di imposta per andare a sostenere il reddito delle famiglie dei contribuenti che si trovano nella parte bassa della distribuzione, senza, tuttavia, creare quegli effetti distorsivi che altre proposte rischiano di determinare, in particolare sotto due profili: in primo luogo le aliquote marginali eccessive scoraggiano il lavoro e la creazione di reddito o incoraggiano e inducono la ricerca di forme di reddito non tassate nel mercato nero; secondariamente – tema altrettanto, se non più, importante in un contesto come quello italiano – nelle famiglie vanno a scoraggiare il lavoro in particolare del partner a reddito più basso, che nella maggior parte dei casi è la donna. Da questo punto di vista, ci sembrano estremamente critiche le misure, ad esempio, come il quoziente familiare.
  Concluderei con questa proposta e mi limito a riassumere brevissimamente quello che è il senso della nostra testimonianza. Vale a dire in primo luogo che qualunque riforma dovrebbe vedere nelle imposte anzitutto la fonte di risorse per la spesa pubblica, mentre la redistribuzione del reddito va affidata a una strategia più ampia, che va oltre il lato del prelievo e che coinvolge anche il lato della redistribuzione e dei trasferimenti. Secondariamente è fondamentale ricondurre l'IRPEF e il sistema tributario nel suo complesso nell'alveo costituzionale dei princìpi in materia impositiva, come diceva prima Serena Sileoni. In terzo luogo, bisogna avere riguardo ai saldi Pag. 30di finanza pubblica, perché non possiamo permetterci di compromettere la sostenibilità di lungo termine del sistema tributario. Naturalmente altra cosa è rendersi conto del fatto che adesso stiamo attraversando una fase di contrazione del reddito e di crisi, in cui è normale e comprensibile che il debito vada a incrementarsi. Infine occorre considerare, e correggere per quanto possibile, tutti gli aspetti distorsivi, sia formali sia sostanziali, che caratterizzano il rapporto dei contribuenti con il fisco e gli aspetti di equità orizzontale e verticale della fiscalità stessa.

  PRESIDENTE. Grazie alla dottoressa Sileoni e al dottor Stagnaro per la loro esposizione. Come ricordavano, hanno inviato questa mattina la memoria scritta, che è a disposizione dei colleghi. Cedo la parola ai colleghi che desiderano intervenire per commenti, domande o considerazioni.

  ANDREA DE BERTOLDI(intervento da remoto). Convengo sicuramente con la dottoressa Sileoni sulle considerazioni fatte in tema di riscossione in pendenza di giudizio sugli avvisi di accertamento: un qualcosa di contrario a quello che è, prima di tutto, il buon senso giuridico e chi fa il professionista, come noi, sicuramente ne è ben al corrente. Parleremo più in generale anche del tema della riforma della giustizia tributaria, che credo dovrebbe stare alla base della riforma, non solo dell'IRPEF, ma del sistema fiscale.
  Nello specifico ho due domande, diverse dalle precedenti che ho avuto modo di fare, e che riguardano, ad esempio, la tassazione della casa e, nello specifico della proprietà immobiliare, la tassazione per competenza degli affitti, delle locazioni. Noi sappiamo che esiste un problema, aggravatosi soprattutto in questo periodo, ma che esisteva anche prima. Il problema è che spesso il proprietario si trova a dover pagare le imposte su affitti, su canoni non riscossi. Questo è un problema grave, soprattutto per la piccola proprietà immobiliare, perché ci sono persone che vivono sul reddito di uno o due appartamenti e che si trovano, non solo a non poter più avere il guadagno, perché tra l'altro il blocco degli sfratti gli impedisce qualunque azione, ma addirittura si trovano a dover pagare le tasse su questi canoni. Pur essendo sostanzialmente non incline alla tassazione per cassa tout court, ritengo che sui canoni di locazione sarebbe opportuno andare in questa direzione per evitare che vengano tassati dei canoni che non sono stati percepiti.
  Concludo con un tema collegato anch'esso alla proprietà immobiliare, ma non esclusivamente, ed è quello delle società non operative. Si tratta di un altro tema che soprattutto oggi non sta in piedi, non lo era neanche prima, ma oggi in modo paradossale. Ricordiamo che questa normativa impone alle società di avere dei ricavi pari almeno al 6 per cento del valore degli immobili o al 15 per cento del valore dei beni mobili. Non ritenete che questi siano degli strumenti fiscali ormai desueti e non più coerenti con l'equità tributaria e che vadano quindi velocemente abbandonati per ridare credibilità al sistema fiscale? Perché qualunque riforma fiscale deve essere accettabile e credibile e gran parte degli interventi fiscali degli ultimi anni rispondono veramente poco a questi criteri.

  MASSIMO UNGARO(intervento da remoto). Anche io ringrazio gli esponenti dell'Istituto Bruno Leoni per la relazione molto chiara e molto utile. Vi ringrazio veramente. Volevo fare due domande molto puntuali, se possibile. In primo luogo, vi ringrazio di aver esposto i vantaggi della cosiddetta imposta negativa e su come sia stata un'esperienza positiva in altri Paesi, soprattutto in tutti i Paesi anglosassoni. Voi avete citato gli Stati Uniti, ma anche il Regno Unito ha introdotto una forma simile. A me sembra che per il nostro Paese sarebbe utile non soltanto come strumento per sostenere i redditi medio-bassi, ma anche per favorire l'emersione del lavoro nero, che potrebbe essere molto interessante. Volevo sentire il vostro punto di vista su questa questione. Non è un tema nuovo, infatti negli Stati Uniti l'hanno introdotta dalla metà degli anni Settanta o dall'inizio degli anni Ottanta, portando quasi 6 milioni di persone fuori dalla povertà. Mi chiedo perché in Italia, secondo voi, questo Pag. 31tema non sia mai stato toccato veramente. Infatti, voi siete i primi che ne parlano in maniera così chiara. Forse perché culturalmente in Italia è vista come una manovra quasi regressiva, ma non lo è. Volevo sentire il vostro punto di vista, perché storicamente in Italia questo tema dell'imposta negativa sembra un tabù.
  Per quanto riguarda la seconda domanda, invece, voi dite giustamente che la riforma del sistema tributario non può essere a saldo zero. Mi chiedo però se, secondo voi, un qualcosa di simile, nei contorni, alla riforma che avete proposto nella vostra audizione, anche se non esattamente, come una riduzione degli scaglioni e del carico fiscale, possa essere parzialmente finanziata da una razionalizzazione delle spese fiscali nella direzione che voi avete auspicato. Quindi, vorrei sapere se sia pensabile fare qualcosa che sia non a saldo zero, ovviamente, ma qualcosa che abbia un impatto limitato sul gettito.

  PRESIDENTE. Vorrei porre una domanda al dottor Stagnaro, semplicemente perché la sua attuale qualifica è quella di direttore dell'Osservatorio sull'economia digitale dell'Istituto Bruno Leoni. Visto che questa indagine conoscitiva è focalizzata sull'IRPEF, ma certamente non esclude altri aspetti del sistema tributario, volevo fare una domanda da 100 milioni di dollari. Noi tutti siamo consci dei progressi o degli annunci, delle aspettative di progresso che l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo – OCSE ha fatto in merito all'introduzione di una tassazione internazionale sui giganti dell'economia digitale e siamo consci che la presidente von der Leyen ha individuato il mese di giugno come deadline per un intervento sostitutivo a livello europeo, ma lei sa meglio di me che è un tema largamente dibattuto anche nello spettro politico. La domanda da 100 milioni di dollari è: lei come se la immagina questa web tax mondiale o europea? Secondo lei, che connotazione dovrebbe ottimalmente avere per bilanciare l'esigenza di non uccidere il business dei colossi digitali con l'esigenza di equità nel trattamento fiscale, che credo sia unanime considerare al momento non perfettamente garantita, anzi, non garantita per nulla?
  Vi cedo ora la parola per la replica.

  SERENA SILEONI, vicedirettrice generale dell'Istituto Bruno Leoni (intervento da remoto). Se Carlo è d'accordo, potremmo seguire l'ordine delle richieste. Sulla questione dei canoni di locazione, io credo che, fermo un criterio, lì bisogna restare da un punto di vista di certezza, stabilità e prevedibilità. La questione sollevata dal senatore è senz'altro vera e onerosa per le persone fisiche, però credo che, piuttosto che agire sul criterio di cassa o competenza, il punto sia quello di rendere più celeri i tempi di accertamento del mancato pagamento del canone e anche di operare più in generale sulla questione della difficoltà di procedere allo scioglimento di un contratto di locazione per morosità nei pagamenti. Non partirei dalla coda del problema, ma partirei dalla testa. Capisco che sia molto più impegnativo, ma credo anche che sia l'unico modo per non tornare a minacciare quelle esigenze di chiarezza, semplificazione e omogeneità delle regole, che si realizzano anche attraverso la scelta di un criterio, una volta per tutte. Da questo punto di vista, quindi, occorrerebbe agire sulla testa del problema di quelle che sono di fatto occupazioni di immobili, perché quando non si pagano i canoni, si diventa di fatto occupanti di immobili; aumentare poi le possibilità di ottenere il rimborso, quindi una esigibilità dei rimborsi fiscali più celere e anche poter accertare in termini più veloci il mancato pagamento.
  Sulle società non operative, sono d'accordo con lei. Il meccanismo degli accertamenti automatici sulle società non operative rientra nel discorso di iniquità nelle forme che dicevamo prima, lo stesso dello spesometro e degli studi di settore. L'unica cosa che posso aggiungere a quello che lei ha detto è che in realtà è proprio il fallimento della capacità dello Stato di accertare gli errori con colpa o con dolo nei pagamenti delle imposte ed è una specie di assunzione, di ammissione dello Stato di non arrivare per le vie più corrette e quindi di procedere poi con l'accetta. Ogni volta Pag. 32che si opera con un accertamento sintetico o con un accertamento automatico è una ferita, prima ancora che dal punto di vista del rapporto fiscale, dal punto di vista della capacità dello Stato e dell'amministrazione fiscale di fare il proprio dovere, specie oggi che fondamentalmente è possibile sapere davvero tutto dei contribuenti.
  Sul credito d'imposta per i redditi bassi e su come mai non abbia ottenuto fortuna anche dal punto di vista intellettuale e dottrinario nel nostro Paese, credo che sia profondamente una questione culturale con enormi fraintendimenti iniziali, che non ha consentito alla dottrina tributarista, ma non solo, di cogliere bene gli aspetti anche politici, con la «P» maiuscola, di una proposta del genere. Al di là dei calcoli e dei tecnicismi da scienza delle finanze, credo che nel nostro Paese non sia passato correttamente il messaggio politico che c'è in questa proposta, per cui nessuno fondamentalmente si è sentito di intestarsela.

  CARLO STAGNARO, direttore dell'Osservatorio sull'economia digitale dell'Istituto Bruno Leoni (intervento da remoto). L'onorevole Ungaro ha sollevato due temi di merito e una considerazione politica più generale. Il primo tema di merito riguarda le caratteristiche dell'imposta negativa sul reddito, in particolare nella forma dell'earned income tax credit, ma chiaramente si possono immaginare anche altri aspetti, e il suo rapporto con l'emersione del lavoro nero e in generale con il ripensamento dei modi in cui viene garantita la progressività del prelievo e, aggiungerei, anche dei modi in cui viene garantita l'assistenza alle fasce di reddito medio-basse. Altro tema è, invece, l'assistenza e il sostegno alle persone e alle famiglie prive di un reddito, ma questa evidentemente è un'altra questione.
  Credo che sia chiaro che con un unico strumento non si possano perseguire un'infinità di obiettivi, ma quantomeno tutti quegli obiettivi come la semplificazione radicale del sistema di deduzioni, di detrazioni ed eccezioni e la sua sostituzione in larga parte – obiettivi che hanno a che fare con l'equità da un lato, la redistribuzione dall'altro e la creazione dei corretti incentivi al lavoro legale – possono essere meglio e più efficacemente ricondotti all'interno di una misura semplice, chiara, netta e costruita così per disegno, in maniera tale da determinare, nel suo combinarsi con le aliquote formali dell'imposta principale, cioè l'IRPEF in questo caso, un andamento dolce delle aliquote marginali, perché sono proprio questi salti, che abbiamo osservato e che sono stati ampiamente documentati, che poi spingono o creano un incentivo per le persone a cercare, dove possono, di evitare di rimanere sotto la tagliola. Un problema simile, peraltro, si determina con la cosiddetta flat tax per gli autonomi, che chiaramente crea, in corrispondenza della soglia dei 65.000 euro, una discontinuità fortissima sul carico fiscale effettivamente gravante sul reddito prodotto, però questo è un tema che parzialmente ha a che fare con l'oggetto principale dell'audizione e parzialmente, invece, con considerazioni di altro genere.
  Per quel che riguarda il tema della riduzione delle spese fiscali anche con l'obiettivo di creare gettito, nel momento in cui riconosciamo quel tipo di sostegno attraverso uno strumento che individuiamo come singolarmente più importante, non serve duplicare questa finalità mantenendo una pluralità di spese fiscali che, tra l'altro, molto spesso vanno a beneficio, se non dei redditi alti, dei redditi medio-alti e perdono invece di capacità redistributiva nei confronti dei redditi bassi, quantomeno perché questi ultimi, soprattutto in presenza dei crediti di imposta, non hanno sufficiente capacità fiscale per godere interamente del credito d'imposta stesso.
  La domanda dell'onorevole Ungaro relativa alla considerazione più politica sul perché tradizionalmente e culturalmente nel nostro Paese, ma forse anche in gran parte dell'Europa continentale, abbiamo scelto la strada della proliferazione delle spese fiscali anziché dell'accorpamento in una o in poche misure di grandi dimensioni, è chiaramente una domanda che in buona parte esula dalle mie competenze. Credo che almeno una parte della spiegazione stia nella storia della nostra IRPEF, che è un'imposta nata ormai 50 anni fa e che è stata progressivamente erosa, cesellataPag. 33 e modificata, sempre con un atteggiamento chirurgico, finalizzato a risolvere problemi concreti, esistenti, oggettivi, ma visti al di fuori del contesto generale. Come sempre accade in questi casi, a lungo andare il quadro di insieme risulta fortemente incoerente. È come restaurare un quadro o un'opera d'arte guardandola, non nel suo complesso, ma mandando ogni giorno una persona diversa a restaurare un aspetto differente, ma così l'esito rischia di essere paradossale ed è un po' quello che abbiamo davanti. Proprio per questo credo che sia importante questo ciclo di audizioni e la volontà politica sottostante di guardare l'IRPEF e il sistema tributario nel loro complesso e non negli aspetti chirurgici e nei piccoli aspetti che tipicamente sono oggetto dell'attività emendativa, per esempio, in sede di legge di bilancio.
  Infine, vi è il tema sollevato dal presidente Marattin sulla web tax. Devo dire che ho una perplessità sull'uso del termine stesso di web tax, nel senso che la riflessione, anche in sede OCSE, nella quale ovviamente le imprese digitali sono una parte rilevante, è una riflessione più ampia che non riguarda esclusivamente i redditi maturati attraverso le attività digitali, ma riguarda i redditi d'impresa e in generale le attività di ottimizzazione fiscale condotte dalle imprese multinazionali, che hanno l'opportunità, approfittando e arbitrando tra i vari regimi fiscali, di produrre erosione della base fiscale o fenomeni di profit shifting.
  Rispetto a questo, credo ci siano almeno tre considerazioni che è importante svolgere. La prima è che, nonostante tutto, le nostre autorità fiscali hanno gli strumenti per andare a recuperare, almeno in buona parte, i redditi evasi, là dove sia possibile dimostrare che effettivamente c'è stata evasione. La stessa Agenzia delle entrate italiana è stata protagonista negli ultimi anni di numerose contestazioni, che spesso si sono concluse con il successo dell'Agenzia stessa nei confronti di grandi imprese anche digitali come Google, Amazon, Facebook. La seconda considerazione è che qualunque tipo di intervento su questo fronte deve avere una dimensione la più ampia possibile, proprio per la natura delle attività di queste imprese, in questo caso in particolare delle imprese digitali. L'introduzione nel nostro ordinamento di una web tax è incoerente con la dimensione almeno europea del problema e con la dimensione europea del mercato interno digitale e del mercato dei servizi digitali. La terza considerazione è che un'imposta sul modello di quella introdotta in Italia, che è una nostra web tax, ma che in buona sostanza non è molto diversa dall'ipotesi che circola da tempo anche a livello europeo – vale a dire un'imposta del 2 o 3 per cento sui ricavi digitali, determinati attraverso la cessione di servizi online, tipicamente business to business, ma in alcuni casi qualcuno dice che sono anche rivolti al consumatore finale – nei fatti rischia di essere equivalente, nei suoi effetti, a poco più di un'addizionale IVA sulle transazioni digitali. Come lei sa, presidente, al di là del soggetto che formalmente è chiamato a raccogliere e versare l'imposta, quello che conta dal punto di vista di un economista è l'incidenza effettiva dell'imposta, che dipende dall'elasticità o dalla rigidità relativa dell'offerta e della domanda.
  Di fronte al tipo di servizi di cui stiamo parlando, il rischio davvero concreto è che di fatto questa sostanziale addizionale IVA vada a scaricarsi sulle spalle non dell'impresa che formalmente la deve versare, ma che diventi un costo passante e che in gran parte vada a valle, magari non interamente. Questo fenomeno è del tutto incoerente con due obiettivi dichiarati in ogni sede, anche nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza – che pure immagino sarà oggetto di revisione da parte del nuovo Governo quando si insedierà – di promuovere la digitalizzazione dei processi produttivi. Da questo punto di vista, credo che sia molto importante stare attenti a non inseguire il miraggio di un gettito, che poi rischia anche di essere inferiore a quello atteso, al costo, però, di danneggiare un obiettivo ritenuto più importante nel lungo termine, ossia la promozione della crescita della produttività e della competitività delle imprese nel Paese.

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  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Serena Sileoni e il dottor Carlo Stagnaro dell'Istituto Bruno Leoni per l'esauriente relazione e la discussione che ne è seguita. Grazie davvero per il vostro contributo e speriamo di rincontrarci a breve.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dagli intervenuti (vedi allegato 3) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.20.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 3

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