Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Audizione di rappresentanti di
Amnesty International
, con particolare riferimento alla situazione dei diritti umani nella regione del Tigray.
Boldrini Laura , Presidente ... 2
Marinari Annunziata ... 3
Boldrini Laura , Presidente ... 5
Loffari Francesca ... 5
Boldrini Laura , Presidente ... 6
Quartapelle Procopio Lia (PD) ... 6
Boldrini Laura , Presidente ... 7
Emiliozzi Mirella (M5S) ... 7
Boldrini Laura , Presidente ... 7
Snider Silvana (LEGA) ... 7
Boldrini Laura , Presidente ... 7
Marinari Annunziata ... 8
Boldrini Laura , Presidente ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI
La seduta comincia alle 9.40.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera.
L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto delle deputate e dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
Audizione di rappresentanti di Amnesty International , con particolare riferimento alla situazione dei diritti umani nella regione del Tigray.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione di rappresentanti di Amnesty International Italia con riferimento alla situazione dei diritti umani nella regione del Tigray. Anche a nome dei componenti e delle componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori la dottoressa Francesca Loffari, Institutional Affairs Senior Officer, e la dottoressa Annunziata Marinari, Head of Campaign Unit presso Amnesty International Italia.
Per inquadrare il contesto dell'audizione odierna, segnalo che l'Etiopia è in piena guerra civile, in una condizione prossima alla catastrofe umanitaria. Si tratta del secondo Paese africano per numero di abitanti: parliamo di 110 milioni di persone. È il terzo Paese africano per numero di rifugiati da Eritrea, Somalia e Sudan: parliamo di circa 800 mila persone. La controffensiva del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray sta travolgendo il Governo federale presieduto dal – peraltro – premio Nobel per la pace 2019, Abiy Ahmed Ali.
Le violazioni dei diritti umani da parte da entrambi i contendenti – incluso il Governo centrale di Addis Abeba, dove ha sede anche l'Unione Africana – sono oramai conclamate. Anche il personale italiano della cooperazione allo sviluppo ha subito perquisizioni, arresti e forme di pressione arbitraria. Al riguardo lasciatemi esprimere sollievo e soddisfazione per Alberto Livoni, l'operatore della ong «Volontariato internazionale per lo sviluppo» (VIS), rientrato ieri in Italia dopo essere stato trattenuto in stato di fermo per alcuni giorni dalle autorità etiopi ad Addis Abeba, ma resta alta l'apprensione per i due operatori locali della medesima organizzazione, che sono ancora in stato di fermo. Sconcerto suscita anche l'irruzione negli uffici di una scuola dell'infanzia gestita dai salesiani ad Addis Abeba, con il conseguente arresto di diciassette persone, tutte di origine tigrina, tra cui sacerdoti e impiegati nel centro.
In base ai dati riferiti in sede ONU, solo nel Tigray più di 7 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria e circa 400 mila vivono in condizioni di carestia estrema. In questo quadro ha suscitato sgomento la decisione del Governo etiope di alcuni giorni fa – definita dal Segretario Generale Guterres «senza precedenti» – di espellere sette alti funzionari delle Nazioni Pag. 3Unite, la maggior parte dei quali operatori umanitari. Tra l'altro, le Nazioni Unite hanno riferito che il 10 novembre scorso c'è stato l'arresto di sedici funzionari e il fermo di settantadue autisti dipendenti del World Food Programme, arrestati dalle autorità etiopi nel Nord del Paese sull'unica strada che conduce alla regione del Tigray, dove – come menzionato prima – centinaia di migliaia di persone vivono in condizioni di carestia e hanno bisogno di assistenza.
Quanto alla posizione europea, in una dichiarazione diramata a nome dell'UE il 4 novembre, l'Alto Rappresentante Borrell ha ribadito che non esiste una soluzione militare, invitando tutte le Parti coinvolte nel conflitto ad attuare un cessate-il-fuoco con effetto immediato e ad avviare negoziati politici senza condizioni preliminari, chiedendo nel contempo anche il ritiro completo ed immediato delle truppe eritree dal territorio dell'Etiopia.
Analoghe richieste, peraltro, sono contenute anche nella risoluzione approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo il 7 ottobre, nella quale si sollecitano altresì tutti gli attori nazionali, regionali e locali a consentire l'accesso umanitario immediato e senza ostacoli e il soccorso alle popolazioni colpite nel Tigray, ponendo fine al blocco di fatto dell'assistenza umanitaria e delle forniture critiche, compresi cibo, medicinali e carburante; si chiede, inoltre, l'istituzione di una Commissione d'inchiesta indipendente e imparziale che indaghi sugli attacchi rivolti a specifici gruppi etnici e religiosi, con l'intento di istigare alla violenza intercomunitaria e mettere in pericolo la pace e la sicurezza del popolo etiope.
Ricordo altresì che il 3 novembre scorso è stato pubblicato un rapporto congiunto dell'Alto Commissariato ONU per i diritti umani e della Commissione etiope per i diritti umani, nel quale si denuncia che tutte le parti del conflitto – Esercito federale dell'Etiopia, Forze armate dell'Eritrea, milizie armate amhara e Fronte di Liberazione Popolare del Tigray – hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l'umanità, contro i rifugiati, la popolazione e le infrastrutture civili, imponendo esecuzioni extragiudiziali, tortura, detenzioni arbitrarie e violenze sessuali.
In questo quadro già così compromesso, il 4 novembre scorso il Governo etiope ha dichiarato lo stato di emergenza della durata di sei mesi, che autorizza le autorità a procedere ad arresti senza mandato nei confronti di chi sia – cito – «ragionevolmente sospettato di collaborare con gruppi terroristi» e a trattenerlo in carcere fino al perdurare dello stato di emergenza, senza revisione giudiziaria.
Come denunciato anche da Amnesty International, lo stato di emergenza rischia di avere gravi conseguenze anche per i difensori dei diritti umani e i giornalisti, perché consente la sospensione dell'attività, la chiusura di ong ed organi di informazione sospettati di fornire – direttamente o indirettamente – sostegno morale o materiale a organizzazioni terroriste, definizione che si presta alle più ampie e arbitrarie interpretazioni da parte delle autorità.
La situazione etiope desta profonda preoccupazione anche per gli effetti di trascinamento che potrebbe avere nella regione del Corno d'Africa, tenendo conto del colpo di Stato militare che ha colpito il Sudan, della fragilità del Sud Sudan, della condizione di Stato fallito che permane in Somalia e della dura repressione dei diritti fondamentali che attua da lungo tempo il dittatore Afewerki in Eritrea.
Dunque, forniti questi elementi di contesto, vorrei dare la parola alla dottoressa Marinari, Head of Campaign Unit presso Amnesty International Italia. Prego, dottoressa.
ANNUNZIATA MARINARI, Head of Campaign Unit presso Amnesty International Italia. Buongiorno. Grazie per questo tempo e grazie soprattutto per l'attenzione che dedicherete alle violenze contro le donne che abbiamo registrato negli ultimi mesi nei nostri rapporti e nelle nostre denunce.
Il lavoro che abbiamo presentato l'11 agosto a livello internazionale è una raccolta di sessantatré testimonianze che raccontano e descrivono nel dettaglio la violenza e la decisione di portare avanti lo stupro e la violenza sessuale in maniera Pag. 4sistematica contro tutte le donne e le ragazze della regione del Tigray.
Tra marzo e giugno di quest'anno abbiamo intervistato – in maniera diretta sul campo o nelle aree limitrofe al Tigray – sessantatré ragazze, che ci hanno raccontato come le forze di difesa etiopi ed eritree, e le altre forze militari che si sono aggiunte a loro, abbiano usato la violenza sessuale come una vera e propria arma di guerra, come lo stupro e la violenza sessuale sia stata usata per umiliare e privare dell'umanità le persone, le donne, le ragazze dell'area del Tigray.
Oltre a queste sessantatré persone, è necessario ricordare che c'era una bambina di dieci anni, la sopravvissuta più giovane a queste forme di violenze, e la più anziana di sessantadue anni. Ma la cosa che fa davvero accapponare la pelle è che tutte queste persone, tutte queste donne, sono state stuprate ripetutamente da almeno tre persone. Alcune di loro sono state stuprate per giorni, e abbiamo testimonianze di donne che sono state stuprate addirittura per intere settimane.
Abbiamo raccolto le storie direttamente da loro, e la cosa che ci spaventa ancora di più è che molte delle persone con le quali abbiamo parlato e che ci hanno raccontato la loro esperienza traumatica ci hanno detto di non aver mai incontrato un medico, di non essere mai entrate in contatto con una struttura sanitaria. Questo vuol dire che i numeri che noi abbiamo oggi sono assolutamente inferiori rispetto a quella che è la realtà.
È per questo – di fronte a questa evidenza, a questi numeri – che possiamo dire che quello che abbiamo visto nel territorio del Tigray sono crimini di guerra, se non addirittura crimini contro l'umanità, perché se una sola struttura sanitaria in sei mesi ha ricevuto 1.233 denunce di violenza sessuale – e sappiamo che oltre a tutte le persone che hanno fatto denunce ci sono altre centinaia di donne che non hanno avuto la forza, il coraggio e la possibilità di incontrare un medico, di incontrare personale sanitario – vuol dire che questi numeri sono molto al ribasso. Del resto, i numeri di denuncia, di stupro e di violenza sessuale sono al ribasso nei nostri Paesi, in Occidente, dove è più facile avere accesso ad un ospedale. Pensate quando si vive in mezzo a una foresta, in un villaggio con difficili vie di comunicazione.
Io chiedo scusa, perché vorrei raccontarvi in davvero due minuti quali sono le violenze e le testimonianze che abbiamo raccolto, non perché sia piacevole raccontare, anzi è terribile. Sono violenze alle quali non ci si abitua mai, sebbene lavorando ad Amnesty International queste testimonianze non ci giungano nuove. Ma è incredibile ancora oggi scoprire che molte di queste donne hanno subito stupri per più giorni. Non posso qui riportare i nomi, ma una ragazza di trentotto anni ci ha raccontato che non solo è stata stuprata, ma che nella sua vagina sono stati introdotti dei chiodi e che questi chiodi se li è portati dentro per due mesi prima di riuscire ad incontrare un medico, una struttura sanitaria che potesse curarla ed aiutarla.
In altre persone, altre donne, sono stati rinvenuti pezzi di plastica, pezzi di ferro vari, ghiaia. Alcune di loro sono state ustionate come gli animali, con barre di ferro infuocate, lasciando cicatrici lungo le cosce, a dimostrazione dell'umiliazione e della violenza che avevano subito. Una ragazza di diciotto anni ci racconta di aver perso la verginità nel suo letto, stuprata da quattro uomini, il primo dei quali è il capo delegazione, mentre la madre e il padre erano fuori, e lei non è riuscita a dire una parola, perché mentre il capo la stuprava e gli altri tre guardavano, è stata minacciata più volte di essere uccisa – lei con tutta la famiglia – se solo avesse osato dire una parola.
Abbiamo le testimonianze di tante mamme che sono state stuprate davanti ai propri bambini, bambini di 9-10 anni che piangono in un angolo mentre tre o quattro militari stuprano la mamma. Immaginate lo shock, i danni. Quello che abbiamo riscontrato non sono solo danni fisici. Ovviamente queste donne, queste sopravvissute, hanno oggi perdite di sangue, dolori alla schiena, fistole. Molte di loro hanno oggi l'HIV, l'AIDS. Alcune di loro sono rimaste incinte, ma c'è anche tutta una Pag. 5serie di danni psicologici, gravi, che si ripercuotono su questi bambini e su tutti i familiari, oltre ovviamente a tutti i disturbi di stress post-traumatico dovuti allo stupro ripetuto da più persone, per più giorni, in maniera consecutiva.
Ma le violenze non si fermano qui. In una denuncia, in una pubblicazione che abbiamo fatto pochi giorni fa, abbiamo raccontato come la violenza e lo stupro in maniera sistematica delle donne e delle ragazze del Tigray da parte delle forze di difesa etiopi ed eritree e delle altre forze militari si sono ripetute esattamente allo stesso modo nelle aree confinanti delle regioni del Tigray. Nel momento in cui le forze tigrine sono uscite fuori dal campo portando avanti la loro battaglia, hanno usato esattamente la stessa tecnica, hanno usato esattamente la stessa arma di guerra, ovvero hanno stuprato tutte le donne che hanno trovato nella regione degli Amara. Le hanno stuprate esattamente allo stesso modo.
Noi abbiamo intervistato sedici ragazze, che ci hanno raccontato di essere state chiamate «somare», «nullità». Hanno raccontato di aver sentito militari dall'accento tigrino dire che meritavano di essere stuprate; e meritavano di essere stuprate perché anche le loro donne erano state stuprate, anche la loro comunità era stata umiliata e quindi adesso era arrivato il loro momento, era arrivato il momento per stuprare le donne, compagne, o semplicemente neanche compagne: semplicemente l'unica colpa è quella di vivere in una regione che confina con il Tigray.
Anche in questo caso le testimonianze sono molto simili. Abbiamo ragazze che raccontano di essere state stuprate per giorni; abbiamo ragazze che raccontano di essere state stuprate di fronte a una bambina di due anni, al figlio di dieci. Sono esattamente le stesse, perché poi la violenza contro le donne non ha confini, non ha limiti. Ma quello che mi è rimasto rileggendo queste testimonianze – che poi è il titolo che prende il nostro rapporto – è: «Queste persone si sono rese conto che io sono un essere umano? Si sono poste la domanda che stavano usando violenza, una violenza atroce verso un altro essere umano?» Perché non abbiamo solo uno stupro; abbiamo un uso della forza sistematico umiliante, perché la violenza non si è fermata né di fronte alle bambine di dieci anni, né di fronte alle donne incinte. Tra le persone che abbiamo ascoltato e di cui abbiamo raccolto la testimonianza c'è una ragazza che ci racconta: «Io non so se i quattro che mi hanno stuprato in maniera ripetuta si sono accorti che fossi incinta. Non so se queste persone si sono accorte che io sono un essere umano.»
Di fronte a questa violenza sistematica e che racconta probabilmente una realtà molto più alta rispetto ai numeri che noi siamo riusciti a riportare, l'annuncio dello stato di emergenza ci preoccupa ancora di più proprio, perché ad oggi il Primo Ministro non fa altro che invocare anche una chiamata alle armi, ad unirsi tutti insieme alle milizie, alle forze di difesa etiopi per combattere il Fronte di Liberazione Nazionale del Tigray. Allora questa chiamata alle armi, che si fa sempre di più una chiamata alla guerra etnica, ci spaventa. Ci spaventa che Facebook intervenga per rimuovere un post da parte del Primo Ministro perché considerato troppo violento. Ci preoccupa il linguaggio d'odio che si sta sviluppando sempre di più, e dall'altra parte che nessuno compia atti concreti per dire ai militari etiopi, eritrei, alle varie milizie di intervenire per fermare questo attacco sistematico contro le donne e le ragazze di tutta l'Etiopia, ad oggi.
Lascerei la parola alla mia collega per fare il punto sulle raccomandazioni.
PRESIDENTE. Prego, dottoressa Loffari.
FRANCESCA LOFFARI, Institutional Affairs Senior Officer presso Amnesty International Italia. Grazie. A seguito delle evidenze emerse nel nostro ultimo rapporto, appena descritte dalla collega, Amnesty International ovviamente rivolge alcune raccomandazioni sia al Governo etiope, sia a quello eritreo, sia alla comunità internazionale tutta.
In particolare, al Governo etiope noi chiediamo indagini imparziali e indipendentiPag. 6 sugli abusi e sulle violenze sui diritti umani perpetrati dall'inizio del conflitto fino a oggi. Infatti, è importante assicurare alla giustizia – una giustizia indipendente, aperta, accessibile allo scrutinio altrui – i responsabili delle violenze finora documentate.
È importante, inoltre, che le autorità etiopi stabiliscano un programma di riparazione per le vittime del conflitto, perché sono vittime che sono rimaste senza aiuto alcuno. Come ha appena detto la mia collega, non hanno avuto accesso a cure mediche, assistenza sanitaria e psicologica, e questo è fondamentale nel processo di recupero dei danni di un soggetto gravemente violato. In più, le autorità etiopi dovrebbero garantire che le sopravvissute e i sopravvissuti possano accedere a cibo, acqua, riparo, assistenza sanitaria, che ad oggi non sono assolutamente in alcun modo garantiti.
Inoltre, al Governo eritreo, che di fatto è coinvolto nel conflitto, chiediamo che vengano impartiti ordini chiari affinché le forze impegnate sul territorio non commettano abusi e violenze sessuali, utilizzati poi come una vera e propria arma di guerra, come sempre ha ripetuto la collega, giustamente.
Infine, alle Nazioni Unite noi reiteriamo il nostro appello affinché tutti cessino di esercitare qualsiasi forma di violenza ai danni dei civili. In più, vorremmo che fosse garantito un efficace meccanismo di monitoraggio, di analisi e rapporto nella regione, in modo tale da affrontare e prendere in carico per la gestione i casi di violenza sessuale, in circostanze sia di conflitto che di post-conflitto, in ottemperanza alla risoluzione 1960 approvata dal Consiglio di Sicurezza ONU.
Queste sono alcune delle nostre raccomandazioni. Siamo consapevoli che le condizioni di sicurezza nel Paese non sono ottimali per permettere un monitoraggio internazionale, ma riteniamo che sia un'azione che la comunità debba intraprendere, se non nell'immediato, almeno nel medio periodo. Grazie.
PRESIDENTE. Vi ringrazio per averci dato queste informazioni drammatiche, devo dire peggio di quanto potessimo immaginare, specialmente l'accanimento ai danni delle donne in quanto donne, di qualsiasi gruppo e attraverso lo strumento dello stupro: la peggiore caratteristica delle guerre a matrice etnica della fine del Novecento. L'abbiamo visto nella ex Jugoslavia, lo abbiamo visto nei Grandi Laghi, e fa veramente male vedere come tutto questo continui, come vada avanti l'umiliazione delle donne dell'altro gruppo etnico per affermare la propria supremazia.
Vi ringrazio per il lavoro di sensibilizzazione che state svolgendo e per aver posto l'accento su questo tema dello stupro come arma di guerra, perché abbiamo visto anche in precedenza come le vittime di queste azioni poi portino segni per sempre. Vengono anche a volte invise dalle loro comunità, e questo crea uno stato di sconquassamento nelle famiglie. Dunque, è giusto che si sappia e anche che si porti avanti un'azione concertata di tutti gli Stati membri. Come dicevo, è stata chiesta una Commissione d'inchiesta indipendente che – come voi chiedete – possa indagare su questo tipo di abuso, che è proprio di matrice interetnica.
Io adesso vorrei chiedere ai colleghi e alle colleghe che sono collegati a distanza se ci sono delle richieste di chiarimento da parte loro, se vogliono intervenire su quanto hanno sentito. Abbiamo visto che ci sono anche delle raccomandazioni che Amnesty ha fatto. Noi come Parlamento potremmo immaginare anche di fare nostre queste raccomandazioni con un atto parlamentare. Do la parola alla collega Quartapelle, che è collegata. Prego, onorevole Quartapelle.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio anch'io Amnesty e la presidente per aver voluto mettere in calendario questa importante audizione in un momento in cui le notizie che ci arrivano dall'Etiopia sono drammatiche. Il rapporto è di agosto, ma la situazione non è migliorata, anzi è molto peggiorata. Dal punto di vista delle notizie che ci arrivano, i segnali di una persecuzione su base etnica aumentano, non diminuiscono. Credo che il rapporto che ci è stato raccontato e riassunto questa Pag. 7mattina abbia questa valenza di accendere un faro sulla situazione in Etiopia.
Devo dire che la Commissione ha fatto un lavoro abbastanza approfondito nelle settimane passate proprio sul conflitto, che però non deve in nessun modo considerarsi concluso rispetto alla risoluzione che abbiamo adottato prima dell'estate. Credo che la valenza del rapporto di Amnesty sia questa: continuare a tenere una finestra aperta sulle molteplici violazioni dei diritti umani in corso in Etiopia e sulla natura etnica e sulle conseguenze drammatiche che l'esasperazione della carta anti-tigrina o anti altre etnie può avere in un Paese come l'Etiopia. Le violazioni dei diritti umani nei confronti delle donne sono due volte odiose, perché sono violazioni dei diritti umani e perché sono fatte contro le donne.
La denuncia del rapporto, almeno da parte del gruppo del Partito democratico, è stata assorbita e credo che quello che suggerisce la presidente – cioè di raccogliere queste e altre raccomandazioni più in generale sull'evoluzione drammatica della situazione in Etiopia – debba essere presa in considerazione da parte della Commissione. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Quartapelle. Mi chiedo se ci siano altri colleghi o colleghe che intendano intervenire. Si è collegata la collega Emiliozzi. Prego, collega.
MIRELLA EMILIOZZI. Grazie, presidente. Ringrazio i rappresentanti di Amnesty International perché, pur sapendo della violenza di questa guerra, pur arrivando notizie terribili dall'Etiopia, il loro racconto ha reso ancora più urgente l'azione che noi stiamo cercando da molti mesi di fare e di svolgere, facendo pressioni a livello internazionale perché si intervenga al più presto possibile per avviare un processo di pace, per avviare un dialogo.
Ringrazio veramente il lavoro che hanno fatto, che è prezioso, sempre, in ogni scenario di questo genere. Chiedo se hanno avuto accesso a tutti i teatri di scene terribili come quelle che hanno raccontato, oppure se la Commissione per i diritti umani etiope ha impedito loro di entrare in alcune zone, come per esempio Axum. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie. Non so se ci sono ancora altre richieste d'intervento. Non mi pare che ce ne siano. Nel dare la parola alle nostre ospiti vorrei anche sottolineare che ritengo che il nostro Paese su questa crisi debba tentare ogni carta per avviare un dialogo concreto tra le parti, se non fosse solo perché abbiamo una responsabilità storica in questa regione. Sono convinta del fatto che noi come Parlamento dobbiamo continuare a chiedere al Governo un impegno specifico su questo, perché noi abbiamo verso questo Paese anche degli impegni e delle responsabilità che in questo frangente non possiamo dimenticare.
Credo che quanto ci è stato detto debba veramente essere oggetto di un atto parlamentare che va a completare e anche ad aggiornare quello che è stato fatto prima dell'estate, perché la situazione è completamente diversa, è completamente cambiata. Qui abbiamo le forze del Tigray che si stanno avvicinando sempre di più alla capitale Addis Abeba.
Quindi non è più un conflitto locale e circoscritto; sta diventando una vera e propria guerra civile. L'onorevole Snider chiedeva di intervenire. Prego, onorevole Snider.
SILVANA SNIDER. Anzitutto grazie alla presidente, che ha portato all'attenzione questa problematica che si perpetua da sempre, anche in un momento in cui in Italia stiamo comunque portando avanti la Giornata internazionale sulla violenza contro le donne. Grazie ad Amnesty International, che continua a far sapere ciò che succede.
Io vi invito veramente a non lasciar mai cadere questa attenzione verso tutti, in particolar modo il popolo italiano, che deve conoscere cosa sta succedendo fuori da questi confini. Il mio era semplicemente un ringraziamento a chi si sta occupando di queste tematiche e a chi fa di tutto per portarle all'attenzione.
PRESIDENTE. Do la parola alle nostre ospiti. Dottoressa Marinari.
Pag. 8 ANNUNZIATA MARINARI, Head of Campaign Unit presso Amnesty International Italia. Grazie per la parola e per gli interventi. Noi abbiamo fatto interviste, nel primo rapporto, quello che è uscito ad agosto, tra i mesi di marzo e giugno, in presenza, nel senso che i nostri ricercatori sono andati sul campo, hanno intervistato le donne, soprattutto nei campi profughi lungo il confine, in particolare dal lato del Sudan. Ovviamente era ancora marzo, ancora non era successo quello che abbiamo visto negli ultimi tempi.
Lo stiamo continuando a fare, perché la nostra pubblicazione del 10 novembre parla delle violenze e dello stupro delle donne che sono state agite da parte delle milizie tigrine. Anche queste sono state condotte sul campo, ma esclusivamente all'interno dei campi profughi, mentre prima dell'estate eravamo riusciti ad entrare anche nell'area del Tigray.
Quello che volevo dire è che, oltre ad avere intervistato le sopravvissute delle violenze sessuali, abbiamo parlato con operatori sanitari, con chi queste persone le ha visitate e aiutate e sta cercando di far superare loro un trauma come quello dello stupro, così violento e continuativo.
Noi continueremo a denunciare queste violenze, e abbiamo intenzione di incontrare i rappresentanti dell'Ambasciata etiope in Italia, proprio perché crediamo che l'Italia, per il ruolo storico e politico che ha avuto in quell'area, debba intervenire e debba tenere alta l'attenzione. Allo stesso tempo, dobbiamo chiedere ai rappresentanti del Governo etiope di risponderci e di prendersi un impegno chiaro e pubblico davanti alla comunità internazionale. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, dottoressa. Non so se la dottoressa Loffari voleva aggiungere qualcosa. No. Colleghi e colleghe, se non ci sono altri interventi io dichiaro chiusa questa audizione.
Ringrazio nuovamente le rappresentanti di Amnesty International e vediamo se in sede di Commissione riusciamo a fare un nuovo atto parlamentare con gli aggiornamenti e le raccomandazioni che ci sono state fatte, sollecitando il nostro Governo a prendere un'iniziativa in merito a quanto sta accadendo in quel Paese.
Grazie. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.20.