XVIII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 32 di Lunedì 14 giugno 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Boldrini Laura , Presidente ... 3 
Radici Ludovica , rappresentante dell'associazione ... 4 
Boldrini Laura , Presidente ... 6  ... 7 
Eusebio Giada , rappresentante dell'associazione ... 7 
Boldrini Laura , Presidente ... 9 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 9 
Boldrini Laura , Presidente ... 9 
Radici Ludovica , rappresentante dell'associazione ... 9 
Boldrini Laura , Presidente ... 10 
Bruno Megan , rappresentante dell'associazione ... 10 
Boldrini Laura , Presidente ... 10 
Eusebio Giada , rappresentante dell'associazione ... 10 
Boldrini Laura , Presidente ... 10 
Eusebio Giada , rappresentante dell'associazione ... 10 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 11 
Eusebio Giada , rappresentante dell'associazione ... 11 
Boldrini Laura , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera.
  L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, oltre che delle persone audite, anche dei deputati e delle deputate, secondo le modalità che sono state stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione dei rappresentanti dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB).
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori la dottoressa Ludovica Radici, la dottoressa Megan Bruno e la dottoressa Giada Eusebio, che ricoprono il ruolo di advocacy assistant dell'associazione.
  Prima di dare la parola alle nostre ospiti, bisogna inquadrare il lavoro del Comitato e anche e soprattutto quello dell'associazione. Il Comitato sta portando avanti questa indagine conoscitiva e quindi per noi è importante approfondire i temi dei diritti umani, laddove ci sono violazioni, in tutto il pianeta. In questo contesto, l'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain era già stata audita il 13 maggio del 2019, sempre in sede di indagine conoscitiva sui diritti umani; già in quella circostanza era emerso che questa associazione – formalmente costituita come organizzazione senza scopo di lucro nel 2008 e basata a Washington – ha intensi rapporti di collaborazione con le maggiori ong internazionali impegnate nella tutela dei diritti umani, tra cui Amnesty International, Freedom House, Human Rights Watch, Human Rights First, Project on Middle East Democracy, ma anche con il Congresso e le Agenzie del Governo degli Stati Uniti. A livello internazionale, dunque, collabora con attivisti e organizzazioni non governative nell'azione di informazione e sensibilizzazione all'interno del sistema delle Nazioni Unite e del Parlamento europeo.
  Altrettanto essenziale è il ruolo svolto dall'organizzazione all'interno del Paese, in Bahrain, che si sostanzia nell'azione di supporto ai leader dei movimenti locali per i diritti umani, promuovendo contatti diretti con il Governo degli Stati Uniti, alti funzionari governativi e le principali organizzazioni no-profit degli Stati Uniti.
  Inoltre, ha acquisito lo status di organizzazione non governativa accreditata presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite e le sue attività vengono finanziate attraverso donazioni private e contributi delle istituzioni internazionali e dei partner non governativi, mentre non Pag. 4sono ammessi finanziamenti da parte di altri Governi.
  Segnalo, altresì, che il 13 maggio scorso io stessa – oltre ad aver presentato in questa legislatura ben due interrogazioni sulla violazione dei diritti umani in Bahrain – ho sottoscritto insieme ai colleghi Carelli, Lupi e La Marca una lettera indirizzata al Re del Bahrain, Hamad bin Isa Al Khalifa, nella quale, facendo riferimento all'ingiusta punizione e al maltrattamento dei prigionieri di coscienza, nonché al rischio sproporzionatamente elevato di malattia a causa delle privazioni di controlli medici e dei dispositivi di protezione individuale necessari per contrastare e per proteggersi dal COVID-19, si esprime profonda preoccupazione per il destino dei prigionieri di coscienza e dei difensori dei diritti umani attualmente detenuti nelle carceri del Regno del Bahrain. In questa lettera si chiedeva di: rilasciare incondizionatamente tutti i prigionieri politici; revocare le limitazioni imposte dalla legge sulla pena alternativa a tutti i soggetti sottoposti a tali restrizioni; cessare l'uso della legge sulla pena alternativa per i prigionieri di coscienza; commutare la condanna a morte di tutti i detenuti attualmente presenti nel braccio della morte.
  Analoghe richieste sono contenute nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo, a larghissima maggioranza, lo scorso 11 marzo, in cui, tra le altre cose, si sollecita l'Unione europea a garantire che i diritti umani siano integrati in tutti i settori di cooperazione con il Bahrain; si invita l'Alto Rappresentante per la politica estera dell'Unione e gli Stati membri a portare avanti una vigorosa campagna per garantire l'immediato rilascio dei difensori dei diritti umani imprigionati, quale elemento chiave per una maggiore cooperazione tra l'Unione europea e il Bahrain stesso e si invitano le autorità del Bahrain a garantire uno spazio sicuro alle organizzazioni della società civile e ai media indipendenti, consentendo ai giornalisti stranieri e alle organizzazioni per i diritti umani l'accesso al Paese. Nella risoluzione si esprime particolare preoccupazione per l'utilizzo improprio delle leggi antiterrorismo, che limitano la libertà di espressione e le libertà politiche, che non sono pienamente conformi agli obblighi e alle norme internazionali. Inoltre, si invita il Governo del Bahrain a consentire ai funzionari dell'Unione europea, agli osservatori indipendenti e ai gruppi per i diritti umani di visitare le carceri bahrenite, garantendo in particolare che i Relatori Speciali delle Nazioni Unite sulla tortura, sulla situazione dei difensori dei diritti umani, sulla libertà di espressione e sulla libertà di assemblea siano autorizzati ad entrare nel Paese.
  Dunque, si tratta di istanze fondamentali, che appaiono tanto più urgenti e fondate quanto più il Bahrain aspira a svolgere un ruolo autorevole ed avanzato nello scenario geopolitico internazionale, come dimostra la sigla dei cosiddetti «Accordi di Abramo», avvenuta presso la Casa Bianca il 13 agosto 2020, con cui il Bahrain – prima monarchia del Golfo – ha riconosciuto ufficialmente Israele.
  Forniti questi elementi di contesto, mi fa piacere ora dare la parola alle nostre ospiti, ciascuna delle quali svolgerà un intervento stando nei tempi e dunque dovrò invitarvi a non andare oltre i cinque minuti. Passo la parola alla dottoressa Radici. Prego, dottoressa.

  LUDOVICA RADICI, rappresentante dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB). Buongiorno, presidente Boldrini. Buongiorno, onorevoli del Comitato dei diritti umani. Vi ringraziamo molto per questa audizione e vogliamo anche ringraziare il Parlamento italiano a nome della nostra Organizzazione per la costante attenzione e l'impegno che ha mostrato verso le nostre azioni di advocacy e di sensibilizzazione.
  Come Lei diceva, presidente, la nostra è un'organizzazione non governativa indipendente formatasi a Washington che è nata, inizialmente come movimento studentesco, dagli sforzi di studenti bahreniti che avevano trovato asilo in America e successivamente trasformatosi in una ong con lo scopo di contribuire alla democratizzazione e alla difesa dei diritti umani nel Golfo.
  Da allora il nostro lavoro è consistito nel dialogare a livello locale, nazionale e Pag. 5internazionale con le istituzioni pubbliche e private disposte a lavorare per cambiare lo stato delle cose. Collaboriamo, inoltre, con l'ONU attraverso le nostre testimonianze in virtù del nostro status speciale consultivo, attraverso l'invio degli universal periodic review, in cui proponiamo raccomandazioni ogni quattro anni, e attraverso il complaint program delle Nazioni Unite.
  Al momento una delle questioni delle quali ci stiamo occupando è quella delle condizioni dei prigionieri politici. Sappiamo che l'Unione europea si è impegnata per chiedere la scarcerazione dei prigionieri politici e di coscienza con la risoluzione del Parlamento europeo dell'11 marzo 2021 e sappiamo anche che lo scorso 3 maggio l'Ambasciatrice italiana, insieme all'Ambasciatore britannico, a quello francese e a quello statunitense, ha visitato il Centro di correzione e riabilitazione della prigione di Jau. Tuttavia, questa visita è stata organizzata dal Ministero degli Interni bahrenita e nel corso di essa sono state mostrate solo specifiche zone del carcere, come il blocco 21 e l'infermeria, che non rappresentano in nessun modo le condizioni di vita dei prigionieri. L'Ambasciatore britannico ha parlato di un ambiente pulito e ben gestito, dove ogni detenuto è provvisto di dispositivi medici anti-COVID-19, ma purtroppo queste dichiarazioni stridono con le testimonianze raccolte dalla nostra organizzazione attraverso il coinvolgimento di attivisti locali, che hanno parlato della totale assenza di misure medico sanitarie, della scarsa igiene e del sovraffollamento delle prigioni.
  A causa delle condizioni anti-igieniche in carcere, nonché della persistente negligenza medica da parte dell'amministrazione, la prigione di Jau si è rivelata un terreno fertile per il COVID-19. A seguito dello scoppio di un focolaio all'interno della prigione nel marzo 2021 e del silenzio istituzionale riguardo alla condizione dei prigionieri, si sono verificati nel Paese diverse proteste, guidate dalle famiglie che chiedono informazioni aggiornate sulla salute dei propri cari e di poter parlare con loro. Lo scorso 9 maggio Hossein Barakat, un prigioniero politico in carcere dal 2018, è morto per aver contratto il COVID-19, dopo che gli erano state negate le cure mediche.
  Il COVID-19, inoltre, ha semplicemente esasperato delle problematiche preesistenti. Nel nostro ultimo universal periodic review abbiamo raccolto altre testimonianze che dimostrano come negli anni passati il diritto alla salute dei detenuti all'interno del carcere di Jau non sia stato garantito e la negazione delle cure mediche sia stata utilizzata come strumento di rappresaglia contro i prigionieri politici.
  Inoltre, diverse organizzazioni internazionali come Human Rights Watch nel loro report del 2020, Amnesty International nel report 2020-2021, l'Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite e il Bahrain Institutes for Rights and Democracy hanno ripetutamente affermato che le condizioni della prigione di Jau continuano a violare gli standard minimi di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti a causa dell'ambiente insalubre, dei maltrattamenti, del sovraffollamento e della scarsa assistenza sanitaria.
  Uno dei casi per i quali ci stiamo battendo in particolar modo è quello di Hassan Mushaima, ex Segretario Generale del Movimento per la libertà e la democrazia Haq e co-fondatore ed ex Vicepresidente di Al-Wefac National Islamic Society, un gruppo di opposizione che il Governo del Bahrain ha sciolto nel 2016. Hassan Mushaima è stato condannato per il tentativo di rovesciare il Governo e per il suo ruolo nelle proteste del 2011. Oltre alle quasi costanti violazioni dei diritti umani a cui è oggetto, l'amministrazione penitenziaria gli ha negato le cure mediche necessarie per cancro, diabete, problemi cardiaci e altri gravi problemi di salute, come è stato testimoniato anche da Amnesty International nel 2018. Insieme ad Hassan Mushaima rimangono in carcere Abduljalil Alsingace e Naji Fateel.
  Siamo a conoscenza del fatto che i continui abusi dei diritti umani da parte del Bahrain hanno portato i membri della comunità internazionale – tra cui l'Italia – ad esprimere diverse raccomandazioni affinché il Bahrain istituisse delle istituzioni Pag. 6giudiziarie e degli organi indipendenti che operassero a favore dei diritti umani nel Paese, come l'Ombudsman del Ministero dell'Interno e il National Institute of Human Rights.
  La comunità internazionale si è, inoltre, mossa affinché venisse implementata una commissione d'inchiesta indipendente, la BICI (Bahrain Independent Commission of Inquiry), che con le sue ventisei raccomandazioni avrebbe dovuto portare il Bahrain a una transizione verso un regime attento ai diritti umani.
  Purtroppo, però, questi passi sono stati totalmente annullati dalla mancanza di indipendenza degli organismi sopracitati, che collaborano attivamente con il Governo, e dal fatto che molte delle raccomandazioni della BICI non sono state implementate, come testimoniano il Dipartimento di Stato americano, Amnesty International, Human Rights Watch, il Presidente stesso della BICI e la Commissione contro la tortura delle Nazioni Unite.
  Vi ringrazio per l'attenzione e adesso passo la parola alla mia collega, la dottoressa Bruno.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Radici. Sentiamo la dottoressa Bruno, a cui do volentieri la parola. Prego.
  MEGAN BRUNO, rappresentante dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB). Grazie, presidente, per la parola. Ringrazio ogni persona qui presente e la mia collega per le puntuali osservazioni.
  Mi focalizzerò sui diritti delle donne e le violazioni perpetrate nei loro confronti. Inizierei sottolineando come ci sia in Europa – dunque anche in Italia – una tendenza generale a dipingere le donne mediorientali come donne inferiori e imprigionate dalle loro tradizioni e dalle loro culture rispetto, invece, alle donne occidentali, che spesso sono raffigurate come in possesso di uno status superiore, uno status liberato.
  Quando si analizzano i conflitti armati, invece, nei contesti post-bellici, bisogna andare oltre la lente orientalista che percepisce quindi queste donne come semplici vittime o le confina all'interno dei loro ruoli tradizionali. Le donne mediorientali e – nel nostro caso specifico – le donne bahrenite, stanno combattendo una lotta molto diversa dalle donne occidentali e la loro resistenza è divisa contro varie forme di dominazione e di oppressione. Non abbiamo bisogno di incoraggiare queste donne ad essere più forti, lo sono già. In un'ottica femminista abbiamo solo bisogno di dare loro l'opportunità di usare quel potere che già hanno, cambiando però il modo in cui questa forza viene percepita.
  Il nostro lavoro di advocacy consiste proprio nel mettere in luce e rendere – nel nostro caso – l'Italia consapevole di tutto ciò. Secondo noi è fondamentale avere uno sguardo intersezionale sui diritti delle donne e sulle loro violazioni, specialmente quando si parla di Medio Oriente. Questo significa non solo essere consapevoli di ciò che alcune donne attraversano, ma dei diversi tipi di esperienze che hanno e che queste donne in Bahrain stanno vivendo un'esperienza completamente diversa da noi donne in Occidente. La rappresentazione, quindi, delle donne bahrenite come vittime o eroine limita la nostra comprensione della vita reale di queste donne. La realtà è molto più complessa e delimitare la loro esperienza al discorso di vittimizzazione o ai ruoli stereotipati di queste donne raffigura un quadro incompleto e impreciso dei ruoli che si svolgono nella realtà e decontestualizza la loro esperienza.
  Queste donne attiviste bahrenite – ribadisco – non hanno bisogno di essere salvate, ma sono in prima linea nelle proteste. Nel 2011 erano al centro delle Primavere arabe e ovviamente non spetta a nessuno di noi salvarle, ma secondo noi non è giusto che debbano farlo in condizioni disumane, reificanti e soprattutto illegali, tra torture, molestie e stupri. Non possiamo rimanere in silenzio, anche se non è la nostra lotta. Soprattutto come europei, come italiani e, in primis, come donne dobbiamo agire, convertire questo nostro privilegio e dare la possibilità a queste donne di difendersi, combattere e battersi liberamente.
  La prigione di Isa Town in Bahrain – l'unica struttura di detenzione femminile – è stata citata in relazione a numerosissime Pag. 7violazioni dei diritti umani, come la mancanza di accesso alle cure mediche, gli abusi fisici e psicologici, le minacce di violenze sessuali e la discriminazione religiosa. Gruppi per i diritti umani, tra cui il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, sostengono che molte detenute sono state sottoposte ad un processo ingiusto, con accuse di corruzione semplicemente a causa del loro attivismo pacifico.
  Nel 2019 con il Bahrain Institute for Human Rights abbiamo pubblicato il rapporto intitolato Breaking the silence, in cui abbiamo fatto un ampio resoconto degli abusi subiti da nove donne dal momento in cui sono state convocate per l'interrogatorio, attraverso tutto il loro processo e, infine, la loro detenzione. Leggendolo si ha un quadro molto più ampio di ciò che accade a queste donne senza che esse siano vittime della situazione e ciò per noi è fondamentale, perché ancora una volta – ripeto – queste donne sono combattenti e, nonostante le ritorsioni e le minacce e gli abusi, continuano a fare il loro lavoro e a rimanere in prima linea. I loro interrogatori oscillavano tra i venti minuti e le dodici ore, per due settimane. Le loro testimonianze hanno denunciato come la polizia bahrenita sia colpevole di diversi tipi di crimini, come sparizioni forzate e abusi psicologici, e due di queste donne hanno riferito di essere state aggredite sessualmente dalla polizia.
  Zahra Aslshaikh, Najah Yusuf, Medina Ali ed Ebtisam al-Saegh hanno anche riferito di abusi fisici durante i loro interrogatori, che vanno dagli schiaffi alle percosse, e che hanno portato alcune di loro al ricovero in ospedale. A tutte e nove le donne è stata negata una rappresentanza legale durante gli interrogatori e sotto tale pressione cinque donne alla fine hanno confessato.
  Attualmente stiamo lavorando a un documento, come diceva la mia collega, proprio su questa tematica. Questo documento, che sarà presentato alla luce della quarta revisione periodica universale il prossimo anno, affronta la discriminazione delle donne nell'ordinamento giuridico del Bahrain sia nel diritto civile sia nel codice penale, con riferimento alla violenza che le attiviste di cui ho appena parlato hanno subìto durante gli interrogatori o durante la loro detenzione.
  Tutti questi casi dimostrano che la tortura, i maltrattamenti, i processi iniqui e soprattutto la discriminazione di genere in ambito giuridico e politico, ma anche nella società civile in generale, sono tratti distintivi del Bahrain.
  Nel recente 11 marzo 2021 – qualche mese fa – il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla questione dei prigionieri politici in Bahrain e in questo contesto, purtroppo, le donne che si battono per la tutela ed il rispetto dei diritti umani sono ancora più vulnerabili agli abusi. Grazie mille.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Bruno. Adesso passerei la parola alla dottoressa Eusebio. Prego, dottoressa.

  GIADA EUSEBIO, rappresentante dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB). Grazie, presidente, e grazie anche agli interventi precedenti delle mie colleghe. Il mio intervento verterà sul perché l'Italia deve essere in prima linea nella difesa dei diritti umani in Bahrain.
  Innanzitutto, l'Italia è uno dei tre Paesi europei con un'Ambasciata a Manama; ciò significa che il nostro Paese ha la capacità di esercitare un'influenza positiva sulla governance bahrenita, come peraltro è d'obbligo secondo le missioni dell'Unione europea, in quanto interfaccia principale tra l'Unione e i suoi Stati membri, ma anche difensore dei diritti umani sul campo.
  Tali missioni dovrebbero adottare una politica che sia proattiva nei confronti dei difensori dei diritti umani, consultandosi fra loro e visitando coloro che sono in custodia o agli arresti domiciliari, assistendo anche al processo in qualità di osservatori.
  Abbiamo contattato svariate volte l'Ambasciata italiana per sollevare le nostre preoccupazioni in materia di diritti umani, senza però ricevere mai alcun tipo di riscontro. Pag. 8 Allo stesso modo si sono verificati diversi casi in cui gli attivisti, le loro famiglie e i loro avvocati abbiano provato ad incontrare i rappresentanti diplomatici italiani a Manama, senza però avere successo.
  Noi comprendiamo la necessità della massima prudenza quando si ha a che fare con Paesi come il Bahrain, ma siamo anche consapevoli che questo approccio non ha portato molti risultati nel corso del tempo e difficilmente succederà nel futuro.
  Chiediamo, dunque, all'Ambasciata di rispettare le linee guida dell'Unione europea nei confronti dei difensori dei diritti umani, mantenendo un dialogo che sia aperto con la società civile.
  Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain monitora costantemente la loro situazione del Paese tramite comunicazioni dirette ed indirette con le famiglie di coloro che sono detenuti dal Governo nel Bahrain. Noi siamo disposti a facilitare il lavoro dell'Ambasciata, fornendo queste informazioni e mantenendo un rapporto costante con la Farnesina.
  Un'altra ragione per cui l'Italia è particolarmente coinvolta è l'influenza del Governo del Bahrain sulle nostre istituzioni educative più di prestigio. Nel novembre del 2018 la Sapienza ha inaugurato la cattedra King Hamad per il dialogo interreligioso e la coesistenza pacifica. Il regime bahrenita si è spesso appellato a questa cattedra per proiettare sullo scenario internazionale l'immagine di un Bahrain tollerante verso altri credi e culture. Tuttavia, questa iniziativa stride con il trattamento riservato da parte della famiglia reale in Bahrain – di confessione musulmana sunnita – ai membri della comunità sciita del Paese, che rappresentano ben il 70 per cento dell'intera popolazione.
  Soprattutto in seguito ai movimenti del 2011 la repressione religiosa si è intensificata, portando alla distruzione di luoghi di culto, di moschee sciite, alla cancellazione forzata di eventi religiosi e alla presa di mira di sacerdoti e figure religiose prominenti per la popolazione sciita.
  La discriminazione religiosa si manifesta anche all'interno delle prigioni e nelle scuole, dove gli studenti sciiti subiscono innumerevoli discriminazioni ad ogni livello d'istruzione. Il Governo del Bahrain consente a un'unica scuola sciita, la Jaafari Institute, di operare legalmente all'interno del Paese, nonostante nel Regno ci siano più di 100 mila cittadini sciiti.
  Ci teniamo a garantire che le iniziative delle università italiane non vengano strumentalizzate per coprire le violazioni dei diritti umani in altre parti del mondo. In particolare, l'iniziativa di creare una cattedra per il dialogo interreligioso è decisamente antitetica alla condotta che il Governo e la famiglia reale in Bahrain riservano nei confronti dei propri cittadini, e in particolare della comunità sciita. Abbiamo cercato più volte di comunicare con la Rettrice, scrivendole anche una lettera aperta cofirmata con Amnesty Italia. Eppure, nonostante i nostri tentativi e il supporto di diversi insegnanti all'interno dell'università, non ci è stata data nessuna possibilità di dialogo. Ora il Governo bahrenita è all'opera per istituire nuove cattedre in altre prestigiose università italiane.
  Infine, siamo qui per chiedervi di agire e prendere posizione attraverso specifiche raccomandazioni. Innanzitutto, è fondamentale, attraverso l'Ambasciatrice, che il Relatore Speciale delle Nazioni Unite e i rappresentanti di organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch possono avere accesso alle prigioni di Jau e Isa Town e non solo a determinati edifici scelti dal Governo bahrenita. È necessario continuare a fare pressione affinché i prigionieri politici vengano liberati, come da recente risoluzione del Parlamento europeo.
  Al momento stiamo anche lavorando con un team di avvocati internazionali per denunciare a livello europeo diversi sui casi di violazioni di diritti umani e utilizzare il metodo «sanzioni Magnitsky». Come saprete, avremo bisogno dell'unanimità degli Stati membri dell'Unione europea per ottenere l'implementazione delle sanzioni.
  Infine, vi chiediamo di prendere posizione pubblicamente contro i finanziamenti del Governo bahrenita all'Università La Sapienza. Pag. 9
  Le nostre raccomandazioni finiscono qui. Grazie infinite per il vostro tempo, presidente e onorevoli.

  PRESIDENTE. Grazie, molto interessante quanto ci ha esposto. Ora chiedo ai colleghi e alle colleghe se ci sono degli interventi, delle domande o delle osservazioni in merito a quanto è stato rappresentato.
  Se non ci sono domande, vorrei porre io un quesito, perché quanto ci è stato detto adesso dalla dottoressa Eusebio riguardo a questo finanziamento dato dalla famiglia reale bahrenita all'Università La Sapienza per promuovere il dialogo interreligioso – quando poi di questo dialogo non c'è molta traccia nel Paese – mi sembra un punto molto importante da mettere in rilievo. Vorrei avere qualche elemento in più su questo. Vorrei sapere che tipo di sovvenzione è stata data, se avete degli elementi, se si tratta di una iniziativa ad hoc, se si tratta di un corso di studi e in quale facoltà questo viene sviluppato, perché si può e si deve fare il dialogo interreligioso, ma deve essere poi considerato una priorità anche all'interno del Paese che lo propina. Su questo vorrei avere su qualche elemento in più.
  Inoltre, vorrei avere informazioni in merito alle donne militanti e alle attiviste. Quante donne attiviste oggi si trovano in detenzione? Non so se è stato detto, se ci sono dei dati o se mi sia sfuggito, ma vorrei capire anche l'incidenza di questo, perché giustamente la dottoressa Bruno si è ribellata di fronte all'immagine della donna musulmana sempre stretta in alcune categorie come quella della vittima, ignorando che spesso queste donne sono militanti, sono coraggiose e in prima linea. Tuttavia, io vorrei capire a che prezzo. Vorrei capire quante di queste donne oggi sono in questi centri di detenzione, per capire il fenomeno.
  Sul COVID-19: la dottoressa Radici diceva che i detenuti in carcere non hanno le protezioni per il COVID-19; mi chiedevo se anche questa limitazione di accesso nelle carceri sia dovuta al COVID-19 oppure al fatto che, invece, queste visite si intendono non essere – come dire – apprezzate, perché non si vuole avere trasparenza. Avrei queste tre domande.
  Vedo che è collegata anche la collega Quartapelle Procopio e non so se vuole fare delle domande adesso oppure a seguire.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Anche adesso, così poi rispondono a tutto. Ringrazio molto le dottoresse che sono intervenute, che hanno dato davvero un'idea di una questione che dal punto di vista dell'attenzione pubblica è molto meno al centro del dibattito. Se si parla di donne attiviste, si parla di Iran, di Turchia o di Arabia Saudita e non di Bahrain, dove vi è una situazione che è importante che la nostra Commissione approfondisca.
  Su questo vorrei capire due cose. La prima riguarda le iniziative dell'Ambasciata italiana: è stata coinvolta per seguire i casi in carcere? Che tipo di risposta avete avuto? Perché quello è un ambito dove noi possiamo intervenire. La seconda domanda è se sono attive iniziative di solidarietà internazionale con le attiviste che sono in carcere o che rischiano di essere messe in carcere, perché anche su questo la nostra Commissione – e singolarmente anche noi come deputate e deputati – possiamo unirci con altri e con altre in iniziative di solidarietà internazionale che credo possano essere molto utili per le donne detenute e le donne attiviste. Grazie.

  PRESIDENTE. Prego, allora passerei la parola a ciascuna di voi. Cominciamo dalla dottoressa Radici, prego.

  LUDOVICA RADICI, rappresentante dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB). Dunque, secondo i nostri contatti, sappiamo che sono stati visitati solo degli edifici scelti dal Governo e non pensiamo che sia dovuto a una particolare cautela rispetto al COVID-19, perché le persone che hanno contratto il COVID-19 sono state messe in isolamento in una specifica parte della prigione e quindi rimangono anche altre zone della prigione che potevano essere visitate, oltre a quelle effettivamente visitate, oltre alla prigione di Isa Town, che citavano le mie colleghe. Pag. 10
  Noi pensiamo che questa visita sia stata orchestrata come una sorta di specchietto per le allodole, perché abbiamo anche avuto degli eventi, ad esempio con un'attivista locale, Najah Yusuf, che ci ha fatto riflettere sul fatto che effettivamente gli Ambasciatori non sono equipaggiati come possono esserlo il Relatore Speciale delle Nazioni Unite oppure i rappresentanti di Amnesty International o Human Rights Watch, anche per fare le giuste domande, per chiedere di visitare le zone più importanti o di essere messi al corrente sui servizi della prigione. Il fatto che sia stato scelto lo specifico blocco 21 e l'infermeria e che non siano state fatte vedere altre zone per noi è indice di una copertura che garantisca questa continua cultura dell'impunità che vige nel Golfo, e in particolare in Bahrain.
  Questo è quello che mi viene in mente e spero di aver esaurito la sua domanda, altrimenti mi chieda pure.

  PRESIDENTE. Grazie. Dottoressa Bruno, prego.

  MEGAN BRUNO, rappresentante dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB). Innanzitutto, grazie mille per questa domanda. Dalle informazioni che ci sono pervenute dai nostri contatti in Bahrain a noi risulta che ci sia soltanto una donna attivista attualmente in carcere, Zakiya Albarbori, che è stata arrestata sotto false accuse ed è attualmente in carcere da due anni. Tutte le altre donne sono state rilasciate, ma purtroppo continuano ad essere assalite ogni giorno e vi sono ritorsioni, non solo su di loro, ma soprattutto sulle loro famiglie. Ad esempio il figlio di Najah Yusuf – una delle donne che ho menzionato precedentemente – è un ragazzo molto giovane ed è stato arrestato soltanto per le attività politiche della madre. Questo succede molto più con le donne rispetto agli uomini e succede ogni giorno.
  Per rispondere alla domanda dell'onorevole Quartapelle, ci sono delle petizioni per il rilascio di questa donna e per la sua liberazione. Noi siamo in contatto con alcune di loro. Tuttavia, anche se sono libere, purtroppo per loro è molto difficile a mettersi in contatto con organizzazioni come la nostra senza mettere in pericolo se stesse, la loro vita e la loro famiglia. Quindi, dobbiamo stare molto attenti. Ci sono sicuramente delle iniziative che possiamo promuovere per aiutarle.

  PRESIDENTE. Bene, grazie. Dottoressa Eusebio, prego.

  GIADA EUSEBIO, rappresentante dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB). Grazie mille, presidente. Rispondo subito alla domanda sull'Università La Sapienza e poi alla domanda dell'onorevole Quartapelle sui nostri contatti con l'Ambasciata.
  Innanzitutto, si tratta di un partenariato iniziato dal precedente Rettore, Eugenio Gaudio. Si tratta di un contratto della durata di quindici anni in cui il Governo del Bahrain fornisce in totale un milione e 700 mila euro – stando alle nostre informazioni – per la creazione di un corso che è tenuto presso la facoltà di lettere dal professore Alessandro Saggioro.

  PRESIDENTE. Scusi, non ho capito il nome.

  GIADA EUSEBIO, rappresentante dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB). Alessandro Saggioro. Abbiamo tentato di parlare più volte con lui, ottenendo risposte poco cordiali e poco collaborative nei nostri confronti. Quello che ci sentiamo di dire a questo riguardo è che in Italia i finanziamenti privati nelle università pubbliche sono legali, ma sulle frontiere etiche che questi finanziamenti non dovrebbero valicare persiste un silenzio normativo che, a nostro avviso, è urgente colmare.
  Per quanto riguarda, invece, la domanda dell'onorevole Quartapelle, innanzitutto abbiamo tentato più volte, come dicevo prima, di aprire un canale comunicativo, senza riscontro, con l'Ambasciata a Manama. Ho anche alcune date dei nostri più recenti tentativi. A luglio e ad agosto 2020 abbiamo mandato all'Ambasciatrice Pag. 11Amedei due lettere differenti: nella prima si cercava di sottolineare la situazione dei prigionieri bahreiniti, compresi i prigionieri politici, attualmente ad alto rischio di contrarre il virus COVID-19, prevenendo sostanzialmente la situazione tragica che si sta sviluppando adesso all'interno del carcere di Jau, ma senza ottenere risposta; nella seconda lettera parlavamo della condizione di dodici cittadini bahreiniti che al momento sono a rischio di esecuzione imminente, avendo esaurito ogni rimedio legale per appellarsi alla sentenza.
  Nel 2021 abbiamo tentato di contattare l'Ambasciata tre volte, a gennaio e a febbraio: a gennaio abbiamo mandato una lettera parlando del caso di persecuzione dello sceicco Zuhair Jasim Mohamed Abbas e abbiamo poi mandato un'ultima lettera in cui richiamavano l'attenzione sulla situazione di dei prigionieri politici.
  Per quanto riguarda i nomi dei difensori dei diritti umani che si sono appellati all'Ambasciata italiana, come potete capire si tratta di informazioni sensibili, in quanto questi attivisti e attiviste rischiano il carcere quando si appellano alla comunità internazionale.
  Se l'onorevole Quartapelle desidera queste informazioni si può organizzare un ulteriore meeting e gliele possiamo fare avere in forma scritta e confidenziale.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Sarei molto contenta di averle in forma scritta.

  GIADA EUSEBIO, rappresentante dell'associazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB). Va bene, grazie mille.

  PRESIDENTE. Riuscire a dare una mano, migliorare la situazione e per sostenere un processo di democratizzazione che in molti Paesi fa fatica proprio a decollare: questo Comitato si adopera in questo senso, perché cerca di mettere all'attenzione la tutela dei diritti umani delle persone.
  Non penso che ci siano altri interventi. Vi ringrazio sentitamente e continueremo a collaborare. Speriamo di riuscire a ottenere delle risposte, anche in base alle puntuali precisazioni e richieste che oggi ci avete fatto. Cercherò anche io di capire dall'Università La Sapienza qualcosa di più in merito a questo accordo e con la collega Quartapelle vedremo di sensibilizzare il Ministero degli Esteri in merito al tema degli attivisti che avrebbero bisogno di una mano da parte di chi è lì, rappresentando Paesi democratici.
  Grazie e buon lavoro, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.