XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 27 di Mercoledì 30 settembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fassino Piero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Fassino Piero , Presidente ... 3 
Mpaliza Balagizi John , Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo» ... 4 
Kabu Dia Kivuila Brigitte , Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo» ... 5 
Hemedi Nasibu Barthelemie , Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo» ... 6 
Ivardi Ganapini Filippo , Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo» ... 7 
Fassino Piero , Presidente ... 8 
Boldrini Laura (PD)  ... 8 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 9 
Suriano Simona (M5S)  ... 10 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 11 
Fassino Piero , Presidente ... 11 
Mpaliza Balagizi John , Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo» ... 11 
Ivardi Ganapini Filippo , Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo» ... 12 
Fassino Piero , Presidente ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIERO FASSINO

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione di rappresentanti del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo».
  Saluto e ringrazio per la loro disponibilità a prendere parte ai nostri lavori John Mpaliza Balagizi, Brigitte Kabu Dia Kivula, Barthelemie Hemedi Nasibu e Filippo Ivardi Ganapini. Questa audizione è stata richiesta dal gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo», del quale fanno parte la comunità congolese d'Italia e la rivista Nigrizia, in occasione della commemorazione dei sessant'anni di indipendenza della Repubblica Democratica del Congo, che è caduta il 30 giugno 2020.
  Ricordo che la Repubblica Democratica del Congo continua a essere teatro di violenze, attacchi, uccisioni e diffusa violazione dei diritti umani ad opera di gruppi armati locali e stranieri, in particolare nella regione orientale del Paese lungo il confine tra le province di Ituri e Nord Kivu. Segnalo, altresì, che il 25 giugno scorso il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato una risoluzione con la quale, tra le altre cose, ha rinnovato per un anno il regime di sanzioni imposte alla Repubblica Democratica del Congo volte a impedire la fornitura, la vendita o il trasferimento diretto di armi e relativo materiale e assistenza a tutte le entità non governative.
  Più recentemente, il 17 settembre il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzione sul caso del dottor Denis Mukwege, medico attivista per i diritti umani congolese, insignito del Premio Nobel per la pace nel 2018 e del Premio Sakharov del Parlamento europeo per la libertà di pensiero nel 2014. Nella risoluzione, tra le altre cose, il Parlamento europeo esprime preoccupazione e solidarietà nei confronti del dottor Mukwege e dei suoi familiari, minacciati di morte per la sua denuncia dei crimini, delle violazioni e degli abusi dei diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo. La risoluzione esorta le Nazioni Unite a garantire al dottor Mukwege e alla sua famiglia una protezione stabile e continua attraverso la missione ONU per la Stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO); invita le autorità della Repubblica Democratica del Congo ad adoperarsi maggiormente per evitare nuove violazioni dei diritti umani nella regione orientale del Paese e a prendere provvedimenti che garantiscano alle vittime il diritto alla giustizia e ad una riparazione; invita gli Stati membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a istituire un tribunale penale internazionale che indaghi sui casi Pag. 4documentati di violazione dei diritti umani precedenti al 2002; ritiene necessario rafforzare la lotta contro l'impunità di cui godono le milizie e le Forze armate nel Paese; invita le competenti Istituzioni dell'Ue a rafforzare con tutti i mezzi possibili politici, diplomatici e finanziari il proprio sostegno pubblico a favore dei difensori dei diritti umani; invita, infine, l'UE a mantenere le sanzioni nei confronti degli autori delle violenze e delle violazioni dei diritti umani perpetrate nella Repubblica Democratica del Congo.
  Segnalo che la risoluzione del Parlamento europeo è stata approvata con il voto favorevole di tutti gli eurodeputati italiani che hanno partecipato al voto, appartenenti a forze politiche di maggioranza e di opposizione, a conferma che la tutela dei diritti umani in ogni parte del mondo costituisce un tratto fondamentale e condiviso della politica estera del nostro Paese.
  Segnalo, infine, che è stato distribuito a tutta la Commissione un appello della comunità congolese in Italia e di Nigrizia, trasmesso dai nostri ospiti questa mattina – voi lo avete –, recante riferimento al Rapporto Mapping, pubblicato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani il primo ottobre 2010, e ad alcune istanze rivolte al Parlamento italiano. Sono inoltre reperibili sulla piattaforma Geocom sia la risoluzione del Consiglio di Sicurezza sia quella approvata di recente dal Parlamento europeo.
  Fatte queste doverose considerazioni, do ora la parola ai nostri interlocutori, affinché svolgano il loro intervento e quindi do la parola al signor Mpaliza Balagizi, che ringrazio ancora una volta di essere qui.

  JOHN MPALIZA BALAGIZI, Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo». Grazie, presidente e grazie a tutti gli onorevoli che sono qui e anche a chi ascolta via web. Siamo noi a ringraziare questa Commissione, la III Commissione Affari esteri, che ha accettato la nostra richiesta di poter ascoltare la voce della Repubblica Democratica del Congo. Prima di contestualizzare questa nostra richiesta e questa nostra presenza vado a presentare le persone che sono oggi qui con me. Comincio da me che sono John Mpaliza, attivista per i diritti umani, in Italia da ventisette anni. Ho vissuto tanti anni a Reggio Emilia e ho studiato a Parma, quindi ormai sono parte di questo Paese da moltissimo tempo. Da circa dieci anni mi dedico a camminare e sono venuto più volte, camminando a piedi, in questo palazzo, ma anche al Senato e fino a Bruxelles, Strasburgo e in Finlandia, proprio per raccontare quello che succede in Congo.
  Alla mia destra c'è la signora Brigitte Kabu, io la chiamo «maman» per rispetto, perché è così che si dice in Congo. Lei è dottoressa in filosofia presso l'Università Gregoriana e poi c'è Nasibu Barthelemie, che è dottorando presso la stessa Gregoriana. In fondo c'è Filippo Ganapini, che è missionario comboniano nonché direttore di Nigrizia.
  Volevamo essere qui anche il 30 giugno, quando ricorrevano i sessant'anni dall'indipendenza. Poi abbiamo detto che non eravamo proprio liberi, perché quello che sta succedendo in Congo e che è successo negli ultimi sessant'anni ci dimostra che non siamo stati mai liberi. Siamo stati alla Commissione diritti umani del Senato e siamo stati molto felici di avere una conferma di questo incontro in una data molto particolare, perché domani è il primo ottobre 2020 e sono passati dieci anni esatti dalla pubblicazione di questo rapporto importante, il Rapporto Mapping delle Nazioni Unite. Questo rapporto fu fatto durante le guerre, perché ci sono state tante guerre in Congo: ci sono state la prima guerra e la seconda guerra, dal 1996 al 2003. Questo rapporto fu pensato nel 2005, l'ONU quindi mandò gli esperti a indagare sui crimini che erano stati commessi, perché si cominciavano a riscontrare delle fosse comuni.
  Il rapporto venne pubblicato il primo ottobre 2010, denunciando la morte di circa sei milioni di persone. Ripeto, sei milioni di persone morte dal 1993 al 2003, cioè il rapporto ha indagato su dieci anni. Vorrei ricordare che la guerra non si è mai fermata: i conflitti sono andati avanti, i massacri sono andati avanti e addirittura questo Pag. 5 rapporto individua nomi e cognomi di multinazionali, persone, gruppi ribelli, milizie e anche Forze armate regolari di Ruanda, Uganda e Burundi che hanno commesso crimini, soprattutto all'est di questo Paese. Ci sono ovviamente anche responsabilità locali, ma soprattutto individuano più di seicento massacri classificabili come crimini di guerra, crimini contro l'umanità e alcuni come crimini di genocidio. Dal 2010 siamo arrivati al 2020 e in dieci anni non è successo proprio niente, quindi ci stiamo chiedendo il perché di questo silenzio. Forse sarà per le risorse minerarie, come coltan o cobalto, che ci sono in Congo? Da lì si prendono questi minerali che servono per la tecnologia e per le macchine elettriche, quindi per la rivoluzione ambientale e verde. Dieci anni dopo siamo ancora qui. Si è parlato del Premio Nobel per la pace a Denis Mukwege. Una delle raccomandazioni fatte da questo rapporto è stato chiedere la creazione di un tribunale penale internazionale come quello che è stato fatto per il genocidio in Ruanda oppure nell'ex Jugoslavia, quel tipo di tribunale.
  Domani saranno passati dieci anni e siamo veramente onorati di essere qui e di portare questo messaggio alla Commissione esteri nella speranza veramente che le istituzioni italiane – noi siamo qui, ma parliamo a tutte le istituzioni italiane ed europee – ci aiutino proprio in quella direzione indicata da quella risoluzione del Parlamento europeo del 17 settembre scorso. Chiediamo all'ONU l'istituzione di questo tribunale per giudicare, perché serve verità per arrivare alla giustizia e con la giustizia si arriverà alla pace. Quando ci sarà la pace, lo sviluppo economico e sociale arriverà quasi automaticamente. Non pensiamo che sia una cosa facile, è difficile convincere il Consiglio di Sicurezza, sappiamo come funziona. Però siamo convinti che l'Italia, che ha dimostrato nel tempo di essere un Paese importante a livello internazionale, ci possa veramente aiutare in questa direzione.
  Io concludo e passo la parola alla signora Brigitte, che ci deve fare una brevissima testimonianza sulla situazione della donna. Il dottor Mukwege ha ricevuto il Premio Nobel proprio per quello che fa, lui ripara le donne. È una cosa difficile da dire, ma le donne subiscono violenza come arma di guerra. Subito dopo, Barthelemie ci darà una testimonianza breve su come i giovani vivono oggi in Congo ventisette anni di guerra e impunità e chiuderà velocemente il direttore di Nigrizia e poi daremo la parola alla Commissione.

  BRIGITTE KABU DIA KIVUILA, Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo». Grazie, presidente. Grazie a tutti di averci accolti in questa sala. Non vengo qua per lamentarmi o per portare i lamenti delle donne congolesi che stanno soffrendo. Vengo qua a denunciare, perché i lamenti si fermano forse in un cerchio limitato. Adesso ci siamo lamentati tanto e non ci lamentiamo più, perché la sofferenza la viviamo nella carne.
  È per quello che ancora una volta io vengo a nome di quelle donne che stanno soffrendo a denunciare quello che stiamo subendo, che cosa subiscono le donne congolesi o africane, se posso dire, perché non parlo soltanto del Congo. Violenze, violenze sessuali, stupri, vivono della prostituzione. Perché? Perché quando arrivano i gruppi armati – quegli assassini, come li chiamo io – e le cacciano via dalle loro case, dal loro ambiente naturale, quelle donne sono spostate dalle case e vanno in giro nei campi per poter fuggire alle minacce di quegli assassini. Io vi faccio immaginare il cammino di quelle donne. Quando una donne esce, nel precipitarsi fuori non è che si porta una valigia o non so che cosa da mangiare. Esce con poche cose. Quando va via, strada facendo, quel poco che ha portato finisce e sarà nel bisogno e deve sopravvivere, ma non è che va da un cugino o da uno zio o una zia. È lasciata nella natura, come si dice in francese «à la mercy de la nature». Una che non ha niente, e il marito sicuramente è stato ammazzato, perché difendeva la famiglia. Lei va via con uno o due bambini che ha potuto prendere di corsa. Quella donna si ritrova in un campo di rifugiati. Non ha niente. Che cosa fa? È vulnerabile. È esposta a tutti i tipi di Pag. 6tratta, a tutti i tipi di violenze. A volte accetta qualcosa, perché non può difendersi da sola. Se non hai da mangiare, qualcuno viene e chiede: «Tu fai questo, e io ti do un panino». I bambini stanno piangendo, hanno fame, sono tutti dimagriti. Le foto le vediamo, quando si parla dell'Africa, si mostrano soltanto quei bambini senza carne. Sono in quella situazione.
  Quelle donne oggi hanno preso la parola, si sono costituite. Malgrado la vergogna che vivono, sono uscite. Adesso dicono: «Noi, donne congolesi vittime delle violenze». Allora davanti a una parola come quella, io mi sono sentita di alzarmi. Mi alzo per parlare a nome di quelle donne. Le foto ce le abbiamo. Non le mostrano, le immagini delle donne che sono stuprate o violentate con un bastone nel corpo. No, il bastone è poco, anche il peperoncino, e anche quello non è abbastanza. Quelle donne subiscono tutte le modalità della violenza. Una donna come si può difendere davanti a uno che ha l'arma? Come farà? È impotente. Li dobbiamo accusare? No.
  È per quello che io sono qua, per denunciare quella situazione che non deve continuare. Diciamo no, perché non deve continuare. Accusano noi africani di essere ignoranti dei nostri diritti. Io ho detto: «Adesso io ho scoperto i miei diritti» – anche se li ho scoperti da molto – però dico: «Li abbiamo scoperti». Non siamo più ignoranti. Prendiamo il coraggio. Davanti a tutte le minacce sappiamo che saremo perseguitati, però prendiamo il rischio, ci mettiamo la faccia, come diceva John ieri, diciamo no. Vogliamo la risoluzione, la messa in pratica di quel Rapporto Mapping e che i criminali siano arrestati, giudicati e condannati, ognuno per la sua parte.
  Il Congo è ricco e possiamo negoziare per condividere quelle ricchezze. Non è che dobbiamo essere ammazzati perché il Congo è ricco. Quelli che lo fanno li conosciamo tutti. Tutto l'universo lo sa. Perché dobbiamo essere lasciati così? Dunque le donne del Congo dicono no. Aspettiamo la risoluzione di quel Rapporto Mapping. Vi ringrazio.

  BARTHELEMIE HEMEDI NASIBU, Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo». Grazie mille. Io voglio continuare nella strada di maman Brigitte, però qua volevo far notare una cosa per i vari giovani. Io ho trent'anni. Quando è successo il genocidio in Ruanda, avevo tre anni. Ho visto i rifugiati ruandesi, perché sono della parte dove ci sono stati tanti di questi massacri. Abbiamo accolto a casa mia due dei ruandesi che scappavano. Ero piccolo. Non potevo sapere tanto. Se prendiamo tanti di quelli che avevano la mia età, avevano tre anni, quattro, cinque. Adesso ne hanno trenta, trentadue. Che cosa è successo? Il modo con il quale la gente è stata uccisa in Ruanda durante il genocidio è stato così violento che nella mente di questi bambini che sono rimasti vivi – a volte da soli, perché hanno perso i parenti, familiari e tutti gli altri – questi sono scappati dal Ruanda e sono arrivati in Congo. È dal 1994 che parte questo caos che stiamo oggi denunciando.
  Io non voglio soffermarmi di più sulla questione del genocidio in Ruanda, però è solo per capire da dove è partita questa catena della sofferenza che ha investito praticamente nel Congo la violenza, la guerra, i conflitti come il modus operandi per potere creare il caos. Vi do un'immagine molto semplice. Vi racconto delle cose che nella mia infanzia ho conosciuto non nella mia famiglia direttamente, però siamo nella stessa zona e sentiamo e vediamo di tutto. Immaginate che siete a casa la sera, papà con la mamma e tre figli. La più piccola aveva tre anni e poi, guardando la tv, arriva un gruppo di persone armate e hanno dei machete, dunque tutti strumenti che usano per creare il caos. La prima cosa che chiedono al bambino, tra questi tre, che ha dodici o tredici anni, è di togliere i vestiti a sua madre. A questa immagine potete immaginare ciò che segue. Dopo questo chiedono al papà di prendere sua figlia di tre anni, chiedendo di fare violenza, e appena c'è una piccola resistenza non è che ti uccidono subito, ti fanno prima capire che devi soffrire, ti tagliano un orecchio o ti tagliano non so che cosa. Pag. 7Alla fine di tutto il papà deve resistere e cercando di resistere, gli tagliano la mano e la bimba di tre anni deve vedere questo; il figlio che ha nove anni deve vedere questo; l'altro che aveva dodici o tredici anni, che non poteva fare niente, deve vedere tutte queste cose. Pochi minuti e uccidono il papà, tagliano l'orecchio della mamma e la bimba deve rimanere, lasciano quelli di tre o sei anni, prendono quelli di dodici anni e li portano nella foresta. In questa situazione se uno ha conosciuto queste realtà nel 1994, nel 1996 o nel 1997, oggi ha venti, ventidue anni, e la cosa non finisce lì. Abbiamo saputo che i kadogo, che da noi significa i bambini minori, quindi gente che aveva undici, dodici non so quanti anni e tutti quelli lì, sono stati scelti per un motivo preciso: li scelgono perché hanno già perso i familiari, dunque non hanno più paura di niente. Qual è l'ideologia dietro di questo? Devono dire a questi bambini: «Tu sai chi ha ucciso tuo padre? Sai chi ha ucciso tua madre? Sai chi ha fatto questo? Oggi sei rimasto da solo. Se non vuoi difenderti, anche tu morirai». Seguendo questa ideologia, prendono l'arma e la danno a questi bambini. Ogni operazione che devono fare sono drogati e ovunque arrivano non c'è pietà, però la questione è che tolgono l'educazione, tolgono la formazione, tutto l'ambiente familiare gli è stato già tolto. Anche alla mia età se mi facessero la stessa cosa, non so come posso resistere e che cosa posso dare ancora di meglio al mondo.
  Con questa immagine vi voglio far capire tutti questi gruppi armati che sentite in Africa e precisamente in Congo, che sono sfruttati per la mancanza di formazione, educazione e lavoro per i giovani: ogni volta che c'è la guerra, prendono questi giovani di quella età e li portano nella foresta. Dunque questa immagine è di questi che entrano nella foresta, sapendo che hanno già perso tutto quello che avevano di caro e cercano di vendicarsi, però non si vendicano contro il vero nemico, si vendicano contro l'altro popolo. Dietro tutto questo c'è chi sfrutta e fa tutto per continuare a portare avanti. Io volevo parlare oggi a nome di tutti questi giovani che fino ad adesso lottano in quelle zone, nella Repubblica Democratica del Congo: tanti manifestano quasi ogni giorno davanti al silenzio a volte del Governo, davanti a tutta l'ingiustizia e continuano a lottare, e tanti sono morti. John ha parlato di sei milioni: oggi siamo nel 2020, i rapporti più recenti parlano di più di dieci milioni di morti, cioè dal 2010 – quando il rapporto è stato pubblicato – fino ad oggi, il 2020, quasi quattro milioni si sono aggiunti. Se avete la possibilità, vi mostro delle foto che mi sono arrivate più recentemente dalla mia provincia, delle persone uccise, tagliate a pezzi con un modo che è quasi lo stesso modo che hanno usato per il genocidio nel Ruanda.
  Per queste situazioni noi vogliamo dire basta. Se possiamo fare qualcosa anche qua in Italia, facciamola. Questa è la nostra richiesta. La sofferenza dei giovani che vogliono davvero sognare e quella di tanti che vengono qua, che vengono dal Congo o da un'altra parte dell'Africa, nasce da queste situazioni e tutto ciò che cercano è di salvarsi la vita. Vi ringrazio.

  FILIPPO IVARDI GANAPINI, Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo». Buongiorno presidente e grazie per questa opportunità e per questa occasione. Nigrizia, la rivista dell'Africa e del mondo nero, accompagna e sostiene la lotta del popolo congolese e di tanti altri per la dignità e per la giustizia.
  In sintesi, dopo tutto quello che avete ascoltato – e vi ringraziamo di nuovo per questa opportunità preziosa – che cosa chiediamo? La prima richiesta, quella firmata il 30 giugno in questo memorandum proprio indirizzato alla Camera dei Deputati della Repubblica italiana, è già stata accolta e vi ringraziamo, cioè di poterci accogliere e di potervi esprimere questo impegno per la Repubblica democratica del Congo, che è un impegno – attenzione – verso una situazione che è un paradigma. Perché il Congo? Perché è paradigmatico rispetto a tante situazioni che viviamo in Africa e questo è un anno particolare, perché sono i sessant'anni di indipendenza per la Repubblica Democratica del Congo, ma anche per altri sedici Paesi africani. Restano le altre due richieste che in sintesi Pag. 8brevissima vi chiediamo, cioè vi chiediamo di appoggiare e di sostenere presso il Parlamento europeo questa importante causa proprio per chiedere di far applicare le raccomandazioni del Rapporto Mapping.
  Il Rapporto Mapping non mappa solamente tutta questa serie di crimini, ma porta avanti anche una serie di proposte che sono rimaste inascoltate di fronte al silenzio delle autorità congolesi ma di fronte anche al silenzio internazionale, questo dobbiamo dirlo. Tra l'altro è un silenzio che sembra davvero assordante rispetto al suono dei nostri cellulari che vengono da quelle terre, con quei minerali e rispetto al grido – assordante, questo sì – di questo popolo, che abbiamo sentito espresso anche come grido delle donne da maman Brigitte e come un grido dei giovani da parte di Barthelemie. Quindi la seconda richiesta è questa, di sostenere questa causa presso il Parlamento europeo.
  La terza è quella di chiedere davvero alle Nazioni Unite di applicare il mandato della forza internazionale, la MONUSCO. È una forza tra le più costose al mondo. Sono 20 mila persone coinvolte, 20 mila caschi blu. È una forza, tra l'altro, anche molto discussa e discutibile, perché abbiamo delle prove di un coinvolgimento molto forte anche in situazioni non certo limpide e pulite per quanto riguarda il traffico dei minerali. Chiediamo davvero che si mantenga la pace e chiediamo che questa missione un giorno abbia però un termine, perché queste missioni devono avere un inizio, ma devono avere anche un termine, perché hanno un mandato e degli obiettivi specifici proprio per realizzare condizioni di pace e di sostenere la richiesta del dottor Mukwege, Premio Nobel per la pace, di questo tribunale penale internazionale specifico per la Repubblica Democratica del Congo. Queste due richieste precise le indirizziamo a voi. Siamo sicuri che le ascolterete.
  Concludo con questo appello a unire le forze – un appello che ha lanciato ieri anche in conferenza stampa l'onorevole Quartapelle Procopio, che è qui presente – di unire le forze e le Istituzioni, la società civile e anche il mondo missionario, perché questo grido venga ascoltato e perché davvero la pace e la giustizia possano finalmente regnare e risplendere su questo Paese benedetto da Dio. Grazie.

  PRESIDENTE. Vi Ringraziamo. Adesso do la parola ai membri della Commissione. Onorevole Boldrini.

  LAURA BOLDRINI. Grazie, signor presidente, per aver voluto favorire questo incontro. Ringrazio sentitamente, non in modo formale, tutti i componenti della delegazione. Ci avete dato un quadro realistico e a tratti crudele, feroce ma necessario. Quindi vi ringrazio per come siete riusciti a rappresentarci una realtà, che purtroppo è oscurata da troppi anni. Conosco John Mpaliza: già in passato ho potuto apprezzare, da Presidente della Camera, le sue iniziative di persona che non si risparmia a ogni livello, non solo portando avanti in modo intelligente e acuto il suo impegno per il Paese ma anche in modo militante, cioè andando a piedi e cercando di arrivare nei palazzi del potere per accendere i riflettori su un Paese troppo trascurato.
  Quanto da voi detto è una denuncia fortissima nei confronti della comunità internazionale che non ha saputo, non ha potuto o non ha voluto – non saprei quale verbo usare – fare chiarezza su quello che accade in questo grande e ricco Paese africano. Io mi sono trovata a lavorare nella regione e abbiamo visto i lavori del tribunale di Arusha per quanto riguarda il Ruanda. All'epoca la comunità internazionale decise, doverosamente, di fare un tribunale ad hoc per i crimini nel Ruanda. Non si poteva non farlo, essendo state sterminate in tre mesi 800/900 mila persone. Tutto era stato già prestabilito. Sappiamo bene dove si trovavano i machete, nei palazzi istituzionali. Dunque non si poteva non andare in fondo a quanto accaduto, ma certo tutto questo aveva dei collegamenti nella regione. È giusto quello che è stato detto, Mpaliza ha fatto nomi. Ci sono Paesi come il Burundi e il Ruanda che sono tutt'oggi attivi nel territorio di un altro Paese, la Repubblica Democratica del Pag. 9Congo e questo con metodi spietati che causano quello che è stato descritto con molta semplicità da Barthelemie – se posso permettermi la chiamo per nome – nella descrizione della situazione tipica, di come queste milizie entrano in un'abitazione e della loro strategia di terrore che deve perdurare, di come i bambini devono continuare a vivere non perché sono buoni, ma perché devono alimentare l'odio e riproporre l'odio nelle future generazioni.
  Allora io, signor presidente, penso che noi dobbiamo dare un riscontro concreto a queste richieste. Dunque immagino di poter incontrare anche il sostegno dei colleghi e delle colleghe di altri gruppi. Credo che noi dovremmo fare una risoluzione, presidente, o una mozione – questo lo deciderà Lei, presidente – in cui noi chiediamo al nostro Governo di dare seguito a queste sacrosante e più che legittime richieste che oggi abbiamo ascoltato, in modo che il Governo incida, che il Governo possa rivolgersi alle Nazioni Unite per far sì che il mandato della MONUSCO – che oggi non è privo di ombre, come è stato già detto – possa essere esercitato in modo più rigoroso e anche di chiedere che il Ruanda, l'Uganda e gli altri Paesi coinvolti ritirino i loro eserciti e diano la possibilità a questo Paese di vivere la propria sovranità territoriale.
  Questo Paese vive anche a livello politico una fase di ottimismo con un nuovo assetto, un nuovo Presidente. Quindi abbiamo forse motivo di sperare in un cambiamento. Credo anche che noi dovremmo in quella risoluzione/mozione chiedere al Governo di adoperarsi affinché l'Unione europea, che ha appena approvato comunque la risoluzione – quindi anche il secondo punto forse l'abbiamo portato a casa – possa adoperarsi nelle sedi preposte, affinché venga istituito il tribunale ad hoc per i crimini nella Repubblica Democratica del Congo.
  Io penso di incontrare il sostegno di questa Commissione nel dire che in questo senso dobbiamo dare seguito a questa audizione di oggi. Grazie, signor Presidente.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Io ringrazio molto il comitato per la sua presenza qui in Commissione oggi. Ringrazio molto anche i media, Nigrizia e non solo, la DIRE, che per tanti anni hanno tenuto una luce accesa su quello che succedeva in Congo e anche su che cosa si poteva fare. Alcuni dei risultati che ci sono stati – penso in particolare al regolamento approvato a livello europeo sulla tracciabilità dei minerali dei conflitti – sono frutto delle campagne degli attivisti e frutto di chi in Italia le ha tenute vive, quindi tutto l'universo missionario, e in particolare Nigrizia. Credo che questo vada ascritto all'attività della rivista.
  Mi unisco ai ringraziamenti a ciascuna delle persone intervenute che aveva già espresso la collega Boldrini e anche alla sua proposta di risoluzione, di atto d'impegno parlamentare. Io credo che a dieci anni dalla pubblicazione del Rapporto Mapping sia importante, da un lato, prendere atto delle cose che quel rapporto ha comunque messo in movimento. Da un lato c'è tutto il lavoro sulla tracciabilità dei minerali dei conflitti e credo che a distanza di dieci anni sia anche il momento per farne un bilancio, nel senso che l'Italia e l'Europa ne hanno discusso, se non sbaglio, tre anni fa. Sarebbe anche opportuno capire, anche semplicemente con un atto di sindacato ispettivo, che cosa è stato fatto: siccome è un regolamento su base volontaria, quanti vi hanno aderito, che tipo di conseguenze ci sono state. C'è stata una grande discussione sul fatto che la volontarietà non doveva essere troppo onerosa per le imprese, ed è giusto che fosse così. A tre anni si può anche capire se è stato effettivamente oneroso per quelle aziende che hanno effettivamente aderito al regolamento e quindi se si può magari estendere o incentivare. Quindi credo che un punto a dieci anni dal rapporto debba essere su questo e se ci può essere un atto di sindacato ispettivo nostro e anche un seguito, perché poi non basta raggiungere i risultati, ma bisogna anche vedere che tipo di conseguenze ci sono. Io credo, onestamente, dato anche il volume di interessi che ci sono dietro al Congo, che quel regolamento sia un risultato molto importante. Se anche solo il Rapporto MappingPag. 10ha portato a quello, è già moltissimo, non era per niente scontato. Pensate quanto tempo ci sia voluto per arrivare alla questione dei diamanti dei conflitti, che è per certi versi più semplice.
  Il secondo punto che vorrei discutere con voi riguarda il tema della giustizia. Il Rapporto Mapping ha 617 casi documentati di violazioni di diritti umani, di crimini contro l'umanità legati alla situazione della regione dei grandi laghi e di cose avvenute in Congo. Le conclusioni del Rapporto Mapping suggeriscono di adottare diversi meccanismi di giustizia: che sia una giurisdizione mista, che sia una nuova Commissione «verità e riconciliazione», che siano dei programmi di riparazione, che siano delle riforme più di carattere generale in Repubblica Democratica del Congo. Io vorrei capire con voi, a dieci anni dalla pubblicazione del rapporto, qual è secondo voi la cosa da raggiungere. Perché i programmi di giustizia riparativa sono una cosa, sono stati utilizzati in Ruanda, hanno pro e contro, la Commissione «verità e riconciliazione» è stata un esempio straordinario, ma dentro un processo politico che io onestamente non vedo in Repubblica Democratica del Congo, senza dare un giudizio del Presidente di oggi e della situazione politica di oggi. La Commissione «verità e riconciliazione» in Sudafrica partiva dal presupposto che ci fosse un posizionamento politico, cioè che le violenze fatte in Sudafrica derivavano da una precisa ideologia e quindi il processo politico alla base della Commissione «verità e riconciliazione» faceva verità e faceva riconciliazione. La vicenda della Repubblica Democratica del Congo – a mio giudizio, vorrei sapere cosa ne pensate voi – è una vicenda più complessa, cioè non c'è solo una causa. Non c'è un'ideologia. Ci sono state tante cose. Ci sono stati interessi economici, ci sono stati interessi di altri Stati in Congo, ci sono state sovrapposizioni anche tribali e quindi io non credo che quella sia la strada, però vorrei sapere cosa ne pensate voi e vorrei capire invece la terza strada: è quella di un tribunale ad hoc o di una giurisdizione mista? Qual è secondo voi la strada migliore verso la quale possiamo spingere con un atto di indirizzo?

  SIMONA SURIANO. Grazie ai presenti. Ci tenevo particolarmente a questa audizione, perché quest'estate, poco prima dei trent'anni dell'indipendenza della Repubblica Democratica del Congo, sono stata contattata proprio dalla diocesi di Noto, dove c'è un'importante comunità in Congo e sono allarmati delle violenze e da quanto sta accadendo in Congo. Frutto di quell'incontro è una mia interrogazione che domani verrà calendarizzata e discussa. Frutto di quell'incontro è che abbiamo anche contattato il Ministro degli Esteri, che ha mandato una lettera alla diocesi, mostrando vicinanza e attenzione verso ciò che sta accadendo in Congo. Io mi sono poi personalmente interessata a capire quanto stesse accadendo. Ho contattato anche l'Ambasciatore italiano in loco. Grazie a lui, da una sua iniziativa, abbiamo introdotto nella relazione alla cooperazione allo sviluppo anche un focus proprio sul Congo. Infatti, una mia curiosità è sapere quanta cooperazione allo sviluppo italiana c'è in Congo, se ce n'è, cosa sta facendo. Il motivo per cui abbiamo voluto fare un focus sul Congo è perché pare che non ci sia ancora troppa cooperazione allo sviluppo italiana.
  Un'altra cosa che volevo sapere è cosa fanno le istituzioni locali per frenare questa escalation di violenza. Sono consapevoli? Cosa fanno? Stanno organizzando una forma di esercito o di struttura per arrestare queste forme di violenza? Perché alla diocesi di Noto mi hanno raccontato che nei villaggi ci sono all'improvviso escalation di violenza senza che a questo segua una punizione o una repressione di chi esercita violenza.
  Infine, volevo capire anche da voi qual è il ruolo delle Nazioni Unite e dei caschi blu in loco. Cosa stanno facendo, qual è il loro apporto, che valore ha e alla luce di questo costruire una risoluzione che ci permetta di focalizzare quali possono essere le soluzioni migliori. Raccolgo l'invito della collega Boldrini, che mi vede ovviamente sensibile a una risoluzione/mozione da parte di questa Commissione. Grazie.

Pag. 11

  PAOLO FORMENTINI. Ho controllato: anche noi della Lega, al Parlamento europeo, abbiamo votato a favore del provvedimento adottato a maggioranza, la risoluzione, e quindi c'è il nulla osta anche da parte nostra – anzi, ben volentieri – a lavorare su un testo qui da noi. La situazione del Congo è una situazione drammatica, di arretratezza, a fronte di risorse naturali e minerarie ingenti, enormi, con un PIL tra i più bassi al mondo. Bisogna altresì ricordare che anche in quest'area bisogna denunciare, perché laddove ci sono violazioni di diritti umani servirebbe democrazia e invece segnaliamo il pericolo cinese anche in quest'area, anche per l'approvvigionamento di terre rare e per la costruzione di infrastrutture.

  PRESIDENTE. Altri? Allora, prego, lascio la parola ai nostri ospiti per la replica.

  JOHN MPALIZA BALAGIZI, Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo». Sono davvero emozionato, più di quando è iniziata questa audizione, perché sentire questi spunti e queste domande non capita spesso. A volte noi arriviamo, parliamo e poi ci dicono: «Vi facciamo sapere e ragioniamo». Questo è molto importante. Provo velocemente a rispondere e magari il direttore di Nigrizia ci parlerà della cooperazione, che c'è presenza di molti missionari, però intendiamo la cooperazione internazionale che a mio avviso è da ripensare a livello generale, come sappiamo, come funziona. Oggi l'Africa è così, con tante organizzazioni, con tanti soldi che vanno o non vanno, allora vuol dire che c'è qualcosa che non quadra. Lì magari non sono cose da rivedere. Su queste cose magari lascerò la parola al direttore Filippo Ganapini.
  Un tribunale internazionale penale ad hoc: è quello che abbiamo indicato anche ieri alla conferenza stampa, così come lo sta chiedendo il dottor Mukwege, ma non solo lui, insieme alla società civile. Come diceva Barthelemie, i giovani, tanti, si fanno massacrare per la verità, per parlare e per la giustizia. Quindi non è che lì la gente non stia lavorando e non stia facendo qualcosa. Ci sono i gruppi di giovani che lavorano tanto da molto tempo, oggi in prigione, domani fuori e così via. Quindi, come ha spiegato bene l'onorevole Quartapelle Procopio, la giustizia, quella con le due camere, quindi nazionale e internazionale, in Congo probabilmente noi pensiamo che non può funzionare così come è avvenuto in Sudafrica, perché immaginate che nelle Forze armate congolesi ci sono dei generali che sono in realtà provenienti dal Ruanda; perché quando il Ruanda occupa il Congo, dal 1996 e per cinque anni, massacrando e uccidendo il Presidente che era arrivato, perché Mobutu era scappato, i militari ruandesi che avevano accompagnato quello che si pensava fosse il Mosè per liberare il Paese da Mobutu sono diventati congolesi, sono diventati capi delle Forze armate congolesi. Cito solo il nome di James Kabarebe, che era il colonnello che guidava le Forze armate ruandesi fino in Congo con l'idea di andare a trovare quegli hutu che erano scappati in Congo, che avevano commesso il genocidio. È tutto da rivedere, nel senso che è successo in Ruanda quello che è successo, però si sta riscrivendo la storia su come le cose sono successe. Quel signore in Congo diventa congolese, diventa generale, Capo di Stato Maggiore, poi, quando finalmente uccidono nel 2001, se non vado errato, Laurent-Désiré Kabila e ci mettono Joseph Kabila, che chiamavano «figlio», lui ritorna in Ruanda, riprende la cittadinanza ruandese, diventa Ministro della Difesa. Oggi è la persona più potente dopo Paul Kagame, però ce ne sono rimasti tanti in Congo che occupano questi posti. Conosciamo pure i nomi. Immaginate di volere che la parte congolese del tribunale chiami uno di questi generali. È impossibile. Oppure immaginate di andare a prendere qualcuno in Ruanda come Laurent Nkunda, arrestato nel 2009, un macellaio, che vive tranquillamente in Ruanda. È impossibile. Oppure immaginate di convocare Paul Kagame, che ha delle responsabilità. È impossibile.
  Quindi capite che l'unica possibilità è il tribunale penale internazionale ad hoc che è sotto il controllo, la protezione e il budgetPag. 12del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Loro possono prendere un elicottero e andare a prendere. Loro possono decidere di stanziare dei soldi. Quindi su questo non ci sono veramente dubbi.
  Cosa fanno le istituzioni locali? Io direi quasi nulla, dalle immagini che ci arrivano. Poco fa anche io ho ricevuto un altro messaggio, mentre entravo proprio in questo palazzo, dove ci spiegano all'est in questo momento che cosa sta succedendo. C'è un dittatore, c'è uno che imbroglia. C'è uno che è stato deciso da altri, perché lui non ha vinto le elezioni e invece sta lavorando con l'ex Presidente che è anche responsabile di molte situazioni e massacri. Quindi questo qui – che era praticamente innocente, perché ha vissuto con noi nella diaspora – adesso purtroppo è Presidente – perché tutti l'hanno riconosciuto e questo è il problema della comunità internazionale – aveva promesso di spostare il quartiere generale delle forze armate a est: non è mai successo. Penso stia tentando di fare qualcosa, però non si sta impegnando a mio avviso come si deve, perché c'è la paura, perché è seduto su qualcosa di molto pericoloso. È come essere seduto su una sedia che può scoppiare. Quindi lui era innocente ma con il silenzio, non vedo quasi mai una sua parola quando ci sono questi massacri. Quindi io ho paura che anche qui ci sia stato il problema della legittimità, ma che ci sia anche il problema su come si aiuta questo Paese. Adesso bisogna aiutare, se è quello che c'è, bisogna aiutare, perché fra un po' – nel 2023 – ci saranno le prossime elezioni. Bisogna vedere che cosa succederà.
  Per chiudere, sui caschi blu: nelle tante marce che abbiamo fatto una delle cose che chiedevamo era la fine di questa missione, perché ogni volta che sta per scadere il mandato, succedono dei massacri. C'è sempre qualcosa che succede. Potete andare a verificare. A tutte le scadenze ci sono dei massacri. Io non vorrei dire che siano loro a fare questa cosa, però noi abbiamo testimonianze che gruppi ribelli che sono all'est, di stampo ruandese, vengono portati anche in elicotteri proprio della MONUSCO. Io mi assumo la responsabilità di quello che dico, perché quello che sta succedendo è perché per esempio hanno portato i militari, i ribelli del Sud Sudan nell'Ituri, quando c'erano qualche anno fa dei massacri nel Sud Sudan. Sì, avevano bisogno di cure, è vero, però queste persone sono state spostate in Congo con mezzi dell'ONU e lì sono rimaste. Quindi il problema è che in Congo ci sono molti gruppi ribelli, molte popolazioni che provengono dagli altri Paesi, che si stanno praticamente prendendo i territori. Questi massacri che spiegava maman Brigitte prima hanno l'obiettivo di svuotare terreni, svuotare territori interi. Si stanno creando delle chefferie, delle comunità territoriali riconosciute dallo Stato, a carattere ruandese.
  Voglio precisare che noi e il Ruanda siamo un popolo, perché se andate alla frontiera, da una parte Goma, dall'altra parte avete una città ruandese di cui non mi viene il nome, e la gente passa. Le mamme vanno a comprare le cose lì. Gli studenti addirittura provenivano dal Ruanda a studiare in Congo. Quindi non abbiamo problemi di questo tipo. Il problema è il regime che c'è, la situazione che c'è, i militari ruandesi presenti in Congo, i gruppi ribelli come il movimento M-23 e tanti altri sostenuti proprio dal Ruanda e riconosciuti dalla comunità internazionale. Quindi i caschi blu che cosa fanno? Ci sono donne che vengono massacrate. Qua abbiamo video, che poi possiamo anche riprodurre, di France 24 che va a chiedere: «Come mai ci sono stati nella notte massacri a ottocento metri, a meno di un chilometro dall'insediamento ONU?»; quindi vuol dire che si sentiva e dalla torretta si vedeva, ma non si interviene. Come diceva Filippo, il direttore di Nigrizia, noi abbiamo l'impressione che siano parte del problema.
  Con questo penso di aver risposto a tutte le domande e passo la parola a Filippo per la questione della cooperazione.

  FILIPPO IVARDI GANAPINI, Rappresentante del gruppo di lavoro «Giustizia e Pace per la Repubblica Democratica del Congo». Grazie, John. Se posso aggiungere, siamo completamente in sintonia e in linea. Mi preme puntualizzare due cose. La prima, visto che lo chiedeva l'onorevole Quartapelle Pag. 13 Procopio, sui diversi meccanismi di giustizia. Qual è il più adatto per la Repubblica Democratica del Congo? Il Rapporto Mapping lo cita anche. Nessun tipo di meccanismo di giustizia può essere adatto per la Repubblica Democratica del Congo, se non si parte prima da un ristrutturare davvero il sistema giudiziario, perché oggi anche la corruzione è diventata sistemica all'interno di questo Paese, anche ai livelli più bassi nelle relazioni. Quindi, una riforma del sistema giudiziario è davvero fondamentale. È quello che chiede con forza la società civile in Congo e quello che chiede un interlocutore che io davvero direi: «Teniamoli in ascolto»: perché se vogliamo aiutare questo Paese, se vogliamo camminare a fianco, dobbiamo assolutamente sostenere – è chiaro, io lo dico perché sono di parte – l'impegno della Chiesa cattolica in Congo, perché è un interlocutore anche molto ascoltato e molto sentito. I vescovi da anni si battono su questo. I vescovi hanno sostenuto i movimenti popolari che nel 2017 la domenica, dopo la messa, andavano in modo pacifico per poter esprimere il loro non starci a questo sistema corrotto e ingiusto e tanti sono stati anche uccisi in modo criminale, perché erano manifestazioni non violente. Direi che anche una riforma del sistema giudiziario in questo Paese non è possibile senza l'aiuto, il sostegno e l'appoggio alla Chiesa cattolica.
  Vi faccio solo un esempio. Alle ultime elezioni del 2018, che sono state, a detta di tanti a livello internazionale, elezioni rubate – perché sono state elezioni rubate –, la Chiesa e la Conferenza Episcopale congolese hanno dispiegato su tutto il territorio nazionale 40 mila delegati per poter vigilare su queste elezioni. Se poi non sono intervenuti di fronte a questo ladrocinio, è perché hanno dovuto dire: «Il minor male». Ecco perché, anche quando si paventa una prospettiva di qualche speranza con questo nuovo Governo, noi abbiamo molte riserve. Quindi credo che il vero nodo sia davvero la riforma della giustizia.
  Per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo vorrei dire questo: sappiamo bene le difficoltà della nostra cooperazione, in termini anche di fondi sempre più bassi, sempre meno disponibili. Comunque la cooperazione esiste. Ci sono progetti che a volte sono anche preziosi da parte di ong italiane e internazionali, che però non riescono ad avere un impatto, dentro un sistema così ingiusto, così profondamente corrotto, non riescono ad avere un grosso impatto. Anche qui troviamo, sentiamo e denunciamo anche molte contraddizioni, però, della nostra politica internazionale, perché da un lato possiamo devolvere dei fondi per la cooperazione, ma dall'altro continuiamo a esportare armi in questo Paese. Questi dati noi li pubblichiamo su Nigrizia. Sono dati che vengono dalla Presidenza del Consiglio, perché secondo la legge n. 185 del 1990 devono essere pubblicati. Vendiamo ancora armi alla Repubblica Democratica del Congo in queste condizioni. Quindi non credo proprio che sia, per come è strutturata oggi la cooperazione allo sviluppo, una possibile soluzione, anche perché sappiamo che dopo la riforma recente che c'è stata non ha ancora trovato la strada per poter incidere sui cambiamenti della realtà di questi Paesi.

  PRESIDENTE. Bene, grazie. Credo che la conclusione sia stata di grandissimo interesse e vi ringraziamo di tutte le informazioni che ci avete dato, che sono informazioni drammatiche per le descrizioni che ci avete fatto e per i fatti gravissimi che avete richiamato.
  Credo che la cosa che la Commissione debba fare sia di tradurre questa nostra riflessione in una risoluzione, che sia un atto di indirizzo che sollecita il Governo ad assumere delle iniziative conseguenti e quindi l'impegno che assumiamo è questo e io chiedo ai gruppi di lavorare all'elaborazione di una risoluzione con cui dare esito al confronto che abbiamo avuto oggi.
  Dichiara conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.