XVIII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Martedì 11 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 3 
Pacilio Elio , presidente di ... 4 
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 7 
Boldrini Laura (LeU)  ... 7 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 8 
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 9 
Pacilio Elio , presidente di Green Cross Italia ... 9 
Di Stasio Iolanda , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
IOLANDA DI STASIO

  La seduta comincia alle 11.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, nonché la trasmissione sul canale della web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente di Green Cross Italia, dottor Elio Pacilio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione del presidente di Green Cross Italia, dottor Elio Pacilio, che saluto e ringrazio per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  Mi sono attivata personalmente al fine di coinvolgere l'ong Green Cross Italia in ragione del suo specifico impegno sul terreno dei nuovi diritti umani, quelli connessi alla realizzazione di un futuro equo, sostenibile e sicuro per tutti. Le aree di intervento di Green Cross riguardano infatti acqua e salute, energia e cambiamenti climatici, emergenze, interventi umanitari ed educazione, in un'ottica di sensibilizzazione allo sviluppo sostenibile.
  Ad oggi, Green Cross International, che ha uno status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite e l'UNESCO, è presente in oltre trenta Paesi e interviene direttamente con propri progetti sui più delicati temi ambientali e sociali, collabora con altre ong, imprese pubbliche e private, Paesi, regioni ed autorità locali, nonché con altre organizzazioni ed Agenzie delle Nazioni Unite.
  Segnalo che Green Cross International è anche ammessa come osservatore alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite del cambiamento del clima e coopera direttamente con la sezione delle emergenze ambientali dell'Ufficio delle Nazioni Unite per le questioni umanitarie e con il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani.
  A questo riguardo voglio ricordare che Green Cross Italia promuove ogni anno Immagini per la terra, un concorso di educazione ambientale realizzato in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il patrocinio delle più alte cariche dello Stato, di istituzioni e di enti di ricerca, allo scopo di portare nelle scuole i temi dell'ecologia e della sostenibilità. Si tratta di un'iniziativa rivolta agli studenti e agli insegnanti di tutti gli istituti di ogni ordine e grado, presenti sul territorio nazionale e all'estero.
  La cerimonia di premiazione dell'ultima edizione si è svolta il 30 ottobre scorso presso la Camera dei deputati. In quella circostanza il Presidente Fico ha sottolineato che «il tema ambientale è il tema centrale dei nostri tempi e che lo sviluppo che abbiamo davanti deve essere per forza uno sviluppo sostenibile per quanto riguarda sia i modelli di produzione, sia quelli di approvvigionamento energetico».
  L'audizione odierna ci fornirà dunque elementi di grande interesse per approfondire uno dei profili più originali e rilevanti della nostra indagine conoscitiva: l'evoluzione del diritto umanitario internazionale, con particolare riferimento alla tutela dell'ambiente Pag. 4 come presupposto essenziale per garantire il diritto alla salute, all'acqua e al cibo.
  Lascio quindi la parola al Presidente Pacilio affinché svolga il suo intervento.

  ELIO PACILIO, presidente di Green Cross Italia. Grazie, presidente e onorevoli deputati, per l'invito, che ci ha piacevolmente sorpreso, per la sensibilità che avete dimostrato riguardi a questi temi, nonché per la presentazione che ha svolto.
  Il nostro impegno è stato già descritto dalla presidente. Vorrei aggiungere soltanto che l'idea di questa organizzazione internazionale non governativa nasce da Michail Gorbaciov, che alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 aveva lanciato la sfida di preoccuparsi e occuparsi dei temi ambientali e dello sviluppo come nuova frontiera: appello che è stato raccolto e nell'aprile del 1993 a Kyoto l'organizzazione internazionale è stata costituita.
  Qui in Italia abbiamo avuto l'onore di essere diretti per tanti anni con grande rigore dalla presidente onoraria Rita Levi Montalcini che, dalla sua fondazione fino quasi agli ultimi giorni, con grande piglio ci teneva in riga sulle cose da fare. Ci diceva sempre: «lasciate perdere interviste e discussioni, cercate di lavorare veramente, state con le nuove generazioni, occupatevi di dialogare con il mondo politico, ma preoccupatevi anche delle questioni sociali concrete, di chi vive i problemi e di chi, consapevolmente o inconsapevolmente, lavora per risolverli».
  Il nostro taglio all'inizio è stato quello di non intervenire sull'emergenza, sull'esplosione dei temi – esistono agenzie internazionali e colleghi di ong molto specializzati su questo tema – ma di intervenire sulla prevenzione e sulle conseguenze dei conflitti. Sono state ricordate la questione dell'accesso all'energia, lo slabbramento del tessuto sociale che è derivato anche dallo smantellamento degli armamenti in base agli accordi internazionali. Soprattutto sulle armi chimiche la nostra organizzazione è stata molto vicina alle popolazioni sia dell'Europa dell'est, le ex Repubbliche socialiste sovietiche, ma anche a molte comunità negli Stati Uniti, dove si è provveduto alla neutralizzazione di sistemi d'arma. Popolazioni che spesso non ne erano a conoscenza e subivano gli effetti della presenza di armamenti e di prodotti.
  Ci occupiamo quindi sempre di prevenzione dei conflitti, ad esempio sull'accesso all'acqua i nostri interventi non sono mai quelli per portare l'acqua esattamente dove non c'è e dove c'è una crisi idrica significativa, perché ormai, quando si è in quella situazione, la distribuzione immediata spetta ad altri soggetti, e oltretutto i tessuti sociali sono compromessi.
  Il nostro contributo è sempre stato quello di intervenire anche portando l'acqua sicura, pulita e in quantità sufficiente, utilizzando le risorse del luogo, ma ricostruendo insieme alle popolazioni locali la capacità di resilienza, di ricomposizione del tessuto sociale, con un accesso alle risorse naturali che sia sostenibile.
  Dico una cosa sicuramente acquisita da tutti voi: nell'80-90 per cento dei casi, il coinvolgimento delle donne nella gestione dell'accesso alle risorse, della ricostruzione del tessuto sociale è garanzia unica di successo dei progetti. I nostri progetti, ma anche i progetti delle altre organizzazioni non governative e gli interventi più minuti o più importanti, se si basano sul coinvolgimento delle popolazioni locali e nello specifico della componente femminile, hanno un tasso di riuscita molto alto.
  La capacità di autosostenere gli interventi: dopo sei mesi, uno, due o tre anni, quando i nostri progetti sono terminati, bisogna lasciare gli impianti e la capacità di gestione alle popolazioni locali; quando si costituiscono i comitati di gestione, che nei villaggi possono decidere le tariffe per l'acqua, se si affida questo alle donne, abbiamo la certezza quasi assoluta che la contabilità è ben tenuta, che le risorse sono preservate per gli interventi di manutenzione e per essere reinvestite su altre iniziative di coesione sociale di quelle comunità.
  Dicevo questo per cominciare a mettere in fila alcuni punti del nostro ragionamento e per raccontarvi l'esperienza che stiamo facendo. Sempre dentro questo quadro di illustrazione delle iniziative che realizziamo e per cercare di riconnetterle Pag. 5con temi che, conoscendo il vostro impegno, vi sono noti, mi piace portarvi l'esempio di una serie di interventi che stiamo facendo da alcuni anni lungo la valle del fiume Senegal, in una delle regioni in cui attualmente ci sono quarantacinque gradi, la terra è particolarmente fertile ma non sfruttata, con la vicinanza di un grande fiume e un irraggiamento solare di fortissima dimensione.
  Le popolazioni locali, con il cambiamento climatico, l'accentuazione della crisi idrica, la mancanza delle tradizionali piogge e l'avanzamento del deserto sono spinte alla migrazione, da un lato verso la capitale, dall'altro verso le parti interne dello stesso continente africano e in minima parte verso l'Atlantico e la Spagna, o in modo più ancora più pericoloso verso il Sahara, verso la Libia, con le conseguenze che conoscete.
  Su questo, però, attenzione: queste sono terre che si stanno spopolando, che pongono un problema, prima che a noi, di equilibrio negli stessi Paesi di origine. La bomba sociale, che può essere un problema anche per noi, sarà il conflitto interno ai Paesi da cui partono queste migrazioni. Oggi con grande fatica i Governi locali affrontano il tema di uno stato sociale, finalizzato a prendersi cura dei più poveri del loro Paese, tenuto che la crescita economica – che esiste in tutti i Paesi africani e che sta determinando la costituzione di un ceto medio che ha capacità di spesa e di consumo e stili di vita simili ai nostri – sta producendo fratture e sofferenze sociali molto importanti, di cui subiremo le conseguenze se non aiutiamo e convinciamo questi Governi a prendersi cura del futuro delle loro popolazioni più in difficoltà.
  Questo potrebbe essere un tema che tocca il cuore delle vostre attività sui diritti umani basilari. Le previsioni dell'Organizzazione mondiale della sanità indicano che le patologie più classiche che conosciamo, quelle legate alle PM10, PM8, lì sono in fortissima crescita e lasciano immaginare che nel prossimo futuro quei Paesi avranno un problema sanitario considerevole anche in termini di malattie respiratorie e di patologie oggi assolutamente sconosciute.
  Continuiamo ad avere la conferma per chi come noi, ambientalisti della prima ora, continua a considerare il pianeta come un unico sistema interconnesso, senza frontiere, nel quale i problemi non si fermano a una sbarra, in cui il tema della migrazione, con tutto il carico di problemi, di crisi, di sofferenze, di abbandono della propria cultura e delle proprie relazioni, è una conseguenza.
  Prima di tornare sull'esperienza specifica del Senegal volevo dirvi, come suggerimento ai vostri lavori e in vista dell'obiettivo di concludere l'indagine conoscitiva entro la fine dell'anno, che la riconsiderazione del tema dei diritti umani dentro la cornice della giustizia ambientale, sociale ed economica, è fondamentale. Lo strumento che la comunità internazionale si è data, l'Agenda 2030, può essere l'elemento su cui cercare di riconvertire anche i temi che tradizionalmente sono stati dentro i diritti umani ma fuori dal tema economico, sociale ed ecologico.
  La grande sfida che le comunità internazionali si sono date è esattamente questa, quindi accolgo con grande piacere il taglio che avete dato a questi vostri lavori e la nostra convocazione, perché vedo una maturità che oltretutto non viene rappresentata – questo però è un altro tema che riguarda i media e la capacità sociale di cogliere questi cambiamenti. Per me questa vostra sensibilità è la testimonianza che nella società concreta, nei corpi sociali, la sensibilità su questi temi è grande e lascia spazio a quel pragmatico ottimismo, all'ottimismo della volontà, se vogliamo ritornare ad alcune radici.
  Per concludere l'informazione sulla nostra esperienza, che non è unica, non è assolutamente originale, ma è la conferma di quanto troviamo nelle interviste o avete trovato in testimonianze e racconti: la cooperazione italiana attraverso due differenti soggetti, da un lato l'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo dall'altro il Ministero dell'interno, ci ha dato le risorse per intervenire in quell'area e noi abbiamo individuato cinque villaggi lungo il fiume Senegal dove fenomeni di degrado sociale, di abbandono, di povertà estrema, Pag. 6di aumento dell'insicurezza alimentare ci sembravano paradossali di fronte a condizioni ambientali particolarmente favorevoli; perché vedevamo appezzamenti di terreno poco irrigati, poco coltivati, un po’ abbandonati, pur avendo a disposizione molto terreno particolarmente fertile e non particolarmente sfruttato, quindi con una grande potenzialità di poter produrre cibo per queste popolazioni, con l'acqua a poche decine di metri? Esattamente per il tema dell'accesso all'energia: in altre parole, queste popolazioni non possono gestire tre, quattro o cinque ettari di terreno con il secchio, sono obbligate a utilizzare il vecchio sistema di pompe a gasolio, quindi nella vecchia logica fossile di sistemi di irrigazione che puntano a prendere acqua attraverso il gasolio.
  Piccolo particolare: in quel Paese non c'è alcuna agevolazione come nel nostro Paese per il gasolio per l'agricoltura, quindi il primo scalino, cioè l'accesso alla produzione di energia capace di portare l'acqua sui terreni impediva la possibilità di sfruttare questi terreni.
  Abbiamo proposto al Governo italiano, nelle sue articolazioni, di fare degli interventi attraverso l'installazione di pannelli solari: l'utilizzazione di un sistema intelligente di irrigazione con minore utilizzo di risorsa idrica, perché, riuscendo a pompare l'acqua, spesso viene sprecata provocando l'affogamento delle piante, e questo produce ulteriore inefficienza e inefficacia del raccolto agricolo.
  A questo abbiamo quindi affiancato la parte di formazione sull'uso razionale delle risorse, quindi abbiamo utilizzato sistemi di irrigazione che potessero contenere anche l'impatto sull'utilizzo delle risorse naturali, perché se tutti i villaggi si mettono a pompare acqua dal fiume Senegal in un periodo di siccità particolarmente forte, il fiume può andare in difficoltà, e perché concettualmente pensiamo che il rapporto di equilibrio tra utilizzo delle risorse naturali, produzione di cibo e utilizzo dell'energia e delle emissioni sia la chiave per poter affrontare questi temi.
  Aver messo in pratica questo e aver aiutato queste comunità ad autosostenersi e a formarsi oggi ha prodotto quattro gruppi di interesse economico completamente femminili, strutture simili a cooperative, per cui oggi questi quattro villaggi sono in grado di produrre 120 tonnellate di prodotti agricoli, per il 25 per cento utilizzati nelle comunità locali per sfamare le famiglie, e per il 75 per cento venduti sul mercato locale.
  Questo ha permesso di aumentare di quattro volte il reddito delle famiglie e ha fatto sì – sono ancora casi sporadici, non montiamoci la testa – che alcune madri abbiano cominciato ad avvisare i figli emigrati nella Repubblica Democratica del Congo e in Nigeria – nel contesto di quella migrazione che vi ho detto essere in grandissima parte nello stesso continente africano – che è possibile tornare a casa.
  In fin dei conti, come discutemmo lo scorso anno presentando una ricerca del nostro consigliere e vostro ex collega, Valerio Calzolaio, il problema è il diritto di restare sul proprio terreno, nella propria comunità, lavorare per garantire che il diritto umano a vivere con i propri cari sulla propria terra, vivendo dei frutti del proprio lavoro, sia assicurato. Al di là dei temi specifici legati ai diritti umani tradizionali – il diritto alla democrazia e alla libertà di espressione – c'è anche il diritto umano di poter vivere e mangiare.
  Credo che questa possa essere una chiave per riposizionare e vedere, attraverso questa lente del diritto a restare nella propria terra, la possibilità di affrontare il tema dei diritti umani sulla nuova frontiera.
  Non si tratta di fermare il cambiamento climatico, che ormai è presente e non si può bloccare, ma di evitare di continuare a mettere legna nel fuoco, con tutte le misure di mitigazione che Governo e Parlamento stanno cercando di attuare, mirati alla trasformazione dei sistemi di produzione e di consumo e allo smaltimento dei prodotti successivi alla produzione e al consumo. Considero molto importante concentrarsi sull'adattamento al fatto che i cambiamenti climatici sono ormai cosa definitiva, dobbiamo evitare che peggiorino ma ormai siamo dentro il cambiamento climatico. Pag. 7
  Avrete visto che pochi giorni fa le temperature medie di Svezia, Norvegia e parte della Russia nell'area pre-artica, erano intorno ai 30 gradi: non sono cose di poco conto, leggere sui giornali qualche sciocco polemista nei confronti della giovane Greta o del fatto che fino a qualche giorno fa potevamo avere una temperatura più rigida e minare nel grande pubblico l'idea che siamo dentro un grande problema, è veramente da teppisti – scusate il termine – e supera il diritto di cronaca e di poter dire ciò che si vuole.
  Dobbiamo dare un richiamo forte alla condizione in cui siamo, lavorare con gli enti di ricerca, con i modelli di simulazione per capire come nel nostro Paese, nei prossimi dieci o quindici anni, verrà modificata la geografia e le condizioni di vita delle popolazioni: cosa succede a Venezia, in Liguria, in Sicilia, come metteremo insieme l'aumento del livello del mare con l'aumento della desertificazione, quindi come questi elementi, se non gestiti, programmati e governati, se perduti nell'idea di una crescita economica folle che appartiene al secolo scorso, lederanno ancora di più i diritti umani fondamentali anche degli italiani e non soltanto di un popolo di un Paese lontano, che subisce un'ingiustizia profonda o è sottoposto a eliminazione fisica.
  Dobbiamo tenere presente i temi della democrazia qui e altrove, ma anche essere coscienti che l'interconnessione definitiva di questo pianeta e la consapevolezza di ciò che accade devono essere patrimonio dell'azione vostra e dei cittadini.
  Questi sono i temi più importanti del nostro lavoro quotidiano, che vogliamo condividere con voi. Dobbiamo raccogliere la sfida di una giustizia sociale, di un'uguaglianza sostenibile che superi le differenze di genere, di provenienza, di etnia. Tutti questi temi sono dentro i lavori della vostra Commissione e sono stati riunificati dalla crisi globale che stiamo vivendo. Dobbiamo avere l'ottimismo della volontà, e so che alcuni di voi sono molto presenti sui territori di appartenenza, nei legami con i gruppi sociali di cui sono espressione, quindi non perdete queste radici, che sono la vostra stessa ragione di esistenza e sono un messaggio che molta parte del popolo italiano vi ha riconosciuto e vi riconosce, non fate appassire questa radice che ha permesso la vostra crescita. Agli altri – scusate questa deriva politica – dico di smettere di accapigliarsi, perché c'è bisogno di tutti: quando si dice che nessuno deve restare indietro, è anche vero che questo è possibile se tutti marciamo insieme.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA BOLDRINI. Ringrazio molto il dottor Pacilio per questa visione che ha voluto offrirci illustrandoci il prezioso lavoro della sua ong.
  Penso che sia giusta l'impostazione che Lei ha voluto dare a questa audizione, perché effettivamente c'è una connotazione politica in tutto questo. Penso che i Paesi africani siano stati indotti nei decenni a compiere scelte molto dolorose laddove, trovandosi di fronte al problema della liquidità, spesso sono stati costretti a ricorrere a prestiti internazionali, a fronte dei quali Banca mondiale e Fondo monetario internazionale hanno chiesto loro di tagliare la spesa pubblica.
  Tagliare la spesa pubblica significa tagliare i servizi, tagliare i servizi significa tagliare la sanità, la scuola, la formazione, la mobilità, e questo ha rallentato il processo di sviluppo umano, di cui c'è bisogno per arrivare ad uno sviluppo economico e dunque anche ambientale.
  Per quanto riguarda la sanità, Lei sa meglio di me che, laddove la sanità pubblica viene drasticamente ridotta, è pressoché impossibile curarsi. In alcuni Paesi africani – parlare di Africa è assurdo, perché le realtà sono completamente diverse, ci sono Paesi che hanno una crescita rilevante, altri che invece sono in difficoltà, però in linea generale l'Africa è un continente in via di espansione, con grandi risorse – ci troviamo di fronte a una mancanza di sviluppo umano, cioè vediamo che i governanti non sempre si prendono cura dei ceti più vulnerabili. Pag. 8
  Questo si deve anche ad una responsabilità esterna, perché sono state scelte indotte dalla comunità internazionale per dare i fondi necessari per pagare i dipendenti pubblici: quindi lo scambio è «io ti do i soldi che ti servono per evitare il default e tu in cambio tagli la spesa pubblica». Chi ci rimette sono le persone, e lo sviluppo arretra.
  Ce ne accorgiamo quando scoppia una grande epidemia in Africa e si ha il timore che arrivi anche da noi. Questa si diffonde così rapidamente perché i sistemi di sanità pubblica non ci sono, dunque non sanno neanche fronteggiare l'espandersi dell'epidemia.
  Questo è un problema che ci dobbiamo porre quando andiamo a trattare temi riguardanti la cooperazione internazionale allo sviluppo, in quanto se i sistemi di sanità pubblica non sono sviluppati, limitare i contagi in caso di epidemia è molto difficile e dunque siamo tutti coinvolti nello stesso assetto.
  Lei ha parlato di fondi dati dal Ministero dell'interno, cosa che mi è suonata strana, quindi avrei bisogno di qualche informazione aggiuntiva, perché che il Ministero dell'interno dia fondi in Senegal per progetti che si occupano di agricoltura suona un po’ strano, sarebbe bene fornire qualche chiarimento.
  Per quanto riguarda i problemi energetici, sono d'accordo che sono alla base del sottosviluppo agricolo, perché quelle terre così fertili e non sfruttate sono anche oggi destinatarie di interessi di altri Paesi, la Cina sta facendo un investimento massiccio di terre in questi Paesi, laddove queste terre poi vengono sfruttate anche per la produzione agricola.
  La Nigeria, che per anni ha puntato sulla sola estrazione del petrolio, con il crollo del prezzo del greggio ha deciso di diversificare anche nell'agroalimentare, ma c'è bisogno di expertise, di training, di formazione: quindi per noi, che siamo bravi in questo settore, questi sono mercati enormi, dove potremmo fare un'azione commerciale, ma mirata allo sviluppo, non predatoria, perché si fanno più proventi quando insieme agli interessi dell'azienda si pensa anche allo sviluppo locale delle popolazioni.
  In tutto questo volevo capire da Lei come si potrebbe sfruttare di più il patrimonio delle nostre piccole e medie imprese, in un'ottica di sviluppo locale teso sì all'interesse della piccola e media impresa, ma anche dello sviluppo, come potremmo riuscire a suggerire una politica di cooperazione innovativa, perché la politica di cooperazione, come Lei sa, purtroppo in tanti ambiti ha fallito, e glielo dice una persona che ci ha lavorato per venticinque anni, ci sono dei limiti.
  Possiamo intravedere delle vie di uscita, in cui le piccole e medie imprese si inseriscano in un tessuto di sviluppo, collaborando con la cooperazione italiana in un'ottica win-win, in cui possano avere il loro tornaconto, ma in un'ottica di sviluppo umano locale, non predatorio, come spesso è accaduto. Le chiedo quindi se abbia dei suggerimenti da rivolgere a questa Commissione in questo ambito.

  YANA CHIARA EHM. Ringrazio anch'io il dottor Pacilio per questa presentazione.
  Quando facciamo le audizioni o nel corso delle missioni mi rendo conto di quanto spesso l'attenzione sia rivolta alla questione dei diritti umani in generale, spesso tralasciando l'importanza di una tematica che Lei ha citato all'inizio e che mi interessa da quando ero studentessa: la questione dell'acqua, che oggi è il nuovo oro, la questione di come diventi preziosa non solo per la sopravvivenza, ma anche come merce di scambio e di potere tra i vari Paesi.
  È quindi fondamentale consegnare l'acqua non solo in quanto risposta vitale emergenziale, ma soprattutto a lungo termine. Ho avuto la fortuna di visitare all'inizio di maggio l'Etiopia, un Paese immenso e molto fertile, eppure ci si rende conto che l'acqua rimane sempre il fulcro delle problematiche più importanti, che si riflettono anche sulla sanità, sull'agricoltura, su tutti i campi.
  La questione della sostenibilità non soltanto in Africa, ma anche nel sud-est asiatico ha una rilevanza e un fondamentale impatto sulla questione climatica. Come Pag. 9diceva la collega Boldrini, la questione della Cina è dirimente, perché riesce a dare una risposta del «tutto e subito» non sostenibile – ma in questo momento poco importa – e a volte a crea danni a lungo termine, che possono essere irreversibili.
  In Etiopia, la capitale Addis Abeba cresce a dismisura con fondi stanziati dalla Cina, che realizza grattacieli e sposta intere popolazioni, con il timore che le popolazioni si spostino nella capitale con uno sviluppo a lungo termine che non esiste: quindi tra qualche anno ci ritroveremo con tutta la parte agricola che non è sostenibile, che non ha più la manodopera, nonostante l'Etiopia sia un Paese molto popoloso. Quindi è importante porre l'attenzione sulla sostenibilità e sulla questione ambientale.
  Onestamente sapevo poco della Green Cross, quindi per me è un'occasione per imparare perché sicuramente sarà una nuova svolta, un capitolo imperniato sull'ambiente che diventa parte integrante di un'attenzione che dobbiamo sempre più avere in quest'ambito, quindi La ringrazio molto.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, lascio la parola al presidente Pacilio per la replica.

  ELIO PACILIO, presidente di Green Cross Italia. Grazie per l'accoglienza e la condivisione dei temi. Onorevole Boldrini, andiamo subito a togliere la sua curiosità sul Ministero dell'interno.
  Fu una decisione del Governo Gentiloni e dell'allora Ministro dell'interno Minniti di cominciare a dedicare una frazione degli interventi normalmente utilizzati per l'accoglienza e l'emergenza dei migranti in Italia nei Paesi sorgente; è stato l'unico bando proposto, che ha coinvolto nove ong, tra cui fortunatamente noi, e vari Paesi, tra cui il Senegal, e che si basava esattamente sul tema «di fronte all'emergenza interveniamo per favorire uno sviluppo locale, che possa aiutare a mitigare la propensione alla migrazione». Questa era la visione che l'ufficio specifico del Ministero dell'interno ha dato a quel bando.
  Da un po’ di tempo siamo in attesa del secondo bando, ma voci di corridoio dicono che probabilmente non sarà più orientato alle ong, ma forse agli enti locali, quindi la situazione, per come ci viene illustrata dai funzionari, è ancora molto confusa.
  È vero che questo non era molto chiaro, tanto che anche nell'Ufficio della cooperazione in Senegal erano sorpresi di questo intervento, e quindi nella linea della coesione delle attività di cooperazione, successivamente a quel bando, c'è stata la volontà di una migliore integrazione con l'Agenzia, che purtroppo si è scontrata con le dimissioni della Direttrice. In questo momento spero che vengano ripresi il dialogo e la coesione di tutti gli interventi di cooperazione che si svolgono con vari Ministeri (Ministero dell'ambiente, Ministero degli esteri). In questo caso tutti erano sorpresi che da parte del Ministero dell'interno ci fosse un intervento di questo tipo.
  Rispetto alla sua domanda, mi limito a riprendere una proposta di qualcuno decisamente più importante di me e ad offrire una suggestione. Prima la suggestione: la cooperazione italiana si è aperta anche a bandi specifici aperti al settore privato, per poter favorire la partecipazione del settore privato, della piccola industria presente sul territorio a progetti di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo: è un percorso un pochino complicato, i primi due bandi per l'Agenzia italiana per la cooperazione sono stati un pochino faticosi, adesso pian piano sta andando avanti, perché sostanzialmente c'è un'arretratezza culturale, la difficoltà della piccola e media industria italiana, che tende a vedere l'intervento di cooperazione come una possibilità ulteriore di avere maggiori fondi a disposizione e non come la possibilità di costruire partenariati. Il fatto che la cooperazione non può favorire il commercio estero produce la necessità di un'azione di maggiore incontro e di maggiore dialogo con il piccolo settore privato.
  Molti migranti presenti regolarmente da più di quindici anni nel nostro Paese hanno espresso però il desiderio di ritornare in Pag. 10patria a fine carriera lavorativa: si tratta di persone che in Italia hanno raffinato moltissimo la capacità di lavoro specializzato in laboratori, micro e piccole imprese. Alcuni di questi autonomamente hanno costruito esperienze di lavoro e micro imprese nel loro Paese, quindi forse un ragionamento intorno alla possibilità di costruire una prospettiva di cooperazione che leghi queste esperienze potrebbe essere incoraggiato. Sta quindi al vostro stimolo legislativo con gli enti preposti alla cooperazione, ma anche agli istituti di ricerca e alla società civile produrre momenti di dialogo anche con le diaspore, anche perché – so che l'onorevole Boldrini ne è ben consapevole – il volume delle risorse trasferite nei Paesi di origine da parte delle diaspore è enormemente superiore all'aiuto allo sviluppo del nostro Paese, quindi quella potrebbe essere una traccia.
  Per quanto riguarda invece un messaggio istituzionale più forte, l'Italia ha una grande opportunità: sono presenti in Italia FAO, IFAD e PAM, le tre Agenzie delle Nazioni Unite che si occupano esattamente delle questioni alimentari, agricole e dello sviluppo rurale. Un'azione del nostro Parlamento per favorire questa integrazione e per costruire una sorta di polo per queste politiche potrebbe essere un elemento piuttosto importante; non può che essere fatto a nostro avviso in forte sintonia con l'Unione europea, però potrebbe perfezionare molto il profilo leader dell'Italia su questo terreno. Penso alle esperienze scientifiche di ricerca e di applicazione presenti nel nostro Paese – università, centri di ricerca, settore privato – specializzate su questo settore, che potrebbero offrire un elemento di originalità e un contributo italiano al tema.
  Avete sollevato il tema della presenza cinese nelle Afriche: raccolgo e condivido perfettamente, anch'io sono caduto nell'errore e ho parlato di Africa, ma bisogna parlare delle Afriche, sono tante e al loro interno sono estremamente frammentate e piene di contraddizioni. Anche voi vi recate spesso sul terreno, noi riscontriamo che c'è l'inizio di un rigetto della presenza cinese da parte delle popolazioni locali. Quando voi trovate cineserie in un mercato locale in Burkina Faso o in una capitale di dipartimento del Senegal, della Costa d'Avorio o anche del Ghana, vedete che gli stessi locali hanno una reazione di rigetto di fronte a questa presenza, che erode non soltanto il mercato per la costruzione del ponte piuttosto che del porto, ma comincia a erodere anche il piccolo commercio locale. Se cercate di comprare delle stoffe a Dakar, spesso queste stoffe hanno chiaramente il marchio made in China e lo trovate anche nei mercati rurali. Questo provoca un contraccolpo e delle tensioni sulle micro-economie locali.
  La possibile risposta è solo ed esclusivamente a livello europeo: penso che un singolo Paese non possa giocare un ruolo di ostacolo a questo, ma una ridefinizione di una politica europea nei confronti delle Afriche, con tutto il valore che può portare e che è molto ricercato e molto apprezzato, non può che essere una strada. Attenzione, i valori che noi portiamo, il modo in cui noi cooperiamo – con «noi» intendo generalmente i Paesi europei – è molto apprezzato.
  Non voglio parlar male della cooperazione giapponese, però quando la cooperazione giapponese riporta a casa più del 50 per cento dei fondi perché obbliga all'acquisto di materiale giapponese produce un ostacolo allo sviluppo locale. L'Europa non ha questa visione, l'Europa ha una visione di integrazione, è la nostra cultura in tutti i Paesi, dalla Svezia all'Italia, dal Portogallo ai Paesi Bassi, quindi, per favore, continuiamo a lavorare per questa coesione, per questo messaggio, perché il messaggio di cooperazione sostenibile e di sviluppo sociale che dà l'Europa è fortissimamente attrattivo e in quei Paesi c'è molto bisogno del know how europeo.
  Per quello che ho visto, è vero che ogni anno la Repubblica popolare cinese organizza gli incontri con i rappresentanti dei Paesi africani, è vero che offre di pagare il debito a costo zero, ma lega questi Paesi, li incatena. Dentro gli equilibri strategici di geopolitica che non fanno parte della mia visione, del mio ruolo, Pag. 11forse l'Europa deve poter giocare un ruolo completamente diverso.
  Proprio qui, alla Camera dei Deputati, soltanto tre o quattro anni fa venne presentato dal Presidente Prodi un rapporto di ISPI sulle opportunità di sviluppo in Africa, dal settore bancario al settore industriale, dalla piccola e media impresa alle originalità europee. Penso che, al di là delle difficoltà che tutti viviamo perché il nostro Paese è attraversato da tensioni e crisi molto profonde, dobbiamo avere il coraggio, nel contesto della cooperazione, di ritirare fuori queste proposte e queste opportunità.

  PRESIDENTE. Ringrazio il nostro ospite e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.25.