XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Martedì 29 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'AZIONE INTERNAZIONALE DELL'ITALIA PER L'ATTUAZIONE DELL'AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Carraro Dante , presidente di Medici con l'Africa CUAMM ... 3 
Ribolla Alberto (LEGA)  ... 8 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 8 
Comencini Vito (LEGA)  ... 9 
Picchi Guglielmo (LEGA)  ... 9 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Carraro Dante , presidente di Medici con l'Africa CUAMM ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata dai rappresentanti di Medici con l'Africa CUAMM ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Medici con l'Africa CUAMM.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'azione internazionale dell'Italia per l'attuazione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, di rappresentanti di Medici con l'Africa CUAMM. Saluto e ringrazio il direttore, don Dante Carraro, e il vicedirettore, Andrea Borgato, per la loro disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  Medici con l'Africa CUAMM, espressione del Collegio universitario aspiranti medici missionari, è stata fondata nel 1950 come parte della Fondazione Opera San Francesco Saverio, ed è la prima Ong in campo sanitario riconosciuta in Italia, nonché la più grande organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. Realizza progetti che mirano alla formazione, in Italia e in Africa, di risorse umane dedicate alla ricerca e divulgazione scientifica e all'affermazione del diritto umano fondamentale della salute per tutti.
  Gli obiettivi di Medici con l'Africa sono essenzialmente due: migliorare lo stato di salute in Africa, nella convinzione che la salute non è un bene di consumo ma un diritto umano universale, per cui l'accesso ai servizi sanitari non può essere un privilegio; promuovere un atteggiamento positivo e solidale nei confronti dell'Africa, ovvero il dovere di contribuire a far crescere nell'istituzione e nell'opinione pubblica interesse, speranza e impegno per il futuro del continente.
  Ricordo che la tutela della salute è il terzo dei diciassette Obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030; è ampiamente condivisa, infatti, la convinzione che, specie nei Paesi a più basso reddito, gli sforzi debbano essere concentrati in primis per risolvere le gravi e basiche urgenze sociali, tra cui figura, oltre a istruzione, cibo e acqua, anche la sanità.
  Medici con l'Africa CUAMM è attualmente presente in otto Paesi con diverse strutture, più precisamente: ventitré ospedali; ottanta distretti per attività di sanità pubblica, assistenza materna infantile, lotta all'HIV, AIDS, tubercolosi e malaria; scuole per infermieri e ostetriche; una università.
  Segnalo, inoltre, che Medici con l'Africa CUAMM è membro di Link 2007, l'Associazione di coordinamento consortile che raggruppa nove tra le più importanti organizzazioni non governative italiane.
  Medici con l'Africa CUAMM coopera altresì con numerose agenzie e istituzioni internazionali, tra cui l'Organizzazione mondiale della sanità, l'UNICEF, il Programma alimentare mondiale e il Fondo globale per la lotta all'AIDS, alla malaria e alla tubercolosi.
  Sono lieto di dare la parola a don Carraro, affinché possa svolgere il suo intervento.

  DANTE CARRARO, presidente di Medici con l'Africa CUAMM. Grazie, presidente. Un Pag. 4sentimento di gratitudine, per l'attenzione che ci riservate, al presidente Formentini e agli altri parlamentari, con cui ci fa piacere condividere il nostro lavoro e il nostro impegno, nonché a tutto lo staff che ha supportato la nostra presenza.
  Ho preparato delle diapositive. La nostra mission è il diritto alla cura. Medici con l'Africa CUAMM (Collegio universitario aspiranti medici missionari): CUAMM è una definizione difficile, intraducibile in inglese e anche in portoghese, quindi abbiamo scelto «Doctors with Africa» in inglese e «Medicos con Africa» in portoghese. Questo (slide n. 3) è il fondatore, un laico. Il CUAMM è una fondazione legata alla Diocesi di Padova, il presidente è il vescovo che ha un consiglio d'amministrazione e dentro questa fondazione c'è l'Ong Medici con l'Africa e un collegio che fa da vivaio per i ragazzi italiani che si preparano. È nato però da questo laico, un medico, che ha convinto il vescovo di Padova a fondare il CUAMM, nel 1950; siamo dunque la più longeva delle Ong.
  Abbiamo un nome per certi aspetti non facile e soprattutto viene molto più semplice dire «Medici per l'Africa» piuttosto che «Medici con l'Africa», però noi ci teniamo particolarmente, perché il «per» sottolinea un approccio più assistenzialistico: quando io dico a una persona «io sono qua per te» vuol dire che io ho le risorse e tu no, io sono capace e tu no.

(Proiezione di un video)

  Questo per dirvi un po’ chi siamo. Come accennavo, il nome della Ong indica già le scelte. Abbiamo deciso che non si può fare tutto e dappertutto, e che dunque era più opportuno concentrarci nel continente più povero, l'Africa. Credo che siamo forse gli unici ad aver fatto questa scelta di campo, che portiamo nel nome. Sta diventando anche un problema per certi aspetti, perché l'Africa comunque solleva stati d'animo di varia natura, però l'abbiamo fatta convintamente: per esempio, se guardate la cartina geografica, vedrete che nel Nord Africa noi non ci siamo: ci hanno chiesto ripetutamente di intervenire in Libia, in Tunisia, ma lì ci sono condizioni e sistemi sanitari estremamente diversi dall'Africa nera, quella sub-sahariana, dove invece abbiamo cercato di concentrare gli interventi. Ci sono Paesi che non sono segnati, i cosiddetti «Paesi fragili»: c'è proprio una definizione in letteratura che dice cos'è un «Paese fragile», cioè livelli educativi e sanitari minimali, e tuttavia non siamo presenti. La Repubblica Democratica del Congo sicuramente richiederebbe la nostra presenza, ma il Congo è un continente e per adesso non ci siamo sentiti in grado di affrontare anche quel Paese. Però gli altri Paesi dove operiamo sono tutti concentrati in quella fascia.
  Medici, operatori sanitari: avete visto i numeri (slide n. 5), siamo quasi tremila persone sul campo, trecento di queste italiani e altri africani/europei. Poi quel «con» a cui tenevo: si cresce e ci si responsabilizza insieme. Se facciamo qualcosa, lo facciamo perché ci crediamo insieme e non perché «io sono bravo e tu no», «ho le risorse e tu no», «la responsabilità è tua». Pensate che nessuno dei ventitré ospedali dove stiamo lavorando è di nostra proprietà: è sempre o del Governo locale o della Diocesi locale e noi ci accostiamo alla tua struttura, perché l'obiettivo che abbiamo è che nel giro di venti, venticinque, trent'anni – i tempi sono questi – tu cammini con le tue gambe. La struttura è tua, la responsabilità principale è tua. Questo è da sempre il nostro approccio, che vuol dire molta formazione del personale locale, molto management sanitario, molta organizzazione, conoscenza di un sistema, di un Paese, le linee guida e le policies di quel Paese. L'Uganda è estremamente diversa dal Mozambico, hanno avuto gli inglesi gli uni, i portoghesi gli altri; sono condizioni di sistemi sanitari radicalmente diverse.
  Perché l'Africa? Vi dico numeri grossi in modo che siano più facilmente comprensibili, piuttosto che indicatori che si fa fatica a capire. Parlo dell'Etiopia, un Paese assolutamente prioritario anche per l'Italia: 120 milioni di abitanti, una popolazione che cresce di quasi dieci milioni di unità ogni cinque anni. Noi abbiamo iniziato a lavorare in Etiopia nel 1978, aveva 65 milioni Pag. 5 di abitanti, adesso siamo nel 2019 e sono 120 milioni. Quindi si pone il tema demografico. Su questo sono molto interessato a interagire anche con voi. Dicevo, l'Etiopia, 120 milioni di abitanti: trentacinque ortopedici specialisti in tutto il Paese. Un Paese così che prospettive può avere, quando non hai un ortopedico? Un bambino che cade dall'albero e si procura una frattura, magari scomposta, rischia di diventare un disabile e quindi un peso per quel Paese.
  Parlo del Sud Sudan: Paese largo due volte l'Italia, dodici milioni di persone e venti milioni di vacche, quindi è un Paese che ha condizioni difficilissime. Ha ottenuto l'indipendenza nel 2011, è un Paese giovane. Il problema del Sudan e del Sud Sudan è il petrolio: le condutture partono dal sud e vanno verso il Mar Rosso e le condutture sono di proprietà del Sudan, mentre il petrolio è del Sud Sudan. Da lì è nato lo scontro: il Sudan appoggiato dal mondo arabo e il Sud Sudan appoggiato dal mondo occidentale. Adesso che sono indipendenti, stanno tentando di trovare un equilibrio difficilissimo. Parlo del Sud Sudan. Poi con un video di due minuti vi mostrerò che la fatica è proprio quella di dare prospettive a un Paese di questo tipo. Ci sono cinque ospedali, quasi ottocento centri sanitari, quindi in Sud Sudan facciamo un grosso lavoro.
  La Repubblica Centrafricana è di lato. Il Papa è andato là pieno di buona volontà, con tanta fede: ha aperto la Porta Santa, dice «viva Gesù», tutti contenti, poi guarda a quattrocento metri e vede un ospedale – l'ospedale pediatrico di Bangui – l'unica clinica pediatrica del Paese, che ha due pediatri. Ovvio che il Papa dice «torno, dobbiamo fare qualcosa». Coinvolge il Bambino Gesù, che però di fronte a una situazione di questo tipo si trova in difficoltà. Adesso il Bambino Gesù ci ha chiesto di collaborare, per cui abbiamo preso in mano questa struttura, ma l'obiettivo è quello di far crescere il Paese anche a livello periferico. Lì l'influenza francese è pesante. C'è un fiume molto importante che passa per la capitale, conosciuto nel mondo perché pieno di pepite d'oro e i francesi hanno comperato – come i cinesi in Etiopia, e anche altri – dieci metri da una parte e dieci metri dall'altra: hanno chiuso le rive del fiume e assoldano cooperative locali, pagate pochissimo, che trovano le pepite, e ovviamente non è le danno alla propria azienda o al proprio Paese, ma la consegnano inevitabilmente ai francesi. È uno degli esempi di un'Africa che ancora oggi è bastonata e umiliata. E la fatica di dare futuro all'Africa nasce da qua, perché il nostro primo mandato è quello di far crescere questo continente attraverso le risorse umane locali. Ovvio che, quando ci sono condizioni di questo tipo, si fa particolarmente fatica.
  Anche il Mozambico è un Paese che sta crescendo, ma tutta la parte centro-settentrionale dieci anni fa aveva un medico ogni cinquanta/sessantamila abitanti, quindi si fa fatica a creare sviluppo in un Paese con numeri di questo tipo. L'unica università dello Stato è a Maputo (nel sud del Paese), dove si laureavano dodici, quindici, venti nuovi medici all'anno; con la Conferenza episcopale e il Ministero della salute abbiamo deciso nel 2000 di aprire a Beira, dove c'è stato il ciclone, una nuova facoltà di medicina, in modo da dare possibilità di studio a tutto il centro-nord del Paese. Adesso anche a Beira, dal 2007, si laureano una ventina di medici, abbiamo – credo – 318 nuovi medici mozambicani che stanno aiutando il Paese. Il nostro lavoro è questo.
  L'ultimo Paese che sottopongo alla vostra attenzione è la Sierra Leone, logisticamente fuori dalla nostra area di influenza, ma abbiamo deciso di intervenire perché ha la mortalità da parto più elevata al mondo. Pensate che noi abbiamo preso in gestione sei strutture ospedaliere, nella capitale Freetown c'è il Princess Christian Maternity Hospital, con un importante reparto di maternità (ottomila parti all'anno) e, quando l'abbiamo presa in mano, c'era un solo ginecologo. Ovvio che la mortalità da parto è altissima. Adesso ci sono tre ginecologi, due dei quali della nostra organizzazione. Non è che vada molto meglio, ma i risultati stanno arrivando, perché, se si lavora, i progressi si riescono a realizzare. Pag. 6
  Questo è il quadro dei riferimenti internazionali. È indubbio che operiamo all'interno dei sustainable development goals, nel senso che il terzo Obiettivo dei diciassette è legato alla salute, ma tutti sono fortemente legati, connessi. La water sanitation. Ci muoviamo all'interno di questo contesto tentando di dare un contributo specifico su una materia ad hoc, quella della salute, che è complessa.
  Questo è un grande programma (slide n. 11), che vi accenno solo rapidamente. Vedete che l'assistenza a mamme e bambini si articola in mille giorni. Nei 280 giorni della gravidanza una mamma malnutrita ha un parto pretermine, che comporta un bambino sotto-peso con un sistema immunitario debole, che quindi si ammala più facilmente e rischi di perderlo. Quindi è importante lavorare sulla malnutrizione in quei nove mesi di gravidanza. Poi c'è il momento del parto. Dal punto di vista tecnico un medico sa fare un cesareo, e chi non lo sa fare in venti giorni lo impara, perché è veramente una cosa banale: fai un taglietto, tiri fuori il bambino e sopravvive anche la mamma. Se quel bambino non lo faccio nascere con il cesareo, lui muore, e rischio di massacrare la mamma, procurando danni all'utero, alla vagina, all'uretra, al retto (ci sono le cosiddette sistole, vesciche vaginali, che sono un dramma per il continente africano). Quindi occorre garantire un cesareo e una trasfusione di sangue, visto che, quando una mamma partorisce, l'emorragia purtroppo in dieci secondi provoca la perdita di mezzo litro di sangue, si rischia la morte. Quindi una trasfusione di sangue è fondamentale. Queste sono le due cose che garantiamo. Poi i due anni successivi, quando il bambino riesce a sviluppare le capacità psicoattitudinali, affettive, relazionali che fanno sì che diventi un ragazzino smart. La gente mi chiede «ma è vero che gli africani sono meno svegli di noi?» e io rispondo «certamente, perché, se tu non dai a questi bambini, nei primi due anni di vita, la possibilità di crescere e di nutrirsi in maniera adeguata, ovvio che lo sviluppo psicoattitudinale sia più rallentato». Come succedeva con i nostri bambini un secolo fa e come in altre situazioni. Quindi i nostri obiettivi sono: mille giorni di assistenza per garantire il parto sicuro e poi evitare che ci sia una mamma in pericolo e un bambino sotto-peso. 320 mila parti assistiti in cinque anni. Tutto questo lo facciamo sviluppando il sistema sanitario, quindi lavorando non solo nell'ospedale, ma nei centri di salute e poi anche a livello di comunità, sviluppando molto il trasporto.
  Questi sono i Paesi (slide n. 13 e seguenti). In Angola abbiamo un grosso programma finanziato dal Global fund, per esempio, quindi lotta alla tubercolosi, a cui il Presidente prima accennava. Sappiamo che il Global fund è impegnato anche sul fronte della lotta contro l'AIDS e la malaria, ma questo in particolare è un programma sulla tubercolosi. Devo dire che è un intervento focalizzato in termini di priorità tematica (la tubercolosi è un problema grave nei Paesi poveri, perché stanno aumentando i casi); il meccanismo con cui questi soldi vengono dati è tanto complesso, perché, se questi fondi arrivano direttamente a livello di Ministero e i sistemi di controllo non sono adeguati, ovvio che rendono difficile il raggiungimento di quell'ultimo miglio del sistema sanitario di cui parliamo.
  Questo è un grosso distretto di trecentomila abitanti, abbiamo un ospedale di duecentoventi posti letto. C'è un'emergenza siccità, sono due anni che non piove in quella zona e quindi abbiamo mancanza di acqua, di energia. In questo caso abbiamo una collaborazione anche con ENEL e Green Power che ci stanno aiutando per il tema energetico, della malnutrizione, del personale, perché nelle zone rurali periferiche anche il personale locale fa fatica ad arrivare, quindi abbiamo ancora una massiccia presenza da parte nostra.
  Questo è il Mozambico (slide n. 15), di cui vi ho già accennato. Non mi soffermo. Ha avuto il ciclone, è stato un disastro, ha distrutto l'università di Beira, la seconda città del Paese; c'è stata un'alluvione che ha spazzato via l'ospedale centrale, in particolare neonatologia. E poi la città. L'acqua marina è rimasta sulla terra ferma per venti, venticinque giorni, ha bruciato il Pag. 7suolo e adesso si calcola che per i prossimi tre anni il terreno che, fra l'altro, produceva riso e granoturco, non produrrà più, perché l'acqua salata lo distrugge. Questo il dato: 317 i medici laureati a Beira, alla Facoltà di Medicina.
  In Etiopia siamo concentrati in questa parte qua (slide n. 18). Il Sud Sudan vive le condizioni che prima vi dicevo, ovvio che ci sono livelli di nutrizione, sanitari ed educativi drammatici, per cui la gente scappa: mezzo milione sono andati verso l'Etiopia. Noi stiamo lavorando al campo profughi di Gambella, dove la gente sud sudanese cerca di trovare rifugio. Abbiamo un grosso intervento anche in questa zona, con il supporto dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), che in Etiopia ha una intensa attività, come in Mozambico. Qui abbiamo un ospedale importante. È interessante anche questo, è un ospedale con duecentoventi posti letto, con una scuola per infermiere e ostetriche, un ospedale della Chiesa cattolica che in Etiopia raggiunge meno dell'1 per cento della popolazione (il 70 per cento sono copti e ortodossi, il 30 per cento musulmani), ma c'è un'ottima collaborazione con la componente musulmana; questo ospedale insiste in un'area ortodossa e musulmana e il Governo musulmano finanzia l'ospedale cattolico con un 25 per cento all'anno. È interessante perché, se l'ospedale è a servizio della gente, accadono anche queste forme di sano ecumenismo, pratico e concreto.
  Questa è la Repubblica Centrafricana (slide n. 19). La Sierra Leone è un altro Paese di cui voglio parlarvi. Su questo desidero mostrarvi un piccolo video di due minuti e mezzo, perché sapete che la Sierra Leone ha avuto quattordicimila casi di Ebola, un'epidemia fuori controllo. Noi eravamo presenti: di solito non siamo coinvolti in emergenze sanitarie, lavoriamo sullo sviluppo, ma, quando si presenta un'emergenza, interveniamo e ci siamo; lì c'è stato un esperimento interessante, perché abbiamo visto che durante l'epidemia di Ebola il sistema di trasporti funzionava bene, e finita l'Ebola molte ambulanze erano presenti nel Paese – qui vedete la fila di ambulanze inutilizzate (slide n. 20), perché usate per i malati di Ebola –, ma rischiavano di rimanere non impiegate; abbiamo parlato con il Ministero della salute ed elaborato insieme un progetto di 118, procedendo alla bonifica delle ambulanze. Se noi riusciamo ad usarle per organizzare un servizio di 118 in un Paese relativamente piccolo com'è la Sierra Leone, forse riusciamo a dare risposta, nonostante le poche strutture sanitarie che ci sono. Abbiamo presentato un progetto alla Banca mondiale, che lo ha trovato interessante, però il bando doveva essere pubblico. Hanno partecipato al bando due cordate sudafricane, una canadese, due indiane. C'era anche questa piccola cordata italo-veneta, perché a elaborare il progetto ci ha aiutato il 118 regionale veneto con le competenze che ha: abbiamo vinto il bando e l'abbiamo implementato.
  Ora vi faccio vedere questo video, perché è bello osservare da vicino come a volte le idee a servizio di un Paese nascano dal basso.

(Proiezione di un video)

  Pensate che adesso vorremmo elaborare uno studio con il Ministero della salute – un progetto biennale di circa 13 milioni di euro – per dimostrare l'impatto della mortalità da parto in Sierra Leone. Il Paese aveva la mortalità più elevata al mondo ma, grazie al servizio 118, al 15 ottobre 2019 ci sono state ventiduemila chiamate; c'è proprio una cabina di regia, ventunomila missioni e ventimila pazienti riferiti. In particolare sono mamme che hanno bisogno di un trasporto immediato, perché c'è un'emergenza ostetrica.
  L'ultima cosa a cui vi accenno: in Sud Sudan stanno scappando verso l'Etiopia, e un milione verso l'Uganda (slide n. 23). L'Uganda è l'ultimo Paese su cui mi soffermo. Queste sono le risorse umane locali: in Sud Sudan l'anno scorso ci sono state venti nuove ostetriche. Pensate che il Sud Sudan ha la media di un'ostetrica per ventimila mamme che partoriscono, quindi per noi laureare venti nuove ostetriche significa davvero dare futuro al Paese. Questa Pag. 8 è una delle venti (slide n. 28). Quando l'ho incontrata, era all'ospedale di Rumbek dopo tre mesi dalla sua laurea: avreste dovuto vedere gli occhi di questa ragazza, che mi ha detto «I'm very proud!, sono orgogliosa di fare la mia parte per il mio Paese». Io per il CUAMM sogno questo.
  L'Uganda: Paese povero che però negli ultimi vent'anni è cresciuto tanto (con un incremento medio annuo del PIL pari al 5 per cento), ha aumentato la scolarizzazione primaria e secondaria: in Uganda si laureano centosessanta/centosettanta nuovi medici all'anno; la malnutrizione è calata; la copertura dei parti assistiti è salita e, per esempio, nonostante sia vicinissimo al Sud Sudan da dove la gente scappa, nel 2017 non c'è stato un ugandese che abbia attraversato il Mediterraneo. Lo dico perché la gente mi chiede se funziona, se serve il lavoro che facciamo, che fanno le Ong in genere. Io difendo il lavoro che faccio perché ci credo e vedo dei risultati, uno dei quali è anche questo, oltre che dare futuro a questi Paesi.
  Questa è l'innovazione e la ricerca che facciamo, però ci tengo anche a dire che abbiamo raccolto complessivamente 36 milioni di euro l'anno scorso, e quasi il 40 per cento viene da donazioni private, da gente che crede in noi, e io sono orgoglioso di questo, perché la cooperazione a volte è percepita con distacco dalla gente; io credo invece che alla gente vada spiegato, con risultati concreti, cosa si fa ed è per noi davvero un orgoglio dire che c'è tanta gente che ci sostiene e anche che abbiamo costi amministrativi molto bassi, perché i costi di funzionamento sono il 4 per cento, cui si aggiunge un altro 4 per cento per il materiale che ci serve per realizzare le diapositive.
  Il 9 novembre a Firenze siete tutti invitati al nostro incontro annuale, dove illustriamo alla gente e alle istituzioni che credono in noi cosa tentiamo di fare ogni anno con il nostro lavoro.

  ALBERTO RIBOLLA. Io vorrei ringraziare di cuore i rappresentanti di Medici con l'Africa CUAMM, perché si è percepita dalle loro parole la passione con la quale svolgono il proprio lavoro in Africa, soprattutto nei Paesi più svantaggiati. Lavoro che si dispiega soprattutto in campo sanitario, e che la Lega vuole elogiare, perché è encomiabile e svolto da volontari in Paesi che hanno bisogno. Quindi questa Associazione porta aiuto e sviluppo in questi Paesi africani. Infatti è nostra forte convinzione che sia necessario portare avanti queste azioni di sviluppo in quel continente affinché poi la popolazione possa avere un futuro nella propria terra, ovvero possa restare nel proprio territorio, avere l'opportunità di affermarsi senza dover poi cercare fortuna altrove.
  Voglio anche ricordare in particolare un mio conterraneo, Matteo Ravasio, che faceva parte dell'Associazione Africa 3 mila ed è purtroppo deceduto in un disastro aereo in Etiopia: stava andando ad inaugurare un ospedale in Sudan. Anche questa associazione bergamasca si occupa di volontariato, in particolare in campo sanitario.
  Come Lega, quindi, auspichiamo che il lavoro di questa Associazione e di tutte le altre che si occupano di questi temi in Africa possa andare avanti, pertanto auguriamo un buon lavoro e ci complimentiamo per quello che fate.

  YANA CHIARA EHM. Ringrazio anch'io per quest'ampia illustrazione della vostra attività. È non solo una testimonianza importante, ma anche una grande emozione vedere quanto si riesce a fare con pochi mezzi.
  Io riporto un piccolo aneddoto personale. Personalmente, quando ero più piccola, volevo laurearmi in medicina perché la mia idea era quella di andare ad aiutare il prossimo, magari in Africa; poi, ad un certo punto, mi sono resa conto che nelle materie scientifiche ero veramente negata e quindi ho deciso di provare in qualche altro modo ad aiutare, dunque la mia idea era di fare qualcosa nella politica e nella diplomazia per tentare di essere di aiuto in questo campo.
  È veramente emozionante. Credo che, quando si parla di questo continente immenso, sia sempre importante ricordarsi che stiamo parlando di un continente e, molto ingenuamente, spesso si parla di Pag. 9Africa come se fosse un Paese, quando invece ogni Paese ha una sua conformazione molto specifica e differenziata, quindi ogni Paese va valutato com'è, ricordando che l'Africa è un continente con cinquantaquattro Paesi.
  Io ho avuto la fortuna di visitare alcuni dei Paesi da Lei menzionati, sia l'Etiopia, durante la mia esperienza da parlamentare, sia, precedentemente, la Tanzania, e ho potuto vedere quali sono le maggiori sfide. Poi ogni Paese rappresenta una sfida diversa. Sicuramente la questione sanitaria è una sfida che si ritrova più o meno in ogni Paese, con evoluzioni e miglioramenti. L'Etiopia mi ha particolarmente sorpreso, perché la questione demografica non è da sottovalutare. Secondo alcune stime la popolazione potrebbe aumentare oltre i duecento milioni entro il 2050: il censimento è quasi impossibile, perché parliamo di regioni con conformazioni etniche complesse, e ricordo benissimo che mi dicevano che il tasso di natalità cambiava da 1,7 nella capitale a circa otto nel Somali. Quindi una divergenza enorme, anche a seconda delle tradizioni, della religione, di dove si abita e si vive. Questo non può essere sottovalutato.
  Parliamo molto spesso dell'andamento demografico, in relazione a vari ambiti; si discute di come tale indice, insieme ai temi ambientali – quindi la questione della siccità, dell'accesso all'acqua come nuova causa di conflitto – esercitino un ruolo fondamentale nei flussi migratori. Certamente io concordo con il collega sul fatto che sicuramente questi possono essere esempi positivi di come si riesce a dare una soluzione concreta, fare in modo che le persone non debbano partire; credo, tuttavia, che creare le condizioni perché la gente non parta più sia un obiettivo molto ambizioso, e certamente non a breve termine. Anzi, a breve l'aumento dei flussi sarà notevole. Questo lavoro però rimane fondamentale per dare delle risposte immediate, in particolare – e ritorno alla sua prima frase – sul diritto alla cura. Quindi il diritto di potersi curare, di poter vivere, di poter far sì che ogni questione venga risolta nel migliore dei modi.
  Vi ringrazio ancora tanto. Io sono di Firenze, quindi, se potrò, parteciperò con molto piacere alla vostra riunione del 9 novembre. Vi chiederei gentilmente anche, se vi è possibile, di condividere il materiale presentato, che può essere utilmente trasmesso ad altri colleghi ma anche alla cittadinanza.

  VITO COMENCINI. Mi unisco anch'io ai complimenti per il lavoro che fate e l'impegno che ci mettete, e voglio aggiungere il fatto che mi rendete orgoglioso, da cattolico ma anche da europeo e occidentale, perché talvolta noi europei e occidentali veniamo denigrati per il nostro operato in Africa; in questo caso credo che voi siate un buon esempio di come gli europei o, in generale, gli occidentali possano svolgere un'opera meritoria nei confronti dell'Africa aiutandoli a casa loro.
  Detto questo, io vengo da una città – Verona – da dove sono partiti i missionari comboniani (Comboni era proprio veronese); recentemente ho presentato un'interrogazione in merito alla questione eritrea: lei giustamente faceva l'esempio dell'Etiopia, dove gli ospedali cattolici vengono sostenuti dal Presidente, nonostante il Governo e il Paese stesso siano a maggioranza musulmana; in Eritrea, invece, da quanto mi risulta c'è una situazione ben diversa, visto che gli ospedali cattolici sono stati forzatamente chiusi, i macchinari sono stati portati via e quindi le suore, i sacerdoti e tutti i volontari che operavano all'interno – già in situazioni molto precarie – sono impossibilitati ad operare a causa di questa scelta del Presidente eritreo o comunque del Governo stesso. Vorrei sapere se può darci qualche ulteriore informazione e se ci sono aggiornamenti riguardo a questa situazione.

  GUGLIELMO PICCHI. Mi viene da sorridere che tra gli intervenuti e tra i presenti ad ascoltare questa testimonianza ci siano tanti leghisti, brutti e cattivi, che non amano le Ong, mentre quelli che gridano sempre slogan sono assenti.
  Sono leghista anch'io e Le porgo un grazie per il buon esempio e la buona Pag. 10cooperazione che sapete offrire. Ce ne fosse di più di questa cooperazione, tante risorse potrebbero arrivare laddove ce n'è bisogno. Io da sempre sono critico sull'impatto che i soldi della cooperazione riescono ad avere nella vita reale delle persone. Purtroppo, nonostante la massa di investimenti che vengono fatti – a livello centrale e di cooperazione decentrata – e che potrebbe aumentare accedendo a forme di cofinanziamento europeo – è estremamente ridotto il ricorso a questo strumento –, la capacità di incidere sulla vita reale è piuttosto limitata. Io vi seguo da tempi non sospetti e posso dire che l'impatto di quello che fate è noto, per cui in primo luogo voglio ringraziarvi. Dovremmo non solo continuare a supportare il vostro lavoro, ma anche diffondere le buone pratiche agli altri in modo tale che il livello complessivo di cooperazione e di impatto che si riesce ad avere sull'Africa sia tale per cui, migliorando le condizioni di sviluppo del continente, tanta parte di flusso migratorio possa cessare. Lei ha menzionato che da certi Paesi non si registrati sbarchi. Questo per dire che in realtà il maggior numero di sbarchi sono dai Paesi dove il livello di sviluppo è superiore, perché per chi combatte per i bisogni primari è estremamente complesso e irrealistico anche solo immaginare di poter organizzare un certo tipo di viaggio attraverso tre, quattro o cinque Paesi per raggiungere il Mediterraneo. Per cui, quando stavo al Ministero degli Affari esteri, pur non occupandomi di cooperazione, abbiamo cercato di assicurare tutto il sostegno possibile a livello parlamentare per le buone pratiche e la buona cooperazione. Purtroppo registriamo che questo spesso non accade. Ci si riempie la bocca di progetti di cooperazione, che però poi sono più finalizzati a promuovere se stessi o la propria organizzazione che non ad avere un impatto sul territorio, tant'è vero che spesso dei cento euro erogati meno di venti finiscono agli effettivi beneficiari. La cooperazione non può consistere in posti di lavoro che ci auto-creiamo: la cooperazione, se è buona, sicuramente bisogna sostenerla, perché è un lavoro che va fatto e quindi va pagato, quindi non si deve operare solo con i volontari a titolo gratuito, ma bisogna migliorare il tasso di utilizzo in modo tale che le risorse arrivino all'effettivo beneficiario finale.
  Comunque grazie per quello che fate, e, se possiamo dare una mano, noi ci siamo.

  PRESIDENTE. Mi unisco anch'io ai ringraziamenti. Quello a cui stiamo assistendo – è stato detto chiaramente prima – è un neo-colonialismo purtroppo di ritorno o una continuazione del colonialismo sotto altre forme; l'Africa – ne siamo, penso, tutti convinti – ha bisogno di altro, ha bisogno davvero di essere aiutata a svilupparsi. Sono sicuro che voi lo stiate facendo, e molto bene. Quindi, davvero, far crescere il continente attraverso le risorse umane locali secondo me è l'obiettivo che va focalizzato e perseguito. A voi la parola per le repliche.

  DANTE CARRARO, presidente di Medici con l'Africa CUAMM. Solo brevi repliche, oltre a un sincero ringraziamento. Io credo che la cooperazione sia un'attività che ha subito dei travagli storici, che conosciamo tutti, e quindi dobbiamo sforzarci di dare strumenti di comprensione e anche di collaborazione.
  Ci sono, per esempio, dei meccanismi finanziari che si sono rivelati poco efficaci ed efficienti: l'osservazione che qualcuno faceva prima rispetto ai soldi che l'Unione europea dà e di cui non sempre si riesce a cogliere l'impatto, è un dato reale. Se alla gente per strada chiedi «l'Unione europea, rispetto a tutti i donatori mondiali, quanto destìna all'Africa?» nessuno ti risponde che l'Unione europea è il donatore più generoso, e non lo sa perché tante volte non si riesce a cogliere l'impatto concreto. Da una parte l'impegno di chi lavora sul campo è quello di dimostrare un impatto concreto; ci siamo detti: «che obiettivi ci diamo nei prossimi cinque anni?»: 320 mila mamme che vogliamo assistere al parto, quindi garantire a 320 mila neonati di poter sopravvivere. Questo per tentare di semplificare le cose. Dall'altra parte, però, per quanto riguarda le istituzioni come l'Unione europea, il meccanismo del budget support, cioè Pag. 11il trasferimento di soldi dalla Commissione europea ai ministeri locali, andrebbe rivisto. Occorre tenere saldo l'impegno assunto, ma bisogna essere consapevoli che quel meccanismo è meno efficace. Devo dire che qualche tentativo c'è, però capisco l'osservazione.
  Così come prima accennavo al Global fund, perché è vero che, per esempio, ha funzionato bene nel momento in cui le risorse di tale fondo andavano a un'agenzia che accompagnava il Ministero nello sviluppo e noi eravamo il partner implementativo; nel momento in cui, invece, il flusso è andato direttamente al Ministero, le difficoltà si sono quintuplicate e i risultati sono a volte – adesso mi riferisco al caso specifico dell'Angola – imbarazzanti per noi, perché sono ormai tre o quattro anni che ci diciamo di uscire da questo meccanismo, dal momento che noi lavoriamo, i soldi arrivano e la tubercolosi cresce: c'è un problema serio di efficacia. Quindi questo è uno spazio di lavoro che deve essere esplorato, a mio avviso.
  Questo anche per dire che Dambisa Moyo – l'economista autrice di un testo diventato famoso sulla Dead AID (l'aiuto che provoca morte) – a mio avviso sbaglia: l'aiuto vero funziona. La battaglia per rendere la cooperazione efficiente ed efficace, capace di raccontare i risultati che ha realizzato, secondo me è tanto importante. Dietro quel 40 per cento di gente che ci sostiene c'è uno sforzo che tentiamo di fare noi, insieme anche ad altre organizzazioni. Noi facciamo parte di questa rete – Link 2007 – in cui lo sforzo è basato sui risultati.
  Il tema demografico e anche quello migratorio sarebbe sbagliato semplificarli, quindi sono d'accordo con lei che si tratta di un fenomeno complesso. Però molto spesso il dato migratorio è legato anche a quello demografico, che preoccupa. C'è stato un grosso studio della Banca mondiale focalizzato sul continente africano, dove si indicano tre elementi che determinano una crescita o una riduzione demografica. Sicuramente l'approccio che io ho visto nel continente africano è tipicamente americano: quello di distribuzione massiva dei preservativi, che sappiamo essere efficace nel contenimento della diffusione del virus HIV (insieme ad altre misure), ma per la demografia funziona pochissimo. Ho visto tanti autotreni di queste agenzie americane, pieni di preservativi, percorrere per qualche pista africana: pensano di ridurre il tasso di incremento della popolazione con la distribuzione dei preservativi, ma non funziona, e la Banca mondiale l'ha proprio dimostrato, indicando, al contrario, tre fattori su cui incidere: il primo è la riduzione della mortalità infantile. Nel momento in cui muoiono meno bambini, una famiglia fa meno bambini. Quello che è capitato da noi. Noi abbiamo cominciato, anche in Italia, a ridurre il tasso demografico nel momento in cui le nostre famiglie vedevano che morivano meno bambini. Su dieci bambini, se ne stanno in vita dieci, la generazione dopo ne fa cinque e così via. Sto semplificando, ma è così. La riduzione della mortalità infantile riduce il tasso demografico. Il secondo elemento è l'educazione della donna. In molti Paesi dove noi lavoriamo – penso al Sud Sudan – quando noi andiamo nei villaggi e chiediamo la possibilità di trasferire la mamma dalla capanna all'ospedale per partorire, diamo loro un formulario, perché devono essere d'accordo, e firmano con il pollice. Ci sono condizioni come queste. Ovvio che lì far crescere la consapevolezza – come stiamo tentando di fare – e insistere sull'educazione della donna sicuramente incide sulla demografia. Il terzo elemento è il PIL. La crescita del PIL fa sì che la demografia inevitabilmente cali. Quindi occorre lavorare su tutto questo insieme, se vogliamo comunque incidere. Dopo c'è un tempo di latenza. Quando tu lavori su questi elementi, l'Africa ha un tempo di latenza di sessanta/settant'anni, quindi nel momento in cui lo fai oggi, l'impatto a livello demografico ce l'hai dopo sessanta o settant'anni.
  Per quello che riguarda l'Eritrea e il premio Nobel per la pace dato ad Abiy Ahmed Ali (Primo Ministro etiope), la gente mi chiede se sia stato giusto darglielo: per i risultati raggiunti forse non del tutto, ma, per il sostegno di cui ha bisogno perché possa davvero consolidarsi la pace tra l'Etiopia e l'Eritrea, se lo merita tutto. Deve Pag. 12essere sostenuto. Lui nel giro dei primi tre mesi ha sbaragliato Isaias (il Presidente eritreo) che da vent'anni teneva chiuse le frontiere. Lui ha detto: «tenetevi tutta la parte nord del Paese, la zona Macallè, il nord, il Tigrai – tutte le zone di conflitto – basta che mi date uno sbocco al mare». L'Etiopia non ha uno sbocco al mare, intelligentemente ha preteso uno sbocco al mare. Hanno fatto la pace in tre mesi. Il problema è che, mentre l'etiope Abiy Ahmed è un uomo di quarantatré anni, di etnia oromo (l'etnia dominante, mai stata al governo), un uomo illuminato – io lo conosco –, il suo interlocutore non lo è altrettanto, e adesso si sta spaventando, perché molti eritrei stanno scappando, dal momento che ha liberalizzato le frontiere. Non sappiamo che evoluzione ci sarà. Fatto sta che molte congregazioni missionarie ancora oggi stanno scappando dall'Eritrea. Paese che negli ultimi vent'anni ha patito una sofferenza estrema con quest'ultimo Presidente. Hanno anche introdotto la leva militare obbligatoria e a tempo indeterminato per i giovani. Quindi è un Paese che non può continuare così.
  Se io fossi il presidente del mondo, farei un Piano Marshall per l'Africa, però va fatto con meccanismi che funzionino, altrimenti sono soldi che rischiano di essere buttati via. La gente, i ragazzi, i giovani che incontriamo nei Paesi africani ci chiedono soprattutto di poter crescere, di poter imparare e questa è la gioia del nostro lavoro, e la sofferenza, quando non ci riusciamo.

  PRESIDENTE. Siamo rimasti tutti favorevolmente impressionati da questa audizione, e anche dalla documentazione, che sarà pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Grazie per tutto il lavoro che fate. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.45.

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ALLEGATO

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