XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 26 di Martedì 12 gennaio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fassino Piero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO
Fassino Piero , Presidente ... 3 
Barucco Armando , Capo dell'Unità di analisi, programmazione, statistica e documentazione storica del MAECI ... 3 
Fassino Piero , Presidente ... 12 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 13 
Fassino Piero , Presidente ... 13 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 13 
Lupi Maurizio (Misto-NI-USEI-C!-AC)  ... 14 
Fassino Piero , Presidente ... 14 
Barucco Armando , Capo dell'Unità di analisi, programmazione, statistica e documentazione storica del MAECI ... 14 
Fassino Piero , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal Min. Plen. Armando Barucco ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Italiani in Europa: Misto-CD-IE;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-PP-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIERO FASSINO

  La seduta comincia alle 15.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto dei deputati, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre scorso.
  In proposito, ricordo che per i deputati partecipanti da remoto è necessario che essi risultino visibili alla Presidenza, soprattutto nel momento in cui essi svolgono il loro eventuale intervento, il quale deve ovviamente essere udibile.

Audizione del Capo dell'Unità di analisi, programmazione, statistica e documentazione storica del MAECI, Min. Plen. Armando Barucco.

  PRESIDENTE. Possiamo cominciare la riunione. Bentrovati. Questa è la prima riunione della Commissione dopo la sospensione natalizia. È entrata a far parte della nostra Commissione l'onorevole Berlinghieri, del gruppo del Partito Democratico, che saluto e ringrazio di essere qui.
  Oggi abbiamo, come tutti sanno, abbiamo l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, del Capo dell'Unità di analisi, programmazione, statistica e documentazione storica del MAECI, il Ministro Armando Barucco, che tra l'altro è in procinto di partire perché è stato nominato Ambasciatore in Marocco e successivamente con accreditamento anche per la Mauritania. Gli facciamo tutti i migliori auguri.
  L'audizione odierna è stata programmata in considerazione del suo ruolo di Capo dell'Unità di analisi, programmazione e documentazione del Ministero: in tale veste, il Ministro Barucco potrà offrirci un prezioso contributo al contempo scientifico, ma anche di carattere diplomatico, sulla strategia di politica estera dell'Italia nella regione, anche in relazione agli esiti dei MED dialogue che si sono svolti il 3 dicembre scorso.
  Nell'organigramma del Ministero – solo perché tutti l'abbiano chiaro – la citata Unità di analisi elabora studi e cura i rapporti con i centri di ricerca in materia di relazioni internazionali, elabora linee strategiche di politica estera, svolge le funzioni di Ufficio di statistica e provvede alla custodia e alla lavorazione del materiale storico dei fondi archivistici, nonché al funzionamento della biblioteca del Ministero. Segnalo, infine, che l'Unità di analisi diretta dall'Ambasciatore Barucco rappresenta il MAECI nella collaborazione con il Senato, la Camera ed i maggiori istituti di ricerca nell'ambito dell'Osservatorio di politica internazionale, che fornisce alla nostra Commissione la documentazione di cui beneficiamo costantemente.
  Quindi, da ogni punto di vista, sia per quello che ha fatto fin qui sia per quello che farà, l'Ambasciatore Barucco ha pieno titolo per parlarci del Mediterraneo, e gli do la parola. Grazie.

  ARMANDO BARUCCO, Capo dell'Unità di analisi, programmazione, statistica e documentazione Pag. 4 storica del MAECI. Grazie mille, presidente. Io tengo innanzitutto a ringraziare il presidente Fassino, e con lui tutta la Commissione, per l'invito a partecipare a questa importante indagine conoscitiva sulla strategia della politica estera dell'Italia nel Mediterraneo.
  Naturalmente, ho dato un'occhiata ai resoconti delle precedenti audizioni: io cercherò innanzitutto di evitare di ripetere quello che è già stato detto dai miei colleghi, ma soprattutto cercherei di evitare di ripetere quelle che sono cose note e dette negli interventi già effettuati dall'onorevole Ministro e dal Presidente del Consiglio su alcuni temi particolari e di particolare rilievo per la politica estera dell'Italia nel Mediterraneo. Cercherò, invece, di dare una visione più di medio-lungo termine sulle strategie del nostro Paese nei confronti dell'area che oramai identifichiamo come il Mediterraneo allargato.
  A questo punto chiederei di passare alla slide n. 1, che dà un po' anche il senso della maniera nella quale intendo articolare l'intervento. Sostanzialmente, io vorrei articolare l'intervento in tre parti: la prima riguarderà l'impatto della pandemia sul Mediterraneo allargato, in particolare sotto il profilo dell'impatto socioeconomico. Questo è di particolare importanza perché è la riflessione che poi porterò nelle conclusioni su quella che deve essere la strategia nella quale gli aspetti sociali ed economici devono avere naturalmente un'importanza particolare.
  Il secondo punto, sempre collegato all'impatto della pandemia, riguarderà gli sviluppi regionali. Su questo c'è il rischio che io ripeta cose che sono state già dette e che sono note a questa Commissione per quanto riguarda, per esempio, la situazione in Libia, le principali situazioni di crisi, il ruolo della Turchia; in quel caso mi limiterò proprio a dei flash, perché è abbastanza difficile aggiungere qualcosa a quello che è già stato detto ed è sicuramente arcinoto alla Commissione e ai suoi membri.
  Infine – questa credo che sia forse la parte più interessante – ci sarà la parte che riguarda il ruolo dell'Italia e dell'Europa nel medio e lungo periodo, ma soprattutto dal punto di vista delle direttrici strategiche della nostra azione nel Mediterraneo.
  La prima parte riguarda la pandemia nel vicinato Sud. Abbiamo raccolto tutta una serie di dati su quello che è stato l'impatto della pandemia nel vicinato. Il primissimo dato è naturalmente di natura macroeconomica e riguarda l'impatto dal punto di vista della crescita dell'area. Da questi dati (slide n. 3) potete vedere che noi abbiamo nell'area complessiva del Mediterraneo una contrazione del PIL del 5,2 per cento, e quindi sostanzialmente una riduzione, rispetto alle previsioni effettuate nell'ottobre 2019, del 7,8 per cento. Era previsto infatti un tasso di crescita del 2,6 per cento. Abbiamo comunque una contrazione complessiva di 7,8 punti percentuali nell'area del Mediterraneo.
  Passiamo alla slide successiva (slide n. 4), dove c'è mappa della contrazione e della riduzione della crescita: come potete vedere da questa mappa, da questi dati, la riduzione ha riguardato soprattutto le economie petrolifere, però con una forte differenza. Le economie petrolifere dei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo hanno subito una contrazione del 6 per cento del PIL; le altre economie MENA (Middle East and North Africa), esportatrici di petrolio e di gas, subiranno invece una contrazione del 7,5 per cento. Uno degli elementi da considerare è quello che possiamo chiamare il «doppio shock», quindi la pandemia che si unisce, naturalmente, alla crisi dei mercati petroliferi e che colpisce particolarmente alcuni Paesi.
  L'ultima cifra è quella dei Paesi in conflitto e dei Paesi più fragili, che risentono di situazioni di conflitto, come Libia, Siria, Yemen e Palestina, che secondo il Fondo monetario internazionale subiranno una contrazione aggregata del 22,6 per cento.
  Nella slide n. 5 abbiamo anche voluto fare una riflessione sulla stabilità finanziaria di lungo periodo. Qui, come potete vedere, ci ritroviamo in situazioni che sono abbastanza note in Europa, anche con una crescita del debito pubblico che riguarda tutti questi Paesi: da una media regionale del 45 per cento del PIL nel 2019, c'è una Pag. 5proiezione che porta alla crescita, nel 2022, al 58 per cento del PIL. È comunque una cifra considerevole, perché indica sostanzialmente un aumento di circa il 20-25 per cento del debito pubblico rispetto al PIL in questi Paesi.
  L'altro dato fondamentale da tenere presente è l'impatto della pandemia sul commercio globale. Io credo che tutti coloro che seguono e si occupano di Mediterraneo conoscano uno dei temi di fondo, sul quale tornerò poi in seguito, che è la scarsissima integrazione economica e commerciale dei Paesi tra loro. Se non sbaglio, solo il 9 per cento del commercio totale è intra-regionale, e se vogliamo, riuscire ad attivare il commercio intra-regionale è uno dei nodi di fondo di qualunque strategia di sviluppo dell'area.
  Qui, come potete vedere (slide n. 6), abbiamo comunque una proiezione di circa il 40 per cento dell'interscambio dell'area MENA con il resto del mondo. Tutto questo interagisce con una situazione già di difficoltà di accesso a quei mercati, di mancato sviluppo del commercio intra-regionale. Questo è dovuto a tutta una serie di fattori strutturali, come le barriere non tariffarie, la normativa sugli investimenti o tutta una serie di fattori che incidono sulla capacità di integrazione di queste economie con il resto del mondo.
  Costo sociale della pandemia, povertà e diseguaglianza (slide n. 7): il tema di fondo, che è stato sviscerato anche in Italia, in Europa e negli altri Paesi che sono stati più colpiti dalla pandemia, è l'impatto sociale della pandemia in tema di crescita delle diseguaglianze. In una situazione di precarietà dell'economia e del mercato del lavoro è chiaro che l'impatto della pandemia, già sentito fortissimo in Europa e in altri Paesi colpiti dalla pandemia, ha un impatto ancora maggiore nei Paesi del Mediterraneo allargato, nei quali ci troviamo di fronte già a una situazione di precarietà e di informalità di questi mercati. Quello a cui assistiamo è un'ulteriore precarizzazione dell'economia e del mercato del lavoro, e un impatto sproporzionato sulle fasce più vulnerabili.
  Alcuni dei dati che abbiamo raccolto fanno stato, per esempio, della perdita di 1,7 milioni di posti di lavoro nell'area. C'è una proiezione di un aumento dei poveri. Per «poveri» si intende la quota di coloro che guadagnano meno di 5,5 dollari al giorno. C'è stato un aumento dei poveri nella regione dai 178 milioni pre-COVID ai 200 milioni post-COVID, su una popolazione stimata di circa 457 milioni.
  Abbiamo cercato anche di verificare l'impatto su differenti gruppi. Come vedete (slide n. 8), questo è l'impatto sui giovani: abbiamo una popolazione MENA con un'età inferiore di trent'anni che rappresenta più o meno il 60 per cento della popolazione, quindi è una popolazione molto giovane. Nell'area MENA oltre il 27 per cento dei giovani è disoccupato, ed è il tasso più alto di ogni altra regione del mondo. Si calcola che più o meno il 40 per cento dei circa 200 milioni di giovani della regione ha preso in considerazione o sta attivamente considerando di emigrare.
  Se poi guardiamo pure i dati che riguardano l'occupazione femminile, ci troviamo di fronte a una situazione altrettanto grave, a una situazione in cui si parla di una perdita complessiva di posti di lavoro di circa 700 mila in un'area in cui già il tasso di partecipazione della componente femminile è molto bassa. L'altro dato fondamentale è quello della disoccupazione delle giovani donne, che è più o meno il doppio rispetto a quella maschile.
  È evidente che di fronte a una situazione del genere il rischio complessivo della pandemia è quello del classico brain drain, la fuga di cervelli, la possibilità che alcune delle risorse migliori dell'area considerino di emigrare all'estero o di cercare altre opportunità di lavoro; questo, naturalmente, con un impatto sui flussi migratori, ma io direi con un impatto ancora più importante su quello che è il capitale complessivo del Paese in termini di risorse umane.
  L'ultima slide (slide n. 9) che vi mostro è molto specifica, e tuttavia permette delle considerazioni importanti di più lungo periodo, ed è l'impatto sul tema delle rimesse estere. Qui abbiamo messo solamente la Pag. 6parte che riguarda le rimesse estere provenienti dai Paesi del Golfo su certi Paesi. Noi osserviamo che, in linea di principio, c'è un calo delle rimesse estere a livello globale di circa il 20 per cento nel 2020 e proiezioni analoghe, se non peggiori, nel 2021. Questo ha delle conseguenze negative per quanto riguarda l'impatto positivo delle rimesse estere, che in alcuni Paesi hanno una funzione fondamentale per quanto riguarda educazione, istruzione, creazione di nuove imprese, collegamenti con i mercati europei occidentali.
  L'esempio che abbiamo preso dei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo è abbastanza significativo, perché riguarda Paesi con i quali si sono consolidati i rapporti o flussi; ma questa è una proiezione che acquista importanza in termini generali per quanto riguarda, in realtà, quello che saranno gli anni a venire, il 2021, il 2022, in cui, in collegamento anche con il rilancio della crescita globale, ci potrebbero essere conseguenze in termini di riduzione ulteriore delle rimesse a favore di questi Paesi.
  Io direi che questo conclude la prima parte della presentazione e passerei alla seconda parte, che riguarda gli sviluppi regionali. Tutti noi che stiamo vivendo le conseguenze della pandemia stiamo vivendo anche il proliferare di studi, ricerche, analisi, dichiarazioni sulla pandemia. La definizione più classica della pandemia è quella di «acceleratore di tendenze già in corso». Obiettivamente, questa definizione corrisponde alla verità. In realtà, capire le conseguenze della pandemia non era difficile guardando i maggiori trend degli ultimi dieci anni, sia nell'area del Mediterraneo allargato sia in generale per quello che riguarda la politica internazionale.
  Quello che noi possiamo vedere è innanzitutto una funzione della pandemia che io preferisco definire di «fragilizzazione»: in contesti già vulnerabili e fragili la pandemia agisce come ulteriore fragilizzatore, ma per tutta una serie di ragioni. Là, per esempio, abbiamo citato la competizione per l'accesso a risorse strategiche. È chiaro che la pandemia stia avendo tutta una serie di conseguenze su alcuni temi fondamentali, come per esempio tutte le dialettiche tra Stati autoritari e Stati democratici, l'accesso alle principali risorse, la decrescita globale che ha instaurato e così via.
  C'è un fattore sicuramente positivo, ma che va valutato con molta attenzione: tutte le limitazioni poste dalla pandemia hanno portato per certi versi ad un'attenuazione di alcuni contesti di crisi. Si tratta di valutare quanto questo sia un dato permanente e strutturale oppure non sia invece una conseguenza di tutte le limitazioni complessive che sono derivate dalla pandemia.
  In questa fase – che è la fase nella quale rischio di più ripetizioni con cose che sono note sicuramente alla Commissione e a tutti i suoi membri – io mi concentrerò su sei faglie geografiche e tematiche post-COVID, e poi su due temi fondamentali.
  La prima riguarda i teatri di crisi, che va guardata con molta attenzione per le conseguenze dell'impatto della crescente assertività turca e le tensioni nel Mediterraneo orientale; ma va guardata in un contesto complessivo sull'assertività turca in generale, che non riguarda solamente il contesto del Mediterraneo orientale, ma per esempio riguarda anche l'Asia centrale.
  Poi il processo di pace in Medio Oriente, gli Accordi di Abramo e le situazioni di instabilità nel Golfo Persico, sia nella variante sciita-sunnita sia nella variante che riguarda il mondo sunnita al suo interno, nella quale però abbiamo visto ultimamente degli aspetti positivi.
  Poi c'è un tema che secondo me è di grandissima importanza, e non lo dico da futuro Ambasciatore in Marocco e Mauritania: riguarda tutta la situazione del Sahel e le minacce ibride trasversali che attraversano quest'area.
  Infine, c'è un ultimo tema altrettanto importante, ma sul quale c'è un punto interrogativo su cui si interrogano esperti e diplomatici, che è la crisi dell'Islam politico come crisi irreversibile o invece – questo in realtà è già successo nella storia dell'Islam politico – come fase di congelamento, di letargo in questo momento, in attesa poi di una rinascita della sua agenda e delle sue priorità. Pag. 7
  Partendo dai principali teatri di crisi, non abbiamo assistito a una cessazione delle ostilità in Libia, Siria, Yemen e nelle altre aree di crisi, nonostante l'appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco globale post pandemia. Non voglio entrare in merito a tutti i principali teatri di crisi: resta l'annotazione dei progressi che si stanno registrando in Libia grazie anche al lavoro delle Nazioni Unite nell'ambito del processo di Berlino e all'azione che la diplomazia italiana continua a svolgere nell'area, anche in sostegno alle Nazioni Unite per il processo di Berlino.
  Sul Mediterraneo orientale c'è un tema di fondo che riguarda la Turchia, che è partner strategico dell'Unione europea e della NATO, ma nel tempo stesso sta sviluppando una politica estera molto assertiva in tutta una serie di aree tematiche che riguardano la cooperazione energetica regionale, ma poi il ruolo che sta svolgendo in Siria, e poi quello che sta svolgendo nell'Asia centrale.
  Gli Accordi di Abramo risultano, probabilmente, l'elemento di maggiore novità e di maggiore impatto nell'area, almeno per il momento, anche dal punto di vista trasformativo e di medio-lungo periodo. Noi stiamo assistendo ad un'accelerazione senza precedenti del processo di normalizzazione tra Israele e il mondo arabo. È chiaro, da questo punto di vista, che tutti noi e una parte della comunità internazionale guardiamo al collegamento tra quello che deve essere l'implementazione degli Accordi di Abramo e la ripresa del processo di pace palestinese, nella quale rimane prioritario il ripristino dei negoziati diretti tra le parti volti a raggiungere una soluzione a due Stati giusta, sostenibile e praticabile, in linea con il diritto internazionale.
  Una sola annotazione che posso fare su questo tema riguarda i Paesi coinvolti. Finora, come sapete, l'avvio della normalizzazione dei rapporti con Israele ha riguardato quattro Paesi: gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain, il Sudan e il Marocco. Ciascuna di queste situazioni ha una motivazione precisa e rientra anche in un percorso storico, politico e diplomatico.
  Il tema di fondo degli Accordi di Abramo è se si andrà oltre questi Paesi. Questi Paesi erano i Paesi forse elettivi in cui, per varie ragioni storiche, diplomatiche, di intelligence eccetera, questo processo era più prevedibile, più facile. La chiave di volta sarà nel momento in cui si andrà al di là di questi quattro Paesi.
  L'altro tema riguarda, come ho già accennato, i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo. Adesso abbiamo appena assistito al vertice di Al-Ula, con dei riflessi molto positivi dal punto di vista delle relazioni intra-sunnite e tra le grandi monarchie del Golfo. Alcuni Paesi hanno definito un inizio quello che è successo ad Al-Ula, un percorso che dovrà poi essere proseguito, perché rimangono poi una serie di contrasti e problemi tra alcuni di questi Paesi; ma si tratta sicuramente di uno sviluppo molto positivo.
  Poi resta il grande tema, che è quello del JSPOA (Joint Comprehensive Plan of Action), del rientro degli Stati Uniti nel JSPOA, del ruolo regionale dell'Iran e del riuscire a capire l'atteggiamento della nuova Amministrazione americana, che rimane veramente il punto interrogativo fondamentale, e del Congresso statunitense nei confronti del JSPOA. È una montagna russa nel rapporto tra Stati Uniti e Iran, nel cui ambito si tratterà di capire come la nuova Amministrazione statunitense deciderà di affrontare il dossier iraniano, la nomina di William Burns come capo della CIA. Come tutti sapete, William Burns è stato uno degli architetti o uno dei principali sostenitori del JSPOA e pone la discussione su un trend molto più positivo rispetto al passato.
  Prima di passare alla crisi dell'Islam politico, che è un tema fondamentale proprio per ragionare dal punto di vista delle strategie future, faccio solo un'annotazione rapidissima sul collegamento con la regione subsahariana, in particolare le regioni del Sahel e del Corno d'Africa. Qua c'è un tema di fondo in cui credo ci sia una consapevolezza sempre più forte da parte italiana e da parte europea delle interconnessioni geopolitiche che legano l'Africa alla stabilità del nostro continente, con Pag. 8tutti i temi trasversali che attraversano in realtà tutta la regione del Sahel dal punto di vista della sostenibilità ambientale, dalla lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, ai traffici illeciti, alla gestione dei flussi migratori e alla promozione dello sviluppo economico e sociale.
  Arrivo alla crisi dell'Islam politico, non perché sono stato Ambasciatore in Sudan ma perché ritengo veramente che – come sicuramente molti di voi sapranno – è stato il primo Paese governato dalla Fratellanza Musulmana dal 1989. C'è un tema di fondo che riguarda il legame tra il movimento e il partito, e quindi la capacità della Fratellanza Musulmana di essere innanzitutto movimento e di costruire una connessione, una cinghia di trasmissione fortissima tra vera società civile e politica.
  Da questo punto di vista, questa è una delle ragioni fondamentali del successo della Fratellanza Musulmana nelle primavere arabe del 2011, sicuramente non come iniziatore delle primavere arabe, che nascevano da motivazioni diverse; ma con abilità e grazie soprattutto al suo ruolo nelle società dei principali Paesi, è riuscita a svolgere un ruolo fondamentale in alcuni Paesi.
  Ora questo ruolo è in crisi, sia per gli egiziani ma sia, come si direbbe con altri termini, per la perdita di spinta propulsiva di certe istanze rivoluzionarie, e poi con le contraddizioni inevitabilmente collegate alla gestione del potere in alcuni Paesi – penso al Marocco, ma anche alla Tunisia – in cui adesso la Fratellanza Musulmana e in generale l'Islam politico si trovano a dover ripensare a sé stessi.
  Resta un tema di fondo, e questo lo abbiamo visto per esempio nel ruolo molto limitato che in realtà ha avuto l'Islam politico nelle proteste nel 2018 e 2019. Tornerò sulle proteste del 2018 e 2019 perché ci aiutano a capire qual è l'agenda del futuro per questi Paesi, ma mi limito solamente ad attirare l'attenzione su questo sondaggio (slide n. 16) in cui si è chiesto a giovani che avevano partecipato ai movimenti del 2018 e 2019 quanto era importante la religione e quale ruolo deve giocare la religione nel Medio Oriente. Come vedete, in realtà la risposta è molto negativa, nel senso che il 66 per cento dei giovani intervistati crede che la religione rivesta un ruolo troppo importante nella loro società.
  Gli ultimi due temi, che non sono faglie nel Mediterraneo allargato, non riflettono conflitti, ma sono due interrogativi, due temi di fondo: uno, innanzitutto, è una riflessione obbligata sul futuro ruolo degli Stati Uniti nel Mediterraneo allargato, e soprattutto sul futuro ruolo che vorrà svolgere la Presidenza di Joe Biden. Io sono convinto che nessuno di noi possa aspettarsi un ritorno al passato, ma per «passato» intendo quindici anni fa, e quindi un ruolo molto assertivo, di punto di riferimento fondamentale per il Mediterraneo e il Medio Oriente.
  In realtà è finita l'epoca in cui gli Stati Uniti erano la superpotenza principale di riferimento, alla quale veniva conferita una delega permanente sulla risoluzione di tutti i problemi. Questo per una serie di ragioni storiche: sicuramente il Pivot to Asia del Presidente Obama, ma in realtà anche una valutazione sul cambiamento degli equilibri geopolitici, l'importanza che riveste sempre di più l'asse pacifico per gli Stati Uniti eccetera.
  Per tutta una serie di ragioni non possiamo aspettarci gli Stati Uniti come potenza di riferimento fondamentale per il Medio Oriente e il Mediterraneo. Da questo deriva che la responsabilità di ciò che accade nel nostro vicinato meridionale è in primo luogo dei popoli che ci vivono, ma è ormai sempre di più una responsabilità soprattutto europea, secondo l'assioma per cui la stabilità e prosperità del Mediterraneo allargato è anche condizione per la nostra stabilità e prosperità.
  Qui si apre un altro tema, che naturalmente va molto al di là di questa audizione, che riguarda il tema dell'autonomia strategica dell'UE. È evidente che un rafforzamento dell'autonomia strategica dell'UE in questo contesto non è più rinnovabile. C'è un tema di fondo, che deve essere la nostra capacità come Unione europea di poter pianificare e intervenire rapidamente e con efficacia nel nostro vicinato. Tutto questo a maggior ragione con la nuova Amministrazione statunitense, nella quale troveremo Pag. 9un interlocutore attento e sicuramente responsabile nei confronti di quelle che sono le dinamiche che riguardano quest'area. L'autonomia strategica deve essere comunque sviluppata nell'ambito di un partenariato transatlantico ancora più forte e basato sui principi di condivisione degli oneri e delle responsabilità.
  Arrivo alla terza parte, che riguarda le strategie di medio e lungo periodo. Per ragionare su questa parte io ho pensato innanzitutto di partire dalle proteste del 2018 e 2019. Come avevo accennato, in realtà le proteste del 2018 e 2019 sono state guidate principalmente da giovani in cerca di giustizia sociale, e all'interno delle proteste hanno giocato un ruolo molto modesto fattori religiosi e ideologici. In realtà, si può creare un parallelismo, sul quale tornerò, su proteste e su situazioni di disagio che caratterizzano anche il nostro continente. Là c'è una catena di collegamento che è data anche dal ruolo delle diaspore.
  Le diaspore di questi Paesi sono molto più collegate all'Europa di quanto lo fossero le diaspore nel passato. Sono molto più collegate e molto attive. All'interno dei movimenti e delle proteste in questi Paesi, possiamo trovare moltissimi elementi che accomunano anche proteste in Europa e negli altri Paesi occidentali.
  C'è un altro parallelismo, che è ovvio. Il COVID è innanzitutto una grande sfida, ma è anche una grande opportunità di trasformazione e di accelerazione di alcuni dei processi di trasformazione politica, sociale, economica, tecnologica e ambientale dell'area. Può far avviare processi di riforma nei Paesi MENA – qui c'è il doppio parallelismo – nello stesso senso in cui in Europa stiamo cercando di avviare dei processi di riforma che incidano sulla crescita di medio-lungo periodo.
  Ogni visione strategica parte da due elementi fondamentali. Uno innanzitutto è il chi siamo, chi siamo come Paese, come Unione europea, la condivisione di valori e interessi. È quella che io in altre circostanze definisco l'«identità nazionale», i valori e gli interessi che l'Italia e l'Europa vogliono difendere. L'altro elemento fondamentale è la comprensione dei processi che stanno disegnando il futuro. Io ho già parlato delle macro-tendenze che stanno disegnando il futuro dell'area del Mediterraneo allargato e accennerò qualche cosa sulle faglie storiche comunque esistenti nella regione.
  Non mi trattengo troppo sull'idea di identità nazionale, però attiro in particolare l'attenzione su tre punti. Uno: una parte essenziale della nostra identità come Paese, come attore di politica estera, è il patrimonio dei diritti fondamentali, delle regole democratiche, delle istituzioni e delle norme elaborate nel secondo dopoguerra, che sono incardinate sia nella Costituzione sia nei trattati, ma anche – questo è un tema fondamentale per disegnare le strategie per il futuro del Mediterraneo allargato – la condivisione di un modello sociale.
  Quello che è all'interno della Costituzione italiana era sostanzialmente la capacità di sintesi tra diritti politici e diritti socioeconomici. In particolare, a partire dagli anni 2000, questa sinergia che ha funzionato e ha aiutato determinati modelli di sviluppo è entrata in un certo momento in crisi. Come portatori di una visione strategica per il futuro dell'area del Mediterraneo allargato noi dobbiamo farci di nuovo promotori di questa visione, di questa sinergia tra diritti politici e diritti socioeconomici, dell'importanza che riveste l'area del vicinato Sud per un Paese come l'Italia, ma anche per l'Unione europea, e dell'adesione al multilateralismo, ordine liberale e internazionale. Tutto questo è il chi siamo.
  L'altra componente fondamentale è il comprendere dove andiamo ad agire. Ragionare su un'area come il Mediterraneo allargato ci obbliga a ragionare non solo su quelle che sono le conseguenze del COVID e sui cambiamenti e sull'impatto socioeconomico, ma anche su quelle che sono una serie di faglie preesistenti già alle primavere arabe del 2011 e all'origine delle primavere arabe del 2011, ma che a distanza di dieci anni non si sono attenuate e sono diventate in alcuni casi ancora più forti, complice anche da ultimo il COVID. Pag. 10
  C'è poi tutta la dialettica tra autoritarismo e democrazia, tra governanti e governati, in alcuni Paesi tra chi è dentro e chi è fuori il sistema, cioè tra chi è dentro il sistema ed è in grado di influenzare il sistema e di ricavarne comunque benefici per sé, per la propria famiglia, per il proprio gruppo, e chi è fuori dal sistema e non ha alcuna possibilità o speranza. Il tema è collegato a delle diseguaglianze socioeconomiche.
  Tema altrettanto fondamentale e che è all'origine di parte delle proteste del 2018 e 2019 è quello del gap generazionale. Abbiamo i giovani contro i vecchi. Chi è riuscito a creare situazioni di immanenza all'interno del potere, ma anche all'interno di amministrazioni pubbliche, le ha sfruttate a proprio vantaggio. I nuovi, i giovani che stanno arrivando, non hanno accesso a queste possibilità. Poi si aggiungono il tema della dialettica tra sunniti e sciiti, la questione dell'Islam politico e la situazione della divaricazione tra centri urbani e realtà rurali.
  Partendo da questo, io direi che una visione strategica di medio-lungo periodo per il nostro Paese e per l'Europa debba essere basata su cinque aree prioritarie. Il primissimo tema è la resilienza come concetto strategico. Il significato di «resilienza» ormai è entrato nel linguaggio comune. Questo solo per un aneddoto, per rendere anche l'audizione man mano più vivace: in realtà, tutta la discussione sulla resilienza cominciò nel momento in cui ci trovammo a negoziare la strategia globale dell'Unione europea. Ci fu una divisione all'interno di vari Paesi sul tema della resilienza istituzionale. La resilienza è sostanzialmente la capacità di un sistema di resistere alle pressioni e di reagire in maniera positiva alle pressioni o a determinati shock. Ci fu una divisione netta tra alcuni Paesi che insistevano per dare maggior rilievo alla resilienza istituzionale e altri Paesi che insistevano soprattutto sul tema della resilienza socioeconomica. Fu una discussione che poi trovò un compromesso.
  All'epoca io ero il contact point internazionale per la strategia globale UE e devo dire che noi insistevamo in particolare sul tema della resilienza socioeconomica. La resilienza socioeconomica nella nostra visione era la capacità del Paese di rispondere ai bisogni essenziali attraverso determinati servizi essenziali alla propria popolazione, cioè la capacità dello Stato di rispettare il patto che dovrebbe sempre esserci con i suoi cittadini. In questi servizi essenziali la sanità occupava il primo posto. Sanità, educazione, sicurezza alimentare: questi erano i temi di fondo. Dopo il COVID e negli scenari che ho delineato poco prima per il futuro, il tema della resilienza come resilienza sociale, economica, verde, digitale acquista una rilevanza fondamentale per il futuro dell'area.
  Un altro tema fondamentale, un'altra direttiva strategica, è quello della sicurezza euromediterranea, ma in un contesto globale, che tenga conto della situazione dell'area, dei collegamenti tra l'area e alcune regioni particolarmente fragili e vulnerabili come il Sahel e il Corno d'Africa. Da questo punto di vista, l'unica strategia è quella di riuscire a mettere a sistema quelli che sono i contributi delle principali organizzazioni, ma anche di costruire, anche attraverso l'autonomia strategica dell'Ue, una nostra capacità di pianificare e intervenire in determinate situazioni.
  I punti di riferimento, da questo punto di vista, sono i processi a guida ONU, la dimensione mediterranea dell'OSCE, ma io direi che gli altri due elementi fondamentali sono innanzitutto il ruolo della NATO nel Mediterraneo, e quindi tutto il dibattito sul fianco Sud sul quale si sono fatti in questi due o tre anni dei progressi fondamentali, inimmaginabili fino a due tre anni fa – la discussione sul fianco Sud della NATO però è una discussione che deve coinvolgere sempre di più anche la regione del Sahel, che riveste al momento forse l'interrogativo principale dal punto di vista delle politiche di sicurezza – e la dimensione UE. Direttamente, ma non solo, collegata al tema dell'autonomia strategica dell'UE è la capacità che noi dobbiamo avere di poter pianificare e intervenire in aree di crisi o di conflitto.
  Altro tema, e mi sto avvicinando alla conclusione, è quello della revisione strategica Pag. 11 della politica di Vicinato meridionale, e quindi innanzitutto di cercare una quadratura di quello che è il principale strumento della politica di Vicinato, di azione dell'Unione europea nei confronti del proprio vicinato.
  Qui noi abbiamo proposto la nozione di «beni pubblici mediterranei», che secondo me è strettamente associata al tema della resilienza. Se la resilienza significa aiutare questi Paesi a rispondere al meglio alle richieste e ai bisogni dei propri cittadini, a darsi una forza strutturale nella gestione dei propri servizi nei confronti dei cittadini, il tema dei beni pubblici mediterranei significa arrivare a un livello ancora più alto, che è quello della condivisione di certi beni pubblici mediterranei: la salute, ma sicuramente l'ambiente; tutti noi pensiamo al Mar Mediterraneo e a un ecosistema preziosissimo, ma anche ai temi della connettività e dello sviluppo del digitale. Il tema dei beni pubblici mediterranei è il tema di come gestire insieme risorse tangibili e intangibili e creare un grande partenariato con i Paesi dell'area.
  L'altro pilastro del tema è quello dell'integrazione economica e commerciale. Nel momento in cui si è cominciato a ragionare sulle opportunità derivanti dalla sfida del COVID, uno dei temi che a un certo punto è stato di grande discussione, anche perché è stato riproposto da uno dei principali politologi, Parag Khanna, è stato quello della regionalizzazione delle catene globali del valore. Sostanzialmente, di fronte ai problemi di approvvigionamento su alcuni beni che si sono riscontrati nelle primissime fasi del COVID, ci siamo ritrovati a un certo punto a ragionare sul fatto che forse non era necessario che queste catene del valore fossero così estese, ma si potesse ragionare o su una rilocalizzazione in Europa o sulla creazione di nuovi partenariati più vicini. Per un Paese come l'Italia e per l'Europa, questa è un'opportunità che riguarda direttamente la regione del Mediterraneo e il ragionamento su come rendere una parte delle catene globali del valore più vicina, come renderle più corte, e da questo punto di vista favorire anche gli investimenti e uno sviluppo di alcuni settori nel Mediterraneo.
  Non aggiungo quello che ho già detto sul tema del commercio intra-regionale, che è uno dei grandissimi punti interrogativi.
  Prima di passare al tema dello sviluppo della koinè mediterranea, parlo di un altro tema fondamentale. Nel momento in cui noi ragioniamo su un'area integrata economico-commerciale euromediterranea, noi ragioniamo su un'area che è comunque lo snodo principale di tre continenti: Asia, Europa e Africa. Interesse fondamentale del nostro Paese è riuscire a sviluppare un'area di prosperità anche attraverso una maggiore integrazione all'interno di quest'area.
  Una visione che sia basata solamente su un'area di libero scambio vista come qualcosa che possa danneggiare le nostre produzioni, il nostro Paese o certi settori della nostra economia è una visione a mio avviso miope, perché non tiene conto invece di quello che è il ruolo che stanno svolgendo altri Paesi nell'area del Mediterraneo. Pensiamo solamente alla Cina, agli investimenti fatti, non solo al Pireo ma anche nel porto di Tangeri, e agli investimenti che stanno arrivando in alcuni di questi Paesi, in particolare da parte cinese, ma anche di altri Paesi.
  Infine, l'ultimo pilastro di questa visione strategica è lo sviluppo della koinè, quindi la capacità di riuscire a costruire un rapporto più strutturato e solido tra le società civili europee e del Mediterraneo. Se non sbaglio, una delle dichiarazioni del primo Segretario della Lega Araba riguardava proprio la capacità dell'Italia di costruire rapporti, di dialogare con questi Paesi. È uno di quei temi sui quali bisogna stare attenti, perché è una specie di autocompiacimento italiano al quale spesso noi ricorriamo; però c'è un dato reale di una capacità comunque italiana di riuscire a sviluppare legami, rapporti, a dialogare, di riuscire soprattutto a entrare un po' nella testa degli altri per cercare di stabilire un contatto e per cercare soluzioni insieme piuttosto che contro qualcuno.
  Non dico che è la fine del mio mandato come Direttore dell'Unità di analisi e programmazione, Pag. 12 ma ho organizzato, insieme ai colleghi dell'ISPI, cinque edizioni di MED dialogues. L'ultima che abbiamo organizzato si è appena svolta, con un risultato che è andato al di là delle nostre migliori aspettative. Molti di voi hanno partecipato ai MED dialogues, sono stati presenti, almeno fino all'edizione 2019.
  Nel momento in cui noi organizzavamo in altri tempi MED dialogues, una delle riunioni fondamentali era quella con il Ministro per decidere quali bilaterali lui faceva sulla base degli ospiti di MED dialogues. Di fatto con MED dialogues il Ministro degli Esteri italiano incontra praticamente almeno lo stesso numero di Ministri che incontra l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il problema di fondo è riuscire a mettere insieme quindici-sedici bilaterali.
  MED dialogues è diventato ormai un appuntamento annuale in cui l'Italia è al centro di tutte le principali dinamiche di politica estera e di creazione della stabilità nell'area del Mediterraneo allargato. Di fatto è ormai il principale strumento di soft power del nostro Paese nel Mediterraneo, tra le più importanti conferenze del mondo. Là ci sono i dati (slide n. 29). Oscilliamo tra secondo e terzo posto. Nel 2017 siamo restati al secondo posto e anche nel 2016. Poi ci sono i numeri delle partecipazioni: 2015 e 2019, 150 ospiti istituzionali, oltre 4 mila partecipanti e oltre 250 relatori in oltre 200 sessioni.
  Quest'anno è stato forse il MED dialogue più difficile che ho dovuto organizzare, senza alcun dubbio, anche perché fino all'ultimo noi abbiamo sperato di avere almeno un giorno in presenza. Ci siamo resi conto che non era possibile a settembre/ottobre, quando ormai stava cominciando la seconda ondata, e quindi abbiamo deciso di puntare tutto su un evento virtuale. Nel 2020 abbiamo avuto un'edizione tutta virtuale con ventotto eventi preparatori a partire da aprile/maggio fino a novembre, con quaranta eventi in otto giorni. Abbiamo raggiunto circa 90 milioni di utenti nel mondo ed è stato probabilmente uno dei più grandi eventi virtuali mai organizzati, sia come durata sia come numero di partecipazioni. Ricordo l'incontro con il presidente Fassino proprio qui accanto. Lui mi disse: «Ma perché non organizziamo di nuovo un parliamentary Forum?».
  Prima di parlare di uno degli elementi fondamentali di MED dialogues passo all'ultima scheda (slide n. 32): qui potete vedere un po' di numeri di MED dialogues di quest'anno. Quando cominciavano ad arrivare questi numeri, noi stessi non ci credevamo. Sono numeri importanti, in particolare quelli di Facebook, ma io credo che la parte fondamentale siano i numeri delle visualizzazioni video, perché tuttora poi MED dialogues è perfettamente fruibile. Chiunque voglia ascoltare quello che si è discusso in un determinato panel può andare sul sito e verificare. Da questo punto di vista io credo che rappresenti una specie di biblioteca virtuale fondamentale per ragionare su alcuni dei temi critici o più importanti per la politica estera italiana ed europea del Mediterraneo allargato. Tutti i temi, tutti i principali aspetti sono presenti. Quest'anno praticamente abbiamo avuto tutti o quasi i Ministri degli Esteri del Mediterraneo allargato, e tutti hanno insistito per essere presenti a svolgere i loro interventi.
  Chiudo con un'ultima riflessione sul tema della koinè. In realtà, come è stato fatto per la riunione dei presidenti delle Commissioni, è stato fatto lo stesso con i giovani, è stato fatto lo stesso con le donne, è stato fatto lo stesso con il business Forum.
  L'abbiamo fatto noi a livello di policy plan, è stato fatto lo stesso all'interno del mondo della cooperazione. Con MED dialogues sostanzialmente abbiamo creato una grande comunità che sa che ogni anno, nel momento in cui si deve discutere di Mediterraneo, il posto dove discutere di Mediterraneo, dove venire, dove avere incontri eccetera è Roma, all'interno dell'evento che è organizzato dal Ministero degli Esteri e dall'ISPI.
  Con questo ho chiuso il mio intervento. Spero di non essere stato troppo lungo e di aver dato comunque degli elementi utili.

  PRESIDENTE. Va bene. Grazie, Ministro Barucco. Direi che il Suo intervento è stato di straordinario interesse per il nostro Pag. 13 lavoro, perché la Sua audizione è all'interno di un'indagine conoscitiva che si dovrà concludere anche con la stesura di un rapporto finale. Le considerazioni, le informazioni e le valutazioni che Lei ha dato saranno molto preziose. Tra l'altro Le chiederei di poter disporre delle slides, in modo tale che anche da lì possiamo desumere una serie di dati.
  Possiamo passare la parola ai commissari. L'onorevole Quartapelle Procopio.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Anche io ringrazio molto il Ministro Barucco per la relazione estremamente ricca. Rispetto alle faglie di cui Lei ci parlava, sono faglie che vengono interpretate in modo diverso a livello europeo. Ne prendo ad esempio una, che è quella relativa all'Islam politico. I nostri Paesi più vicini, altre potenze mediterranee importanti – a partire dalla Francia – sembrano interpretarla in modo diverso dall'Italia. La domanda è semplice: dove sta esattamente il nostro interesse nazionale? Alcuni Paesi ritengono che stabilità, che è collegata ad autocrazia, venga prima di sostegno a movimenti democratici. Altri Paesi suggeriscono che è vero che c'è quel fermento di giovani, ma che è un fermento gestibile attraverso lo strumento dell'immigrazione. Vorrei qualche parola in più su questo.

  PRESIDENTE. Altri? Vorrei porre allora io una questione. Una delle dinamiche che noi abbiamo visto affermarsi negli ultimi tempi è una tendenza di molti Paesi a territorializzare il Mediterraneo. Si parte dalla vicenda delle piattaforme marittime per poi espandersi a una logica di influenza e di controllo di aree: la Turchia, l'Egitto e via di questo passo. Come si concilia questo con una strategia che invece tenda a favorire i processi di integrazione a livello regionale che giustamente Lei ha sollecitato? Questo tanto più in presenza del fatto che il livello di integrazione intra-regionale è bassissimo. Per fare l'esempio più banale, ci sono più voli da Casablanca a Parigi o a Roma che non da Casablanca ad Algeri. Si potrebbero fare tanti altri esempi. Di fronte a un rischio di territorializzazione e di segmentazione del Mediterraneo, come mettiamo in campo una strategia che vada nella direzione, invece, di aumentare il fattore di integrazione?
  A questo io aggiungo un'altra considerazione. Lei ha fatto riferimento, nella sua relazione, all'OSCE. L'OSCE è figlia degli accordi di Helsinki del '75 e della Conferenza per la sicurezza e la stabilità paneuropea, che coinvolge anche tutto il Mediterraneo.
  La vicenda Azerbaijan-Armenia ha dimostrato l'assoluta impotenza dell'OSCE, perché anche in un conflitto non così rilevante dal punto di vista degli equilibri geopolitici, l'OSCE non solo non è stata in grado di bloccare questa cosa, ma nemmeno di mettere in campo l'attività di mediazione per anni, anni e anni; ovviamente, non per limiti intrinseci dell'OSCE ma per il fattore di paralisi che Paesi membri dell'OSCE hanno fatto pesare. Però resta questo problema. Si pone oggi il problema di ricostruire un sistema di sicurezza collettivo nel Mediterraneo, tenuto conto che tra l'altro Helsinki è figlio del '75, cioè di un mondo che non c'è più. Dobbiamo fare i conti con un mondo totalmente cambiato.
  Legato a questo, lo stesso ragionamento per me si pone per l'Unione europea: l'Unione europea fa riferimento spesso a Barcellona, alla strategia euromediterranea. È del 1995, nel frattempo è cambiato il mondo ed è cambiato il Mediterraneo. Non è tempo di pensare a una nuova strategia europea per il Mediterraneo? In questo l'Italia non può essere un Paese che assolve a un ruolo più di punta, di sollecitazione, nei confronti dell'Unione perché si costruisca una strategia europea aggiornata? Ricostruire un sistema di sicurezza, ricostruire una strategia europea io lo metto molto in connessione alla territorializzazione, perché non vedo altro modo per contenere il rischio della territorializzazione che accrescere tutti i fattori di integrazione. Questo però vuol dire ricostruire gli elementi strategici fondamentali. Mi sembrava interessante porre questa questione e sapere il suo parere.

  PAOLO FORMENTINI. Io vorrei porre delle semplici domande. Ho ascoltato con interesse e ringrazio per l'esposizione. Ci Pag. 14ha presentato una visione completa, un quadro di valori. Ha tracciato una direzione verso la quale si dovrebbe andare, però i numeri sono impietosi: c'è una totale frammentazione del Mediterraneo. Nelle slides compariva il termine koinè, ma noi oggi siamo lontani, oserei dire anni luce, da quella koinè. Come si può ricostruire una koinè e che ruolo può avere l'Italia nel ricostruirla? Ancora, quale ruolo vede per l'Alleanza atlantica nel Mediterraneo, considerando i partenariati? Anche nelle slides ricorreva quella proiezione NATO nella regione del Sahel. Che ruolo può avere la NATO, dopo la Libia, in Africa e nel Mediterraneo? Grazie.

  MAURIZIO LUPI. Anch'io ringrazio veramente per la relazione e l'intervento dell'Ambasciatore Barucco. Ho una domanda molto puntuale, perché condivido l'impostazione che è stata data anche riguardo agli effetti post-COVID e al ruolo che l'Europa e l'Italia possono svolgere sul Mediterraneo allargato.
  Lei parlava, Ambasciatore, della discussione che c'era tra alcuni Paesi e altri sulla resilienza istituzionale e la resilienza socioeconomica. Credo che il Governo e l'Italia abbiano fatto assolutamente bene. Lo si comprende tanto più anche rispetto al quadro che Lei ci ha fatto oggi. La strada fondamentale è certamente quella.
  La domanda, anche per la Sua autorevole esperienza e per quello che andrà a svolgere – intanto auguri di buon lavoro – è questa. Nella storia l'Italia, in particolare, e l'Europa hanno sempre avuto una percezione, una responsabilità riguardo alla presenza socioeconomica, totalmente diversa da quella di altri Paesi. Lei ha fatto l'esempio della Cina, della Turchia e di altri Paesi. Per noi la collaborazione, lo sviluppo e la creazione di valore sul territorio – lo ha detto anche Lei nella sua relazione – e la formazione della persona sono alcuni degli elementi fondamentali della stessa collaborazione economica.
  Siano ancora percepiti così? Più che colonizzare, che prendere e portare, la nostra forza, anche delle nostre imprese, è sempre stata quella di portare know-how, di creare valore aggiunto sul territorio e su questo creare e rafforzare relazioni fondamentali. Ho parlato più dell'Italia che del resto, ma comunque era una delle caratteristiche anche dell'Europa. Volevo sapere, per l'esperienza che Lei ha avuto in questi anni, anche con il MED eccetera, se siamo ancora percepiti così, tanto più dopo il COVID. Questa potrebbe essere non solo la carta vincente di un ruolo da protagonista, ma anche la possibilità di un Mediterraneo allargato o di popoli che non vedano poi la fuga dei cervelli, i fenomeni migratori, le tensioni sociali eccetera. Spero si sia capita la domanda, ma mi interessa comprendere se abbiamo perso questa forza e se comunque questa secondo Lei è la strada, sviluppandola e attualizzandola, che noi dobbiamo percorrere.

  PRESIDENTE. Prego, Ministro, per la replica.

  ARMANDO BARUCCO, Capo dell'Unità di analisi, programmazione, statistica e documentazione storica del MAECI. Grazie mille. Sono tutte domande molto interessanti. Io risponderò nei limiti delle mie scarse competenze e delle mie scarse conoscenze. Cerco di andare punto per punto.
  Il primo tema è quello delle faglie, e la questione di fondo delle diverse strategie e della diversa visione che hanno alcuni Paesi europei sul tema dell'Islam politico. Volendo semplificare, l'Islam politico ha avuto fondamentalmente due strade. Ha avuto la strada violenta, radicale, di estremizzazione, che poi ha portato a Daesh, ad Al Qaida eccetera, anche a tutti i movimenti terroristici; ma c'è tutta una componente dell'Islam politico che è una componente che poi si è instradata attraverso processi costituzionali, elettorali, in cui esponenti della Fratellanza Musulmana si sono poi imposti alle elezioni, hanno guidato Governi, hanno promosso processi di riforma costituzionale in cui alcune delle parole d'ordine dell'Islam politico sono state modificate.
  Io credo che è vero che da questo punto di vista c'è una visione diversa del ruolo dell'Islam politico tra Paesi europei. Non dobbiamo dimenticare che ci sono Paesi Pag. 15europei che hanno vissuto dei traumi, come la Francia, anche dal punto di vista degli attentati, della violenza terroristica sul suo territorio; per cui è inevitabile che le priorità della sicurezza o una certa visione delle dinamiche di sicurezza trovino maggiore forza in questi attentati, in questa esperienza del Paese.
  C'è un tema fondamentale che riguarda l'Islam politico ed è la capacità, in certe fasi della storia di certi Paesi, di riempire dei vuoti. Erano i vuoti che riguardavano sostanzialmente la struttura sanitaria, la struttura educativa eccetera. L'Islam politico non nasce dal nulla. Esso si sviluppa su una situazione di carenza e di incapacità degli Stati a far fronte a determinate esigenze dei loro cittadini. Crea una rete assistenziale fortissima e radicatissima e quindi risponde a delle esigenze reali. Risponde, tra l'altro, a uno dei temi fondamentali dell'Islam, che è il tema della giustizia sociale. L'Islam politico è quello che è riuscito – a fini opportunistici o strumentali in alcuni casi, in altri in buona fede – a rispondere a questa esigenza di giustizia sociale che è molto sentita in tutto il mondo islamico.
  Nel momento in cui noi diamo la capacità a questi Paesi di rispondere a queste esigenze, lo stesso Islam politico si trova a dover cambiare al proprio interno. Noi vediamo, per esempio, il cammino di Ennahda in Tunisia e i progressi che sono stati fatti anche su temi fondamentali come quello del ruolo della Sharia come fonte di diritto. Noi capiamo che l'Islam politico diventa qualcosa di diverso, ma diventa qualcosa che può contribuire anche a processi di democratizzazione all'interno dei Paesi.
  Un tema fondamentale che è stato sollevato dall'onorevole Quartapelle Procopio è quello del trade-off tra democrazia e sicurezza. Nel momento in cui noi delineiamo una politica estera italiana basata su un'identità forte, nazionale, una parte fondamentale della nostra identità è la nostra storia, ed è il tema del rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali, della democrazia, dello Stato di diritto.
  In questi anni, anche come conseguenza della crisi del 2014, 2015, 2016, della crisi siriana, del ruolo di Daesh, c'è stato un trade-off tra sicurezza e democrazia nella visione di alcuni Paesi. Questa può essere forse una strategia di breve termine. Sicuramente non è una strategia di lungo termine. Inevitabilmente alcuni dei nodi principali che riguardano i processi democratici, il rispetto dei diritti umani eccetera, poi alla fine vengono sempre al pettine. Volendo sostenere un percorso di crescita di più lungo termine e di maggiore sostenibilità, l'equilibrio del trade-off tra democrazia e sicurezza che si è avuto in questi anni deve cambiare a favore di democrazia e rispetto dei diritti umani.
  Secondo punto, la territorializzazione del Mediterraneo ed i processi di integrazione regionali. Questo, però, in realtà è come se fosse una specie di grande domanda che riguarda il sistema di sicurezza collettivo e riguarda anche la politica di vicinato nel Mediterraneo. Il tema di fondo è quello di riuscire a costruire delle comunità di interessi nella gestione di quelli che abbiamo chiamato alcuni dei «beni fondamentali», dei «beni pubblici comuni» dell'area del Mediterraneo.
  È chiaro che riuscire a costruire questo tipo di solidarietà è un compito primario per l'Unione europea. Adesso noi ci ritroveremo di fronte, nei prossimi quattro anni, a uno scenario diverso, con un'Amministrazione statunitense sicuramente molto più simpatetica nei confronti di certi problemi e di certe tematiche di certe aree. Ci troveremo a dover affrontare una serie di temi di fondo. Uno dei temi di fondo è la Turchia e quale ruolo intende svolgere la Turchia all'interno del Mediterraneo. Noi vediamo l'abilità della Turchia di agire su differenti terreni, di agire su determinate aree con rapidità sulla base dei loro interessi eccetera. Tema fondamentale è riuscire a riportare la Turchia al ruolo naturale di partner della NATO e dell'Unione europea.
  Chiudo sul sistema di sicurezza collettiva e sul tema della politica di Vicinato nel Mediterraneo. Io sono d'accordissimo col presidente Fassino: in realtà la politica di Vicinato è un po' un prodotto italiano, perché è nata sotto la Presidenza Prodi Pag. 16della Commissione europea, ed è una cosa di cui il Presidente Prodi va comunque sempre molto fiero. Rispondeva a una fase storica fondamentale. Io stesso mi interrogo se questa nozione sia ancora concepibile ed è uno dei temi, per esempio, che Emma Bonino riprende sempre. È ancora concepibile avere una politica di Vicinato che riguarda sia l'Europa sia il Vicinato orientale e il Vicinato meridionale? O non è il momento ormai di pensare a una politica europea per il Mediterraneo separata? Io credo che sia arrivato il momento.
  In questo ambito c'è tutto il tema della costruzione del sistema di sicurezza collettivo, che deve essere affrontato nel contempo. Nel momento in cui noi abbiamo il fallimento di tutti i tentativi di integrazione regionale finora nel Mediterraneo, se questo è l'obiettivo al quale dobbiamo mirare si tratta probabilmente ancora di capire quando ci saranno le condizioni mature per arrivare a un sistema del genere. Mi dispiace di non poter dire molto di più, ma purtroppo è il quadro della situazione attuale. È sicuramente uno degli obiettivi in cui è comunque essenziale per l'Europa e per l'Italia prodigare i maggiori sforzi possibili.
  Infine, le ultime due domande. C'è il tema della koinè, di come ricostruire questo senso di comunità. In realtà, è un lavoro che già si sta facendo e che ha probabilmente un impatto diverso a seconda dei Paesi. Io sono convinto che la capacità di costruire anche una rete di rapporti a livello di società civile, a livello di imprese, a livello di un sistema di sicurezza, sia uno di quegli elementi della costruzione di questa koinè che deve essere parte di una strategia complessiva di partenariato.
  Noi cerchiamo di concentrarci sui grandi processi geopolitici e di ragionare su un sistema di sicurezza collettivo, sulla grande organizzazione che assicura il luogo dove ci si possa incontrare e parlare delle principali sfide; ma la realtà è che già sono operanti una serie di reti che mettono insieme imprenditori, giovani, donne, funzionari, che già collegano tutti i Paesi del Mediterraneo con l'Europa. Si tratta di continuare a sviluppare queste reti; pensiamo solamente alla rete dei sindaci, ma pensiamo anche agli esperimenti interparlamentari, a uno strumento come il MED dialogues, che comunque crea in questi tre o quattro giorni in cui ci si riunisce a Roma tutta una serie di incontri e di possibilità di incontro a tutti i livelli che costruiscono insieme questa koinè.
  Ultimo punto: è vero che l'Italia mantiene ancora questa sua capacità di creare valore aggiunto sul territorio, cioè di non essere percepita come il colonizzatore o il neo colonizzatore, come l'estrattore di risorse rispetto ad altri Paesi? Sì, sicuramente sì. Ancora noi veniamo percepiti così. È una percezione che varia anche in base alle esperienze storiche dei Paesi, in base al ruolo che il nostro Paese ha svolto in passato. Questo è un tema fondamentale che non bisognerebbe mai dimenticare. La storia del Mediterraneo svolge un ruolo fondamentale ancora nella memoria dei popoli e nella memoria delle élites. Il nostro Paese in alcune realtà viene giudicato anche sulla base della sua storia e di quello che di buono e a volte di cattivo ha fatto in quei Paesi.

  PRESIDENTE. Va bene. Grazie, Ministro Barucco, anche per queste Sue considerazioni finali. Lei aveva una relazione, ho visto che stava leggendo. Quel testo o un testo che Lei ci voglia trasmettere può essere interessante, unitamente alle slides, che saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.20.

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