XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 23 di Giovedì 5 novembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fassino Piero , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO
Fassino Piero , Presidente ... 2 
Zappia Maria Angela , Rappresentante Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York ... 3 
Fassino Piero , Presidente ... 8 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 8 
Fantinati Mattia (M5S)  ... 9 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 9 
Valentini Valentino (FI)  ... 10 
Fassino Piero , Presidente ... 11 
Zappia Maria Angela , Rappresentante Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York ... 12 
Fassino Piero , Presidente ... 15 
Zappia Maria Angela , Rappresentante Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York ... 15 
Fassino Piero , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIERO FASSINO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, della Rappresentante Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York, Ambasciatrice Maria Angela Zappia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità del Mediterraneo, l'audizione della Rappresentante Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York, l'Ambasciatrice Mariangela Zappia, che ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  Peraltro, avevamo già audito l'Ambasciatrice nel maggio scorso sul ruolo della cooperazione multilaterale nella risposta internazionale alla pandemia di COVID-19. Già in quella sede era emerso il ruolo della Rappresentanza Permanente presso le Nazioni Unite di New York come snodo essenziale per cogliere la complessità del dibattito a livello multilaterale e soprattutto per costruire una nuova assertività internazionale del nostro Paese.
  In una fase segnata da una crescente polarizzazione a livello globale, l'Italia ha mantenuto una linea coerente di sostegno al multilateralismo come strumento più adeguato per affrontare le sfide poste dalla pandemia, dalla cooperazione in campo scientifico e sanitario al rilancio dell'economia.
  Al riguardo, occorre segnalare che dopo mesi di negoziati l'Assemblea Generale dell'ONU ha approvato una risoluzione dove si afferma la necessità di una risposta coordinata all'emergenza sanitaria e si esprime sostegno all'appello del Segretario Generale Guterres per un cessate il fuoco globale.
  Venendo ai temi che sono al centro dell'audizione, che è nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche del Mediterraneo, merita segnalare che la quasi totalità delle risoluzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel corso del 2020 ha riguardato l'area del Mediterraneo allargato, dallo stretto di Hormuz allo stretto di Gibilterra, area che, come noi sappiamo, è caratterizzata da una sequenza di instabilità e di conflitti: la criticità iraniana, la fragilità dell'Iraq, il conflitto in Siria, la guerra civile in Yemen, l'instabilità in Libano e nel Corno d'Africa, la guerra in Libia, l'instabilità nella regione del Sahel, in Algeria e in Tunisia.
  Proprio con riguardo alla Libia, segnalo che il 15 settembre scorso il Consiglio di Sicurezza ha approvato con tredici voti favorevoli, nessuno contrario e due astensioni – le due astensioni erano di Cina e Russia – una risoluzione con la quale si proroga di un anno, fino al 15 settembre 2021, il mandato della missione UNSMIL (United Nations Support Mission in Lybia), che, lo ricordo, ha il compito di assistere e sostenere gli sforzi nazionali libici nella fase successiva al conflitto e cooperare per il ripristino della sicurezza e l'ordine pubblico attraverso l'affermazione dello Stato di diritto, il dialogo politico e la riconciliazione Pag. 3 nazionale. Nella risoluzione si chiede contestualmente al Segretario Generale Guterres di nominare senza indugio il suo Inviato Speciale in sostituzione del dimissionario Ghassan Salamé, che ha lasciato il proprio incarico il 2 marzo scorso ed è temporaneamente sostituito dal Vice Rappresentante Stephanie Williams.
  Altrettanto rilievo, alla luce della crescente instabilità nel Mediterraneo orientale, determinata dalla politica aggressiva di Erdogan, assume la risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 28 luglio scorso, che prevede il rinnovo del mandato delle unità di peacekeeping delle Nazioni Unite a Cipro per altri sei mesi ed esorta tutte le parti coinvolte a rinnovare il proprio impegno verso una soluzione politica sotto l'egida delle Nazioni Unite.
  Ho fatto riferimento solo a due risoluzioni su due principali dossier, ma in realtà la stragrande maggioranza dei pronunciamenti degli atti di indirizzo del Consiglio di Sicurezza è stata dedicata al Mediterraneo nei mesi scorsi, a conferma della centralità che ha questo bacino per la sicurezza e la stabilità del continente e del mondo intero.
  Detto questo, ringrazio ancora l'Ambasciatrice Zappia e Le do la parola per il suo intervento, che chiederei di realizzare e contenere in venti minuti circa, in modo da dare poi la possibilità ai commissari di porre domande e questioni. A Lei la parola, Ambasciatrice.

  MARIA ANGELA ZAPPIA, Rappresentante Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York. Grazie, presidente, e grazie alla Commissione Affari esteri per l'opportunità di contribuire a questa importante indagine conoscitiva sulla pace e la stabilità nel Mediterraneo dalla prospettiva onusiana. Grazie anche per la sua introduzione, Presidente, che ben situa le problematiche e il ruolo dell'Italia in un'area così complessa. Ringrazio gli onorevoli deputate e deputati per l'attenzione che viene data a questo osservatorio, che è effettivamente un osservatorio importante da sempre, un osservatorio privilegiato delle dinamiche complesse che attraversano la regione del Mediterraneo allargato.
  Non dimentichiamo che è il luogo da cui, con l'Arab human development report del 2002, è partito il primo campanello d'allarme sui trend economici, demografici e sociali che dieci anni dopo sono stati poi il motore delle primavere arabe. È il centro nevralgico della massiccia risposta internazionale alle drammatiche crisi umanitarie che continuano a imperversare nella regione, compreso da ultimo il COVID, che sta certamente esacerbando la complessità esistente nella regione di questo Mediterraneo allargato e sta accelerando anche processi geopolitici che amplificano fragilità e rivalità tra attori nella regione, per non parlare degli attori internazionali.
  Le Nazioni Unite sono il terreno istituzionale dove le grandi potenze sono chiamate, attraverso il Consiglio di Sicurezza, a prevenire conflitti, a reagire alle minacce alla pace e alla sicurezza internazionale; e nel Mediterraneo, purtroppo, abbiamo visto anche di recente come il Consiglio fatichi spesso a esprimere una visione unitaria ed efficace alle crisi. L'ONU è soprattutto l'organo che è chiamato ad attuare le decisioni del Consiglio in materia di pace e sicurezza, dai processi di mediazione e risoluzione alle missioni di peacekeeping e ai regimi sanzionatori. Sono tutti strumenti ancora di attualità nel contesto delle crisi del Mediterraneo.
  Faccio queste premesse semplicemente per sottolineare come le Nazioni Unite siano un'organizzazione complessa e multiforme, che raccoglie e rispecchia l'insieme delle aspirazioni della comunità internazionale, ma anche i suoi limiti e le sue debolezze.
  Oggi queste debolezze sono sotto gli occhi di tutti: la frammentazione strutturale del sistema internazionale, la necessità di riformarlo, l'accentuarsi delle rivalità geopolitiche, la proliferazione di agende unilaterali a scapito di soluzioni condivise. La regione del Mediterraneo allargato è purtroppo un palcoscenico di questa entropia che chiamiamo «la crisi del multilateralismo».
  Penserei di suddividere il mio intervento, presidente, in tre parti. In primo luogo, farei alcune considerazioni di carattere generale sulle dinamiche onusiane in Pag. 4materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Passerei poi a un approfondimento su alcuni principali teatri di crisi che Lei stesso ha già identificato, e in terzo luogo parlerei del ruolo del nostro Paese in questi processi.
  Sulle dinamiche generali direi che un errore frequente è quello di guardare al Consiglio di Sicurezza esclusivamente attraverso il prisma della retorica dell'inerzia. È vero che il Consiglio di Sicurezza si riduce spesso a palcoscenico per gli scontri verbali tra i membri permanenti, ed è altrettanto vero che il Consiglio si è spesso rivelato incapace di agire tempestivamente per prevenire e mitigare o risolvere le crisi, nel Mediterraneo in particolare.
  Se però si vuole comprendere appieno il ruolo del massimo organo societario nelle crisi del Mediterraneo, bisogna tenere in adeguata considerazione altri elementi. Primo fra tutti, il Consiglio di Sicurezza è anche e soprattutto il corpus delle decisioni prese nel corso del tempo. La comunità internazionale e le Nazioni Unite sono chiamate a muoversi necessariamente all'interno di questa cornice; guai se fosse altrimenti.
  Osservo, per inciso, come questo dovrebbe indurci, presidente, a riflettere sul valore strategico di una presenza più regolare dell'Italia in Consiglio di Sicurezza e a rinnovare l'impegno che costantemente viene profuso a favore di una riforma del Consiglio equa e rappresentativa, non tanto per questioni astratte di rango – chi in Consiglio è più importante di altri eccetera –, ma per l'interesse preminente che abbiamo di poter incidere su come viene confezionata proprio questa cornice politica e giuridica.
  In secondo luogo, la capacità di agire efficacemente o meno delle istituzioni multilaterali talvolta prescinde dalle circostanze specifiche di una determinata crisi. Così il Consiglio di Sicurezza viene sempre più spesso preso in ostaggio da attriti, da divergenze trasversali o di altra natura tra membri permanenti. Questo è uno dei trend più allarmanti di quella che alcuni studiosi hanno battezzato eufemisticamente come «l'epoca del multilateralismo competitivo».
  Se il divario tra i grandi si è progressivamente ampliato, principalmente a causa di tendenze strutturali, la pandemia del COVID ha aggiunto un'ulteriore complicazione congiunturale che ne ha accentuato le ricadute, soprattutto in termini di efficacia delle istituzioni multilaterali. Lo abbiamo visto nel caso del Consiglio di Sicurezza con l'appello del Segretario Generale per il cessate il fuoco globale, che è stato oggetto di un desolante tira e molla tra due membri permanenti sul tema dell'identificazione del ruolo dell'OMS sul responsabile della crisi che stiamo vivendo.
  Tuttavia, la contrapposizione tra grandi potenze, pur incidendo negativamente sul funzionamento dei meccanismi multilaterali, non implica che questi ultimi smarriscano la loro ragione d'essere. A mio avviso, è semplicistico parlare di nuova Guerra Fredda, ma proprio quell'esperienza ci insegna il valore aggiunto dell'esistenza di un contenitore, di una sorta di perimetro multilaterale, all'interno del quale incanalare e gestire contrapposizioni apparentemente insanabili.
  Un terzo elemento che vorrei sottolineare è che occorre evitare di confondere l'attività del Consiglio di Sicurezza con quella del Segretario Generale. Naturalmente il Segretario Generale è il vertice amministrativo di un'organizzazione di cui gli Stati membri sono i principali azionisti, e non può dunque prescindere dagli indirizzi e dalle decisioni prese dal Consiglio, dall'Assemblea Generale o dalla mancanza di queste decisioni; ma il Segretario Generale Antonio Guterres, nel corso del suo primo mandato, si è trovato a gestire una situazione molto complessa proprio sotto questo profilo. L'attività del Segretario Generale delle Nazioni Unite nel comparto pace e sicurezza è sempre stata improntata alla ricerca di un difficile equilibrio tra diplomazia attiva e moral suasion, un equilibrio che la frammentazione del sistema internazionale ha reso notevolmente più difficile negli ultimi anni.
  Passando alle crisi del Mediterraneo allargato, a partire dallo scoppio delle primavere arabe le crisi del Medio Oriente e della regione del Mediterraneo allargato Pag. 5hanno acquisito – come Lei diceva giustamente, presidente – uno spazio sempre più centrale nell'agenda del Consiglio, laddove tradizionalmente il core business del Consiglio di Sicurezza era sempre stato sul continente africano, che continua a essere regolarmente all'attenzione del Consiglio.
  Secondo me è opportuno sottolineare come anche la natura delle crisi sia profondamente cambiata nel tempo. Nei decenni passati assistevamo a crisi che riguardavano principalmente la questione palestinese o conflitti tra Stati: la guerra Iran-Iraq, il conflitto Israele-Libano, la prima e la seconda guerra del Golfo. Oggi, invece, ci troviamo prevalentemente dinanzi a conflitti interni ai singoli Stati, ma caratterizzati o addirittura alimentati da un elevato grado di interferenza da parte di attori statuali esterni.
  Sempre da un'angolatura prospettica, non possiamo trascurare i cambiamenti strutturali di portata epocale che attraversano oggi il Medio Oriente, a partire dal processo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e un numero crescente di Paesi arabi dopo gli Accordi di Abramo. Si tratta di un game changer i cui effetti continueranno a ripercuotersi nel lungo periodo sugli assetti strategici della regione.
  È una novità che non può essere disgiunta dalla progressiva evoluzione della postura americana nella regione, ma io ritengo che al tempo stesso sia una ricalibratura strutturale che andrà consolidandosi negli anni, indipendentemente dagli sviluppi di politica interna. In qualche modo si tratta, forse, anche di un cambio di paradigma, cioè dal focus prioritario verso il processo di pace alla priorità attribuita al contenimento del regime iraniano, con le relative conseguenze sul piano regionale. Qui mi viene in mente il ruolo saudita, per esempio.
  Per passare a un rapido giro d'orizzonte di alcuni dei principali teatri di crisi, partirei da quello che incide più direttamente sulla nostra sicurezza nazionale, che è la Libia. È ben noto che la guerra del 2019 ha inferto un duro colpo alla credibilità delle Nazioni Unite come attore di pace. È stato fatto da subito e nel modo più palese e doloroso possibile. L'attacco su Tripoli è stato sferrato nelle stesse ore in cui il Segretario Generale si trovava in visita nel Paese. In quel momento c'era una speranza che la sua visita potesse in realtà suggellare una dinamica di pace. Anche nel prosieguo della crisi, con un Consiglio di sicurezza di fatto paralizzato per mesi, l'ONU non ha dato un'immagine all'altezza della gravità della situazione.
  Oggi lo scenario è diverso; è in un'evoluzione positiva. Il processo di Berlino, che origina dalla volontà di un gruppo di Paesi e dal protagonismo tedesco in questo caso, ha conferito alle Nazioni Unite una rinnovata centralità e la leadership nel processo politico, perché oggi si trova dinanzi a un'importante finestra di opportunità per raggiungere una soluzione negoziata. È un'occasione preziosa, che la Rappresentante Speciale ad interim Williams, come Lei ricordava, sta accogliendo e interpretando al meglio in queste ultime settimane.
  Sottolineo, incidentalmente, presidente e onorevoli deputate e deputati, che si tratta di una rarissima presenza femminile nei processi di mediazione. Questo è un elemento che va sottolineato. Dovremmo lavorare anche come Paese per rendere la presenza femminile nei processi di pace e di mediazione molto più costante.
  Il raggiungimento di un cessate il fuoco permanente nell'ambito dei colloqui 5+5 a Ginevra è la pietra angolare di una road map che consenta di restituire unità, stabilità, sovranità e dignità alla Libia. Oggi guardiamo con fiducia all'avvio del dialogo politico la prossima settimana a Tunisi, nell'auspicio che da questo processo possa scaturire un percorso istituzionale in cui tutto il popolo libico si riconosca.
  È fondamentale che questo processo sia accompagnato dal sostegno leale e concreto della comunità internazionale, a partire da quei Paesi che hanno sottoscritto le conclusioni di Berlino. Il Consiglio di Sicurezza sarà chiamato a svolgere un ruolo centrale in questo senso, soprattutto nel proteggere il processo politico dalle interferenze dei numerosi spoiler.
  Negli altri teatri di crisi del Medio Oriente dove l'ONU esercita un ruolo di mediazione Pag. 6non vediamo segnali altrettanto incoraggianti. In Siria le Nazioni Unite hanno concentrato i loro sforzi sul Comitato costituzionale, una scelta per certi versi obbligata dopo che la logica militare ha prevalso e il baricentro del dossier è gravitato verso i Paesi del gruppo di Astana. Oggi il Comitato costituzionale è purtroppo bloccato. È un processo politico credibile e inclusivo in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza, incluso lo svolgimento di elezioni sotto supervisione dell'ONU, ma rimane francamente una prospettiva ancora lontana. Soprattutto, resta la consapevolezza diffusa che una soluzione politica al conflitto siriano passi attraverso una dialettica tra le potenze straniere che si contrappongono sul terreno. Si tratta di una dinamica che circoscrive notevolmente gli spazi anche per la mediazione delle Nazioni Unite, o che comunque costituisce un elemento non trascurabile. Qui si potrebbe parlare del polo russo e di come la Russia abbia approfittato delle crisi nel Mediterraneo e nell'Oriente per ritrovare una presenza sul terreno.
  Non bisogna poi dimenticare che dieci anni di conflitto in Siria hanno recato danni incalcolabili al tessuto civile del Paese, dilaniato dalle divisioni settarie e confessionali. Anche in Iraq queste divisioni sono particolarmente insidiose, perché forniscono una porta d'ingresso per ingerenze esterne. Lo stesso vale per le divisioni all'interno della galassia sunnita con il tentativo di neutralizzazione della Fratellanza Musulmana, che oggi costituisce una priorità di sicurezza nazionale per molti dei più importanti attori regionali.
  Una parola sulla Turchia, che Lei giustamente ha menzionato. Dal pantano libico e siriano ha saputo costruire le premesse di una politica di influenza regionale di cui vediamo gli effetti anche nel Caucaso e nel Mediterraneo orientale. Credo che la determinazione italiana nel perseguire un dialogo esigente con Ankara trovi degli echi anche in ambito ONU. Basta pensare agli aiuti umanitari transfrontalieri a favore della popolazione siriana, che hanno visto le Nazioni Unite intensificare notevolmente la propria cooperazione con la Turchia negli ultimi anni; ma questo è solo un aspetto.
  In Yemen assistiamo a difficoltà analoghe. L'inviato speciale Griffith sta portando avanti ormai da diversi mesi un negoziato indiretto con le parti su un progetto di dichiarazione congiunta che dovrebbe spianare la strada a un cessate il fuoco accompagnato da confidence-building measures, misure di creazione di fiducia tra le parti, e dall'impegno a ripristinare il processo politico interrotto diversi anni fa.
  Nonostante alcuni fatti positivi, ad esempio la liberazione di oltre un migliaio di prigionieri il mese scorso sotto gli auspici dell'ONU e della Croce Rossa Internazionale, non ci sono al momento segnali di una svolta imminente. Questo dopo che l'attuazione dell'accordo di Stoccolma del 2018, sempre a opera di Griffith, è rimasta sostanzialmente sulla carta, nonostante il dispiegamento di un piccolo contingente di osservatori ONU nella città di Hodeidah.
  Anche in questo caso le dinamiche regionali hanno un peso specifico importante, e l'acutizzazione delle tensioni tra i principali attori del Golfo è inversamente proporzionale alla possibilità di raggiungere un'intesa per la pacificazione dello Yemen.
  La controversia in Consiglio di Sicurezza sulla reviviscenza delle sanzioni contro l'Iraq, l'Iran, lo snapback fortemente voluto dall'amministrazione Trump, ma osteggiato dalla quasi totalità degli altri membri del Consiglio, non ha certamente fornito un contributo distensivo.
  Mi preme sottolineare, allo stesso tempo, come in entrambi questi conflitti le Nazioni Unite siano impegnate in prima linea tutti i giorni a fornire aiuti umanitari su scala larghissima alle popolazioni martoriate di questi Paesi. Questo è un aspetto importante da ricordare. Si tende sempre a pensare alle Nazioni Unite solo come Consiglio di Sicurezza e il mantenimento della pace e sicurezza internazionale. In realtà, un lavoro gigantesco altrettanto politico, che non dovrebbe essere politico ma alla fine lo diviene, le Nazioni Unite lo fanno sul versante umanitario. Lì veramente fanno la differenza tra la distruzione totale e le Pag. 7condizioni impossibili per le persone, rispetto a una vita che è difficile ma che comunque può contare su un appoggio esterno che viene dalle Nazioni Unite. Oggi ci troviamo in una situazione in cui questi sforzi umanitari sono messi a repentaglio dalla pandemia, che non solo ha aggravato la situazione umanitaria sul terreno ma in qualche misura ha anche creato ulteriori ostacoli alla distribuzione degli aiuti.
  Qualche riflessione sul Libano e sul processo di pace in Medio Oriente, entrambi contesti dove le Nazioni Unite rimangono saldamente protagoniste. Il contributo della missione UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) alla stabilità del Paese dei cedri è a mio avviso un vero e proprio bene pubblico e internazionale che va opportunamente salvaguardato, tanto più in una fase di accresciute difficoltà sul piano politico, economico e sociale del Paese.
  Aggiungo che i colloqui che sono stati appena avviati con Israele sulla delimitazione delle frontiere marittime con il Libano, che si svolgono sotto gli auspici delle Nazioni Unite, possono rappresentare davvero un passo importante per la distensione e la convivenza.
  Come dicevo prima, il processo di pace in Medio Oriente dopo gli Accordi di Abramo ha oggi l'occasione di ripartire grazie a un cambiamento strutturale nelle dinamiche regionali che può dare una nuova linfa ai negoziati diretti tra israeliani e palestinesi per una soluzione a due Stati giusta e sostenibile. In particolare, dobbiamo aiutare la leadership palestinese a lanciare in un certo senso il cuore oltre l'ostacolo e a confrontarsi con questa nuova realtà con lungimiranza e pragmatismo, senza per questo rinunciare a posizioni di principio che sono del tutto legittime; e a mio avviso questa non è una missione impossibile.
  Paesi come il nostro hanno un ruolo da giocare proprio di vicinanza alla Palestina e alla leadership palestinese, ma anche di incoraggiamento. Le Nazioni Unite giocano anche qui un ruolo centrale, dalle attività fondamentali di assistenza ai rifugiati tramite UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) alla mediazione nell'ambito del Quartetto; ed è auspicio di tutti che l'ONU possa riuscire a valorizzare il suo convening power, la sua capacità di mettere insieme, e la sua credibilità con le parti per ripristinare con urgenza una prospettiva negoziale, anche attraverso iniziative internazionali e multilaterali.
  Vengo infine al ruolo del nostro Paese. Un breve cenno ad alcuni esempi di dove giochiamo un ruolo particolarmente importante, anche all'interno del sistema ONU e in sinergia con questo sistema. Naturalmente la Libia. Qui il nostro ruolo è di primissimo piano. Ci viene attribuito e riconosciuto non soltanto in virtù dei riflessi immediati del conflitto sui nostri interessi nazionali di sicurezza, ma anche in virtù della profonda conoscenza di quella realtà che ci viene riconosciuta nel tramite di quel Paese.
  L'impegno politico e diplomatico che viene costantemente profuso ai massimi livelli dal nostro Paese, tanto nei confronti delle parti libiche quanto degli attori regionali, ha certamente contribuito a puntellare l'azione dell'ONU e a schiudere la finestra di opportunità che abbiamo oggi davanti a noi.
  In ambito ONU, nonostante l'Italia non faccia parte del Consiglio di Sicurezza, manteniamo su questa crisi specificamente e anche su altre, ma su questa in modo specifico, un coordinamento strutturato con quelli che chiamiamo i «P3», cioè i tre membri like-minded, i tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Stati Uniti, Regno Unito e Francia), e con la Germania, che in questo momento tra l'altro siede ancora in Consiglio di Sicurezza fino alla fine dell'anno. Si tratta di un tavolo che si è rivelato molto importante anche recentemente su alcuni temi delicati, come la nomina del nuovo Rappresentante Speciale e il rinnovo del mandato di UNSMIL.
  Non si può non sottolineare anche il nostro ruolo nel favorire sinergie tra l'ONU e l'Unione europea. Ricordo che la missione IRINI agisce sulla base di un mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il nostro contributo più visibile fisicamente è certamente quello in Libano, dove la leadership italiana in UNIFIL è Pag. 8unanimemente apprezzata e riconosciuta non soltanto dalle parti in conflitto ma dalla membership onusiana nel suo complesso, ed è la dimostrazione di come le peculiari caratteristiche e sensibilità del nostro Paese – la capacità di ascolto, di mediazione, di composizione delle divergenze, in realtà particolarmente complesse – continuano a costituire un valore aggiunto molto importante per le operazioni di pace. Quella famosa qualità che viene descritta del peacekeeping italiano esiste ed è particolarmente gradita alle nazioni Unite.
  Sempre nel Vicino Oriente l'impegno del nostro Paese è visibile e tangibile anche nel quadro del processo di pace israelo-palestinese, un tema su cui l'Italia ha sempre giocato un ruolo profilato, ad esempio attraverso il formato Quint. La recente importante visita del Ministro Di Maio in Israele e nei Territori ha riconfermato l'attenzione con cui da entrambe le parti si guarda all'Italia come partner per la pace. Anche nel Golfo possiamo giocare un ruolo importante nel favorire, per quanto difficile, un dialogo esigente con Teheran sulle questioni regionali, a partire dallo Yemen. Lo abbiamo fatto in passato. Vi sono tutte le condizioni per ripartire da quell'esperienza, nella piena consapevolezza che molti aspetti della condotta iraniana rimangono estremamente preoccupanti.
  Vorrei completare questo giro di orizzonte, se mi è permesso, con un cenno all'Afghanistan, la cui collocazione non è nel Mediterraneo, non è nel Medio Oriente, ma è fuori dalla regione. Questo però non deve indurci a pensare che sia un teatro che ci ha distratto da altre priorità. Anzi, in un certo senso ha solidificato e ampliato il nostro ruolo proprio nel Mediterraneo e nel Medio Oriente.
  Il nostro impegno pluridecennale ha rafforzato l'immagine dell'Italia come partner affidabile per la sicurezza internazionale e come difesa di alcuni valori irrinunciabili, a partire dai diritti delle donne, in particolare in Afghanistan. In ogni caso, le connessioni tra lo sforzo pluridecennale in Afghanistan e la lotta al terrorismo, da un lato, e il Medio Oriente e il Mediterraneo, dall'altro, è a mio avviso evidente. Dobbiamo renderci conto che senza quell'esperienza avremmo difficoltà maggiori a sollecitare un impegno più concreto dei nostri principali alleati nel cortile di casa.
  Faccio questi esempi anche per sottolineare un ultimo punto: non bisogna perdere di vista il fatto che il rapporto del nostro Paese con le istituzioni multilaterali, nonostante tutti i limiti di queste istituzioni, è un rapporto di natura simbiotica. Abbiamo tanto da guadagnare noi dal mantenimento di una collaborazione fattiva con le Nazioni Unite quanto l'ONU stessa può beneficiare in termini di efficacia attingendo dalla nostra esperienza e dal capitale politico che abbiamo accumulato attraverso il nostro impegno decennale nella regione. Direi che siamo senz'altro un attore fondamentale nel definire un'agenda positiva per quella regione. A mio avviso, ci sono le possibilità, le condizioni, e credo che non dobbiamo rinunciare a essere protagonisti in quest'area che ci è così vicina.
  Concluderei qui, presidente. Grazie della pazienza. Sono totalmente disponibile al dibattito che seguirà. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a Lei, Ambasciatrice. Ha fatto un'introduzione molto precisa, piena di sollecitazioni sui vari scacchieri. La ringrazio molto. Adesso diamo la parola ai commissari. Chi comincia? Prego, l'onorevole Quartapelle Procopio.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Buongiorno. Ringrazio molto l'Ambasciatrice Zappia per una relazione molto ricca e articolata. Due questioni che riguardano la posizione dell'Italia su due grandi episodi o due grandi crisi di attualità.
  La prima. È vero, stiamo facendo un'audizione su tutto il tema del Mediterraneo allargato e sul ruolo dell'Italia in quell'area. In realtà sconfino leggermente, ma è notizia di queste ore l'aggravarsi della situazione in Etiopia, dove il Primo Ministro, premio Nobel per la pace, Abiy Ahmed Ali, ha schierato l'esercito due giorni fa contro la minoranza Tigrai. Questo può avere delle conseguenze ampie nella regione e anche nella regione del Mediterraneo allargato, perché da alcuni anni l'Etiopia fa parte di Pag. 9dinamiche che riguardano il Golfo e che riguardano anche la parte sudanese ed egiziana della regione del Mediterraneo.
  Forse questa è un'occasione per approfondire con Lei quale iniziativa l'Italia sta portando avanti, anche in sede ONU, per un Paese con cui noi abbiamo dei legami profondissimi, storici, politici, e verso il quale molti Paesi si aspettano dall'Italia un ruolo di leadership, soprattutto in una situazione così delicata. Questa era la prima domanda.
  La seconda domanda riguarda la vicenda del Mediterraneo orientale, dove l'Italia certamente ha quell'atteggiamento di cui Lei ci diceva prima, che è un atteggiamento di dialogo, di offrire una posizione, una piattaforma per fare incontrare diversi interessi; ma noi abbiamo degli interessi molto chiari, soprattutto legati al tema della sicurezza energetica, che sono sempre di più in conflitto, invece, con la tradizionale amicizia che ci lega alla Turchia.
  Su questo credo che qualche chiarimento sulle iniziative che l'Italia, anche in ambito ONU, sta portando avanti sia sul fronte di Cipro sia sul fronte della sicurezza energetica nell'area per abbassare la tensione e avere un ruolo proattivo, potrebbe dare qualche elemento rispetto ai lavori e al prosieguo dell'attività di questa Commissione. Grazie.

  MATTIA FANTINATI. Anch'io ringrazio l'Ambasciatrice Zappia. So qual è il lavoro importante che stanno facendo nelle sedi dell'ONU ogni giorno. Grazie a una mia visita precedente ho toccato anche con mano la loro professionalità in un ambiente molto difficile. Sappiamo bene che molto spesso le Nazioni Unite pagano anche uno scotto, come diceva prima l'Ambasciatrice, di una burocrazia importante, e molto spesso anche il loro ruolo di incidenza operativa è molto difficile. Quindi io La ringrazio veramente dell'audizione.
  Avrei soltanto un paio di questioni da porre, non tanto sulle situazioni contingenti, che sono state sviscerate in modo assolutamente preciso e molto puntuale. Chiederei di fare un passo in più, anche per sapere quali iniziative si stanno portando avanti per una visione a lungo termine sulle problematiche del Mediterraneo.
  Sappiamo che le situazioni che ci ha raccontato l'Ambasciatrice, magari anche quelle negli anni passati, sono situazioni che sono sicuramente in fermento da tanti anni. Io chiedo se esiste – chiaramente nessuno ha una palla di cristallo – una pianificazione a lungo termine, una pianificazione futura, per cercare di rinsaldare la pace sia nell'area del Mediterraneo sia anche nel Mediterraneo allargato. Questa è la mia prima domanda.
  La seconda domanda è sul ruolo dell'Italia dal punto di vista dell'Ambasciatrice. Come e per quali azioni, secondo Lei, l'Italia è già protagonista all'ONU e come può fare per accrescere sempre di più la sua posizione all'interno della regione?
  La terza è una domanda di attualità. In vista delle elezioni americane – di cui noi non vogliamo sicuramente svelare il risultato prima di altri – alla luce di un'eventuale vittoria del Partito Democratico, secondo Lei come si può delineare un cambiamento nello scacchiere del Mediterraneo? Grazie.

  PAOLO FORMENTINI. Innanzitutto grazie all'Ambasciatrice. È stata una carrellata molto interessante. Sono totalmente d'accordo sull'auspicio espresso riguardo alla leadership palestinese, al fatto che sappia cogliere l'opportunità offerta dagli Accordi di Abramo, perché purtroppo invece abbiamo visto che sono stati i lanci di razzi a salutare la firma, lo scorso 15 settembre, della prima parte degli accordi tra Emirati e Israele, a cui sono poi seguiti gli accordi col Bahrein e il Sudan. Detto ciò, siamo certi che questo segni l'alba di un nuovo Medio Oriente. Lo ha definito «game changer». È assolutamente corretto anche secondo noi, perché cambia totalmente l'approccio tradizionale alla questione israelo-palestinese; anzi, si va oltre l'approccio tradizionale.
  Invece Le vorrei chiedere una questione invero assai delicata: se secondo lei l'ONU potrebbe avere un ruolo nella questione dei pescatori di Mazara ancora attualmente detenuti in Libia. A quanto risulta a noi – ma qua lascio il beneficio del dubbio – il Pag. 10Governo italiano non ha intenzione di ricorrere all'ONU. Capisco, da un lato, che sarebbe una sconfitta per il nostro Paese, che Lei ci ha detto da sempre essere molto presente in Libia e, anzi, un punto di riferimento per l'ONU stesso; però noi qui siamo a Roma, proprio sotto le nostre finestre dormono da ormai settimane le mogli e i figli di quei pescatori, e sentiamo l'obbligo morale di occuparci della questione. Lo stesso presidente Fassino li ha incontrati, e tanti membri della Commissione di tutti i partiti politici hanno contatti stretti.
  Per quanto riguarda l'accenno che ha fatto l'onorevole Quartapelle Procopio alla guerra, agli scontri armati nella regione del Tigrai, al confine tra Tigrai a Amara, è una situazione che ci preoccupa molto, anche per la presenza di nostri imprenditori. Mi sentirei di esprimere l'auspicio che l'Italia intera torni a occuparsi di Etiopia, di Corno d'Africa, e non lasci spazio solo ad altri attori, quali la Cina e la Turchia. Grazie.

  VALENTINO VALENTINI. Ringrazio anch'io l'Ambasciatrice per l'ampia, dettagliata e puntuale relazione che ci ha fatto. Faccio due domande che si ricollegano un po' a quanto hanno detto i colleghi.
  Facendo un gioco di ipotesi, mettiamo che, come è probabile o come appare, possa vincere Biden. Biden viene visto come un fautore o sostenitore del multilateralismo, di un ritorno degli Stati Uniti a un atteggiamento più consono e al quale eravamo più abituati. L'approccio transazionale, come amano chiamarlo gli americani, dell'amministrazione Trump, vale a dire dell'art of the deal, del rapporto uno a uno, tendeva a escludere le Nazioni Unite e ad operare sulla base di rapporti personali. Questo lo abbiamo visto sia dalla costruzione dell'accordo stesso, che passa attraverso il genio del Presidente e tutti i suoi rapporti nel Golfo senza alcuna valutazione, sia dal fatto che l'attuale Amministrazione, l'attuale Presidente, preferisse sempre direttamente prendere il telefono, a volte senza informare neppure la sua stessa Amministrazione.
  Nel caso di una vittoria democratica l'Accordo di Abramo è un game changer che rimarrà? Possiamo auspicare che venga rincanalato in una dimensione più multilaterale, oppure verrà un po' abbandonato e sfilacciato? L'Accordo di Abramo è sì un game changer, però vediamo come gli americani hanno cercato di buttare dentro il Sudan o hanno cercato di premere il Bahrain, facendo pressione sugli amici sauditi affinché sostenessero un Paese la cui economia è in forte difficoltà e che riesce ad avere un credit rating più alto sul mercato grazie al sostegno economico dell'Arabia Saudita. È una specie di gioco che passa più dai rapporti del Presidente degli Stati Uniti che non da un'azione concertata delle Nazioni Unite. Questo per quanto riguarda gli Accordi di Abramo.
  Ancora un altro aspetto nel quale un cambio di Amministrazione, a parte la valutazione più generale, potrebbe avere un forte impatto è costituito dai rapporti con l'Iran. Se gli Stati Uniti riprendessero il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) e tornassero all'accordo sul nucleare, potremmo vedere nuovamente un maggior coinvolgimento sia dell'Italia sia delle Nazioni Unite in questo contesto e un allentamento della tensione in tutto lo scenario.
  Le mie domande sono in questo senso. A seconda di un'Amministrazione o l'altra, Lei ritiene che nell'area l'Accordo di Abramo possa comunque essere mantenuto, ampliato e migliorato oppure verrà sfilacciato? Viceversa, l'atteggiamento nei confronti dell'Iran, per parlare dell'area allargata del Mediterraneo, consente all'Italia di entrare in un dialogo maggiore attraverso la diplomazia onusiana?
  Terzo. L'altro grande elemento, sempre in questa relazione transazionale, è il rapporto con la Turchia; la Turchia che pare essersi affiancata alla NATO e ai suoi accordi nel contesto internazionale grazie al rapporto privilegiato tra il Presidente Erdogan e il Presidente Trump. Nel rapporto di questo nostro dialogo esigente, come l'ha definito l'Ambasciatrice, un cambio di interlocuzione con gli Stati Uniti non ci aiuterà anche ad avere una Turchia che si senta meno spavalda e meno libera di agire con questo cambio di Amministrazione? Grazie.

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  PRESIDENTE. Altri? Vorrei anch'io porre alcune questioni all'Ambasciatrice ringraziandolo, perché ho trovato eccellente il quadro che Lei ha fatto.
  La prima questione riguarda il Corno d'Africa, oltre alle questioni che sono già state poste relative all'Etiopia. Qual è l'iniziativa che si sta perseguendo sulla Somalia? Come sappiamo, la Somalia fino a pochi anni fa era considerata uno Stato fallito. Oggi non si usa più questa espressione perché la si ritiene offensiva e si ritiene che non aiuti nessun percorso e processo, ma purtroppo non siamo molto distanti; non ci siamo allontanati molto da una condizione di dissoluzione e comunque di forte frammentazione. Volevo capire come le Nazioni Unite intendono muoversi.
  Secondo: Turchia, espansionismo egemonico, vicenda Egeo, Cipro. L'ONU ha negoziato a lungo la possibilità di un accordo per la giurisdizione della questione cipriota. Le elezioni presidenziali di Cipro Nord hanno dato esito non tranquillizzante da questo punto di vista, perché è stato eletto il candidato sostenuto da Erdogan, che sostiene posizioni separatiste e addirittura con qualche pulsione di annessione alla Turchia. Avendo l'ONU preso parte al tentativo di mediazione, volevo sapere come viene visto questo dossier e che cosa si fa adesso.
  Terzo: Sahel. Lei ha fatto tutto un quadro del Mediterraneo. Ovviamente quello che accade nel Sahel è strettamente connesso sempre di più all'area mediterranea. Presenza jihadista, vicenda Mali, missioni internazionali, sia navali nel Golfo di Guinea sia sul terreno (Barkhane, Takuba eccetera). Vorrei sapere quali iniziative ci sono su questa questione.
  Nagorno Karabakh. Siamo alla paralisi, nel senso che l'OSCE non riesce neanche a riunire il Gruppo di Minsk per le posizioni opposte dei suoi componenti. L'Unione europea ha fatto appelli, ma come è noto – lo dice un europeista convinto – in materia di politica estera purtroppo l'Europa è una creatura fragile, soprattutto per la tendenza di ogni nazione a far prevalere la propria politica estera nazionale su una voce europea. L'ONU intende fare qualche cosa?
  Non so se ieri ha visto l'intervista del Presidente Aliyev su un quotidiano italiano. Se non l'ha vista se la faccia segnalare dall'ufficio stampa della Farnesina. Nell'intervista Aliyev dice, in modo molto brutale: «La politica non ce la fa e io mi riprendo Nagorno Karabakh con le armi, punto e basta.» Mi pare che la cosa sia un punto abbastanza preoccupante.
  Infine, io condivido due cose che Lei ha detto. Non sono questioni, ma un supporto alla sue valutazioni. Per quanto riguarda l'Accordo di Abramo il problema è muovere i palestinesi, perché l'Accordo di Abramo sta cambiando lo scenario. Personalmente penso che in questo contesto anche con Biden Presidente non ci saranno grandi variazioni, questione che poneva il collega Valentini. Il punto è che i palestinesi fino adesso si sono limitati a dire: «Ah, non ci piace.» «Non ci piace» non è una politica. Nel momento in cui cambia lo scenario, tu devi giocare e stare in campo. Quello che Lei ha detto, che io condivido molto e che è anche stato uno degli obiettivi della visita del Ministro in Medio Oriente, è spingere i palestinesi ad uscire da una posizione di solo rifiuto. Si mettano in campo, avanzino una proposta, giochino, ma siano parte attiva.
  Sull'Afghanistan, che Lei ha richiamato giustamente perché le connessioni sono evidenti, io penso questo: il prossimo anno saranno vent'anni che la comunità internazionale è impegnata in Afghanistan. Trascorsi i vent'anni, è chiaro che la parola d'ordine «Va beh, ma non possiamo stare lì in eternità, andiamo via» e tutte queste cose hanno una loro forza. Tuttavia, io ho una grande paura. Stamattina è uscito un articolo su un quotidiano italiano che evoca questa forza, il che mi fa piacere. Se non c'è un accordo tra gli afgani ma solo un accordo tra i talebani e gli americani, questo non è sufficiente a legittimare un ritiro, perché se non c'è un accordo tra afgani il rischio è che succeda quello che è successo quando i russi sono andati via dall'Afghanistan: sono arrivati i talebani e hanno impiccato tutti quelli che avevano governato Pag. 12 fino a quel momento. Dico esplicitamente che il problema va al di là della politica. C'è perfino un problema morale. Non si può dire: «Me ne vado» e non valutare cosa succede un minuto dopo. Io penso che questa cosa dell'Afghanistan sia molto delicata.
  Infine, ultima questione. Anch'io le volevo chiedere se le Nazioni Unite possono dare una mano e come sulla questione dei pescatori, di cui ci stiamo occupando tutti. Io ho ricevuto oggi una lettera del mio omologo della Commissione Esteri libica che mi rassicura di un impegno loro. Vediamo se è vero o no, ma ce ne stiamo occupando.
  L'ultima questione è quella che ha evocato anche Valentini. Non riguarda il Mediterraneo, ma riguarda le Nazioni Unite. Trump, comunque lo si giudichi, aveva un chiaro atteggiamento di scarsa fiducia nelle istituzioni sovranazionali. Si è visto nei confronti dell'OMS, nei confronti dell'UNESCO e anche nei confronti delle Nazioni Unite. D'altra parte, il suo consigliere, prima che litigassero, è stato a lungo Bolton che non era proprio un amico delle Nazioni Unite, ancorché ne fosse stato rappresentante americano. Un eventuale presidenza Biden come può cambiare l'atteggiamento americano? Io penso che cambierà e cambierà in meglio, nel senso che ritornerà a essere considerato il sistema delle istituzioni internazionali con maggiore attenzione e maggiore fiducia; però mi interessa sapere la sua valutazione.
  Mi fermo qui, La ringrazio molto di averci ascoltato. Adesso Le restituisco la parola.

  MARIA ANGELA ZAPPIA, Rappresentante Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York. Grazie, presidente. Grazie, onorevoli deputate e deputati, per le vostre domande, tutte molto interessanti e che danno bene l'idea, e questo mi fa molto piacere, anche del modo in cui la Commissione segue queste varie vicende che sono state toccate anche in ambito delle Nazioni Unite.
  Onorevole Quartapelle Procopio, grazie per le due domande, ambedue molto interessanti e, devo dire, molto complicate da rispondere. La prima: questi in Tigrai sono degli avvenimenti recenti, che in un certo senso stanno ancora producendo delle prime reazioni all'interno delle Nazioni Unite. Il Segretario Generale ha lanciato un appello al dialogo e ha condannato le violenze intracomunitarie dei giorni scorsi. Non vedo ancora un'iniziativa che si sviluppa a livello ONU, ma certamente c'è moltissimo che si sta facendo dietro le quinte per cercare di abbassare i toni e tornare a una condizione di dialogo.
  In un certo senso siamo stati colti di sorpresa. Le Nazioni Unite stesse sono state colte di sorpresa da questi sviluppi di questi ultimi giorni. In generale le Nazioni Unite sono molto presenti. Noi sosteniamo naturalmente l'azione dell'Inviato Speciale nel Corno d'Africa e i suoi buoni uffici in relazione alla soluzione delle crisi. Seguiamo con molta attenzione la strategia dell'ONU in Corno d'Africa; ma naturalmente, come Lei stessa diceva, è una regione che risente anche delle dinamiche mediorientali, delle divisioni nel Golfo. Anche qui ci sono parti che si riferiscono a protezioni nel Golfo di matrice diversa, e questo tocca anche il tema della Somalia, di cui parlava il Presidente Fassino poco fa. Continuiamo a seguire la situazione con molta attenzione. Naturalmente l'Italia nella regione continua ad avere un ruolo molto rilevante. Vediamo; certamente il primo sforzo è quello di diminuire la tensione e di riportare le parti al dialogo.
  Sul Mediterraneo orientale la tematica è molto complicata. In realtà noi pensiamo che ci sia un potenziale di stabilizzazione nel Mediterraneo orientale, che è legato proprio allo sviluppo inclusivo delle risorse energetiche. Certamente è molto difficile, in questa fase in cui la Turchia si dimostra un interlocutore particolarmente difficile e assertivo, riportare la tematica energetica a una tematica di dialogo nella regione; però certamente il potenziale c'è tutto.
  Abbiamo avviato, ed è in corso, un'interlocuzione a livello bilaterale con la Turchia, che è esigente, perché non dimentichiamoci che c'è un tema di osservanza del diritto internazionale, c'è un tema di osservanza del diritto internazionale marittimo. Pag. 13 Dobbiamo essere molto precisi nel dialogo con la Turchia sui confini che non si possono superare, però rimane il fatto che nel Mediterraneo il fattore energetico è un fattore che in realtà beneficerebbe tutti se ci fosse la possibilità di un dialogo condiviso.
  In realtà, per adesso quello che vediamo è una contrapposizione sullo sfruttamento delle risorse energetiche, ed è una contrapposizione che poi ovviamente ha un impatto negativo sulla crisi cipriota; però su questo devo dire che noi siamo un Paese dell'Unione europea, Cipro è un Paese dell'Unione europea, la Grecia è un Paese dell'Unione europea. Credo che i nostri riferimenti debbano essere molto chiari, ma ciò non esclude che questo dialogo con la Turchia si nutra anche degli aspetti positivi che potrebbero derivare per la Turchia stessa.
  L'onorevole Fantinati chiedeva se c'è una pianificazione di lungo termine per il Medio Oriente e per il Mediterraneo, e qual è la nostra posizione. L'ho accennato prima, io credo che il nostro Paese abbia un ruolo importante da giocare nello sviluppare un'agenda positiva nella regione. È una regione attraversata da mutamenti profondi, però io credo che l'Italia abbia veramente un ruolo da giocare. Si ricollega un po' anche a quello che dicevo poco fa sulla Turchia innanzitutto nello spingere, nel sostenere lo sforzo dell'ONU in Libia. Questa è sicuramente una prospettiva di lungo termine. Dobbiamo continuare a lavorarci; dobbiamo continuare ad aiutare a sgombrare il campo da interferenze esterne che possano in qualche modo diminuire o indebolire lo sforzo dell'ONU nella regione; dobbiamo lavorare alle potenzialità di stabilizzazione del Mediterraneo orientale che, come dicevo, sono legate proprio al potenziale sviluppo inclusivo che hanno le risorse energetiche, non il contrario; dobbiamo continuare a lavorare sul contrasto a Daesh, che purtroppo ancora esiste, e sul contrasto in generale al terrorismo, che continua a essere una componente in negativo dell'area; dobbiamo continuare a sostenere la popolazione libanese. Il Libano è colpito da una crisi che, invece di migliorare, rischia di ipotecare degli equilibri che sono sofferti e delicati. È sicuramente una situazione sulla quale noi dobbiamo avere una prospettiva di lungo periodo, ma anche lì possiamo giocare un ruolo positivo.
  Non abbiamo parlato della Tunisia, quindi non abbiamo parlato della sponda Nord del Mediterraneo; ma anche lì c'è una un'agenda positiva che si può alimentare, e certamente l'Italia è tra i Paesi che la può facilitare. La Tunisia è un Paese che oramai è attanagliato dalle conseguenze della pandemia; in più c'è la crisi economica. È un Paese costantemente in bilico.
  Per quanto riguarda le politiche – e questo mi porta un po' anche a riferimenti che sono stati fatti in diverse domande che mi sono state poste – si è parlato di favorire una politica di avvicinamento delle due sponde dell'Atlantico nell'affrontare tutte queste crisi che abbiamo nominato, ma anche nell'affrontare efficacemente la sfida iraniana. Io penso che la prospettiva di lungo periodo per il nostro Paese sia ancora una volta una prospettiva di un Paese che può, su tutti questi settori e su tutte queste crisi, portare una visione che è positiva, che è di dialogo, che è di incremento delle relazioni.
  Scusatemi se magari non rispondo a tutte le domande una dietro l'altra come mi sono state presentate, però direi che molti mi hanno posto domande sugli Accordi di Abramo, sull'atteggiamento degli Stati Uniti, su come gli Stati Uniti potrebbero cambiare con un'Amministrazione diversa nelle loro policy nella regione.
  Gli Accordi di Abramo, di cui mi chiedeva l'onorevole Formentini, l'onorevole Fantinati e Lei stesso, presidente, a mio avviso costituiscono un game changer e a mio avviso costituiscono una nuova prospettiva che non cambierebbe con una nuova Amministrazione. Tra l'altro, Biden si è pronunciato pubblicamente nel sostenere gli Accordi e nel sostenere lo sforzo diplomatico americano in questo senso.
  Io credo che questa rimarrà effettivamente la nuova strada, perché non dimentichiamo che è una strada che ha certamente aperto questa prospettiva di riconoscimento di Israele da parte della regione. Pag. 14Sono già tre i Paesi che si sono pronunciati. Altri potrebbero seguire, questo non lo so; forse è più complicato. Ma certamente ci sono dei fatti importanti: il riconoscimento di Israele come Stato; l'avvio di relazioni bilaterali complete, a partire dal fattore delle relazioni economiche, che potrebbe effettivamente rilanciare delle dinamiche nella regione, che io vedo solo positive. Poi c'è anche un altro fatto: forse se ne è parlato di meno, ma in fondo Israele quegli accordi di Abramo li riconosce, e riconosce che la strada delle annessioni non è quella da seguire. Come diceva anche Lei, presidente, lì c'è il potenziale che dobbiamo aiutare i nostri amici palestinesi a riconoscere. Il successivo riconoscimento e la successiva potenziale adesione agli Accordi di Abramo crea uno spazio molto più chiaro di quanto non fosse ancora poche settimane fa, pochi mesi fa, per la costituzione di due Stati così come la vogliamo.
  C'è una rinuncia all'idea delle annessioni che va incoraggiata, perché poi è necessario anche dare alla leadership israeliana la sensazione che è effettivamente una strada possibile. Io lo vedo effettivamente come un game changer e non vedo cambiamenti; vedo una continuità, anche con un'eventuale altra Amministrazione. Più in generale, se dovesse esserci nuovamente un'Amministrazione democratica americana, direi che il fattore principale sarebbe probabilmente un ritorno degli Stati Uniti a una normalità di dialogo con l'ambiente multilaterale. È inutile negare che il multilateralismo ha sofferto di un modo diverso di fare politica estera, di un modo diverso di relazionarsi con i propri partner oltre che con i propri competitor; però vedrei un cambiamento di modalità più che un cambiamento di policy.
  Io credo che i fondamentali della politica estera americana non cambierebbero, con due grandi eccezioni. Una l'ha nominata, credo stamattina, Biden, ed è costituita dagli Accordi di Parigi, che però la dice molto lunga su come un'Amministrazione democratica sarebbe più coesa con uno sforzo internazionale comune nella lotta, in questo caso, al cambiamento climatico e ambientale. L'altra eccezione è costituita proprio dall'Iran, quindi il JCPOA. Il ritorno nel JCPOA sarà da vedere; ma le diverse volte in cui Biden è stato sollecitato, anche durante i dibattiti della campagna elettorale, a pronunciarsi su quell'accordo, si è pronunciato certamente in maniera più positiva di quanto non abbia fatto questa Amministrazione, che invece ha denunciato questo accordo avviando poi una serie di situazioni.
  Queste effettivamente sono due grandi intese della comunità internazionale: una globale e una più regionale, più focalizzata su una situazione specifica, in cui una nuova Amministrazione democratica potrebbe effettivamente portare dei cambiamenti. Questo per me implica un cambiamento nell'atteggiamento, in generale, verso il multilateralismo e le cose che sono possibili o meno.
  Qui si potrebbe immediatamente allargare la prospettiva a quale atteggiamento avrebbero gli americani nei confronti dell'OMS, a se ritornerebbero all'Organizzazione. Io penso di sì, perché lo vedo come un trend generale di nuovo engagement, naturalmente critico.
  Devo dire che su questo dobbiamo essere critici anche noi, perché degli errori si fanno, degli errori sono stati fatti. Se vogliamo pensare all'OMS, sono senz'altro organizzazioni che hanno bisogno di essere riformate, ristrutturate e rese meno sensibili a pressioni di big player e nelle quali bisogna investire; in modo critico, ma investire.
  Invece l'eventuale cambiamento dell'atteggiamento sul JCPOA non costituirebbe certamente un cambiamento di atteggiamento americano nei confronti dell'Iran, ma costituirebbe una volontà americana di continuare a lavorare con la comunità internazionale per contenere il più possibile l'Iran e partecipare insieme agli altri attori a un percorso, che era quello che il JCPOA ha avviato.
  Presidente Fassino, Lei molto giustamente parlava del Sahel. In un certo senso ancora una volta l'Italia è stata un po' un precursore dell'interesse che bisogna portare a quella regione. Quando io ho cominciato la mia carriera all'inizio degli anni Pag. 15Ottanta, l'Italia era forse il Paese europeo più presente nel Sahel. Lo era attraverso la sua cooperazione allo sviluppo, ma con una visione che era quella di aiutare una regione che è vicina alla nostra, che determina cambiamenti e scatena crisi che possono essere per noi molto rilevanti. Volevamo aiutarli dal punto di vista economico, dal punto di vista del blocco alla desertificazione. Già allora avevamo un impegno fortissimo nella regione. Questo impegno adesso è un imperativo. È una regione che rischia di essere completamente persa al controllo statuale. Noi dobbiamo rafforzare le istituzioni e i governi di quei Paesi, dobbiamo essere presenti, dobbiamo continuare nella lotta al terrorismo. Credo che lì ci sia molto da fare a livello europeo; a mio avviso bisognerebbe che l'Europa fosse ancora più presente di quanto già non lo è in quella regione.
  Infine l'Afghanistan, menzionato da Lei, Presidente, ma credo anche da un altro deputato di cui non ho annotato il nome. Giustamente ci vuole un accordo tra gli afgani. Questo è sempre stato l'obiettivo di questa presenza pluridecennale in Afghanistan: creare le condizioni perché gli afgani trovino un accordo di convivenza. Naturalmente l'accordo tra i talebani e gli americani non può essere considerato quel punto d'arrivo; semmai è un punto di partenza, con tutte le incognite e gli interrogativi che questo accordo ha scatenato.
  Devo essere sincera, è difficile vedere come i talebani possano tornare su atteggiamenti, politiche, osservanza di alcuni imperativi religiosi, come possano dimenticare quello che sono stati in passato in quel Paese. Bisogna fare molta attenzione. Qui ancora una volta c'è un ruolo per la comunità internazionale che è fondamentale, cioè seguire per non tornare indietro. Qui il rischio di tornare indietro sul tema dei diritti è enorme.
  Infine, guardando quello che succede, l'altro ieri ci sono stati gli attentati all'Università di Kabul, che sono solo l'ultimo di una serie di attentati sanguinari. C'è una tematica ancora tutta aperta di presenza terroristica con connivenze anche tra i talebani ed estremismo islamico. È ancora tutto molto complesso. Però certamente c'è un problema di stanchezza della comunità internazionale. Sono vent'anni di presenza. È un percorso avviato ma complicato, mettiamola così; ma certamente l'obiettivo deve essere quello di un accordo tra gli afgani stessi.
  Io credo, forse non in maniera esaustiva, di aver toccato un po' tutti i temi che sono stati sollevati.

  PRESIDENTE. Due cose, Ambasciatrice. Volevo chiederLe qualche parola su questa cosa dei pescatori e poi ancora una cosa proprio specifica. Dopo l'elezione del nuovo Presidente a Cipro Nord, la mediazione delle Nazioni Unite su Cipro come può procedere?

  MARIA ANGELA ZAPPIA, Rappresentante Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York. Dunque, sul problema dei pescatori di Mazara innanzitutto vorrei cogliere l'occasione, dato che non mi è capitato di farlo, per esprimere la mia solidarietà, in particolare alle famiglie dei pescatori che sono detenuti in Libia. È una questione estremamente delicata. Il nostro Governo sta lavorando con grande intensità per cercare di risolverla; lo sapete molto bene e forse anche molto meglio di me. C'è molta discrezione su quello che si sta facendo. Quello che vi posso dire è che le Nazioni Unite sono al corrente di questa vicenda. Lo sono in particolare le componenti delle Nazioni Unite che lavorano più sul terreno. La missione UNSMIL non solo ne è al corrente, ma nel quadro dei colloqui e della mediazione che sta conducendo considera questa vicenda assolutamente come prioritaria. Non dico di più perché io stessa non ne so molto di più, ma certamente c'è una consapevolezza innanzitutto di quello che sta succedendo e c'è una partecipazione allo sforzo che deve portare il prima possibile al ritorno dei pescatori in Italia.
  Sulla vicenda di Cipro, presidente, è vero che le elezioni a Cipro Nord hanno portato a uno spostamento di baricentro verso i falchi, però martedì c'è stato un nuovo incontro a Nicosia tra Anastasiades Pag. 16e il nuovo vertice di Cipro Nord. È un primo passo per riprendere il cammino che è stato interrotto a Crans Montana, quando si era arrivati molto vicini a un accordo. Credo che fosse l'inizio del mandato di Guterres. Poi le cose non sono andate come si sperava. È stata forse la prima doccia fredda del Segretario Generale appena arrivato a Cipro; la seconda l'ha avuta con la Libia.
  Io vi ringrazio molto. Mi fa molto piacere mantenere un dialogo con la Commissione. Lo sapete che sono una multilateralista convinta e ogni occasione per me di parlare di questo grande investimento che facciamo nelle Nazioni Unite è preziosa. Mi fa piacere.

  PRESIDENTE. La ringraziamo. Approfitteremo di questa sua passione e questa sua disponibilità per avere altre occasioni di interlocuzione. Naturalmente, vale reciprocamente. Quando Lei ritenga che su qualche dossier o su qualche aspetto la Commissione esteri possa esercitare una funzione che Lei ritiene utile, noi siamo qui a disposizione. Grazie, buona giornata. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.25.