XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 22 di Mercoledì 28 ottobre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fassino Piero , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO.

Audizione di rappresentanti della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo.
Fassino Piero , Presidente ... 2 
Granara Enrico , garante e supervisore della Rete e coordinatore delle attività multilaterali euromediterranee presso il MAECI ... 2 
Fassino Piero , Presidente ... 7 
Molinaro Enrico , Segretario Generale della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo ... 7 
Fassino Piero , Presidente ... 9 
Cabras Pino (M5S)  ... 9 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 9 
Fassino Piero , Presidente ... 9 
Granara Enrico , garante e supervisore della Rete e coordinatore delle attività multilaterali euromediterranee presso il MAECI ... 10 
Molinaro Enrico , Segretario Generale della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo ... 10 
Granara Enrico , garante e supervisore della Rete e coordinatore delle attività multilaterali euromediterranee presso il MAECI ... 11 
Molinaro Enrico , Segretario Generale della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo ... 12 
Fassino Piero , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIERO FASSINO

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, l'audizione dei rappresentanti della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo (RIDE), associazione di promozione sociale.
  Ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori Enrico Molinaro, Segretario Generale della Rete; il Ministro plenipotenziario Enrico Granara, garante e supervisore della Rete e coordinatore delle attività multilaterali euromediterranee presso il Ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale, e la dottoressa Giulia Ruffini, assistent coordinator della Rete Italiana della Anna Lindh Foundation.
  La Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo, con il patrocinio del MAECI, riunisce associazioni ed enti pubblici e privati, profit e no-profit, nel segno dei princìpi della Carta dell'ONU e del partenariato euromediterraneo di cui alla Dichiarazione di Barcellona del novembre del 1995, in coerenza con gli obiettivi della Fondazione euromediterranea Anna Lindh per il dialogo delle culture, di cui RIDE rappresenta la Rete Italiana.
  Ricordo che la Fondazione Anna Lindh, istituita nel 2004, costituisce la prima sede di dialogo tra l'Unione europea e i Paesi mediterranei ed è stata intitolata ad Anna Lindh, Ministra degli esteri svedese assassinata nel 2003 in ragione del suo impegno costante in favore del multilateralismo e di una partnership paritaria tra Nord e Sud.
  In un'epoca nella quale la mancanza di fiducia reciproca e la polarizzazione tra le società stanno aumentando, la Fondazione Anna Lindh e RIDE si impegnano, dunque, a promuovere narrazioni alternative per combattere i discorsi estremisti e le radicalizzazioni, fornendo piattaforme affinché le giovani generazioni possano costruire insieme comunità più aperte, inclusive e resilienti e una cultura basata sul dialogo e lo scambio.
  L'Italia si è impegnata sin dall'inizio in favore di questa iniziativa, nella consapevolezza che il nostro Paese, per storia, posizione geografica e tradizioni, ha delle potenzialità enormi per svolgere un ruolo di traino e di ponte nell'esercizio del dialogo tra le culture delle due sponde del Mediterraneo.
  Ringrazio, quindi, il Ministro Granara e il dottor Molinaro di essere qui. Possiamo dare luogo all'audizione dando la parola prima al Ministro Granara. Prego.

  ENRICO GRANARA, garante e supervisore della Rete e coordinatore delle attività multilaterali euromediterranee presso il MAECI. Presidente, io ringrazio la Commissione esteri per questa opportunità che mi viene data di presentare al Parlamento i risultati di un lavoro durato più di sette anni, da luglio del 2013, e che termina con la cessazione di questo mio incarico tra un Pag. 3mese per limiti di età. Si tratta del lavoro svolto nella mia veste di supervisore della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo che, come è stato detto, è capofila in Italia della Fondazione Anna Lindh per il dialogo tra le culture e, sempre a norma del suo statuto, membro del suo board of governors insieme ad altri quaranta rappresentanti dei Ministeri degli Affari esteri degli Stati membri dell'Unione per il Mediterraneo. Tutti e quaranta sono formalmente interessati a questa funzione, identificata per molti anni come il principale braccio di una politica e di una diplomazia culturale tra Europa e Paesi della riva sud ed est del Mediterraneo.
  È sufficiente leggere le dichiarazioni ministeriali del dialogo 5+5 degli ultimi sei o sette anni per capire il valore attribuito a questa Fondazione. Sin dal primo anno mi ero reso conto dei limiti del modello di Rete nazionale seguito dal 2005, anno in cui la Fondazione iniziò le sue attività ad Alessandria d'Egitto. Come quasi tutte le altre, si è trattata di una conduzione individuale, monocratica, fino a essere autocratica, nonostante le apparenze, di fatto non inclusiva e non trasparente.
  Numerosi sono stati gli episodi di disaffezione e le conseguenti rinunce da parte di enti e di individui validi, che molto avevano da dire e da proporre nel dialogo con la riva sud del Mediterraneo, ma che non trovano più spazio nel quadro di una prassi stabilita dal precedente capofila.
  Per ovviare a questo stato di cose, anche su input politico, nel 2015 avevo trovato il modo di attivare e incoraggiare una maggiore assertività dell'organo collegiale elettivo della RIDE, che è l'acronimo della Rete Italiana. Questo segnò l'avvio del rilancio della Rete Italiana, che ha portato alla riforma del suo statuto nel 2016, completato nel 2017, secondo i canoni del diritto civile, con la centralità dell'organo esecutivo collegiale e con una vocazione a dialogare con tutti i soggetti che si ispirano alla Dichiarazione di Barcellona del 1995, di cui ricorre a fine novembre il venticinquesimo anniversario.
  È significativo che la riforma italiana sia avvenuta in coincidenza con lo EU mid-term evaluation report approvato dalla Commissione europea, ma da questa non più fatto valere ai vari livelli della Fondazione nel timore, io credo, che le criticità rilevate, tanto nelle reti quanto nel Segretariato nel suo rapporto con lo Stato ospite, fossero troppo dirompenti e di difficile gestione politica.
  Allora non stupisce che la rinnovata Rete Italiana, forte di una sessantina di enti associati – comuni, università, centri di ricerca, ong, una diocesi, un'associazione musulmana – sia stata ricevuta freddamente dall'establishment della Anna Lindh. Non tanto dal board of governors, che sostanzialmente è tiepido, quanto piuttosto dalle reti modellate sul capofila monocratico e normalmente refrattario a rendere conto dei fondi ricevuti, dal Segretariato e dai suoi addetti macchiati da conflitti di interessi, e – inspiegabilmente – dalla Presidente non esecutiva, madame Elisabeth Guigou. Ci fu un episodio in Sala Zuccari del settembre 2017, di cui sono stati testimoni l'allora onorevole Chaouki e l'allora sottosegretario Della Vedova. Da qui, dopo un biennio di attitudine negativa e di un sostanziale boicottaggio nei confronti del capofila italiano – capofila collegiale, trasparente e propositivo sul piano dei progetti concreti da realizzare sulla base del criterio quality-based and evidence-based – il 24 novembre di un anno fa mi ero trovato ad avanzare la proposta di un oversight committee, o comitato di supervisione indipendente, esente da conflitti di interesse, trovando alcune significative adesioni nel board, dove gli Stati membri del Mediterraneo sono diciassette su un totale di quarantuno, in nome della legalità statutaria.
  Oggetto di un'indagine indipendente dovrebbe essere, secondo noi, in primo luogo il problema delle network guideline, cioè le linee guida a cui dovrebbero essere assoggettate le reti nazionali, che non ci sono mai state, sebbene richieste con insistenza dal qui presente Segretario Generale della RIDE, Enrico Molinaro.
  Ci sono poi seri problemi di staff, connessi problemi di gestione dei fondi, tutto Pag. 4ciò avvolto da un problema di natura strategica su cui tornerò più avanti.
  Quanto alle reti nazionali, in questa fase assistiamo a tentativi miranti ad utilizzare i pochi fondi disponibili per compensare i capofila delle reti nazionali che non hanno firmato i contratti di management support con il Segretariato ad Alessandria; ma ci si chiede: compensare a quale titolo?
  In questo modo le poche risorse richieste per iniziative importanti, come quella della rivitalizzazione dei teatri antichi del Mediterraneo su iniziativa franco-italiana e approvata al «Vertice delle Due Rive» di Marsiglia dell'anno scorso, se ne andrebbero tutti in sussidi a persone le cui credenziali non sono mai state verificate e che vivono da anni di rendite di posizione, a nostro parere illegittime; ma tutte sono unite a fare lobby e pressione sul Segretariato per vedersi assegnate le poche risorse che ci sono su canali di spesa non trasparenti, di cui il board non sa mai niente.
  Il direttore esecutivo uscente, di fronte a questa potente minoranza di blocco, temporeggia e lascia le cose come stanno; ma il suo successore, nel 2021, dovrà necessariamente fare fronte a questa situazione.
  Qual è la presa di posizione della Commissione europea, che è il maggiore finanziatore della Anna Lindh Foundation, nella misura dell'80 per cento? Di sicuro non è conseguente col suo proprio mid-term evaluation report del 2017. Da qui, dicevo, la proposta italiana di un nuovo oversight committee e ora anche di un'indagine da parte del Parlamento europeo e del suo organo dedicato, auspicabilmente con il vostro aiuto.
  Esiste poi la questione del cambiamento di organigramma, un problema insito nella natura stessa della Fondazione, in funzione della programmazione triennale. Ne abbiamo parlato in un nostro reflection paper diramato a metà luglio al board of governors e al suo working group, attivato a settembre, di cui io ho chiesto di far parte. Il documento è a disposizione della Commissione.
  Quanto allo staff, di fatto i cambiamenti parziali frequenti finiscono per indebolire l'organizzazione, che deve invece mantenere una sua struttura e proiettare un'immagine istituzionale, con dei ruoli stabiliti. Si tratta, pertanto, di consolidare un'istituzione che, va ricordato, mantiene dall'inizio la forma giuridica di un'associazione di diritto egiziano, ma che viene considerata dalla Commissione europea esclusivamente alla stregua di un progetto triennale, un Triennial Operational Grant.
  La stessa EU mid-term review del 2016, consegnata nel 2017, ha confermato che, a distanza di undici anni dall'inizio delle sue attività, la Fondazione non aveva ancora le caratteristiche di un'organizzazione stabile, perché condizionata dal fatto che ogni tre anni rimane ciclicamente in attesa di ricevere i fondi per andare avanti col suo ciclo triennale di attività.
  Qualcuno mi ricorda che per altre istituzioni la Commissione europea concede fondi per far fronte ai costi correnti. Si fa l'esempio dell'istituto universitario di Fiesole, dello stesso Segretariato dell'UPM a Barcellona, eccetera. Qui il problema all'Anna Lindh è strutturale, nel senso che ogni tre anni il direttore esecutivo di turno cerca di cambiare l'organigramma, finendo per non dare quella stabilità e continuità che invece sono necessarie. A farne le spese, per ragioni sempre opache, sono i vari funzionari o funzionarie che hanno dei curricula a livello internazionale, a vantaggio di figure più legate a logiche di spesa clientelare.
  Tutto questo poi succede ad Alessandria d'Egitto, coi suoi condizionamenti ambientali, la prevalenza di staff locale, che non sempre ha quella caratura indispensabile per interagire in modo agevole con persone di altre nazionalità e altre mentalità.
  Quindi manca una struttura stabile. L'attuale direttore esecutivo ha operato da par suo dei cambiamenti lo scorso 10 gennaio, ben sapendo che il suo mandato scade a dicembre; se gli va bene, avrà una proroga di un semestre nel 2021, oltre i limiti statutari, ma questo è un altro discorso. Ciò non è corretto, dato che il suo successore avrà tre anni e, se rinnovato, altri tre anni per intervenire su questi temi. Anche la guidelines delle reti è un tema legato a quello dell'organigramma. Nell'assenza di Pag. 5una vera leadership del direttore esecutivo, circolano in questi giorni dei documenti come survey su civil society dopo il COVID-19. Forzature. Anche nel documento proposto dal working group al board of governors, su cui l'Italia ha fatto conoscere il suo dissenso. Da una prima analisi della bozza di documento per le network guidelines, sembra un gioco di matrioske, tutto per mantenere lo status quo. Un tema su cui il Segretario Generale Molinaro, con tre anni di intensa esperienza con le altre reti può riferire di più. Il punto su cui insistono i miei colleghi del working group – siamo in sette, con una sponda alla DG NEAR della Commissione europea – è quello di far avere dei soldi ai capofila, senza porre loro tante domande. Ma se si accetta questo principio, occorre almeno fare delle distinzioni, dato che inevitabilmente emergono delle disparità. Chi lavora seriamente viene trattato come chi non lavora affatto, quindi i grants a che titolo vengono dati? Lo statuto poi parla di task, compiti, fornisce fondi a chi svolge azioni di tipo progettuale. Esempio è il citato progetto sulla rivitalizzazione dei teatri antichi che ha per nome «Scena Mediterranea»; ma lo strumento principe – come sono sempre state da quindici anni – sono le calls for proposals, finanziate dai fondi europei, che servono a finanziare le iniziative propriamente dette, proposte dalle reti nazionali e valutate dal Segretariato e in funzione di una programmazione strategica triennale approvata al board of governors, almeno in teoria. I grants devono seguire delle procedure, soprattutto di fronte alle pretese di certi capofila, che da un po' di tempo mirano ad essere pagati come staff, rifiutando di sentir parlare di requisiti minimi e di verifica delle loro credenziali. Per aver richiesto di stabilire dei criteri sui grants, la vicedirettrice italiana di Alessandria d'Egitto è stata contestata, diventando il bersaglio di una campagna mossa da alcuni capifila interessati a ricevere tutto senza dare nulla in cambio; tutto ciò nel silenzio del direttore esecutivo della Commissione europea. Ripeto, qual è la legittimità dei capifila?
  Abbiamo dei Governi che riconoscono enti nazionali – il caso del Goethe-Institut in Germania, il British Council, lo IEMed di Barcellona – mentre la RIDE in Italia è sì stata riformata su impulso del Ministero degli Affari esteri, ma la sua legittimità la trova in un'assemblea di soggetti votati seriamente al dialogo mediterraneo. Di fatto, è prevalso il criterio di quelli che io chiamo natural born heads of network, il criterio dei chiara fama iniziale, quindici anni fa, i quali una volta nominati o in qualche modo riconosciuti dai loro Governi si eternizzano senza ricambio periodico, come sottolineato dal mid term report che io avevo citato.
  Rimane centrale e ineludibile la questione dei criteri di qualità: tutti gli eleggibili possono partecipare, ma i grants li devono ottenere quelli che offrono garanzie di qualità e questo è un discorso che non è mai stato intrapreso.
  Alla fine tutto dipende dagli obiettivi che si vogliono assegnare a questa fondazione, ma i più si sottraggono a questa scelta, che è politica; prevale la «tendenza Ponzio Pilato», un certo perbenismo basato su un equivoco, quello di prendere per autentiche espressioni della società civile persone che non lo sono, per non prendere decisioni basate su una valutazione di merito, la pretesa di dare un po' tutto a tutti nei quarantuno Paesi, rinunciando ai criteri di priorità, alle scelte e alla qualità. Per dare tutto a tutti, i sette milioni di euro in tre anni, che è il bilancio della fondazione, due milioni e 300 mila euro l'anno, non sono sufficienti, dato che occorre anche pagare le spese di organizzazione ad Alessandria d'Egitto, dove c'è uno staff di trentacinque persone, sapendo poi che le calls for proposals sono necessarie, perché sono lo strumento più collaudato per distribuire i fondi comunitari. Il criterio finora adottato è quello di prefissare un valore di 50 mila euro per ogni Paese, per tre anni, per progetto, indipendentemente dalla valutazione di qualità, ma oggi non ci sono più le risorse per fare questo. Oltre a fare cose come l'Intercultural trend report, che costa 450 mila euro l'anno con una validità scientifica da exit poll.
  Ripeto, il punto fondamentale è cosa fare con questa Fondazione. I fondi per i grants non sono sufficienti, ci vorrebbero Pag. 6due milioni di euro in più. Quello per i tasks nemmeno, oltre a comportare una procedura troppo onerosa, come può attestare il dottor Molinaro. Il risultato è un ibrido che non serve a nulla e scontenta tutti, dove le reti più aggressive fanno pressione sul Segretariato per avere fondi, cercando di rendicontare meno possibile. Tutto questo perché gli Stati membri – tranne l'Italia che ha ricevuto una certa convergenza di buonsenso da parte di Francia, Spagna, Portogallo e qualche altro Paese – non fanno lo sforzo per ripensare le finalità della Fondazione, delle sue reti. Il working group doveva fare questo, ma non lo ha fatto. Infatti io mi appresto a redigere una sorta di minority report nelle prossime settimane.
  Cosa vogliamo fare della Fondazione? Il venticinquesimo anniversario della dichiarazione di Barcellona è un'occasione buona per riflettere. Noi come Italia, dopo aver ristrutturato la nostra rete nazionale, abbiamo dimostrato più volte di essere propositivi, dicendo che la Fondazione deve abilitare le reti a lavorare su un grande progetto interculturale e comune che faccia da volano, come «Scena Mediterranea», i teatri antichi. Qui abbiamo tutta una serie di enti in Italia, una filiera eccezionale che non ha non ha riscontro in altri Paesi: progetto, come dicevo, lanciato da Italia e Francia nel 2019, tra gli impegni assunti a Marsiglia, di fronte a un comitato di cento personalità della società civile del Mediterraneo centrale; ma fare accettare un'idea simile non è un'impresa facile. La Dichiarazione di Tunisi dei Ministri degli esteri del «Dialogo 5+5» potrebbe servire a imprimere una svolta, ma andrà seguita politicamente.
  Ora mi avvio alla conclusione. Nel working group reform model istituito a fine 2017 – in una situazione di conflitto di interessi e poi chiuso, soprattutto su pressione italiana – si era parlato di questa situazione, però senza esito. Ci fu e continua a esserci poca consapevolezza da parte del Consiglio consultivo della Fondazione, l'advisory council del board of governors, per questo dover essere della Fondazione. Pochi Stati membri si concentrano sulle cose e lo fanno parlando di aspetti parziali, formali, distanti dalla realtà. Proroghe, rotazioni, liaison officer a Bruxelles, chi lo vuole e chi no, chi predica per dare stabilità al bilancio della Fondazione rifiutandosi di ragionare però su come sono stati spesi i fondi finora, senza chiedersi perché la sua visibilità è così bassa dopo quindici anni. Il working group avrebbe dovuto affrontare il nodo delle risorse organizzative esistenti e delle capacità umane, che cosa si vuole fare e con quali fondi, ma distribuire grants a pioggia non è la soluzione, evidentemente.
  Poi trentacinque persone ad Alessandria d'Egitto per distribuire fondi è una struttura pleonastica. Arriva l'Egitto che dice «ma come potete pensare di escludere l'Egitto, 80 milioni di giovani, eccetera», Alessandria come finestra sul Mediterraneo, in un momento in cui bisogna combattere insieme la xenofobia, il razzismo, l'islamofobia, eccetera.
  Noi come Italia vogliamo che siano attuati progetti di grande spessore: perciò i teatri antichi sparsi in tutto il Mediterraneo sono un fattore potente di aggregazione delle reti. Su questo, in linea di principio, vi è consenso, si tratta di essere propositivi in concreto e non mollare. Noi lo siamo, col nostro patrimonio dei «Teatri di Pietra», da Verona, Siracusa, da Volterra a Tuscolo e l'Istituto nazionale il cui acronimo è INDA, a Siracusa, il Festival di Cerealia, eccetera.
  Due parole sulla questione del logo di cui parlerà il dottor Molinaro: la questione del logo della Fondazione è connessa alla questione del brand management della Fondazione.
  Nessuno in quattordici anni se ne è mai occupato, l'Italia ha ottenuto che il direttore esecutivo – in funzione da luglio del 2018 – affrontasse la questione iniziando a registrare il marchio, tuttora oggetto di abusi. Ancora una volta il punto è se si vuole veramente rafforzare la Fondazione oppure lasciarla debole e soggetta ai gruppi di pressione.
  La mia raccomandazione al Ministero Affari esteri e al MIBACT è quella di mantenere in sospeso dal 2016 ogni contributo Pag. 7alla Fondazione: L'Italia in quindici anni ha speso nella Fondazione 810 mila euro, molto meno di tutti gli altri Paesi europei come Svezia, Germania, Francia e, in alcuni momenti, la Spagna. Tutto questo fino a quando non sarà chiaro l'impegno, sollecitato con la Dichiarazione di Tunisi dei Ministri degli esteri del «Dialogo 5+5», a fare qualcosa di concreto sui teatri antichi, che noi vediamo come volano per un autentico coinvolgimento culturale ed educativo, oltre che formativo, nelle arti e nelle professioni, per centinaia di giovani nei nostri Paesi.
  Non ho citato il MIBACT a caso – e qui concludo – nel senso che sta al Ministero per i Beni e le attività culturali, d'intesa con il Ministero degli Esteri della cooperazione internazionale, a proporre, al momento opportuno, un rilancio della diplomazia culturale nel Mediterraneo che sia adatta alle sfide più attuali. A tale fine, il fatto di disporre della migliore rete della società civile specializzata nelle iniziative a tutto campo nel Mediterraneo sarà di grande aiuto. «Ponza Prima-Med» e «Ragusa Ibla» – per parlare solo di due manifestazioni recenti – sono lì a dimostrare che il duro lavoro fatto in questi anni, con pochissime risorse pubbliche – noi abbiamo dato, come MAECI, 25 mila euro nel 2015 alla Rete italiana per il dialogo mediterraneo in corso di ristrutturazione – con ostacoli enormi frapposti da chi non voleva e tuttora non vuole il cambiamento. Speriamo che non sia stato un lavoro sprecato, ma al contrario l'affinamento di uno strumento efficiente di cerniera tra istituzioni e società civile che sia utile alla politica mediterranea dell'Italia. La ringrazio, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie. La parola adesso al direttore della Rete, Molinaro. Ricordo ai nostri ospiti che noi alle 9,30 dobbiamo chiudere perché c'è seduta, quindi chiederei di essere conciso, in modo tale che i commissari possano intervenire. Grazie.

  ENRICO MOLINARO, Segretario Generale della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo. Grazie, presidente. Mi fa piacere essere qui, il tempio della democrazia italiana, per parlare di un tema che soprattutto attiene alla competenza di questa Commissione, in quanto secondo i rappresentanti della società civile – come ha detto il Ministro Granara, parliamo di comuni importanti come Bologna, Pesaro, Palermo, Otranto, Cremona, il piccolo comune di Ponza, università pubbliche e private come L'Università della Calabria, di Catania, di Urbino, la John Cabot, la LUMSA, centri di ricerca e altri, tra cui anche il CeSPI del presidente Fassino – noi pensiamo che il nostro lavoro possa, da una parte, influenzare il ruolo italiano nel campo del Mediterraneo, dall'altro, ricevere da voi un feedback per capire come valorizzare questo ruolo. È importantissimo lo scambio che possiamo avere, anche in pochi minuti o forse pochi secondi, tra noi prima della fine della seduta.
  Il lavoro è nato – come diceva il Ministro Granara – soprattutto tra il 2015 e 2016, in cui un gruppo di pionieri, su input soprattutto dell'Ufficio del coordinamento euro-mediterraneo del Ministero degli Esteri che è gestito dal 2013 dal Ministro Granara, abbiamo sentito l'esigenza di non continuare con Scientology, le palestre di basket chiuse, gli uffici dei dentisti e gli uffici legali del mio predecessore. Abbiamo pensato che era utile, invece, valorizzare al massimo questa potenzialità oppure lasciarla, perché questa è una decisione politica che ovviamente spetta a voi. Noi pensiamo che se le cose si fanno e ci sono soldi pubblici utilizzati – perché tutti i cittadini pagano attraverso l'IVA la componente della Commissione e gli Stati membri attraverso le tasse – pensiamo che sarebbe stato il caso di metterci in gioco per dare il massimo del contributo e far funzionare la macchina. Le condizioni le ha descritte il Ministro Granara: abbiamo avuto boicottaggi interni ed esterni pesantissimi.
  Il risultato è stato che la resilienza ha vinto, devo dire anche grazie all'aiuto di questi pionieri, e soprattutto della dottoressa Enrica Miceli, che coordina la segreteria della nuova rete, che abbiamo creato il 12 giugno 2017 presso un notaio, e abbiamo ricevuto il 16 settembre dello stesso anno dal Ministro degli Esteri l'incarico di capofila. Allora la domanda che vi faccio è: Pag. 8che cosa vuole fare l'Italia? Visto che avete questo piccolo tesoretto, questa potenzialità, e tutti sappiamo che la società civile italiana è molto attiva; le caratteristiche – questo lo dico nel senso più solenne, in questo momento – di questa rete sono della massima inclusività, e potete riconoscere tra i vari membri, tra le persone che partecipano esponenti, o leader culturali, di diverse forze politiche di tutto l'arco parlamentare. Su questa base, di massima rappresentatività e trasparenza – l'assemblea generale l'abbiamo svolta nella sede più alta e istituzionale, cioè lo «Spazio Europa» della Commissione e del Parlamento europeo, alla presenza dell'allora Presidente del Parlamento europeo, Tajani – per questo noi vogliamo dire: perché sprecare questa occasione? Potete, per favore, darci consigli e una mano, visto che il mandato del Ministro Granara finirà il primo dicembre e noi vorremmo avere un feedback da parte vostra? Siamo un po' isolati, ve lo diciamo chiaramente, e il quadro che ha descritto il Ministro Granara è desolante, ma noi non demordiamo perché pensiamo che quello che c'è in gioco non è soltanto il denaro dei cittadini, ma la mission stessa della fondazione. Noi pensiamo che si può fare qualcosa, e siamo sicuri che il tema che abbiamo posto al centro, in modo anche un po' rivoluzionario del dibattito euro-mediterraneo, cioè quello delle identità collettive, è una sfida. Noi non abbiamo paura di usare la parola «identità». Abbiamo realizzato una serie di eventi proprio su questo tema, l'ultimo è stato nell'isola di Ponza, dove per la prima volta nella storia abbiamo riunito tutti i leader delle istituzioni euro-mediterranee, che non si erano mai incontrati tra di loro, per fare un'agenda comune. Abbiamo sviluppato un nuovo manifesto sul tema della sostenibilità, richiamando proprio nell'isola dove Altiero Spinelli era stato confinato dal '37 al '39, insieme a Pertini, Nenni e Terracini, prima di essere poi deportato nell'isola vicina dello stesso arcipelago di Ventotene (dove il prossimo anno celebriamo l'ottantesimo anniversario del Manifesto per l'Europa). Da quest'isola è nata l'idea che l'Italia può svolgere un ruolo di leadership – lo ripeto – mai nessuno aveva neanche pensato di far incontrare tutti i leader delle istituzioni del Euro-Mediterraneo, che non si parlavano tra di loro – al massimo si facevano uno shake hand formale –, non avevano mai pensato di fare un'agenda comune, nonostante leggendo il testo della mozione 95, c'è scritto che è necessario avere una visione comune dei tre cosiddetti elementi sicurezza, cultura ed economia; da nessuna parte c'è scritto che il denaro pubblico deve essere sprecato per fare diverse istituzioni che tra loro non si parlano, e che mantengono muri di chiusura. Subito dopo abbiamo fatto un evento a Ragusa Ibla, e sulla base della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu su «Donne pace e sicurezza», che ha avuto un enorme successo perché ci risulta – dateci il riscontro, anche critico, se sbagliamo – che è stato l'unico evento del 2020, in cui sono stati riuniti i rappresentanti della civile egiziana, israeliana, palestinese e giordana, cioè Paesi in conflitto, soprattutto dopo le ultime vicende che – sapete bene – hanno provocato polemiche da parte del Presidente Trump, e del Primo Ministro Netanyahu – che non hanno trovato tutti contenti, la società civile è in ebollizione –, e li abbiamo convinti proprio sul tema dell'identità; nel caso specifico abbiamo visto uno dei temi dell'identità, quello che abbiamo chiamato «la cucina identitaria»; visto che attraverso il nostro festival best practice di «Cerealia», che ogni anno da dieci anni è rivolto a un Paese mediterraneo diverso, e che l'altro anno, nel contesto della settimana italiana della cucina nel mondo, è stato presentato grazie all'Ambasciata italiana a Tunisi. Questo è stato un grande successo, e ci sono stati videomessaggi da parte del Ministro dell'Agricoltura, della Famiglia, della Viceministra degli Esteri Del Re, e tutti quanti sono stati stupiti – tra cui, per esempio, la Vicesindaca di Ragusa che è venuta – del fatto che sembrava un'atmosfera familiare (in una situazione che sapete benissimo che è tutt'altro che tranquilla nel Mediterraneo).
  C'è un grandissimo potenziale, e stiamo per realizzare tra pochi giorni un evento sul tema più delicato del negoziato – su cui Pag. 9ho lavorato prima dieci anni a Gerusalemme, e poi con degli incontri a porte chiuse coinvolgendo la nostra rete, tra i negoziatori palestinesi e israeliani – quello dei luoghi santi di Gerusalemme. Questo solo per farvi capire una cosa: per favore, non ci abbandonate, non ci trascurate, perché possiamo fare delle cose che possono essere utili per le istituzioni. La nostra mission è di essere al servizio della società civile, senza risorse, perché tranne questi 25 mila euro del 2015, non abbiamo mai ricevuto nulla da nessun ente pubblico – lavoriamo praticamente gratis, nonostante il primo articolo della Costituzione italiana dice che è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, e si intendeva non lavoro gratuito –, il risultato è che siamo qui a tirare le fila di un lavoro che è arrivato qui oggi il Parlamento italiano, e che domani vorremmo che arrivi anche al Parlamento europeo, per scuotere le istituzioni comunitarie e usare meglio i soldi dei cittadini.

  PRESIDENTE. Ringraziamo di questa informazione, che ha evidenziato molte problematicità sulla rete, sul funzionamento della fondazione, ma anche sulle sue potenzialità. Adesso io lascio la parola ai Commissari, se ci sono domande, questioni, osservazioni e considerazioni. Prego, vicepresidente Cabras.

  PINO CABRAS. Confesso di non aver capito molto l'esposizione, è un mio limite. Non conosco bene la vostra attività. Ho notato che ci sono molti spunti polemici, che immagino nascano da dalla passione del vostro lavoro – che probabilmente è stata frustrata da eventi che non conosciamo bene – e non ho elementi oggi per fare considerazioni. Vi chiedo, nel caso, se volete preparare una nota più completa e consequenziale sugli elementi su cui volete che si intervenga, in modo che comprendiamo meglio. Confesso, sinceramente, di non essere molto dentro le dinamiche che avete evocato, però è importante che possiamo avere e acquisire elementi ulteriori, magari successivamente.

  YANA CHIARA EHM. Mi accodo a quanto detto dal collega Cabras, nel senso che sicuramente, vista dai vostri interventi, la situazione è critica, da una tematica che è probabilmente a tutti sta molto a cuore, cioè il Mediterraneo, e il dialogo civile tra le varie popolazioni e i vari Paesi. Confesso di aver preso una nota anche di sofferenza al riguardo, ma non ho capito bene su cosa noi possiamo essere di aiuto. Faccio brevemente un inciso: io faccio parte di due delegazioni internazionali la AP-UpM e la PAM, che sono entrambe delegazioni parlamentari che lavorano nell'ambito del Mediterraneo allargato, quindi comprendono sia i Paesi mediterranei sia i Paesi della fascia MENA, quindi anche Medio Oriente fino ad arrivare alla Siria, e sicuramente un punto fondamentale è quello di riuscire a creare dei bacini nei quali vi possa essere la possibilità di un dialogo. Questo non è sempre una certezza, ma questa creazione di possibilità è fondamentale. In entrambe le delegazioni sono presenti sia Israele sia Palestina, tutta la fascia nordafricana, e comprendo quanto siano anche importanti queste occasioni che solo noi possiamo creare, e che noi possiamo sostenere affinché possiamo essere un tassello fondamentale.
  Io capisco l'importanza e vorrei anche essere di sostegno in questo senso, perché personalmente è una tematica a me molto cara, ma devo comprendere meglio e mi accodo a quanto detto dal collega Cabras, su quanto noi possiamo essere concretamente di aiuto proprio per sostenere questa volontà, che in questo senso ci accomuna. In questo caso, se vi è la possibilità di dare un qualcosa di scritto in seguito, così da poter seguire quest'ambito individuato nell'audizione.

  PRESIDENTE. Altri? Credo anch'io che tutta l'esposizione che è stata fatta, richieda un approfondimento da parte della Commissione. Credo sia utile quello che ha suggerito l'onorevole Cabras, cioè di avere una nota riassuntiva dell'attività, delle problematiche e delle proposte di rilancio, di prospettiva, in modo tale che la Commissione possa fare una valutazione, e anche in relazione con il Ministero, vedere come poter agire. Se non ci sono altri interventi Pag. 10darei la parola ancora voi per una brevissima replica. Prego.

  ENRICO GRANARA, garante e supervisore della Rete e coordinatore delle attività multilaterali euromediterranee presso il MAECI. Credo che il punto di partenza per una buona analisi della realtà della Fondazione Anna Lindh è il fatto che, che come avevo precisato all'inizio della mia esposizione, è stata vista, da quindici anni a questa parte, come lo strumento formalmente più importante per una politica, una diplomazia interculturale nel Mediterraneo tra i ventisette/ventotto Paesi dell'Unione europea, i dieci Paesi arabi della riva sud, Turchia, Israele, Mauritania – come membro della Union du Maghreb Arabe – , alcuni Paesi dei Balcani occidentali, e il Principato di Monaco. Tutto quello che ne è disceso è un'esperienza di quindici anni, che si è allontanata dai valori statutari stabiliti con molta lungimiranza dal gruppo dei padri fondatori, che faceva capo a Romano Prodi. C'è un articolo, in particolare, di questo statuto, il numero 13, comma 5, che prevede la riunione annuale, come assemblea generale, congiunta dei capifila delle reti nazionali e dei membri del board of governors. Nella nostra interpretazione, questa era stata una norma che mirava a proprio evitare le minoranze di blocco, perché nell'esperienza politica di tutti i Paesi, soprattutto in un ambito multilaterale, questo diventa un rischio reale. Purtroppo, il board of governors, cioè i Governi e i direttori che si sono succeduti, un insieme di interessi sostanzialmente divergenti (anche se non dichiarati come tali), ha fatto sì che non si è mai proceduto alla verifica delle credenziali di questi capi fila, riconosciuti all'inizio come portatori di tendenze rilevanti della società civile nel Mediterraneo. Ricordiamo che la Anna Lindh Foundation era stata creata dai padri fondatori come «Fondazione Euro-Mediterranea per il dialogo», poi prese il nome della politica svedese assassinata, Anna Lindh, tra il 2004 e 2005, a seguito di una forte pressione egiziana per ospitare la fondazione in Egitto, trovando ad un certo momento degli interessi convergenti con la Svezia: ad Alessandria d'Egitto aveva un suo istituto, una sede logistica, una dotazione di fondi e il desiderio di onorare la memoria di questa personalità politica. Da quel momento non è mai stato fatto un vero lavoro per attuare lo Statuto, che a leggerlo è «un'ipotesi eroica», come dicono certi economisti parlando di schemi astratti. Allora a quindici anni di distanza che cosa fare? Chi ha le energie, le forze e la convinzione per rilanciare una fondazione di questo tipo? Come Italia, alla luce della nostra esperienza riformatrice negli ultimi quattro o cinque anni, noi abbiamo indicato una strada, lasciando intatto l'impianto perché è difficile rifare tutto da zero, bisognerebbe chiudere e ricominciare da un'altra parte, ma senza garanzie che poi le cose vadano meglio. Abbiamo detto che ci vuole, per la prima volta in quindici anni, un momento alto per parlare di scambi culturali nel Mediterraneo. Ci vuole un'iniziativa concreta che possa mobilitare le reti, le energie migliori delle reti. Non si può credere che la Grecia non abbia niente da dire sui teatri greco-romani che ospita, sui festival e sulle iniziative, anche di formazione, dei giovani che possono avere luogo. In Asia Minore, cioè in Turchia, esistono teatri, e ne esistono in Libano e in Tunisia. L'Algeria ha il secondo patrimonio archeologico più importante della romanità dopo la penisola italica e il collega algerino era entusiasta di questa mia idea. C'è lo spazio per lavorare anche con entusiasmo su queste cose e ingaggiare un autentico dialogo, mobilitando i giovani della società civile su un canale costruttivo, cosa che non c'è stata. Qui siamo di fronte a un gruppo organizzato che non vuol sentire parlare di azioni concrete: parla, confonde le idee e vuole essere pagato, tutto qui.

  ENRICO MOLINARO, Segretario Generale della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo. Intanto volevo ringraziare i membri della Commissione, che hanno espresso oltre che interesse- e questo per noi era l'obiettivo strategico di questo incontro e quindi saremmo ben felici di darvi la documentazione richiesta – ma soprattutto, se mi posso permettere, anche un pizzico di empatia umana per la situazione di sofferenza che avete percepito. Questa Pag. 11era la pars destruens, diciamo così; io vorrei concentrarmi in questi pochi secondi invece sulla pars construens, visto che l'onorevole ha citato le principali istituzioni euromediterranee che, come ha detto giustamente, includono anche le due parti principali in conflitto del Mediterraneo, cioè palestinesi e israeliani. Noi abbiamo lavorato con questa rete, con la PAM, ma soprattutto abbiamo sviluppato un rapporto strategico istituzionale con la principale istituzione creata nel 2008 a Barcellona, cioè l'Unione per il Mediterraneo. Io sono membro del water expert group e mi sono accorto di una cosa: nel momento in cui, alla fine della riunione, bisognava sollecitare i rappresentanti della società civile dei quarantadue Paesi nel diffondere i documenti dell'UPM, nessuno citava l'Anna Lindh, che aveva proprio questa mission, come sapete. A questo punto mi sono reso conto di un gap di comunicazione tra le istituzioni e, d'accordo con gli uffici competenti del Ministro Granata e del Ministero degli Esteri, il 15 maggio 2019 a Palermo abbiamo fatto un incontro tra l'ambasciatore Kamel – Segretario Generale dell'UPM – e il dottor Al-Sharif, che è il nostro direttore esecutivo dell'Anna Lindh. Questo incontro è sfociato in un incontro più grande con il professor Riccaboni – ex rettore di Siena e attuale presidente della Fondazione PRIMA – con diciannove Paesi euromediterranei e l'Ambasciatore Moratinos, Alto Rappresentante dell'ONU per l'alleanza di civiltà, che come Ministro degli Esteri ha creato il momento diplomatico della nascita del documento di Barcellona.
  In questo senso noi pensiamo che voi possiate darci un input critico di incoraggiamento, ma anche di direzione politica. Visto che ovviamente le nostre energie sono limitate, soprattutto come coordinamento della rete, quale pensate che possa essere il contributo principale – tra le varie cose che adesso vi abbiamo esposto oralmente e che vi metteremo per iscritto – dell'Italia? Lavorare di più, per esempio, sul rafforzamento della rete all'interno oppure continuare a combattere per una riforma che dia accountability, cioè la capacità di rendicontare del lavoro fatto, cosa che adesso non avviene nelle reti dei colleghi, dove addirittura un mio collega mi ha detto che ci sono i dead members, cioè i membri morti perché servono per fare numero di fronte alla Commissione europea? Oppure volete invece che continuiamo questo lavoro interistituzionale, visto che l'Italia può avere modestamente un ruolo di leadership della cultura tra le varie istituzioni e portare dei temi – noi per esempio abbiamo scelto quelli della sostenibilità, dell'economia circolare, della sicurezza alimentare e della lotta al cambiamento climatico – dove l'Italia può apparire appunto come leader propositivo? Ho cercato di sintetizzare quello su cui noi umilmente vi chiediamo un consiglio. Grazie.

  ENRICO GRANARA, garante e supervisore della Rete e coordinatore delle attività multilaterali euromediterranee presso il MAECI. Mi fa piacere portare all'attenzione della Commissione uno sviluppo interessante. A Marsiglia al Vertice delle Due Rive – le Sommet des Deux Rives – dell'anno scorso, la Francia aveva invitato i dieci Paesi membri a portare una delegazione di dieci esperti giovani, nei vari temi, per fare avanzare delle proposte concrete sui temi di maggiore sensibilità delle pubbliche opinioni del bacino del Mediterraneo occidentale.
  Noi avevamo selezionato – visto che eravamo stati invitati a parlare di economia circolare e sviluppo sostenibile – dieci giovani esperti con l'aiuto del Cluster Blue Italian Growth – che comprende enti di ricerca come il CNR, l'ENEA, l'ISPRA e il SIAN di Bari; imprese e associazioni di categoria come Federpesca; i dipartimenti di biologia marina delle università, eccetera –, dieci giovani che hanno portato a Marsiglia un progetto – presentato in anteprima in un forum a Palermo il 16 maggio dell'anno scorso – che ha colpito l'attenzione a livello politico, al punto che il Presidente francese Macron ha chiesto a tutti che venisse data priorità a questo tipo di progetti. Si tratta di un progetto basato sulla produzione e sul consumo di cibo in una delle zone costiere del Mediterraneo in un'ottica di sostenibilità, di sviluppo sostenibile ed economia circolare e quindi anche Pag. 12 come parametro per riformulare i servizi delle autonomie locali. Proprio ieri abbiamo avuto notizia che una delle componenti del progetto è stata approvata attraverso una call for proposal europea e avrà una quota di finanziamento per una parte del progetto che vedrà coinvolte la città di Taranto e la città tunisina di Gabés.
  Questo è solo un esempio di quello che può fare la politica estera regionale del Mediterraneo in associazione con la società civile, gli enti di ricerca e la filiera industriale che ci sono dietro. Io amo dire che l'Italia ha una grandissima arma che è tutto il complesso espositivo di Ecomondo a Rimini, dove l'anno scorso c'erano 130 mila visitatori e più di 1600 espositori. Questo è uno strumento, più che un'arma, fondamentale per una politica estera della sostenibilità nel Mediterraneo. Di queste cose noi vorremmo parlare nella Fondazione Anna Lindh, ma anche fuori dalla Fondazione Anna Lindh. L'Unione per il Mediterraneo è il forum multilaterale mediterraneo che fa da piattaforma per l'instradamento di progetti poi finanziabili dai fondi della politica europea del vicinato, dove tutti noi abbiamo interesse a portare le nostre migliori proposte e idee.

  ENRICO MOLINARO, Segretario Generale della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo. Posso avere trenta secondi? Sarò velocissimo. Ci sono due cose che possono fare capire meglio il senso della nostra richiesta e del vero e proprio appello accorato che vi facciamo. La legge del 2014 prevede – ci ha spiegato l'allora direttore generale della cooperazione Cantini che attualmente è ambasciatore al Cairo – un ruolo di pensatoio. Noi siamo stati candidati, diciamo così, a svolgerlo come sistema Paese, cioè a raccogliere le forze migliori della società civile. Lo abbiamo inserito nello statuto d'accordo con il Ministro Granara, che è garante della nostra rete per il Governo. Siamo stati candidati a svolgere questo ruolo in un doppio raccordo di cerniera con voi delle istituzioni. Noi portiamo le migliori proposte e ascoltiamo il vostro lavoro istituzionale per portarlo e diffonderlo nella società civile.
  L'ultima cosa che volevo dire riguarda lo scopo prioritario, a cui vogliamo dedicare tutte le nostre energie ormai da anni, d'accordo per esempio con l'ufficio dell'UPM – Giuseppe Provenzano, un italiano – che è dedicato all'employability cioè al cosiddetto «labor mismatch». Crediamo che questo sia il principale problema dei giovani e delle donne del Mediterraneo: il gap tra l'alta formazione e le linee di mercato del lavoro che vanno da un'altra parte. Tutte le nostre attività – a cominciare dal progetto «Scena Mediterranea» – sono finalizzate ad avere uno sbocco concreto di prospettiva di lavoro per i giovani e le donne del Mediterraneo. Questa, ripeto, è una cosa totalmente nuova perché finora – scusatemi se faccio una battuta – c'è stato sempre un gran chiacchierare, ma senza niente di concreto. Su questo vi chiediamo se è la direzione giusta e se avete un vostro feed. Grazie.

  PRESIDENTE. Aspettiamo questa nota in modo tale da avere un momento di riflessione documentato. Peraltro questo incontro è all'interno di un'indagine conoscitiva che noi stiamo conducendo sulla politica estera nel Mediterraneo; l'indagine conoscitiva si concluderà con un rapporto, che ovviamente avrà anche una parte di indicazioni operative e quindi è utile anche il vostro contributo per consentirci di avanzare proposte, che abbiano un grado di praticabilità e di fattibilità effettivo; la vostra esperienza ci può essere utile. Bene, vi ringrazio, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.