XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 18 di Mercoledì 15 gennaio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Jeber Faisal , geologo e archeologo di Mosul ... 3 
Formentini Paolo , Presidente ... 5 
Boldrini Laura (PD)  ... 5 
Jeber Faisal , geologo e archeologo di Mosul ... 6 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 6 
Jeber Faisal , geologo e archeologo di Mosul ... 6 
Comencini Vito (LEGA)  ... 7 
Boldrini Laura (PD)  ... 7 
Jeber Faisal , geologo e archeologo di Mosul ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Dawood Ismaeel , Segretario dell’ ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 12 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 12 
Boldrini Laura (PD)  ... 12 
Formentini Paolo , Presidente ... 12 
Dawood Ismaeel , Segretario dell'Iraqi Civil Society Solidarity Initiative ... 12 
Formentini Paolo , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 18.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, quanto all'intervento del primo audito, il dottor Jeber, anche attraverso la trasmissione sul canale della web-tv della Camera dei deputati; quanto all'audizione del dottor Dawood, su richiesta dell'audito e come concordato in modo unanime in sede di Ufficio di Presidenza, soltanto mediante resoconto stenografico.

Audizione di rappresentanti della società civile irachena.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, l'audizione di rappresentanti della società civile irachena.
  Saluto e ringrazio per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Faisal Jeber, geologo e archeologo di Mosul, impegnato nella protezione del patrimonio culturale iracheno e nella ricostruzione della sua città dopo la battaglia contro Daesh.
  Ricordo che dall'inizio di ottobre l'Iraq è agitato da imponenti manifestazioni di protesta che rivendicano cambiamenti sociali contro la corruzione, la mancanza di lavoro e il settarismo che pervade gli apparati statali. Le conseguenze di queste mobilitazioni sono, da un lato, le decine di morti causate dalla repressione poliziesca; dall'altro, una notevole presa di coscienza da parte di un movimento che non accenna ad arretrare, con al suo interno una forte presenza di donne, contraddistinto da una struttura non guidata da leader o partiti politici.
  Sono lieto di dare la parola al dottor Jeber per il suo intervento.

  FAISAL JEBER, geologo e archeologo di Mosul. Grazie, presidente, della Sua introduzione. La mia presentazione si intitolerà «Sconfiggere al Qaeda e Daesh in Iraq: una luce per un nuovo Medio Oriente». Perché l'Iraq è importante? Se guardiamo alla storia del Medio Oriente, vediamo che la maggior parte dei conflitti si svolgono tra religioni abramitiche, e poiché l'Iraq ha dato vita alla fede abramitica ritengo che la conciliazione tra queste religioni debba partire dall'Iraq. Credo che il radicalismo sia la radice di tutti i mali. Per questo ritengo che la strada per un pacifico Medio Oriente debba partire dalla riconciliazione tra le religioni abramitiche, la riduzione del radicalismo, soprattutto di quello religioso, oltre che razziale.
  Mi ricollego a quanto accaduto in Afghanistan ad opera di al Qaeda, per mostrarvi nelle prossime diapositive quello che Daesh ha fatto, tra il 2014 e il 2017, alla mia città natale, Mosul. Questo nella diapositiva è il centro della città dove si trovava l'edificio della società per le assicurazioni nazionali. Questo edificio è stato utilizzato per far cadere nel vuoto, dall'ottavo piano, le persone omosessuali. Quello è il modo in cui hanno punito le persone accusate di omosessualità.
  In questa diapositiva, invece, vedete uno dei cinque ponti che collegavano la parte occidentale a quella orientale di Mosul: tutti e cinque sono stati distrutti. Questo è uno dei due alberghi a cinque stelle presenti in città. Questa è una chiesa famosa, Pag. 4che risale al VII secolo. Questa è la parte antica di Mosul, qui vedete la città – a sinistra – nel 2014, prima dell'arrivo di Daesh, e la città dopo la liberazione, dopo la battaglia per la riconquista di Mosul iniziata nell'ottobre 2016 e terminata nel luglio 2017.
  Nel 2014 feci visita alla mia famiglia, rientrando dalla Malesia, dove vivevo all'epoca per conseguire il mio dottorato di ricerca, e il primo giorno uscii per vedere che cosa era successo alla città a causa di Daesh, iniziando a documentare quello che accadeva. Il secondo giorno Daesh mi ha arrestato accusandomi di essere una spia, in quanto il mio orologio e la mia videocamera avevano un sistema GPS al proprio interno. Dopo quattro giorni di detenzione sono stato rilasciato da Daesh. Mi sono recato a Baghdad e ho deciso allora di lottare contro Daesh.
  All'epoca non pensavamo che Daesh sarebbe rimasto così tanto, pensavamo a poche settimane o pochi mesi e che l'esercito avrebbe liberato la città. Nel 2015 ho fondato una ong, quando Daesh ha iniziato a distruggere i nostri beni culturali. Nel 2016 iniziarono i preparativi per la battaglia per la riconquista di Mosul: c'era un progetto dell'esercito americano che utilizzava la mobilitazione delle tribù per sconfiggere Daesh. Si voleva utilizzare la stessa tecnica che era stata usata nel 2006-2008 per sconfiggere al Qaeda, reclutando dei sunniti locali che combattessero insieme all'esercito per liberare le comunità dal radicalismo. Ho fondato una piccola milizia con 144 combattenti ed eravamo al fianco delle forze di liberazione e dell'esercito iracheno. Siamo stati equipaggiati e addestrati dall'esercito statunitense, ma poi il nostro dispiegamento e le nostre operazioni sono dipesi dall'esercito iracheno. Questo ha dato a me e alla mia ong il privilegio di accedere ai siti archeologici. Durante la battaglia, e soprattutto dopo, ho potuto svolgere attività di documentazione e attuare una forma di pronto intervento per la protezione dei beni archeologici. Ecco perché sono qui a Roma. Ho frequentato un corso tenuto dal Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali (ICCROM) e dall'UNESCO, un corso di pronto soccorso a beneficio dei beni culturali nelle aree di crisi.
  Questa è parte della mia forza in fase di addestramento e durante la battaglia per la riconquista di Mosul. Abbiamo girato due documentari, trasmessi da IRT1 e SPS, un canale di notizie. Dopo vi fornirò i link a questi due documentari.
  Noi abbiamo partecipato alla liberazione di Mosul. Per me Mosul rappresenta un piccolo Medio Oriente, un crocevia importante tra Cina ed Europa lungo la via della seta. Siamo una culla di diversità razziali, culturali e religiose. Ogni volta che abbiamo liberato una chiesa, abbiamo celebrato la liberazione innalzando una croce e invitando la minoranza cristiana a ritornare in quell'area. L'abbiamo fatto con i templi degli yazidi, con le chiese cristiane nonché con l'ultima sinagoga che era rimasta a Mosul.
  Perché è importante sostenere le manifestazioni che si svolgono a Baghdad, a piazza Tahrir? Nel 2008, dopo la sconfitta di al Qaeda da parte degli americani, c'era una sensazione positiva in merito all'invasione americana e la popolazione ha cominciato ad accettare gli americani considerandoli liberatori. All'epoca gli americani stavano costituendo e rinnovando l'aeronautica e il settore della sicurezza iracheni. Gli americani furono costretti a lasciare l'Iraq dopo la sconfitta elettorale del repubblicano George W. Bush. È vero che noi non eravamo contenti di lui e lo prendevamo in giro per le cose che diceva. George W. Bush disse: «Se saremo costretti ad andare via adesso, saremo costretti a tornare in futuro per sconfiggere un'altra organizzazione ancor più brutale». All'epoca si riferiva ad al Qaeda ed effettivamente nel 2014 gli americani sono ritornati per liberarci da Daesh, che è l'organizzazione più brutale. Analogamente a quanto accadde dopo la sconfitta di al Qaeda, anche in questo caso c'è stata una sensazione di ottimismo, ma le unità di mobilitazione popolare (PMF), che erano sostenute dall'Iran, hanno partecipato alla battaglia per la riconquista di Mosul contro la coalizione internazionale e di nuovo gli Pag. 5americani. Il piano originale della battaglia per la riconquista di Mosul era lasciare aperta la parte occidentale di Mosul in modo che Daesh potesse fuggire verso la Siria o dove avesse voluto, per evitare che restasse a combattere fino alla fine. Ma le milizie PMF hanno chiuso la parte occidentale di Mosul, costringendo Daesh a combattere fino all'ultimo uomo, distruggendo la città e causando la morte di numerosi civili, in numero compreso tra 14 e 15 mila, oltre a 5 mila unità militari circa. Questo ha diffuso una sensazione negativa, per cui questa vittoria che doveva servire a riguadagnare l'identità nazionale dell'Iraq è stata percepita come un'ulteriore sconfitta, con una nuova perdita dell'identità nazionale.
  L'unica speranza è stata l'avvio di una serie di manifestazioni il primo ottobre, con un carattere diverso da quelle che si sono verificate nel 2011, 2012 e 2015, perché qui non c'è una leadership. Si è partiti da una semplice chiamata, da una convocazione attraverso i social media. Questa è stata l'unica speranza. Non pensavamo che questa manifestazione potesse essere brutalmente repressa e contrastata da parte delle forze di sicurezza irachene. È stata una sorpresa. Qui non c'è una leadership, non c'è un partito politico alle spalle dei manifestanti, quindi le forze di sicurezza non sapevano con chi parlare.
  Io ho iniziato a partecipare nel secondo giorno della manifestazione, quindi il 2 ottobre, e il 5 ottobre il Presidente del Parlamento iracheno ha chiesto di poter interloquire con i rappresentanti o con i capi della manifestazione. Ciò è accaduto dopo che per la prima volta il Governo iracheno aveva imposto il coprifuoco a Baghdad, dopo aver bloccato internet. Per fortuna ho partecipato alla riunione con il presidente del Parlamento. Durante la riunione, quando abbiamo iniziato a parlare, ho detto ai giovani che erano con me «dobbiamo chiedere la trasmissione in diretta di questa riunione», perché il popolo iracheno era stato tagliato fuori da tutto e quindi noi dovevamo dire che avremmo parlato solo se ci fosse stata una diretta dell'incontro. Il Presidente rispose no alla diretta, perché temeva che qualcosa potesse andare storto durante la riunione e promise che tutto quello che ci saremmo detti sarebbe andato in onda sulla tv nazionale successivamente. La riunione è durata tre ore e mezza, mentre sulla tv nazionale il servizio sulla riunione è durato solo mezz'ora. Sono state montate soltanto alcune scene, in cui solo alcuni si lamentavano di questioni personali, delle cattive condizioni di lavoro o delle paghe troppo basse, quindi il Presidente del Parlamento ci ha ingannati, non mostrando per intero al popolo iracheno la realtà della riunione. Alcuni dei manifestanti quel giorno hanno urlato al Presidente dicendogli «Non la vogliamo! Non vogliamo questo Governo! Dovete dimettervi! Il Parlamento deve essere sciolto. Vogliamo nuove elezioni!».
  Nelle precedenti elezioni c'è stata un'affluenza alle urne pari solo al 18 per cento e ci sono stati tanti brogli elettorali. Vogliamo che adesso il Governo si dimetta, che venga sciolto il Parlamento, vogliamo una nuova legge elettorale, una nuova commissione elettorale nel 2020.
  Di fatto questo è accaduto durante le manifestazioni. Fino a ieri circa 670 persone hanno perso la vita, 2 mila circa sono state arrestate o rapite e più di ventimila persone sono rimaste ferite, alcune di queste – circa 2 mila – hanno subito gravi lesioni, molti dei giovani che hanno partecipato hanno perso la vista durante le manifestazioni per i proiettili di gomma sparati contro i manifestanti dalla polizia ad altezza occhi. Adesso siamo arrivati al termine delle manifestazioni; il Governo si è dimesso, avremo una nuova legge elettorale e ci è stato detto che il Parlamento dovrebbe essere sciolto, ma questo dipenderà da quanto la comunità internazionale sosterrà i giovani di piazza Tahrir a Baghdad.
  Durante la sua presentazione il mio collega e amico Ismaeel vi parlerà ulteriormente di quel che accade a piazza Tahrir.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.

  LAURA BOLDRINI. Grazie, presidente. La ringrazio molto per questa presentazione. Pag. 6 In merito alle manifestazioni a piazza Tahrir Lei ha detto che è stata la polizia a mettere a tacere questa rivolta: scorrendo le notizie internazionali ci sono diverse interpretazioni su chi ha messo a tacere questa rivolta: c'è chi dà una lettura legata a delle milizie che hanno un carattere religioso, sostenute da altre potenze straniere, che hanno un'agenda di espansione – in particolare l'Iran – in Iraq. Quindi milizie legate al regime di Teheran che interferiscono e decidono anche come mettere a tacere una rivolta che viene dalla base, che non ha leadership, ma che chiede alle autorità irachene trasparenza, democrazia, libertà e anche benessere, perché il problema è anche di natura economica rispetto alla sofferenza della popolazione. In questo contesto vorrei avere da Lei più informazioni, se c'è presenza di queste milizie, se c'è un'influenza iraniana in grado di poter decidere se sopprimere o meno una rivolta di piazza.

  FAISAL JEBER, geologo e archeologo di Mosul. Saprete che c'è stata una manifestazione di fronte all'ambasciata americana; noi che manifestavamo abbiamo cercato di attraversare i ponti da piazza Tahrir per arrivare alla zona verde; abbiamo cercato di farlo per due mesi. Poi all'improvviso qualcuno dall'interno del governo iracheno, vale a dire le milizie PMF appoggiate dall'Iran, ha deciso di manifestare davanti all'ambasciata americana, che si trova nel cuore della zona verde, al centro della città, non lontano dalla vostra ambasciata italiana: all'improvviso, tutti i ponti si sono aperti, tutte le porte sono state aperte e centinaia di migliaia di persone sono riuscite ad arrivare. Quelle milizie, che sino ad allora ci avevano impedito di attraversare i ponti e avevano ucciso all'epoca cinquecento persone, ferendone ventimila, di fatto rappresentano il vero governo alla guida dell'Iraq, un Governo «ombra» all'apparenza, che lavora dietro le quinte. Queste milizie sono sostenute dall'Iran, hanno potere, armi, possono fare quello che vogliono. Quando hanno deciso di manifestare davanti all'ambasciata americana, sono state aperte tutte le porte, nessuno era sui ponti per intralciare il loro passaggio. Queste persone che hanno manifestato erano le stesse che avevano ucciso i manifestanti cercando di controllare la situazione e di reprimere la protesta. Sono loro – le PMF, le milizie sostenute dall'Iran, che dopo le ultime elezioni rappresentano la seconda forza di maggioranza, hanno più di quaranta seggi in Parlamento e sono alleate con il gruppo di al-Sadr – che hanno dato vita al governo formale e hanno scelto il Primo Ministro. Spero di aver risposto.

  YANA CHIARA EHM. Ringrazio anch'io di questa presentazione. Credo che a volte le immagini possano parlare molto più di tante parole.
  Una domanda specifica sulla questione di Mosul, dato che viene proprio da lì. Parliamo spesso, nell'ambito del terrorismo, di Daesh: è stato detto, con toni da propaganda, che il terrorismo era in qualche modo sconfitto, mentre oggi vediamo, specialmente per questa instabilità, questa nuova ondata di violenze e di crisi che potrebbe rischiare di rafforzare le cellule dormienti sia del sedicente Stato islamico sia anche di al Qaeda e di altre forze terroristiche.
  Mosul, per quanto a mia conoscenza, ha fatto dei grossi passi in avanti; so, dalla cooperazione italiana che lavora in loco, che c'è un lavoro immenso da fare, mi chiedo se secondo Lei c'è attualmente un rischio concreto oppure no.

  FAISAL JEBER, geologo e archeologo di Mosul. Grazie per la Sua domanda. La comunità sunnita nel nord e nell'occidente dell'Iraq guardava a Daesh come a una forza di protezione e di liberazione, perché sin dall'invasione americana nel 2004 la comunità sunnita era stata repressa ed emarginata. C'erano i peshmerga, che erano le milizie curde, ma il potere era nelle mani degli sciiti. Sia i curdi sia gli sciiti hanno sempre represso i sunniti accusandoli di aver sostenuto il partito Ba'th e Saddam, e hanno lasciato quindi i sunniti privi di qualunque sostegno.
  Gli americani, che all'epoca guidavano i Ministeri iracheni della difesa e degli interni, Pag. 7 sapevano che quelle persone erano state reclutate nelle forze di polizia e nell'esercito iracheni e arrivavano perlopiù da partiti iraniani (come l'organizzazione Badr) o da milizie iraniane, sapevano che c'erano persone che avevano un'ideologia radicale, ma hanno utilizzato quelle stesse persone per reprimere i sunniti che opponevano resistenza all'occupazione americana. Questa realtà ha portato al sostegno nei confronti di al Qaeda tra il 2004 e il 2006 e poi al sostegno di Daesh dopo il 2010.
  Dopo la sconfitta di Daesh c'è stata una percezione positiva dell'esercito e del governo iracheni, ma quella sensazione positiva è stata poi demolita a causa delle azioni compiute dalle milizie PMF, che partecipano senza l'autorizzazione dell'esercito e del Governo iracheni nonché della coalizione internazionale. Per la delicatezza della situazione tra sunniti e sciiti, gli americani pensavano che le PMF avrebbero dovuto restare fuori dalla città di Mosul e non partecipare alla battaglia per la riconquista, e sono rimaste fuori, ma poi hanno chiuso la via di fuga per Daesh verso la Siria, perché non volevano che Daesh andasse a combattere in Siria, dal momento che sostenevano il regime di al-Assad. Quindi ora Daesh sta riconquistando le proprie forze, ma non all'interno della città, quanto nelle zone rurali tra Siria e l'Iraq, a sud di Kirkuk e di Mosul e nelle zone montagnose. Non ci sono cellule dormienti nelle città. I cittadini non accettano più quell'ideologia, ma questo non durerà a lungo, se non cambiamo la loro economia e la loro situazione politica. Occorre che si sentano parte di questo Paese e che possano dire la loro su come debba essere il Paese.

  VITO COMENCINI. Innanzitutto vorrei chiedere se può dire qualcosa in merito alla situazione della minoranza cristiana, che ha avuto un grosso calo a causa delle varie guerre dopo la caduta del regime di Saddam Hussein e in seguito, quindi vorrei capire come si è comportato il Governo nei confronti di questa minoranza e com'è la situazione in questo momento. Anche una parola sulla questione dei curdi, capire qual è stato l'approccio e qual è adesso la situazione in merito ai curdi iracheni o comunque al Kurdistan iracheno.
  Poi vorrei capire meglio la questione di queste milizie iraniane o filoiraniane in Iraq, se sono a tutti gli effetti iraniani reclutati e andati in Iraq a combattere oppure – come accaduto ad esempio in Siria – si tratta di iracheni addestrati in Iran o comunque dagli iraniani. In altre parole, capire come si è sviluppata la dinamica di queste milizie.
  È molto interessante quello che Lei ha detto sulla questione dell'assalto all'ambasciata, è una cosa molto grave che ritengo importante che venga finalmente spiegata, perché è giusto fare chiarezza su questa cosa. Con tutto quello che è successo è passata quasi come l'espressione di una volontà del popolo, quando in realtà dietro c'è stata la facilitazione addirittura di una milizia che diceva Lei, che sarebbe una questione ancora più grave di quella emersa.

  LAURA BOLDRINI. Seguendo il Suo ragionamento – che mi sembra molto lucido e anche in grado di semplificare una storia complicata per persone che magari non hanno tutti gli elementi, perché non seguiamo giorno per giorno la politica del Paese – se ho ben capito, l'errore che è alla base della proliferazione di Daesh è il fatto che con la caduta di Saddam Hussein tutto il gruppo sunnita è stato tagliato fuori dalla suddivisione del potere e diciamo che la parte sciita, che era anche rifugiata in Iran, rientrando in Iraq dalla parte meridionale, a quel punto ha preteso una rivincita e quindi la gestione del potere. I sunniti si sono sentiti messi all'angolo, discriminati, e per questo, quando il califfato ha iniziato ad espandersi, ha avuto un seguito, perché era un modo di riscattare la loro dignità che era stata colpita dalla poca lungimiranza della comunità internazionale di non includere anche i sunniti nella ricostruzione della democrazia irachena.
  Se questo è il pensiero e questa è la situazione, quello che io vedo è che adesso, con il voltafaccia americano al popolo curdo che in Siria – e non solo – si è fatto garante anche di gestire la presenza dei fighters di Daesh, c'è la possibilità che questa presenza possa ritornare ad agire a Pag. 8livello territoriale e trovare quindi seguito nella popolazione; pertanto, Lei vede il ritiro statunitense come un pericolo anche per la stabilità irachena, oltre che per quella siriana e dell'intera regione?

  FAISAL JEBER, geologo e archeologo di Mosul. La sua domanda riguarda gli effetti del ritiro degli americani dalla Siria, le implicazioni, quindi quali saranno le conseguenze per la stabilità e se questo avrà un effetto anche sull'Iraq. Il nord della Siria è un'area un po’ complicata, perché non è dominata dai curdi, come invece si potrebbe pensare: per la maggioranza il nord della Siria è arabo, è turcomanno. Lì i curdi sono una minoranza come altre. Per gli effetti delle azioni del PKK a sostegno degli yazidi l'intera area è stata controllata dai curdi a livello di sicurezza e a livello militare. I curdi sono organizzati nell'ambito del PKK, il partito turco. Agiscono come un braccio del PKK.
  Il PKK ha fatto un ottimo lavoro per salvare gli yazidi il 3 agosto, quando i peshmerga – la forza curda – si sono ritirati dal Sinjar senza informare gli yazidi. Gli yazidi sono quindi corsi a rifugiarsi sulle montagne. In quel periodo il PKK aveva un piccolo campo al confine tra Turchia, Iraq e Siria ed è riuscito a salvare migliaia di yazidi che erano rimasti bloccati sulle montagne del Sinjar. Grazie a questo intervento, hanno avuto il sostegno dei locali, li hanno reclutati per combattere con l'esercito iracheno e con gli americani contro Daesh. Quella zona non è in maggioranza curda. Quando gli americani hanno deciso di ritirarsi, si sono ritirati da un'area – il nord della Siria – che non è curda: è un'area mista, turcomanno e araba. Questo fatto non ha avuto conseguenze per la regione. Gli arabi lì hanno le loro milizie alleate del PKK, e l'esercito siriano sta riguadagnando quei territori. Quindi quando gli americani si sono ritirati, le forze democratiche siriane sono ritornate nei propri campi, l'esercito siriano ha gradualmente riguadagnato posizioni. Quindi il loro ritiro non ha avuto un impatto fondamentale sulla situazione della sicurezza: sulla base di quello che è stato riportato dai media tutti hanno pensato che i curdi fossero vittime, ma i curdi non sono stati vittime di questa scelta. Quello che ha complicato la situazione è l'interferenza del PKK. Il ritiro delle forze americane non ha avuto un impatto fondamentale e determinante sulla sicurezza dell'area, quindi.
  Per tornare alla domanda sulla minoranza cristiana nella città di Mosul, i cristiani vivono lì dal III secolo, quando la cristianità è arrivata in Iraq. Nel VII secolo, quando arrivarono i musulmani, a Mosul c'erano tre quartieri: quello zoroastriano, quello ebraico – gli ebrei dell'Iraq rappresentano la più antica minoranza ebraica fuori da Israele – e quello cristiano; con l'arrivo dell'islamismo le comunità ebraica e cristiana si sono ridotte sempre di più e i musulmani sono diventati la maggioranza, ma la seconda minoranza a Mosul è sempre stata quella dei cristiani. I cristiani si sono allontanati dall'Iraq dopo l'invasione americana per questioni di sicurezza, andando a vivere nella piana di Ninive tra Mosul e il Kurdistan, un'area controllata dai peshmerga curdi. Lì erano quindi molto più al sicuro rispetto a Mosul. Questo è stato il primo caso di sfollamento dei cristiani.
  Quando Daesh ha raggiunto Mosul, nella città c'erano tra i 12 mila e i 15 mila cristiani. Sin dalla prima settimana che ho trascorso a Mosul, si era diffusa la notizia che Daesh avrebbe distrutto tutti i monumenti e avrebbero chiesto ai cristiani o di convertirsi all'Islam o di pagare una tassa, secondo la tradizione islamica. Ed è accaduto, all'incirca un mese dopo che si era sparsa la notizia. Ricordo che era un mercoledì, quando il capo della comunità cristiana fu chiamato a negoziare con il leader di Daesh. La scadenza per l'incontro era stata fissata a mezzogiorno del venerdì. Quindi gli furono dati due giorni di tempo per decidere. Il capo della chiesa di Mosul si consultò con i curdi, con i peshmerga, che gli dissero di non andare. I cristiani ignorarono quindi la riunione convocata da Daesh e per questo motivo Daesh fu così brutale nei confronti della comunità cristiana. Quando il venerdì a mezzogiorno i cristiani hanno iniziato a lasciare Mosul, erano stati istituiti dei checkpoint intorno Pag. 9alla città. La maggior parte di loro andò via in macchina, portando con sé denaro e gioielli, gli averi che erano riusciti a recuperare; furono fermati al checkpoint e subirono il sequestro di tutto, anche dei documenti di identità. Furono lasciati andare verso il Kurdistan a piedi. Questa è la cosa peggiore che sia accaduta alla minoranza cristiana nella storia dell'Iraq. Si spostarono da Mosul alla piana di Ninive.
  Un mese dopo, quando Daesh conquistò la piana di Ninive, i cristiani migrarono di nuovo, andando dalla piana di Ninive al Kurdistan. Partendo dal Kurdistan, negli ultimi tre anni la metà circa dei cristiani è riuscita a migrare, verso la Turchia e la Giordania, dove hanno presentato domanda di asilo; l'altra metà è rimasta nel Kurdistan; il 30 per cento di essi ha fatto ritorno nei propri villaggi e nelle città della piana di Ninive. Tra le quindici e le venti famiglie hanno fatto ritorno nella parte orientale di Mosul, ma nella parte occidentale, dove ci sono più di venti chiese e monasteri, non ha fatto più ritorno alcun cristiano. Settant'anni fa l'80 per cento della popolazione di Mosul era ebraica, dopo settant'anni abbiamo tre sinagoghe e molti altri siti ebraici, ma non c'è un solo ebreo. La stessa cosa vale per i cristiani: abbiamo più di venti tra chiese e monasteri, ma non c'è un solo cristiano nella parte occidentale della città.
  Dopo la sconfitta di Daesh c'era un'atmosfera positiva e i nostri vicini cristiani pensavano seriamente di fare ritorno nelle proprie case, ma il degrado delle condizioni di sicurezza e della situazione politica a causa delle interferenze delle milizie ha costretto i cristiani a pensare di lasciare per sempre l'Iraq.
  Come si può valutare la situazione? Sul mercato immobiliare le più preziose proprietà in vendita sono quelle dei cristiani, ma una volta che si decide di vendere la propria casa, vuol dire che si è deciso di non fare più ritorno in un posto. Io vivo in una zona a maggioranza cristiana. Quando ero ragazzo, la maggior parte dei miei amici era cristiana e noi eravamo l'unica famiglia musulmana della strada, quindi so bene cosa è accaduto alla comunità cristiana. La minoranza cristiana in Iraq ha bisogno di maggiore sostegno da parte della comunità internazionale. Il Governo iracheno cerca di fare qualcosa, ma per l'agenda politica che è stata stabilita alla fine non fa nulla.
  Dopo la battaglia per la riconquista di Mosul le proprietà cristiane erano vuote, i cristiani non vi avevano fatto ritorno, quindi le autorità e le forze di sicurezza irachene, così come alcune delle milizie, hanno utilizzato le proprietà cristiane e addirittura le chiese come sedi dei propri uffici o dei propri quartier generali. La maggior parte degli uffici governativi era nella parte occidentale della città di Mosul e lo stesso vale per le milizie. Fino a sei mesi fa circa il capo dei servizi di sicurezza nazionale utilizzava una grande chiesa e molte delle case circostanti, di proprietà di cristiani, come sede del proprio quartier generale. Alcune milizie iraniane hanno utilizzato le case dei cristiani come sede dei propri uffici. Io stesso ho cercato di aiutare alcuni cristiani a recuperare le loro proprietà, anche se non volevano fare ritorno nel quartiere. Almeno avrebbero potuto riacquisirle e quindi, almeno, darle in affitto.
  Ho chiesto una volta al leader di una milizia «perché non lasciate queste case?», anche se il proprietario vive ormai in Kurdistan. La risposta è stata «No, perché se me ne vado io, verrà qualcun altro in queste case».
  Le forze di sicurezza nazionale utilizzano una delle chiese più grandi di Mosul come sede del loro quartier generale. Uno dei dipartimenti del Ministero degli Interni, quello che si occupa di lotta alla criminalità organizzata, sta utilizzando un convento di suore come sede dei propri uffici. Loro sostengono di utilizzarlo e nello stesso tempo di prendersene cura. Fintanto che ci saranno loro all'interno, nessuno potrà rinnovare, ristrutturare e pulire la struttura.
  Sei mesi fa ho incontrato presso il centro di cultura francese dell'Università di Mosul una delegazione del parlamento francese e mi è stato detto che il Parlamento francese ha deciso di intervenire, per cui alcuni edifici che erano occupati sono stati lasciati liberi. Pag. 10
  Temo di aver esaurito il tempo a mia disposizione, non potrò più rispondere alle domande.

  PRESIDENTE. Abbiamo quindi concluso l'audizione del dottor Jeber. Ricordo che a seguire avrà luogo l'audizione del dottor Ismaeel Dawood, segretario dell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI), nonché esponente della società civile irachena, che saluto e ringrazio.
  Purtroppo siamo a corto di tempo, quindi Le chiedo la massima sintesi.

  ISMAEEL DAWOOD, Segretario dell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative. Grazie, presidente. Io sono il coordinatore di questa piattaforma ICSSI, che è una iniziativa messa in piedi nel 2009 da associazioni, realtà politiche e sociali internazionali, tra le quali le famiglie delle vittime dell'attacco dell'11 settembre, movimenti sociali della Norvegia, della Spagna e dell'Italia, come l'Associazione «Un Ponte per...» e i sindacalisti del CGIL. Questa piattaforma internazionale si è data, in primo luogo, il compito di fare informazione su quanto succede in Iraq, perché – come sapete bene – purtroppo si parla di Iraq soltanto quando ci sono violenze, scontri o terrorismo, mentre mai viene raccontata la società civile e gli sforzi quotidiani di organizzare una realtà che loro conoscono. Non si raccontano i giovani, il loro attivismo e il loro desiderio dopo il 2003. L'ICSSI racconta questi aspetti e costruisce spazi di incontri e solidarietà con queste realtà sociali in Iraq. Nel nostro lavoro abbiamo anche organizzato delegazioni internazionali che sono state in Iraq, l'ultima all'inizio del 2019, dove abbiamo fatto per la prima volta una conferenza internazionale fuori della zona verde con la partecipazione della società civile e anche di realtà politiche. Abbiamo avuto il piacere di avere un deputato della vostra Commissione a Baghdad. L'ICSSI mette in campo anche altre forme di solidarietà con la società civile irachena; quando c'è bisogno, facciamo anche advocacy con le autorità irachene: è stata mandata una lettera al Presidente iracheno con la richiesta di personaggi importanti – tipo Noam Chomsky e Luisa Morgantini – che sono solidali con la richiesta della società civile irachena.
  Vorrei brevemente raccontare questa piazza irachena, perché da più di tre mesi l'Iraq è attraversato da una fortissima e profonda mobilitazione popolare che mette in discussione il regime settario dopo l'invasione del 2003. Quella della piazza irachena non è una semplice rivolta contro la corruzione o contro la mancanza di diritti: questa potrebbe essere una trasformazione culturale, sociale e politica in Iraq. Il movimento di protesta dei giovani iracheni, nato il primo ottobre, copre tutto il centro e il sud dell'Iraq, copre dieci governatorati su diciotto, compresi quelli del Kurdistan iracheno; si tratta di un movimento guidato principalmente dai giovani, che rappresenta la naturale continuazione delle rivolte popolari non violente dopo l'occupazione dell'Iraq del 2003. I ragazzi si scambiano informazioni mediante i social media, con dei rischi molto forti. Il Governo ha dichiarato il numero minimo di giovani che sono stati uccisi nel corso di queste manifestazioni: sono 480, però i numeri possono salire fino a seicento. I feriti sono oltre ventimila.
  Questi ragazzi sono nati in Iraq, un Iraq un po’ diverso da quello degli anni Ottanta o Novanta: non hanno conosciuto la paura del dittatore, non hanno conosciuto il regime di Saddam, hanno conosciuto soltanto un regime corrotto, settario che discrimina gli iracheni non come iracheni ma come curdi, come cristiani, come sciiti e come sunniti. I giovani della piazza chiedono un altro Iraq. Questa generazione di giovani, che spesso vengono raccontati come incollati soltanto al cellulare e interessati solo ai giochi elettronici, ha in realtà una grande energia che ha continuato dal primo ottobre a raccontare un altro Iraq che non ha paura, dove ci sono ragazzi e ragazze insieme che chiedono diritti.
  Questo è un movimento indipendente dai partiti politici che guidano la scena politica in Iraq, ha scelto di essere indipendente, non ci sono bandiere di partiti politici, ci sono soltanto le bandiere irachene in quella piazza durante le manifestazioni. Questi ragazzi gestiscono più di una piazza: alcuni si occupano delle cose logistiche; altri danno un supporto Pag. 11 medico per i feriti, per quelli che cadono durante le manifestazioni, negli scontri; altri ancora si sono dati da fare nella difesa dell'ambiente. Ad esempio, da sedici anni non venivano puliti gli argini del fiume Tigri: questi ragazzi si sono organizzati e hanno pulito e ricostruito una spiaggia libera per ragazze e ragazzi, dove manifestano ogni giorno per un altro Iraq.
  Questa piazza di manifestanti iracheni chiede un nuovo Governo indipendente. C'è un periodo di transizione di questo regime settario, con una nuova legge elettorale e una nuova commissione indipendente. Come sapete, questo regime settario ha operato delle divisioni dopo il 2003 e anche la commissione elettorale è stata divisa: sciiti, sunniti e curdi. Ora, grazie alla pressione esercitata da questi giovani, abbiamo una nuova legge elettorale, una nuova commissione fatta da giudici, scelti in tutto l'Iraq: nove giudici indipendenti, non divisi per etnia o religione.
  C'è il conflitto con l'Iran e l'attacco degli Stati Uniti, voluto direttamente dal Presidente Donald Trump, che ha ucciso il generale Soleimani e rischia di cambiare radicalmente lo scenario di tutta la regione, con conseguenze che si faranno sentire certamente anche in Iraq, dove l'Iran riveste un forte ruolo politico e dove anche le milizie irachene sono legate alla politica iraniana. Ovviamente la risposta dell'Iran a questa uccisione – il bombardamento di basi militari di Ayn al Asad ad Ambar, a Harir e a Erbil, dove ci sono anche militanti italiani – è stata una misura controllata, come se ci fosse un accordo tra gli Stati Uniti e l'Iran di non andare ad una guerra aperta, ma comunque continuare ad avere questo conflitto, perché la strategia della massima pressione voluta dall'Amministrazione Trump continua. Questa pressione continua, come pure le sanzioni economiche e l'Iran deve reagire, e purtroppo ha scelto il territorio iracheno per reagire e per difendere il suo regime politico.
  I ragazzi iracheni in questa protesta vogliono mettere in chiaro che l'Iraq è una nazione indipendente, con una sua storia, una sua identità, una sua capacità autonoma. Il loro slogan dice «Noi non siamo sciiti, che possiamo essere governati dall'Iran; noi non siamo un Paese che deve rappresentare gli interessi di Trump o dei suoi amici nel Medio Oriente».
  Ci sono tanti altri movimenti popolari in Iraq, e questo è importante per tre motivi: 1) stiamo parlando di una capacità straordinaria, un salto di qualità di una generazione in grado di organizzare una protesta in gran parte ordinata ed efficace; 2) la capacità di mantenere il carattere non violento di questa manifestazione nonostante gli scontri con le milizie e la polizia irachena; 3) il protagonismo delle donne. Quello che sta avvenendo in questi giorni è un grandissimo cambiamento culturale e un evento storico in Iraq. Questi sono tre elementi straordinariamente nuovi, importanti per il popolo iracheno.
  Vorrei toccare un argomento molto importante: cosa chiede questa piazza all'Italia e all'Europa. Semplicemente l'Italia potrebbe intervenire presso il Governo iracheno per fissare le priorità. Il Governo iracheno deve ordinare alla polizia e alle forze di sicurezza di interrompere qualsiasi uso eccessivo della forza; assicurare una tutela ai difensori dei diritti umani e ai media, affinché siano in grado di operare senza restrizioni; rispettare pienamente la libertà di stampa; mettere fine all'arresto o alla detenzione dei manifestanti e dei difensori dei diritti umani; liberare quelli che sono stati arrestati o rapiti; procedere a un resoconto preciso di tutte le vittime.
  C'è un'altra domanda, perché c'è un intervento diretto anche dell'Italia e dell'Europa in Iraq. Ancora oggi gli iracheni distinguono tra il ruolo conflittuale degli Stati Uniti e dell'Iran – rifiutando questa interferenza negli affari iracheni – e l'intervento delle Nazioni Unite e dell'Unione europea, che invece accettano di buon grado. Questo è un elemento molto importante che consente anche ad altri attori, come l'Italia, di avere un ruolo positivo in Iraq. L'Europa potrebbe impegnarsi nell'assistenza alle commissioni elettorali per organizzare nuove elezioni; l'Italia insieme agli altri Paesi potrebbe formare un nuovo corpo di polizia, con una formazione rivolta al rispetto dei diritti umani e alle misure non violente di contenimento della folla. Il rispetto dei diritti umani non dovrebbe essere una parte accessoria della formazione del corpo di polizia, come è stato fino ad Pag. 12oggi. L'Italia potrebbe anche giocare un ruolo importante per la protezione del patrimonio culturale, anche nel Sud, a Nassiriya, dove noi abbiamo una storia bella e condivisa con l'Italia. L'Europa potrebbe anche svolgere un ruolo maggiore nel sostegno e nella formazione dell’empowerment della società civile.
  Ultimo punto sul livello geopolitico, perché sappiamo che è in corso la decisione di una nuova missione NATO a sostegno della coalizione anti Daesh. Ci sembra che sia un grosso errore andare sul lato militare per aiutare il popolo iracheno in questo momento. Più militari ci sono da una parte e più milizie ci saranno come risposta. È molto importante ribadire che le piazze irachene chiedono principalmente la fine della divisione dei poteri su base settaria e dell'interferenza delle due parti in conflitto: gli Stati Uniti e i suoi alleati da una parte, l'Iran, le sue milizie e i suoi alleati dall'altra. Quindi dobbiamo cercare in qualche modo di uscire da questa logica e guardiamo all'Italia e all'Europa come a un possibile terzo scenario di quanto succede in Iraq.

  PRESIDENTE. Purtroppo è molto tardi, se ci fosse proprio una domanda veloce.

  YANA CHIARA EHM. Quando parliamo di Iraq, ma anche di tutti gli altri scenari – bellici e non – va sempre considerato che c'è una società civile, che c'è tutta una popolazione dietro. Nel caso dell'Iraq la cosa per me molto importante è che la nuova generazione di iracheni sta chiedendo e manifestando per un altro Iraq. Come ha detto benissimo Ismaeel, non un Iraq settario: a loro non importa il fatto di essere sunniti, sciiti, curdi ma di essere iracheni, quindi di essere uniti. Questo è importante, perché si vede che c'è un impegno sociale, un impegno pacifico.
  La mia solidarietà va a tutti i ragazzi che in questi mesi hanno manifestato e che hanno avuto, in maniera più o meno violenta, delle ripercussioni durante le loro manifestazioni. So di arresti che per fortuna – da quanto ho capito – sono tutti finiti bene. Dunque va sottolineato il coraggio di giovani che vogliono lottare per un Paese pacifico e per una nuova era.
  Vi ringrazio tantissimo di essere qua, perché so che non è sempre facile parlare in un periodo in cui la libertà di espressione non è sempre garantita.

  LAURA BOLDRINI. Visto che siamo in Parlamento, io direi che noi dobbiamo dare seguito a quanto abbiamo ascoltato, dunque invito i colleghi e le colleghe di maggioranza e di opposizione a lavorare insieme ad un atto di indirizzo, in cui invitiamo il Governo italiano ad impegnarsi per sostenere lo sforzo di questi giovani e per sensibilizzare il Governo iracheno ad un utilizzo non violento delle forze dell'ordine e delle milizie che operano sul territorio.
  Quindi, signor presidente, se possiamo mettere agli atti questa richiesta, io chiederò che venga calendarizzata quanto prima.

  PRESIDENTE. Ne parleremo ovviamente in Ufficio di presidenza. Vi ringrazio ancora.

  ISMAEEL DAWOOD, Segretario dell'Iraqi Civil Society Solidarity Initiative. Grazie. Contiamo su di voi e sulla vostra vicinanza.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.10.