XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Mercoledì 23 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO
Grande Marta , Presidente ... 2 
Ottaviani Marta , giornalista del quotidiano ... 3 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 8 
Ottaviani Marta , giornalista del quotidiano ... 8 
Grande Marta , Presidente ... 10 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 10 
Grande Marta , Presidente ... 10 
Fassino Piero (PD)  ... 10 
Ottaviani Marta , giornalista del quotidiano La Stampa ... 10 
Grande Marta , Presidente ... 10 
Palazzotto Erasmo (LeU)  ... 11 
Ottaviani Marta , giornalista del quotidiano La Stampa ... 11 
Palazzotto Erasmo (LeU)  ... 11 
Cabras Pino (M5S)  ... 12 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 12 
Grande Marta , Presidente ... 13 
Ottaviani Marta , giornalista del quotidiano ... 13 
Fassino Piero (PD)  ... 13 
Ottaviani Marta , giornalista del quotidiano La Stampa ... 13 
Fassino Piero (PD)  ... 14 
Ottaviani Marta , giornalista del quotidiano ... 15 
Grande Marta , Presidente ... 15 
Zoffili Eugenio (LEGA)  ... 15 
Ottaviani Marta , giornalista del quotidiano ... 15 
Grande Marta , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 11.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, nonché la trasmissione sul canale della web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Marta Ottaviani, giornalista del quotidiano La Stampa .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, della dottoressa Marta Ottaviani. Saluto e ringrazio la dottoressa Ottaviani per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori, malgrado i suoi impegni professionali non le abbiano permesso di essere oggi fisicamente nell'aula della nostra Commissione.
  Il rapido evolvere degli eventi in Medio Oriente – mi riferisco, in particolare, al nuovo accordo tra Russia e Turchia per la gestione della crisi turco-curda nel nord della Siria – rende preziosa la testimonianza della dottoressa Ottaviani, nota giornalista di importanti testate nazionali come Avvenire e La Stampa, esperta di politica estera e, grazie a otto anni di permanenza in Turchia, con una conoscenza assai approfondita sull'evoluzione del ruolo geopolitico della Turchia nell'era Erdoğan.
  Ricordo la risoluzione che questa Commissione ha approvato la scorsa settimana sull'offensiva della Turchia nel nord della Siria. I fatti di questi giorni sembrano ora prospettare un importante cambio di contesto nei territori storicamente popolati dai curdi al di qua e al di là dei confini dei quattro Stati coinvolti da questa presenza (Turchia, Siria, Iraq e Iran). Mi riferisco all'aspirazione autonomista dei curdi e al progetto di spostamento nella fascia di sicurezza dei numerosi profughi siriani di etnia araba oggi insediati in Turchia. Tutto questo ci interroga sul nuovo volto della Turchia: da Paese musulmano, ma con istituzioni laiche, alleato storico dell'Occidente e candidato all'ingresso nell'Unione Europea, a regime autocratico e modello per l'affermazione dell'Islam politico.
  Come sottolinea la dottoressa Ottaviani in un suo saggio dedicato al Reis, Erdoğan per i turchi in un decennio è diventato qualcosa a metà fra un dittatore e un padre-padrone, il tutto con la benedizione del consenso popolare, trasformando in buona parte la Turchia di Atatürk in una il più possibile a sua immagine e somiglianza. Un processo in cui i media, sempre meno critici, hanno avuto una parte importante, ma dove, almeno fino a un certo punto, il ruolo principale è stato giocato dal suo carisma e dal suo fiuto politico.
  La testimonianza della dottoressa Ottaviani è dunque molto preziosa per comprendere a fondo la cornice e i presupposti in cui si inquadra l'intervento delle truppe di Ankara nel nord-est della Siria. In particolare, sarà interessante approfondire se, e in che misura, tale scelta sia stata condizionata, in primo luogo, dall'esigenza di compattare il consenso interno in Turchia, che comincia a mostrare alcune crepe – come dimostra l'esito delle recenti elezioni municipali –, in particolare a Istanbul; in secondo luogo, dall'obiettivo di cambiare Pag. 3gli equilibri politici nell'est del Paese, puntando a far fallire qualsiasi progetto autonomista curdo attraverso il cambiamento nella composizione etnica del Rojava.
  Darei ora la parola alla dottoressa Ottaviani perché possa intervenire, poi apriamo ad una serie di domande da parte dei colleghi.

  MARTA OTTAVIANI, giornalista del quotidiano La Stampa. Ringrazio la presidente per l'invito di oggi e saluto gli onorevoli deputati presenti. Ho molte cose da dire riguardo a questo argomento, cercherò di riordinarle nel modo più logico possibile.
  Siamo davanti ad una situazione molto grave che era ampiamente annunciata, perché la virata di Erdoğan non è sicuramente una novità: è almeno dal 2009 che Erdoğan ha cambiato i suoi obiettivi, sia in politica estera sia in politica interna. Mi permetto subito di correggere il tiro su un'affermazione che è stata fatta: le elezioni dello scorso 23 giugno – amministrative di Istanbul – sono state sì importanti, ma non credo possano ancora determinare un fattore di rischio reale per Erdoğan, per il semplice motivo che lo stesso non ha perso perché il popolo turco si è svegliato una mattina e ha pensato di essere diventato improvvisamente un Paese in emergenza democratica: ha votato Ekrem İmamoğlu e altri candidati del CHP (il Partito Repubblicano del popolo), che hanno vinto, perché la Turchia economicamente sta andando malissimo. La precaria situazione economica della Turchia è anche uno dei motivi per cui Erdoğan ha deciso di operare nel nord della Siria il più in fretta possibile.
  Posta questa premessa che ritengo particolarmente importante, iniziamo a parlare dell'operazione «Barış Pınarı Harekât» (l'operazione «Sorgente di pace»), come l'ha chiamata la Turchia. Questa operazione ufficialmente ha come obiettivo i terroristi curdi dello YPG (braccio armato dei curdo-siriani), in contatto con il PKK (ben più celebre partito dei lavoratori del Kurdistan), considerato organizzazione terroristica da Europa, Turchia e Stati Uniti. Fin qua nulla da eccepire. Vi è però da sottolineare un duplice aspetto: il primo è che YPG e PKK partono dalla stessa base dogmatica, ma la declinano in modo completamente diverso; il secondo – piuttosto sostanziale come differenza – è che mentre il PKK si è macchiato più volte di attentati assolutamente deplorevoli contro i civili, lo YPG contro la Turchia non ha mai sparato neanche un proiettile. La Turchia sta facendo un'operazione oltre il confine contro qualcuno che non li ha mai attaccati. Un secondo aspetto molto importante da ricordare – sui giornali l'ho letto abbastanza spesso in questi giorni – è che i curdi che la Turchia sta combattendo sono gli stessi che hanno protetto i confini della NATO quando Daesh stava avanzando nel 2014: in quegli anni (tra il 2014 e il 2015) la Turchia veniva accusata – direi abbastanza a ragione, con prove piuttosto consistenti – di aver aiutato il sedicente Stato islamico, di aver collaborato con lo stesso in chiave anti-curda e anti-Assad. A questo proposito vorrei ricordare un giornalista turco, Can Dündar, costretto alla fuga dopo che gli sono stati comminati due ergastoli per aver pubblicato uno scoop, con tanto di video e foto – materiale direi inoppugnabile –, nel quale si vedeva l'esercito turco al confine con la Siria che aiutava persone che avevano tutta l'aria di essere miliziani del sedicente Stato islamico. Quindi Ankara (il secondo esercito della NATO) ha dato più volte motivi di preoccupazione quanto alla sua affidabilità e alla sua lealtà nei confronti del Patto Atlantico e nei confronti di una più estesa stabilità della regione mediterranea.
  L'operazione, che ormai è arrivata – credo – alle battute finali, aveva come compito quello di spostare fisicamente le tribù curde che abitano in tre distretti sul confine della Siria verso il sud del Paese. Questo ha una duplice finalità per Erdoğan: la prima – e credo sia stato ricordato anche nell'introduzione – è quella di effettuare una vera e propria operazione di ingegneria demografica (non può essere definita in altro modo), quindi spostare i curdi verso sud in modo tale che non abbiano più l'incidenza di maggioranza demografica che hanno ora, e rimpiazzarla con i profughi siriani che la Turchia ospita Pag. 4sul suo territorio e che hanno da tempo passato la soglia dei tre milioni. Erdoğan ha due motivi per fare questa cosa. Il primo è un motivo strettamente economico, perché tre milioni di rifugiati, nonostante tutti i soldi che gli sono stati dati dalle istituzioni internazionali, iniziano a pesare – e non poco – sull'economia nazionale. Qualche mese fa ho visionato alcuni studi secondo i quali i quadri dirigenti nei prossimi anni saranno qualitativamente inferiori rispetto a quelli attuali, proprio perché un afflusso di studenti siriani, quindi non madre lingua turca, nelle scuole della Mezzaluna creerà dei rallentamenti considerevoli a livello di istruzione. Questo per sottolineare le implicazioni dal punto di vista economico e anche per quanto riguarda lo stato sociale.
  Poi c'è un problema evidente di sicurezza. Io non so quanti di voi abbiano avuto la possibilità, di recente, di andare a Istanbul, a Gaziantep, a Şanlıurfa: camminando per i quartieri più periferici, non per i centri città che sono stati ripuliti, ci sono decine di migliaia di persone che vivono letteralmente per strada, in condizioni difficilmente descrivibili. Per migliaia di persone intendo soprattutto donne e tanti bambini. Questo per dire che, benché la Turchia sostenga di occuparsi di tre milioni e mezzo di rifugiati, in realtà nei campi c'è solo una minima parte di questi rifugiati: sono circa un decimo (350 mila persone). Il resto si è sistemato nelle varie città e, in qualche caso, è riuscito anche a rifarsi una vita: a Istanbul c'è un quartiere pieno di ristoranti siriani che danno giustamente lavoro solo a siriani in modo tale da aiutarli, ma ci sono anche tante persone che vivono per strada o che occupano palazzi e cantieri rimasti incompiuti. Come potrete immaginare, in questi dieci anni di crisi siriana ho parlato con loro a più riprese e ho potuto anche constatare come i sentimenti del popolo turco si siano involuti nei confronti di queste persone; da una politica di «porte aperte», dove la comunità siriana era accolta in maniera assolutamente calorosa, si è arrivati a un atteggiamento xenofobo o comunque di grandissimo fastidio. Atteggiamento peraltro condiviso – giusto per parlare anche della cosiddetta opposizione turca – dall'attuale sindaco Ekrem İmamoğlu, che veniva ritratto da molti media come l'uomo del miracolo, come l'alternativa a Erdoğan; İmamoğlu ha basato gran parte della sua campagna elettorale proprio sull'emergenza siriana, spingendo sul fattore nazionalista e affermando che la Turchia non deve essere sirianizzata, che il popolo turco deve rimanere integro. Per dire come tanto l'opposizione quanto Erdoğan usano la leva nazionalista in maniera preponderante, sapendo comunque che il fattore nazionalista riesce a unire anche i turchi che partono dalle posizioni più diverse. Questo per quanto riguarda i motivi per cui Erdoğan ha invaso letteralmente il nord della Siria.
  In questo momento io ho dei dati ancora provvisori su quanto sia costata, in termini di vittime, l'operazione; mi riservo di controllare le mie carte e di darvi dei dati più aggiornati. Ho però qui con me il memorandum of understanding delle conclusioni del vertice di ieri a Sochi e mi sembra, rebus sic stantibus, una situazione che va assolutamente a favore della Turchia. Nel documento viene ribadita la priorità di preservare l'unità territoriale, l'integrità della Siria e la sicurezza nazionale della stessa; il secondo punto è la lotta a tutte le forme di terrorismo, espressione generica con cui di solito si vuole intendere il terrorismo sia di matrice jihadista sia di matrice curda, quindi anche Putin sembra, per il momento, non essere particolarmente interessato a proteggere i curdo-siriani. Un punto molto importante è che sarà mantenuto lo status quo nella zona di Tal Abyad e Ras al-Ain per una profondità di trentadue chilometri (la zona dove le truppe turche sono penetrate più in profondità in territorio siriano), e ci sarà una zona di dieci chilometri che sarà pattugliata congiuntamente da truppe turche e da truppe russe in modo permanente. Questo mi sembra molto significativo, perché Erdoğan ha ottenuto quello per cui stava lottando pervicacemente da circa undici anni: la creazione di una cosiddetta «buffer zone», zona cuscinetto che di fatto diventa Pag. 5un protettorato della Turchia in territorio siriano.
  C'è poi l'ottavo punto di questo memorandum – che vi posso anche inviare – che mi pare molto interessante, perché prevede che verranno lanciate iniziative per facilitare il ritorno dei rifugiati in modo sicuro e volontario. Io su questo vorrei spendere due parole. Uno perché i rifugiati, dovessero decidere di tornare nel nord della Siria, non torneranno a casa loro: loro non vengono dal nord della Siria, vengono da altre città interessate da questa tragedia umanitaria immane – la crisi siriana – e torneranno nel nord della Siria dove Erdoğan ha deciso che devono tornare, proprio per compensare la componente demografica curda, che risulterà in questo modo minoritaria. Questo è il primo aspetto. Il secondo riguarda la formula usata: «in maniera sicura e volontaria». Il rimpatrio è di sicuro «volontario», perché comunque la Turchia sta offrendo degli incentivi a questi rifugiati perché se ne vadano, e possono essere incentivi diretti (l'offerta di una somma di denaro o di una casa, la prospettiva di un posto di lavoro), ma anche indiretti, determinati dalle condizioni nelle quali i rifugiati siriani vivono attualmente in Turchia e che ho esposto poc'anzi. Oggi su Panorama è uscito un mio reportage dove i curdi di Istanbul parlano dell'Europa, e vi posso assicurare che non sono parole di elogio. Per quanto riguarda i rifugiati siriani, a parte il sogno dell'Europa, molti piuttosto che vivere in queste condizioni sono pronti a tornare nel nord della Siria, anche se non è casa loro. Quindi c'è questa situazione sicuramente drammatica dove si sta letteralmente giocando con la vita della gente per andare a cambiare il quadro attuale di quella regione mediorientale.
  Io approfitto di questa occasione, ringraziando ancora i deputati e la presidente per l'attenzione che mi stanno dedicando, per sottolineare un altro aspetto, e vi prego di prenderne nota: Erdoğan non si limiterà alla Siria, non ne ha la benché minima intenzione. Il capitolo più preoccupante per noi in questo momento si chiama Cipro. Ha già dato prova di essere particolarmente pericoloso sotto questo aspetto. Io capisco che a persone nate in Italia nel secondo dopoguerra, abituati a crescere in un clima di pace, possa sembrare strano, ma Erdoğan ha come obiettivo la rinegoziazione del Trattato di Losanna che scadrà nel 2023. Io capisco che un obiettivo del genere possa suscitare ilarità a chi è cresciuto nelle nostre condizioni, ma credetemi se vi dico che Erdoğan è assolutamente determinato a fare questa cosa e a rivendicare la nazionalità in particolare di cinque isole che si trovano davanti alla costa turca, chiaramente utilizzando il motivo nazionalista che gli serve per cambiare tutte le acque territoriali in zone economiche esclusive. Voi saprete meglio di me, visto che siete nella Commissione esteri, le ricadute che questo può avere sulle acque territoriali attorno all'isola di Cipro e sulla Grecia. Peraltro Atene continua a mandare dei warning a Washington su questo aspetto. Il Primo Ministro greco, Mītsotakīs, ha più volte attirato l'attenzione del Presidente americano Donald Trump e dei Partiti Democratico e Repubblicano, perché in Grecia sono molto preoccupati per questa cosa.
  Capisco che in Europa si è sempre inteso trattare Cipro come un problema regionale: purtroppo non è così. Lì ci sarà un terreno di scontro forte tra Unione europea, che ha avuto la grazia, la fortuna di crescere, di prosperare in un ambiente di pace e una Turchia la cui mentalità – e non mi riferisco solo alla mentalità di Erdoğan, ma della maggior parte del popolo turco – è ferma a prima della Prima guerra mondiale, ed è lì che loro vogliono riportare il Mediterraneo. In modi diversi: con la creazione di un protettorato in Siria, con una politica sempre più aggressiva nei confronti di Cipro e delle acque territoriali e con una zona di influenza netta, un soft power, nei Balcani, che Erdoğan sta coltivando da parecchi anni.
  L'operazione «Sorgente di pace» è iniziata con ventiquattr'ore di ritardo rispetto a quello che aveva calcolato la stampa perché Erdoğan si trovava in Serbia a inaugurare l'autostrada che collegherà Sarajevo a Belgrado, e che sarà costruita da contractors turchi. Io sono sicura che non vi Pag. 6sfuggirà il grandissimo valore simbolico che ha la costruzione di questa autostrada e vi ricordo, contestualmente, che la Bosnia è saldamente nell'orbita di influenza culturale della Turchia, come ci sta entrando l'Albania e come rischia di entrarci la Macedonia del Nord.
  A questo proposito vorrei collegarmi anche al veto – per quanto mi riguarda scellerato – posto l'altro giorno dalla Francia, seguita poi da altri Paesi, sull'ingresso della Macedonia del Nord nell'Unione europea. Sono invece contenta che l'Italia abbia mantenuto una posizione molto ferma sia per quanto riguarda la Macedonia del Nord sia per quanto riguarda l'Albania. Capisco che si tratta di regioni apparentemente minori, ma sono Stati che, per quanto riguarda il controllo dei Balcani, hanno un'importanza fondamentale, soprattutto la Macedonia del Nord, che è particolarmente contesa. E qui, visto che mi occupo anche di Russia, voglio parlare di un altro personaggio che è il vero manovratore dietro Erdoğan: Vladimir Putin. Il Presidente russo si sta tenendo buona la Turchia e sta cercando di utilizzarla in tutti i modi, perché ha bisogno di un braccio operativo per estendere la sua influenza in Medio Oriente e nella regione mediterranea. Non ci dimentichiamo che prima di essere rieletto Tsipras andò da Putin. Quando la Grecia era ancora in odore di uscita dall'euro, e non si sapeva se il banco sarebbe saltato o meno, Tsipras andò da Putin, in ragione anche di una continuità culturale: la Russia e la Grecia, anche se non sono particolarmente credenti, sono entrambi Stati ortodossi, quindi in onore di questa continuità culturale Tsipras andò a sondare il terreno. Probabilmente Putin gli ha offerto troppo poco, però ha cercato di portare la Grecia all'interno della sua orbita. È una cosa sfuggita a molti. E se non ci è riuscito come voleva lui, è solo perché ci sono arrivati prima i cinesi con investimenti ben più sostanziosi. Ricordo che in questo momento il Pireo è in mano ai cinesi, come altri importanti asset in Grecia.
  Vi racconto tutte queste cose, perché sono tutti vasi comunicanti che vanno a descrivere una realtà che sta letteralmente cambiando sotto i nostri occhi e nei confronti della quale, come Unione europea, forse non ci si sta muovendo; non spetta a me giudicarlo – ve lo dico non come giornalista, ma come privata cittadina – ma avrei voluto vedere un'Unione europea più partecipe del momento storico che sta vivendo e del quale subirà le conseguenze, perché noi subiremo molte ripercussioni da questa crisi nel nord della Siria. Ieri il portavoce di Erdoğan, Ibrahim Kalin, ha detto che noi dovremmo ringraziare l'esercito turco per quello che ha fatto nel nord della Siria, perché ci sta proteggendo dai terroristi. Qualcuno dovrebbe ricordare a Kalin che non è esattamente così, che i piani sono ribaltati. Chiaramente in Turchia non lo fa nessuno, se ne guardano tutti molto bene. Non solo perché hanno paura: chi ha paura è una minoranza, la maggioranza ci crede. Io vorrei che questo fosse molto chiaro. Per quanto Erdoğan possa subire una flessione nel suo apprezzamento, nel suo consenso, il popolo turco è in questo momento tendenzialmente anti-occidentale, conservatore, visceralmente anti-europeo, visceralmente anti-semita. Diciamo anti-sionista più che anti-semita. Questa è una situazione nella quale li ha trascinati Recep Tayyip Erdoğan. Se è di interesse della Commissione, vi invierò delle foto che mi hanno mandato da Konya, dove ci sono dei cartelloni pubblicitari alla fermata del tram, come se ne vedono da tutte le parti, dove c'è scritto «Non fatevi amici ebrei e cristiani». Konya è una città particolarmente religiosa, però è chiaro che la comparsa di questi cartelloni offre più di uno spunto di riflessione. Questa è la situazione per quanto riguarda l'esuberanza estera della Turchia.
  Posso ora fare un piccolo accenno alla situazione interna e sarò lieta di rispondere a tutte le domande che i parlamentari e la presidente vorranno rivolgermi. In politica interna in questo momento Erdoğan è saldamente al potere nel suo Paese, nonostante una perdita di consensi (che pure c'è stata), per il semplice motivo che intanto accentra tutti i poteri nelle sue mani. E, quando controlli strettamente l'esercito, i servizi segreti e le forze armate, è molto Pag. 7difficile che ci possa essere qualcuno in grado di portare avanti istanze di opposizione senza essere strettamente controllato. C'è poi da sottolineare – ed è giusto farlo – che l'operazione «Sorgente di pace» ha avuto il plauso di tutte le forze di opposizione, ovviamente tranne quelle del partito curdo, come potrete immaginare. A questo proposito aggiungo il particolare che tre deputati del partito curdo sono stati messi sotto processo per propaganda e organizzazione terroristica, quando in realtà avevano semplicemente criticato questa operazione: avevano detto che per loro era sbagliata, ma ovviamente sono stati raggiunti da un capo d'accusa ben più grave. Sono stati arrestate e messe sotto inchiesta decine di persone che sui social avevano criticato questa operazione, quindi è un Paese dove la libertà di espressione soffre già da parecchi anni, perché poi una cosa che voglio sottolineare è che la Turchia non si è involuta negli ultimi due anni: è dal 2010 che avvisavo chiunque mi capitasse a tiro e fosse disposto ad ascoltarmi, oltre che tramite i miei articoli, che questo Paese non marcava male ma malissimo e che si era purtroppo diretto verso un percorso di involuzione inevitabile. E – permettetemi di dirlo, lo sostengo dal 2008 con sempre maggiore convinzione – l'eventuale ingresso della Turchia nell'Unione europea non avrebbe cambiato assolutamente niente. Su questo voglio essere molto chiara, perché Erdoğan aveva già un'agenda sua, per la quale utilizzava l'ingresso nell'Unione europea per dare forma alla Turchia che aveva in mente. Quindi anche una facilitazione nei negoziati non sarebbe servita assolutamente a nulla. Questa è ovviamente una mia opinione personale che ho spiegato nel mio libro «Il Reis», e che purtroppo mi pare essere stata ampiamente dimostrata dai fatti. Quindi, anche se si tratta di una mera opinione personale, temo purtroppo di averci preso, come si suol dire.
  Tornando all'aspetto dell'opposizione silente, essa è tale proprio perché nei confronti del capitolo curdo sono tutti più o meno allineati, sempre facendo leva sul motivo nazionalista. Vuoi per reale convinzione o perché hanno paura di perdere sacche di voti, hanno comunque tutti applaudito a questa operazione nel nord della Siria. Oltretutto io sono in contatto con alcuni ambienti del CHP, una corrente minoritaria, che mi hanno detto che alcuni di loro non parlano, perché, nel momento in cui dovessero criticare l'operazione «Sorgente di pace», temono un repulisti tipo quello dopo il fallito golpe. Voi ricorderete perfettamente le decine di migliaia di persone finite in carcere, quelle a cui hanno tolto il passaporto, quelle che hanno perso il posto di lavoro, quelle la cui vita è stata praticamente distrutta, molto spesso nemmeno a causa di una reale affiliazione al network di Fethullah Gülen, ma solo per togliersi dai piedi degli oppositori che potevano rivelarsi particolarmente scomodi.
  Permettetemi un altro piccolo excursus, perché la storia della Turchia è lunga, complessa e vi assicuro che tenere insieme tutti i pezzi diventa sempre più difficile: Erdoğan e Fethullah Gülen fino al 2010 erano alleati. Quello che oggi viene descritto come il demone assoluto della Turchia moderna ha pagato le campagne elettorali dell'AKP per anni, perché in quel periodo Erdoğan e Gülen avevano obiettivo in comune: indebolire gli apparati più laici e filoeuropei dello Stato. Sempre a livello di equilibrio interno c'è un altro aspetto che mi sembra importante sottolineare: in questo momento il cerchio magico intorno al premier è cambiato. Avrete forse letto sui quotidiani nei giorni scorsi che Ali Babacan e Ahmed Davutoğlu – l'ex Ministro delle finanze e l'ex Ministro degli esteri – hanno dato le dimissioni, hanno lasciato l'AKP. Devo dire che sono andati via prima che li sbattessero fuori loro. Nei confronti di Davutoğlu c'era già una procedura di espulsione praticamente pronta. L'hanno fatto non perché si sono riscoperti sinceri democratici dall'oggi al domani, dato che hanno lavorato con Erdoğan per anni: lo hanno fatto perché il cerchio magico attorno a Erdoğan è cambiato. Erdoğan ora si è circondato di amici d'infanzia, amici degli amici, persone che potevano dargli molto meno fastidio, perché non avevano una loro constituency che portasse voti, quindi deputati, quindi consenso Pag. 8 e conseguentemente introiti per il partito; ma soprattutto non avevano uno standing politico in grado di permettere loro di contrapporsi al carisma del presidente. Questo è uno dei fattori per cui Erdoğan in questo momento ha saldamente il potere delle sue mani, nonostante un calo di consensi che non è ideologico: è un calo di convenienza, perché l'economia non funziona.
  C'è un altro aspetto da sottolineare, che io reputo piuttosto grave: all'interno dell'esercito e delle forze armate gli equilibri sono cambiati considerevolmente. Avete visto, dopo il golpe, che centinaia di graduati delle forze armate sono finiti in carcere o comunque sono stati esonerati dalle loro funzioni; erano tutti graduati di grande esperienza e, generalmente, erano dei convinti sostenitori della permanenza della Turchia nel Patto Atlantico, e sono stati sostituiti da persone con posizioni diverse dalle loro: soprattutto da graduati che credono in queste ideologie euroasiatiche e possono definirsi – usando un termine forse un po’ azzardato, ma solo fino ad un certo punto – filorussi, quindi vedono di buon occhio la grande alleanza, la grande sinergia che c'è in questo momento tra Putin ed Erdoğan, quindi tra Turchia e Russia. È sicuramente un'alleanza di convenienza, però è un'alleanza che serve a entrambe le parti, quindi la mia previsione è che, salvo imprevisti, questa è un'alleanza destinata a durare, perché Erdoğan in questo momento vede in Putin uno dei garanti del mantenimento dello status quo in Turchia e a Putin la Turchia serve per tutti i motivi che ho esplicitato prima.
  Questo è un quadro generale e io spero di non essermi dimenticata nulla, perché le cose da dire sono veramente tantissime. Sono ovviamente disponibile, se i deputati dovessero avere delle domande. Premetto che la segreteria è in possesso di tutti i miei recapiti, pertanto, nel caso qualcuno volesse contattarmi in separata sede, c'è da parte mia massima disponibilità.

  PAOLO FORMENTINI. Vorrei ringraziare per questa testimonianza e per le informazioni raccolte sul campo. Non ci capita spesso in Commissione esteri di audire degli esperti così preparati, sinceri, realisti. Io appartengo alla Lega, che da una vita sostiene che la Turchia non deve entrare in Europa, che non dovrà mai entrare uno Stato con quelle caratteristiche, perché è un qualcosa di estraneo alla cultura profonda europea, ai valori europei. Ce ne ha dato ampia testimonianza, quindi davvero grazie.
  Io sono uno dei due relatori sull'indagine conoscitiva sul Mediterraneo, quindi sono ben consapevole degli equilibri che stanno rapidamente cambiando in questa regione, di questa nuova sinergia tra Turchia e Russia, dell'avanzata nei Balcani: tutte cose che leggiamo sui giornali ma che davvero è importante ribadire, perché spesso ci giungono anche richieste d'aiuto da questi Paesi e noi come Italia non dobbiamo restare insensibili.
  La mia domanda è: quale futuro vede per la Turchia all'interno dell'Alleanza atlantica. O meglio, ci sarà un futuro?

  MARTA OTTAVIANI, giornalista del quotidiano La Stampa. Onorevole Formentini, la ringrazio per i suoi complimenti, ma devo dire una cosa a tutti quanti: la Turchia in Europa in un certo senso c'è già, perché ci sono delle comunità turche in Europa. Molto spesso si tratta di comunità sotto ricatto, dopo il golpe, e che possono influire nelle dinamiche nazionali dei singoli Paesi. Quindi il problema non credo sia in questo momento – mi permetto di dirlo – Turchia in Europa sì/Turchia in Europa no, perché è chiaro che si tratta di un Paese completamente destabilizzato. Una volta, parlando con una vostra collega, mi ha detto «Erdoğan passa, la Turchia resta»; al che mi sono permessa di replicare che resterà purtroppo anche la Turchia a cui Erdoğan ha dato vita, perché non si tratta di un fenomeno elastico, per cui: Erdoğan se ne va, la Turchia torna com'era prima. C'è una parte consistente della popolazione che in Erdoğan vede ancora un leader e che di sicuro non vede l'Europa come alternativa. Io credo che in Turchia in questo momento gli unici veramente filoeuropei siano i curdi. Anzi, per come ci siamo comportati, nemmeno più loro. Eviterò di ripetervi cosa mi sono sentita dire per le vie Pag. 9di Istanbul, ma vi assicuro che sono giudizi veramente molto pesanti nei nostri confronti.
  Per rispondere alla sua domanda, io non sono un'esperta di strategie di difesa, però l'idea è quella di una Turchia che si vuole sempre fare più i fatti suoi. Glielo dico in maniera molto serena. Voi sarete al corrente – ma mi sembra giusto richiamare anche questo argomento – del fatto che la Turchia nei mesi scorsi ha comprato un sistema missilistico di difesa russo (S-400); da mesi, da fonti che mi arrivano da Mosca e ovviamente anche da Ankara, la Turchia è potenzialmente interessata a comprare i caccia russi, perché nel frattempo è stata espulsa temporaneamente dal programma F-35 dagli Stati Uniti. Quindi abbiamo questa situazione davvero paradossale del secondo esercito della NATO che sul suo territorio nazionale ha del materiale NATO e delle basi NATO, anche abbastanza strategiche, e che improvvisamente si mette ad andare a braccetto con lo Stato per il quale la NATO è sorta. Sembra quasi il mondo alla rovescia.
  Io non Le so dire se la Turchia rimarrà nella NATO o meno, però Le posso dire, per come conosco Erdoğan, che la sua mi sembra un po’ una tattica di logoramento per fare in modo che sia la NATO a chiudere la partita, e io non credo che la NATO debba fare questo errore – ve lo dico molto serenamente – perché a quel punto si lascerà Erdoğan a briglia sciolta. Ve lo dico, perché Erdoğan fa la stessa cosa quando parla dell'Unione europea. Nei suoi comizi dice «è l'Europa che non ci ha voluto», e possiamo fare anche un excursus sulle responsabilità di Bruxelles su questo argomento, ma magari un'altra volta. La strategia di Erdoğan è proprio quella: condurre al logoramento l'interlocutore, avere un atteggiamento sempre più aggressivo finché dall'altra parte non si prende una posizione netta rispetto ai segnali arrivati, in modo tale che lui in patria possa fare la parte della vittima. Anche perché tutto quello che Erdoğan fa all'estero ha una pesante ricaduta interna.
  Vi faccio un piccolo esempio: supponiamo che domani la NATO decidesse di espellere la Turchia (non so nemmeno se questo sia possibile in base al regolamento dell'Alleanza atlantica, ma supponiamo che succeda); Erdoğan comincerebbe a dire «Adesso facciamo da soli, finalmente la Turchia è libera!». Purtroppo Erdoğan ha instillato nel suo popolo – con grande successo – la convinzione che la Turchia sia sempre stata trattata come un Paese di serie B, che la Turchia possa essere un grandissimo role player a livello della Cina, degli Stati Uniti o della Russia, che la Turchia non si deve accontentare dello status di media potenza che ha. Ha un disegno ben preciso. Quello a cui sta puntando è di essere autosufficiente dal punto di vista dell'energia nucleare: per il momento solo per il rifornimento energetico, ma poi chissà cosa farà con tutti quegli impianti che vuole far costruire. In secondo luogo sta sviluppando un'industria di difesa autoctona, sempre più in grado di essere autonoma e di prodursi le cose autonomamente. Quando gli Stati Uniti dell'Amministrazione Obama – io non sono una grandissima fan di Obama generalmente, ma sotto questo aspetto è stato illuminato – si sono rifiutati di fornire il sistema missilistico patriot alla Turchia, è stato perché la stessa ha richiesto che parte del know how venisse trasferito nel Paese. Obama si è rifiutato, anche perché era una Turchia ampiamente destabilizzata quella che ha mosso questa richiesta. Stiamo parlando – credo, a spanne – di metà del secondo mandato Obama. Quindi la Turchia ha fatto quello che si riteneva impensabile fino a solo due anni fa: ha preso ed è andata a comprare il corrispettivo del prodotto dalla Russia.
  Una caratteristica di Erdoğan è che non si ferma davanti a niente: è disposto a far saltare il banco, perché sa che dall'altra parte, con altri interlocutori – penso all'Unione europea soprattutto – c'è sempre una certa reticenza, quasi una paura ad affrontarlo. Mi permetto di sottolineare che in questo momento gli unici due che sono riusciti a sistemarlo, seppur per periodi limitati, ovviamente pro domo loro, sono stati il Presidente Putin e il Presidente Trump; il primo, quando la Turchia tirò giù Pag. 10il Sukhoi al confine con la Siria, comminò una serie di sanzioni, le relazioni tra i due Paesi furono congelate e dai mercati turchi uscirono 10 miliardi di dollari nel giro di pochi mesi, quindi si trattò di un'azione piuttosto energica; il secondo, durante la crisi della valuta turca, ad agosto del 2018, li ridusse sul lastrico facendogli andare fuori controllo la valuta nazionale. Purtroppo è un Paese con cui si deve assumere un atteggiamento muscolare, se si vuole ottenere qualcosa. Loro non sono abituati a concepire le relazioni internazionali come siamo abituati a concepirle noi.

  PRESIDENTE. C'è il collega Formentini che vorrebbe aggiungere un appunto, poi abbiamo altri quattro interventi. Farei fare le domande ai colleghi, cosicché la nostra ospite possa rispondere collegialmente.

  PAOLO FORMENTINI. Grazie, presidente. Vorrei informarvi che un curdo si è appena dato fuoco davanti alla sede dell'UNHCR di Ginevra, quindi chiederei, visto che parliamo tanto di curdi nella Commissione Affari esteri, un minuto di silenzio per il popolo curdo, perché abbiamo appena sentito che è in atto una nuova forma di genocidio, ovvero lo sradicamento di un popolo.

  PRESIDENTE. Sono d'accordo, solamente che, per economia dei lavori, lo posticiperei alla fine degli interventi, perché non abbiamo molto tempo purtroppo, avendo anche altri punti all'ordine del giorno.

  PIERO FASSINO. Saluto Marta Ottaviani, che conosco da molti anni e di cui ho letto i libri. L'analisi che ci ha offerto la dottoressa Ottaviani è piena di dati che corrispondono a realtà, quello che non mi è chiaro è la prospettiva. Se Erdoğan è forte di un larghissimo consenso; se il popolo turco è tutto nazionalista e comunque, anche se non ci fosse Erdoğan, continuerebbe la stessa politica; se comunque, quand'anche l'Unione europea riprendesse i contatti, non c'è niente da fare; se la sua tattica è quella di uscire e di farsi dire di no da tutti, alla fine qual è la prospettiva: bombardiamo la Turchia? Non capisco quale sia la prospettiva politica. Un giornalista non ha il dovere di dare soluzioni politiche, però, quando si fa un'analisi, è necessario anche porsi, da persona ragionevole, una domanda: se questo è il quadro, che cosa bisogna fare?
  Mi è sembrata un'analisi piena di dati veri, assolutamente reali, compresa l'ambizione di mettere in discussione l'accordo di Losanna e di Sèvres: tutte considerazioni realistiche, però dall'analisi bisogna passare a una proposta. Una conclusione l'ha già tratta Formentini e dice: «Proprio perché l'analisi è questa, chiudiamo tutto e non ne parliamo più». Io penso che più non ne parliamo, più la Turchia peggiora, più Erdoğan e il nazionalismo si rafforzano e più il rischio turco varcherà i confini della Turchia. Quindi da questo punto di vista traggo esattamente la conclusione opposta: più li isoliamo, più rafforzeremo quelli che vogliono essere isolati.
  La mia domanda non è retorica, è una domanda vera, perché la dottoressa Ottaviani sta sul campo e noi no: quale pensa che debba essere la prospettiva? Cosa dobbiamo fare come Unione europea? Dobbiamo chiudere definitivamente? Io penso che tale scelta produrrebbe soltanto un rafforzamento di Erdoğan. Una cosa è sospendere – come oggi sono sospesi – i colloqui per un'ipotetica adesione della Turchia, che nessuno vede all'orizzonte; altra cosa è interromperli, chiuderli definitivamente. Sono due cose diverse. Tutto questo serve a far evolvere una situazione diversa oppure no? Mi pongo il problema di quale strategia mettere in campo per far maturare una situazione diversa da quella descritta. Non so se mi ha sentito, perché armeggiava con i microfoni.

  MARTA OTTAVIANI, giornalista del quotidiano La Stampa. L'ho sentita perfettamente, e vorrei replicare direttamente a questa domanda, perché, essendo un quesito che pertiene anche al mio mestiere, darò...

  PRESIDENTE. Mi scusi, noi abbiamo problemi di tempi e vorremmo avere una Pag. 11risposta conclusiva alle domande dei colleghi, alcuni dei quali si devono allontanare, qualcuno lo ha già dovuto fare e altri ancora vorrebbero intervenire e poi dovremmo chiudere entro una certa ora. Ne abbiamo altre tre, quindi Le chiedo la disponibilità a rispondere cumulativamente alla fine.
  Il collega Fassino ha terminato, per cui la parola ora al collega Palazzotto.

  ERASMO PALAZZOTTO. Grazie, presidente. Io intanto ringrazio la dottoressa Ottaviani per questo quadro che ci ha prospettato e soprattutto per gli spunti di riflessione che ci offre.
  Adesso il collega Fassino ne sollevava uno, io sono stato tra quelli che sosteneva che l'ingresso in Europa della Turchia sarebbe stata un'occasione per allacciare un confronto e una relazione tra popoli. Su questo – ma è una mia valutazione e una mia forma mentis anche rispetto agli strumenti che si utilizzano e che a volte sono necessari – io non credo che le soluzioni siano per esempio l'utilizzo delle sanzioni o di altri strumenti di questo tipo, perché normalmente hanno un potere di influenza rispetto alle scelte politiche, ma – come ci veniva qui ricordato – rischiano anche di dare maggiore legittimità a Governi autocratici come quello turco e quindi di aumentarne il consenso, perché a pagare il prezzo di quelle sanzioni sono i popoli e soprattutto, quando si indeboliscono anche le relazioni commerciali, soprattutto del piccolo commercio, delle piccole e medie aziende, si indeboliscono le relazioni culturali tra Paesi e si alimenta un regime di scontro. Da questo punto di vista, io sono stato tra quelli che più di tutti, anche nella scorsa legislatura, ha criticato le scelte di Erdoğan e ha denunciato, forse con un po’ di anticipo, la strategia che il Presidente turco stava mettendo in campo nei confronti del popolo curdo: un progetto che guarda anche all'idea di sostituzione etnica, perché quello che oggi Erdoğan sta prospettando a nord della Siria lo sta già sperimentando da anni nel sud-est della Turchia con intere aree...

  MARTA OTTAVIANI, giornalista del quotidiano La Stampa. Anche a Cipro, se è per quello.

  ERASMO PALAZZOTTO. Esatto, da questo punto di vista c'è un progetto e una strategia che guarda non a breve ma a lungo termine rispetto al ruolo che la Turchia può avere.
  È evidente che la Turchia rappresenta in questo contesto uno dei più grossi problemi dell'Unione europea e probabilmente della NATO, perché è un Paese che ha fissato un orizzonte che lo porta ad essere in conflitto con l'Unione europea e a portarsi fuori dalla NATO, tant'è che ormai da anni cerca un panorama di alleanze diverso e soprattutto lavora all'acquisizione di un determinato ruolo dentro il mondo islamico. Su questo c'è una valutazione che io credo vada fatta. Mi pare chiaro che il limite più grande in questo momento è quello di un'Europa che non sa avere una visione di politica estera e che quindi non ha da contrapporre un altro modello o un altro progetto. La scelta di non far entrare l'Albania e la Macedonia del Nord in Europa adesso – che avrebbe significato un'apertura verso un'area balcanica che paradossalmente è più affine alla cultura europea di quanto non lo siano i Paesi dell'est Europa che abbiamo fatto entrare con molta rapidità (il blocco cosiddetto di Visegràd) – oggi è un punto che riguarda una visione strategica. L'Europa dovrebbe capire che cosa si sta muovendo in questo momento, perché il Medio Oriente è diventato il centro di una ridefinizione degli equilibri geopolitici globali. Il ritiro dagli Stati Uniti da quell'area di influenza, delegando interamente ad alcuni alleati la gestione geopolitica mediorientale, è sicuramente un fattore; l'interventismo russo, dall'altra parte, ha determinato un cambio di strategia; noi siamo quelli che non ce l'abbiamo. Penso per esempio alla vicenda della Libia che è strettamente collegata, e in questo c'è una domanda che rivolgo alla dottoressa Ottaviani. Mi è chiarissimo il quadro che Lei ha fatto sul piano delle strategie regionali che Erdoğan sta mettendo in campo per delineare il profilo che vuole dare oggi alla Turchia; da quello che possiamo vedere c'è Pag. 12un nuovo ruolo che oggi la Turchia sta giocando nel conflitto libico, con uno schieramento evidente nei confronti di una parte in conflitto, con i rifornimenti dentro una dinamica di conflitto di armamenti e di supporto logistico e anche, a quanto risulta da alcuni rapporti, con un canale di accesso a una serie di foreign fighters verso la Libia che in questo momento diventa un Paese strategico nella dinamica mediterranea. Chiedo, quindi, se anche questo livello di strategia nei rapporti con il Qatar e la Libia è una cosa che rientra in questa visione di Erdoğan.

  PINO CABRAS. Mi viene da dire che Erdoğan è seduto sopra un enorme giacimento di geopolitica, perché la Turchia ha come caratteristica essere un Paese che eredita uno spazio geopolitico enorme, pieno di interrelazioni fra Est e Ovest, fra Europa e Asia, che risulta uno spazio naturale per chiunque voglia agire anche con politiche moderne. C'è una continuità storica enorme che può aiutare a spiegare certi comportamenti, anche in relazione a questo rapporto con la Russia. Si contendono da secoli lo spazio panturanico, lo spazio della grande Asia turcofona che diventa a un certo punto russa, ed è uno spazio in cui si sono modellati anche i rapporti della politica estera. Il nemico si combatte con durezza, ma allo stesso tempo è colui con il quale si può fare un accordo il giorno dopo, se risulta conveniente. Questa cosa risulta più facile rispetto ad altre aree del pianeta. Questo spiega secondo me molte delle prospettive attuali.
  In questo senso vedo la Turchia – e in questo sono d'accordo con la dottoressa Ottaviani – come un Paese anche pienamente europeo, non solo per la presenza dei tanti turchi in molte società europee, ma perché la Turchia è membro della NATO dal 1952 e qualcosa ha significato nell'interazione fra mondo europeo e Turchia; fa parte del Consiglio d'Europa; Istanbul la possiamo considerare la più grande città europea, con caratteristiche prettamente europee, anche se ha poi le distinzioni della grande città mediorientale proiettata verso l'Asia. Quindi io sarei per assumere un gioco mimetico dell'Europa simile a quello che assume la Turchia. Erdoğan è un doppio-triplo-giochista o quadruplo-giochista: noi dobbiamo imparare a giocare su più tavoli non chiudendo definitivamente certe porte. Questo è l'unico modo con cui si può giocare di sponda con altri alleati, che magari hanno elementi conflittuali con la Turchia e che la possono attutire nei suoi aspetti più contundenti. Una delle cose da fare, ad esempio, è chiudere ogni spazio al suo ruolo di Paese egemone del mondo dei fratelli musulmani. Questa cosa sarebbe di aiuto in molte partite geopolitiche.

  YANA CHIARA EHM. Ringrazio anch'io, provo a essere sintetica e aggiungere alcuni punti che a me sono parsi mancanti.
  Il primo è sulla questione PKK e YPG. Personalmente vorrei ribadire che è necessaria una distinzione, perché parliamo di un gruppo (il PKK) che nasce negli anni Settanta con un certo imprinting, poi cambia radicalmente nel 1999, si compone di vari aspetti, mentre l'YPG nasce con tutta un'altra fisionomia.
  Altra questione di rilievo, che mi interessa molto nel confronto con la dottoressa, è come la Turchia influenza l'Europa. Personalmente, da semi-tedesca ho vissuto in Germania questa influenza molto forte derivante dalla presenza di una comunità turca molto numerosa, però a mio avviso, anche da studiosa di scienze politiche, ho visto che c'è un'influenza reciproca: da una parte, i turchi che volevano influenzare l'Europa attraverso le loro convinzioni e i loro modi di fare; dall'altra, l'Europa influenza molto la comunità turca, sempre considerando il fatto che a volte è bene distinguere tra la componente politica di maggioranza e la popolazione turca, che invece è molto diversificata nel suo modo di pensare, di agire e di porsi riguardo alla Turchia.
  Io avrei due domande veloci. La prima è sulle conseguenze dell'accordo concluso tra russi e turchi sulla questione della zona cuscinetto. Il fatto che potremmo avere in questa zona siriani che al loro interno potrebbero vederla diversamente – pro o contro Assad, pro o contro turchi – potrebbe creare una situazione di difficoltà e di conflitto? La seconda è sulla questione Pag. 13migratoria, così come è stata posta dalla Turchia, ovvero l'affermazione da parte delle autorità turche circa l'impossibilità di sostenere questi rifugiati, che a questo punto vogliono entrare in Europa e approdano tutti in Grecia. Abbiamo un grandissimo numero di migranti bloccati in Europa, con una notevole escalation nelle scorse settimane nelle isole di Lesbo, Samo, ma anche a Salonicco e nel continente: dopo questi accordi la situazione potrebbe peggiorare con l'arrivo di nuove ondate, con la paura di essere trasportati in questa zona cuscinetto che potrebbe spingere i profughi a tentare la via verso la Grecia; in altre parole, come risolvere la questione greca che, almeno a mio avviso, vede una situazione molto più complessa di tanti altri Paesi extra-europei che hanno un gran numero di rifugiati.

  PRESIDENTE. Non ci sono altri interventi, la parola ritorna alla nostra ospite per le repliche.

  MARTA OTTAVIANI, giornalista del quotidiano La Stampa. Cercherò di essere sintetica, anche perché le domande sono state abbastanza lunghe.
  Partendo dall'onorevole Fassino, inizierò citando Guglielmo da Baskerville che, ne «Il nome della rosa», rivolgendosi ad Azzo, gli dice: «Se sapessi tutto, insegnerei filosofia teoretica alla Sorbona». Ipotesi che mi tengo per la prossima vita. Vorrei tra l'altro ricordare all'onorevole Fassino che non è esattamente facile fare la giornalista che si occupa di Turchia e che in questo momento io mi trovo nella condizione di vedere in carcere diverse persone che conosco da anni, e non so nemmeno in quale carcere...

  PIERO FASSINO. Ma non ho mica eccepito la sua professione. Io Le ho posto una domanda, cosa c'entra questo?

  MARTA OTTAVIANI, giornalista del quotidiano La Stampa. Visto che Lei mi ha chiesto quale atteggiamento occorre avere verso la Turchia, io penso che le soluzioni le dovrebbe trovare la politica. Io posso avere una mia opinione personale, e peraltro è una posizione che porto avanti da anni: bisogna trovare il modo di rimodulare il nostro atteggiamento, il nostro approccio alla Turchia, tenendo presente il fatto – lo dico a tutti quanti – che sono i turchi, quando vanno a un tavolo, che decidono le regole del gioco. Loro non si mettono a trattare, loro ti dicono «le cose stanno così, prendere o lasciare». Ho diverse testimonianze in sede europea, anche ad alti vertici, con Erdoğan che è arrivato non dico a minacciare l'interlocutore ma poco ci è mancato, dicendo «o si fa così o si fa così». È chiaro che davanti a un interlocutore che assume un atteggiamento così deciso, bisogna cercare di trovare un nuovo modo di rispondere. Adesso non so quale possa essere questo nuovo modo.
  Io faccio la giornalista freelance, trovo le notizie e descrivo quello che vedo. Con tutti i rischi che comporta fare la giornalista freelance in un Paese come la Turchia. È quello che faccio da oltre vent'anni ed è quello che cerco di fare al meglio. Non mi permetterei mai, peraltro, di venire a consigliare a dei deputati, che hanno la responsabilità di gestire un Paese, come approcciarsi a questo capitolo così complesso. Il consiglio che posso dare è che sicuramente la relazione con la Turchia va rimodulata in qualche modo, anche perché – ve lo dico con grandissima serenità – per Erdoğan noi rappresentiamo tutto fuorché un problema, un ostacolo, un interlocutore ostico, perché sa che tanto da noi ottiene sempre tutto.
  Anch'io, come l'onorevole Palazzotto – a cui risponderò tra breve – sono contraria alle sanzioni – dovrebbe valere per tutti i Paesi, per quanto mi compete –, però è chiaro che in qualche modo bisogna far capire alla Turchia che non siamo d'accordo su come si sta comportando. Ve lo dico molto serenamente, anche per gli scandali che spesso coinvolgono la sua famiglia: a Erdoğan la cosa che interessa di più è l'aiuto economico, non certo le gratificazioni da parte di Bruxelles o la prospettiva dell'ingresso nell'Unione europea, della quale non gli importa assolutamente nulla. Spero di essere stata esaustiva nella mia risposta. Pag. 14
  Per quanto riguarda la Libia, questa è una domanda che trovo molto interessante, anche perché la Turchia non sta diventando aggressiva solo con noi, ma anche nei confronti di un blocco sunnita che la Turchia vorrebbe scavalcare. Ci sta provando da tempo, in diversi modi e il suo avversario numero uno è il duopolio Egitto-Arabia Saudita. È per questo che la Turchia, insieme al Qatar, sta affrontando la situazione libica: non solo per tenere le posizioni, soprattutto in campo infrastrutturale, che la Turchia aveva già ai tempi di Gheddafi (prima che Gheddafi fosse assassinato, Ankara aveva firmato diversi contratti di real estate e infrastrutture). Sta cercando di utilizzare la crisi libica in modo da dare fastidio all'Egitto e all'Arabia Saudita. Su questo non ci sono assolutamente dubbi. Io poi non mi vendo per quello che non sono: il mio quadrante di specializzazione include la Russia, la Turchia e la Grecia, quindi sicuramente ci sono persone più competenti di me in materia di Libia. Ciò premesso, sicuramente, da come sto osservando io la crisi libica, anche lì la Turchia che vuole mediare, che vuole risolvere la situazione, quando impatta nelle crisi – l'abbiamo visto molto bene con quella siriana – purtroppo le complica all'infinito.
  Io non ho capito la domanda dell'onorevole Cabras, credo non l'abbia neanche fatta. Una cosa però gliela vorrei dire: temo che non vada a Istanbul da un po’ di tempo. Tutto si può dire, ma non che Istanbul sia una città europea in questo momento. Ma non tanto per una questione religiosa – le donne velate sono aumentate in modo esponenziale –, ma in una città europea io mi immagino di trovare una stampa libera, gente che parla per strada, non un clima di terrore, con le persone che non ti rivolgono più la parola. Le assicuro che nella mia attività di giornalista io faccio molta fatica a parlare con la gente, ad avere accesso a fonti che prima mi parlavano tranquillamente al telefono e che invece adesso mi parlano solo di persona e in determinate condizioni.
  Poi credo non abbia compreso in maniera corretta quello che volevo dire sulle comunità turche all'estero, così mi aggancio anche all'osservazione fatta dall'onorevole Ehm. Ci sono due tipi di turchi all'estero: quelli che sono prima turchi e poi cittadini del Paese che li ha accolti, di cui hanno assunto la cittadinanza; poi ci sono i turchi che, pur nel pieno rispetto delle loro origini, sposano il sistema di valori del Paese in cui si trovano. Purtroppo la prima parte è nettamente maggioritaria rispetto alla seconda. Anche quando l'onorevole Cabras faceva un distinguo tra Erdoğan e il popolo turco, io credo che le proporzioni di cui Lei parla siano molto generose e andrebbero pesantemente ricalibrate, almeno per come ho conosciuto io la Turchia in questi anni, e Le assicuro che l'ho conosciuta abbastanza bene.
  L'onorevole Fassino, che ha letto i miei libri, ricorderà perfettamente che io all'inizio ero una convintissima sostenitrice dell'ingresso della Turchia nell'Unione europea; però, perché avvenga una determinata cosa, ci vogliono anche determinate condizioni. Dal 2008 queste condizioni hanno cominciato a cambiare considerevolmente. Vi posso assicurare che, a partire dal 2010, non è stato facile, neanche a volte con le mie relazioni, spiegare quello che stava succedendo, perché non ci credeva nessuno. Dicevano «questi devono entrare in Europa, sono un Paese musulmano ma laico», tutti i luoghi comuni che si sentono di solito sulla Turchia, però poi le cose sono cambiate, si sono involute molto rapidamente; ci sono delle motivazioni per cui questo è successo, ma non mi dilungo su questo aspetto, perché capisco che il tempo è poco. Quello di cui sono certa è che la Turchia di oggi è un Paese destinato a darci molti problemi e che non ha assolutamente intenzione di porsi in un'ottica europea in modo conciliante, dove per «modo conciliante» si intende una trattativa. Loro si siedono al tavolo dei negoziati solo se si accettano le loro condizioni.

  PIERO FASSINO. Solo per un fatto personale, anche perché conosco la dottoressa Ottaviani. Io non contesto la sua professionalità e il suo lavoro, e non ho neanche contestato tutti i dati di fatto che Lei ha illustrato, perché sono obiettivi – mi occupo Pag. 15 di Turchia da tanti anni, lo so –; il punto che ho posto, a cui Lei ha dato una risposta che secondo me non è chiara, è: benissimo, dato un quadro così drammaticamente chiuso – perché tutti i dati danno l'immagine di un quadro chiuso – che cosa si può fare? La sua risposta è stata rimodulare il rapporto, che – mi permetto di dire – è un'espressione ambigua, perché lo si può rimodulare in tante direzioni: incrementando le relazioni, chiudendole... Dunque, in che direzione occorre, a suo avviso, rimodulare il rapporto?

  MARTA OTTAVIANI, giornalista del quotidiano La Stampa. Mi permetterà, onorevole Fassino, io non sono a conoscenza di molti dati e di molti insight di cui siete a conoscenza voi deputati, proprio perché facciamo mestieri diversi. Quello che Le posso dire è che dovrebbe essere assunto un atteggiamento più deciso nei confronti della Turchia. Questo è poco ma sicuro, e non è da ieri che lo dico.
  Comunque penso che ognuno debba fare il suo mestiere: io devo dare le notizie, posso avere una mia opinione personale su come trattare con la Turchia, ma non sono stata eletta da persone che mi hanno dato la loro fiducia e che sperano che persegua una determinata politica; è anche una questione di rispetto nei vostri confronti, se non mi permetto di fare quello che è il vostro mestiere. A me pare, invece, di aver dato una risposta assolutamente chiara, perché come stanno le cose io lo continuo a scrivere nei miei articoli, lo continuo a dire in tutte le sedi in cui mi è concesso dirlo: continuo a dire che la Turchia ci darà molti problemi e che si siede al tavolo alle sue condizioni e basta. Più chiaro di così! Peraltro, mi scusi, onorevole Fassino, Le ricordo che questo incontro viene trasmesso sulla web-tv della Camera e io ho come la vaga impressione che l'Ambasciata turca ci stia guardando, e vorrei evitare di avere problemi. Anche perché io in Turchia ci torno spesso per lavoro. Non è nemmeno compito mio dire come ci si debba relazionare con la Turchia. Certo, ci sono due sponde del Mediterraneo che sembravano destinate a unirsi e invece si stanno allontanando per volontà di una delle due parti.
  Bisogna anche capire – e con questo veramente direi che ho concluso il mio intervento – che c'è un Paese di cui non abbiamo parlato e che invece sarà un Paese chiave: l'Iran. Bisogna vedere quanto piacerà a Teheran questo memorandum of understanding tra Turchia e Russia. Io non sono convinta che gli piacerà così tanto. Il consiglio che posso dare è: quando le cose tra Turchia e Russia inizieranno ad andare male – ma personalmente non mi aspetto che questo accada molto presto – e la Turchia tornerà a bussare alle porte dell'Europa, ci si ricordi che cos'è diventata la Turchia di oggi. Ribadisco – ci tengo – non si parla solo del presidente Erdoğan, ma di tutto un Paese che in questo momento ha un assetto ben preciso.

  PRESIDENTE. C'è un intervento conclusivo del collega Zoffili, prego.

  EUGENIO ZOFFILI. Grazie, presidente. Sui giornalisti che lavorano all'estero, segnalo che abbiamo approvato qualche mese fa, proprio all'inizio della legislatura, una risoluzione che sarà nostra premura farle avere. Abbracciamo tutti i connazionali italiani giornalisti che lavorano su scenari difficili e che stanno rischiando la loro vita. Spero che il prossimo incontro possa essere fatto non via Skype ma di persona, e chiedo alla presidente, quando potranno esserci le condizioni, di organizzare una missione sul posto.
  Grazie, e un abbraccio di cuore.

  MARTA OTTAVIANI, giornalista del quotidiano La Stampa. Vorrei sottolineare che anche in questa circostanza da giorni il presidente Erdoğan, il portavoce Kalin, il Ministro dell'interno, tutti quanti dichiarano che la stampa straniera si sta inventando le notizie, che siamo spie – nella migliore delle ipotesi – se non addirittura persone a libro paga dei servizi segreti dei rispettivi Paesi.
  A parte il fatto che sono accuse che ovviamente non fanno piacere – come potrete immaginare –, alcuni colleghi a Istanbul hanno avuto dei problemi per questo. Di recente colleghi che si trovavano al Pag. 16confine sono stati aggrediti, proprio perché il popolo turco molto spesso segue Erdoğan, quindi, se vi dico queste cose – e ve lo dico in modo molto aperto, schietto e onesto, che poi sono i fondamenti sui quali ho basato la mia credibilità professionale fino a questo momento e non ho alcuna intenzione di cambiare – è perché ci sono tutta una serie di problematiche e oggi ne abbiamo toccate solo alcune. A me piacerebbe molto parlare del rapporto tra il PKK e il popolo curdo, perché, se c'è una che non è mai stata una pasionaria della questione curda a priori e l'ha sempre trattata in maniera oggettiva, avendo a volte anche dei problemi con i curdi in Turchia, sono io.
  Per me l'importante è dare le notizie e darle bene. Non mi prendo la responsabilità di fare il lavoro dei parlamentari, perché non è il mio mestiere. È chiaro, se mi viene chiesto un consiglio, non ho timore ad affermare che, purtroppo, questa non è una Turchia con la quale si può trattare in modo sereno, come si faceva fino a qualche anno fa. Mi pare che il termine «rimodulare», insieme a quello che ho raccontato, la dica già abbastanza lunga. Ho fatto anche gli esempi di Trump e di Putin, che per me non sono esempi virtuosi.
  Mi rendo anche conto che ci siano delle difficoltà oggettive, perché, quando si agisce in sede di Unione europea, si è in ventisette e non con una voce unica. Però ribadisco che questo purtroppo è un Paese che non ci assicurerà un futuro sereno nella regione.

  PRESIDENTE. Credo siano terminati gli interventi da parte dei colleghi, quindi ringrazio nuovamente la dottoressa Ottaviani per questo momento di confronto e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.20.