XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Giovedì 25 luglio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO
Grande Marta , Presidente ... 3 
Cabras Pino (M5S)  ... 4 
Grande Marta , Presidente ... 4 
Buccino Grimaldi Giuseppe , Ambasciatore d'Italia in Libia ... 4 
Grande Marta , Presidente ... 7 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 7 
Boldrini Laura (LeU)  ... 7 
Cabras Pino (M5S)  ... 8 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 8 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 9 
Di Stasio Iolanda (M5S)  ... 9 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 10 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 10 
Grande Marta , Presidente ... 10 
Buccino Grimaldi Giuseppe , Ambasciatore d'Italia in Libia ... 10 
Emiliozzi Mirella (M5S)  ... 14 
Viviani Lorenzo (LEGA)  ... 14 
Buccino Grimaldi Giuseppe , Ambasciatore d'Italia in Libia ... 15 
Grande Marta , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata soltanto mediante resoconto stenografico.

Audizione dell'Ambasciatore d'Italia in Libia, Giuseppe Buccino Grimaldi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, dell'Ambasciatore d'Italia in Libia Giuseppe Buccino Grimaldi.
  Saluto e ringrazio l'ambasciatore Buccino Grimaldi, accompagnato dalla consigliera Ana Cecilia Bonilla Taviani, in rappresentanza dell'Ufficio rapporti con il Parlamento della Farnesina.
  Non c'è dubbio che, data la centralità della crisi libica nell'economia della politica estera italiana, il suo contributo è assai atteso dalla Commissione e indubbiamente contribuirà in modo decisivo al completamento del nostro percorso di indagine.
  Proprio ieri, il Presidente Conte, nel rispondere a un question-time alla Camera, ha confermato il posizionamento italiano a sostegno del Governo di accordo nazionale di Tripoli come unica autorità legittima insieme all'opportunità di un'interlocuzione con il Generale Haftar e la Cirenaica nell'interesse di una soluzione pacifica e sostenibile.
  Il Presidente ha anche sottolineato che sul piano internazionale il Governo italiano è in costante contatto con tutti gli attori globali e tutti i principali partner per individuare soluzioni condivise.
  È importante anche il richiamo al ruolo del nostro Governo per l'adozione di posizioni comuni a livello europeo, come in occasione del Consiglio affari esteri dell'UE del 13 maggio e della condanna del bombardamento del centro migranti di Tajura del 5 luglio.
  Ciò premesso, l'attuale confronto militare in Libia sembra destinato a protrarsi. L'azione del Generale Haftar e della formazione da lui guidata, il Libyan National Army, iniziata il 4 aprile scorso, non ha sortito l'effetto sperato, ossia quello di una rapida presa di Tripoli, e non sembra in grado di portare risultati, almeno nell'immediato futuro, nonostante l'intensificarsi dei bombardamenti del LNA su Tripoli dall'inizio di luglio.
  L'avventurismo militare di Haftar non sembra essere stato gradito dai diversi interlocutori del Generale. Gli Stati Uniti, con la nomina di Norland ad Ambasciatore in Libia e il chiaro sostegno di quest'ultimo a un cessate il fuoco, sembrano allinearsi al percorso di mediazione voluto dalle Nazioni Unite. Il Governo russo, per bocca del Ministro degli esteri Lavrov, ha chiarito che intende dialogare con tutte le parti del conflitto. La stessa Francia, che pure è stata fondamentale per dare un ruolo politico ad Haftar a livello internazionale mettendo sullo stesso piano politico il Generale e il Governo di accordo nazionale di Al Sarraj, nelle ultime settimane sembra aver preso le distanze da Haftar.
  A conferma di questa rinnovata unità di intenti tra i principali players della crisi libica, segnalo che il 16 luglio scorso i Pag. 4Governi di Italia, Egitto, Francia, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta nella quale chiedono un'immediata de-escalation e l'interruzione degli attuali combattimenti e sollecitano la pronta ripresa del processo politico con la mediazione delle Nazioni Unite.
  La dichiarazione evidenzia anche come per la prima volta Egitto ed Emirati si siano associati all'obiettivo di ripresa del processo politico.
  Nella dichiarazione si ribadisce che non esiste una soluzione militare in Libia. La protratta violenza è costata circa 1.100 vite, ha causato più di 100 mila sfollati e alimentato una crescente emergenza umanitaria.
  Si conferma, inoltre, pieno sostegno all'azione svolta dal Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ghassan Salamé, volta a raggiungere la cessazione delle ostilità, stabilizzare la situazione a Tripoli, ristabilire la fiducia tra le parti e promuovere un dialogo inclusivo.
  Nella dichiarazione si enuncia l'obiettivo comune dei Governi che l'hanno sottoscritta di rinvigorire la mediazione delle Nazioni Unite volta a promuovere un Governo di transizione che rappresenti tutti i libici, prepari elezioni parlamentari e presidenziali credibili, consenta un'equa allocazione delle risorse e porti avanti la riunificazione della Banca centrale di Libia e delle altre istituzioni sovrane libiche.
  Si esortano, altresì, tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e rispettare i propri obblighi nel contribuire alla pace e stabilità della Libia, a prevenire destabilizzanti forniture di armamenti e a salvaguardare le risorse petrolifere libiche, in conformità con le numerose risoluzioni in materia approvate dal Consiglio di sicurezza, la n. 2259 del 2015, 2278 del 2016, 2362 del 2017 e 2473 del 2019.
  Infine, si richiamano tutte le parti e istituzioni libiche alle loro responsabilità di proteggere la popolazione civile, salvaguardare le infrastrutture civili e facilitare l'accesso agli aiuti umanitari.
  Colgo l'occasione per esprimere soddisfazione per il dissequestro del peschereccio italiano, che era stato sottoposto martedì a un fermo amministrativo da parte della Guardia costiera libica. Si tratta di un risultato molto positivo, che attesta la capacità di intervento immediato e coordinato dalla Presidenza del Consiglio, del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'Ambasciata italiana di Tripoli con il Governo di accordo nazionale di Tripoli e con le autorità locali di Misurata.
  Sono certa che l'Ambasciatore Buccino Grimaldi, che vanta un'esperienza di lungo corso rispetto allo scenario libico, saprà arricchire questo quadro e fornire alla Commissione preziosi elementi di orientamento e valutazione.
  Prima di dare la parola al nostro ospite, chiedo ai colleghi Cabras e Formentini, in qualità di relatori sull'indagine conoscitiva, se vogliono intervenire ora o se interverranno una volta che l'Ambasciatore avrà terminato il suo intervento.
  Brevemente, il collega Cabras.

  PINO CABRAS. Intervengo per dire che questo è forse uno degli incontri più importanti nell'ambito dell'indagine conoscitiva, perché la Libia, in questo momento, è il cuore di tutte le strategie mediterranee dell'Italia. Convergono tanti fattori di instabilità e di potenziale stabilizzazione, perché è un sistema di cerchi concentrici che non riguarda solo l'attuale rappresentanza ufficiale della Libia, ma un cerchio di organizzazioni che comunque guardano all'Italia e operano nello spazio libico, e più potenzialmente tutta l'area circostante, che converge per direttrici di migliaia di chilometri verso quell'area.
  Per noi, oggi, è molto importante chiarire quindi tanti elementi.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola all'Ambasciatore Buccino Grimaldi.

  GIUSEPPE BUCCINO GRIMALDI, Ambasciatore d'Italia in Libia. La ringrazio molto, presidente, per quest'opportunità che mi viene data. Procederò a una breve introduzione, per poi lasciare spazio alle domande Pag. 5 sui tanti argomenti relativi alla Libia e alla crisi umanitaria attuale.
  Quella che si è sviluppata in Libia a partire dal 4 aprile è una crisi in qualche modo in continuità con la crisi libica dal 2011 a oggi, ma contiene anche elementi di approfondimento. Mi spiego meglio.
  Subito dopo la rivoluzione del 2011, abbiamo avuto un anno, il 2012, con un Governo di unità nazionale in Libia che sembrava poter ridare forza e stabilità al Paese. Questo sogno si è progressivamente infranto, prima a Bengasi, con un aumento del terrorismo e con l'omicidio, l'11 settembre 2012, dell'Ambasciatore americano Chris Stevens, poi, progressivamente, con l'apparire di fratture e faglie all'interno della coalizione.
  Tutto questo ha portato a un contrasto, che è alla base anche filosofico, su come cioè debba essere la Libia del dopo rivoluzione, con quanti elementi di continuità e quanti di discontinuità con il passato regime.
  Non si è riusciti a risolvere tale dibattito, e la situazione è ulteriormente peggiorata con la guerra del 2014, comunemente ricordata come la guerra dell'aeroporto internazionale di Tripoli, che ha visto fronteggiarsi due correnti, incarnate poi sul terreno dalle milizie di Misurata da un lato e da quelle di Zintan dall'altro.
  Questo ha portato, poi, alla nascita di un Governo non riconosciuto dalla comunità internazionale a Tripoli, alla chiusura, per ultima tra le sedi europee ed occidentali, della nostra Ambasciata il 15 febbraio 2015, ma anche alla grande speranza nata con le trattative e con l'accordo Skhirat.
  Skhirat è stato un successo, ma solo parziale ed alcune delle caratteristiche che avevamo già notato nel 2014 si sono ripresentate. Questa volta, si sono ripresentate in una chiave che non è più soltanto interna, ma che è regionale, o addirittura, se consideriamo il coinvolgimento di altri attori al di fuori della regione, è una crisi internazionale.
  Vediamo fronteggiarsi due gruppi che rappresentano due visioni diverse dello stesso mondo sunnita, e questo ovviamente è un fattore di complicazione della crisi. Ed assistiamo ad una nota violazione dell'embargo e ad un aumento degli armamenti presenti in Libia.
  Vi sono stati dei momenti di speranza. Quando sono tornato a Tripoli il 1° febbraio, dopo il conflitto del settembre-ottobre 2018, che nasceva dalla necessità di ridurre il potere delle milizie, ho trovato una città che stava ripartendo, con l'attuale Ministro dell'interno, Bashaga, di Misurata, che stava svolgendo un certo ruolo di stabilizzazione all'interno della città e del Paese.
  Purtroppo, come sapete, sembrava di essere vicini all'accordo, sembrava che soprattutto nei rapporti tra il Generale Haftar e Misurata ci potesse essere molta fiducia, e si potesse andare quindi alla conclusione di un'intesa, ma poi qualcosa è successo. Non entrerò qui nel dettaglio di che cosa sia accaduto, perché ovviamente le versioni sono diverse e avremmo bisogno di un approfondimento troppo complesso per il tempo che abbiamo a disposizione, ma è indubbio che qualcosa che qualcosa sia successo e che il 4 aprile, giorno della visita del Segretario Generale delle Nazioni Unite a Tripoli, Haftar abbia attaccato Tripoli.
  Ha attaccato Tripoli probabilmente sulla base di una convinzione: che si trattasse di un'operazione di 24-48 ore e che alla fine le milizie di Tripoli si sarebbero schierate con lui così come la popolazione, prostrata dal minimo livello dei servizi pubblici e dalla a mancata ripresa del Paese dal 2011 a oggi, dal momento che l'economia, con l'eccezione del settore petrolifero, non è ancora ripartita.
  Le cose sono andate diversamente. Quella che doveva essere un'operazione, come ha detto qui il Ministro Moavero Milanesi, per stabilizzare il Paese e ridurre ulteriormente il terrorismo, è diventata invece un'operazione che ha complicato enormemente le cose. Ha addirittura favorito un'alleanza di ex nemici che, avendo un nemico comune, Haftar, si sono coalizzati contro di lui. Mi riferisco in particolare alle milizie che nella guerra del 2014 si erano combattute duramente tra loro. Pag. 6
  Tutto ciò ha portato a una situazione che è stata definita sostanzialmente di stallo.
  Le dichiarazioni del Generale Haftar degli ultimi giorni sono molto chiare. Ieri, c'è stata una sua lunga intervista, che serve soprattutto a mio avviso a motivare le proprie truppe. La grande maggioranza degli osservatori ritiene infatti che sia molto difficile una soluzione militare a questa crisi, e che quindi in realtà nessuna delle due parti possa, almeno nel breve termine e senza danni eccessivi per la capitale e per le infrastrutture, vincere.
  Lo stallo riporta l'attenzione sulla comunità internazionale, e in particolare su quello che la comunità internazionale e l'Italia possono cercare di ottenere.
  Noi sosteniamo con forza il Rappresentante Speciale del Segretario Generale Salamé, che il 15 aprile avrebbe tenuto la conferenza nazionale e che è poi inevitabilmente saltata. Adesso, lo sforzo negoziale è ripartito, e ovviamente è una strada in salita, perché i 1.110 morti, i feriti, gli sfollati – pur pochi per una guerra, perché questo è un conflitto a bassa intensità, ma comunque tantissimi per un Paese poco popolato – la Libia ha poco più di 6 milioni di abitanti – e poi vengono sempre da quelle cittadine che sono state protagoniste degli eventi dal 2011 a oggi. Il peso è, quindi, molto notevole sulle popolazioni locali.
  Tra i feriti, moltissimi sono gli amputati.
  Non dobbiamo pensare a una guerra napoleonica. Si tratta di una guerriglia, combattuta a turno da circa mille uomini alla periferia di Tripoli da una parte e dall'altra, con un centinaio di macchine e di tecniche che si fronteggiano. Poi, ovviamente, è ormai anche una guerra aerea, con i droni in possesso di entrambi i contendenti.
  È molto difficile riavvicinare le parti. Il Rappresentante Speciale del Segretario Generale cercherà di cogliere l'occasione della «festa del sacrificio», che cade il 12 agosto, per ottenere almeno una tregua che possa poi permettere di calmare un po’ gli animi e di favorire la ripresa di un dialogo politico che dovrebbe svilupparsi in occasione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in settembre.
  Già il 29 luglio, il Rappresentante Speciale parlerà in Consiglio di Sicurezza. In questi giorni, sta incontrando a Tripoli le autorità locali. Dovrebbe andare a breve da Haftar. I suoi piani sono stati un po’ rallentati dal fatto che le minacce di Haftar sulla capitale gli hanno impedito di far rientro a Tripoli secondo i piani, ma comunque l'incontro con Haftar dovrebbe avvenire a breve e sarà un incontro molto importante per capire se nella narrativa delle due parti apparirà qualche cambiamento.
  Da una parte, infatti, c'è la narrativa di Haftar: vincerò, è solo una questione di tempo, e come ho vinto a Bengasi e a Derna, vincerò anche a Tripoli, per debellare il terrorismo e dare stabilità alla capitale; dall'altra, c'è la narrativa del Governo, che invece dopo la caduta di Gharian pensa che sia possibile minare gli altri due avamposti del Generale Haftar, e quindi andare verso una vittoria, costringendolo al ritiro.
  Ribadisco che la maggior parte degli osservatori ritiene che in realtà una soluzione militare sia estremamente complessa.
  Siamo, quindi, in una fase delicata, tesa. Era stato chiuso l'impianto di Sharara, qualche giorno fa, fortunatamente ha riaperto. Sharara significa 300 mila barili di petrolio. La Libia oggi sta vivendo di petrolio e di gas, quindi tornare a poche centinaia di migliaia di barili di petrolio rispetto a 1,2-1,3 milioni di queste settimane e di questi mesi, sarebbe molto grave per le finanze libiche.
  Il quadro umanitario – e vado verso la conclusione – è estremamente complesso. Non si può parlare di una crisi umanitaria totale, perché la Libia resta comunque un Paese ricco e perché la comunità internazionale sta sostenendo il Paese, ma certamente vi sono delle criticità molto gravi. La prima riguarda gli sfollati e i feriti; l'altra, sullo stesso piano, riguarda i migranti.
  L'Italia sta organizzando un ulteriore resettlement, una rilocalizzazione di migranti per la fine di luglio. Nell'ultimo anno Pag. 7e mezzo, ha già effettuato 770 resettlement direttamente verso l'Italia.
  Ciò è molto importante: per i pochissimi altri interventi compiuti da altri Stati, è stata scelta una modalità indiretta, attraverso il Niger. Significa inviare delle squadre in Niger per gli accertamenti, sostenute da mediatori culturali. In realtà, questo lavoro Viene già fatto dall'UNHCR, quindi noi ci affidiamo totalmente all'UNHCR, con cui le relazioni sono eccellenti, e facciamo in modo che i migranti titolari di protezione internazionale da rilocalizzare in Italia possano partire direttamente.
  L'altra procedura attraverso il Niger è complessa, perché i ritardi inevitabili dovuti all'arrivo delle delegazioni, alle procedure necessarie, fanno sì che i centri si saturino e quindi il programma si rallenti.
  Vi è un'azione di tutta la comunità internazionale per ottenere la chiusura dei campi che sono sulla linea del fronte o accanto a obiettivi sensibili affinché non abbiano a ripetersi delle tragedie, come quella di Tajura. Il Governo libico sembra intenzionato a procedere lungo questa direzione.
  Qualcuno parla anche della chiusura di tutti i campi e di tutti i centri. Su questo punto vi è, però, una preoccupazione che si coglie in loco: il fatto è che noi stiamo parlando dei centri legali. Vi sono anche centri illegali. Chiudere i centri legali senza che il Governo abbia la possibilità, in questa fase difficile, di intervenire sui centri illegali, potrebbe peggiorare addirittura la situazione di migranti che finissero nei centri illegali.
  Inoltre, occorre potenziare le strutture già esistenti, per esempio la Gathering and Departure Facility (GDF), che serve alle Agenzie delle Nazioni Unite per radunare coloro che sono titolari di protezione internazionale che poi verranno portati in Italia, e speriamo anche in qualche altro Paese. Anche questo impone un attento lavoro preparatorio, per far sì che i risultati sul terreno siano effettivi.
  Io mi fermerei qui con l'introduzione. Ovviamente, ci sono tantissime questioni che andrebbero toccate, ma su questo mi rimetterei alle vostre domande. Grazie mille.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO FORMENTINI. Ringrazio l'Ambasciatore. So quanto è difficile il lavoro che sta facendo, lavoro che è di interesse per tutti noi, interesse nazionale, strategico. Sicuramente – l'abbiamo detto tante volte in queste audizioni dell'indagine conoscitiva – il Mediterraneo è la nostra priorità strategica, e in particolare ovviamente la Libia.
  Io chiederei all'ambasciatore che rischio c'è di un ritorno, con questa instabilità odierna, di terroristi tipo Daesh.

  LAURA BOLDRINI. Signor Ambasciatore, è un piacere incontrarla e ascoltare da Lei la valutazione sulla complicata situazione libica.
  Prendiamo atto del fatto che il quadro non sembra destinato a modificarsi in positivo. Lei ha parlato della tensione, del conflitto vero e proprio che si sta svolgendo, concentrato soprattutto nella periferia di Tripoli.
  Io vorrei farle qualche domanda un po’ più nel merito, in quanto non ho capito bene – ma questo sarà un mio limite sicuramente – il ruolo che l'Italia sta svolgendo in questa fase a livello di mediazione politica. Qual è il nostro ruolo in questo momento? Lei ha parlato di Salamé, ha detto quello che Salamé sta cercando di fare, ma come si sta sviluppando la nostra presenza in Libia in termini di negoziato?
  Noi siamo rimasti abbastanza spiazzati, come Paese, dall'offensiva di Haftar, e questo accadeva dopo la Conferenza di Palermo e alla vigilia della Conferenza del 15 aprile del Rappresentante Speciale Salamé. Adesso, Haftar ha annunciato l'offensiva finale. Che cosa si sta facendo? Che ruolo sta svolgendo l'Italia a livello bilaterale? Ha un ruolo riconosciuto a livello comunitario? È in posizione per poter agire anche per conto degli altri partners europei, in quanto comunque Paese esposto in questa vicenda?
  Quanto alle armi, Lei ha parlato di droni, e sappiamo bene che questi droni Pag. 8spesso fanno errori, ci sono casualties che non dovrebbero esserci. Io ho più volte chiesto al Governo, e non ho avuto risposta, sulle ricostruzioni, specialmente da parte di alcuni organi di stampa tedeschi, in base alle quali alcuni droni sarebbero partiti anche dalle basi italiane di Sigonella e avrebbero ucciso dei civili in Libia. Non so se Lei ha avuto sentore di questa circostanza e se può aiutarci a capire meglio.
  Quanto ai migranti, abbiamo visto come vengono trattati, signor Ambasciatore. Lo abbiamo visto attraverso i rapporti delle Nazioni Unite, al Consiglio di Sicurezza, attraverso servizi giornalistici. Siamo di fronte a trattamenti inumani e degradanti: vendita di esseri umani, riduzione in schiavitù, vendita ripetuta da parte di chi dovrebbe invece essere lì a garantire la presenza nei centri di detenzione, sia pur arbitrari. Queste persone vengono messe in detenzione, infatti, senza aver commesso alcun crimine, come Lei ben sa.
  È una forma di detenzione amministrativa arbitraria. Vengono detenuti in gran parte in centri che non garantiscono nessuna tutela della loro sicurezza. Spesso, da quei centri vengono venduti ad altri centri, lavorano in riduzione di schiavitù, sono costretti a chiedere riscatti alle famiglie per poter essere liberati. Queste sono tutte circostanze documentate.
  Allora, io mi chiedo: può l'Italia farsi capofila con la comunità internazionale per un'azione politica? Non si è mai visto che, in circostanze di bombardamenti, i migranti vengano lasciati chiusi a chiave dentro questi centri, totalmente sguarniti da chiunque sia lì a sorvegliare le persone – perché se ne sono andati per paura dei bombardamenti – e vengano ammazzati sotto le bombe!
  Io penso che un Paese che si dà un ruolo in una regione, anzi, in un altro Paese – è molto più circoscritto – dovrebbe prendere un'azione politica, e quantomeno far sentire la propria capacità di incidere. Se non in quest'ambito, in quale ambito?
  Lei ha detto bene, ci sono decine di migliaia di sfollati libici, ma queste sono le risultanti di anni, da dopo il 2011. Ci sono decine di migliaia di sfollati. La nostra preoccupazione va anche a loro, ma loro hanno la facoltà, come dice Lei, di far affidamento su un sistema che comunque funziona, di famiglie allargate e di comunità che intervengono. I migranti no.
  Penso che un'azione politica volta all'anello più fragile sarebbe da mettere in campo. Non so se ci siano i presupposti. Vorrei capire meglio da Lei il ruolo che l'Italia sta svolgendo oggi in quel Paese e se sulle armi, sulle violazioni dell'embargo Lei ha qualche evidenza in merito. Ha detto Lei stesso che c'è un utilizzo di armi che in teoria durante un embargo non ci dovrebbe essere. Ci può dare qualche elemento aggiuntivo in merito a questi punti?

  PINO CABRAS. L'Italia, come altri Paesi oggi coinvolti nella crisi libica, a mio avviso dovrà fare prima o poi un'autocritica per la «fase uno» di questo coinvolgimento nato dalla guerra del 2011, con tutti gli effetti disastrosi, di destabilizzazione che ci sono stati. Su questi fatti servirà un grande ripensamento. Noi ci troviamo forse in difficoltà create da noi stessi, come Occidente.
  Tuttavia, noto nei vari protagonisti della crisi libica, sia nel Governo legittimo, che ha la continuità storica dello Stato libico, sia nelle formazioni che si oppongono a questo Governo, un'attenzione sempre costante nei confronti dell'Italia come soggetto indispensabile.
  Quanti margini ci sono, allo stato attuale, per ricomporre un ruolo unitario dell'Italia nella situazione libica a dispetto dei contrasti che sembrano insanabili tra le varie fazioni?

  YANA CHIARA EHM. Anche da parte mia un ringraziamento per quest'audizione preziosa. Io ho alcune annotazioni e alcune domande.
  Quella che anzitutto salta l'occhio quando si parla della Libia è la questione di quello che succede a coloro che sono lì, ai connazionali libici e ai migranti. Non voglio fare un discorso generico, ma voglio proprio focalizzarmi su uno dei punti che ho letto nei giorni scorsi nel rapporto 2019 di Save the Children sui piccoli schiavi invisibili, che parlava del fatto che si è proprio Pag. 9creato un sistema di tratta in cui uno su quattro sono minorenni; per cui c'è la necessità impellente di riuscire ad approcciarsi a questo fenomeno in maniera molto costruttiva per riuscire anche a debellare certi fenomeni che riguardano per l'appunto anche le fasce più protette, cioè giovani e minori.
  Questo sicuramente è un punto sul quale dobbiamo provare a dar risposta, ovviamente anche grazie ai nostri partner che lavorano nel campo. L'UNHCR è stata citata precedentemente.
  Un altro punto è sicuramente la questione del rischio del terrorismo. Prima, ho sentito il collega Formentini parlare anche della questione forse di nuove sacche di Daesh, ma c'è anche la questione di un'evoluzione di varie tipologie di terrorismo. Abbiamo sentito stamattina dell'arresto di alcuni membri di Al Qaeda che erano stati in loco. Si parla di algerini, ma anche di libici stessi. Il rischio è che quest'instabilità possa effettivamente far nascere nuove formazioni sul campo.
  Sia per l'offensiva precedente sia per quella che Haftar sta in questi momenti di nuovo sbandierando come offensiva finale, la domanda riguarda anche quello che sarà nell'imminente futuro l'appoggio di forze internazionali. Detto in modo forse un po’ provocatorio, il rischio è che si crei una nuova Siria, un nuovo coinvolgimento ufficiale e non ufficiale.
  Se l'Italia vuole e deve avere un ruolo importante, è chiaro che questo deve avvenire all'unisono con tutti gli altri Stati europei. Se questo non avviene perché uno Stato fa in un certo modo e un altro Stato fa in modo diametralmente opposto, questo crea delle enormi difficoltà.
  Quanto alla questione porto sicuro, si è discusso infinitamente se la Libia sia un porto sicuro o meno. Personalmente, credo che, date le condizioni attuali di conflitto interno, che va dal conflitto civile al conflitto internazionale, la questione porto sicuro non si possa ritenere tale in questo momento, ma sarei molto grata della sua opinione più approfondita al riguardo.
  L'ultimo punto riguarda la questione del peschereccio risolta stamattina: vorrei capire un attimo che cosa era successo. Grazie.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie, Ambasciatore, per la sua presenza qui questa mattina, molto tempestiva. L'avevamo richiesta pochi giorni fa, e Lei è venuto subito.
  Ho due domande sul punto cruciale della sua audizione.
  Lei dice, sostanzialmente, che dal punto di vista militare, nonostante le continue dichiarazioni anche propagandistiche di poco fa di Haftar, non c'è una soluzione. L'unica soluzione è negoziale.
  In questo senso, per essere più efficaci come Paese è meglio che adottiamo una posizione di neutralità rispetto ai due contendenti o che continuiamo a seguire quella che era la posizione tradizionale dell'Italia fino a qualche mese fa, ovvero che continuiamo nel solco di un percorso previsto dalle Nazioni Unite? Qui in Commissione abbiamo dibattuto più volte su una posizione italiana non sempre chiarissima e lineare dal punto di vista politico.
  Il secondo punto riguarda gli altri attori, e in particolare gli attori del Consiglio di Sicurezza, e soprattutto Russia e Stati Uniti.
  Che partita stanno giocando, secondo Lei? Che tipo di interazioni ci sono con il nostro Paese rispetto alla possibilità di tornare a un tavolo negoziale? Abbiamo visto che nessuno ha chiesto una convocazione del Consiglio di sicurezza per portare la questione libica al centro. Credo che sia interessante.
  C'è, poi, il punto dell'Unione europea.
  Non c'è bisogno di dilungarsi su quanto sia e sia stata complicata nei mesi passati la nostra relazione con la Francia, ma qual è lo spazio per una posizione europea che aiuti a tornare a un tavolo negoziale, qualsiasi esso sia?

  IOLANDA DI STASIO. Grazie, Ambasciatore.
  La collega Quartapelle ha anticipato una parte della mia domanda. Sarei stata davvero telegrafica e avrei chiesto anch'io del ruolo degli altri attori in campo in Libia e quale sia attualmente anche il ruolo della Francia.

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  PAOLO FORMENTINI. Mi scuso, ma ho scordato un dettaglio proprio inerente alla data odierna.
  Oggi, sul Corriere della sera compare un pezzo sulla Guardia costiera di Tripoli. Cito testualmente per non sbagliare: «Sappiamo che sono in contatto con gli scafisti via web». Questo è riferito ai trafficanti di esseri umani, confermato peraltro dalle parole, sempre nell'articolo, dei migranti stessi: «Speravamo di essere raccolti da una ong».
  Che notizie abbiamo in merito?

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Sempre sui campi, è di qualche mese fa un'inchiesta delle Iene sulle ong italiane nei campi in Libia e su come siano non particolarmente efficaci i loro interventi: qual è la sua valutazione in questo senso? Mi sembra che Lei abbia espresso cautela rispetto all'ipotesi di chiudere i campi, altrimenti c'è un peggioramento della situazione, ma c'è una reale possibilità di migliorare la situazione in tali centri?

  PRESIDENTE. Do la parola all'Ambasciatore per la replica.

  GIUSEPPE BUCCINO GRIMALDI, Ambasciatore d'Italia in Libia. Grazie mille per tutte queste domande. Vado in ordine cronologico.
  Onorevole Formentini: prima questione, il rischio di un ritorno di Daesh. La guerra crea terrorismo. Certamente, la guerra non cura il terrorismo. Una delle critiche che viene fatta all'azione del Generale Haftar, non soltanto a ovest, è proprio questa: dopo le campagne di Misurata con il sostegno americano e della comunità internazionale occidentale per sradicare il terrorismo a Sirte, con 700 morti tra i giovani di Misurata, e dopo le campagne di Haftar a Bengasi e a Derna – su cui si potrebbe discutere, ma che hanno contribuito all'obiettivo di sradicare il terrorismo – è ovvio che questa situazione favorisca il riapparire di cellule che si erano disperse sul territorio.
  Soprattutto, a soffrire moltissimo è il sud, che avrebbe bisogno di un Governo forte che possa finanziare gli interventi di sviluppo. Quando questo non succede, il sud entra in sofferenza tra tutte le varie componenti arabe e non arabe, e quindi il sud diventa vittima di fenomeni terroristici.
  La risposta alla sua domanda è, quindi, certamente positiva. Fino a oggi, si erano ottenuti dei risultati importanti. Non appena le condizioni lo permetteranno, bisognerà riprendere quella strada, altrimenti rischiamo di avere nuovi attacchi anche a Tripoli.
  Non dimentichiamo che a Tripoli sono stati colpiti, nel giro di un anno e mezzo, la Commissione elettorale, la sede della NOC – la compagnia del petrolio – e, a Natale del 2018, il Ministero degli esteri. È ovvio, quindi, che questa preoccupazione c'è ed è importante.
  Per quanto riguarda l'articolo di Lorenzo Cremonesi sull'attività della Guardia costiera, essa sta operando. È ovvio che si tratta di operazioni di recupero di migranti. Siamo all'interno della SAR libica. Ovviamente, non si può parlare tecnicamente di un'operazione di pushing back, come quelle per cui siamo stati condannati dalla Corte europea di Strasburgo, dal momento che in quel caso c'erano equipaggi misti. Qui ci troviamo in operazioni all'interno della SAR libica. Si tratta di un argomento che affronterò appena passerò a rispondere alle domande della presidente Boldrini.
  Quanto alla questione migratoria, la mia prima osservazione è che, se tutti gli Stati avessero fatto quello che l'Italia sta facendo, cioè i resettlement diretti verso l'Italia – 770 più 104-105 che effettueremo a breve – i campi si svuoterebbero, o perlomeno vi sarebbe un turnover all'interno dei campi.
  Noi sappiamo che attualmente in Libia ci sono tra i 600 e i 700 mila migranti che lavorano all'interno dell'economia libica, certo non in condizioni straordinarie, ma comunque l'economia libica dava lavoro a 2 milioni di immigrati, con una forte presenza di centro e nordafricani, fino alla rivoluzione; ancora nel 2012, vi erano 1,5 milioni di migranti che lavoravano in Libia. Oggi, con le difficoltà dell'economia, siamo Pag. 11su 6-700 mila; di questi, l'1 per cento è nei centri.
  Se vi fosse un'azione di resettlement efficace, non soltanto da parte italiana, si potrebbe fornire un futuro migliore a tutti coloro che sono titolari di protezione internazionale, mentre gli altri potrebbero essere, come l'Organizzazione mondiale per le migrazioni (IOM) sta già facendo, ulteriormente riportati con forme di rimpatrio assistito verso i loro Paesi.
  Ora, è ovvio che occorre tener conto delle condizioni di questi centri. L'Italia sta svolgendo due azioni.
  La delegazione dell'Unione europea, su impulso italiano, ha istituito un gruppo di lavoro post-Tajura, che serve proprio per riunire tutte le organizzazioni internazionali e gli Stati interessati, per evitare che si ripetano tragedie quali quella di Tajura, facendo pressione sul Governo libico e ottenendo innanzitutto che i centri che si trovano in zone pericolose vengano immediatamente sgomberati.
  Dopodiché c'è la questione di che cosa fare per quanto riguarda i centri aperti.
  Nulla, perché non vogliamo assolutamente sporcarci le mani o pensiamo che una qualche forma di cooperazione vada portata avanti?
  Io credo che il realismo imponga di fare il possibile per cooperare all'interno di questi centri. L'Italia fa molto attraverso le Nazioni Unite. Fa anche parecchio con le proprie organizzazioni non governative. Vi sono stati interventi dell'IOM, dell'Unicef, dell'OMS; 8 milioni di euro sono stati stanziati per l'assistenza diretta ai fini del miglioramento delle condizioni di vita nei centri libici.
  Ho visitato alcuni centri, incluso quello di Tajura, e indubbiamente le condizioni sono quelle che conosciamo, molto difficili, soprattutto per quanto riguarda le donne e i bambini, che vivono anch'essi in hangar sovraffollati, senza riservatezza alcuna e senza spazi ludici e per l'apprendimento.
  Resta il fatto che quei centri possono essere migliorati: si può fornire un generatore per garantire elettricità e condizioni di vita diverse all'interno; si possono garantire interventi, anche di emergenza, per quanto riguarda la fornitura dei pasti, perché vi sono dei problemi con le società fornitrici che non vengono pagate o che sono considerate corrotte dal Governo, che quindi interrompe le relazioni. Qualcosa per migliorare l'esistente è stato fatto e può essere approfondito.
  È chiaro che è una goccia nel mare, ma per esempio l'apertura a Tripoli della Gathering Facility delle Agenzie dell'UNHCR, nata su impulso italiano, è importante, perché permette ai migranti titolari di protezione internazionale di essere radunati e preparati per il resettlement verso i Paesi che li accoglieranno.
  Per quanto riguarda la domanda su Sigonella, è competenza del Ministero della difesa, quindi non ho elementi e non entro su questo.
  Relativamente all'embargo, è abbastanza evidente che in Libia ci sono tante armi. Molte armi derivano dagli arsenali di Gheddafi, altre da violazioni dell'embargo stesso. Tutto ciò conduce al conflitto regionale che si sta sviluppando in Libia, un conflitto che diviene pericoloso nella misura in cui le forze che sostengono un campo o l'altro non vogliono che i propri partner vengano sconfitti, e quindi alzano il livello del sostegno. Occorre assolutamente bloccare tale processo se si vuole evitare che la situazione possa ulteriormente peggiorare.
  Che cosa fa l'Italia in questa vicenda?
  Innanzitutto, l'Italia sostiene il Governo legittimo ed ha significativamente deciso di mantenere pienamente operativa l'Ambasciata a Tripoli, nonché l'ospedale da campo di Misurata, con i militari a protezione dell'ospedale stesso, e non – come si legge sui siti libici – per fare chissà che cosa. Questo è già un segnale molto chiaro.
  Trovo meno incoraggiante invece il segnale dato da coloro – praticamente tutti, tranne UNSMIL (United Nations Support Mission in Libya), la Turchia, e poche altre ambasciate africane e asiatiche – che sono riparati a Tunisi. In questo modo, infatti, si favorisce l'avverarsi di una profezia negativa, cioè che a Tripoli si svilupperà una guerra senza quartiere, strada per strada, e che bisogna andar via. Pag. 12
  Il Governo libico tiene moltissimo alla presenza delle ambasciate rimaste, a partire dall'Ambasciata italiana. Noi, tra l'altro, non abbiamo mai cambiato la nostra localizzazione, non siamo in un bunker, siamo nella nostra bella Ambasciata sul mare. Ovviamente, il personale è protetto, vive tra l'albergo e l'Ambasciata, però non abbiamo voluto cambiare, innanzitutto perché bisogna poi effettivamente riflettere se una protezione diversa garantisca un risultato migliore. A vivere in un bunker, comunque poi ti devi ogni tanto spostare e puoi essere colpito in quella circostanza. Cerchiamo anche di dare un segnale di normalità.
  Il fatto che continuiamo a elargire borse di studio, continuiamo a sostenere i giovani libici, continuiamo a rilasciare i visti, unica Ambasciata occidentale a Tripoli – le altre lo fanno da Tunisi, con tutte le difficoltà del caso – tutti questi sono segnali importanti per il Governo e per il popolo libico.
  Sul piano internazionale l'Italia cerca di mantenere alta la pressione.
  L'Unione europea è una condizione necessaria ma non sufficiente. Mi spiego meglio. L'unità dell'Unione europea è fondamentale. Ovviamente, nel quadro geopolitico attuale l'Unione europea può molto, ma non può tutto, perché ci sono tanti interessi, ideologici o anche di altro genere, che convergono sulla Libia.
  Il fatto che la Francia il 13 maggio scorso abbia aderito alla dichiarazione dell'Unione europea – senza frapporre come in passato difficoltà rispetto a dichiarazioni dell'Unione europea che facessero il punto su quanto accaduto e su quanto si dovesse fare per superare gli eventi – è importante. L'unità dell'Europa, lo ripeto, è una condizione necessaria ma non sufficiente.
  Dopodiché voi mi direte: sì, ma guardiamo la realtà, guardiamo i missili che sono stati trovati, guardiamo le risposte che sono state ritenute non sufficienti da parte libica.
  È vero, però io vi riporto il commento informale del Governo libico: «effettivamente, queste risposte sono incomplete, ma noi non abbiamo interesse ad essere troppo all'attacco su questo, perché in realtà abbiamo visto che la posizione francese sta evolvendo verso il sostegno al Governo legittimo».
  Poi è chiaro che il quadro è complesso, vi è uno scontro all'interno del mondo sunnita, vi è negli Stati Uniti una difficoltà di addivenire a una posizione. La famosa telefonata del Presidente americano con il Generale Haftar – se ne è molto parlato – certamente può essere letta in vari modi, ma a Tripoli ha suscitato diversa emozione. Vi è un'azione russa che va interpretata e che negli ultimi tempi sembra rivolgersi anche verso il Governo legittimo.
  Certamente, il quadro internazionale è complesso, e per questo motivo l'azione deve essere imperniata su contatti continui a livello di Unione europea, contatti continui con i principali partner – quindi il «P3+3» citato dalla presidente – contatti continui con protagonisti come il Qatar e la Turchia, ovviamente contatti con Washington – prioritari – per cercare attraverso tutto questo di conferire ancora maggiore forza al Rappresentante Speciale del Segretario Generale.
  Quando dico che una soluzione militare non è possibile, dico una frase un po’ banale. In realtà, voglio dire che una soluzione militare non è possibile al netto della distruzione di Tripoli. È chiaro che se poi la guerra dovesse andare avanti e dovesse trasformarsi in un conflitto sempre più complesso, con interventi diretti dall'esterno, a quel punto ci sarebbero dei rischi molto forti; ma questo è uno scenario che bisogna scongiurare proprio favorendo una maggiore coesione nella comunità internazionale e favorendo gli sforzi del Rappresentante Speciale, che possono portare a qualche risultato, forse non nel brevissimo termine. Si inizia a notare, infatti, una certa stanchezza.
  Anche a proposito di quest'ultima azione del Generale Haftar, le voci che arrivano da varie parti dicono: bene, se entro tre, quattro, cinque giorni, entra a Tripoli, è un conto; se, invece, non riesce, occorrerà fare una riflessione.
  Ciò è abbastanza evidente, così come è abbastanza evidente che vi è stata qualche difficoltà all'interno della catena di comando Pag. 13 a est, vi è stato il rapimento della parlamentare Siham Sergewa, che ha scioccato la comunità internazionale e ha ricordato un po’ quello che era accaduto con Salwa Bughaighis nel 2014, in occasione delle elezioni, ma quello fu un attacco fatto da terroristi. Quest'attacco ovviamente ha suscitato grossa emozione. Il marito è gravemente ferito, lei non si sa dove sia.
  Questa parlamentare, per intenderci, è una donna di grande cultura, di grande fascino, che viveva a Bengasi, ma continuava a venire a Tripoli. Perché? Perché lei voleva mantenere aperte le porte del dialogo, perché pensava che questa guerra non avrebbe portato a nulla e che a un certo punto sarebbe stato necessario riannodare il dialogo. In una trasmissione televisiva ha espresso delle critiche e subito dopo vi è stato il rapimento. Non possiamo giungere fin da ora a conclusioni, occorre esaminare in profondità quello che è successo, comprenderlo in tutta la sua portata. Questo ha scioccato l'opinione pubblica in Libia.
  Per quanto riguarda la questione del porto sicuro, il Ministro Moavero è stato molto chiaro sul punto, quindi credo che la risposta sia già stata data.
  Relativamente alla questione dei pescherecci, è una questione minore a paragone della crisi libica, ma che in qualche modo interessa una filiera importante quale quella della pesca siciliana.
  In occasione del mio primo mandato in Libia, nella prima telefonata che ricevetti dal presidente del consorzio di Mazara del Vallo – poi purtroppo morto d'infarto – Giovanni Tumbiolo, un uomo particolarmente brillante, mi disse: «Ambasciatore, ma è mai possibile che voi non ci aiutiate mai? All'epoca di Berlusconi, ci sparavate contro». Si riferiva al fatto che c'erano gli equipaggi congiunti italo-libici sulle motovedette che intervenivano in mare. «Oggi bloccano i pescherecci e voi non fate nulla».
  In realtà, Tumbiolo era una persona molto attiva, usava questo tipo di tattica per suscitare attenzione. I pescatori sono sempre stati aiutati. Vi è però un problema.
  Il problema è che noi non abbiamo riconosciuto due decisioni che hanno assunto i libici: la chiusura del Golfo della Sirte con la linea orizzontale; e l'area di protezione della pesca libica di 74 miglia. In Libia vi è ancora tantissimo pesce ed i pescatori tendono ad andare in Libia dicendo: ma noi siamo in acque internazionali.
  Ora, sono acque internazionali per noi, ma per i libici no. Se andate a guardarla da un punto di vista del diritto internazionale, la questione è un po’ complessa. Certamente, non abbiamo mai riconosciuto la chiusura del Golfo della Sirte, e quindi da questo punto di vista nulla quaestio, ma allo stesso tempo la protezione delle risorse ittiche rileva sul piano del diritto internazionale. Vi sono, quindi, due posizioni diverse.
  La posizione del Governo è stata quella, in questa fase così turbolenta della Libia, di dire ai pescherecci: non andate a pescare in quelle aree, perché è troppo pericoloso. Quello che è accaduto ieri, ovviamente, suscita qualche imbarazzo. Che cos'è, infatti, Misurata? È un nostro importante alleato. Qualunque sia il futuro della Libia, Misurata giocherà un ruolo molto importante e quindi per noi è rappresenta una contro-assicurazione.
  Misurata voleva evitare che la cosa diventasse sequestro, arresto e così via; i pescatori giustamente sono preoccupati del fatto di dover consegnare il pescato, e lì parliamo del gambero rosso, pregiatissimo, di cose che nei nostri mari non si trovano più, pesci San Pietro di grandissima taglia e così via.
  Fortunatamente, la questione è stata risolta, ma dovrà essere affrontata sul piano generale non appena la Libia sarà stabilizzata. Bisognerà riunire un tavolo e parlarsi, per evitare che questi incidenti possano continuare a verificarsi.
  Onorevole Quartapelle: l'Italia non è neutrale, l'Italia sostiene il Governo riconosciuto dalle Nazioni Unite e mantiene le sue strutture operative, cosa che ovviamente non piace all'altra parte.
  Dopodiché, ovviamente, rispettiamo la Costituzione e le leggi, e quindi ci comportiamo nel pieno rispetto di tutto questo, ma l'Italia sostiene il Governo legittimo. Pag. 14
  È chiaro che un accordo dovrebbe tener conto anche del portato legato all'altra parte. Questo dovrebbe poi svilupparsi, quando ve ne saranno le condizioni, con la riunificazione dei due Governi e delle due banche centrali.
  La situazione che si è creata in Libia è peculiare: sostanzialmente, abbiamo un Governo riconosciuto e uno non riconosciuto; abbiamo un Parlamento che esiste ancora e sta a Tobruk, dopo gli eventi del 2014, ma è un Parlamento ormai diviso, perché non riesce ad esprimere il quorum a Bengasi; alcuni membri si sono allontanati e si riuniscono a Tripoli, ma neanche loro hanno un quorum. Sostanzialmente, anche il Parlamento ha delle difficoltà.
  Poi abbiamo la separazione, la duplicazione delle principali istituzioni. Fortunatamente, ciò non ha riguardato la NOC (la compagnia del petrolio continua a essere sostanzialmente una), ma riguarda la LIA, Libyan Investment Authority, ma soprattutto la Banca centrale, perché ci sono due banche centrali, la Banca centrale legittima e la Banca centrale dell'est.
  Si parla molto, perché sulla Banca centrale legittima la parte dell'est dice: attenzione, perché questa banca in realtà finanzia le milizie in maniera massiccia, finanzia poco lo sviluppo. I dati, d'altra parte, sono abbastanza interessanti, perché la gran parte dei fondi viene utilizzata per gli stipendi e per i sussidi. Sapete che in Libia la benzina è quasi gratuita, anche l'energia elettrica è praticamente quasi gratuita, e questo pesa molto sul bilancio dello Stato.
  Dall'altra parte, la Banca dell'est, come sapete, ha stampato dinari in Russia, è intervenuta con dei bond sottoscritti dalle banche locali, quindi la situazione complessiva è molto difficile.
  Le Nazioni Unite e gli americani, che hanno un po’ la leadership sull'aspetto economico, stanno cercando in tutti i modi di avvicinare le parti, ma non è facile. Sarebbe molto meglio che questo avvenisse all'interno di una prospettiva politica di riunificazione. È, però, qualcosa che dovrà essere fatto, perché il quadro finanziario inizia a diventare alquanto complesso.
  Per quanto riguarda, poi, le questioni relative all'Unione europea, penso di aver già risposto.
  Relativamente al Consiglio di Sicurezza, è composto dai suoi membri. Fino a oggi, non è stato particolarmente incisivo. Adesso, vediamo quello che sarà il rapporto di Salamé il 29 luglio, attendiamo soprattutto come andrà l'incontro tra Salamé e Haftar nei prossimi giorni. Vediamo, poi, se si riuscirà ad ottenere questa tregua umanitaria per la «festa del sacrificio» ad agosto. E vediamo poi se vi potrà essere qualche iniziativa delle Nazioni Unite in vista dell'Assemblea Generale di settembre, col forte sostegno italiano, per ravvicinare le parti.
  Delle possibilità ci sono. Certamente, la strada è difficile.
  Non so se ho risposto a tutto. Nel caso, sono pronto a intervenire ulteriormente.

  MIRELLA EMILIOZZI. Grazie, Ambasciatore. Ho ascoltato attentamente. Vorrei, se fosse possibile, che Lei ci dicesse qualcosa in più sul ruolo della Francia. Lei ci ha detto che cosa i libici pensano che i francesi stiano facendo. Una sua opinione ci interesserebbe.

  LORENZO VIVIANI. Sarò velocissimo. Sono un intruso dalla Commissione agricoltura.
  Vorrei solo fare i complimenti all'Ambasciatore, dato che avete parlato del problema del peschereccio, per il modo e per la velocità con cui è stata risolta la problematica, e anche per la preparazione. Come dice Lei giustamente, c'è questo problema di zona di protezione pesca che non è mai stata condivisa, è stata istituita dalla Libia in maniera unilaterale. Sicuramente, in un futuro prossimo bisognerà trovare la quadra, anche perché i rapporti tra Unione europea e Stati terzi vanno decisi in sede europea, quindi sarà dura che sia la nostra voce a essere forte a livello europeo per riuscire a trovare una quadra con i Paesi terzi per gli accordi sulla pesca.
  Peraltro, si tratta di accordi fondamentali. Ricordo, infatti, anche a questa Commissione – è un tema che affrontiamo sempre in Commissione agricoltura – che Pag. 15quei mari negli ultimi cinquant'anni sono stati sfruttati sempre dai nostri pescatori. Queste 70 miglia sono veramente distanze che in mare si sentono. È una zona caratteristica proprio per i fondali e per la pesca del gambero rosso.

  GIUSEPPE BUCCINO GRIMALDI, Ambasciatore d'Italia in Libia. Ritorno un attimo sulla questione del bilancio pubblico.
  All'interno del miglioramento delle condizioni che si stavano sviluppando in Libia da ottobre 2018 vi era anche un intervento sull'economia. Innanzitutto, si trattava di intervenire sul tasso di cambio.
  Nei momenti peggiori del 2014 – la «guerra dell'aeroporto» – per avere un euro ci volevano 2,2 dinari, poi negli anni seguenti il tasso di cambio è salito a 10 dinari per un euro. Questo creava degli enormi problemi, anche perché permetteva di giocare con le lettere di credito e di incamerare della valuta che poi veniva cambiata in nero, creando delle posizioni economiche a detrimento della popolazione e a vantaggio di singoli.
  Una delle manovre che sono state effettuate è quella di introdurre una tassa sul cambio, in maniera che oggi il cambio è più vicino alla realtà, intorno a 4,4. Ciò ha migliorato la situazione economica ed evitato che vi potessero essere ulteriori casi di frode.
  Potreste chiedermi: perché non hanno semplicemente modificato il tasso di cambio?
  Per modificare il tasso di cambio, ci vuole una riunione del board della Banca centrale, che con la divisione della Banca è impossibile. Si è dovuto ricorrere, quindi, ad una manovra.
  L'altra cosa fondamentale per evitare il contrabbando di benzina era quella di alzarne il prezzo. Purtroppo, su questo il Governo non è stato ancora in grado di procedere. Oggi, la benzina è praticamente gratuita. Costa intorno alle vecchie 60 lire italiane al litro. Questo fa sì che vengano riempiti i camion e poi la benzina venga venduta laddove, come in Tunisia, il prezzo è quasi europeo.
  Il sistema era molto semplice: si poteva o alzare il prezzo della benzina dando delle allocazioni familiari o stabilire un sistema elettronico, più complesso ma fattibile, per cui ho diritto fino a un certo ammontare di litri e oltre quelli pago il prezzo pieno.
  Purtroppo, questo non è stato fatto. Come dicevo prima, i sussidi coprono il 19,9 per cento del bilancio e gli stipendi pubblici il 55,2. Sono cifre altissime che dovranno essere ridotte per favorire una ripresa dell'economia libica.
  Per quanto riguarda la posizione francese, probabilmente molto nasce dal fatto che la Francia ha puntato sul Generale Haftar come paladino della lotta al terrorismo per quello che è avvenuto ad est, dove il terrorismo è stato combattuto. Da fonti aperte, sappiamo che ci sono dei francesi che appunto sono morti in operazioni ad est.
  La Francia si è poi probabilmente convinta della narrativa che viene dall'Egitto e dagli Emirati, e cioè che in Libia sia possibile una soluzione imperniata sul Generale Haftar, quindi una forma di Governo che permetta maggiore stabilità.
  Questa è una valutazione comprensibile, ma si potrebbe anche sostenere qualcosa di diverso, ovvero che i quarant'anni di dittatura di Gheddafi hanno completamente destrutturato lo Stato libico: quindi in Libia non vi sono istituzioni forti, non vi era un esercito forte, perché Gheddafi temeva che l'Esercito potesse attuare un colpo di Stato. Pensare di istituire un sistema basato su queste strutture si scontra, quindi, con il fatto che la Libia è destrutturata e i centri di potere sono molteplici.
  Probabilmente, quindi, dopo il confronto con la realtà e il mancato raggiungimento degli obiettivi in forma quasi pacifica che il Generale Haftar si era proposto, questo ha portato ad una diversa valutazione, certamente da parte francese. Ci sono dei segnali di movimento anche da parte emiratina, non direi così da parte egiziana, ma se gli egiziani cambiassero atteggiamento nel breve-medio termine, questo potrebbe avere un impatto molto positivo sulla crisi libica.
  È una questione di valutazione e di risposta della realtà che ha portato ovviamente Pag. 16 a ulteriori valutazioni, questa volta nel segno del sostegno al Governo legittimo.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente l'Ambasciatore per averci aggiornato su quello che sta accadendo in Libia e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.25.