XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Giovedì 11 luglio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Cabras Pino (M5S)  ... 4 
Formentini Paolo , Presidente ... 4 
Jean Carlo , Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica ... 4 
Formentini Paolo , Presidente ... 9 
Valentini Valentino (FI)  ... 9 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Jean Carlo , Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Jean Carlo , Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica, Carlo Jean ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 9.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sul canale della web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica, Carlo Jean.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, del Generale di corpo d'armata Carlo Jean, presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica.
  Saluto e ringrazio il Generale Carlo Jean per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  Dal 1988 al 1990 il Generale Carlo Jean è stato Direttore del Centro Militare di Studi Strategici, mentre dal 1994 al 1997 ha presieduto il Centro Alti Studi per la Difesa, il massimo organo di formazione degli ufficiali delle Forze armate italiane, nonché il centro di maggior prestigio in Italia per quanto riguarda gli studi di sicurezza e difesa.
  Inoltre, dal 1° ottobre 1997 al 6 aprile 2001, il Generale Carlo Jean è stato Rappresentante personale del Presidente in esercizio dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa per l'attuazione degli accordi di pace di Dayton in Bosnia-Erzegovina, Croazia e Repubblica Federale di Jugoslavia.
  Oltre a presiedere il Centro Studi di Geopolitica Economica, è stato docente di studi strategici presso l'università LUISS «Guido Carli», nonché membro dei comitati scientifici dell'Enciclopedia Treccani, di Liberal Risk e di Limes.
  In un recente editoriale, pubblicato su Il Sole 24 Ore, il Generale Jean ha sottolineato che l'Unione europea «sembra sempre più rassegnata a svolgere un ruolo di secondo piano nel nuovo ordine mondiale», benché «la fine dell'ordine liberale internazionale, la crisi del sistema euroatlantico e del multilateralismo, la conflittualità in Medio Oriente, in Ucraina e in Africa e il ritorno della politica di potenza, soprattutto nel sistema indo-pacifico, avrebbero dovuto risvegliare l'Europa dal proprio confortevole torpore».
  Ad avviso del Generale, alla crisi politico-strategica dell'Europa concorrono vari fattori esterni: l’«America First» di Trump e i dubbi sollevati sull'affidabilità della protezione USA; la percezione di un relativo disimpegno americano dalla NATO, unita alla Brexit; il progressivo disimpegno degli Stati Uniti dal Medio Oriente; le tensioni con la Turchia di Erdogan; la maggiore aggressività della Russia di Putin.
  Tra i fattori più significativi, segnala anche l'aumento della conflittualità nelle immediate periferie orientali e meridionali europee, ovvero nella regione mediterranea, che costituisce il fulcro dell'indagine conoscitiva che stiamo svolgendo.
  Pertanto, alla luce della sua lunga esperienza nel settore strategico-militare e della sua ampia e documentata conoscenza dei principali scenari geopolitici globali, il Generale Carlo Jean potrà offrire un contributo molto significativo ai nostri lavori. Pag. 4
  Prima di dare la parola al nostro ospite, chiedo al collega Cabras, nella qualità di relatore sull'indagine conoscitiva, se desidera svolgere qualche considerazione introduttiva.

  PINO CABRAS. La figura di Carlo Jean credo sia essenziale per un lavoro di questo tipo, mirato a centrare l'attenzione della Commissione sulle grandi questioni mediterranee, che sono il palco naturale della politica italiana. Richiede una visione ad ampio raggio. Ho avuto modo di scorrere rapidamente la presentazione preparata dal Generale e credo che avremo ampia soddisfazione per questo tipo di sguardo.

  PRESIDENTE. Sono lieto di dare la parola al Generale Jean, affinché svolga il suo intervento.

  CARLO JEAN, Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica. Innanzitutto vorrei ringraziarvi per avermi invitato e vorrei dire quanto il lavoro delle Commissioni Affari esteri della Camera e del Senato sia apprezzato e assolutamente indispensabile anche per sensibilizzare l'opinione pubblica italiana sui problemi della politica estera, che di solito è abbastanza ignorata, anche se il nostro è un Paese a economia export-led e dipendiamo sempre più dagli equilibri internazionali, che non siamo in condizione di determinare, in quanto le nostre capacità anche politiche e istituzionali, oltre che materiali, sono tali che nessuno Stato sia in condizione di influire in maniera determinante sugli orientamenti della politica estera, a cui dobbiamo, invece, adattarci di volta in volta.
  Cercherò di non rubare il vostro tempo e non dirvi cose che sicuramente avete già sentito nel corso della vostra indagine conoscitiva, ovverosia generalità sul Mediterraneo, sulla geopolitica del Mediterraneo in sé stesso e inserita nella geopolitica regionale o mondiale, in modo tale da lasciare più spazio ai quesiti, che sono quelli che interessano maggiormente e che, molto verosimilmente, sono quelli a cui posso dare un contributo, per quanto è nelle mie possibilità.
  Noi parliamo di Mediterraneo come regione geopolitica, ma in realtà il Mediterraneo non è una regione geopolitica ben definita. Lo è stato solamente ai tempi di Filippo II, all'epoca della prima grande globalizzazione, che è stata la globalizzazione geografica, in cui la centralità del Mediterraneo è stata perduta e il centro del mondo si è spostato dal Mediterraneo all'Atlantico, così come adesso si sta spostando dall'Atlantico al sistema indo-pacifico, sempre più integrato, in cui c'è la concentrazione della ricchezza mondiale, ma anche delle crisi politiche nell'ambito dei confronti geopolitici mondiali.
  Il Mediterraneo non può essere esaminato a sé stante, in quanto non ha un'identità a sé stante. Ci sono diverse influenze esterne, sia regionali sia globali, che determinano la situazione del Mediterraneo. Regionali, per esempio, da parte della Turchia, che è un Paese mediterraneo, non è arabo, e sta influendo fortemente sugli equilibri all'interno del mondo arabo.
  Nel Mediterraneo si svolge un confronto molto differente da quello che esiste in Medio Oriente, nel Golfo, dove ci sono sunniti e sciiti in contrapposizione tra di loro: si tratta del confronto tra diverse sette sunnite, in particolare tra la Fratellanza musulmana e i salafiti. I salafiti sono sostenuti da Arabia Saudita, Emirati Arabi e via elencando; la Fratellanza musulmana è sostenuta dal Qatar nel mondo arabo, ma fortemente anche dalla Turchia, ed è stata praticamente eliminata dall'Egitto, a seguito della controrivoluzione effettuata nel 1993, con la defenestrazione di Mohamed Morsi, il capo della Fratellanza musulmana che aveva preso il potere.
  C'è un elemento nuovo nel Mediterraneo: la presenza cinese. Essa è una presenza di carattere soprattutto economico, ma attualmente è una presenza in cui la Cina sta prolungando nel Mediterraneo quella che è la «Belt and Road Initiative», una specie di programma gigantesco di unificazione dell'Eurasia. Ebbene, attraverso il Mediterraneo, la Cina cerca di penetrare in Europa orientale, mentre nell'Europa balcanica è già penetrata, come dimostrano i forti investimenti cinesi nel Pag. 5porto del Pireo, la costruzione della ferrovia ad alta velocità tra il Pireo e Belgrado e la costruzione, che attualmente è discussa dall'Unione europea, della ferrovia tra Belgrado e Budapest.
  Una cosa abbastanza interessante è il fatto che la Cina sta circondando la Russia, non solamente a est, penetrando in Asia centrale, ma anche a ovest, con il cosiddetto accordo «16+1», che raccoglie intorno alla Cina i Paesi dell'Europa centrorientale e i Paesi dell'Europa balcanica. Di particolare interesse per l'Italia è il fatto che la Cina sta considerando anche il potenziamento del Corridoio VIII, quello che va dall'Albania fino alla Bulgaria, e la ferrovia tra il porto di Bar e Belgrado. Questo è un collegamento che sicuramente influirà non tanto sull'economia italiana nel complesso quanto sull'economia di talune regioni italiane.
  L'Italia nel Mediterraneo. Del Mediterraneo vi sono sempre state due visioni contrapposte tra di loro. La prima, il Mediterraneo come mare nostrum, un po’ un ricordo dell'Impero romano o dell'unificazione del Mediterraneo delle Repubbliche marinare, del Mediterraneo – come era stato descritto da Fernand Braudel – al tempo di Filippo II, cioè della prima grande globalizzazione geografica, con spostamento dal Mediterraneo all'Atlantico, a cui prima ho accennato. La seconda, il mare clausum, dovuto soprattutto, con l'espansione dell'islam nella sponda sud del Mediterraneo, alla contrapposizione tra islam e cristianità.
  Bisanzio ha seguito questa politica del Mediterraneo come elemento di frattura, di separazione, di difesa, mentre la politica sia italiana sia francese è stata una politica di considerare la sponda nord e la sponda sud strettamente collegate. Questo collegamento è diventato più forte per alcuni fenomeni molto rilevanti che si stanno verificando in questo periodo, come le migrazioni, il terrorismo e il fatto che la nuova rivoluzione industriale, che provocherà lo sviluppo, entro qualche decennio, di auto elettriche e così via, richiede grandi quantità di litio e di cobalto, che non si trovano in Europa, ma che bisogna andare a cercare in Africa.
  Attualmente l'importanza dell'Africa e del Mediterraneo per l'economia italiana ed europea sono del tutto marginali. Possono diventare più importanti soprattutto in funzione delle migrazioni, su cui mi soffermerò in seguito.
  La posizione italiana nel Mediterraneo è stata determinata dalla duplice geografia italiana, continentale e mediterranea, da come è stato fatto il Risorgimento, vale a dire l'unificazione italiana, che è stata un'iniziativa di una minoranza illuminata, ma molto ridotta, contro i poteri costituiti e l'influsso della Chiesa cattolica in Italia, che era evidentemente opposta a uno Stato unitario, che diminuiva i privilegi di cui allora godevano gli Stati della Chiesa, e non solamente essi, ma anche le correnti clericali nei vari staterelli italiani, in particolare in Piemonte.
  L'unificazione italiana ha comportato il fatto che chi ha preso l'iniziativa dell'unificazione doveva giustificare l'unificazione e il peso che l'unificazione ha portato, soprattutto per l'assorbimento di risorse nella politica di potenza che è stata perseguita dall'allora Governo italiano; politica di potenza per cui l'Italia, la più piccola fra le grandi nazioni europee e la più grande tra le piccole, ha cercato di essere nel club delle grandi nazioni europee. Essendo una grande nazione europea con questa duplice posizione geopolitica, continentale e mediterranea, l'Italia ha sempre avuto bisogno di due alleati a seguito dell'unificazione: la Germania sul continente e la Gran Bretagna nel Mediterraneo. Finché Gran Bretagna e Germania sono andate d'accordo – fino alla fine dell'Ottocento – non vi è stato alcun problema. Quando, invece, lo sviluppo tecnologico, industriale, commerciale e navale della Germania l'ha portata in rotta di collisione con la Gran Bretagna, l'Italia ha dovuto scegliere. Ha scelto bene nella prima guerra mondiale, e si è trovata dalla parte del vincitore, ha scelto male nella seconda ed è stata distrutta, invasa, divisa eccetera.
  Il periodo d'oro della geopolitica italiana in un certo senso è stata la guerra Pag. 6fredda, e questo per un complesso di motivi. Il primo motivo è stato il fatto che la potenza dominante nel Mediterraneo erano gli Stati Uniti, la potenza dominante in Europa erano sempre gli Stati Uniti, quindi noi dovevamo scegliere. Anche se è ingiusto dire che l'Italia sia stata la Bulgaria della NATO, tutto sommato l'Italia praticamente si allineava su quelle che erano le principali direttive date da Washington, che aveva costituito proprio l'elemento fondamentale non solamente per la ripresa economica italiana dalle distruzioni, ma anche per la sicurezza e la stabilità interna italiana.
  A questo si sono aggiunte determinate rendite di posizioni. Per esempio, una rendita di posizione che generalmente è trascurata – sicuramente non dalle fonti americane, per esempio il Council on Foreign Relations, che ha esaminato a fondo la questione – è stata la presenza del Partito comunista più forte dell'Europa occidentale. Tale presenza è sempre stata vista come una potenziale minaccia da parte degli Stati Uniti, soprattutto nella parte iniziale della guerra fredda, e quindi ha permesso all'Italia di fare i propri comodi, con il massimo dell'impunità, senza suscitare reazioni da parte degli Stati Uniti.
  Apro e chiudo una breve parentesi a tal riguardo. Questa situazione ha consentito alla parte più illuminata anche del mondo accademico americano – quello più legato alla materia delle relazioni internazionali – di fare in modo tale da avvicinare il più possibile il Partito comunista a quello che era l'Occidente, fatto che è riuscito ottimamente e che ha avuto il suo culmine nel 1976 con la dichiarazione di Berlinguer che la NATO costituiva l'elemento fondamentale per la sicurezza e lo sviluppo dell'Europa. Ciò ha permesso all'Italia di avere le relazioni tradizionali che, per esempio, Venezia e Milano avevano con la Russia e ha consentito all'Italia di avere con la Russia rapporti del tutto particolari, tanto che l'Italia è stata per lungo tempo la seconda potenza commerciale con la Russia, con l'ENI presente in Russia sin dalla fine degli anni Cinquanta. Giovanni Gronchi aveva addirittura ipotizzato di fare una specie di mediazione tra l'Occidente e la Russia, con un avvicinamento alla Russia. Negli anni Cinquanta, l'ENI ha cominciato a importare il petrolio dalla Russia e la FIAT, con Togliattigrad, ha fatto investimenti molto forti, trascinando il resto dell'industria italiana nei rapporti con la Russia.
  I rapporti con la Russia fortunatamente si sono mantenuti estremamente buoni, anche per una certa complementarietà, dato che noi non abbiamo materie prime, mentre la Russia abbonda. Inoltre la Russia, nei programmi di modernizzazione della propria economia, si è sempre dimostrata molto interessata al sistema italiano delle piccole e medie imprese, sistema che rappresenta l'unica possibilità di una modifica anche politica dell'autoritarismo esistente in Russia, perché una effettiva democratizzazione, un'europeizzazione della Russia è possibile solamente con la creazione di una classe media, che può essere creata solo con le piccole e medie imprese.
  Alla fine della guerra fredda l'Italia si è trovata a perdere sia la posizione strategicamente importante nel Mediterraneo sia la rendita di posizione a cui ho prima accennato. Di conseguenza l'Italia, nella sua politica estera, è confrontata a grosse scelte, che trovano, però, difficoltà sia nella duplice configurazione della geopolitica italiana sia nel fatto che le risorse a disposizione dello Stato per la politica estera sono molto ridotte. Basti pensare che anche gli aiuti allo sviluppo, che negli anni settanta e ottanta erano abbastanza rilevanti, attualmente sono del tutto marginali rispetto agli altri Paesi europei.
  La situazione di difficoltà incontrata dall'Italia sta aumentando per via del fatto che gli Stati Uniti si stanno sganciando progressivamente dal Mediterraneo e del Medio Oriente e l'Europa è sempre più divisa, sempre più conflittuale. Gli interessi nazionali dei vari Paesi europei differiscono e non esiste un «padrone» – gli Stati Uniti – che possa fare da mediatore tra i vari Paesi europei, vedasi, ad esempio, tra Francia e Italia per quanto riguarda la Libia e per quanto riguarda il Sahel, che costituisce la zona di transito anche del fenomeno forse più preoccupante attualmente, che è il fenomeno delle migrazioni. Pag. 7
  Le migrazioni non dipendono dalla povertà dell'Africa. L'Africa ha conosciuto un incremento economico molto rilevante negli ultimi anni, soprattutto in Nigeria, Angola e Sudafrica, che assorbono gran parte delle migrazioni interne africane. In Nigeria, soprattutto la parte relativa alla criminalità nigeriana, invece, cerca di spingersi verso nord. Questo anche per il fatto che la Nigeria è una nazione bi-religiosa, ci sono cristiani e musulmani. Ricordiamo che Osama Bin Laden ha scritto, nel 1996, una fatwā in cui diceva che la Nigeria costituiva il centro del contrasto tra cristianità e islam e che la decisione della superiorità dell'una rispetto all'altro sarebbe stato determinato dalla situazione in Nigeria.
  La situazione in Nigeria, adesso, per esempio con lo sviluppo di Boko Haram, con il fatto che Boko Haram sta influendo su tutto il Sahel – dal Burkina Faso al Mali, al Ciad, a tutti i Paesi che gravitano sul lago Ciad – sta diventando un elemento molto forte e molto preoccupante, che i francesi cercano di contrastare con l'operazione Barkhane, con 8 mila soldati e con la costituzione di una specie di alleanza a cinque tra i Paesi del Sahel proprio in funzione antiterroristica, con l'appoggio degli Stati Uniti.
  L'Italia conta abbastanza poco, e conta poco per il motivo che non riusciamo a concordare con i francesi una politica coordinata. Gli americani, che hanno come priorità non l'immigrazione né l'economia, ma il terrorismo, si appoggiano molto più ai francesi che non all'Italia. Pertanto, la questione di una «cabina di regia italiana» nel Mediterraneo o nel Sahel è fantasia, non corrisponde alla realtà.
  Un problema molto grave, che non sappiamo come risolvere, è che il traffico dei migranti nei Paesi di transito è sostenuto dalla criminalità organizzata e dalle milizie, che sono l'elemento chiave, l'elemento più forte di questa criminalità organizzata, e la Francia cerca di ottenere il loro appoggio contro il terrorismo, contro al-Qaida in the Islamic Maghreb o quello che è rimasto di Daesh, che sta espandendosi soprattutto in Mali, in Niger e in Ciad.
  I francesi sono molto preoccupati del fatto che, per esempio, un'azione italiana in funzione di contenimento o di riduzione della migrazione attraverso il Sahel possa provocare la reazione di queste milizie, che andrebbero ad attaccare le forze francesi, che invece, non muovendosi contro le milizie e lasciando tranquillamente passare tutti i migranti dall'Africa subsahariana, praticamente non trovano grossi problemi, non si pongono contro di loro.
  Rimane il problema della Libia, che si trascinerà ancora per parecchio tempo, in quanto secondo l'USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale) ci sarebbe circa l'80 per cento della popolazione a favore di Haftar, perché la popolazione preferisce una dittatura militare, un regime autoritario, anziché essere vessata dalle varie milizie, che impongono una sorta di dazi e blocchi stradali, attaccano responsabili politici, giuridici e così via.
  La situazione, quindi, è difficilmente contenibile, anche perché sia Haftar sia al-Sarraj non hanno un controllo estremamente limitato delle milizie. Le milizie, di contro, sono soprattutto interessate a ricchezza e potere, non al benessere della popolazione. La lotta tra le milizie è tale che non se ne vede l'uscita.
  Il problema rientra in quello più generale della crisi dello stato arabo, che avevamo cercato di creare noi europei con la colonizzazione su un modello europeo, ma non sono divenuti degli Stati nazionali, sono rimasti degli Stati tribali, questo sia in Medio Oriente sia in tutta l'Africa, tanto quella bianca quanto quella subsahariana.
  Che cosa fare è estremamente difficile. Molto verosimilmente questa conflittualità non è contrastabile, anche per l'intervento di potenze esterne che sostengono quelli che ritengono a loro favorevoli. In Libia, la Turchia e il Qatar sostengono l'operazione «Alba libica» di Misurata e Tripoli – e il Governo di al-Sarraj – mentre l'Arabia Saudita e l'Egitto sostengono Haftar, perché Haftar è anti Fratellanza musulmana.
  La vera lotta in Africa non è tra sciiti e sunniti, ma tra Fratellanza musulmana e salafiti. Come superare questa situazione è estremamente difficile, anche perché l'unico Pag. 8 Stato che in un certo senso è più avanzato al riguardo, ossia la Tunisia, sta incontrando notevoli difficoltà, anche se, per esempio, ha eliminato dalla sua costituzione il cosiddetto «takfir», ovverosia l'ordine di eliminare gli apostati, gli eretici e così via. Accusare qualcuno di essere eretico o apostata è un delitto in Tunisia, il che in un certo senso è una questione che facilita il mantenimento di una certa stabilità.
  Dell'economia abbiamo già accennato. L'Italia è presente non solamente nell'Africa bianca, cioè in Libia, in Egitto, in Algeria, con l'ENI, ma è presente anche nell'Africa subsahariana, soprattutto in Angola e in Mozambico. L'ENI è l'elemento di forza della politica estera italiana, è quello che determina una certa qualche influenza italiana non solamente in Libia e nell'Africa subsahariana, ma nell'intero continente e anche in Medio Oriente.
  Un elemento nuovo, su cui sicuramente avete già posto l'attenzione, è il cosiddetto «bacino levantino», vale a dire le grandi scoperte di gas naturale sia tra Cipro, Libano e Israele, sia nelle immediate vicinanze dell'Egitto, dove c'è il grande giacimento Zohr, che l'ENI, facendo un vero e proprio miracolo, ha messo rapidamente in funzione, e che già adesso sta soddisfacendo più di metà del fabbisogno energetico egiziano e che molto verosimilmente, entro un anno o due, trasformerà l'Egitto in un esportatore di gas liquefatto. L'Egitto ha due impianti di rigassificazione del gas.
  Nelle slides che ho preparato ho messo in evidenza che l’export e l’import italiano con il resto dell'Africa è veramente residuale, minimo. Non è pensabile che l'Africa possa costituire un'occasione di sviluppo per risolvere il problema principale italiano, che è quello dell'arretratezza del Mezzogiorno. Se vediamo anche la composizione merceologica delle esportazioni italiane in Africa, sono esportazioni create nelle regioni del nord – Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna – mentre il Sud esporta in Africa soprattutto prodotti raffinati del petrolio. In altre parole, importiamo il petrolio libico, lo raffiniamo e lo riesportiamo in Libia, in Marocco, e anche in Algeria.
  In conclusione, il problema dell'Africa e quello del mondo arabo sono problemi che continueranno a influire sulla politica estera italiana, sulla geopolitica italiana e anche sulla stabilità interna italiana.
  L'Italia purtroppo ha una certa incapacità a praticare una politica attiva ed è alla ricerca disperata di sostegno. Lo cerchiamo da Putin, lo cerchiamo da Trump e così via, che però non è pensabile che possano sostenerci in nome della bellezza italiana o della pizza italiana. Ciascuno fa i propri interessi.
  Con l'Europa, che è l'unica che potrebbe avere una convergenza di interessi di fondo con l'Italia, soprattutto per la stabilizzazione dell'Africa e l'utilizzazione delle risorse africane, abbiamo grosse difficoltà di cooperazione, in particolare con il Paese più presente in Africa, che è la Francia, Paese determinante anche per il controllo dei flussi migratori dall'Africa subsahariana alla costa del Mediterraneo.
  Ricordo che la Francia ha il comando in Niger e registra nel Ciad, nel Mali, nel Burkina Faso e nella Repubblica Centrafricana una grossa presenza militare, che è sostenuta dagli Stati Uniti, che hanno schierato nella zona soprattutto dei droni, ad Agadès, nel nord del Niger, e nei pressi della frontiera tra Niger e Fezzan. La presenza italiana è vista con preoccupazione e con dubbi da parte francese, appunto perché sanno che la priorità italiana è quella di controllare e frenare l'immigrazione, mentre la loro priorità è quella di non avere perdite eccessive nei contingenti francesi presenti in zona. Frenando l'immigrazione, si provocherebbero sicuramente le reazioni da parte delle milizie delle varie mafie locali, il che renderebbe difficile anche al Governo francese la continuazione di questa operazione.
  Il problema africano, a mio avviso, non può essere risolto con il cosiddetto «Piano Marshall per l'Africa»: è una balla che non sta né in cielo né in terra. Del resto, se venissero attivati molti aiuti per l'Africa e ci fosse un aumento del benessere africano, questo aumento sarebbe polarizzato sulle Pag. 9classi medie, che sono proprio quelle che spingono per la migrazione. Quindi, gli aiuti allo sviluppo in Africa, anziché frenare l'immigrazione, molto verosimilmente ne provocherebbe un aumento.
  Tutte le analisi effettuate al riguardo confermano che, se la gente che si muove dall'Africa o riesce a procurarsi tra i 3 e i 5 mila dollari per pagarsi il viaggio, questa gente è già nella classe medio-alta della popolazione. Quindi, se aumentiamo la classe medio-alta della popolazione, molto verosimilmente incrementiamo la migrazione, anziché frenarla.
  Il problema fondamentale è quello della fertilità femminile, che è aumentata anche dalle culture, per esempio, del nomadismo sessuale, esistenti in gran parte dei popoli africani. L'Africa, che aveva 250 milioni di abitanti nel 1950, adesso ne conta 1 miliardo e 200 milioni e arriverà a 2 miliardi e mezzo nel 2050. Questo aumento della popolazione è dovuto soprattutto alla disponibilità massiccia di medicine e al miglioramento delle condizioni sanitarie nei Paesi africani. Evidentemente, non possiamo troncare l'afflusso in Africa delle medicine, che vengono fatte soprattutto in India, ma dobbiamo cercare di facilitare la transizione demografica africana, che già sta avvenendo in taluni Paesi, in particolare quelli dell'Africa bianca, l'Africa araba. È avvenuto in Turchia e sta avvenendo in Iran. In questi Paesi, la popolazione non ha più questi tassi di aumento enormi e la fertilità femminile è diminuita da 6-7 figli per donna a 2-3, portando così a situazioni gestibili. In caso contrario, è ben difficile poter gestire questi fenomeni, che sono all'origine dell'aumento dei flussi migratori, prima che verso l'Europa, all'interno dell'Africa.
  In Africa l'ONU stima che ci siano 40-50 milioni di rifugiati, sfollati e così via, ma essi migrano soprattutto negli Stati africani; solamente una percentuale minima è venuta o preme verso l'Europa che, però, data la crisi economica e la contrazione dei tassi di crescita, ha grossissime difficoltà ad assorbire i nuovi arrivi, anche perché l'economia che si sta trasformando richiede una manodopera altamente qualificata, che l'Africa non è in condizione di fornire.
  In Veneto, nella zona di Casarsa, per esempio, ci sono piccole e medie imprese che sono state create da immigrati del Ghana, e costoro hanno creato istituti di formazione in Ghana per formare gli immigrati che servono a queste piccole e medie imprese. Del resto, basta leggere le dichiarazioni dell'amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, che sostiene che Fincantieri potrebbe assumere 5-6 mila persone, che però devono essere tornitori, elettricisti: personale che in Italia è difficile formare, come è difficile che possa essere costituito dai migranti provenienti dall'Africa.
  Io mi fermerei qua, signor presidente. Sono a disposizione per rispondere, sperando di essere in condizione di farlo. Casomai, posso mandare eventualmente in seguito delle documentazioni che diano risposta a qualche quesito.

  PRESIDENTE. Grazie mille per l'esposizione, che, come sempre, è stata chiarissima e molto schietta. Penso che tutti abbiamo potuto apprezzarla.
  Io sono anche relatore, assieme al collega Cabras, dell'indagine conoscitiva sul Mediterraneo, quindi come relatore Le porrei la prima domanda, prima di passare la parola ai colleghi. Ebbene, avendo Lei sottolineato in modo inequivocabile il contrasto esistente tra l'Italia e la Francia sugli interessi geopolitici, a partire dalla Libia fino al Sahel, come potremmo uscirne? Quali vie d'uscita possiamo intravedere?
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VALENTINO VALENTINI. Anch'io ringrazio il Generale per l'esposizione vasta e per l’excursus storico che ci ha dato. La proiezione nel passato serve spesso per capire dove ci troviamo.
  Condivido in gran parte la sua analisi, soprattutto la descrizione della nostra situazione nella quale abbiamo perso le rendite di posizioni della guerra fredda, nella quale ci troviamo a perdere anche la capacità Pag. 10 di agire all'interno di un'Unione europea sempre più frammentata, all'interno della quale – lo dico con tutti i colleghi, anch'io ne sono parte – abbiamo un quadro politico frammentato, per cui il terreno della politica estera diventa spesso un terreno di scontro e non di difesa degli interessi collettivi con alcuni dei nostri Paesi partner e anche competitor, come sempre nella politica estera sono, vedi Francia e Gran Bretagna.
  Ebbene, secondo Lei, in base alla sua analisi, quali possono essere i prossimi sviluppi per un Paese come il nostro, al di fuori della capacità di politica estera che svolgono le nostre multinazionali energetiche, visto anche un aspetto che qui non citiamo, ma che io vorrei sottolineare, che è la ridotta capacità di influenza che esercita il nostro apparato «militare-industriale» rispetto a quella degli ultimi dieci anni o venti anni? Non siamo più in grado – e Lei sicuramente è un esperto in materia –, benché la proiezione militare e i rapporti economici nell'ambito della difesa costituiscano un altro degli elementi fondamentali dell'influenza politica che può esercitare un Paese. E quali possono essere i modi attraverso cui l'Italia può esercitare una propria influenza e un proprio ruolo in questo quadro disgregato? Lo ribadisco, è evidente ormai il disgregarsi della globalizzazione così come l'abbiamo conosciuta, a guida statunitense, verso un sistema a blocchi, una disgregazione delle alleanze tradizionali. D'altronde, è l'America stessa che mette in discussione i sistemi di Bretton Woods da essa stessa creati. Quindi, in un quadro di alleanze mutevoli, di rendite di posizione che non ci sono più, come può l'Italia cercare di esercitare, cosciente dei propri limiti e delle proprie capacità, un'influenza nell'area del Mediterraneo e, sicuramente, nell'area più allargata, di cui il Mediterraneo è un epicentro, ma che poi si estende, come Lei ha fatto nella sua analisi, a tutto il mondo?
  Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al Generale Carlo Jean per la replica.

  CARLO JEAN, Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica. Con riferimento alla domanda del presidente, ovverosia come migliorare i rapporti tra Francia e Italia, a mio avviso...

  PRESIDENTE. (fuori microfono) Come coesistere...

  CARLO JEAN, Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica. Tutto dipenderà dalla nuova Commissione europea e dalla pressione che potenze esterne – come la Russia da un lato, la Cina dall'altro, gli Stati Uniti dall'altro ancora – eserciteranno sull'Europa.
  Per adesso, l'Europa si muove in ordine sparso, ciascuno cerca di agganciarsi a una delle grandi potenze. Noi cerchiamo la Russia, cerchiamo gli Stati Uniti, cerchiamo la Cina, peraltro in maniera piuttosto disordinata, perché spesso alcune iniziative non tengono conto del quadro generale. Per esempio, se uno esamina la letteratura americana nel campo della politica estera e delle relazioni internazionali, si accorge come il memorandum d'intesa con la Cina negli Stati Uniti abbia avuto un impatto estremamente negativo sui rapporti con l'Italia o sull'affidabilità data all'Italia. Il memorandum era più che giustificato. Il sottosegretario al Ministero dello sviluppo economico, Michele Geraci, che si interessa soprattutto dei problemi della Cina, sperava di avere grossi investimenti cinesi, che invece sembra che si siano polarizzati solamente sul porto di Trieste. Ma sul Porto di Trieste questi investimenti ci sarebbero stati indipendentemente dal memorandum, perché l'interesse della Cina è penetrare in Europa centrale, nell'Europa balcanica, e il porto di Trieste insieme al sistema portuale dell'Alto Adriatico – Capodistria, Monfalcone e così via, e anche Fiume in un certo senso – costituiscono luoghi privilegiati della presenza cinese.
  Quindi, a parer mio, la Cina ha potenzialmente interesse nei confronti dell'Italia, un interesse che, per esempio, è stato molto sviluppato al tempo del Ministro Spadolini, quando ha fatto un'apertura di credito di 1.500 miliardi di lire di materiale militare Pag. 11nei confronti della Cina – in quel periodo ero Capo reparto allo Stato Maggiore della Difesa e mi sono interessato di questo programma – e lì si è registrato uno sviluppo veramente notevole soprattutto nel campo aereo e marittimo, in particolare della Marina cinese, evidentemente con la benedizione degli Stati Uniti.
  Noi abbiamo fatto anche la green line del transfer tecnologico da parte delle imprese italiane della difesa, soprattutto, alla Cina, evidentemente con l'okay degli Stati Uniti, da cui dipendono le nostre imprese. Attualmente questa dipendenza è sempre molto forte – basti vedere i rapporti tra Finmeccanica e Boeing, anziché Airbus – e in tutti questi settori questa dipendenza tecnologica italiana si traduce anche in una dipendenza di carattere politico.
  Un settore in cui l'Italia potrebbe dire qualcosa è proprio quello dell'esportazione degli armamenti. Noi eravamo arrivati, grosso modo, a essere tra il terzo e il quarto esportatore al mondo di armamenti, all'inizio degli anni Ottanta, mentre attualmente siamo ottavi o noni, addirittura dopo Spagna e Israele. Adesso c'è un aumento delle esportazioni di armamenti cinesi molto rilevante. Ebbene, l'esportazione di armamenti costituisce uno strumento importante di politica estera, così come la partecipazione alle operazioni di peacekeeping e così via. Purtroppo non esiste una grossa sensibilità da parte dell'opinione pubblica o da parte dell'opposizione a questa situazione, per cui le potenzialità che ha l'Italia sono notevolmente sottovalutate.
  Per questioni più che giustificate abbiamo perso il mercato egiziano e, perdendolo, abbiamo perso gran parte della possibilità di influire su tutta l'Africa settentrionale. Adesso abbiamo problemi anche con la Turchia. Basti pensare che la Turchia ha abbandonato la Conferenza di Palermo per protesta contro il comportamento italiano, in particolare il tentativo italiano di mediare – non si sa bene che cosa – tra al-Sarraj e Haftar.
  Questo praticamente smonta qualsiasi politica mediterranea dell'Italia. Del resto, se non teniamo conto della preminenza che, nella politica mediterranea, hanno Egitto e Turchia, è come giocare il due di coppe quando la briscola è bastoni. Conta ben poco.
  Che cosa fare per la politica estera? A mio avviso, le nostre ridotte capacità rimarranno tali, non tanto per mancanza di capacità materiali, quanto per questioni istituzionali interne, vale a dire l'impossibilità di avere una linea politica, una progettazione politica del sistema Paese che sia coerente e che tenga conto di una visione di quello che sarà il futuro dell'Italia nel medio-lungo periodo.
  Le due scelte di campo, quella europea e quella americana, sono scelte un po’ ballerine, con tentativi di modificare i rapporti di politica estera italiana privilegiando, per esempio, i rapporti con la Russia o con la Cina. Evidentemente, sono tendenze che finiscono con l'essere incompatibili tra di loro e che impediscono l'utilizzo della forte potenzialità italiana, che attualmente è basata essenzialmente sull'ENI, questo sia in Asia centrale sia in Africa.
  Il coordinamento tra la politica estera italiana e l'ENI viene effettuato, però certe volte vengono fatte cose un po’ strane, anche per il fatto che le grosse imprese europee – non solamente italiane, ma europee – non danno retta più di tanto ai Governi. Guardate, ad esempio, la questione delle sanzioni all'Iran: i Governi si sono opposti alle sanzioni all'Iran, le industrie invece si sono subito allineate ad esse, perché non vogliono perdere il mercato americano. Questa dissociazione tra Governo e industrie finisce con il tagliare le gambe alla politica estera italiana.
  Badate, la politica estera italiana ha avuto un elemento di forza in questi anni, dovuto al fatto che mai come adesso abbiamo un attivo della bilancia commerciale così rilevante. Siamo sull'ordine dei 50-55 miliardi di dollari all'anno di attivo e, quindi, di capacità di investimento. Questo elemento, però, non riesce a essere indirizzato in maniera coerente con la politica estera italiana. L'investimento, infatti, viene fatto in Lussemburgo, in Olanda, in Germania, non in quelle che sono le zone prioritarie per la politica estera italiana. Pag. 12
  C'è una mancanza di coordinamento, talvolta. È migliorato rispetto al passato, però esiste sempre qualche carenza. Per esempio, i soldi per la cooperazione e lo sviluppo, che sono molto limitati in Italia, non sono coordinati con le presenze dei contingenti italiani all'estero. Io me ne sono accorto in Bosnia: il gruppo Fumagalli diceva «cosa state facendo, quali sono i nostri interessi?», ma andava per conto suo, perché dal Ministero degli esteri non riceveva direttive. Il gruppo Fumagalli praticamente ha acquisito tutta l'industria chimica della ex Jugoslavia, con un peso notevole sull'economia di Bosnia ed Erzegovina, Macedonia e Montenegro.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare ancora il Generale Carlo Jean, anche per la documentazione consegnata di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato), dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.40.

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