XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 26 febbraio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO

Audizione del Direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Ambasciatore Sebastiano Cardi.
Grande Marta , Presidente ... 3 
Cardi Sebastiano , Direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 
Grande Marta , Presidente ... 9 
Cabras Pino (M5S)  ... 9 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 10 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 10 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 11 
Grande Marta , Presidente ... 11 
Cardi Sebastiano , Direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 11 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 13 
Cardi Sebastiano , Direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 13 
Grande Marta , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 13.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, nonché la trasmissione sul canale della web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Ambasciatore Sebastiano Cardi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, l'audizione dell'ambasciatore Sebastiano Cardi, Direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  Saluto e ringrazio l'Ambasciatore Cardi per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori. Segnalo che la Direzione generale per gli affari politici di sicurezza del Ministero degli affari esteri è articolata al suo interno in una serie di uffici, tra i quali figurano l'Ufficio VIII, competente sul vicino Oriente e la Lega Araba; l'Ufficio IX, competente su Penisola Arabica, Golfo Arabo-Persico e Organizzazione della Conferenza islamica-OCI; e l'Ufficio X, responsabile sulla regione del Maghreb.
  Nella Direzione generale opera, inoltre, una specifica Unità che segue l'Afghanistan, la dimensione regionale e le questioni euro-mediterranee. Si tratta, dunque, di strutture che seguono l'evoluzione politico-diplomatica in aree nevralgiche della regione che costituisce oggetto della nostra indagine conoscitiva.
  L'Ambasciatore Cardi, che vanta una lunga esperienza e da ultimo ha ricoperto l'incarico di Capo della rappresentanza permanente a New York, potrà dunque fornirci un prezioso contributo per approfondire alcuni profili della nostra attività conoscitiva.
  Sono lieta di dare la parola all'Ambasciatore Cardi. Successivamente, avremo modo di intervenire con domande o riflessioni da parte dei colleghi.

  SEBASTIANO CARDI, Direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente, per l'invito. Ringrazio anche gli onorevoli deputati presenti. Per me è la prima volta. Ho assunto le funzioni di Direttore generale otto mesi fa, arrivando, come ha ricordato, da New York, dove ho fatto una bella esperienza multilaterale.
  Grazie di darmi questa opportunità di discutere con voi di tematiche che riguardano un'area dove noi, ovviamente, siamo presenti e dove ci sono fondamentali interessi di sicurezza, economici e sociali.
  La mia idea è quella di focalizzare l'intervento su quattro aree, quattro Paesi, quattro teatri principali, ma ovviamente sono a disposizione per domande o anche osservazioni successive, anche per approfondire un po’.
  Le quattro aree sarebbero la Libia, che per noi rappresenta il dossier, il teatro più importante sotto tanti profili, a partire da quello migratorio, della sicurezza e dell'energia; l'Iran, che è un po’ al centro delle Pag. 4dinamiche allargate del Mediterraneo, del Medio Oriente, dell'area del Golfo, perché tutto, alla fine, un pochino si lega; la Siria, dove assistiamo a un conflitto in cui oggi vediamo, forse, uno spiraglio di pace; il Libano.
  Sono questi quattro i Paesi dove noi, come sapete, siamo presenti con un forte contingente e abbiamo il comando dell'operazione dell'ONU UNIFIL. Poi, ripeto, sono ovviamente disponibile ad allargare il discorso.
  Queste quattro aree sono per noi particolarmente importanti, ma vorrei ricordare che tutte queste crisi si legano tra loro. Hanno delle parole chiave, dei temi trasversali: la Siria, l'Iraq, l'Afghanistan, il Libano, la Libia, l'area del Sahel, dove ci sono anche lì delle tensioni sociali e di sicurezza molto forti. È un'area dove l'Italia è molto presente. A parte la presenza, ovviamente, ufficiale, attraverso gli operatori peacekeeper, le unità militari nell'operazione di pace dell'ONU, abbiamo fondamentali interessi, come dicevo prima, di sicurezza prima di tutto, antiterrorismo e poi, ovviamente, economici, sia sul versante nord-sud della sponda mediterranea, sia in Medio Oriente, sia anche nei Paesi del Golfo, che ci sono molto vicini.
  La nostra azione complessiva, in realtà, si ispira, secondo noi, a tre direttrici principali ed è stata anche un po’ l'azione che ho svolto anche all'ONU durante il mio mandato. Sarebbe sostanzialmente di portare il Mediterraneo allargato, quindi questa grande area di crisi, al centro del dibattito internazionale.
  Spesso ci diciamo che le grandi Istituzioni, a partire dall'Unione europea, ma anche, ad esempio, la NATO, danno molta attenzione a quello che è stato per tanti decenni un confronto tra est e ovest. L'Italia, ovviamente, opera invece per portare l'attenzione del mondo e delle principali organizzazioni internazionali verso il nostro lato meridionale, perché da lì riteniamo che arrivino le principali minacce e dove probabilmente ci sono anche le maggiori potenzialità per l'Italia come Paese esportatore di tecnologia, di beni e partner potenziale. Mi riferisco al G7 e alla NATO, dove l'Italia ha operato negli ultimi anni con successo anche per aprire l’hub per il sud di Napoli, ma soprattutto per bilanciare l'attenzione europea e internazionale verso il sud del mondo, dove – lo vediamo tutti i giorni – si affacciano sfide molto impegnative, che vedono l'Italia al centro, ovviamente, delle ripercussioni di questa instabilità.
  Secondo punto dell'azione generale: ricercare il superamento delle crisi attraverso processi politici inclusivi di tutti i principali attori regionali e globali. L'Italia si pone, quindi, come Paese mediatore, che offre la sua capacità politica per risolvere le crisi, naturalmente ricordando sempre che l’ownership nazionale per noi è il faro principale. Non vorremmo mai che un Paese che non ha mire neocoloniali come l'Italia possa imporre delle soluzioni, ma vorremmo che l'Italia ricerchi, assieme ai Paesi interessati, ai partner principalmente interessati, delle soluzioni sostenibili nel tempo. Questa è un po’ poi la ricetta migliore.
  Terzo punto: promuovere un'agenda positiva per il Mediterraneo allargato, che deve non soltanto affrontare delle crisi, ma anche valorizzare le grandi opportunità di cooperazione economica, di sviluppo, per creare una prospettiva di crescita e prosperità per la regione. Per regione intendo quella allargata, a parte la regione del Golfo che, ovviamente, gode dei benefici e dei proventi del petrolio e del gas. È una regione che, però, ancora deve affrontare delle grandissime sfide sociali ed economiche, sostanzialmente di sotto-sviluppo.
  Tra l'altro, l'Italia, come sapete, è promotrice di una importante conferenza che si è andata consolidando negli anni. Parlo dei MED Dialogues,che si sono svolti a dicembre, e che sono diventati un appuntamento in cui i principali attori internazionali e della regione convergono a Roma per discutere le ricette, le possibilità di affrontare nel modo migliore queste crisi.
  Passo dall'impostazione un po’ più generale ai quattro teatri che ho citato.
  Il primo è la Libia.
  Sulla Libia non devo spiegare a nessuno il perché è una crisi che ci tocca da vicino. Pag. 5La vicinanza geografica, la nostra storica presenza, i nostri interessi economici nel Paese fanno sì che tutto quello che succede in Libia abbia una ripercussione immediata. Molti esponenti politici hanno parlato di un Paese dove qualsiasi instabilità crea instabilità o potenziale instabilità anche in Italia. Credo sia effettivamente così. Noi siamo il Paese più esposto e dobbiamo occuparcene tutti i giorni. Sulla Libia abbiamo, come sapete, organizzato a novembre la Conferenza di Palermo, che, secondo noi, ha conseguito alcuni importanti obiettivi.
  In primo luogo, siamo riusciti in qualche modo, a fronte di una posizione internazionale molto frastagliata di molti attori, a favorire una ritrovata, seppur parziale, coesione della comunità internazionale sul dossier libico attorno ad alcuni temi, che sono ovviamente il track politico, cioè come trovare una soluzione politica alla crisi libica, il track economico, come aiutare la Libia a imboccare un percorso economico positivo, e il track sicurezza, soprattutto a Tripoli, che è fondamentale: senza una migliore sicurezza di Tripoli non riusciremo a mettere in moto un meccanismo positivo sostenibile per la pace in Libia.
  Sosteniamo pienamente il piano d'azione ricalibrato a Palermo da Ghassan Salamé, l'Inviato dell'ONU, che prevede la convocazione di questa conferenza nazionale che dovrebbe includere un po’ tutti gli stakeholders libici.
  È un obiettivo molto complicato, sul quale Salamè sta chiaramente incontrando delle difficoltà, perché conosciamo bene le divisioni interne libiche e la capacità di alcuni attori di giocare come spoiler. Sostanzialmente, per il momento, come ha ricordato anche il Presidente Conte a Sharm el-Sheikh, al vertice UE-Lega Araba dell'altro ieri, rimane l'unico obiettivo principale attorno al quale operare.
  Ovviamente, il percorso di avvicinamento serve poi ad arrivare a delle elezioni che permettano al popolo libico – che si è registrato in massa, vorrei ricordarlo, nelle liste elettorali – di esprimere il proprio parere democratico e quindi di portare il Paese a scegliere i nuovi governanti.
  L'aspetto securitario, di cui abbiamo parlato, è per noi molto importante. Sappiamo che c'è la necessità di attuare i cosiddetti «security arrangements», accordi di settembre, in virtù dei quali a Tripoli la sicurezza è stata abbastanza tranquilla, basata, come sapete, su un sistema di milizie. L'obiettivo anche dell'attuale Ministro dell'interno libico, Fathi Bashagha, è quello di sostituire il sistema della comunità internazionale, sancito anche a Palermo, basato su gruppi armati, con un sistema, invece, basato su forze regolari che facciano capo, ovviamente, alle istituzioni libiche.
  Dopo Palermo abbiamo proseguito l'azione di dialogo con tutte le parti libiche, con tutti i partner internazionali, per dare concreto seguito agli impegni assunti a Palermo.
  Il Presidente Conte ha ricevuto Ghassan Salamé il 24 gennaio. Era stato in Libia il 23 dicembre. Ha incontrato Al-Sarraj, Presidente del Consiglio presidenziale, lo stesso Haftar, il Presidente dell'Alto Consiglio di Stato Al Meshri, che, come sapete, è esponente dell'ala musulmana del Paese, e ovviamente un altro attore principale, che è Aguila Saleh, Capo del Parlamento di Tobruk, che in questo momento ha in mano le chiavi del percorso parlamentare.
  Purtroppo sul contesto sicurezza, benché migliorato rispetto alle ultime violenze di agosto, non ci sono stati sostanziali avanzamenti. Come sapete, c'è stata nelle ultime settimane un'iniziativa militare di Haftar nel sud del Paese, che è delicata perché potrebbe, da un lato, rafforzare un pochino la presa dell'esercito nazionale libico non solo sulla Cirenaica, ma anche nel sud, ma potrebbe innescare anche delle tensioni con le varie componenti che possono essere Misurata, Zintan o altre componenti tribali nel Paese.
  Al momento, come dicevo prima, non ci sono indicazioni precise sui tempi della conferenza nazionale, anche perché questa azione militare di Haftar non va vista in modo semplicemente negativo, ma potrebbe anche, eventualmente, se condotta senza spargimento di sangue, con l'accordo delle tribù locali, portare a qualche sviluppo Pag. 6 positivo. È tutto, ovviamente, da vedere.
  Le forze di Haftar a metà gennaio hanno preso il controllo di Sebha, che è il capoluogo del Fezzan, e nei giorni scorsi del sito petrolifero di Al-Sharara, che è il più grosso sito petrolifero del Paese, capace di produrre 300 mila barili al giorno, e che rappresenta un quarto della produzione attuale potenziale.
  Tra l'altro, si è avvicinato anche al vicino giacimento di Al-Fil, cosiddetto «Elephant», operato dalla nostra ENI. Fino a pochi giorni fa le attività del sito di Al-Sharara, sospese per causa di forza maggiore, sono state ferme, anche se ci sono forti pressioni sulla National Oil Corporation per sospendere la causa di forza maggiore e riaprire l'attività petrolifera di questo campo molto importante anche per l'economia del Paese.
  Haftar ha avviato questa campagna militare con l'intento di liberare il Fezzan da gruppi terroristici e milizie straniere. Naturalmente, di fondo, ci saranno probabilmente anche dei calcoli di natura politica da parte del Generale Haftar, nella prospettiva, come dicevo prima, di una possibile ulteriore espansione verso nord e verso Tripoli.
  Il quadro è estremamente incerto e fluido, anche perché va ricordato che su di esso gioca un ruolo molto importante l'atteggiamento delle etnie del sud, in primis i Tuareg e i Tebu. Dovremo vedere come queste tribù si orienteranno nell'appoggio o meno a questa iniziativa di Haftar.
  Noi continuiamo, in questo quadro molto complesso e molto fluido, a promuovere un esercizio di dialogo inclusivo con tutte le parti libiche. Appoggiamo gli sforzi dell'ONU di Ghassan Salamé e promuoviamo un fortissimo coordinamento con i principali attori internazionali.
  Domani avrò una consultazione con l'Egitto, che è un Paese, non da oggi, molto importante, mentre dopodomani è previsto un debriefing di Stephanie Williams, che è la vice di Ghassan Salamé, di ritorno da Abu Dhabi, dove ci sono stati dei contatti con alcuni esponenti libici. Giovedì abbiamo una riunione qui a Roma nel gruppo P3+3, che sarebbero i tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU (Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna) più Italia, Emirati ed Egitto: si tratta di una sorta di gruppo di contatto che negli ultimi mesi, anche a Palermo, ha gestito la situazione e si è coordinato per cercare di far avanzare il processo di stabilizzazione della Libia.
  Questa riunione si svolgerà dopodomani a Roma, a livello di alti funzionari. Verrà anche Fathi Bashagha, invitato da noi, e potrà darci di nuovo un'indicazione di come intende portare avanti questo progetto di securizzazione della capitale e, nel medio e lungo periodo, di trasformazione delle milizie, come centro della sicurezza di Tripoli, in forze regolari.
  Passo adesso all'Iran. Ripeto, sono ovviamente a disposizione per approfondimenti. L'Iran è un po’ il centro di tante dinamiche che vediamo svolgersi nel Medio Oriente in questo periodo.
  In linea con i nostri partner dell'Europa, promuoviamo una politica di apertura al dialogo costruttivo anche su temi per i quali più elevata è la sensibilità delle autorità iraniane.
  Vorrei ricordare che il 14 novembre il Consiglio dell'Unione europea ha adottato delle conclusioni sull'Iran che tracciano alcune linee essenziali della nostra interlocuzione. In primo luogo, ovviamente, c'è l'accordo nucleare – come sapete denunciato dagli Stati Uniti, che era una delle parti dell'accordo – che noi continuiamo a considerare, insieme ai partner europei, un pilastro della sicurezza della regione e anche della sicurezza mondiale, per il sistema di non proliferazione.
  Ne siamo convinti sostenitori e riteniamo pericoloso ogni scenario che provochi l'Iran a tornare sui suoi passi e abbandonare un'intesa raggiunta non senza sforzi che, secondo noi, ha prodotto, sotto il profilo della sicurezza e della non proliferazione, risultati importanti e che potrà ancora produrne.
  Ovviamente, la decisione statunitense di lasciare il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) non aiuta in tal senso, ma riteniamo di dover continuare a sostenere l'impegno Pag. 7 di Teheran ad adempiere all'accordo. Ricordo che la AIEA, Agenzia internazionale per l'energia atomica, con sede a Vienna, per tredici volte di seguito ha confermato la compliance dell'Iran con le norme dell'accordo.
  Secondo punto di questa dichiarazione dell'Unione europea, che fissa un po’ i punti politici, è la risposta europea alle sanzioni americane e, in particolare agli effetti extraterritoriali delle sanzioni che possono colpire i nostri interessi economici.
  In ambito UE è maturata la convinzione della necessità di dotarsi di un meccanismo che mettesse al riparo le transazioni commerciali con l'Iran dalle sanzioni. Sarebbe in sostanza una specie di registro, una camera di compensazione fra acquisti e vendite di beni e servizi con Teheran.
  Abbiamo, quindi, sostenuto il lavoro fatto dagli cosiddetti «E3» (Francia, Germania e Gran Bretagna) su questo progetto che è culminato pochi giorni fa nella registrazione a Parigi di INSTEX SAS SPV (Special Purpose Vehicle). Per il momento è una scatola vuota a cui partecipano soltanto questi tre Paesi. È una società per azioni semplificata di diritto francese e avrà il compito di monitorare e seguire le operazioni commerciali con l'Iran, ovviamente quelle legittime: in questo momento di avvio, beni alimentari, farmaceutici, sanitari e di prima necessità.
  Per quanto riguarda l'Italia al momento stiamo valutando quale sia la forma migliore di partecipazione a questo veicolo. Le diverse opzioni possibili vanno da una semplice acquisizione di quote fino a un coinvolgimento diretto negli organismi di governance, di supervisione e anche messa a disposizione di esperti e tecnici.
  Al momento questo veicolo ha una valenza politica e simbolica nei confronti dell'Iran per permettergli di avere una prospettiva e di mantenere un certo grado di scambi economici e commerciali con l'Europa.
  Gli americani hanno piuttosto criticato l'avvio di questo meccanismo.
  Il terzo aspetto, molto importante, riguarda invece aspetti più critici dell'interlocuzione con Teheran, che suscitano preoccupazione in noi, ma anche nei nostri alleati. Vediamo anche una forte attenzione americana. In primo luogo, la politica regionale portata avanti dall'Iran, e il sostegno militare, finanziario e politico ad attori non statali in Siria e in Libano; in secondo luogo, lo sviluppo delle attività balistiche iraniane e il trasferimento di tecnologia missilistica ad attori statali e non statali della regione.
  Sono aspetti sui quali, con altrettanta forza, dobbiamo veicolare, pur in un dialogo aperto, le nostre preoccupazioni.
  Ricordo che recentemente ci sono state azioni ostili condotte sul territorio europeo che hanno portato a un listing di alcuni esponenti iraniani a un livello piuttosto basso di amministrazione. Tuttavia, a fronte di queste criticità noi incoraggiamo ogni giorno l'Unione europea ad optare per un dialogo critico che non risparmi fermezza, ma che eviti di mettere a rischio il patrimonio di fiducia storico maturato con la firma dell'accordo nucleare.
  In tale contesto sosteniamo un rafforzamento dei formati di dialogo con l'Iran che si sono rivelati assai positivi, come, ad esempio, quello che ci vede partecipare, assieme a Francia, Germania e Gran Bretagna e al Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) dell'Unione europea, a un dialogo critico sugli aspetti della crisi yemenita, dove, come sapete, l'Iran appoggia una parte, cioè gli Houthi, considerati ribelli dal Governo legittimo. Il dialogo si è recentemente esteso anche alla crisi siriana, sulla quale l'Iran, che ha ovviamente ha un ruolo importante, ci ha fatto alcuni briefing in questo formato ristretto.
  Riconosciamo all'Iran un ruolo di attore fondamentale della regione. Secondo noi, quindi, è fondamentale preservare i canali di interazione e di collaborazione con le autorità iraniane anche in contesti dedicati, dove c'è una forte pressione americana e di altri Paesi europei più vicini alla posizione americana per innalzare un pochino il livello di pressione e di scontro con le autorità di Teheran.
  Rinunciare, secondo noi, al contributo dell'Iran nella lotta alle sfide globali, dato il Pag. 8ruolo anche positivo che l'Iran può giocare in una regione così instabile, sarebbe, secondo noi, un errore politico grave.
  Brevemente dirò qualcosa sulla Siria, che è un tema doloroso perché è un Paese che ha attraversato per sei o sette anni un conflitto devastante che ha portato centinaia di migliaia di morti, violenze inenarrabili. Nel 2018, però, finalmente abbiamo registrato un abbassamento del livello dello scontro militare e soprattutto anche dei progressi decisivi verso la sconfitta territoriale del Daesh che, come sapete, è già stata sostanzialmente conseguita in Iraq.
  Il Governo di Damasco è comunque riuscito a estendere il controllo sul terreno, in particolare al sud, grazie a un'intesa mediata dai russi. Tuttavia, il quadro siriano rimane altamente instabile e ci sono dinamiche rischiose che possono sfociare di nuovo in un confronto militare ed eventualmente anche in rinnovate gravi emergenze umanitarie in tutto il territorio.
  Come sapete, vi sono situazioni di attenzione nel nord-est, dopo l'annuncio del ritiro delle forze americane, dove gli americani stanno negoziando coi turchi e con i curdi l'eventuale creazione di una buffer zone che possa stabilizzare questa fascia tra Turchia e Siria, e nella regione di Idlib, dove c'era il rischio di un attacco in grande stile contro le formazioni terroristiche, ma dove c'era anche il rischio di una catastrofe umanitaria e di vittime collaterali civili in grande numero.
  Il terzo punto di attenzione sono le crescenti tensioni tra Israele e le forze filoiraniane presenti nel Paese.
  Ovviamente l'Italia continua a operare. È stato appena nominato un nuovo Inviato Speciale del Segretario Generale Guterres, che è Geir O. Pedersen, un diplomatico di grande esperienza, che conosco molto bene, essendo stato mio collega all'ONU fino a pochi anni fa (ma lo conosco anche da prima).
  È bene essere coscienti del fatto che, anche qualora le autorità siriane dovessero riacquisire il controllo di tutto il territorio nazionale, difficilmente si potrà avere una stabilizzazione del contesto interno senza segnali tangibili, in risposta alle cause profonde che sono sfociate nella creazione di un'opposizione e nelle tensioni civili e anche, purtroppo, militari.
  Secondo noi, dobbiamo sostenere senza riserve l'azione di Pedersen per cercare di sbloccare la formazione del comitato costituzionale, e quindi dare avvio possibilmente al dialogo politico, che porti a una transizione, ma soprattutto a una stabilizzazione del Paese.
  Ovviamente in questo spirito portiamo avanti, come Italia, un'interlocuzione costante con la Russia, che oggi è un attore fondamentale in Siria, tanto per il cessate il fuoco quanto per un'azione politica, e con l'Iran, altro attore che ha un ruolo molto importante in questo momento.
  Rispetto all'emergenza umanitaria in Siria voglio ricordare che nel 2018 è anche continuato il nostro impegno con interventi sia all'interno della Siria sia a beneficio dei Paesi vicini, quelli che ricevono ovviamente la maggior parte dei rifugiati. Parliamo di milioni di rifugiati. Nel 2018 l'Italia ha stanziato un totale di 28 milioni di euro circa.
  Lavoriamo anche a stabilizzare le aree liberate in Siria dal Daesh, soprattutto a Raqqa, con progetti che vanno avanti malgrado l'instabilità e un programma bilaterale, promosso dall'ANCI e realizzato da enti italiani, di assistenza tecnica ad alcune municipalità del nord-est.
  Ricordo che la conferenza sulla Siria che si terrà a Bruxelles il 12 e il 14 marzo ha l'obiettivo di riaffermare la posizione consolidata dell'Unione europea sul dossier siriano e rilanciare la risposta all'emergenza umanitaria che rimane nel Paese.
  Passerei velocemente al Libano, dove, come ricordavo, abbiamo una presenza ovviamente di grandissima importanza, attraverso gli oltre mille soldati che abbiamo in UNIFIL.
  È una presenza storica la nostra, che risale a 20-25 anni fa. Abbiamo avuto, se non erro, quattro su sei comandanti della forza. L'ultimo ovviamente è il generale Del Col, nominato da poco da Guterres.
  È ovviamente un Paese centrale per gli equilibri e la stabilità della regione. Se saltasse il Libano, certamente ci troveremmo Pag. 9 di fronte a un ulteriore elemento di destabilizzazione di una realtà già molto fragile in Medio Oriente.
  Voglio ricordare che il Presidente del Consiglio Conte è stato il primo Capo di Governo straniero a visitare il Libano dopo la creazione di un nuovo Governo di larghe intese, che è guidato dal Primo Ministro Saad Al-Hariri.
  Il nuovo esecutivo riflette il quadro politico emerso dalle elezioni: è uscita indebolita la posizione di preminenza di Hariri nel campo sunnita e Hezbollah, come sapete, ha elevato il proprio profilo e al momento ha tre dicasteri nell'ambito del Governo libanese, tra cui un ministero importante come quello della salute.
  I progressi nella formazione del Governo, che erano attesi e sollecitati dalla comunità internazionale, non devono sviare l'attenzione dalle sfide che attendono il Libano: la crisi economica in cui versa il Paese e il quadro politico regionale, ovviamente molto compromesso, e internazionale.
  Pesano sulla fragile economia libanese due fattori strutturali: la presenza di 1,5 milioni di rifugiati siriani, che hanno messo in crisi le già carenti infrastrutture del Paese, e gli squilibri di finanza pubblica, cioè il deficit eccessivo e il debito pubblico al 145 per cento, riassorbiti solo grazie al settore bancario e alle ingenti rimesse dall'estero della ingente comunità libanese.
  La situazione lungo il confine sud con Israele si è aggravata, come sapete, a partire da dicembre, quando Israele ha denunciato la presenza di tunnel a ridosso della Blue line, che è la linea di demarcazione.
  L'Italia sostiene l'eccellente azione del Comandante Del Col, riconosciuta anche da parte israeliana e libanese, per mitigare le tensioni tra le parti. Quanto accaduto e comunque il ruolo dell'UNIFIL confermano la sua importanza centrale per evitare una dinamica negativa nel Paese, che andrebbe a sommarsi a quelle già presenti in tutti i Paesi vicini.
  Dal nostro punto visuale, coerentemente con quanto sostenuto dall’International Support Group, di cui facciamo parte assieme ai Paesi maggiormente impegnati e principali donatori, la stabilizzazione del Libano va perseguita anche attraverso l'adozione di una strategia nazionale di difesa da parte dell'insieme delle forze politiche libanesi che, nel lungo termine, potrebbe portare a una soluzione accettabile al nodo delle armi di Hezbollah, con il trasferimento, auspicabilmente, ma temo non in tempi brevi, dell'arsenale missilistico all'esercito libanese.
  Ci siamo adoperati come Italia per riaffermare tale prospettiva, attraverso la Conferenza ministeriale di Roma del 15 marzo del 2018. Ovviamente l'esistenza di un nuovo Governo, possibilmente unitario, potrà contribuire al clima di fiducia e alle concessioni reciproche necessarie per esercitare una moral suasion nei confronti di Hezbollah ad avere un atteggiamento politicamente costruttivo.
  Vorrei ricordare che l'Italia contribuisce anche al rafforzamento dell'esercito e della polizia. Siamo il primo partner nel training, grazie alla missione nazionale MIBIL, che opera per il rafforzamento operativo delle forze armate libanesi. Siamo anche un partner economico di primo piano per il Governo libanese.
  Io mi fermerei qua. Forse ho parlato anche troppo, spero di non avervi annoiato. Vi ho dato alcuni spunti su quattro temi principali, ma che si collocano, come dicevo prima, in un ambito molto più ampio di grande instabilità che l'Italia deve affrontare insieme ai nostri alleati e ai nostri partner.

  PRESIDENTE. Grazie, ambasciatore.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PINO CABRAS. Nella panoramica rappresentata dall'Ambasciatore Cardi ci sono due punti che, in base a notizie quasi dell'ultima ora, mi preoccupano.
  La prima concerne la situazione nel sud della Libia. Ho l'impressione che questa avanzata di Haftar metta in discussione degli equilibri e vorrei capire se si stanno muovendo un po’ di contromisure, nel senso di cercare di capire qual è la nuova situazione Pag. 10 sul campo per prevedere possibili effetti.
  L'altra, più preoccupante, sono le dimissioni del negoziatore dell'accordo nucleare iraniano, che disegnano un quadro di un atteggiamento probabilmente nuovo da parte delle autorità iraniane rispetto al protrarsi della crisi innescata dalla fuoriuscita degli Stati Uniti dall'accordo stesso. Vorrei capire se anche su questo ci sono interlocuzioni visibili in corso, quelle che si possono raccontare.

  YANA CHIARA EHM. Ringrazio molto l'Ambasciatore Cardi per questa panoramica. Anche da parte mia arrivano due riflessioni o domande al riguardo. La prima è sulla questione Daesh, che ovviamente ha visto dei risultati molto importanti in Siria, ma che vede, almeno a mio parere e in base alla mia missione recente in Iraq, la questione di quello che succede quando le sacche ancora rimanenti di Daesh si spostano da un Paese all'altro. Ho avuto notizia di un recente rientro, se non erro, di circa cento combattenti in Iraq e, quindi, invece di una risoluzione della stessa, forse di uno spostamento della problematica, che chiaramente va affrontata anche in questo ambito.
  A questo si collega un'altra questione, che è emersa nelle scorse giornate, sui foreign fighters. Proprio in questo momento è in corso una grande conferenza a Luxor, in Egitto, sul ruolo dei parlamentari del Mediterraneo su questa questione, che ovviamente riguarda in parte anche i nostri Paesi, e che coinvolge i foreign fighters (europei, caucasici, dell'Asia centrale o mediorientali), ma anche a tutte le famiglie.
  In particolar modo, per me è molto importante la questione dei bambini, che sono nati o cresciuti in questo contesto e, quindi, c'è bisogno di proporre un'alternativa e di porre una particolare attenzione.
  Infine, sulla questione della stabilità regionale, sono perfettamente d'accordo sull'importanza del Libano. Mi preme personalmente aggiungere anche l'importanza e la difficoltà della Giordania, che prende, così come il Libano, pesi e responsabilità e che non è certa di mantenere questa stabilità all'infinito, per questioni sia di peso migratorio sia di peso economico.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Io ho tre questioni. La prima riguarda lo Yemen. L'ambasciatore saprà che in questa Commissione è aperta una discussione su una risoluzione relativa all'annosa questione della sospensione della vendita di armi ai Paesi coinvolti nel conflitto dello Yemen.
  È notizia della settimana scorsa che il Foreign Office, se non sbaglio, ha mandato una lettera di protesta al Ministro degli esteri tedesco, Heiko Maas, sull'iniziativa tedesca di sospensione della vendita delle armi. Questa è un'iniziativa che si può guardare sui due lati della medaglia: da un lato, vuol dire che quando un Paese europeo comincia un'azione di sospensione di vendita delle armi ne risentono anche gli altri Paesi, dall'altro è un inizio di una posizione comune europea. Il Regno Unito lamentava che questa decisione unilaterale tedesca danneggiasse gli interessi commerciali britannici.
  In questo senso, credo che interesserebbe ai membri della Commissione capire qual è la posizione dell'Italia rispetto alla posizione tedesca e qual è lo spazio perché l'Italia si associ alla Germania in un'iniziativa di sospensione della vendita delle armi. Questa è la prima domanda.
  La seconda questione riguarda l'Egitto. Sulle pagine dei giornali in questi giorni è stato sicuramente notevole l'eco del summit tra Unione europea e Lega araba a Sharm el-Sheikh. In quel contesto c'è stato un bilaterale tra il Presidente del Consiglio e il Presidente Al-Sisi e si è parlato della vicenda Regeni. Siccome si trattava di un summit tra Unione europea e Lega araba, vorrei capire se è stato trovato o si continua a cercare uno spazio per una pressione dell'Unione europea sull'Egitto relativamente alla vicenda Regeni.
  La terza questione riguarda i rapporti con la Francia. Sono rapporti, come lo sono sempre stati tra noi e Parigi, anche di competizione, soprattutto nel Mediterraneo. Le chiederei una sua valutazione su rischi e opportunità di collaborare con la Francia nei vari teatri del Mediterraneo che Lei ha sottolineato. Siamo in una fase Pag. 11di ripresa dei rapporti con la Francia, dopo un'interruzione breve ma significativa delle relazioni diplomatiche. Il Mediterraneo è sempre stato un po’ il tallone d'Achille dei rapporti con la Francia, soprattutto negli ultimi anni. Può diventare magari uno di quei luoghi dove, invece, si costruiscono delle cose insieme, tenendo conto di interessi che sembrano divergere, ma che, invece, possono convergere? La Francia qualche giorno fa ha seguito l'Italia sull'iniziativa di sostenere la Guardia costiera libica, quindi vuol dire che c'è la possibilità di pensarla allo stesso modo e magari di agire in senso comune.

  PAOLO FORMENTINI. Ringrazio anch'io l'Ambasciatore per la relazione molto approfondita. Ho ritrovato dei temi che ritengo fondamentali per la politica estera nel Mediterraneo del nostro Paese, temi sui quali – in particolare mi riferisco all’hub NATO di Napoli, a quel fianco sud che deve tornare centrale per la NATO – si deve trovare e si trova, fortunatamente, anche una grande condivisione a livello di Parlamento.
  Io ho avuto l'esperienza dell'Assemblea parlamentare NATO, dove la delegazione italiana sul tema del riorientamento del ruolo NATO, non solo verso il fianco est, ma anche verso il fianco sud, trova concordi quasi tutte le forze politiche, a dimostrazione che davvero è un tema di interesse nazionale.
  Sottolineo anche l'impegno, secondo me lodevole, del Ministero sulla Libia, in particolare per accompagnarla verso elezioni, ribadendo e sottoscrivendo le parole dell'Ambasciatore laddove dice che il nostro Paese non ha volontà coloniali e non impone soluzioni.

  PRESIDENTE. Do la parola all'ambasciatore per la replica.

  SEBASTIANO CARDI, Direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, onorevoli deputati. Avete posto domande molto interessanti e ovviamente anche difficili, le cui risposte non sono sempre facilissime.
  Posso basarmi anche sulla mia esperienza personale, avendo ormai svolto per più di trent'anni questo lavoro affascinante, però è vero anche che il mondo oggi è in una situazione di incertezza e di confusione che probabilmente non abbiamo visto, né noi né voi, in nessuna fase della nostra esistenza.
  Lo dico semplicemente per sottolineare che effettivamente siamo di fronte a crisi che non hanno, come magari succedeva un tempo, delle ricette facili, della serie «abbiamo un precedente, lo applichiamo e attraverso l'applicazione di alcuni metodi che conoscevamo prima riusciamo a trovare dei punti di uscita». Oggi il mondo è attraversato da un cambiamento radicale degli equilibri, con la crescita incredibile della Cina. Permettetemi una digressione:
  ricordo che quando ero a New York a metà degli anni 1990, da giovane consigliere, la Cina, che era membro permanente anche allora, nel Consiglio di sicurezza era silente. La Cina non agiva in politica estera. Oggi la Cina sta diventando, non solo economicamente, ma anche politicamente, un attore con un peso di cui forse non ci rendiamo ancora bene conto, ma di cui vedremo presto gli effetti.
  Dico questo perché sta cambiando radicalmente il bilanciamento delle forze in campo. In questo ovviamente ci sono delle sfide che ci hanno colto un po’ di sorpresa: il terrorismo su tutti, la nascita di Daesh, la nascita di Al-Qaeda in Afghanistan tanti anni fa, l'aumento enorme di questo fenomeno in tutto il mondo e la reale minaccia che questo pone alle nostre società, ma anche a quelle dei Paesi arabi, dell'Africa, fino all'Asia, dove ci sono delle costole di Al-Qaeda che stanno cominciando a diventare molto attive.
  Scusate, questa è una piccola digressione per dire che oggi il nostro mestiere, come il vostro ovviamente, è molto più difficile di prima, quindi dobbiamo cercare di essere creativi.
  Rispondo, cercando di essere breve e conciso, partendo dalla domanda sul sud della Libia dell'onorevole Cabras. Pag. 12
  L'azione di Haftar, come dicevo prima, è difficile sapere che effetto avrà. Quello che voglio dire è che Haftar sei o otto mesi fa non aveva la posizione di forza che ha oggi. È evidente che Haftar negli ultimi mesi si è rafforzato, per l'appoggio che gli danno alcuni Paesi, ma anche per la sua capacità intelligente di svolgere una certa azione, non solo militare. Abbiamo visto, per esempio, che in alcuni casi in questa avanzata – non è che avesse divisioni e divisioni, ma aveva alcuni mezzi militari – si è appoggiato, anche grazie a finanziamenti di alcuni Paesi del Golfo, su alcune realtà tribali, come dicevo prima, i Tuareg e i Tebu, riuscendo anche in qualche caso a ottenerne i favori.
  In Libia nulla è immutabile, tutto può cambiare dal giorno all'indomani, però in questo momento abbiamo visto che il generale è in grado anche, in modo abbastanza pragmatico, di stabilire delle alleanze. Addirittura la sua presa in questo momento è arrivata su alcune città costiere, il che vuol dire che, se si verificasse uno scenario in cui Tripoli rimane isolata, è chiaro che il Generale Haftar avrebbe una certa posizione. Ripeto, questa è una teoria, perché la situazione in Libia è veramente molto più complesso di quello che possiamo dire a parole.
  Tuttavia, stiamo seguendo la vicenda molto da vicino. Come dicevo prima, la riunione dei P3+3 a Roma dopodomani, a livello diplomatico, non politico, con Fathi Bashagha, che è un esponente importante libico, perché misuratino – come sappiamo, Misurata ha un peso fortissimo in Libia – servirà un po’ a fare il punto con statunitensi, francesi (in seguito arriverò alla domanda dell'onorevole Quartapelle), egiziani ed emiratini, su come considerare questa avanzata, cosa fare e come aiutare Salamé nella sua interlocuzione con Haftar.
  Ci sono in questi giorni dei contatti tra i vari attori, soprattutto tra i team di Haftar e di al-Serraj, sotto l'egida dell'ONU. Vedremo che sviluppi avranno. È chiaro che noi dobbiamo parlare con tutti, non lasciare nessuno fuori, non puntare su un unico attore e fare in modo che l'attore che in questo momento sembra un po’ più forte degli altri, Haftar, eventualmente, se vuole fare un accordo, lo faccia sulla base dell'obiettivo elezioni e dell'assoggettamento eventuale di un capo militare al potere civile e che imbocchi un percorso che sia quello democratico, se possibile, e di inclusività a favore di tutta la Libia. Pertanto, ci dobbiamo riservare la risposta.
  Stamattina abbiamo visto le dimissioni di Zarif. Ovviamente Zarif, che immagino voi tutti conosciate, è un esponente molto illuminato della galassia iraniana, una persona con la quale tutti i Paesi, gli stessi Stati Uniti credo, hanno parlato costruttivamente per tanti anni. Non sappiamo per quale motivo, ancora non abbiamo rapporti su questo, ma certamente è un elemento non positivo, se posso dire la mia a caldo. Era un interlocutore fondamentale e, come ricordava lei, è stato uno dei principali artefici del JCPOA e, quindi, anche un moderato molto importante.
  Se questo segnala un cambiamento di linea dell'Iran verso una possibile denuncia anche da parte loro del JCPOA non lo sappiamo. Speriamo che non sia così, perché sarebbe veramente un grosso problema, quindi analizzeremo questa questione.
  Onorevole Ehm, sulla questione del Daesh, è chiaro che la sconfitta in Iraq e in Siria ha creato le premesse per uno spostamento di quelli che sono rimasti, perché molti sono stati, anche durante la guerra, fisicamente limitati. C'è questo pericolo. Peraltro, vorrei ricordare che l'Italia partecipa con altri settanta Paesi alla coalizione anti Daesh. Questa coalizione, nata per sconfiggere Daesh soprattutto in Iraq, ma che opera ovviamente anche in Siria, serve proprio a quello: a tenere sotto controllo qualsiasi movimento ideologico o anche fisico di combattenti Daesh, per evitare che il fenomeno dall'Iraq si sposti in Libia, in Yemen o addirittura nel Sahel.
  Questa coalizione – abbiamo avuto una ministeriale a Washington tre settimane fa – è uno strumento importante per la comunità internazionale, tanto che si sta discutendo di come questo strumento che è la coalizione anti Daesh non chiuda, ma Pag. 13rimanga attivo, una volta formalizzata la conclusione delle operazioni in Iraq, che rimane fragile, ma in cui comunque abbiamo raggiunto risultati a mio avviso incredibili nel confronto con il terrorismo, e in Siria, dove il califfato non esiste più (credo che sia ridotto ad un perimetro grande come questa stanza). Infatti, nel Sahel, in Asia o in altre zone del mondo certamente potrà ripresentarsi, perché l'ideologia Daesh non muore; dovrà essere combattuta con altri strumenti, ma non muore qui, sarà attiva, quindi è un problema molto serio che dobbiamo affrontare.
  Per quanto concerne i foreign fighters, come ricordavo, il califfato in Siria è ridotto a un perimetro minuscolo, dove però ci sono donne e bambini. Uno dei problemi, per esempio, a Idlib, è stato cosa fare. Un'offensiva militare a Idlib avrebbe significato la morte dei terroristi, ma anche delle loro famiglie. Questo credo sia un punto che pragmaticamente i membri della coalizione, quelli che combattono il Daesh, si pongono.
  Si sta negoziando con i terroristi per cercare di far esfiltrare almeno le famiglie e i bambini, dopo di che sul destino dei terroristi stessi dovremo vedere. È chiaro che, almeno in Siria, sono fisicamente vicini all'annientamento, ma c'è questa preoccupazione molto forte nei principali attori che operano in Siria. L'Italia non opera militarmente in Siria.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Su questo punto posso fare una domanda? Qual è la posizione italiana o qual è la sua opinione sull'invito del Presidente Trump, che è stato forse un po’ brusco ma giusto nel dire che dovremmo riprenderci i nostri combattenti stranieri? Sono tante le cose che dice il Presidente Trump sulle quali non mi trovo d'accordo, ma credo che questa sia sensata, nel senso che non possiamo lasciarli in Siria.

  SEBASTIANO CARDI, Direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. È un tema importantissimo. È chiaro che l'alternativa è l'eliminazione fisica dei terroristi, ma non sempre questo sarà possibile né auspicabile. Sono terroristi, ma naturalmente è gente che deve essere preservata, non possiamo certamente pensare che l'eliminazione fisica sia l'unica alternativa che abbiamo.
  Vi sono anche molti prigionieri presenti e c'è una forte richiesta di riprenderseli, perché purtroppo la risposta dei Paesi finora è stata abbastanza negativa. C'è il rischio di radicalizzazione di nuovo, sappiamo che non è facilissimo, ci sono delle legittime garanzie di legge anche verso i combattenti terroristici. È un tema estremamente delicato.
  Noi già stiamo seguendo con la magistratura competente alcuni casi, ovviamente quelli che riguardano direttamente l'Italia, cioè passaporti italiani, però è un tema ancora aperto che è in discussione con gli alleati.
  Per quanto riguarda l'importanza cruciale della Giordania, ci sarà una conferenza il 28 febbraio a Londra sull'assistenza alla Giordania. È una conferenza molto importante, perché la Giordania, tra i tanti Paesi dell'area, è quello che più ha sofferto, assieme al Libano. La Giordania è meno forte e meno ricca del Libano, in realtà. La Giordania non ha nulla.
  Questa conferenza a Londra, a cui l'Italia parteciperà, servirà proprio a rafforzare le fragili istituzioni, che però hanno nel sovrano un elemento di forza, della Giordania, che rimane un elemento di grandissima costruttività nell'area. Andremo a Londra il 28 febbraio per parlare di come appoggiare ancor di più gli sforzi e i sacrifici che la Giordania fa, non soltanto in relazione ai rifugiati siriani, ma anche in relazione ai palestinesi, che loro ospitano ormai da cinquanta-sessanta anni e per cui devono pagare anche molte spese.
  Rispondo all'onorevole Quartapelle sullo Yemen. Quello della vendita delle armi ovviamente è un punto abbastanza complicato. Intanto diciamo che ci sono degli sviluppi positivi sul fronte politico. Peraltro, ho fatto riferimento al dialogo E4, dove l'Italia partecipa con gli E3 del gruppo Iran sullo Yemen. Noi ci siamo visti già cinque Pag. 14volte col viceministro iraniano Ansari e abbiamo parlato di Yemen. Dopo le ultime due riunioni l'Iran ha dimostrato di fare di più per forzare gli Houthi ad andare al tavolo negoziale.
  È stato nominato il nuovo Rappresentante Speciale dell'ONU, Martin Griffiths, britannico, che ha dimostrato di avere una ben altra presa sulla crisi yemenita rispetto a Ould Cheikh, il predecessore.
  Ci sono, quindi degli sviluppi abbastanza positivi: la riunione di Stoccolma, un accordo di principio su alcuni scambi di prigionieri, confidence-building measures. Noi dobbiamo lavorare a quello.
  Sulla vendita delle armi la Germania effettivamente ha preso una decisione coraggiosa. Non sapevo della protesta dei britannici. Sulla questione quello che posso dire è che ci sono state interrogazioni parlamentari, alle quali il Governo ha risposto. Per parte nostra ovviamente non posso che confermare che noi attuiamo scrupolosamente la legge esistente e il rispetto delle procedure, che prevedono il coinvolgimento di varie istanze governative: difesa, affari esteri e sviluppo economico. Ovviamente, se ci fosse un cambiamento della disciplina legislativa, a partire da iniziative parlamentari, ci adegueremmo.
  Io adesso non ho i dati, non me li sono portati. Credo che i dati italiani verso l'Arabia saudita siano in nettissimo calo. Dunque, se non c'è una decisione politica, forse però c'è un'attenzione al fatto che lo Yemen è teatro di scontri, molti Paesi vi partecipano e bisogna stare molto attenti a non alimentare il conflitto. Se ci sia spazio per l'Italia per associarci all'iniziativa tedesca non lo so. Credo che il Parlamento e la Commissione affari esteri siano forse il luogo migliore per un dibattito in questo senso e per eventualmente ingaggiare e impegnare il Governo.
  Noi facciamo parte del gruppo che segue gli sviluppi politici, quindi diamo un contributo, attraverso un Inviato Speciale, alla soluzione del conflitto in Yemen. Questo mi sembra che sia importante.
  Per quanto riguarda l'Egitto, il summit UE-Lega araba e lo spazio europeo per un'iniziativa sulla vicenda Regeni, vorrei ricordare che il Consiglio di associazione UE-Egitto del 20 dicembre 2018 già aveva effettuato un fermo richiamo nei confronti dell'Egitto a cooperare efficacemente per fare giustizia sul caso Regeni.
  Non ho dubbi che il Presidente del Consiglio nell'incontro con il Presidente al-Sisi – l'ha anche detto pubblicamente – e nelle sue interlocuzioni bilaterali con altri attori regionali abbia ricordato l'esigenza che l'Italia pone sul tavolo di fare piena chiarezza e di trovare e punire i responsabili di quel crimine.
  Dunque, lo spazio europeo c'è già, perché l'Italia ovviamente non manca occasione, in tutti i bilaterali con i nostri partner europei, per ricordare che per noi questa questione rimane una questione dirimente nel rapporto con l'Egitto e molto importante. Mi risulta che da parte di molti Paesi europei ci sia stata una presa di posizione specifica sul caso Regeni, in passato e anche recentemente, con le autorità egiziane. Spero che questo possa indurre un'autorità egiziana piuttosto muscolare a migliori consigli.
  I rapporti con la Francia sono un tema sul quale non so se devo esprimermi. Noi a livello di tecnici e funzionari lavoriamo coi francesi tutti i giorni. Sulla Libia mi sono recato a Parigi sei volte e con loro abbiamo gestito o comunque condiviso gli obiettivi della Conferenza di Palermo.
  È vero che esistono delle impostazioni diverse e degli interessi diversi. Secondo me, gli interessi economici francesi in Libia non sono necessariamente in contrapposizione con i nostri, ma forse politicamente sì. Sappiamo che la Francia è presente nel sud con l'operazione Barkhane, la grande presenza francese in Sahel e, quindi, è un attore col quale dobbiamo fare i conti tutti i giorni, ma io ritengo che sia necessario continuare la collaborazione, non solo sulla Libia, ma su tutti i dossier. Lo facciamo sull'Iran, lo facciamo sull'Ucraina. Devo dire che con Francia e Germania c'è un'interlocuzione costante su tutti i grossi dossier di sicurezza dell'Europa e del Mediterraneo e abbiamo visioni piuttosto coincidenti. Pag. 15
  In ogni caso, quando non sono coincidenti, dobbiamo lavorare con loro, da un lato per cercare di controllarli (lo dico en petit comité) e dall'altro per cercare delle formule condivise. Infatti, in fin dei conti con la Francia abbiamo degli interessi certamente comuni che vanno preservati, fermo restando che sappiamo che esistono delle posizioni differenziate ed è necessario parlare chiaro coi francesi, sapere la loro posizione ed essere in grado, quindi, di adottare le eventuali contromisure da parte nostra.
  Comunque, sul tema libico l'interlocuzione con la Francia, che avviene anche nel formato P3+3, come dicevo, è costante.
  L'onorevole Formentini aveva accennato al fianco sud. Ovviamente, è un lavoro molto complesso, sul quale, però, credo che abbiamo ottenuto, come dicevamo, dei risultati. La NATO non è un'organizzazione semplice sotto questo profilo. L'immediato istinto della NATO è rivolgersi verso la Russia, verso est. Il fatto di aver portato un'attenzione così forte, grazie anche all'appoggio americano – va detto – verso il sud del mondo credo sia un risultato piuttosto significativo.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'Ambasciatore e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.05.