XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Giovedì 24 gennaio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA PER LA PACE E LA STABILITÀ NEL MEDITERRANEO

Audizione di Alberto Negri, Senior Advisor Middle East and North Africa dell'ISPI.
Grande Marta , Presidente ... 3 
Cabras Pino (M5S)  ... 3 
Grande Marta , Presidente ... 4 
Negri Alberto  ... 4 
Grande Marta , Presidente ... 10 
Negri Alberto  ... 10 
Grande Marta , Presidente ... 10 
Boldrini Laura (LeU)  ... 10 
Negri Alberto  ... 11 
Grande Marta , Presidente ... 12 
Comencini Vito (LEGA)  ... 12 
Negri Alberto  ... 13 
Cabras Pino (M5S)  ... 14 
Negri Alberto  ... 15 
Grande Marta , Presidente ... 16 
Negri Alberto  ... 16 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 16 
Negri Alberto  ... 17 
Grande Marta , Presidente ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 9.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Alberto Negri, Senior Advisor Middle East and North Africa dell'ISPI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla politica estera dell'Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, del dottor Alberto Negri, Senior Advisor per il Medio Oriente e il Nord Africa dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). Saluto e ringrazio il dottor Negri per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  Il dottor Negri è stato testimone dei più importanti conflitti che hanno caratterizzato negli ultimi trent'anni una vasta area che comprende Medio Oriente, Africa, Asia centrale e penisola balcanica: dalla guerra Iran-Iraq all'Afghanistan, dai conflitti nell'ex Jugoslavia all'invasione dell'Iraq da parte della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, fino ad arrivare alla sanguinosa guerra civile che, a partire dal 2011, ha sconvolto la Siria.
  Nel 2009 il dottor Negri ha vinto il premio giornalistico internazionale Maria Grazia Cutuli, mentre nel 2015 è stato insignito con il premio «Colombe per la pace», riconoscimento giornalistico assegnato annualmente dall'Istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo di Roma a chi, fra gli operatori dell'informazione, ha contribuito a promuovere gli ideali di convivenza pacifica tra le persone, i popoli e le nazioni.
  È, inoltre, autore di saggi e di libri. La sua ultima opera, Il Musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente, ha vinto il premio Capalbio 2017.
  Prima di dare la parola al nostro ospite chiedo al collega Cabras, nella qualità di relatore sull'indagine conoscitiva, se desidera svolgere qualche considerazione introduttiva.

  PINO CABRAS. Molto brevemente, credo che Alberto Negri sia una delle figure che dovremmo ascoltare ogni volta che si affrontano i temi del Mediterraneo, inteso non solo come insieme dei Paesi che si affacciano direttamente su questo mare, ma anche nel senso più allargato della profondità strategica che investe anche altri Paesi, che Alberto Negri ha conosciuto molto bene nella sua lunga carriera di inviato speciale e corrispondente in luoghi che molti vedono soltanto da una cartolina e conoscono poco.
  Credo che, se il dottor Negri fosse stato ascoltato di più anche nelle sue analisi degli ultimi anni, ci saremmo risparmiati da parte dei Paesi europei degli errori che poi abbiamo pagato e continuiamo a pagare ancora oggi.
  Le indagini di un giornalista indipendente confliggono a volte con gli equilibri che trovano un loro punto di caduta nella ragion di Stato. Da parte dei politici può essere urticante sentire delle verità diverse da quelle che sono abituati ad affrontare. Credo, però, che nel prisma della verità del Vicino Oriente e del Mediterraneo ci debbano essere delle visioni indipendenti, come Pag. 4quelle di Negri. Sono molto contento, quindi, che tutti lo possano ascoltare oggi.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Cabras. Sono lieta di dare la parola al dottor Negri per il suo intervento.

  ALBERTO NEGRI, Senior Advisor Middle East and North Africa dell'ISPI. Sono molto onorato di questo invito e sono anche molto contento di vedere dei giovani, altrimenti si vive sempre con i ricordi del passato, quando, entrando nell'aula di commissione, si vedono le facce che si sono viste per quarant'anni. In qualche modo c'è un avvicendamento.
  Detto questo, a ogni cambio di Governo in Italia si incontra sempre qualcuno che ne sa di più. Questo avviene anche in politica estera. Lo ricordava prima l'onorevole Cabras. Ricordo con una certa malinconia anche alcuni ministri che, durante il caso Öcalan, volevano spiegarmi tutto della Turchia. Più tardi ne ho incontrati altri che sapevano tutto di Iran e Medio Oriente.
  Con la Libia poi le certezze erano incrollabili. Uno di loro mi disse che la Libia per lui ormai non aveva più segreti. Noi italiani – mi dicevano – eravamo quelli meglio informati sulla nostra ex colonia. Io ascoltavo timidamente.
  Peccato, però, che sulla Libia siamo stati presi in contropiede dai francesi nel 2011 e che il nostro Governo non sapesse più a che santo votarsi, perché così è avvenuto. C'era un Governo Berlusconi che era nella sua fase terminale. A un certo punto, se vi ricordate, il Presidente del Consiglio, ebbe un colloquio qui, in un teatro a Roma, con il Presidente della Repubblica Napolitano, in cui disse: «Presidente, ci pensi lei. Demando a lei ogni decisione, perché io me ne tiro fuori».
  Per non parlare della Siria. Ricordiamoci che qui per molto tempo tutti credevano che il regime di Bashar al-Assad sarebbe stato abbattuto. Io partecipavo ogni tanto a qualche riunione alla Farnesina: erano tutti convinti che Assad venisse abbattuto. Chi sollevava dubbi veniva sempre guardato con un po’ di sospetto. Come è andata a finire lo sappiamo tutti.
  Di fronte a queste sicurezze c'è anche poco da dire, se non che in trentotto anni di guerre fortunatamente ho dato retta più al mio istinto che a quello che mi dicevano gli altri.
  Io mi sono focalizzato su due punti. Ho titolato questa breve relazione «Come si prepara una nuova guerra nel Mediterraneo».
  Il primo punto che tratterò è la Libia, perché è ciò che ci riguarda da vicino. La situazione sarà anche colpa delle ambizioni francesi sulla Cirenaica, dell'incapacità dell'Europa di marciare unita nel Mediterraneo – basti vedere adesso il recente caso della missione Sophia – e del sostanziale disinteresse americano. Sembra che gli americani non abbiano mai nulla da dire su questa Libia.
  Tuttavia, l'instabilità e gli errori che commettiamo in Libia sono anche italiani e derivano da due realtà che facciamo ancora fatica a riconoscere otto anni dopo la caduta di Gheddafi. La prima è che qui, purtroppo, l'Italia ha subìto la più grande sconfitta dalla seconda guerra mondiale. Non solo: ha contribuito ad abbattere il suo maggiore alleato nel Mediterraneo, partecipando ai raid della NATO.
  Gheddafi l'avevamo ricevuto soltanto sei mesi prima, il 30 agosto del 2010, in un caldo allucinante, qui a Tor di Quinto. C'erano 5 mila persone, tra politici e uomini d'affari. Tutti andavano lì alla greppia di Gheddafi a vedere se potevano portare a casa qualche cosa.
  Ricordo che in Parlamento questi accordi con Gheddafi sono stati approvati da tutti. Forse ci sono stati pochi parlamentari che hanno votato contro, ma il 98 per cento li ha approvati. Questo vuol dire che riconoscevamo in Gheddafi il nostro principale partner nel Mediterraneo.
  Noi, invece, siamo andati a bombardarlo. Questo un mese dopo gli eventi di Bengasi. Ci siamo allineati al volere degli Stati Uniti e della NATO, anche sotto minaccia, perché un ex Ministro degli esteri ha detto che addirittura avevano messo tra gli elenchi dei bersagli possibili i nostri terminali petroliferi. Su quello, però, noi non abbiamo detto nulla. Pag. 5
  Faccio rilevare che avremmo potuto anche fare una scelta diversa, e non lo dico soltanto io, ma me lo disse, qualche tempo fa, l'ex Capo di Stato maggiore di allora, il Generale Camporini. Se volete consultarlo su questo punto, vi dirà delle cose piuttosto interessanti.
  Stabilito che abbiamo avuto la più grossa batosta dalla seconda guerra mondiale, non solo non abbiamo reagito, ma abbiamo anche bombardato Gheddafi, perdendo una certa credibilità sulla sponda sud. Quando si bombarda il proprio maggiore alleato, non si può pensare che sulla sponda sud ci si sia accreditati. Si è mollato il proprio maggior alleato. Punto e basta.
  Il secondo punto, un altro di cui pare che facciamo ancora fatica a prendere atto, è che la Libia non è più una Libia. Ce ne sono due o tre. C'è quella del Generale Haftar e c'è anche quella del Fezzan. Quando parliamo di Libia, dovremmo parlare soprattutto di Tripolitania.
  Dobbiamo anche rilevare che il Generale Khalifa Haftar è appoggiato dall'Egitto, dalla Francia, dalla Russia e dagli Emirati Arabi Uniti e che dall'altra parte, con il Governo del Presidente Fayez al-Sarraj, ci sono diverse fazioni, molti islamisti e soprattutto i Fratelli Musulmani.
  Nonostante quello di Tripoli sia il governo internazionalmente riconosciuto, in realtà, non se lo fila quasi nessuno. Ce lo filiamo noi italiani, la Turchia, il Qatar e l'ONU, col suo inviato, Ghassan Salamé, ma, in realtà, stanno tutti dall'altra parte, con Haftar. Questa è la verità.
  Gli stessi americani, che non si pronunciano, nel momento in cui Haftar decidesse un'offensiva militare, con chi volete che stiano, visto che il signor Haftar è anche un cittadino americano dal 1994-95? È stato in esilio vent'anni, tra l'altro, a Langley, in una zona vicino alla sede della CIA. Lui era un generale. Gheddafi fu sconfitto in Ciad e Haftar scappò negli Stati Uniti. È cittadino americano.
  Volete che gli americani sostengano i Fratelli Musulmani a Tripoli? Ma no, sosterranno il loro cittadino americano Haftar, che è appoggiato poi da quelle altre potenze che abbiamo citato prima. Il Governo di Tripoli a me pare sempre un po’ appeso a un filo.
  Poi c'è il dramma dei profughi, problema che, naturalmente, è trattato eminentemente dal punto di vista umanitario, ma che, in realtà, è un problema politico e militare. La zona SAR libica, il tratto di mare di competenza di Tripoli, è inesistente, perché noi abbiamo dato loro le motovedette, ma, in realtà, le motovedette fanno parte di un gioco di potere tra le varie fazioni. Ogni tanto vanno a prendere qualche trafficante, ma, in realtà, fanno parte del gioco tra le fazioni.
  I profughi vengono tenuti in campi disumani e i trafficanti, come vengono chiamati, sono gli stessi capi libici della Tripolitania. Chi ha il coraggio di intervenire contro trafficanti che rappresentano una fonte di reddito, di potere e di controllo del territorio e di esseri umani? Il povero al-Sarraj non controlla niente.
  È evidente, quindi, che, occorre sistemare una situazione di caos completo. Vedete che cosa è successo l'altra settimana a Tripoli: la Brigata Tarhuna ha ancora attaccato, ci sono stati dei morti; il Generale Haftar intanto sta cercando di penetrare vicino ai pozzi petroliferi del Fezzan e forse ha già fatto degli accordi locali. Vedete chiaramente che la soluzione dovrebbe essere politica, cioè si dovrebbero mettere d'accordo Bengasi e Tripoli, ma non pare che sia il caso. La famosa Assemblea nazionale che avrebbe dovuto convocare l'inviato dell'Onu entro questo mese mi sembra praticamente caduta, come le famose elezioni che avrebbero dovuto esserci in primavera e, ancora di più, il tentativo di unificare le forze dell'esercito di Haftar con le tribù di Tripoli. Non è avvenuto proprio per niente. Non si vede proprio questa ipotesi.
  Poiché il Governo al-Sarraj praticamente non esiste – noi l'abbiamo preso e l'abbiamo portato lì in nave da Tunisi; è stato un mese alla fonda nel porto di Tripoli prima di scendere, perché altrimenti gli facevano la pelle – è praticamente un Governo quasi inesistente, e ci sono poche alternative. L'unica è quella di Haftar, in questo momento. È inutile girare intorno al Pag. 6problema, altrimenti parleremo ancora per anni della questione dei profughi, dei trafficanti, delle fazioni libiche e via discorrendo. O c'è una soluzione politica che stabilizzi il Paese – ma non si vede, viene enunciata in conferenze come quella di Palermo, ma poi, nella pratica, non c'è – o, in realtà, si vedrà che la soluzione è militare.
  C'è una frase emblematica dell'ipocrisia della politica internazionale. L'avete sentita tutti. A ogni crisi si sente la seguente frase: la soluzione non è militare, ma è politica. L'hanno detto a proposito della Siria e lo dicono a proposito della Libia. Invece no, la soluzione è stata militare.
  In Siria la soluzione è stata militare, non è stata politica. Non c'è stata alcuna soluzione politica. Ci sono stati degli accordi sul terreno per la de-escalation in alcune zone che hanno permesso ai gruppi di ribelli di andare a concentrarsi da altre parti, ma sono accordi che sono stati raggiunti in base a sanguinose battaglie, alla perdita della vita di decine, centinaia, migliaia di persone e al prezzo di milioni di profughi. La soluzione è stata militare, eccome se è stata militare: è stata devastante, ma militare, non politica.
  Io non ho visto alcuna soluzione politica. Avete visto per caso i rappresentati di Assad fare degli accordi con i ribelli? No, ma si sapeva che non ci sarebbero mai stati, perché si lottava per la vita e per la morte.
  Anche a Tripoli si lotta per la vita e per la morte, perché ci sono i Fratelli Musulmani. Il nostro Ministero degli affari esteri pensa che Haftar, appoggiato da Egitto, Russia, Francia ed Emirati, non sia la soluzione, ma parte del problema. Tuttavia, non è in grado di fornire un'alternativa.
  C'è chi sostiene che la responsabilità dell'emergenza migratoria sia della Francia a causa dello sfruttamento delle colonie africane. Sì, in parte è così, ma cosa dovremmo dire del ruolo in Africa della Cina e degli Stati Uniti? La Cina ha centoquarantatre miliardi di crediti nei confronti dei Paesi africani. Li tiene strozzati per la gola. Gli Stati Uniti hanno basi militari dappertutto.
  Chiunque affama l'Africa. Anche noi siamo affamatori dell'Africa. Devo ricordarvi i due processi nei tribunali italiani che hanno condannato la dirigenza dell'ENI e i mediatori per cento milioni di tangenti in Algeria e in Nigeria? È una questione di pochi mesi fa, dell'autunno del 2018. Non me lo sono inventato io. Siamo tutti affamatori.
  Certo che ci sono dei contrasti, ma i contrasti tra noi e la Francia in Africa sono storici, iniziati già da quando l'Italia mise gli occhi sulla Tunisia a fine Ottocento e arrivò la Francia che se la prese per prima. È quello il motivo per cui abbiamo ripiegato sulla Libia.
  Poi, dal secondo dopoguerra, la questione fu, se vogliamo, ancora più acuta, sotto traccia, ma acuta. Quando fu formato il Fronte di liberazione nazionale algerino, noi italiani, attraverso l'ENI, abbiamo finanziato la guerriglia del Fronte di liberazione nazionale contro la Francia coloniale. Volete che non se lo siano legati al dito? Ma certo. Non se lo dimenticheranno mai. Ci sono le testimonianze di questo.
  Tra l'altro, un grande giornalista come Pirani racconta che, quando lavorava all'ENI, uno dei suoi ruoli a Tunisi era proprio quello di contattare l'FLN e di dargli contributi economici. Questo è stato il ruolo dell'Italia lì. Infatti, dopo che l'FLN è andato al potere, noi abbiamo anche firmato dei contratti importanti con l'Algeria, dove abbiamo due gasdotti. Mi riferisco al Transmed, che è stato poi raddoppiato.
  Diciamoci che il ruolo in Africa è un po’ perduto, visto che hanno paura delle commesse militari e dell'accordo di Aquisgrana tra Francia e Germania. Sì e no. Noi vendiamo gli elicotteri della Finmeccanica, ma sono una joint-venture con la Westland britannica. Noi prendiamo il 36 per cento. Quelli li vendiamo sempre. Li abbiamo venduti al Qatar, adesso. Continuiamo a venderli a tutti. Sono dei consorzi.
  Con la Francia abbiamo un consorzio missilistico che si chiama Eurosam. Stiamo cercando di vendere i missili anche alla Turchia, dopo che i russi hanno venduto – ma non ancora consegnato – i loro S-400 e gli americani hanno proposto ai turchi di Pag. 7comprare i loro Patriot. Sono diversi anni, almeno due o tre, che noi stiamo studiando di vendere ai turchi gli Eurosam. È un consorzio franco-italiano. Armi ne vendiamo a tutti, anche in società.
  Insomma, è inutile andare a cercare le colpe dei francesi. Ci sono le colpe dei francesi, ma le colpe degli altri non ci assolvono dal fatto che noi dobbiamo cercare delle soluzioni, altrimenti la questione diventa sterile e puerile. È un po’ il solito piagnisteo all'italiana: prendere come scuse le colpe degli altri – e la Francia ne ha tante, soprattutto quella di aver distrutto Gheddafi – e trasformarle in un'assoluzione per la nostra incapacità di agire e di cambiare drasticamente prospettiva con la Libia.
  Il fatto è che noi ci portiamo un peso che è non solo quello della guerra in Libia, ma è anche quello di aver fatto 4 mila missioni militari con la NATO. Qualcuno mi chiede se potevamo non farle. Da quello che mi diceva l'ex Capo di Stato Maggiore Camporini certamente avremmo potuto rifiutarci di dare le basi della NATO a francesi, inglesi e americani per bombardare Gheddafi.
  Scusate, che cosa ha fatto Erdogan in Turchia? A un certo punto ha chiuso la base di Incirlik agli americani, quando volevano bombardare l'ISIS e non avevano garanzie sulla questione curda. Mi dite che Erdogan non è forse un grande esempio di democrazia. Concordo con voi, ma che noi non potessimo chiudere le basi NATO non è vero.
  Attenzione, però: non è detto che sarebbe finita come è finita. Nei quattro-cinque mesi in cui sono stato a Bengasi ho accompagnato i ribelli che continuavano ogni giorno ad andare da Bengasi a Ras Lanuf. Per quattro mesi quelli non sono avanzati di un metro. Sono stati i bombardamenti, i razzi e i Cruise che hanno fatto fuori l'esercito di Gheddafi, non i ribelli.
  Non è detto che sarebbe finita come è finita. Avrebbe potuto finire che una parte restava ai ribelli e un'altra a Gheddafi. Del resto, in Siria è andata così. I ribelli hanno preso una parte consistente del nord e del centro del Paese, tagliando la dorsale Aleppo-Homs per diversi anni, ma, alla fine, Assad è venuto fuori.
  Non era così scritta la caduta di Gheddafi senza un intervento internazionale di quel genere e di quella portata, cui noi – ripeto – abbiamo partecipato bombardando il nostro maggiore alleato, e non era la prima volta.
  È chiaro che noi siamo in Tripolitania per evidenti ragioni, energetiche e legate agli interessi dell'ENI, ma bisogna avere il coraggio di rendersi conto che abbiamo sbagliato il cavallo con al-Sarraj. I Fratelli Musulmani che stanno a Tripoli sono la parte perdente di questa vicenda mediorientale. Hanno perso in Egitto, hanno perso in Siria e soprattutto hanno contro di loro un fronte internazionale molto forte, che non è soltanto arabo-musulmano.
  A Tripoli noi siamo insieme alla Turchia e al Qatar, che hanno sostenuto i Fratelli Musulmani, cioè la parte che ha perso in queste vicende mediorientali dal 2011, dopo il colpo di Stato di al-Sisi in Egitto. Hanno perso in Siria, perché i Paesi arabi come l'Arabia Saudita hanno deciso di farla finita.
  Secondo voi, rebus sic stantibus, gli Stati Uniti, che ci dicono che ci daranno la cabina di regia per la Libia, con un Governo tenuto dai Fratelli Musulmani, lo faranno davvero? Ma chi ci crede? Io non ci credo neanche se lo vedo! Stanno dall'altra parte, o stanno in una posizione oscillante, di attesa, perché della Libia gli importa poco.
  Passiamo alla seconda questione, forse più dirimente ancora, quella della guerra in preparazione in Siria, in Libano e soprattutto contro l'Iran.
  Mentre gli USA stanno preparando questo caotico ritiro dalla Siria, di cui peraltro non c'è ancora segnale evidente sul terreno, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha delineato, in un discorso al Cairo di un paio di settimane fa, la strategia americana. Ha detto che il vero nemico in Medio Oriente è l'Iran e si prepara a convocare adesso, a febbraio, una grossa riunione anti-iraniana in Polonia.
  Potremmo anche farci qualche domanda. Voi vi sentite minacciati dall'Iran? L'Iran vi Pag. 8ha attaccato, ha inviato dei commando qui, dei terroristi? Non mi risulta. Non solo, l'Iran ha firmato nel 2015 un accordo internazionale, cui partecipa anche l'Italia. Che prove ha portato l'America di Trump sulla violazione di questo accordo da cui gli sono usciti gli Stati Uniti? Nessuna.
  Paghiamo, invece, le sanzioni americane, con perdite consistenti anche nel nostro commercio estero, perché sono state imposte sanzioni e perché l'Unione europea avrebbe dovuto mettere in piedi quel famoso veicolo che doveva aggirare queste sanzioni, ma non l'ha ancora fatto. Non difende, quindi, neanche i propri interessi economici e commerciali.
  Anche su questo stiamo costruendo, o almeno loro stanno costruendo, una sorta di bufala, un po’ come quella che avevano già costruito nel 2003 contro l'Iraq di Saddam. Penso che ve la ricordiate un po’ tutti. Anche i più giovani ne hanno sentito parlare. Mi riferisco a quando fu inventata la famosa storia delle armi di distruzione di massa col Segretario di Stato Powell, la famosa smoking gun.
  Se andate a vedere il film Vice, dedicato alla figura del Vicepresidente americano Dick Cheney, vedrete come si è smontata questa bufala. Il film ha un buco, però: non dice che, durante la campagna elettorale a sostegno di Bush, a un certo punto, Cheney fece un discorso, dicendo che si sarebbe potuti anche arrivare a un accordo con Saddam Hussein. Poi, però, improvvisamente, quando è arrivato insieme a Bush nello Studio Ovale, ha cambiato decisamente posizione.
  L'Unione europea assiste a questo duello fra gli Stati Uniti, l'Iran, Israele e l'Arabia Saudita di contorno, muta come una tomba. Non dice nulla, forse per non irritare troppo gli attori della regione e anche quell'Erdogan che fa il custode di tre milioni di profughi, ragion per cui Erdogan non si deve toccare. Può mettere in galera chi vuole, ma non si tocca, perché tiene tre milioni di profughi e noi lo paghiamo profumatamente per fare questa operazione.
  In realtà, noi abbiamo fatto entrare Erdogan nell'Unione europea dalla finestra. L'abbiamo tenuto fuori dalla porta, ma con quell'accordo l'abbiamo fatto entrare dalla finestra, perché ha un leverage nei confronti dell'Unione europea molto forte. Ci tiene la pistola puntata qui. È lui il vero muro. Il muro nostro, il muro che l'Europa non ha costruito da altre parti l'ha fatto costruire, in realtà, a Erdogan, insieme a quello che Israele ha fatto in Cisgiordania e a un nuovo muro che Israele ha fatto in Libano, sulla scorta dei famosi tunnel di cui si è parlato.
  A combattere questa guerra contro Teheran e i suoi alleati siriani ed Hezbollah libanesi nella prima fase non sarà comunque direttamente Washington. Ci sta pensando Israele, che è diventato un po’ il gendarme americano della regione, con i soldi dei sauditi e con tanti saluti anche ai diritti umani.
  Dopo aver distrutto l'Iraq di Saddam nel 2003 e aver contribuito ad affondare la Libia di Gheddafi e la Siria, a destabilizzare l'intero Medio Oriente e il Mediterraneo e a bombardare insieme ai sauditi i civili in Yemen, lavandosi le mani del sangue, il Segretario di Stato americano oggi ci dice che il nostro nemico è l'Iran? Che cosa debbo dire agli Stati Uniti, che hanno provocato in quest'ultimo decennio centinaia di migliaia di morti e qualche dozzina di milioni di profughi? Sono loro i veri destabilizzatori del Mediterraneo.
  Meno male che in Siria, alleata di Assad e degli Hezbollah libanesi, c'era anche la Russia di Putin e che lì agli Stati Uniti e ai loro alleati nella regione, la Turchia e le monarchie del Golfo, non è riuscito il cambio di regime che è riuscito in Libia, altrimenti adesso magari i jihadisti di al-Baghdadi starebbero facendo colazione sulle rovine di Damasco!
  Amici, ogni tanto agli Stati Uniti bisogna rinfrescare la memoria, soprattutto quando si scagliano contro Teheran, con cui era stato firmato, tra l'altro, il trattato nel 2015. Se l'Iran sciita poi è diventato importante in Iraq lo dobbiamo proprio gli Stati Uniti, che hanno buttato giù Saddam Hussein. Sono stati gli americani che hanno aperto all'Iran l'espansione dell'influenza nella regione, e meno male, perché gli americani nel 2011 si sono ritirati. Fu Obama Pag. 9a decidere. Nel 2011 ammainarono la bandiera. Io ero là a vedere ammainare la bandiera.
  Lasciarono un Paese che ancora oggi non ha un'aviazione. Come fa a difendersi? Infatti non si è difeso e, quando è salita la marea montante di Daesh e degli alleati baathisti tirati fuori da Izzat Ibrahim al-Douri – vicepresidente di Saddam Hussein che nessuno ha mai catturato e che non è morto, come dicono, a Sulaimaniya, ma è morto di cancro a Tunisi – se non ci fossero state le milizie sciite e quelle dei pasdaran che cosa sarebbe successo?
  Nel 2014 questi si sono presi Mosul, la seconda città dell'Iraq, e gli americani non hanno mosso un dito. L'esercito iracheno si era completamente sbandato. Se non ci fossero state le milizie sciite e i pasdaran e il Generale Qassem Soleimani, capo delle Brigate al-Quds, Daesh sarebbe arrivato alle porte di Baghdad. Tikrit è a 100 chilometri da Baghdad, è tutta pianura. Dov'erano gli americani?
  Io arrivai a Makhmur da Erbil. Daesh si fermò a Makhmur perché la zona curda non gli interessava. Gli interessava la zona araba. Makhmur è a quaranta minuti di macchina da Erbil. Dov'erano le migliaia di peshmerga che vantava Barzani per combattere i jihadisti? Nelle retrovie. Arrivarono giù quelli del PKK dalla montagna di Qandil e meno male che c'erano i pasdaran, perché si erano già sbandati anche a Suleimaniya i peshmerga di Barzani.
  Dopo tutto quello che è successo la proposta, l'altro giorno, di riaprire anche le ambasciate in Siria rappresenta il minimo che si debba fare, magari anche per difendere i nostri interessi. Vi ricordo che nel 2011 eravamo il primo partner commerciale europeo di Damasco. Ci eravamo aggiudicati tutte le commesse nel settore ferroviario e la metropolitana di Homs. Eravamo il primo partner commerciale, ovviamente, della Libia. In Libano eravamo i primi. Eravamo al secondo posto in Algeria e in Tunisia e tra i primissimi in Egitto.
  Se andassimo adesso a fare i conti, vedremmo che l'Italia è stato l'unico Paese non arabo che ha pagato il prezzo più alto delle primavere arabe in termini economici e di destabilizzazione del quadro politico. Questo è. Se non ci fosse la questione dell'immigrazione, qui ci sarebbe ancora Cicchitto. È stata la più grande destabilizzazione che abbia avuto l'Italia dalla seconda guerra mondiale, a parte Di Pietro e Tangentopoli.
  Quella, però, era una cosa interna. Questa l'abbiamo importata e ci è stata imposta da fuori. Chi si sognava qui di andare a bombardare Gheddafi? Sei mesi prima l'avevamo portato qui omaggiandolo. C'erano i cavalli berberi. Che belli i cavalli berberi, eh? Questa è la realtà e non ci siamo opposti.
  Tornando al nostro amico Pompeo, quel discorso del Cairo è interessante, perché lui non ha neppure citato il caso di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita che è stato ammazzato dal nostro amico Mohammed bin Salman, a conferma che il sostegno al regno saudita è a tutto campo e che democrazia e diritti umani per gli Stati Uniti non sono più una discriminante. Quando mi dici che vuoi attaccare l'Iran perché non rispetta i diritti umani, io potrei dirti, caro amico, di attaccare anche l'Arabia saudita, che fa strage di civili in Yemen.
  Voi potreste chiedervi perché Negri venga a dire queste cose qui. Perché adesso arriviamo al punto che vi riguarda. La domanda è questa: ma a noi, dopo tanti decenni, a cosa servono gli Stati Uniti? La Francia l'attaccate tutti i giorni, ma gli Stati Uniti in Italia hanno cinquantanove basi, navi, aerei, 13 mila soldati di stanza e centoventi testate nucleari, che naturalmente controllano loro e non noi.
  Gli americani hanno frenato l'attacco a Gheddafi? No, anzi, hanno partecipato per un mese. È passato un mese e mezzo prima che gli americani tenessero gli aerei a terra e, a quel punto, è iniziata la missione NATO, a cui abbiamo partecipato anche noi. Questa è la sequenza.
  Ci sono serviti a tenere in piedi la Libia o a ricostruirla? Neppure. Non mi risulta. Fanno qualche cosa per fermare il flusso dei profughi dell'Africa? Nemmeno. Adesso, però, il Segretario di Stato americano, Israele e l'Arabia Saudita ci vengono a dire che il nostro nemico è l'Iran. Cosa farete questa Pag. 10volta, quando ci sarà da fare la guerra all'Iran? Darete le basi agli americani per fare la guerra a Teheran?
  Vi lascio con questa domanda. Ho finito.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Negri per il suo intervento.
  Prima di passare la parola ai colleghi e alle varie domande ho una domanda io. Quali sono, secondo Lei, le ripercussioni che potrebbe avere il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria? È una domanda abbastanza complessa, tenendo conto dello scenario.

  ALBERTO NEGRI, Senior Advisor Middle East and North Africa dell'ISPI. Le conseguenze le vediamo subito. Erdogan oggi, tra l'altro, ha fatto un'uscita tutta a favore di Maduro, il presidente venezuelano, perché ha sempre considerato il colpo di Stato del 15 luglio del 2016, il fallito colpo di Stato in Turchia, un piano non solo di Gülen, ma anche degli Stati Uniti.
  Ieri Erdogan era a Mosca e ha raggiunto un accordo con Putin per attuare alcune zone di de-escalation proprio in concomitanza con il possibile ritiro americano dalla Siria. Queste zone di de-escalation riguardano sicuramente Idlib, dove adesso è di stanza, come forza maggioritaria, la versione nuova di al-Nusra, cioè di al-Qaeda. Turchi e russi si sarebbero impegnati per liberare Idlib. Vedremo cosa faranno.
  Putin cercherà anche probabilmente di proteggere i curdi, perché sapete che la Russia non può mollare i curdi così. La Russia, come Unione Sovietica, ha sostenuto per decenni il PKK di Abdullah Öcalan in funzione anti turca, cioè anti-NATO. Oggi che la Turchia è un Paese metà NATO – si può dire – perché ha fatto questi accordi molto grossi con Mosca, è chiaro che Putin cerca di proteggere ancora i curdi e lo farà cercando di mettere sotto controllo soprattutto le zone ad est dell'Eufrate sotto Bashar al-Assad, per completare un po’ il cerchio. Poi, liberata Idlib, si ricostituirà tutta la dorsale Idlib-Aleppo-Hama-Homs. A quel punto, Bashar al-Assad sarà pronto per essere riammesso completamente nel mondo arabo, come già sta avvenendo in questi giorni, visto che a Damasco stanno riaprendo un po’ di ambasciate arabe.
  Bashar al-Assad ne ha bisogno perché ha bisogno dei fondi per una ricostruzione che è difficile. La distruzione è enorme in Siria. L'Italia può anch'essa partecipare a questa ricostruzione, nonostante abbia assunto posizioni scellerate nel 2011, quando il Ministero degli affari esteri guardava le liste di oppositori in cui erano scritti dei nomi: io guardavo i nomi e dicevo che questi non li votavano neanche i loro parenti a Damasco.
  Erano, in realtà, delle teste di turco che servivano a coprire le operazioni dei jihadisti che allora erano sostenute dalla signora Clinton, dalla Turchia, dalle monarchie del Golfo e dalla stessa Francia, ex potenza coloniale in Siria. Se si vogliono rompere un po’ le scatole ai francesi, si deve riaprire l'ambasciata a Damasco.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA BOLDRINI. Grazie, signora presidente. Grazie ad Alberto Negri per averci fatto questa esaustiva panoramica. Il quadro è molto complicato e lui ha cercato di fornirci anche degli spunti interessanti di lettura. Al di là di quello che si legge e si sente, c'è un'altra chiave di lettura che è più complessa e molto più tra le righe e che non emerge quasi mai.
  Volevo capire da Alberto Negri la sua lettura della Libia e anche come l'Italia si stia regolando in questa situazione. C'è stata la Conferenza a Palermo. Abbiamo visto che c'è stato il tentativo di riportare un dialogo, ma dopo pochi giorni, a Tripoli, abbiamo visto che la sicurezza è molto instabile. Abbiamo visto addirittura degli scontri nella capitale.
  Oggi, secondo il suo osservatorio, quale può essere un'efficace azione politico-diplomatica, e attraverso quali canali può passare? È evidente che i canali più ufficiali non sortiscono gli effetti che dovrebbero avere. Se quella Conferenza fosse stata effettivamente basata su impegni reali, magari le cose non sarebbero precipitate immediatamente. Pag. 11 Gli scontri appaiono come un messaggio ad al-Sarraj: «non ti illudere, noi non ci stiamo; tu puoi andare dove ti pare a fare dichiarazioni ufficiali, ma la questione la gestiamo noi».
  Qual è una possibile chiave per riuscire effettivamente a portare stabilità in Libia? Attraverso quali canali può passare?
  Altra questione: in Libia la maggior parte delle persone che arrivano in quel Paese per attraversare il Mediterraneo viene da Paesi dell'Africa sub-sahariana. Non sono, quindi, libici coloro che arrivano in Italia. Partono tutti dalla Libia, ma non ci sono libici.
  In Libia queste persone vengono trattenute, come Alberto Negri ben sa, in condizioni assolutamente disumane.
  Mi chiedo: che cosa deve fare un Paese democratico per riuscire a dare delle risposte a questo fenomeno della detenzione in condizioni veramente inaccettabili dal punto di vista del diritto internazionale, ma anche etico? Che cosa può fare un Paese democratico che si trova a dover fronteggiare gli arrivi, ma che al tempo stesso dovrebbe rispettare la propria Costituzione, i propri princìpi che sono nell'ordinamento giuridico? Di fatto, stiamo finanziando gli stessi trafficanti che prima organizzavano i viaggi. Stiamo dando i soldi alle stesse persone. Quale può essere un'alternativa a questo sistema che viola ogni forma di principio costituzionale e di diritto internazionale?

  ALBERTO NEGRI, Senior Advisor Middle East and North Africa dell'ISPI. Cara Laura, dal mio osservatorio – che tu ben conosci e che sai molto modesto per i miei mezzi, scarsi – ci ho pensato su, e dicevo nella mia relazione che la soluzione al problema umanitario o è politica o è militare.
  È politica nel momento in cui andasse a buon fine la mediazione dell'ONU tra Tripoli e Bengasi, ma, come abbiamo detto prima, l'inviato Ghassan Salamé non riesce a convocare l'Assemblea nazionale, entro gennaio, non si riusciranno a fare le elezioni, se non delle cose che sono delle buffonate. Soprattutto, non si riuscirà a mettere insieme l'esercito di Haftar con le milizie di Tripoli.
  Non esistendo una soluzione politica, probabilmente l'unica soluzione è militare. Come dicevo prima, una grande ipocrisia della politica estera è che abbiamo sentito mille volte la frase che dicevo prima: in Siria, la soluzione non è militare, ma politica. E, invece, no. Le soluzioni sono sempre state tutte militari in questi anni, purtroppo, con centinaia di migliaia di morti, con decine di milioni di profughi. Scusate, che soluzioni ci hanno proposto gli Stati Uniti in questi anni, se non soluzioni militari, per esempio in Iraq? Chi ha scoperto il vaso di Pandora?
  In Libia, la soluzione forse potrebbe essere meno devastante dal punto di vista militare, e diventa quasi una strada obbligata tra un po’. Per questo ho detto: attenzione, quel Governo al-Sarraj, a cui noi diamo fondi e altro, è appeso a un filo. Al-Sarraj stesso conta come il due di coppe a briscola quando la briscola è fiori, conta poco. È un ostaggio delle milizie, che sono anche i trafficanti, perché sono i capi delle milizie gli stessi che conducono i traffici o che comunque sono alleati dei trafficanti, sennò si finirebbe domani. Vale lo stesso per le motovedette, come dicevamo prima.
  Allora, qual è la soluzione? La soluzione è politica o militare. La soluzione politica non si vede, perché questo Governo sarà anche sostenuto dalle Nazioni Unite, ma non se lo fila nessuno. Dalla parte di Haftar ci sono l'Egitto, la Russia, la Francia, gli Emirati. Gli stessi Stati Uniti, nel momento in cui Haftar avanzasse, stanno con Haftar, che è pure cittadino americano.
  Dall'altra parte, noi siamo con la parte perdente, non solo della Libia, ma dell'intero Medio Oriente, perché appoggiamo un Governo che conta sui Fratelli Musulmani, che hanno perso in Egitto, in Siria, in Arabia Saudita, nel Golfo. Il Qatar, che sosteneva i Fratelli Musulmani, che ospita i capi dei Fratelli Musulmani, è stato isolato dall'Arabia Saudita e dagli altri Paesi del Golfo, Egitto compreso, senza enormi effetti, visto che noi gli abbiamo venduto dieci miliardi di euro di armi l'anno scorso. Lo sapete o no? Sei miliardi di navi con la Fincantieri. Gli abbiamo venduto anche tre miliardi di elicotteri col consorzio Westland, Pag. 12 e il 36 per cento ce lo mettiamo in tasca noi. È per quello che siamo di là.
  Noi abbiamo fatto dei favori agli islamisti e ai jihadisti di Tripoli. Adesso, non fatemi parlare troppo, perché dal mio modesto osservatorio qualche cosa ho visto passare in questi anni: ad esempio, i visti dati ad alcuni capi dei jihadisti di Tripoli, che poi hanno portato i guerriglieri libici e tunisini dall'altra parte, in Turchia, per passare il confine e andare a combattere contro Bashar al-Assad. So di che cosa parlo. Noi abbiamo fatto dei favori a questa gente.
  Questa gente, però, non ce li ha restituiti, i favori, come pensavamo. Forse, ci hanno segnalato qualche terrorista, però non ha fermato il flusso di profughi. E se io sono l'Italia, che cosa faccio: vado avanti ancora per anni a discutere con questi, a dare soldi, ad avere campi profughi disumani, ad avere continue polemiche dentro il mio Paese su come trattare i profughi, dove metterli? Se voglio dei campi profughi umani, devo affidarli all'UNHCR, alle organizzazioni dell'ONU, alle ong, ma loro non li vogliono. Finisce il traffico. Finisce il business.
  Allora, bisogna cambiare regime da quelle parti. Siccome non volete fare la guerra, perché la guerra non la vuole fare nessuno... Ragazzi, non siete adatti, fatevelo dire da un poveraccio come me, che le ha viste tutte. Qui parlano tanto di sovranismo, di patria, ma ne voglio vedere uno che parte volontario per andare a morire al fronte. Qui non c'è neanche il servizio militare!
  Se volete stare a casa, tranquilli, dovete appoggiare qualcuno che sistemi le milizie di Tripoli. E siccome quello è Haftar, e siccome sono ben due o tre anni che i russi mi chiedono come mai non trattavamo con Haftar, quella è l'unica alternativa che ho. Il Ministero degli esteri italiano mi dice che Haftar non è parte della soluzione, ma è parte del problema, però mi dica anche se c'è un'altra alternativa, perché non possiamo essere continuamente ricattati da queste milizie, che oltretutto trattano la gente in maniera disumana, impediscono alla Libia di tornare a essere un Paese che, non solo prosperava, ma dava lavoro a milioni di altre persone in quell'area.
  Vedo che stiamo invece cercando delle soluzioni alternative. Siccome i campi profughi in Libia sono fastidiosi perché ogni tanto arrivano dei video in cui vedi che questi gli danno tutti i giorni delle bastonate, che cosa facciamo noi? Pensiamo di arretrarli un po’ indietro, un po’ in Niger e un po’ nello splendido Ciad, che, se gli dai un miliardo di euro, vedi che campi profughi che ti apre! Pensiamo, quindi, di arretrarli sempre più lontani dalle coste del Mediterraneo per distaccare il problema, però il problema resta.
  E se vuoi sistemarlo in Libia, il problema è che devi trovare la stabilizzazione della Libia. Chi te la garantisce? Non lo so, forse Haftar. Bisogna trovare un accordo per la stabilizzazione della Libia, che può implicare anche un conflitto armato. Lo trovate scandaloso? Avete partecipato con 4 mila missioni militari della Nato a bombardare Gheddafi, il vostro alleato, e adesso avreste anche delle remore a bombardare dei cialtroni che stanno a Tripoli?! Questa è la realtà.
  Se si continua ad andare avanti così, non si finirà mai. Dovrai un giorno dare la motovedetta a questo, mandare i tuoi uomini dei servizi a trattare con quell'altro, sperare che l'ENI si faccia i fatti suoi, giustamente. Tra l'altro, l'unico risultato «positivo» che abbiamo ottenuto è che l'ENI è rimasto il maggiore operatore petrolifero della Libia; e si fa pure gli affari suoi, perché a ottobre ha firmato un accordo con la BP, in base al quale si prende il 42 per cento delle concessioni petrolifere della British Petroleum in Libia. È scritto sul Financial Times! Non ci sono queste notizie sui giornali italiani? Strano!
  È andata così. Per quanto mi riguarda, io sono tranquillo. Io so come si fa.

  PRESIDENTE. Passiamo alle altre domande.

  VITO COMENCINI. Ringrazio il dottor Negri per la relazione e tutte le cose molto interessanti che ha detto, anche se ovviamente non le condivido al cento per cento, Pag. 13ma sono sicuramente interessanti e ci possono far riflettere.
  Vorrei chiedere solo una cosa sulla Siria. Si sta un po’ evolvendo la questione della Lega Araba, per cui Assad addirittura adesso rientrerebbe nella Lega Araba e, in maniera imprevedibile, si potrebbero forse creare anche dei rapporti diversi, quindi positivi, con l'Arabia Saudita.
  Quanto questo può cambiare lo scenario, in generale nei Paesi arabi e anche relativamente alle questione dell'Iran che richiamava prima?

  ALBERTO NEGRI, Senior Advisor Middle East and North Africa dell'ISPI. Questa è una domanda molto interessante.
  Innanzitutto, dobbiamo pensare che la guerra del 2011 contro la Siria è stata per alcuni mesi una guerra civile, un conflitto interno, ma già verso la metà del 2011, dopo una durissima repressione di Assad, che ha martellato... Nel mondo arabo non si va per il sottile, ragazzi. C'è stata una data ben precisa che ci dice quando è cambiata la natura del conflitto, e la data è stata il 6 luglio 2011, quando l'ambasciatore americano Ford andò a passeggiare in mezzo ai ribelli di Hama.
  Ora, l'ambasciatore americano qui neanche passeggia sul lungotevere: se va a passeggiare in mezzo ai ribelli di Hama, vuol dire che quei ribelli sono i suoi ribelli. Nota bene che poi quell'ambasciatore Ford è andato al Cairo ad appoggiare i Fratelli Musulmani, ed è per questo che, quando è salito al-Sisi, ha dovuto andar via, e veloce.
  Piccola parentesi, visto che stiamo parlando dell'Italia.
  Noi avevamo come ambasciatore Massari, bravissimo ambasciatore. Il 6 giugno 2013, un mese prima del colpo di Stato, mi trovavo in quell'ambasciata a incontrare tutte le fazioni egiziane, compresi i Fratelli Musulmani, i salafiti e così via. Quando è salito al potere il signor al-Sisi, questo non deve essere molto piaciuto al generale, al nuovo rais. I rais non vanno per il sottile. Gli americani avevano mandato via Ford, e noi dovevamo mandare via Massari, che era stato prima inviato per il Medio Oriente e che sosteneva la posizione americana che bisognava abbattere Bashar al-Assad. Questo è per darvi uno spunto di riflessione.
  Questo è interessante: Assad non può abbandonare l'alleanza con l'Iran. In un certo senso, una serie di Paesi del mondo arabo l'ho capito. Non l'ha voluto fare nel 2011, i siriani, i pasdaran e gli hezbollah hanno combattuto fino a settembre 2015. Tra l'altro, gli hezbollah sono quelli che hanno liberato i villaggi cristiani. Il vostro Ministro dell'interno va in Israele a dire che gli hezbollah sono dei terroristi: meno male che ci sono questi terroristi, che sono quelli che hanno liberato i villaggi di Maaloula e Saydnaya. Io ero lì, e li ho visti con i miei occhi.
  Che cosa avete fatto qua per i cristiani della Siria o per i cristiani del Libano? Non ho visto fare mai niente. Si trovano le forze che ci sono sul campo, e da quelli ti fai proteggere, che un giorno possono essere i terroristi e un giorno possono essere i tuoi protettori. È questa la difficoltà del Medio Oriente.
  Oggi, giustamente, come chiede lei, quale sarà la posizione di Assad nel momento in cui rientra nel mondo arabo-musulmano e ha bisogno dei soldi di quel mondo, degli investimenti del mondo arabo-musulmano? Non potrà mollare l'Iran, perché l'ha tenuto in piedi; non potrà mollare gli hezbollah, perché hanno perso 2 mila uomini sulle montagne del Kalamun a combattere contro la guerriglia cecena, perché c'erano i ceceni là, i più tosti di tutti, e sparavano dalle cantine, non dai tetti. I russi ne sanno qualcosa della Cecenia.
  In qualche modo, troveranno un punto di mediazione con la Russia, perché sarà la Russia, ed è la Russia in realtà a mediare ormai tutti questi rapporti. Come vede, la Russia sta mediando per i curdi con Erdoğan, sta mediando sulle nuove zone di de-escalation, dove ci sono ancora i jihadisti. Probabilmente, la Russia sarà anche il mediatore con l'Arabia Saudita. I russi hanno mandato più volte in missioni in Arabia Saudita Kadyrov, l'attuale presidente ceceno, che è il musulmano buono, cioè quello di Putin, che martella i musulmani cattivi. L'hanno mandato là, in Arabia Saudita. Pag. 14
  La Russia si gioca tante carte su questo tavolo, tante carte che non sono soltanto militari, ma sono anche culturali e religiose. Usano i loro musulmani, quelli che loro hanno tirato dalla loro parte in Caucaso, per fare da mediatori anche col mondo arabo-musulmano.
  Questo è interessante del rapporto che c'è con la Russia oggi, che non è soltanto la Russia. Dobbiamo considerare lo spazio ex sovietico, che in qualche modo rimane un grande spazio, dove Mosca fa da mediatore anche su questi rapporti.
  Ecco perché non si chiede in questo momento di cambiare alleanze. Si tratta, in questo momento, di attenuare le differenze, soprattutto nel momento in cui dall'altra parte gli Stati Uniti vogliono montare insieme a Israele la fake news della guerra all'Iran. Che cosa si diranno? Forse, Netanyahu fa queste mosse in Siria perché ha anche l'elezione ad aprile, quindi ovviamente sparare un po’ di razzi in Siria fa sempre bene nei confronti del proprio elettorato. Io, però, voglio esserci, in Polonia, a sentire che cosa diranno americani ed europei sul fatto che il primo vero nemico del Medio Oriente è l'Iran. Stiamo delirando, di nuovo?
  Forse c'è un motivo. Come disse Frank Zappa una volta, la politica americana è solo la sessione di intrattenimento del complesso militare industriale. Frank Zappa era un cantante. Non era un analista.

  PINO CABRAS. In nome delle Mothers of Invention, che era il gruppo di Frank Zappa, posso cercare di rispondere a una domanda semplice in modo necessariamente complesso. La domanda è: che cosa farete il giorno che si stringeranno i bulloni della guerra verso l'Iran? In sostanza, si tratta di questo.
  Io credo che noi dobbiamo imparare dall'ambiente complesso in cui siamo immersi in questo momento, in cui i principali attori internazionali stanno giocando una partita multilaterale. Ognuno gioca non su una scacchiera, ma su più scacchiere, che non hanno sessantaquattro caselle, ma ne hanno forse centoventotto, alcune mobili, altre addirittura verticali.
  È un sistema estremamente complicato, in cui non c'è mai la quadratura reale delle posizioni. Uno è nemico di tre Paesi, ma è amico di un altro, che però è amico di certi altri amici con cui si collabora. Faccio l'esempio della Russia: nella partita siriana, ha combattuto con soggetti finanziati dall'Arabia Saudita, ma mantiene rapporti solidi in tante partite, non solo petrolifere, con l'Arabia Saudita. La Turchia è membro della NATO, ma compra armi dalla Russia; in certi momenti, abbatte degli aerei della Russia e in altri si accorda. La Francia ha giocato un ruolo molto da perturbatore di certi equilibri nel Mediterraneo, e sicuramente in funzione antirussa su certe aree, ma ad esempio in Libia, come anche lei ha ricordato, gioca una partita multilaterale in cui ci sono l'Egitto e la Russia come alleati.
  Noi ci troviamo in questa situazione complessa. Dovremo imparare a essere multilaterali anche noi, e quindi a contemperare degli interessi, a non dare per scontati gli esiti. Se è vero che non era scontata la fine di Gheddafi – se si fosse giocato militarmente in modo diverso, ad esempio non concedendo le basi, cosa su cui concordo – possiamo dire che non è compromessa la partita della pace con l'Iran.
  Questo è vero anche per alcune caratteristiche dell'attuale Amministrazione americana: c'è una divisione all'interno dell’establishment statunitense e il ruolo di Trump è quello della persona che cerca il deal, l'accordo. È stato così con la Corea dopo essere stati a un passo dalla guerra, o almeno formalmente c'era la voce grossa e qualche imminente scontro, e poi si sono trovate delle ragioni per porre le basi per un negoziato, che sta andando avanti e che può essere conveniente per tutti gli attori della zona.
  Penso che possa esserci qualche margine di questo tipo anche sulla questione iraniana. Non dobbiamo, da questo punto di vista, fare un discorso ideologico, non dobbiamo piegarci a certe forme di pressione. La Conferenza che ci sarà il 12 e il 13 febbraio in Polonia potrebbe essere utilizzata per dire che ci sono altre soluzioni, che noi partiamo dalle basi multilaterali Pag. 15che sono state costruite e le trasformiamo, le allarghiamo.
  È una risposta forse in politichese, ma è un tentativo che secondo me va fatto per non precipitare le cose. Gli errori sono stati compiuti sempre con lo stesso cliché, in questi anni in cui sono state scatenate nelle guerre, che poi hanno peggiorato le cose e come un domino hanno creato guai su un raggio molto più ampio di quello dei Paesi coinvolti.

  ALBERTO NEGRI, Senior Advisor Middle East and North Africa dell'ISPI. È vero, bisogna cercare delle contropartite. Se non altro, nel momento in cui ci accorgessimo che veramente questi vogliono piegare l'Iran in un angolo, e in parte lo hanno già fatto, perché le sanzioni, come sapete, stanno lavorando. Praticamente, il nostro commercio con l'Iran è bloccato. A parte grandi investimenti nei vari settori delle infrastrutture o del petrolio, abbiamo un miliardo e settecento milioni all'anno di esportazioni verso l'Iran di piccole e medie imprese. Queste sono in grave difficoltà; la deroga sull'applicazione del regime sanzionatorio, infatti, sta finendo, e ci permette solo di chiudere i contratti in essere del 2018, ma non di programmarli per il 2019. Non si può lavorare così. L'Unione europea ci aveva promesso di agire.
  Devo dire che sin dall'inizio con il nuovo Governo c'è stata una forte preoccupazione di tutti noi. Abbiamo cercato di avanzare delle proposte, però è chiaro che poi si è demandato all'Unione europea, che non ha ancora fatto quello che doveva. Deve mettere in piedi questo veicolo che dovrebbe servire ad aggirare le sanzioni.
  Perché, poi, uno deve subire le sanzioni degli americani? Sulla base di che cosa? Per il fatto che il signor Trump una mattina si è alzato e su pressione di Israele e dell'Arabia Saudita ha deciso di stracciare un accordo? Ma quello è un trattato internazionale, non è un accordo bilaterale con gli Stati Uniti! Vi aderiscono la Russia, la Cina, tutti i Paesi dell'Unione europea.
  È un'alzata di ingegno che serviva e serve, in realtà, a preparare il terreno a un conflitto più allargato. Probabilmente, non sarà magari un attacco militare dall'oggi all'indomani, anche se non è detto, però è chiaro che si cerca in ogni modo di stringere la Repubblica islamica dell'Iran, nel quarantesimo del suo anniversario, in un angolo. Per quale motivo?
  Tra l'altro, giustamente, come sottolineava l'onorevole Cabras, qui le tessere sono tante, ma tante. Capisco bene, per esempio, che Trump dica che vuole ridurre gli effettivi dall'Afghanistan: in caso di conflitto con l'Iran, ovviamente le truppe americane in Afghanistan sarebbero nel mirino delle ritorsioni iraniane, non solo direttamente, ma anche attraverso le fazioni in campo: sono lì, al confine.
  In che cosa consiste lo stesso ritiro americano dalla Siria? Che cosa fanno? Si spostano dalla Siria all'Iran. C'è ancora una base americana, poi c'è la base grossa di Assad vicino a Baghdad, dove Trump è andato in visita il giorno di Natale. Poi ci sono tutte le basi americane. C'è la base navale in Bahrein, c'è la Sesta Flotta, ci sono 10 mila soldati americani in Qatar, a Doha. Incrociano le portaerei.
  Quando si parla di ritiro americano dal Medio Oriente, bisogna cercare sempre di prenderlo con le molle. Diciamo che si ritirano da alcune aree in cui l'interesse per loro magari è venuto a scemare. Forse, c'è anche una sorta di possibilità di accordo con la stessa Russia: agli americani pezzi di Iraq e alla Russia pezzi di Siria, com'è già adesso, con delle basi militari.
  Quello che si sta verificando in Siria è abbastanza singolare: in quel Paese abbiamo, allo stesso tempo, basi russe e basi americane. Altro che Jugoslavia araba, siamo proprio su una dorsale molto interessante da questo punto di vista.
  Comunque, sulla questione dell'Iran gli Stati Uniti dovranno dare dei segnali importanti. Nel momento in cui dicessero che il nostro nemico è l'Iran, devono darci una ragione. In quel momento, fossi un Paese che aspira a un minimo di indipendenza in settant'anni di storia... Il Paese non è indipendente dal 1938, non da quando ha perso la guerra, ma da quando ha attuato le leggi razziali per dare un contentino al Führer. È da lì che ha perso l'indipendenza. Pag. 16
  Allora, devi dare un segnale. Qui si parla di sovranisti, ma non è che faccio il sovranista con i francesi. Devo farlo con gli americani, se voglio fare il sovranista vero. Ripeto che qua hanno cinquantanove basi, 13 mila uomini, centoventi testate nucleari. Fai il sovranista con quelli lì, con quelli che in qualche modo occupano il tuo territorio, non con i francesi!
  Gli hanno dato fastidio, ma – attenzione, signori – il problema è che noi ci siamo schierati con gli americani anche quando dovevamo non schierarci. Che cosa fanno i nostri soldati ancora a Herat? Che cosa fanno?
  La missione Sophia aveva un paio di compiti che non ha attuato. Uno era quello di mettere il piede a terra sulle coste della Libia per dare la caccia ai trafficanti. Se l'avessero fatto... Ma è dal primo momento che non è stato fatto nulla, soprattutto dall'Unione europea. C'è la famosa missione per il controllo dei confini della Libia che non è stata fatta. Stavano al Radisson di Tripoli a mangiare i gamberoni rossi. Se non hai controllato la Libia e i suoi confini, poi hai visto dove sei finito.
  Purtroppo, queste sono missioni militari. Purtroppo, bisogna mettere il piede a terra. Purtroppo, ci sono dei rischi. Non possiamo poi lamentarci dei trafficanti, dei campi dalle condizioni disumane, pensando solo alla fase terminale. Se vuoi avere dei campi profughi decenti, se vuoi avere un dirimpettaio decente, devi aiutarlo a diventare decente. Se quelli con cui hai a che fare continuano a prenderti in giro, è ovvio che devi cambiare cavallo. Io insisto su questo.
  È chiaro che al-Sarraj era il nostro uomo. Devi essere pronto a tenerlo in piedi per un orecchio e dirgli: senti, o fai questo o noi ci schieriamo dall'altra parte. A Tripoli stiamo solo per cercare di raccogliere i pezzi di questi, perché prima o poi la mela cade, marcisce, sta marcendo! Non so fino a che punto si potrà ancora accettare una situazione di questo genere. L'hanno dimostrato i tedeschi l'altro giorno.
  La Germania è andata fuori, perché? Innanzitutto, i nostri comandi li mandavano lontani dalle coste perché volevano primeggiare con la nostra Marina nel Mediterraneo. Soprattutto, però, si sono detti: a che cosa serve stare lì? O fai qualcosa o è inutile stare lì.
  Attenzione, però, perché la Germania non è un Paese così affidabile dal punto di vista militare. Hanno delle regole strette dal punto di vista della loro Costituzione. Devono cambiare certe regole per poter intervenire sul terreno. Se, però, ti metti d'accordo, lo devi fare. E quella missione aveva questo compito: dare la caccia ai trafficanti, non solo in mare, ma anche in terra. E noi non l'abbiamo fatto, questa missione non l'ha fatto. Abbiamo perso un'occasione.

  PRESIDENTE. L'ultimo intervento è quello del collega Formentini.

  ALBERTO NEGRI, Senior Advisor Middle East and North Africa dell'ISPI. Sì, anche perché io sono esaurito, ho un'età, ragazzi.

  PAOLO FORMENTINI. Ho ascoltato una visione molto caratterizzata, molto schiacciata su una parte, molto pro-iraniana, se posso dirlo.
  Gli hezbollah sono stati dipinti come dei liberatori di cristiani oppressi; l'Iran, come una risorsa a livello geopolitico globale; ovviamente, poi, è emerso un forte appoggio al ruolo della Russia.
  Noi, in realtà, come Governo continuiamo a dire e a ripetere – magari, come è stato detto, saremo solo dei giovani sovranisti illusi – che Stati Uniti e Russia devono dialogare. Il discorso mi sembrava, invece, più volto a scavare un fossato profondo, sempre più profondo.
  Non siamo ciechi, sappiamo che i problemi ci sono, ma quale altro equilibrio a livello globale si può intravedere, ad esempio nella lotta al terrorismo, se non, di nuovo, una collaborazione tra Stati Uniti e Russia?
  Oggi pomeriggio alle sei ascolteremo la Presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, si approssima il giorno della memoria: come ignorare le dichiarazioni fatte dal capo dell'aviazione iraniana «cancelleremo Israele»?

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  ALBERTO NEGRI, Senior Advisor Middle East and North Africa dell'ISPI. In relazione al problema dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, proprio due minuti fa ho sottolineato la particolarità della Siria.
  In Siria, in questi ultimi due anni, c'erano basi russe, tra l'altro sempre più grosse, importanti, e basi americane, a Raqqa, a Manbij. Gli americani sono intervenuti militarmente in maniera pesante con l'aviazione contro Daesh. Non è stato un intervento militare da poco. Magari, gli uomini sul terreno ufficialmente erano solo 2 mila soldati americani, ma c'erano almeno sette-ottocento contractors usati dagli Stati Uniti.
  Piccola parentesi: questa guerra siriana è stata un po’ anche la guerra dei contractors. Non li hanno usati solo gli americani. Anche i russi mi hanno confermato che hanno usato contractors, cioè ex militari assunti per fare la guerra. Questa è una cosa interessante, da tenere presente, anche per un Paese come l'Italia, che non vuole farsi male. Ci sono anche i contractors da usare. Se vuoi fare la guerra in Libia e colpire i trafficanti, puoi anche usare i contractors ogni tanto. Lo fanno tutti, ormai, i francesi, gli americani e i russi.
  In quella situazione, bisogna dire che Stati Uniti e Russia hanno collaborato abbastanza, con un po’ di difficoltà all'inizio, ma hanno collaborato. Soprattutto, mi sembra che gli Stati Uniti abbiano capito che dal punto di vista diplomatico i russi si stanno muovendo abbastanza bene. Forse Trump non sarebbe venuto fuori con la storia del ritiro se non avesse capito che tutto sommato in quella situazione rischiava di confrontarsi con un esercito dalla NATO, quello turco, per difendere i curdi, e ha detto: a questo punto, lascio la patata bollente in mano ai russi e ai siriani, e mi tiro fuori. Da questo punto di vista, non è una mossa stupida.
  Il problema della collaborazione tra Stati Uniti e Russia c'è, ma non è così forte. Il problema per noi è: chi dà una mano sulla Libia? Ripeto che qui ci troviamo un enorme apparato militare americano di stanza in Italia. Hanno attaccato la Libia e si sono messi ad attaccare il nostro maggiore alleato. Non hanno fatto nulla per stabilizzare questa Libia. Hanno bombardato, è vero. Da Sigonella partono ancora adesso coi droni, ogni tanto con gli aerei, per bombardare qualche elemento di Daesh che dà loro fastidio, ma non ci danno mai una mano dal punto di vista della stabilizzazione del Paese.
  Se gli Stati Uniti sono il nostro maggiore alleato, che ci diano una mano a stabilizzare la cosa che conta di più per noi in questo momento, la Libia. Lo vuole fare la Russia? Lo faccia la Russia. A un certo punto, chiederemo anche alla Russia. Avremmo dovuto chiederglielo prima, con Haftar. Abbiamo perso due o tre anni su quella storia di Haftar. Quando sei in Libia, devi giocare un po’ con tutte le fazioni, ragazzi, non c'è dubbio alcuno. Ti fidi dell'uno piuttosto che dell'altro?
  Avremmo dovuto cercare di chiedere, di fare pressione sugli americani perché ci dessero una mano: dite sempre che siamo il vostro maggiore alleato mediterraneo; non vedete che situazione abbiamo in casa? Fate i muri in Messico e a noi non date neanche una mano a tenere in piedi questa Libia? Andate a colpire, fateci questo piacere. Avete fatto la guerra dappertutto, siamo andati con voi in Afghanistan, siamo andati con voi in Iraq: quando è stato il momento, ci avete ringraziato con questa moneta?
  Perché questa è la moneta con cui ci hanno ringraziato gli americani: bombardamento di Gheddafi nel 2011 e basta; a parte le parole, che sono sempre uguali per tutti gli italiani. Che cosa aveva detto Obama a Renzi? Che l'Italia avrebbe avuto la cabina di regia. Lo stesso è stato ripetuto a Conte. Regia di che? Ci vengono a dire sempre le stesse cose. Passano i governi, cambiano le stagioni, però... Agli Stati Uniti noi dobbiamo chiedere qualcosa. Ci hanno messo nei guai? Ci tirino fuori dai guai!
  A me non interessa mica se sei rosso, verde o nero. Mi interessa solo se mi tiri fuori dai guai. E qui mi hai lasciato nei guai. Questo Paese tutti i giorni deve litigare perché ci sono i profughi, perché non c'è una solidarietà europea, che si è vista ben poco. Pag. 18
  Avete presente la missione Sophia? I profughi dovevano essere portati solo nei porti europei, dove non c'era neanche un minimo di idea. Certo, l'Italia è un Paese grosso, ma questi non erano flussi migratori normali, erano di emergenza, è un'altra situazione. Stiamo parlando di una situazione di conflitto, di guerra. In Libia c'è la guerra, c'è stata la guerra. C'è stata la guerra tra fazioni, c'è stata la guerra contro Daesh. Continua a esserci un conflitto, forse non ad alta densità, un conflitto a bassa densità, ma devastante. È un Paese senza alcun controllo. Di qui non sappiamo neppure più i confini, che anzi sono sprofondati.
  Che mano ci hanno dato gli Stati Uniti su questo? Non l'ho vista. Io non l'ho vista, purtroppo. Allora, che cosa devo fare? Al primo che passa e mi offre una mano dico di sì, non perché mi piaccia, ma perché non si può andare avanti ancora per anni a discutere della questione dei profughi.
  Ogni mattina mi alzo e vedo una bravissima collega che tutti i giorni mi fa la cronaca del profugo, ma il problema non è la cronaca del profugo, per carità. Il problema è che ci sono tanti problemi in questo Paese da risolvere, economici, sociali, di tutti i generi: e tutto viene mangiato e risucchiato da questo? Quanti anni andremo avanti in questa maniera? Fino alle elezioni europee, perché fa comodo, o altri due o tre anni? Non può andare avanti così.
  I nostri alleati, se sono alleati, ci devono dare una mano. Forse, però, stiamo facendo un po’ un'amara scoperta – scusatemi, ma è così – che hanno fatto anche altri Paesi. Ho detto che non è che abbia un'esagerata simpatia per la Turchia di Erdoğan, che però si è imposto con gli americani, gli ha chiuso la base di Incirlik. Quelli gli chiedevano di bombardare Daesh, e lui gli ha chiuso le basi, perché lui controlla le basi di Incirlik. Ci sono ventinove basi NATO in Turchia, e hanno fatto fuori quattrocento ufficiali di collegamento dopo il golpe tra la NATO e l'Esercito turco.
  Tra parentesi, quando c'è stato il colpo di Stato, su quel famoso ponte sul Bosforo è stato ammazzato il vicecomandante turco della NATO a Istanbul. Sapete che si è parlato molto del golpe inventato, del complotto: quando muoiono i generali sui ponti, e non i soldati semplici, vuol dire che quella è una roba seria.
  Detto questo, tutti si sono accorti che gli Stati Uniti hanno mollato i loro alleati. Se ne sono accorti, ovviamente, in Afghanistan. Stanno trattando con i talebani, con i russi, con tutti. Noi che strumenti abbiamo? O andiamo in prima persona... Non vuoi più la missione Sophia su base europea? Te la fai tu, con le stesse regole. Voglio vedere, però, ai primi morti che cosa succede. Ragazzi, sapete quanti articoli ho fatto io nella mia vita? Alcune migliaia, e tutte le volte che c'era un morto italiano, che fosse l'Afghanistan, che fosse l'Iraq, che fosse la Somalia, spesso c'ero, e li ho visti.
  Signori, il Paese non sopporta i morti, lo sapete. È inutile che ve lo dica. Non li sopporta. Immagina che la guerra sia qualcosa fatta per fini umanitari e che non ci siano morti. Ci sono, i morti, purtroppo. E davanti a casa tua c'è una guerra. Hai messo il piede a terra? Abbiamo mandato i soldati a Misurata: ne avete sentito più parlare? Io, no.
  Bisognava fare la lotta ai trafficanti? E come l'abbiamo fatta? In mezzo al mare? Credetemi, il problema alla fine è sempre quello: chiedetevi se siete pronti a morire.

  PRESIDENTE. Chiudiamo l'audizione ringraziando il dottor Negri per il suo punto di vista e il suo intervento.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.05.